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Bocciata dal governo la giunta Cappellacci
26 Gennaio 2012
Sardegna
Impugnati dal Consiglio dei ministri alcuni provvedimenti con i quali il governo berlusconiano della Sardegna si proponeva di svuotare il piano paesaggistico della giunta Soru

Uno degli strumenti che la giunta Cappellacci aveva predisposto per distruggere il Piano paesaggistico regionale della giunta Soru (l’unica applicazione compiuta del Codice del paesaggio) era il cosiddetto “piano-casa”. Esso consentiva, tra l’altro, una deroga amplissima al divieto di costruire, in particolare, nell’area di protezione della fascia costiera puntigliosamente individuata dal Ppr lungo l’intero litorale, con ampiezza variabile a seconda delle specifiche caratteristiche di ogni suo segmento. Analoghe deroghe erano consentite – e sono anch’esse censurate dal governo Monti - dalla legge, della giunta Cappellacci per la “liberalizzazione” dei campi da golf.

Il 20 gennaio scorso il Consiglio dei ministri ha infatti deciso d’impugnare alcune delle leggi della maggioranza berlusconiana della Sardegna, ribadendo la supremazia dei valori di tutela paesaggistica che fanno capo – grazie all’articolo 9 della Costituzione – alla responsabilità dello stato, anche in situazioni quale quella dell’Isola, nella quale la regione dispone di competenze “speciali”. I punti che il consiglio dei ministri ha censurato riguardano in particolare: che gli interventi previsti dalla legge «sono realizzati non solo "in deroga alle previsioni dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici comunali vigenti", ma in deroga anche "alle vigenti disposizioni normative regionali"».

Il governo rileva che «la specifica disciplina dettata dalla l.r. Sardegna in esame, consentendo una deroga generica alle vigenti disposizioni normative e regolamentari che disciplinano l'attività edilizia senza tener conto dei vincoli paesaggistici, si pone in contrasto con i principi di tutela dei beni paesaggistici contenuti nel Codice dei beni culturali e del paesaggio e nelle disposizioni di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali ad essa collegate ed, in tal modo, viola l'articolo 9 e l'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione di cui dette disposizioni costituiscono diretta attuazione».

Oltre a censurare alcuni aspetti di natura urbanistica della versione sarda del “piano-casa” il documento censura altri provvedimenti della giunta Cappellacci con i quali si proseguiva e completava l’aggressione alle precedenti norme di tutela paesaggistica. Tra questi, il provvedimento con il quale si consentiva il consolidamento permanente di strutture mobili temporanee, e la famigerata legge per lo sviluppo dei campi da golf. Quest’ultima legge – se l’impugnativa del Consiglio dei ministri non venisse accolta - permetterebbe alla giunta regionale di « adeguare il Piano paesaggistico regionale consentendo la realizzazione nella fascia costiera, entro la fascia di 1.000 metri dalla linea di battigia (500 metri per le isole minori) di nuove strutture residenziali e ricettive connesse ai campi da golf»!

Riportiamo di seguito il testo integrale del documento del Consiglio dei ministri.

Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico. (21-11-2011). Regione: Sardegna- Estremi: legge n.21 del 21-11-2011- Bur: n. 35 del 29-11-2011- Settore: Politiche infrastrutturali- Delibera C.d.M. del: 20-01-2012 / Impugnativa

Motivi dell'impugnativa: La legge regionale in esame, recante " Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico", presenta diversi profili di illegittimità costituzionale. Si premette che la Regione Sardegna ha potestà legislativa di tipo primario in materia di urbanistica ed edilizia, ai sensi dell'articolo 3 , comma 1, lettera f) dello Statuto speciale di autonomia, l. cost. n.3/1948. La regione è altresì titolare di competenza esclusiva in materia di «piani territoriali paesistici», in base all'articolo 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, di approvazione delle Nuove norme di attuazione dello Statuto, emanato con l. cost. 26 febbraio 1948, n. 3. Ciò premesso occorre tuttavia precisare che le potestà esclusive regionali incontrano, oltre ai limiti generali previsti dagli stessi Statuti, il limite del rispetto delle disposizioni statali costituenti norme fondamentali di riforma economico-sociale.

In particolare, l'articolo 3 del citato d.P.R. n. 480 del 1975, nel prevedere le materie attribuite alla potestà legislativa regionale della Sardegna, richiama il rispetto dei «principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica». Questo principio si evince dalle eseguenti pronunce della Consulta: - Corte Costituzionale sentenza n. 51 del 2006 nella quale, proprio con riferimento alla Regione Sardegna, la Corte ha chiarito che il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come "riforme economico-sociali": e ciò anche sulla base del titolo di competenza legislativa nella materia "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali; con la conseguenza che le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia "edilizia ed urbanistica" (v. anche sentenza n. 536 del 2002); - Corte Costituzionale sentenza n. 164 del 2009 che ha accolto il ricorso in via d'azione dello Stato avverso una legge della Regione autonoma della Valle d'Aosta in materia di tutela paesaggistica ricordando che la potestà normativa della Regione autonoma deve esercitarsi «in armonia con la Costituzione e con i principi dell'ordinamento, nonché delle norme fondamentali e di riforma economico-sociale» e qualificando norme «di grande riforma economico-sociale» le disposizioni della c.d. legge "Galasso" e l'elenco delle aree tutelate per legge contenuto nell'odierno art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Ciò premesso, sono censurabili, in particolare le seguenti norme regionali :

- 1 L'articolo 7, comma 1, lettera f), della legge regionale in esame, prevede che gli interventi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 6 della presente legge sono realizzati non solo "in deroga alle previsioni dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici comunali vigenti", ma in deroga anche "alle vigenti disposizioni normative regionali". Tale generica previsione è suscettibile di essere interpretata in un'accezione ampia, tale da ricomprendervi anche normative che afferiscono ad ambiti di legislazione esclusiva statale , risultando pertanto censurabile sotto diversi profili di seguito specificati : - 1.1 Si ha, in primo luogo, una incostituzionale riduzione della tutela paesaggistica, agli effetti della realizzazione del "piano casa", allo stesso livello degli strumenti urbanistici ed edilizi, ciò che si pone in diretto contrasto con la norma di grande riforma economico-sociale posta dall'art. 5 del decreto legge n. 70 del 2011 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2011), che ha posto i principi fondamentali sui così detti "piani ? casa" (legge nazionale quadro per la riqualificazione incentivata delle aree urbane), chiarendo, senza ombra di dubbio, che resta fermo il rispetto delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio (in linea, del resto, con i contenuti dell'intesa sancita in sede di Conferenza Stato Regioni in data 1 aprile 2009, che fissava gli ambiti e i limiti di intervento generali dei piani casa regionali, salvaguardando le reciproche competenze dello Stato e delle regioni negli ambiti della salvaguardia della tutela ambientale e dell'urbanistica). La specifica disciplina dettata dalla l.r. Sardegna in esame, consentendo una deroga generica alle vigenti disposizioni normative e regolamentari che disciplinano l'attività edilizia senza tener conto dei vincoli paesaggistici, si pone in contrasto con i principi di tutela dei beni paesaggistici contenuti nel Codice dei beni culturali e del paesaggio e nelle disposizioni di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali ad essa collegate ed, in tal modo, viola l'articolo 9 e l'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione di cui dette disposizioni costituiscono diretta attuazione.

- 1.2 La norma, inoltre, contrasta con i principi dell'ordinamento civile laddove nell'autorizzare genericamente interventi edilizi in deroga omette di richiamare il rispetto del decreto ministeriale n. 1444/1968 che contiene disposizioni in materia di distanze e altezze degli edifici. Al riguardo si fa rilevare che la giurisprudenza ha sempre ritenuto che gli artt. 8 e 9 del predetto decreto ministeriale in tema di distanze tra edifici per la sua genesi (è stata adottato ex art. 41-quinquies, comma 8, della legge 17.08.1942 n. 1150) e per la sua funzione igienico-sanitaria (evitare intercapedini malsane mediante la fissazione di valori minimi inderogabili), costituisce un principio inderogabile della materia (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, sentenze 7731/2010 e n. 4374/2011), anche per le Regioni e province autonome che, in base agili statuti di autonomia, siano titolari di competenza esclusiva nella materia urbanistica. La stessa Corte Costituzionale, sin dalla sentenza n. 120 del 1996, ha precisato che "la predetta norma sulle distanze tra edifici, deve considerarsi integrativa di quelle previste dal codice civile (art. 873 cod. civ. e segg.)" e che "le disposizioni sulle distanze fra costruzioni sono giustificate dal fatto di essere preordinate, non solo alla tutela degli interessi dei due frontisti ma, in una più ampia visione, anche al rispetto di una serie di esigenze generali, tra cui i bisogni di salute pubblica, sicurezza, vie di comunicazione e buona gestione del territorio. Si tratta, quindi, di una normativa che prevale sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (cfr. anche Corte Costituzionale 16 giugno 2005, n. 232). La Corte costituzionale, poi, con sentenza n. 232/2005, ha avuto modo di affermare che le normative locali (regionali o comunali) possono prevedere distanze inferiori alla misura minima di cui all'art. 9 del D.M 1444/1968, tuttavia entro precisi limiti: l'introduzione di deroghe è consentita solo nell'ambito della pianificazione urbanistica, come nell'ipotesi espressamente prevista dall'art. 9 comma 3 del DM 1444/1968, che riguarda edifici tra loro omogenei perché inseriti in un piano particolareggiato o in un piano di lottizzazione. Sulla scorta delle suesposte argomentazioni si ritiene che l'articolo 7, comma 1 lettera f), della legge regionale in esame, laddove non prevede la salvezza anche delle disposizioni in materia di altezze e distanze di cui al citato decreto ministeriale n. 1444/1968, contrasti con l'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione che riserva alla competenza esclusiva statale la materia dell'ordinamento civile.

- 1.3 Infine, lo stesso art. 7, comma 1, lettera f), consente che gli interventi edilizi sopra indicati siano realizzabili senza fare salve le misure di controllo dell'urbanizzazione stabilite dalla normativa in materia di rischi di incidenti rilevanti e pertanto si pone in contrasto con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, recante attuazione della direttiva 96/82/CE (Seveso). Al riguardo si osserva che il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e s.m.i., recante attuazione della direttiva 96/82/CE (c.d. direttiva Seveso), relativa al controllo dei rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, detta disposizioni vincolanti in materia di assetto del territorio e controllo dell'urbanizzazione. A tal fine il D.M. 9 maggio 2001, che stabilisce i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante, prevede che le autorità responsabili della gestione del territorio recepiscono negli strumenti di regolamentazione territoriale ed urbanistica e negli atti autorizzativi dell'attività edilizia, nelle aree interessate dagli effetti degli scenari incidentali ipotizzabili in relazione alla presenza di stabilimenti a rischio di incidente rilevante, le informazioni fornite dai gestori sulle aree di danno e le valutazioni di compatibilità degli interventi fornite dall'autorità tecnica competente. La suesposta normativa statale è, pertanto, inderogabile e trova fondamento nella disciplina recata dalla direttiva 96/82/CE, ed in particolare nell'art. 12 della stessa direttiva che stabilisce misure in materia di controllo dell'urbanizzazione. Sulla scorta delle suesposte argomentazioni si ritiene che la norma in esame viola l'art. 117, comma 1, della Costituzione nella misura in cui contrasta con la normativa comunitaria e l'art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione nella misura in cui dispone in modo difforme dalla normativa nazionale di riferimento afferente alla materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» in cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva.

- 2 L'articolo 18 prevede che, dopo la prima applicazione (fase nella quale si applica il d.P.R. n. 139 del 2010), la Giunta regionale possa individuare ulteriori forme di semplificazione del procedimento di autorizzazione paesaggistica in conformità ai principi contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010. La norma, così disponendo, riconosce alla regione una potestà legislativa che appartiene in via esclusiva alla Stato e, pertanto, viola l'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione che riserva al legislatore statale la materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema».

- 3 L'articolo 20 introduce modifiche alla legge regionale n. 22 del 1984 ("Norme per la classificazione delle aziende ricettive"). La nuova formulazione dell'articolo 4-bis, prevede che «nelle aziende ricettive all'area aperta regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività autorizzata gli allestimenti mobili di pernottamento, quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case mobili e pertinenze ed accessori funzionali all'esercizio dell'attività sono diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee e, anche se collocati in via continuativa, non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici.». Sul punto si fa rilevare che non spetta alla normativa regionale qualificare alcuni interventi come paesaggisticamente irrilevanti, ampliando la previsione dell'articolo 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Sul piano concreto, l'estensione dell'ambito degli interventi qualificati come paesaggisticamente irrilevanti, contenuta nella nuova formulazione dell'articolo 4-bis (la precedente si limitava agli "allestimenti mobili di pernottamento"), pone seri problemi di impatto paesaggistico. Infatti, occorre considerare che: - per "aziende ricettive" si intendono villaggi turistici e campeggi e, quindi, la previsione riguarda aree assai importanti dal punto di vista paesaggistico; - la definizione delle «case mobili» è incerta, e rischia di costituire motivo di elusione dell'intera disciplina di tutela del territorio, comportando la disapplicazione delle regole di edificazione stabilite nella legge e negli strumenti di pianificazione; tanto più che la disposizione in questione vanifica la necessaria sussistenza delle caratteristiche tecniche individuate quali indici di precarietà e temporaneità (esistenza dei "meccanismi di rotazione" in funzione, "rimovibilità degli allacciamenti alle reti tecnologiche"), poiché qualifica detti interventi come comunque «diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee» anche e nonostante questi risultino « collocati in via continuativa». - sicuramente, tra le «pertinenze ed accessori funzionali all'esercizio dell'attività» ricettiva, potrebbero rientrare strutture edificatorie (ad esempio, quelle dei servizi e degli spazi comuni dei villaggi vacanze) di grande dimensione e di grande impatto paesaggistico, che altrimenti dovrebbero indubbiamente essere sottoposte ad una piena valutazione di compatibilità paesaggistica (oltre che di compatibilità urbanistico-edilizia).

Si aggiunga che interventi del tutto analoghi, se non sostanzialmente coincidenti con quelli che la l.r. n. 21 del 2011 intende "liberalizzare", sono compresi tra quelli soggetti al procedimento di autorizzazione paesaggistica, seppure in forma semplificata, dal d.P.R. n. 139 del 2010, attuativo della previsione dell'articolo 146, comma 9, del Codice (vedi, tipologie di cui al n. 38 e, soprattutto, al n. 39, dell'Allegato) e che il Piano Paesaggistico Regionale, all'articolo 20, comma 1, lettera b), n. 3 ("Fascia costiera"), detta una disciplina di tutela che esclude la realizzazione di detti interventi. Appare dunque evidente, anche in questo caso, l'irragionevolezza della disposizione regionale ed il contrasto con le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Si segnala che una analoga questione è stata già esaminata e accolta dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 235 del 19 luglio 2011 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 2 della legge della Regione Campania 25 ottobre 2010, n. 11, nella parte in cui, nel disciplinare le strutture turistiche presso gli stabilimenti balneari, prevedendo, tra l'altro, «la permanenza delle istallazioni e delle strutture, realizzate per l'uso balneare, per l'intero anno solare», detta norme difformi dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, con particolare riguardo alla pianificazione paesaggistica e al regime dell'autorizzazione paesaggistica. "La normativa censurata ? ha osservato la Corte - prevede sia deroghe alla pianificazione paesaggistica, sia apposite procedure di autorizzazione paesaggistica. Vi è, quindi, una invasione nella competenza legislativa statale, in quanto le disposizioni impugnate intervengono in materia di tutela del paesaggio, ambito riservato alla potestà legislativa dello Stato, e sono in contrasto con quanto previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004 (da ultimo, sentenze n. 101 del 2010 e n. 272 del 2009)". Sulla scorte delle suesposte argomentazioni si ritiene che la norma in esame contrasti con gli articoli 9 e dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. - 4.

L'articolo 23, commi 6 e 7, della l.r. n. 21 del 2011, sostituendo l'articolo 5, commi 4 e 5, della l.r. n. 19 del 2011, ha previsto che la Giunta regionale sia autorizzata ad adeguare il Piano paesaggistico regionale consentendo la realizzazione nella fascia costiera, entro la fascia di 1.000 metri dalla linea di battigia (500 metri per le isole minori) di nuove strutture residenziali e ricettive connesse ai campi da golf e disponendo che per tali finalità si applica la procedura di cui all'articolo 11 della legge regionale 23 ottobre 1009, n. 4 che si conclude con una deliberazione della Giunta. Questa procedura, non prevedendo alcuna partecipazione dell'Amministrazione statale, viola l'articolo 143 del Codice per i beni culturali ed il paesaggio che, stabilendo l'intesa e l'accordo tra Stato e Regione anche per la revisione dei piani paesaggistici, ribadisce il principio della pianificazione congiunta e costituisce elemento cardine del sistema di tutela del paesaggio, assicurato dal Codice stesso in diretta attuazione del principio fondamentale espresso dall'articolo 9, secondo comma, della Costituzione .

Pertanto, la disposizione in esame presenta profili di incostituzionalità, in quanto eccede dalle competenze statutarie di cui all'articolo 3 dello statuto speciale di autonomia della Regione Sardegna di cui alla legge costituzionale n. 3 del 1948 contrastando con gli articoli 117, comma 2 lettera s), e con l'art. 118, terzo comma, Cost., che rimanda alla legge statale la disciplina delle "forme di intesa e di coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali" Per questi motivi le sopra evidenziate norme regionali devono essere impugnate di fronte alla Corte Costituzionale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.

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