La Repubblica, 13 settembre 2014, con postilla
È IN atto una sorta di mutazione genetica. Una metamorfosi. O meglio una specie di ritorno alle origini. Sul terreno più conflittuale degli ultimi 20 anni: la giustizia. Il Pd, il centrosinistra italiano, abbandona quella che sinteticamente veniva definita una linea giustizialista e si presenta adesso come il principale soggetto garantista.
LA battaglia di questi giorni tra Matteo Renzi e i magistrati è esattamente il risultato di questa svolta. Il taglio delle ferie per le toghe, le riforme promosse senza consultare l’Associazione nazionale magistrati, la promozione dell’avvocato Legnini — senza particolari legami con i giudici — ai vertici del Csm, il rifiuto di condizionare le candidature in Emilia ai provvedimenti dei pm, la difesa dell’amministratore delegato dell’Eni coinvolto in un’inchiesta su presunte tangenti negli accordi petroliferi in Nigeria, il distacco con cui i democratici hanno assistito agli ultimi capitoli processuali di Silvio Berlusconi. Ecco, questi sono tutti elementi di un vero e proprio cambio di stagione.
Senza dimenticare che dai tempi dell’inchiesta Mani pulite ad oggi, mai si era assistito ad uno scontro così duro e aperto tra un leader del centrosinistra e il potere giudiziario. La scelta del segretario del Pd è netta. È come se volesse “rottamare” anche su questo versante gli ultimi venti anni. In un certo senso si presenta deciso a recuperare quell’idea di “primato” della politica rispetto alle toghe che era ben chiaro ai partiti della Prima Repubblica, a cominciare dal Pci. Vuole liberarsi di un atteggiamento a tratti culturalmente caudatario nei confronti della magistratura. «Sono cose — sottolinea proprio il capo del governo — che io sostengo dalle primarie del 2012. Bisogna cambiare pelle: la politica prima di tutto e basta derive giustizialiste».
È vero che per il Partito democratico, questa mutazione si è resa possibile grazie ad un contesto affatto nuovo. In qualche modo la fine del berlusconismo sta scatenando anche questo effetto. La tradizione progressista e democratica sembra ora sentirsi più autorizzata a rivendicare non tanto l’autonomia, ma la libertà di giudizio verso i provvedimenti giudiziari. E a farlo senza avvertire la paura di essere accusati di intelligenza con il nemico. Basti pensare all’atteggiamento tenuto sull’inchiesta emiliana che ha coinvolto due dei candidati pd alle primarie per la presidenza della Regione. L’esito è che quelle primarie si terranno comunque e parteciperà anche uno dei due indagati o ex indagati. Renzi ha sostanzialmente ignorato l’azione della procura bolognese. Rigettando plasticamente l’idea che gli avvisi di garanzia possano selezionare i concorrenti in una gara elettorale.
Ma, forse, ancora più significativa è stata la reazione che la base del Partito democratico ha avuto in questo frangente. Nessuno - ad esempio nei nutriti gruppi parlamentari del Pd — ha protestato per questa sorta di piccola rivoluzione. Sembra quasi che la “svolta” fosse attesa e già metabolizzata come un ritorno alla normalità. Come il desiderio di emanciparsi da un complesso di colpa o di inferiorità. Anzi, per qualcuno è l’occasione pure di dimostrare di non avere scheletri negli armadi.
In questo quadro hanno poi avuto un ruolo decisivo le ultime elezioni europee: quelle del 40,8% a favore del Pd. Una percentuale di voto che ha assegnato di fatto un nuovo baricentro al centrosinistra. A Largo del Nazareno lo definiscono «inter- classista». Come conferma l’ultimo sondaggio di Ilvo Diamanti, nonostante il sensibile calo nella popolarità del presidente del Consiglio, il partito resta ben ancorato al di sopra del 40% proponendosi ancora come una specie di partito-paese. Si tratta di un dato che ha probabilmente imposto a Renzi di esplicitare in modo marcato la sua natura post-giustizialista. Perché i referenti elettorali si sono ampliati e diversificati inglobando anche chi fino a qualche anno fa, proprio nel duello con le toghe, stazionava nell’altra metà del campo.
Ovviamente una linea di questo tipo prima o poi dovrà essere sottoposta ad una ulteriore verifica del consenso popolare. Perché il “primato” della politica regge solo se avallato dagli elettori e se il comportamento dei politici viene giudicato eticamente accettabile. E se, infine, le risposte dei politici ai problemi del Paese risultano davvero efficaci.
E in ogni caso tutto questo avrà comunque delle conseguenze. La prima di queste è che si arriverà presto ad una vera e propria resa dei conti tra politica e magistratura. La riforma della responsabilità civile e il taglio delle ferie costituiscono il primo atto di questo redde rationem. Si tratterà di uno scontro di potere. Anche perché come hanno dimostrato gli anni compresi tra il 1992 e il 2014, la forza del sistema dei partiti è inversamente proporzionale a quella delle toghe. Basti pensare alle cifre relative al potere di grazia del capo dello Stato: nei primi mandati presidenziali venne usato in diverse migliaia di casi. In poche decine negli ultimi settennati. Prova che la sensibilità in materia con il tempo si è decisamente evoluta. Ora quindi, liberato il Paese dall’ombra lunga e nefasta del berlusconismo, tutti si sentono legittimati ad assumere posizioni e idee senza vincoli precostituiti.
postilla
L'ombra è molto più lunga e nefasta di quella del berlusconismo, e il paese non se n'è affatto liberato: è come se ne fosse incantato. Nel regime della Balena bianca magari facevano le stesse cose, ma almeno cercavano di nasconderle. Sì, erano ipocriti: ma l'ipocrisia, come diceva La Rochefaucauld, è l'omaggio che il vizio rende alla virtù. Oggi il vizio è diventato una virtù.