Il manifesto, 14 giugno 2015
Nella sala della Piccola Protomoteca Emma Bonino cita Manzoni: «Il buon senso ancora c’era ma se ne stava acquattato, completamente travolto dal senso comune». Come al solito i Radicali hanno scelto il lavoro più sporco e impopolare, quello più difficile: uscire in strada per contrastare il senso comune costruito e fomentato da anni di campagne mediatiche razziste contro i rom e i «clandestini» e che, con le rivelazioni sulla Mafia capitale, si arricchisce ora di un «velenoso sillogismo», come lo chiama il senatore Pd Luigi Manconi, «di formidabile suggestione»: «Se sui servizi ai rom e sull’assistenza ai profughi si sono costruiti sistemi di corruzione e di speculazione, allora basta eliminare rom e rifugiati».
Così, invece di confidare ancora sull’impegno del consigliere Riccardo Magi, presidente di Radicali italiani, o sul buon senso di (pochi) altri, un comitato di associazioni — A buon diritto, 21 luglio, Cild, Arci Roma, Asgi, Un ponte per, ZaLab e Possibile (di Civati) — hanno dato vita con i Radicali Roma alla campagna «Accogliamoci, per una capitale senza ghetti né ruspe». E al sindaco Marino, Bonino e Magi «ribadiscono la richiesta di presentarsi in Assemblea capitolina con una relazione politica sul malfunzionamento dei controlli interni dell’Amministrazione e di descrivere in modo chiaro pochi punti di riforma e di reale rottura che intende perseguire».
Cinque mila firme da raccogliere in tre mesi per portare le delibere in Assemblea capitolina. Che dovrà votarle, anche dopo un eventuale rinnovo elettorale, pena diffida presso la prefettura (azione a cui dovette ricorrere Magi per costringere l’allora presidente Mirko Coratti a calendalizzare la delibera sul testamento biologico). La prima delibera prevede un’indagine conoscitiva per analizzare le esigenze di ciascun nucleo familiare rom e sinto che vive negli otto villaggi di solidarietà, nei quattro villaggi non attrezzati e nei tre centri di raccolta definiti «discriminatori» nella condanna inflitta il 30 maggio scorso dal Tribunale di Roma al Campidoglio, e che costano milioni di euro l’anno. Un’indagine necessaria per avviare percorsi specifici di vera inclusione.
È prevista inoltre l’elaborazione di un piano per la chiusura dei campi che «definisca i tempi, i modi e gli interventi di accompagnamento all’inserimento abitativo e sociale, attingendo agli stanziamenti già previsti e, laddove possibile, alle linee di finanziamento europeo». Una serie di azioni, queste, che «nemmeno l’attuale assessorato alle Politiche sociali sta mettendo in atto», afferma Magi che smentisce quanto riferito al manifesto dall’assessora Francesca Danese: «Un piano pronto per l’autorizzazione della giunta? A noi non risulta. Da novembre invece hanno in mano le nostre proposte, ma non ne abbiamo saputo più nulla».
Nemmeno i conti riportati da Danese tornano al consigliere comunale: «Siamo passati dai 22 milioni di euro spesi effettivamente nel 2013 nel business della “solidarietà” ai campi rom (e non un euro alle famiglie), al di là delle previsioni iniziali e in nome degli interventi emergenziali, agli attuali 8 milioni previsti nel bilancio preventivo di cassa: come fanno a far partire un piano in attuazione alla strategia nazionale di inclusione senza prevedere qualche risorsa in più, necessaria per il lavoro di mediazione culturale e per l’assegnazione degli alloggi?».
La seconda delibera prevede il monitoraggio e la riorganizzazione, attraverso l’istituzione di una cabina di regia, del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale a Roma. «Un sistema — riferisce Claudio Graziano di Arci Roma — che nell’ultimo anno e mezzo si è decuplicto, passando da 300 a 3 mila strutture di accoglienza: residence, alberghi, grandi centri che hanno alterato il senso anche del sistema Sprar». E invece la soluzione sta in un’accoglienza più diffusa sul territorio e integrata.
Ed è urgente. Perché, come ammonisce Bonino, «l’Europa e l’Italia non possono più sottovalutare il problema strutturale di milioni di profughi che destabilizza il Sahel e tutta l’Africa. E noi non possiamo dimenticare di quante carrette del mare piene anche di italiani sono sprofondate tra la Prima e la Seconda guerra mondiale».