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Sandro Roggio
Cappellacci vuole riaprire le porte alla speculazione
1 Novembre 2013
Sardegna
Una prima analisi dei documenti ufficiali svela il veleno nascosto nelle norme del “piano paesaggistico dei saccheggiatori” approvato dalla giunta Cappellacci ma sconfessato dal Mibac. Tiscali, 1 novembre 2013

Sandro Roggio è un architetto e si occupa soprattutto di urbanistica. È autore di pubblicazioni tra cui il Prologo di Lezioni di Piano. L'esperienza pioniera del ppr raccontata per voci. Scrive su La Nuova Sardegna e collabora con eddyburg.it diretto da Edoardo Salzano.

Architetto Roggio quali sono le differenze tra il PPR e il PPS?
«Solo da ieri disponiamo del quadro completo delle variazioni e ci vorrà un po' di tempo per leggere e capire, ma a prima vista c'è tutto ciò che si temeva, annunciato dal dibattito rivelatore di questi anni. Ci sono gli strilli della campagna elettorale scorsa, via via mitigati, e le anticipazioni nel piano casa che si applica scandalosamente pure nei 300 metri dal mare, e nella legge sul golf che rappresentano un modo di pensare inequivocabile. Si tratta di provvedimenti già impugnati dal governo che si pensava di mettere nel Ppr con la complicità dello Stato. Ma gli è andata male»

Quindi lei riconosce due diversi orientamenti: quello del Ppr della giunta Soru e questo del nuovo Piano.
«Da una parte c'è il Ppr del 2006 che interpreta l'idea più progredita sul paesaggio come bene pubblico non negoziabile, come è nella Convenzione europea del paesaggio. Dall'altra c'è la propensione ad accogliere ogni richiesta di trasformazione del territorio, mettendo turismo ed edilizia sullo stesso piano e tutto nello stesso frullatore. Con il pretesto che occorre rispondere alla crisi e che l'edilizia fa crescere il Pil. Racconti gravemente omissivi. In Spagna hanno addirittura deciso di demolire l'invenduto in mano alle banche che ha messo in difficoltà quel paese. L'edilizia per la villeggiatura ha un peso rilevante in quel crac»
Due politiche molto diverse?
«A ben vedere il piano del 2006 guarda lontano all'insegna della solidarietà ecologica e generazionale. Il nuovo piano è piuttosto sintonizzato sui tempi brevi della politica politicante. Tutto e subito: al grido libertà-libertà, abbasso le regole e così via. Serve a catturare voti, gli stessi di chi vorrebbe sentirsi dire niente tasse o roba simile»
Cappellacci lo ha definito il Piano paesaggistico dei sardi e ha lanciato lo slogan «La Sardegna dei sardi liberi di decidere sulla propria terra e sul paesaggio«. Lei cosa ne pensa?
«Il messaggio è suggestivo e non sorprende che abbia consenso, ma sollecita un'idea perdente. Chi pensa così è fuori strada. Non capisce che se il paesaggio sardo sta tra i beni culturali del Paese e lo Stato concorre alla sua tutela non è un impiccio. Che i luoghi preziosi dell'isola siano d'interesse nazionale è un vantaggio e non è un disonore che la comunità nazionale se ne occupi come chiede la Costituzione. Caso mai bisogna esigere dallo Stato che si preoccupi di essere conseguente e darci una o due mani a curarlo il paesaggio e a difenderlo, ad esempio dagli incendi. Ecco un modo concreto per corrispondere all'idea di federalismo solidale. E poi, mi chiedo, non era lo stesso Cappellacci che interloquiva con potentati romani per dare il via libera all'eolico nell'isola? E non si trattava di funzionari dello Stato»
Cappellacci sostiene che andrà avanti senza il concorso del Mibac per approvare il nuovo Piano, è una posizione legittima?
«È sbagliato, interpreta la Costituzione e le leggi in modo arbitrario per giustificare lo strappo. Cita un sentenza della Corte Costituzionale, la 51 del 2006, che gli dà torto senza riserve proprio per i limiti dello Statuto sardo. La Regione è autorizzata a redigere e approvare il piano paesaggistico ma lo deve fare congiuntamente con lo Stato, secondo l'art 135 del Codice Urbani, specie nelle aree su cui insistono vincoli già posti dall'autorità statale»
Ma perché la fuga in avanti di Cappellacci?
«Cappellacci ha tempi stretti per arrivare a completare l'iter della pianificazione. Ha impiegato quasi 5 anni di tempo per deliberare la variante, quando per approvare il Ppr da parte del governo Soru ci sono voluti meno di 2 anni. E ora ha fretta e deve correre saltando le regole della co-pianificazione. E preferendo lo strappo finale con clamore che gli consente di non spiegare il disaccordo nel merito con i tecnici del Mibac e di cui la Direzione regionale ha detto in modo chiaro nell'ultimo comunicato»
Cosa c'è che non va nel nuovo Piano?
«Ho iniziato a leggere e ci vorrà un po' di tempo per approfondire nel labirinto di rimandi. Mi sono intanto concentrato sugli effetti che il Piano può determinare nei tempi brevi, perché credo che non avrà vita lunga. Temo che si voglia dare efficacia immediata allo strumento già dopo l'approvazione preliminare. La ambiguità dell'art. 87 comma 2 delle norme tecniche di attuazione (NTA) dovrà essere eliminata quanto prima. C'è poi il pacchetto delle disposizioni in via transitoria dell'art. 69 NTA, e non solo, che consentono di operare, con grandi margini di libertà, ancora prima che i comuni si adeguino al Piano regionale. Ed è questa la soluzione data, una semplificazione, come si dice oggi, che potrebbe rendere superfluo adeguare i PUC. Penso ai comuni che non hanno adeguato neppure ai vecchi PTP i loro piani degli anni Settanta!»
Ci sono aspetti della variante che stanno creando molto allarme nello schieramento che si batte in Sardegna per salvaguardare il territorio e l’ambiente. Sono timori giustificati?
«C'è in particolare una norma, la più pericolosa, che lascia scandalosamente ampi margini all'arbitrio e che contraddice alla radice i principi della tutela. Mi riferisco all' articolo 50 NTA. Omologo e altrettanto pericoloso è l'articolo 58, che porta il titolo «Programmi e interventi di recupero e valorizzazione dell’assetto ambientale«. È la riproposizione dell'articolo 12 del Piano casa che così trova un puntello nel nuovo Piano paesaggistico e altrimenti sarebbe inapplicabile. In questo modo si realizza il delirio della deroga congenita che spalanca la porta a tutte le richieste altolocate, come se chi realizza un sistema di sicurezza avesse previsto di consegnare a chi li domanda i codici per violarlo. Credono di avere costruito un capolavoro di destrezza. Conservando la fascia costiera come bene paesaggistico, solo nominalmente, ma consentendo a qualsiasi progetto definito strategico di essere ammesso ovunque e senza limitazioni dimensionali: basta l'autocertificazione dei padrini, il via libera della Regione e una variante al Piano comunale. Un procedimento sgangherato che si fa beffa della pianificazione. In palese violazione del Codice con la eliminazione del presupposto essenziale che sia il piano paesaggistico attraverso analisi e criteri oggettivi, estesi a tutto il territorio, a consentire eventualmente le trasformazioni. Ma c'è di più. Questa norma, utilizzabile a discrezione, sta in una corsia privilegiata perché è applicabile subito, anche prima dell’adeguamento dei piani comunali alle previsioni del PPR, come prevede temerariamente l'articolo 69 comma 13. Una formula scorciatoia, più grossolana ma simile a quella dei PTP cassati negli anni Novanta, che almeno individuavano preventivamente le aree da trasformare, chiamate 2D con asterisco. È una norma sconcertante, pensata per i grandi speculatori che hanno bussato forte in questi anni, e che contribuirà alla cancellazione del Piano del governo regionale, speriamo prima che abbia effetti. Non so se questa scriteriata previsione avrà credito, i comuni e le imprese hanno già avuto a che fare con norme improbabili e hanno perso tanti anni a inseguirle. Basti solo pensare che non è comunque eliminabile dal procedimento l'autorizzazione paesaggistica del competente organo dello Stato che in una siffatta temperie credo sarebbe impossibile ottenere«.

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