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Vezio De Lucia
Bagnoli negata
10 Ottobre 2014
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Il contributo di Vezio De Lucia all'aureo libretto curato da Tomaso Montanari e Sergio Staino ed edito da Altraeconomia, dal titolo ormai noto

Rottama Italia. 16 testi d'autore, 13 vignette d'artista

Giusto venti anni fa, nell’estate del 1994, il nuovo sindaco di Napoli Antonio Bassolino ed io — che ero assessore all’urbanistica — presentammo un documento d’indirizzi che, tra l’altro, disegnava la strategia per il recupero delle aree di Bagnoli dove pochi mesi prima erano stati spenti gli altiforni e si era conclusa l’attività dell’Italsider. Il documento proponeva di utilizzare l’area dismessa per dotare la città, almeno in parte, degli spazi e delle funzioni che le erano stati negati dal criminale sviluppo edilizio del dopoguerra: in primo luogo una grande spiaggia liberata dai ogni manufatto e un gran parco pubblico, circa 120 ettari (che si propose di intestare ad Antonio Cederna). E poi attività ricettive, per il tempo libero e lo studio, e tre fermate di un nuovo tracciato della ferrovia Cumana che avrebbero reso Bagnoli accessibile da ogni angolo della città e dell’hinterland. Gli indirizzi urbanistici furono salutati molto favorevolmente dalla stampa nazionale e da molti giornali stranieri. Talvolta con entusiasmo. Contrari furono solo alcuni nostalgici della «vocazione industriale» di Bagnoli, anche se, allora come oggi, a Napoli e dintorni restano inutilizzati migliaia di ettari di vecchie e nuove aree destinate ad attività produttive.

Il progetto per il recupero di Bagnoli — luogo di antica e mitica bellezza, sotto le falesie di Posillipo, affacciato su Nisida e sulle isole del Golfo — fu in seguito perfezionato nel nuovo piano regolatore e nel piano attuativo che fecero seguito agli indirizzi del 1994. Ed è bene ricordare che, seppure fondate su previsioni a bassa densità e di minima nuova edificazione, fu anche autorevolmente verificata la redditività e la convenienza delle trasformazioni previste. Nel 1999 un vincolo di tutela del ministero dei Beni culturali, molto circostanziato (mirabilmente scritto da Antonio Iannello, uno dei fondatori dell’ambientalismo italiano), confermò, consacrandole, se così posso dire, le previsioni urbanistiche comunali. Ma intanto si era messo mano a un’estenuante e sconclusionata operazione di bonifica comandata dal ministero dell’Ambiente. Cominciò così ad appannarsi e poi, a mano a mano, a dissolversi il sogno della nuova Bagnoli. Fra ritardi nei finanziamenti, inettitudini e peggio, la bonifica non è mai finita. Altrettanto deplorevole la storia della Bagnolifutura, la società ad hoc formata dal comune che però ha operato come un corpo separato, in parte sinecura, in parte serpe in seno, fino al maggio scorso quando il tribunale di Napoli ne ha dichiarato il fallimento.

Diciamoci la verità, il progetto Bagnoli degli anni Novanta non è mai piaciuto a chi conta davvero a Napoli e in Italia, e cioè al mondo della finanza e degli interessi immobiliari. Il parco di oltre cento ettari, in una città nota in letteratura per la quasi totale assenza di verde pubblico, è stato considerato uno spreco e una follia: architetti da passeggio, economisti e giornalisti con il cervello intriso di cemento e di asfalto, e con essi la destra di ogni sfumatura, hanno fatto a gara per diffamare la nuova Bagnoli. Se n’è avuta prova nel 2003, quando Napoli si candidò a ospitare nel mare di Bagnoli la 32esima edizione dell’America’s Cup, dichiarandosi disponibile a ogni modifica del progetto. Per fortuna vinse Valencia. Alla fine, a far piazza pulita di una politica pasticciata e inconcludente, ma anche del sogno napoletano di un grande spazio pubblico sul mare, ci hanno pensato Matteo Renzi, Maurizio Lupi e gli altri autori del decreto Sblocca Italia il cui art.33 riguarda proprio la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana di Bagnoli e Coroglio. Gli interventi sono affidati a un Commissario straordinario del Governo e a un Soggetto Attuatore dotati di enormi poteri (che altri valuteranno dal punto di vista della legittimità). In particolare, all’incognito Soggetto Attuatore sono assegnate le aree della Bagnolifutura e le funzioni proprie del comune in materia di formazione dei progetti e di gestione degli interventi. Qui interessa mettere in chiaro che l’abbinamento di bonifica e rigenerazione urbana in capo al governo nazionale è subdolo, e tutt’altro che scontato. Perché il governo deve occuparsi di “opere di urbanizzazione primaria e secondaria” (comma 3 dell’art. 33), “di demolizione e ricostruzione e di nuova edificazione e mutamento di destinazione d’uso dei beni immobili comprensivi di eventuali premialità edificatorie”, nonché di “modelli privatistici consensuali” (comma 8)? Se l’obiettivo fosse stato, come sarebbe stato logico, di accelerare il completamento del progetto Bagnoli, il decreto doveva limitarsi a fissare precetti per mettere fine alla bonifica e agli interventi di trasformazione senza bisogno di un nuovo piano d’assetto, reso invece obbligatorio dal comma 3. Che il comune di Napoli disponga di un progetto urbanistico regolarmente approvato e vigente il decreto lo ignora, accredita anzi il convincimento che si sia all’anno zero e si debba cominciare daccapo. Determinando così le condizioni per una grande abbuffata, restituendo il comando agli energumeni del cemento armato – comunque vestiti – affossando per sempre le speranze dei napoletani.

La natura eversiva dell’operazione Bagnoli è confermata dalle procedure per l’approvazione dei programmi e dei progetti per la bonifica e la rigenerazione urbana (commi 9 e 10). Le decisioni sono accentrate nelle mani del presidente del Consiglio dei ministri e del presidente della regione Campania Stefano Caldoro – lampante ennesima dimostrazione della sant’alleanza Renzi Berlusconi – mentre è perfidamente escluso il sindaco di Napoli che, piaccia o non piaccia, è il garante dell’urbanistica cittadina. Anche qui, altri valuteranno la rispondenza delle norme alla Costituzione. Per quanto mi riguarda, non si tratta di difendere Luigi De Magistris, ora sospeso, o chiunque sia al suo posto, ma di chiedersi se e è democraticamente concepibile l’esclusione di un sindaco dalle decisioni riguardanti il futuro della città che lo ha eletto.

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