Una breve premessa
Quello che segue è, nel linguaggio chiaro e impietoso degli affari, un panorama del territorio italiano. Certo non ci racconta tutto, e qualcuno potrebbe trovarci anche piccole ingenuità e semplificazioni, ma una cosa è certa: si tratta di una “veduta a volo d’uccello”. Esattamente, quella del rapace. Che non è cattivo, ma fa solo il suo mestiere, volando alto, tenendo un punto di vista generale, e poi zac! giù in picchiata sul topolino di turno che saltellava felice e ignaro fra l’erbetta o il granturco.
Il lettore che ha già frequentato la sezione Megalopoli di Eddyburg ci troverà nominati e a volte anche brevemente descritti alcuni dei progetti di outlet o centro commerciale noti, altri nuovi ma probabili. Ma soprattutto è questa passeggiata nell’occhio del falco ad essere interessante, e leggermente inquietante pensando ai topolini che siamo e a quelli che spesso ci rappresentano: gli arditi sindaci di mille abitanti che trattano “alla pari” con questi giganti, magari dotati di apposito Soul Melting Program, per ammorbidire il cuore degli amministratori e aprire la deliberazione favorevole. Del resto, basta guardare certe foto sui giornali locali che festeggiano o discutono le prospettive ambiental-occupazionali del nuovo centro, per capire dall’aria beato-spaesata di sindaci e assessori che questo è proprio il caso.
Naturalmente questo non vuol dire opposizione dura e pura, sogni di un mondo di botteghe oscure, remote, aperte un paio d’ore al giorno, e con una scelta vicina allo zero. Significa solo, per esempio, interpretare in positivo la lettera (o meglio, le ragioni della lettera) che molti di noi hanno firmato tempo fa indirizzata a Paolo Flores d’Arcais, quando la questione territorio non sembrava trovare spazio particolare nel virtuale programma di governo del centrosinistra. Basta vedere come le comunità di tutti gli USA, con l’appoggio dell’Agenzia Federale all’Ambiente, hanno impostato le smart growth policies per la sostenibilità ambientale locale, per capire che le due cose si tengono: l’ambiente come categoria dello spirito, e il territorio fatto di spazio fisico e di regole per non distruggerlo, si incrociano anche e soprattutto controllando questo neofordismo commerciale. Giganti di paleotecnica distributiva, che replicano sul versante del consumo tutta la peggiore storia della grande industria ottocentesca, sostituendo le luci al neon alle ciminiere, e gli svincoli delle tangenziali agli scali ferroviari. Il tutto senza alcun motivo, salvo quello dell’inerzia di un fatalismo progettuale stupefacente, che non ha nulla da spartire con alcun ragionamento sensato (a meno che non si consideri sensata la generica aspettativa di produttività degli investimenti secondo canali irrinunciabili). Sembra che, “saturati” i territori nordamericani ed europei, questi avamposti del consumo territoriale e della città dispersa stiano letteralmente “calando” sulla penisola, come le sigarette dai paesi sviluppati in quelli meno sviluppati e meno ricchi di anticorpi culturali e sociali.
Faremo la fine del topolino, sotto la picchiata di questi grossi falchi (che non mangiano noi, ma grosse fette del nostro spazio), o sapremo trovare un modo di convivenza, magari soddisfacente per tutti? Mah!
È comunque triste che le reazioni visibili, sinora, siano soprattutto localistiche e spesso legate al corporativismo dei commercianti del centro. (fb)
Debra Hazel, L’Italia attira gli operatori internazionali dei centri commerciali, aprile 2004, Cover Story del sito International Council for Shopping Centers (traduzione di Fabrizio Bottini)
Sulla carta, quel centro commerciale “Campania” a Marcianise, appena fuori Napoli, sembrerebbe un classico mall europeo: copre circa 100.000 metri quadrati, ci saranno un supermercato carrefour a fare da anchor store, un cinema multisala e altri servizi. Ma, un centro del genere, abbastanza tipico in Gran Bretagna, Francia o Germania, è decisamente atipico per l’Italia.
Visto che in Italia non ci sono centri di dimensione sovraregionale, e che le grandi strutture commerciali di qualsiasi tipo sono difficili da realizzare in questo ambiente così regolamentato, il paese ha lasciato fuori sino ad ora, specialmente nel sud, questi mall “tipo”. E quindi quando l’operatore olandese Corio aprirà il suo centro Campania la prossima primavera, questo sarà un grosso passo nell’evoluzione dei centri commerciali italiani.
”In genere [la situazione non è] molto favorevole a questo sviluppo in Italia” dice Gino Antonacci, direttore delle attività immobiliari e gestionali della Corio Italia SRL di Milano, che opera attualmente su quattro centri, per complessivi circa settantamila metri quadrati di superficie commerciale. (la cugina olandese Corio, operatore di punta dei centri commerciali nel mercato nazionale, in Francia e Germania, è relativamente nuova in Italia) “È difficile ottenere i permessi”.
Corio, che ha acquisito il centro Campania lo scorso maggio da un altro operatore, possiede e gestisce il più grosso insediamento del Piemonte, Shopville Le Gru, un enclosed mall di circa 65.000 metri quadrati vicino a Torino. È piuttosto curioso che in Italia lo sviluppo dei centri commerciali stia in coda rispetto all’Europa, visto che la Galleria Vittorio Emanuele II, aperta nel 1877, è spesso citata come l’ispiratrice del mall “introverso” moderno. Il primo centro italiano di questo tipo, Cittàmercato, aprì a Brescia nel 1972. Ma al 1987 in tutta la penisola operavano solo 40 centri di superficie maggiore ai 5000 metri quadri, come ci dice il rapporto Italian Shopping Centers, elaborato dalla Cushman & Wakefield Healey & Baker di Londra nel 2002. Alla fine degli anni Ottanta, ci fu comunque una accelerazione dello sviluppo, e ora l’Italia ha 430 centri commerciali, per un totale di circa sette milioni di metri quadrati. Ma tenendo conto di una popolazione nazionale di circa 58 milioni di persone, abbiamo poco più di 0,1 metri quadri di centro commerciale pro capite, contro i circa 0,2 degli Stati Uniti, poco meno per Regno Unito e Francia, 0,14 per la Germania, sempre secondo i calcoli di Cushman & Wakefield Healey & Baker.
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In più, la maggior parte dei centri italiani sono piccoli secondo gli standard del Nord America, per penuria di operatori della grande distribuzione che facciano da anchor stores e per la collocazione in maggioranza urbana o periurbana. Solo 16 insediamenti superano i 43.000 metri quadri.
Non sorprende, quindi che il deficit di centri commerciali in Italia stia attirando l’attenzione degli operatori immobiliari commerciali di tutta Europa e del Nord America, alcuni dei quali iniziano a trovare i mercati di Gran Bretagna, Francia e Germania sempre più saturi.
Campania è solo uno dei più di 75 nuovi centri che potrebbero aprire entro il 2006, secondo Jones Lang LaSalle Europa.
”Certamente, negli ultimi quattro o cinque anni, abbiamo assistito ad enormi cambiamenti, a ritmi sempre più accelerati”, ci dice Patrick Parkinson, direttore finanziario di Jones Lang LaSalle Europa.
Nuovi progetti si stanno inaugurando al passo di 30 o 40 l’anno, come conferma Marco Stefani, socio e responsabile per l’Italia di Cushman & Wakefield.
”La spinta principale per la crescita è la necessità di trovare spazio in Italia per gli operatori di ipermercati”, ci dice Stefani. Che comprendono Auchan e Carrefour, entrambi con base in Francia.
Anche altri tipi di capitale straniero (inclusi fondi pensione dalla Germania) stanno contribuendo a stimolare la crescita, ci dice Carlo Vallardi, vice presidente del gruppo Finim, operatore immobiliare italiano dei centri commerciali, gestore per conto terzi e impresa di consulenza. “Ora i centri commerciali in Italia sono considerati molto attraenti dagli investitori europei, come Corio, Pradera [con base a Londra], e la Deutsche Bank”.
Gli insediamenti diventano più grandi per ospitare operatori commerciali internazionali come H&M, Mango, Zara, o big-box come Ikea e MediaWorld.
Questa crescita ha cominciato ad attirare grandi operatori USA. In dicembre il Simon Property Group ha costituito una joint venture col gruppo italiano di grandi magazzini e ipermercati La Rinascente, per realizzare e gestire centri in tutta Italia. Simon possiede il 49% della società, che controlla 38 centri esistenti, ne sta realizzando altri 6, e ne ha altri quattordici in lista d’attesa.
Il patto consente a Simon di sviluppare investimenti all’estero, come quelli col Group Beg, un operatore con base a Parigi specializzato in centri ad anchor ipermercato. Questa società possiede nove proprietà in Polonia e Francia, dice Stephen E. Sterret, CFO di Simon: “[la Rinascente] possiede centri di successo, ma ha anche una significativa potenzialità di sviluppo in attesa”.
Il mondo degli operatori di settore sta guardando con interesse al patto Simon-Rinascente.
”Alla fine, la sensazione è che Simon avrà un ruolo passivo”, osserva Davide Dalmiglio, direttore degli investimenti commerciali di Jones Lang LaSalle Europa. Crede che Simon lascerà alla Rinascente l’iniziativa tramite i suoi esperti locali, di assumere la guida nella realizzazione e gestione dei centri.
Anche la Mills Corporation sta cercando di entrare nel mercato italiano attraverso una varietà di partners locali, come ci racconta Edward B. Vinson, vicepresidente delle operazioni internazionali. La Mills possiede ora cinque centri operativi: due a Roma, due vicino a Milano e uno a Firenze.
”Sostanzialmente il nostro obiettivo è di mettere in lista d’attesa uno o due centri l’anno” ci dice Vinson “ma siamo stati attivi su quattro centri negli ultimi trentasei mesi”. Il quinto è ancora allo stadio di pianificazione. Al momento, il grosso dello spazio occupato dai centri commerciali si è concentrato nelle città del nord come Bologna, Milano, Roma e Torino. Circa il 63 per cento delle realizzazioni stanno al nord, il 19 per cento al centro, il 18 per cento al sud, secondo il rapporto Cushman & Wakefield. Il motivo è semplice.
”Nell’Italia settentrionale c’è la base demografica, ma anche quella del maggior reddito” dice Vinson. Fra i progetti per il nord c’è il centro di 38.000 metri quadri del Gruppo Finim che sta sorgendo a Cremona, anchor un ipermercato, programmato per l’inaugurazione nella primavera del 2006. (Finim gestisce altri 60 progetti circa in tutto il paese). L’operatore portoghese Sonae Imobiliària ha annunciato un progetto di centro per 30.000 metri quadri a Brescia. Insolitamente per l’Italia, si tratta di un insediamento su due livelli, localizzato in città a soli 15 minuti dal centro. Questo progetto ancora senza nome, sarà comunque più fuori scala di altri nel paese.
”L’Italia è un mercato molto sofisticato, in grado di apprezzare i rilanci”, dice Pietro Malaspina, managing director alla Sonae Imobiliària.
Ha preso piede anche la realizzazione di Factory Outlet. BAA McArthur Glen ha aperto a Serravalle, vicino a Milano, nel 2000, e a Castel Romano, a sud di Roma, nell’ottobre 2003. Value Retail ha aperto il Fidenza Village, ancora vicino a Milano, nel giugno 2003. Almeno altri 15 outlet centers sono in varie fasi di progetto o realizzazione, compresi progetti della BAA McArthur Glen a Firenze e Venezia, e altri centri di Value Retail e del Gruppo Percassi.
Mentre il nord costruisce, alcuni operatori iniziano a guardare agli spazi disponibili del sud, come Napoli o la Sicilia. Circa il 36 per cento della nuova offerta di spazi in centri commerciali entro il 2006 si localizzerà nell’Italia meridionale: Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, secondo il rapporto The Shopping Centre Market in Italy, elaborato da Jones Lang La Salle nel 2003.
”Vediamo grandi progetti crescere nelle città del sud Italia”, dice Antonacci, di Corio.
Aggiunge, Antonacci, che il Gruppo Finim prevede di realizzare almeno 80 progetti entro il 2006, per sé stesso e per i propri clienti, equamente suddivisi fra nord e sud.
Ma ci sono anche potenziali trappole.
”Il sud è un mercato più interessante [essendo il] meno sviluppato”, dice Malaspina di Sonae. “Ma il costo di costruzione di un centro commerciale è lo stesso, e il potere d’acquisto sensibilmente inferiore”. E quindi, i centri meridionali non si rivolgono al consumatore più sofisticato, aggiunge Parkinson.
L’attività in generale comporta una sfida significativa per ciascun operatore: la Legge Bersani del 1998. Questa legge ha facilitato il processo di autorizzazione per realizzare negozi con superficie inferiore a 250 metri quadrati, e richiesto un permesso da parte dell’ente locale per negozi fra 250 e 2.500 metri quadri. Unità superiori ai 2.500 metri sono soggette ad autorizzazione locale, provinciale e regionale.
”Ora non abbiamo una sola legge: ne abbiamo venti diverse” dice Rita Fiori, segretario generale del Consiglio Italiano per i Centri Commerciali, riferendosi alle venti regioni che comprendono, tra l’altro, un totale di 105 province e 8.000 comuni.
Ma anche se l’Italia tiene alta la sua reputazione in fatto di burocrazia, quella per la corruzione non è meritata.
”Sto nel commercio da trentacinque anni, e non ho mai avuto un problema di quel tipo” osserva Malaspina. “Le leggi sono così complicate che ci vuole un sacco di fatica”.
Nota: è impossibile proporre qui uno specifico link, salvo rinviare a quelli contenuti e contestualizzati nei vari contributi su outlet e centri commerciali presenti nelle sezioni "Megalopoli" e "Articoli dai Giornali" di Eddyburg/Territorio:
Il rifiuto socio/antropologico anche degli americani per i "loro" centri commerciali, è qui esaminato nella recensione a un testo sull'argomento
Eppure si può provare a convivere pacificamente con la modernizzazione distributiva, basta provare a pianificarla, come tentano sia le comunità americane coi progetti "smart growth ", sia molto più vicino a noi la Svizzera (fb)