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Marco Rovelli
Apuane, centomila firme per salvare un bene comune
3 Luglio 2014
Toscana
«Mon­ta­gne mar­to­riate. E per cosa, poi? Non per le sta­tue di Miche­lan­gelo, come vor­rebbe la vile reto­rica dei padroni del marmo, ma per la pro­du­zione di car­bo­nato di cal­cio per pro­du­zioni indu­striali: il den­ti­fri­cio».

Il manifesto, 2 luglio 2014

Tra gli anni Set­tanta e Ottanta, Massa Car­rara è stata il tea­tro della lotta con­tro il polo chi­mico e la Far­mo­plant che diventò parte dell’«educazione sen­ti­men­tale» alla poli­tica di una gene­ra­zione apuana, pas­sato il decen­nio furioso dei movi­menti. Oggi, di nuovo, quella terra si fa por­ta­trice di istanze radi­cali in una lotta che non è solo locale, ma deci­sa­mente nazio­nale: quella con­tro l’escavazione di marmo sulle Alpi Apuane. Mon­ta­gne mar­to­riate – come «denti cariati» per citare T. S. Eliot – da una pro­du­zione espo­nen­zial­mente cre­sciuta negli ultimi trent’anni gra­zie alle nuove tec­no­lo­gie, che si man­giano un costone di mon­ta­gna in pochis­simo tempo. Richie­dendo un decimo di mano­do­pera, que­ste tec­no­lo­gie hanno dram­ma­ti­ca­mente decli­nare l’occupazione nel set­tore estrat­tivo. E per cosa, poi? Non per le sta­tue di Miche­lan­gelo, come vor­rebbe la vile reto­rica dei padroni del marmo, ma per la pro­du­zione di car­bo­nato di cal­cio per pro­du­zioni indu­striali: il den­ti­fri­cio, uno per tutti, sim­bolo dello scempio.

L’assessore regio­nale toscano all’urbanistica, pia­ni­fi­ca­zione ter­ri­to­riale e al pae­sag­gio Anna Mar­son ha ten­tato di met­tere mano al far west delle cave con alcune norme con­te­nute nel Piano pae­sag­gi­stico regio­nale con le quali ha posto final­mente la que­stione di una rego­la­men­ta­zione e ha imma­gi­nato un futuro pos­si­bile di ricon­ver­sione pro­dut­tiva. Que­sto piano, gra­zie alle lar­ghe intese di fatto tra Pd e Forza Ita­lia (ma il gover­na­tore Enrico Rossi non aveva detto che il suo era un governo di sini­stra?), verrà appro­vato monco delle sue parti più impor­tanti e innovative.

Se prima il testo imma­gi­nava – sia pure in maniera vaga, ma quan­to­meno indi­cava una dire­zione — una ricon­ver­sione dalle atti­vità estrat­tive ad atti­vità rispet­tose dell’ambiente, adesso que­sta parte è stata cas­sata. Non solo: si con­cede di ria­prire cave chiuse anche da vent’anni, ormai rina­tu­ra­liz­zate, e ver­ranno con­sen­titi amplia­menti del fronte di cava anche senza chie­dere varianti. I padroni hanno vinto. Dicia­molo: que­sta è lotta di classe, sia pure ricon­fi­gu­rata su uno sce­na­rio ine­dito all’epoca dell’Internazionale, quello della sal­va­guar­dia ambien­tale, e sulla con­trap­po­si­zione tra nuovi «padroni» e «comune». E tut­ta­via, pur avendo vinto, a loro non basta ancora. Gli «spi­riti sel­vaggi del capi­ta­li­smo» non accet­tano il ben­chè minimo vin­colo. Le loro richie­ste – estre­mi­sti­che, come la loro cam­pa­gna di stampa – erano di poter aprire cave nuove! Per­ciò hanno deciso di fare guerra alla legge regio­nale, poi­ché essa vieta final­mente di aprire cave in cre­sta, dove sulle Apuane ci sono cre­ste abbas­sate di cin­quanta metri dalle escavazioni.
La legge impone inol­tre una valu­ta­zione di impatto pae­sag­gi­stico che i padroni non vogliono, per­ché si con­si­de­rano parte del pae­sag­gio, si con­si­de­rano «natura». Entro il 2020 si pre­vede il 50% della lavo­ra­zione dell’escavato in loco. Senza le cave, hanno scritto i signori padroni, le Apuane «sareb­bero mon­ta­gne come le altre». Una vera bana­lità, impos­si­bile da met­tere a valore. E allora, signori, can­cel­liamo il Parco, que­sta ultima, infima, inu­tile ipocrisia. L’alternativa è ripri­sti­nare il testo ori­gi­nale, attual­mente in discus­sione in con­si­glio regio­nale, come chie­dono gli ambien­ta­li­sti apuani che ieri sono andati a Firenze e hanno con­se­gnato a Enrico Rossi le cen­to­mila firme di una peti­zione online su Avaaz che chiede la chiu­sura pro­gres­siva delle cave.
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