Riprendendo un tema che fu oggetto nel '33 di una celebre mostra e che negli ultimi anni è stato trascurato, la Triennale di Milano presenta l'esposizione «Casa per tutti» fino al 15 settembre. Abitazioni come abiti, capanne o capsule, per esistenze nel segno del nomadismo.
Con la mostra Casa per tutti, in corso fino al 15 settembre, la Triennale rende omaggio alla sua storia riprendendo il tema affrontato dalla famosa esposizione del '33, quando i più importanti progettisti italiani si confrontarono sperimentando tipologie di alloggio differenti. Dopo anni in cui le ricerche degli architetti si erano orientate altrove, verso gli spazi del mercato, con le architetture di Koolhaas per Prada o di Toyo Ito per Tod's, va riconosciuto ai curatori - gli storici dell'architettura Fulvio Irace e Carlos Sambricio insieme a Matteo Agnoletto, Silvia Berselli, Teresa Feraboli, Federico Ferrari, Gabriele Neri, Jeffrey Schnapp - il merito di aver riportato al centro del dibattito architettonico la casa e più in generale la questione dell'abitare.
In contemporanea, infatti, il sociologo Aldo Bonomi cura nella stessa sede la mostra La Vita nuda dove trovano spazio fra l'altro il progetto di sensibilizzazione sulle comunità rom che Stalker/Osservatorio nomade conduce da un decennio, gli esperimenti di co-housing sempre più frequenti nelle nostre città e infine la ricerca di multiplicity.lab sulla rete di cascine presenti nel territorio milanese da trasformare in residenze. E nel parco della Triennale sono installate le architetture per l'emergenza di Fuksas, Kengo Kuma, Cino Zucchi, Cruz Roja Peruana + IFRC, Piero Barbanti e Luca Tontini (vincitori del concorso indetto in concomitanza con la mostra), I-Beam Design, Alejandro Aravena e Andreas Wenning/Baumraum, mentre nell'atrio è collocata la Clothes House, architettura temporanea degli olandesi MVRDV, un monovolume costruito con i vestiti riciclati che si propone come riflessione etica sulla quantità di indumenti buttati via ogni giorno nel mondo.
Gli stessi MVRDV sono presenti anche nella sezione «macro-house» con il progetto Mirador Residences che, realizzato a Madrid nel 2005, riprende il tema della macrostruttura residenziale cara ai Metabolisti giapponesi. Qui la forma è generata dall'assemblaggio di singoli parallelepipedi trattati in maniera differente nel ritmo e nella forma delle finestre, nei colori e nelle scelte dei materiali ma anche nella tipologia abitativa: un gioco a incastri unitario ed efficace.
«Macro-house» è una delle sezioni in cui si articola Casa per tutti (le altre sono «casa abito», «casa leggera», «casa mobile», «case rapide», «capsule aggregabili», «cabanon», «emergenze e quotidianità», «sezione americana», in un allestimento, firmato da Cliostraat, che rischia a tratti di essere disomogeneo e prepotente) e propone un confronto interessante tra architetti noti, come appunto MVRDV, Steven Holl e Rem Koolhaas e altri meno conosciuti in ambito internazionale, come i tre progettisti italiani invitati alla rassegna: Stefano Mirti con la casa d'emergenza per immigrati, Dogma con la Stop City (una citazione della no-stop city teorizzata dagli Archizoom nel '69) e il gruppo di architetti romani altro_studio con l'unità di abitazione verticale per vacanze Sentina.
Ma all'interno dello spazio dedicato al «macro» sono presenti anche tre «architetture-città»: le Unités d'habitation di Marsiglia e Nantes di Le Corbusier (i cui straordinari disegni aprono il percorso tematico), il Corviale di Mario Fiorentino e il quartiere Ina-Casa Forte Quezzi realizzato da Luigi Carlo Daneri a Genova, esempio di re-interpretazione del Plan Obus lecorbusieriano. Un tema che si svilupperà poi negli anni Settanta con architetti come Paolo Soleri (assente giustificato dalla mostra avendo progettato macro-città e non residenze), i metabolisti giapponesi, i radicali Archigram, Hans Hollein, Superstudio.
Ma tornare a discutere sulla casa in Italia pone in evidenza soprattutto le questioni legate ai destinatari dei progetti: i giovani, gli immigrati, i lavoratori fuori sede, gli studenti, le neo-famiglie.
L'architetto viene così sollecitato a rioccuparsi dell'abitare come istanza etica nei confronti della società. E forse - suggerisce la mostra milanese - per raggiungere questo obiettivo occorre ripartire dalle case rapide realizzate con materiali prefabbricati, veloci da costruire e dai costi contenuti, secondo l'insegnamento del fabbro-architetto Jean Prouvé, di Marco Zanuso con la sua unità abitativa di emergenza Fiat-Anic e oltreoceano di Buckminster Fuller con le case fatte di materiali riciclati. A questo proposito, Casa per tutti dedica un posto di rilievo proprio al contesto statunitense, dove sono presentate alcune tra le ricerche più interessanti sulle residenze mobili: è questo il caso di Rocio Romero che commercializza i kit di case prefabbricate in alluminio con tanto di istruzioni d'uso, e dei container ripensati in forma di abitazioni da Jennifer Siegal/Design Mobile, mentre più tradizionale appare la ricerca di Marmol-Radziner con i suoi prefabbricati modulari. La prefabbricazione è uno dei temi affrontati anche dalla ricerca di altro_studio, da un decennio all'opera su questi temi, come dimostrano i progetti in mostra a Milano, dal prototipo in scala 1:1 Absolute box (una scatola di quindici metri quadri sostenuta da cavalletti di acciaio, dotata di bagno, zona giorno, sistema fotovoltaico e recipiente per un'autonomia idrica di tre giorni e un costo pari a quello di un'auto utilitaria) al plastico del modulo infinito di chiara ispirazione fulleriana.
Lo spazio che Casa per tutti dedica a questa ricerca rappresenta un riconoscimento importante, soprattutto tenendo conto di come spesso la critica italiana sia distratta nel valorizzare l'impegno professionale di architetti che lavorano su contenuti specifici. Ma al tempo stesso è la dimostrazione che ben di più l'esposizione della Triennale avrebbe potuto fare per fornire un quadro completo e stimolante della ricerca contemporanea sul tema dell'abitare.