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Marvi Maggio
Beni collettivi comuni e demani civici. Fermare la vendita
14 Settembre 2006
In giro per l'Italia
La speranza è che si riesca ancora ad arrestare una decisione della Regione Toscana contradditoria con la sua storia e le sue dichiarate intenzioni. Un intervento per eddyburg da Firenze, 13 settembre 2006

“…Accumulazione capitalista da espropriazione è espropriare qualcuno dei suoi beni o dei suoi diritti. Tradizionalmente ci sono stati diritti che erano proprietà comune e uno dei modi in cui vengono espropriati questi diritti è attraverso la privatizzazione…” (David Harvey)

La legge sul governo del territorio della Regione Toscana (LR1/2005) afferma nel primo articolo al Capo I principi generali, che lo svolgimento delle attività pubbliche e private che incidono sul territorio e “l’utilizzazione delle risorse territoriali ed ambientali deve avvenire garantendo la salvaguardia e il mantenimento dei beni comuni e l’uguaglianza di diritti all’uso e al godimento dei beni comuni, nel rispetto delle esigenze legate alla migliore qualità della vita delle generazioni presenti e future”.

Viene quindi da chiedersi come pensa la Regione Toscana di garantire salvaguardia, mantenimento, uguaglianza all’uso e godimento dei beni comuni, in un regime di proprietà privata che da sempre ostacola ogni forma di pianificazione territoriale e urbana, che non sia succube della logica immobiliare, e limita la fruizione della maggior parte dei cittadini. Ma qui vogliamo trattare non del tema di rendere collettivo quello che è privato ma di fermare chi vuole privatizzare quello che è bene comune.

Infatti la proprietà privata dei suoli, da sempre grosso limite alla libertà (dei non immobiliaristi) nella fruizione del territorio, è stata attutita dal fatto che le amministrazione pubbliche ai vari livelli hanno ereditato dalla storia e talvolta hanno contribuito a mantenere un patrimonio pubblico di immobili sia nella aree urbane che nelle aree agricole forestali. Queste ultime molto cospicue in Toscana.

Ora avviene che la Giunta Regionale con la Decisione n.3 del 29/5/2006 “LR 27/12/2004 n.77 Demanio e Patrimonio Regione Toscana. Adozione schema di deliberazione della Giunta Regionale recante approvazione degli elenchi di cui all’articolo 20 della LR 77/2004 per l’invio preventivo al Consiglio Regionale previsto dalla LR 77/2004” abbia proposto una delibera che contiene un elenco di numerosi immobili da alienare con allarmanti motivazioni:“beni allegato D che si intende alienare in quanto non più necessari alle esigenze organizzative dell’ente, né strumentali ai fini dell’attività, né capaci di produrre conveniente reddito”. Che solo ciò che produce reddito abbia valore costituisce una affermazione di una gravità inaudita, che presuppone uno scadimento culturale e sociale che non verrà mai abbastanza denunciato. Da rilevare che non è la prima volta che la Regione agisce in questo modo e altre vendite simili sono già avvenute negli anni passati.

Si tratta di due elenchi. Il primo contiene ben 52 beni localizzati in tutte le province, molti dei quali sono alloggi. Fra di essi anche quelli dove si trova la “sede delle Regione Toscana da trasferire, di via Gustavo Modena 13/1 R”. Trasferimento previsto probabilmente in relazione al grosso affare Ligresti Fondiaria a Castello, in cui la Regione è riuscita a farsi fare un prezzo delle aree aumentato in base alla valorizzazione dovuta alla propria scelta di localizzazione dei propri uffici in un’area con gravi problemi idro –geo-morfologici, detto in modo più semplice è un’area esondabile e soggetta a subsidenza (vi ricordate i lavori al vicino aeroporto Vespucci di questa estate?). Una cosa è certa, anche senza ricorrere a dietrologia, appare chiaro e incontrovertibile che gli interessi collettivi non li sanno fare. Vista la carenza di abitazioni con prezzi “calmierati” perché non utilizzarle per questo? Spesso derivano da donazioni di persone che erano convinte di dare i propri beni perché fossero a beneficio di tutti e non perché finissero nel buco senza fondo di una privatizzazione di tutto quanto è pubblico.

Ma c’è anche il secondo elenco, l’allegato D paf (patrimonio agricolo forestale) e qui si tratta dell’alienazione di centinaia di appezzamenti agricoli, la gran parte dei quali appartenenti al demanio civico inalienabili, in quanto da sempre beni collettivi, aree che devono continuare ad esistere al di fuori dalla devastante e ignorante logica di “produrre reddito”. Anche per la loro importanza strutturale e funzionale dal punto di vista delle relazioni ecologiche, della biodiversità, della tutela delle acque, dei boschi, del suolo. Non tutte le attività producono reddito. Anzi, alcune come quelle culturali o ambientali vengono sminuite e distrutte dal reddito.

Ogni risorsa collettiva (bene comune) va conservata, protetta, consentendo gli usi che ne garantiscono la riproduzione e impedendo quelli che le distruggerebbero. Niente va venduto e privatizzato.

Se la proprietà pubblica ha garantito che nessuno realizzasse i soliti interventi distruttivi e degradanti ed escludenti, cosa capiterà se questi immobili (terre ed edifici)verranno venduti? Ci diranno che i proprietari hanno il diritto di costruire sempre e comunque? Quanti degli immobili a Firenze e in altre parti del territorio toscano rischiano di diventare l’ennesimo albergo? Quante colline e pianure ancora dovranno essere devastate da inutili e scadenti (ma molto redditizie) lottizzazioni? Quante aree agricole saranno ancora trasformate in campi da golf? Quante coste in porticcioli turistici o sedi di pericolosi e incoerenti impianti di rigassificazione offshore? Anche le coste e il mare che sono area demaniale rischiano la privatizzazione. Sarebbe questa l’eccellenza di cui parla la Regione? Il governo del territorio, deve garantire e incrementare il mantenimento dei beni comuni non come astrazione ma come concreta realtà. Sono aree necessarie anche ai fini della manutenzione del territorio, dei suoli e del sistema insediativo, della conservazione dinamica degli ecosistemi naturali e seminaturali, della tutela e dell’ incremento della biodiversità.

Come afferma Fabrizio Bertini del “Coordinamento dei comitati tosco liguri per la difesa dell’ambiente”: “Il regime della proprietà privata e i processi di espropriazione delle proprietà collettive, dei diritti di uso civico, dei beni in proprietà delle comunità locali, hanno avviato e accompagnato il passaggio – quasi sempre violento - da forme di produzione con al centro le esigenze primarie delle popolazioni insediate a forme di produzione con al centro le logiche del mercato e il profitto della classe dei proprietari privati. Questo è ciò che è sempre accaduto nella storia del capitalismo: dalle prime forme di accumulazione originaria alla attuale globalizzazione neoliberista”.

La Giunta Regionale Toscana, su proposta dell’assessore Bertolucci, (PCdI) ha approvato tutto il piano di vendita il 4 settembre con Delibera (DGR n.612 del 4/9/2006) “considerato che è decorso il termine ... e non sono state presentate osservazioni o proposte da parte del Consiglio Regionale " ai sensi della legge regionale 77/2004. Infatti questa legge prevede che "La proposta di deliberazione di cui al comma 1 è preventivamente inviata al Consiglio regionale. Nel termine di sessanta giorni dal ricevimento, il Consiglio regionale trasmette alla Giunta eventuali osservazioni e proposte".

Quindi, nonostante le sollecitazioni ricevute, nessuno in Consiglio regionale si è opposto (almeno per il momento) a questa ennesima alienazione di patrimonio pubblico.

Marvi Maggio (dell'International Network for Urban Research and Action)

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