La lettera che inchioda il Vaticano e Arcus porta la data del 16 dicembre del 2005. Monsignor Francesco Di Muzio, allora capo dell’amministrazione di Propaganda Fide, scrive a Francesca Nannelli, responsabile del procedimento per il finanziamento erogato alla Curia dalla società Arcus Spa, di proprietà del Tesoro ma controllata dai ministeri dello Spettacolo e delle Infrastrutture. Il carteggio tra Arcus e Vaticano che Il Fatto Quotidiano pubblica in esclusiva documenta i retroscena inediti e le bugie pubbliche raccontate per giustificare un contributo relativo al palazzo di Piazza di Spagna.
Quello stabile è la sede della Congregazione che oltre a occuparsi dell’evangelizzazione dei popoli nel mondo è dedita anche a una frenetica attività immobiliare nella Capitale. Ora la storia del contributo ha attirato l’attenzione della Procura di Perugia. I magistrati che stanno indagando sulla cricca dei lavori pubblici, hanno iscritto nel registro degli indagati il ministro delle infrastrutture dell’epoca, Piero Lunardi, e l’allora Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, Crescenzio Sepe, per corruzione. L’ipotesi dei pm Sergio Sottani e Alessia Tavernesi è che esista una relazione tra l’acquisto nel 2004 di un palazzo nel centro di Roma per “soli” 3 milioni di euro (ne valeva il doppio) da parte della famiglia Lunardi e il contributo di 2,5 milioni erogato nel 2005 di concerto con il dicastero delle Infrastrutture, retto in quel periodo dallo stesso Lunardi.
I magistrati ieri hanno preso contatto con il legale del cardinale Crescenzio Sepe perché vogliono interrogarlo per chiarire il giallo del finanziamento che era stato oggetto di polemiche e servizi televisivi di Rai e Mediaset e poi di un’inchiesta interna della Corte dei Conti. Allora, l’unica voce che si ostinava a denunciare lo scandalo di un finanziamento statale che fino a quel momento sembrava ammontare solo a 2,5 milioni di euro, pagati per un’opera pubblica mai realizzata, era quella del segretario generale della Uil per i beni culturali: Gianfranco Cerasoli. Ora quella tesi coincide con l’ipotesi investigativa dei pm perugini: il contributo sarebbe stato erogato da Arcus nonostante i lavori previsti nella convenzione tra la società del Tesoro e Propaganda Fide non sono mai stati realizzati.
La lettera di monsignor Angelo Di Muzio e il carteggio che pubblichiamo (comprendente anche una missiva firmata dal successore di Sepe, il cardinale Ivan Dias) sembrano confermare la tesi dell’accusa. Nella convenzione del 2005, il finanziamento statale è legato inscindibilmente ai lavori futuri per la realizzazione di una Pinacoteca e di un percorso museale che sarebbe stato fruibile dalla cittadinanza italiana. Mentre nelle lettere riservate tra Vaticano e Arcus il medesimo finanziamento è finalizzato a coprire le spese già sostenute da Propaganda Fide per un restauro che nulla ha a che vedere con la Pinacoteca. Monsignor Di Muzio, un personaggio legato all’Opus Dei e molto influente nella Curia, ex braccio destro dell’attuale arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe e ben inserito anche nei ministeri grazie anche ad Angelo Balducci, scrive ad Arcus: “restituisco la bozza della convenzione con apportate piccole modifiche. In particolare segnalo che sarebbe opportuno che il finanziamento venga erogato secondo le scadenze indicate in bozza, in considerazione del notevole esborso sino ad ora sostenuto dalla Congregazione per l’avanzato stato dei lavori”.
La lettera è anomala per tre elementi. Non è normale che il soggetto finanziato da una società pubblica (solo formalmente privata come è la Spa Arcus) si permetta di dettare i tempi e le scadenze dei pagamenti al finanziatore. Inoltre Propaganda Fide non fa mistero di avere bisogno di un ingente pagamento in tempi brevi perché c’è stato “un notevole esborso per l’avanzato stato dei lavori”. La terza anomalia è che il soggetto che dovrebbe sorvegliare il corretto uso dei soldi pubblici è inquilino del sorvegliato. Infatti Francesca Nannelli abita in uno dei palazzi più belli di Propaganda Fide, in via del Governo vecchio, a due passi da Piazza Navona. Il nome della signora Nannelli era già emerso nelle cronache quando si era scoperto che l’appartamento (nel quale convive con il subcommissario della ricostruzione in Abruzzo, Luciano Marchetti) era stato ristrutturato da Diego Anemone e figurava nella sua lista.
A parte l’innegabile conflitto di interessi, anche i tempi non tornano: il decreto ministeriale che approva il programma di Arcus con il finanziamento di Propaganda Fide viene firmato dal ministro Buttiglione e dal collega Lunardi il 20 luglio del 2005. Il 29 novembre 2005 il consiglio di Arcus approva e appena 16 giorni dopo Propaganda Fide già parla di “avanzato stato lavori” e chiede un pagamento immediato per “l’esborso notevole già sostenuto”. Ancor prima che il contratto tra Arcus e Vaticano sia firmato. Nella sua mail, Di Muzio chiedeva all’inquilina di Propaganda Fide un’accelerazione dei pagamenti. Nella convenzione firmata il 23 dicembre del 2005 tra il direttore generale di Arcus Ettore Pietrabissa e il cardinale Sepe, Propaganda Fide ottiene un trattamento di lusso: un milione e mezzo di euro entro 30 giorni dalla firma, solo “previa comunicazione dell’effettivo avvio delle attività”; altri 500 mila euro entro 90 giorni salvo un generico “monitoraggio” di Arcus. Solo il restante mezzo milione di euro è legato alla “verifica dell’effettiva conclusione positiva delle attività connesse al progetto”.
Nell’articolo 6 della convenzione tra Arcus e Propaganda Fide, che Il Fatto Quotidiano ha ottenuto in copia, è previsto come termine del progetto il 31 dicembre del 2006. L’articolo 8 prevede che il finanziamento sia revocato in caso di utilizzo “per finalità diverse” oppure qualora il contraente “non completi il progetto nei termini”. Ancora oggi, quattro anni dopo i termini della convenzione, la Pinacoteca aperta al pubblico, prevista come ragione del finanziamento con i soldi dei contribuenti italiani, non esiste. Nel 2009 la trasmissione Presa diretta di Rai tre mostrò l’inadempimento di Propaganda Fide con le sue telecamere. Immediatamente Arcus pubblicò un comunicato nel quale si sosteneva che del “finanziamento complessivo di euro 2,5 milioni a oggi sono stati condotti e terminati i lavori pari a euro 2 milioni regolarmente rendi-contati. Fanno eccezione le sole attività relative alla Pinacoteca che non hanno ancora visto l’avvio.
Il relativo finanziamento”, sosteneva Arcus nel settembre del 2009, “di euro 500 mila (a saldo dell’intero finanziamento di 2,5 milioni) verrà erogato solo a seguito della positiva conclusione dei lavori”.
Il comunicato di Arcus presenta due incongruenze importanti e sembra nascondere la verità per annullare l’impatto negativo delle inchieste televisive. Innanzitutto il finanziamento previsto nella convenzione del dicembre 2005 era stato erogato interamente, come provato da un documento in possesso del Fatto Quotidiano: una lettera firmata dal cardinale Ivan Dias, nella quale il prefetto di Propaganda Fide e successore di Sepe, scrive al direttore generale di Arcus Ettore Pietrabissa: “mi pregio di comunicarLe che questa Congregazione ha ricevuto l’importo di 2,5 milioni di euro quale contributo relativo al primo finanziamento”. Tutto il contributo, quindi.
Ed ecco la seconda incongruenza: al contrario di quanto sostenuto allora ufficialmente da Arcus e Propaganda Fide, il contributo complessivo era di 5 milioni di euro, spalmati in due anni: 2005 e 2006. Anche perché la novità del doppio contributo (con una seconda convenzione stipulata nel 2007) è stata rivelata da Arcus solo pochi giorni fa. E i sospetti aumentano. Perché quando le tv si occuparono della Pinacoteca fantasma, Arcus e Propaganda Fide sostenevano la tesi del “finanziamento complessivo di 2,5 milioni erogato solo in parte”? Forse perché questa tesi era l’unica che non imponeva una seconda domanda: perché - se Propaganda Fide non aveva rispettato la prima convenzione - era stata pagata interamente e finanziata per altri 2,5 milioni di euro nel 2007? A queste domande risponderanno i pm di Perugia. Intanto il segretario dei radicali Mario Staderini chiede al ministero e alla Corte dei Conti di agire per l’integrale restituzione del finanziamento a causa dell’inadempimento contrattuale.