Cronaca e commenti sulla Leopolda di Sandra Bonfanti (la Commissione potrebbe sevire se...) e Alessandro Robecchi (il rito renziano). Il Fatto Quotidiano, 16 dicembre 2015 (m.p.r.)
BANCHE,
PERCHÉ SERVE LA COMMISSIONE
di Sandra Bonfanti
Sono d’accordo con tutto quello che ha scritto Roberto Saviano. Sono convinta che questo governo sia nel mezzo di un conflitto di interessi grande come il buco che si è inghiottito i risparmiatori beffati. Sono anche sconvolta da quell’atteggiamento di sfida, quell’aria di serena attesa del futuro, quell’arroganza del potere, quell’attacco alla libera informazione che abbiamo visto regnare all’interno della Leopolda. E sono sconvolta infine dagli applausi che hanno accompagnato ogni riferimento al potere conquistato. Fuori aspettavano di potersi avvicinare. Con i loro tristi cartelli, in mezzo al traffico di auto e bus, nell’aria irrespirabile di una delle città più inquinate, i truffati dalle banche. In tutti i sensi.
Le mozioni di sfiducia riusciranno a qualcosa? Di solito i ministri colpiti ne escono vincitori. Ma questa volta è diverso. È diverso anche perché quella risposta del premier «faremo una commissione d’inchiesta» è a dir poco patetica. Ricordo ancora Bettino Craxi presidente del Consiglio che usciva da un incontro con Sandro Pertini durante uno dei molti scandali che già allora assediavano la Repubblica. Passò tra noi giornalisti e disse quella frase rimasta celebre: «Tanto quando non si vuole arrivare a niente si fa una commissione d’inchiesta» e se ne andò col sorriso di chi la sa lunga. Non è proprio così.
Una commissione servirebbe sì se fosse seria. Ma nella storia politica italiana ce ne sono state poche. Alla fine sono sempre prevalsi gli interessi politici sulla verità, all’insegna di un “salviamoci tutti”, “noi vi salviamo i vostri e voi salvate i nostri”. Non succederebbe così anche oggi? Se fosse seria la commissione d’inchiesta si proporrebbe non solo di sapere come sono andate le cose nelle quattro banche, non solo di certificare se e semmai chi ha guadagnato con operazioni del tipo di insider training (di quelle che negli Usa, ad esempio, prevedono pene da mettere i brividi) non solo se e quanti conflitti di interesse si sono aggirati nei mesi del governo Renzi, ma, se fosse seria la commissione d’inchiesta farebbe luce sul lato oscuro della vicenda, cioè sulle voci che da tempo indicano in questa ed altre banche una concentrazione massonica insidiata soltanto da Cl e Opus Dei.
È vero o non è vero? È vero che in Toscana tutto è così. È vero che anche Verdini rientra in questa categoria? È vero che anche il Monte dei Paschi è una storia di questo tipo? E via dicendo. Ecco: se funzionasse, la commissione su Banca Etruria e le altre, bisognerebbe che facesse luce una volta per tutte. È verosimile, questo? Penso di no, a meno che la pressione dei cittadini ingannati non faccia il miracolo. A meno che la si smetta di sghignazzare e si cominci a capire che la vita è qualcosa di più serio di un gioco di ragazzi, anche se sono quelli della Leopolda.
Nella relazione finale della commissione Anselmi si legge: «A completare il quadro concorrevano inoltre, i contatti emergenti con esponenti di numerose banche pubbliche e private per alcune delle quali le presenze (nella loggia P2, ndr) erano particolarmente significative per qualità e rappresentatività, come per la Banca Nazionale del Lavoro (quattro membri del consiglio di amministrazione, il direttore generale, tre direttori centrali di cui uno segretario del Consiglio), il Monte dei Paschi di Siena (il Provveditore), la Banca Toscana (il direttore centrale), l’Istituto centrale delle casse rurali e artigiane (il presidente e il direttore generale), l’Interbanca (il presidente e due membri del Consiglio), il Banco di Roma (due amministratori delegati e due membri del consiglio di amministrazione). Infine: il Banco Ambrosiano col presidente e un membro del consiglio di amministrazione. Soltanto il Monte aveva fatto in seguito una inchiesta che mise in luce “casi di trattamento di favore»: Allora…
Si può fare nell’Italia di oggi una inchiesta seria sulle banche? Sarebbe la miglior risposta... ma Bettino Craxi docet, ancora. La generazione Leopolda sorride, ci sarebbe da vergognarsi.
“PANETTONE O PANDORO?”
IL “MOOD” DEL “QUESTION TIME” STILE LEOPOLDA
di Alessandro Robecchi
Ho perso il treno per Firenze e non me lo perdonerò mai. Avrei potuto essere tra quei giovani virgulti chiamati a fare le domande ai ministri del governo, nello showroom delle idee di Matteo Renzi. Per esempio, adeguandomi al clima di aspro confronto, avrei potuto chiedere alla ministra Boschi: «Parliamo un po’ di suo padre. Alla mattina, caffelatte o ginseng». Bisogna avere coraggio quando si fanno domande ai potenti. Matteo Renzi lo aveva detto: «I ministri saranno interrogati dai partecipanti alla Leopolda in un modo innovativo e divertente», e in effetti ci siamo divertiti.
Abbiamo in action quello che si vorrebbe dalla libera stampa. Niente che non si fosse già sentito nelle polemiche sui cattivi talk show o nelle solite lamentazioni contro “i giornali” (e questo in particolare), ma insomma, vedere così plasticamente rappresentato il sogno del «giornalismo di rinnovamento» (copyright Marianna Madia) è stato istruttivo. Ecco, avrei voluto essere lì, adeguarmi, entrare nel mood lepoldo: «Caro ministro dei Trasporti, e del cambio Shimano che mi dice? Lei ce l’ha sulla bicicletta?». Nei casi estremi, tipo con il ministro Poletti, mi sarei limitato, come fanno i professori umani, a dire: «Mi dica un tema a sua scelta», certo che quello si sarebbe incasinato da solo.
Per farla breve: esiste una linea invisibile superata la quale la propaganda diventa autocaricatura, spesso è una linea sottile, difficile da individuare, ma va dato atto agli strateghi renzisti di aver superato quel confine di alcuni chilometri. Alla Leopolda mancava la piramide di Panseca, quella che rese monumentali (e poi monumentalmente ridicoli) i tronfi trionfi craxiani. Ma il resto c’era tutto, compresa la lezione di question time come lo desidererebbe qualunque potente sulla terra: “Compagno Stalin, ci conferma che nei gulag si mangia benissimo?”.
Ora, su tutto questo si può fare satira e umorismo, ma come restare indifferenti alle vicende umane? Come non provare un moto di tenerezza per quei giovani chiamati ad agevolare le passerelle ministeriali con il loro umile lavoro di comparse? Uno si può immaginare l’angoscia della vigilia, la febbrile compilazione delle domande, i mille dubbi: non avrò osato troppo? Non sembrerò scomodo e importuno? “Ministra Giannini, come si può rendere magnifica la già meravigliosa riforma della scuola, forse con dei lapislazzuli? ”. Beh, mi pare una domanda equilibrata … Ecco, siccome l’esempio vale più di mille discorsi, ci hanno fatto proprio l’esempio, ci hanno mostrato come si fa. Presentarsi con il nome di battesimo, essere informali, dare del tu al ministro. E poi trafiggerlo con argomenti inoppugnabili e domande che non lasciano scampo: “Panettone o pandoro?”. Ma forse la commedia dell’arte leopolda non era per tutti e alcune cose erano, diciamo così, a uso interno, come quelle campagne pubblicitarie che tendono a fidelizzare il cliente.
Se le precedenti Leopolde dovevano far conoscere il prodotto, questa qui appena conclusa aveva un altro scopo: convincere i clienti a non andarsene, giurare che il prodotto funziona, stimolare il consumatore. E per fare quello, motivare i venditori. E in più ancora, mostrare che ci sono nuove leve di venditori che premono, che si fanno notare, che incalzano con severità e spirito battagliero: “Ministro, cosa si prova a cambiare il paese?”. Brivido. Se è questo che volevano, i grandi comunicatori, ci sono riusciti in pieno: la chiesa di Renzology ne esce perfettamente rappresentata, i suoi sacerdoti sono stati interrogati da adepti intimoriti, il Ron Hubbard di Rignano ha scritto un altro capitolo e indicato nuovi nemici: i giornali cattivi che durante la messa – maledetti – scrivevano di banche.