Rifondazione,online 28 novembre 2016 (c.m.c.)
La Costituzione italiana è legge sovraordinata alla legge ordinaria.
La Costituzione è destinata a regolare i rapporti di civile convivenza tra i cittadini e per tale ragione è destinata a durare nel tempo.
La Costituzione contiene norme di carattere generale, cioè riferentisi ad ogni tipo di cittadini, di carattere astratto, cioè a prescindere dalle singole situazioni.
La Costituzione deve essere comprensibile per tutti i cittadini e pertanto deve essere scritta in maniera chiara e sintetica.
La Costituzione italiana è costituzione rigida quanto ai suoi principi, ma non immutabile; può essere modificata nel tempo, ma sempre al fine di realizzare e rispettare i principi fondamentali stabiliti nella prima parte della Costituzione stessa.
La Costituzione può essere modificata nei modi e nei termini previsti dall’art. 138 e le modifiche devono ricercare la più ampia convergenza di opinioni tra le forze politiche.
La Costituzione non si modifica a colpi di maggioranza. La riforma della Costituzione dovrebbe fiorire da un dibattito collettivo, ad impulso esclusivo del Parlamento, senza intromissione alcuna del Governo.
Queste sono le caratteristiche di una Costituzione e questi sono i criteri per modificarla.
Ed invece:
La nuova formulazione della Costituzione è stata approvata alla Camera dalla sola maggioranza, con 360 voti su 630 deputati: alla Costituente il testo fu approvato da 458 parlamentari con soli 62 voti contrari.
Il linguaggio usato è prolisso, controverso, ai limiti della incomprensibilità.
Non è vero che sia stato soppresso il bicameralismo perfetto; semplicemente, esso è stato trasformato in un bicameralismo confuso, perché la permanenza del Senato e i nuovi percorsi di formazione delle leggi, nonostante le minori competenze dello stesso Senato, renderanno confuso e ugualmente complesso il percorso di approvazione di una legge, con il rischio di una moltiplicazione dei ricorsi alla Corte Costituzionale per conflitti tra le due Camere.
Non è vero che il bicameralismo perfetto abbia prodotto tempi di approvazione delle leggi superiori alla media dei paesi democratici europei, così come non è vero che sia così diffuso il fenomeno della cosiddetta “navetta” delle leggi tra le due Camere, fenomeno che, in realtà, risulta limitato al 3% delle leggi varate.
La scelta di non far eleggere i senatori dai cittadini incrina il concetto di rappresentatività dei cittadini stessi, sostituendolo con una nomina di natura politica, che nasce all’interno dei gruppi dei Consigli regionali.
La nuova norma costituzionale rischia di escludere la rappresentanza delle Regioni a Statuto Speciale che prevedono l’incompatibilità tra il ruolo di consigliere regionale e quello di senatore, obbligando, pertanto, l’eletto in Senato a rassegnare le sue dimissioni dal Consiglio Regionale e restando, così, privo di qualsiasi compenso per la sua attività.
Non è vero che le modifiche alla seconda parte della Costituzione, relativa all’organizzazione della Repubblica, non abbiano incidenza sulla prima parte, che stabilisce i principi fondanti dello Stato e della convivenza civile.
La nuova Costituzione introduce una progressiva sopravalutazione del potere esecutivo nei confronti di quello legislativo, istituendo una sorta di democrazia esecutiva.
La nuova Costituzione istituisce un ridimensionamento del ruolo della Camera anche in tema di ordine dei lavori, consentendo al Governo di imporre alla Camera di esaminare le leggi ritenute essenziali per il programma governativo entro 70 giorni: è un’umiliazione del ruolo del Parlamento mai visto dall’epoca fascista.
Non è vero che non esista uno stretto rapporto tra riforma costituzionale e legge elettorale: l’Italicum garantisce al partito vincitore delle elezioni al ballottaggio, magari anche solo con una percentuale del 25%, l’attribuzione del 55% dei seggi della Camera con la riduzione delle opposizioni ad un ruolo di mera, impotente tribuna: si pensi solo alla dichiarazione dello stato di guerra, deliberato dalla maggioranza, precostituita ed immodificabile, della sola Camera. Stante, dunque, la rilevanza della legge elettorale ai fini della valutazione dell’impatto della riforma costituzionale sugli assetti istituzionali, sarebbe stato assai utile che la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla legittimità o meno di quella legge; incomprensibile appare il rinvio a data da destinarsi di quel giudizio.
La volontà della maggioranza di ridurre il ruolo delle opposizioni è emblematicamente rappresentato dall’introduzione all’art. 64 di uno Statuto delle Opposizioni, il cui regolamento sarà deciso dalla maggioranza, in salda mano del partito vincitore delle elezioni, della Camera.
Il quesito referendario appare formulato in maniera manipolatoria e tale, dunque, dall’invitare i cittadini all’approvazione della legge; in particolare, il riferimento alla riduzione dei costi della politica non rientra direttamente tra le modifiche costituzionali, ma ne potrebbe essere esclusivamente una indiretta conseguenza.
Queste sono solo alcune delle criticità della riforma costituzionale; in alcuni casi si tratta di questioni molto tecniche sulle quali, ovviamente, il cittadino medio non è in grado di esprimere un’opinione fondata su un’effettiva conoscenza del problema; fondamentale, comunque, è cercare di fare un’operazione quanto più completa possibile di informazione, ma ciò che soprattutto deve essere chiaro è che i cittadini devono essere ben consci dell’importanza della loro scelta ed ergersi a difensori di quel ruolo di unione del popolo italiano che la Carta Costituzionale ha pienamente rappresentato in questi 70 anni.
OCCORRE, DUNQUE, VOTARE NO NEL REFERENDUM DEL 4 DICEMBRE.
Come giuristi, da sempre impegnati nella difesa dei diritti dei cittadini, in particolare di quelli meno tutelati, sentiamo il dovere di dare il nostro contributo di informazione ai cittadini, nella convinzione profonda che in gioco non ci sia né un maggior efficientismo dello Stato, né la battaglia politica tra centrosinistra renziano e centrodestra, ma l’assetto istituzionale della nostra Repubblica e, dunque, in definitiva, il rispetto di quella corretta ripartizione dei poteri dello Stato che hanno consentito lo svolgimento di una civile convivenza, pur tra posizioni politiche ed ideologiche divergenti.