C'è chi spera ancora nel cambiamento di Matteo Renzi: scriveLaura Pennacchi nell'intervista a Massimo Franchi: «Dopo le europee Renzi aveva parlato della necessità di un piano keynesiano. Ora può benissimo farlo, invece di raccattare quattro spicci dai soliti noti. I referendum possono essere un primo passo».
Il manifesto, 20 agosto 2014
«Renzi dopo il successo alle europee parlò di piano keynesiano. Dobbiamo dargli credito, facendogli però notare tutte le incoerenze del suo agire. Con l’Europa invece bisogna proprio cambiare strada, le cose stanno andando così male e cambiando così in fretta che una svolta nel modello di sviluppo è tutt’altro che un’utopia e i referendum contro l’austerità possono essere il primo passo». Laura Pennacchi, responsabile del Forum economia della Cgil, sottosegretaria al Tesoro con Prodi, riflette con «ottimismo» sulle indiscrezioni sulla manovra che arriverà in contemporanea con la scadenza della raccolta delle 500mila firme per modificare le norme italiane su Fiscal compact e pareggio di bilancio.
Nei tanti piani che ad agosto si affibbiano al governo spunta un contributo di solidarietà per le pensioni più alte. Come lo giudica?
Potrebbe essere un’idea giusta se si applicasse l’indirizzo che suggerì la Corte quando dichiarò incostituzionali provvedimenti simili dei governi Berlusconi e Monti: il prelievo deve essere su tutti i redditi, non solo su quelli da pensione. Se si decidesse di chiedere un contributo di solidarietà progressivo che colpisse anche i redditi scandalosi dei manager pubblici e privati si potrebbe ottenere una cifra cospicua da utilizzare per ridurre la disuguaglianza, che vede il nostro Paese al secondo posto nell’indice internazionale che la misura, dietro solo agli Stati Uniti.
Il governo pare invece voler utilizzare i proventi delle sole pensioni e mira a colpire soprattutto coloro che hanno un assegno calcolato col metodo retributivo, ormai considerati da tutti dei privilegiati.
Indubbiamente c’è una differenza forte tra chi è andato in pensione col retributivo e chi ci va ora. Ma una misura del genere colpirebbe soprattutto i lavoratori autonomi che fino al 1990 pagavano solo il 10% dei contributi: il ricalcolo porterebbe a tagli stratosferici dei loro assegni. Per la finalità dei proventi del contributo di solidarietà invece io propendo per investimenti pubblici che creino lavoro, la vera emergenza. Quando presentammo i referendum alla Camera, un sondaggio condotto da Nicola Piepoli mostrò come il 70% degli italiani era disposto a un contributo di solidarietà da mille a 5 mila euro se fosse servito per dare lavoro ai giovani. Per questo dico che avendo un’ambizione quasi rivoluzionaria il governo dovrebbe percorrere questa strada e non raccattare quattro spicci dai soliti noti colpendo le pensioni medie.
Quale sarebbe una soglia accettabile per questo contributo?
I 90mila euro annui sono pari a 3.500 al mese, un livello accettabile per iniziare a discutere, soprattutto perché sarebbe un intervento progressivo che colpirebbe i più ricchi.
Lei crede che Matteo Renzi abbia la forza politica per portare avanti un piano del genere? Alfano non griderebbe alla “patrimoniale”?
Non si tratterebbe di una patrimoniale, ma di un contributo di solidarietà. La Corte costituzionale lo ha quasi auspicato nelle motivazioni della sentenza. Dopo il successo alle europee Renzi ha parlato di necessità di “un intervento keynesiano” e quindi penso che potrebbe benissimo farlo. Anzi, dobbiamo spronarlo. Contestandolo però duramente quando ad esempio non rilancia la politica industriale puntando solo sulle privatizzazioni.
In parallelo poi il governo pare trattare con la nuova Commissione europea margini sul rientro dal deficit. Potrà bastare per avere una Legge di stabilità non recessiva?
C’è ben altro da mettere in gioco con la Commissione rispetto alle piccole modifiche dei parametri. Ma le cose stanno andando così male — l’intera area Euro è in stagnazione con una crescita nel 2014 stimata sotto l’1% — e stanno cambiando così velocemente — anche la locomotiva Germania è in obiettiva difficoltà — che ci sono tutte le condizioni per mettere in soffitta il fallimento delle politiche ottuse e miopi di austerità e rilanciare l’intervento pubblico. Partendo, come hanno chiesto prima Visco e poi Draghi, dagli investimenti per l’occupazione: c’è un enorme liquidità che non si tramuta in investimenti. Un risultato che possono raggiungere solo le istituzioni pubbliche usando la leva pubblica. Serve una rivoluzione culturale e per questo i nostri referendum possono essere un punto di svolta, a partire dal raggiungimento delle 500mila firme entro settembre.
Sembra ottimista sul futuro economico del continente…
Dobbiamo essere ottimisti, la situazione è tale da darci possibilità infinite di cambiamento. Karl Polany era spietato nel descrivere i problemi del capitalismo, ma non meno speranzoso di poterlo cambiare.
A proposito di referendum: molti a sinistra hanno storto la bocca leggendo il nome di Mario Baldassarri, viceministro dell’Economia con Berlusconi, nel comitato promotore, o l’adesione di Fratelli d’Italia.
I referendum sono uno strumento largo per loro natura. Chiunque appoggi le idee alla base dei quesiti è il benvenuto in questa battaglia. Le bocche storte mi sembrano una pruderie tipica di una sinistra che coltiva una purezza sterile.