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Claudia Fusani
Cancellieri: «Basta tabù, i beni confiscati alle mafie si possono vendere»
6 Maggio 2012
Articoli del 2012
Vendere per far quattrini o per produrre ciò che serve, a partire dall’agricoltura? Quindi, a chi? L’Unità, 6 maggio 2012, con postilla

Ci sono sfide che vale la pena affrontare. Che altrimenti il rischio è restare prigionieri di alibi, senza fare un passo avanti né indietro. «La legge che regola il sequestro e la confisca dei beni va rivista e soprattutto vanno rivisti i criteri base dell'Agenzia nazionale dei beni confiscati» riflette il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri che ha incontrato Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia e delegato nazionale per la legalità dopo la sua proposta di un progetto-pilota per provare a mettere a reddito, cioè vendere o far fruttare, i beni confiscati alle mafie. Un tesoretto di 20 miliardi che lo Stato non riesce a capitalizzare. Ministro, la sua sembra una proposta choc: snellire le regole e la burocrazia pur di vendere quei beni e andare avanti. Sta rompendo un tabù? «Senza scomodare categorie impegnative, dico che quella dei sequestri, della confisca e del riutilizzo dei beni (la legge Rognoni-La Torre, ndr) è un dispositivo di norme concepite molto tempo fa quando i sequestri erano oggettivamente pochi. Oggi sono molti di più, tanti e soprattutto molto diversificati quindi vanno cambiate le regole. Per questo d’accordo col ministro della Giustizia Paola Severino penso a un ddl che consenta ampio dibattito parlamentare su un tema così delicato». Il tabù era riferito alla possibilità di vendere quei beni, o metterli a reddito in qualche modo, correndo il rischio che tornino nelle mani dei clan.

«Non dobbiamo aver paura di mettere in vendita i beni confiscati. Il rischio di tornino nelle mani dei clan esiste ma, pazienza: vorrà dire che saranno nuovamente sequestrati e confiscati e che lo Stato ci guadagnerà due volte».

Sembra molto sicura?

«Ho avuto modo di parlarne spesso, non solo da ministro, con vari magistrati antimafia. Sono loro i primi a dire di andare avanti, a non voler restare ostaggi della paura. O di certe ideologie».

Montante propone un progetto pilota, individuare una zona e sperimentare in quel territorio lo snellimento delle procedure e la vendita dei beni. Per provare a mettere a reddito quel patrimonio di 20 miliardi. È d’accordo?

«Concordo con l’analisi di Montante, anche se a questo punto corro il rischio di sembrare faziosa (il ministro sorride ndr) visto che ho già appoggiato e siamo quasi arrivati a compimento con la proposta del rating antimafia per le aziende virtuose. La legge Rognoni-La Torre è un testo di garanzia, con una storia antica che nasce però in un momento in cui la lotta alla mafia dava altri risultati. È una legge calibrata sulle gestione di poche cose. Oggi è tutto diverso. E dobbiamo adeguare gli strumenti. Semplice».

Cosa e in che modo?

«Ad esempio penso a percorsi diversificati a seconda della tipologia dei beni. Una cosa è mettere a reddito un negozio di focacce, altra vendere una villa. Altro ancora un’attività industriale e produttiva...»

Clamoroso il caso di Riela group, azienda leader nei trasporti in provincia di Catania, proprietà dello Stato dopo la confisca e che ora rischia di chiudere definitivamente e di mandare a casa 22 dipendenti.

«Appunto. Di fronte a realtà di questo genere il rischio è dare un messaggio perverso, e cioè che i clan riescono a garantire occupazione e sviluppo mentre l’arrivo dello Stato significa disoccupazione e impoverimento. Di fronte a questo rischio, molto meglio provare a vendere a chi può acquistare aumentando ancora di più il massimo controllo di legalità. Se poi dovessimo trovarci di nuovo a tu per tu con le famiglie, scatteranno nuovi sequestri e confische. Non solo, penso sia superata ormai la regola per cui i beni confiscati abbiano una destinazione sociale e debbano essere affidati ad enti locali e istituzioni pubbliche per finalità sociali. I comuni oggi, spesso, non hanno soldi e quei beni perdono valore inutilizzati. Credo sia giusto invece darli il prima possibile a chi li può mettere a reddito creando occupazione e ricchezza».

Il prefetto Caruso, a capo dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, denuncia il problema delle ipoteche bancarie sui beni mafiosi.

«Funziona così: il mafioso che sa di avere il fiato di qualche procura sul collo, intimidisce la banca, pretende un’ipoteca e porta a casa l’80% del valore dell’immobile. Che quando viene confiscato è proprietà della banca. È un problema serio. Il prefetto Caruso lo sta affrontando. Ecco perchè credo sia opportuno modificare il funzionamento dell’Agenzia nata tre anni fa ma su basi, come dicevamo, antiche».

Modificare, in questo caso, come?

«Credo che alla base sia necessaria molta liberalità. Non c’è più spazio per carrozzoni tipo Iri. Occorre un’agenzia agile, con una sola sede invece di cinque e pochi dipendenti. Vanno invece sfruttate di più le prefetture e presa in esame la possibilità di ricorrere a manager di fronte a casi specifici. L’Agenzia deve trovare la forza di autoalimentarsi. Non può diventare un altro peso per lo Stato».

Qualcuno dirà che il governo tecnico cerca di limitare l’azione dell’Agenzia. Non teme questa reazione?

«Nessuno limita nulla. Qui vogliamo solo che le strutture centrali siano più snelle e in grado di funzionare meglio».

Siamo sicuri che sia colpa solo dell’Agenzia? A Bari la gelateria Gasperini sequestrata alla mafia barese due mesi, è già stata riaperta dall’amministratore giudiziario che si è fatto carico dei rischi. A Roma l’Antico Caffè Chigi, sequestrato un anno fa alla ’ndrangheta, resta chiuso. Qual è la vera Agenzia?

«È chiaro che tutti si devono responsabilizzare e assumere i propri rischi. Quando parlo di modifiche legislative, con un nuovo disegno di legge, mi riferisco anche a questo: a monte sono necessari coordinamento e regole chiare; il resto dipende anche dalle persone che vanno sapute motivare. L’Agenzia è nata nel 2009 ma solo sulla carta: i decreti attuativi risalgono a due mesi fa».

Ministro, ha appena aderito alla campagna contro il femminicidio lanciata da “Se non ora, quando”.


«È il minimo che potessi fare. 57 vittime dall’inizio dell’anno, e quasi tutte per mano del compagno o dell’ex. E il numero dei reati aumenta se si aggiungono quelli non denunciati, ancora tantissimi. Il mio impegno, e non solo da oggi come ministro, è quello di cercare di far crescere la voglia delle donne a reagire alle continue violenze domestiche. Tutte le forze dell’ordine, le donne e gli uomini del ministero, sono impegnati a praticare, coltivare e diffondere una cultura del rispetto che è l'unico antidoto contro qualsiasi forma di violenza».

A proposito di donne-vittime, giovedì è stata in Calabria ed ha incontrato il sindaco di Monasterace Carmela Lanzetta. Com’ è andata?

«È una donna straordinaria che chiede solo di poter fare il sindaco in modo normale. Sempre di più ci dobbiamo rendere conto che fare il proprio dovere con normalità è il vero eroismo».

Postilla

Aveva proprio ragione Keynes: le idee sbagliate alla fine sono più dure dei fatti. Come nel caso della vendita dei beni demaniali - al di là di altre considerazioni di opportunità, di merito e di etica - l'idea di alienare anche i beni confiscati, nell'attuale congiuntura, avrebbe solo l'effetto di scaricare sul sistema delle imprese le difficoltà della finanza pubblica.

Nel bel mezzo della più drammatica crisi da domanda dal 1929, il Governo ritiene insomma che le imprese dovrebbero ricorrere al credito non per riconvertirsi, per rafforzarsi e innovarsi nei settori che tirano a scala globale, quelli della green economy e della conoscenza, ma per comprare terre e immobili, ripercorrendo alla fine lo stesso triste percorso che ha condotto all'esplosione della bolla speculativa.

Insomma, sottrarre al sistema economico 20 miliardi (più 6 per la dismissione del demanio) vendendo terre e immobili sembra proprio una sciocchezza, un bel modo per impoverire e rendere ancor più fragile e arretrato il mondo dell'impresa e del lavoro in Italia.

A meno che non si tratti di un disperato tentativo di terapia omeopatica a larga scala, dove la malattia viene combattuta somministrando la stessa tossina che la causa. (a.d.g.)

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