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Luciano Loris; Gallino Campetti
Brutte notizie per i lavoratori (e la democrazia)
6 Luglio 2011
Articoli del 2011
Informazioni e commenti (nell’intervista di Francesco Paternò a Gallino) sul direttivo della Cgil. Il manifesto, 6 luglio 2011

La Cgil è in campo. Minato 


di Loris Campetti 


Contratti. Quelli nazionali si possono derogare, la «tregua» sospende il diritto di sciopero e i lavoratori non possono più votare accordi e delegati. Il direttivo approva l'accordo con Cisl, Uil e Confindustria con 117 sì, 21 no e un astenuto. Ora la consultazione degli iscritti. Fiom e minoranza denunciano una svolta pericolosa per democrazia e i diritti dei lavoratori

Il direttivo nazionale della Cgil ha approvato a larga maggioranza il dispositivo con cui si sottoscrive l'accordo siglato con Cisl, Uil e Confindustria con cui si modificano profondamente le norme che regolano democrazia e rappresentanza nei posti di lavoro, la natura e il valore dei contratti nazionali e persino alcuni diritti fondamentali, come quello di sciopero. 117 voti favorevoli, 21 contrari e un solo astenuto sanciscono un cambiamento di stagione e - secondo chi si è opposto alla firma - la natura stessa del sindacato. Dato l'investimento fatto dalla segreteria e personalmente da Susanna Camusso sul «ritorno alla normalità» della Cgil nel rapporto con le altre confederazioni chiamate fino a ieri «complici» e con la Confindustria, il voto di ieri è stato di fatto un «voto di fiducia» alla segretaria generale. Anche i dubbi e i mal di pancia, che non mancano, sono stati messi da parte e le percentuali raccolte dai sì e dai no rispecchiano gli schieramenti usciti dal congresso nazionale.

Ora, il testo dell'accordo insieme al dispositivo approvato che lo «interpreta» saranno messi a disposizione di tutti gli iscritti alla Cgil che entro il 17 di settembre dovranno esprimersi anch'essi con un voto. Sembra escluso che Cisl e Uil accettino una consultazione generale dei loro iscritti e a nessuno - tranne alle minoranze Cgil - è venuto in mente di consegnare la decisione finale a tutti i lavoratori interessati, con o senza tessere sindacali. Il «perimetro» interessato, cioè gli iscritti alla Cgil che potranno dire la loro, comprende i dipendenti delle aziende che aderiscono a Confindustria. Quel che gli iscritti non potranno conoscere è il documento della minoranza congressuale, perché nelle assemblee nelle fabbriche e negli uffici il loro documento non avrà cittadinanza. In teoria, il segretario della Fiom Maurizio Landini dovrebbe andare alla Fiat o in Fincantieri a difendere la posizione contro cui ha votato e si è battuto. O forse alle assemblee la relazione sarà fatta solo dai dirigenti fedeli alla linea. Sembra di leggere Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler: «La vostra fazione, cittadino Rubasciov, è stata battuta e disfatta. Volevate spezzare il Partito, pur dovendo sapere che una scissione nel Partito avrebbe significato la guerra civile. Sapete dello scontento fra i contadini, che non hanno ancora imparato a comprendere il senso dei sacrifici imposti loro. In una guerra che può scoppiare da qui a qualche mese, tali correnti possono portare a una catastrofe. D'onde la necessità imperiosa per il Partito di essere unito. Esso deve essere come fuso in una colata, tutto cieca disciplina e fiducia assoluta. Voi e i vostri amici, cittadino Rubasciov, avete creato una frattura nel Partito. Se il vostro pentimento è sincero, dovete aiutarci a sanare questa frattura. Come vi ho detto, è l'ultimo servizio che il Partito vi chiede».

A decidere le modalità della consultazione saranno le categorie interessate (quelle del «perimetro») e le assemblee dovranno svolgersi entro il 17 di settembre, per consentire l'elaborazione dei risultati non oltre il 20 e, dunque, la formalizzazione della firma della Cgil in calce all'accordo. Susanna Camusso ha sostenuto il testo sottoscritto con la motivazione che finalmente si chiude la stagione degli accordi separati. Tesi contestata dalla Fiom e dalla minoranza, secondo cui l'unica garanzia per evitare che si continuino a firmare contratti e accordi di parte è il diritto di voto di tutti i lavoratori interessati. È proprio questo uno dei punti critici dell'accordo, un punto che concerne la democrazia: mentre si raccolgono le firme per un referendum che restituisca ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti, questo diritto viene negato ai lavoratori. «Forse i lavoratori non sono cittadini? si chiede il segretario generale della Fiom Maurizio Landini. Il portavocie della «Cgil che vogliamo», Gianni Rinaldini, aveva chiesto una gestione «più democratica» della consultazione tra gli iscritti ma è stato respinto con perdite.

Dal principio «una testa un voto» si passa alla mediazione sindacale ma, sostiene Susanna Camusso, «c'è sempre una relazione con i lavoratori e la loro rappresentanza». Più difficile invece sostenere che il contratto nazionale non si tocca, visto che le deroghe sono previste in tutti i casi di crisi, ristrutturazione e investimenti. Cioè sempre. Inoltre, ricorda Rinaldini, se nel 2009, quando fu siglato un accordo separato sul sistema contrattuale da tutti tranne la Cgil, si fossero applicate le regole previste con l'accordo unitario varato ieri dal direttivo, anche senza la firma della Cgil che non ha il 50% più uno della rappresentanza sarebbe passato e avrebbe avuto valore generale. La «tregua» (il divieto di sciopero), sostiene il dispositivo, impegna «soltanto» le organizzazioni firmatarie dell'accordo e non i singoli lavoratori.

Ieri di fronte alla sede nazionale della Cgil, in Corso d'Italia a Roma, un gruppo di delegati «autocovocati» ha manifestato contro l'accordo con uno striscione in cui era scritto «No al patto di resa finale, il sindacato non si deve suicidare». In alcune fabbriche, in Toscana e in Lombardia, c'è anche chi ha scioperato contro l'accordo unitario.

L'ex segretario generale Guglielmo Epifani ha dato il suo appoggio alla scelta della segreteria, al contrario di Giorgio Cremaschi che ha messo in fila tutte le ragioni di un voto contrario al direttivo.

Gallino: «Così si va a destra»

intervista di Francesco Paternò

Il sociologo: «Contratto sempre derogabile, la "tregua" è un colpo ai diritti»

Il sociologo Luciano Gallino non ha dubbi: l'intesa sul lavoro firmata dalla Cgil il 28 giugno scorso «rappresenta uno spostamento a destra». E continua a pensare anche che alla Fiat non dispiacerebbe avere un «pretesto per ridurre o rinunciare agli investimenti in Italia».

L'accordo interconfederale con la Confindustria riavvia un processo di contrattazione unitario che pare però preoccupante. Il contratto nazionale non diventa così sempre derogabile?

In effetti il secondo comma dell'art. 7 dell'accordo prevede che in presenza di «situazioni di crisi» o di «investimenti significativi» si possono modificare gli istituti del CCNL. Sia le une che gli altri possono venire definiti in cento modi diversi, in specie nelle piccole e medie imprese. Perciò, di fatto, in tema di prestazioni lavorative, orari e organizzazione del lavoro, il CCNL è derogabile praticamente senza limiti.

L'accordo non toglie quasi definitivamente la possibilità per i lavoratori di votare intese firmate dai vertici sindacali?

Non mi pare vi siano dubbi. Quando un accordo aziendale è firmato da una rappresentanza certificata, i lavoratori non hanno più la possibilità di esprimere il loro consenso o dissenso in merito ad esso. In astratto, potrebbero anche organizzarsi per esprimerlo, ma stando all'accordo interconfederale esso non avrebbe alcun valore. Paradossalmente, il principio per cui i lavoratori hanno comunque il diritto di esprimersi mediante il voto è ribadito con particolare forza dallo statuto della stessa Cgil.

Secondo lei, perché la Cgil oggi ha firmato quel che nella sostanza è la stessa cosa che non ha firmato nel 2009?

Da anni la Cgil ha tutti contro: le altre due confederazioni, il governo, il 90 per cento degli accademici che si occupano di lavoro, i media, perfino gran parte dei politici del centro-sinistra. L'accordo in parola rappresenta senza dubbio uno spostamento verso destra, ma in un contesto politico e culturale che nonostante la crisi, o meglio proprio per sfruttare la crisi, appare sempre più virare a destra, un'organizzazione così vasta e complessa non può non avvertire anche al proprio interno spinte per portarsi su posizioni meno distanti da quelle dominanti.

Quale è il suo giudizio sulle Rsa?

I membri delle Rsu sono eletti dai lavoratori. I membri delle Rsa sono designati dai sindacati, anche se minoritari. In altre parole le Rsu sono una forma, imperfetta quanto si vuole, di democrazia diretta o partecipativa. Le Rsa sono un'ennesima forma di democrazia per delega dall'alto. Sono per la prima forma di democrazia.

La centralità che assume sempre di più la contrattazione aziendale non rischia di accentuare la tendenza alla frammentazione del sistema industriale italiano?

Su questo non c'è il minimo dubbio. Un sistema che è già di per sé il più frammentato della Unione europea a 17 ed è molto meno organizzato, ad onta delle infinite discussioni su distretti in forme di cooperazione interaziendali come avviene invece con i «poli di competitività» in Francia, le «reti di competenza» in Germania, ecc.

Come valuta la «tregua», in sostanza la sospensione del diritto di sciopero?

E' un altro colpo inferto alla libertà di associazione e di azione sindacale.

Cosa prevede nelle relazioni fra Fiat e Fiom, se il prossimo 18 luglio il tribunale desse ragione al sindacato sul contratto di Pomigliano?

Ho l'impressione che alla Fiat non spiacerebbe avere un pretesto per ridurre o rinunciare agli investimenti in Italia. Il suo centro produttivo è ormai in Brasile e in Messico, dove a Toluca vengono costruite sia la 500 che i macchinoni Chrysler da vendere in Italia e in Europa con la placchetta Lancia o Alfa Romeo. Nel 2010 la Fiat ha prodotto in Italia meno auto di quante non ne abbiano prodotte al loro interno Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Polonia, Repubblica Ceca e Serbia. Ritornare ad essere, dall'ottavo, anche solo uno dei primi tre costruttori è un impegno di enorme portata. Se ai lavoratori italiani e alla Fiom potesse venire appioppata definitivamente l'accusa di essere inaffidabili, poco produttivi, renitenti alle forme moderne di organizzazione del lavoro, il disegno americanocentrico del Lingotto ne sarebbe facilitato.

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