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Roberto Ciccarelli
Artefici del proprio destino
21 Novembre 2015
Lavoro
Non è detto che in una società migliore il lavoro sia solo quello che il sistema capitalistico ha deciso di riconoscere (e retribuire) come tale. "Lavoro senza padroni" di Angelo Mastrandrea, (Baldini e Castoldi). «Come autorganizzarsi senza diventare "vite di scarto"».
Non è detto che in una società migliore il lavoro sia solo quello che il sistema capitalistico ha deciso di riconoscere (e retribuire) come tale. "Lavoro senza padroni" di Angelo Mastrandrea, (Baldini e Castoldi). «Come autorganizzarsi senza diventare "vite di scarto"».

Il manifesto, 21 novembre 2015

Angelo Mastrandrea racconta un sogno: lavorare senza padroni. Per un paio d’anni ha viaggiato in Grecia, Francia, Italia. Ha incontrato gli operai della Montefibre di Acerra, nel cuore della terra dei fuochi, e ha raccontato il sogno realizzato delle fabbriche recuperate. Ha raccontato le vicende drammatiche della tv pubblica greca Ert, chiusa dal governo Samaras, occupata e recuperata dai giornalisti e lavoratori come ai tempi delle radio libere in Italia. Ha tracciato il profilo della rete «Solidarity4all» che non si limita al mutuo soccorso in Grecia, ma sostiene la nascita di un modello cooperativo per ricostruire il lavoro perduto. La punta di diamante di questo movimento sono i lavoratori della Vio .Me.

Con lo stile del reporter classico, Mastrandrea si è mescolato con gli studenti del liceo sperimentale post-sessantottino di Saint-Nazare che dal 1981 autogestiscono la loro scuola. «Non mi pare che ci sia una gran differenza con gli operai che recuperano una fabbrica – annota – Entrambi vogliono realizzare un’antica aspirazione umana: l’autodeterminazione». I racconti della nuova stagione internazionale dell’autogestione e della creazione di un’economia cooperativa formano oggi un libro, (Baldini e Castoldi, pp.175, euro 15), e offrono un’intuizione.

Dall’Argentina al vecchio continente, la crisi delle multinazionali ha portato a drammatiche crisi occupazionali, ma anche a realizzare l’impensabile. Gli operai messi in cassa integrazione, disoccupati, non sono «vite di scarto», ma singoli capaci di elaborare complesse strategie morali, politiche e collettive. Da Roma a Buenos Aires, dalla Ri-Maflow a Trezzano sul Naviglio fino a Città del Messico, hanno elaborato un modello comune di workers economy, un’economia fondata sui lavoratori che si contrappone all’economia finanziaria che sta distruggendo il tessuto produttivo in Europa come altrove. La curiosità teorica porta Mastrandrea a ricongiungere le fila di un discorso politico che viene da lontano. Le origini della workers economy risalgono a una certa linea del socialismo del XIX secolo, sono riemerse nella teoria del Gramsci greco, l’althusseriano Nikos Poulantzas quando enunciò in Lo Stato, il potere, il socialismo una teoria di un socialismo articolato sul doppio potere: da un lato, la democrazia rappresentativa radicalmente rivista, dall’altro lato lo sviluppo di «forme di democrazia di base e di un movimento auto-gestionario» in grado di «evitare lo statualismo autoritario».

Quello dell’autogestione è un movimento che ha conosciuto diverse fasi, dagli anni Settanta a oggi, in Italia e nel resto d’Europa. Credibilmente, questa esperienza è alla base di una parte non trascurabile del percorso che ha dato vita a Syriza. Sarebbe, anzi, interessante raccontare cosa sta accadendo oggi in Grecia, dopo la drammatica capitolazione di Tsipras nell’Eurogruppo di luglio. Più in generale il problema riguarda il destino di questa «economia di transizione» a un nuovo, immaginoso, «socialismo»: quali sono i suoi strumenti per affrontare il potere e le sue tecniche di cattura amministrativa o giudiziaria? E poi, in che modo queste esperienze di auto-gestione si pongono rispetto ai progetti di rigenerazione dei luoghi in disuso (stazioni e fabbriche comprese) già in atto a Milano e in tutte le «smart city»? Non rischiano di essere riassorbite dal capitale neoliberale e dai suoi progetti di speculazione sulla condivisione nella «sharing economy»?

Lavoro senza padroni è in ogni caso un libro che recepisce la carica etica di uomini e donne di mezza età, di molti giovani, di reagire alla crisi e inventarsi un’altro modo di cooperare e di possedere. Mastrandrea immagina il passaggio dalla proprietà privata alla proprietà sociale. Dal suo racconto minuto delle difficoltà amministrative, commerciali, produttive affrontate da questo popolo di sperimentatori emerge una passione comune: l’entusiasmo.

«Questa è la principale molla emotiva. Un sentimento che deriva dall’idea di essere artefici del proprio destino, senza sentirsi pedine di un gioco nel quale non si decide nulla». Mastrandrea racconta la vita dei cittadini nel XXI secolo, capaci di reinventare un lavoro che non esiste più – quello della produzione fordista di massa – riconnettendosi con le passioni gioiose rimosse dalla società del rancore organizzato.

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