Antonio Cederna per quarantacinque anni si è occupato dell’urbanistica romana e ne ha seguito, giorno per giorno, le vicende. Ma la sua azione non fu solo, come molti sono indotti a credere, di accusa, di critica e di disapprovazione. Egli fu anche propositivo e operativo, fino a impegnarsi nella costruzione di una diversa idea di Roma. Francesco Erbani, nella prefazione alla nuova edizione a I vandali in casa (Laterza, pp. 279, euro 18,00), conferma la propensione di Cederna per l’urbanistica, e scrive che si sbaglierebbe a ridurre il suo atteggiamento alla sola “componente conservativa”. E nella postfazione, non a caso titolata “L’Italia possibile di Antonio Cederna”, ricorda la “storia moderna dell’Appia Antica”, che parte dal decreto di approvazione del piano regolatore di Roma, del 1965, a firma di Giacomo Mancini, ministro socialista ai Lavori pubblici (non operavano ancora le regioni), decreto con il quale furono destinati a parco pubblico i duemila e cinquecento ettari di territorio a cavallo della regina viarum.
Fu una vittoria alla quale Cederna contribuì in modo decisivo con i suoi articoli sul Mondo (molti sono raccolti nel libro su I vandali). «Viste nei tempi lunghi le battaglie di Cederna hanno prodotto risultati inimmaginabili cinquant’anni fa», commenta Erbani. Ancor più percepibile è l’impegno urbanistico di Cederna a proposito del progetto Fori, il gran parco storico-archeologico che lui immagina di realizzare con l’eliminazione di via dei Fori Imperiali, che dal Colosseo giunge a piazza Venezia, e di farne la prosecuzione intra moenia dell’Appia Antica. In forza della sua attitudine a disegnare concretamente il futuro di Roma, Erbani consacra Cederna “urbanista ad honorem”. Ma, a differenza dell’Appia Antica, come vediamo qui di seguito, il progetto Fori, non è andato a buon fine. Sono assolutamente d’accordo, lo ripeto, con il riconoscimento di Cederna urbanista, e il tema merita di essere approfondito.
L’idea che aveva di Roma la illustrò più volte, ma il testo nel quale è sviluppata compiutamente è la sua Proposta di legge per Roma capitale, dell'aprile 1989, quand'era deputato indipendente del Pci. La relazione alla proposta di legge raccoglie alcune delle più convincenti pagine dell’urbanistica moderna, una vera e propria lezione di urbanistica che dovrebbe essere utilizzata nelle scuole e nell'università. Cederna propose, tra l’altro, due operazioni fondamentali. In primo luogo, il trasferimento dei ministeri dal centro della città nelle aree della prima periferia, il cosiddetto Sistema direzionale orientale. Lo Sdo, inventato per primo da Luigi Piccinato, per tutto il dopoguerra, è stato l’idea forza dell’urbanistica romana; fu al centro di infinite discussioni, soprattutto nell’ambito della sinistra; era considerato il presupposto e la condizione per la costruzione della città moderna e per la salvezza della città antica.
La seconda operazione che propone Cederna nel suo disegno di legge, è il parco storico-archeologico dell'area centrale, dei Fori e dell'Appia Antica. L’obiettivo essenziale che Cederna intendeva perseguire per i Fori era – non lo dimentichiamo – “l'eliminazione dello stradone che negli anni Trenta ha spianato un intero quartiere” e “l'incompatibilità del traffico con il centro storico e con la salute dei monumenti”.
Che ne è oggi del disegno e della strategia per Roma di Antonio Cederna? A parte l’istituzione del parco regionale dell’Appia Antica, che peraltro ha sempre operato stentatamente, il resto è rimasto sulla carta. Dei due obiettivi del suo disegno di legge, lo Sdo è stato silenziosamente cancellato. Non sono riuscito a capire che cosa lo ha sostituito. Anche il progetto Fori, che pure raccolse vastissime ed entusiastiche adesioni in Italia e all’estero, è stato cancellato e contraffatto.
In effetti, il progetto Fori cominciò a essere accantonato il 7 ottobre 1981, quando morì improvvisamente Luigi Petroselli che, con Adriano La Regina eAntonio Cederna, era stato protagonista del progetto Fori. Lo capì subito Cederna che, a pochi giorni dalla morte, scrisse su “Rinascita” dello “scandalo” di Petroselli: lo scandalo di un sindaco comunista che aveva capito l’importanza della storia nella costruzione del futuro di Roma; che non voleva lasciare a nostalgici e reazionari il tema della romanità.
Nella postfazione a I vandali, Erbani scrive che, a poco a poco, “il grande parco che avrebbe immesso verde e archeologia fin nel cuore di Roma, strutturando la città su ritmi diversi da quelli dettati dalla rendita immobiliare e dalle macchine, viene lasciato cadere. È prima sistemato nell’orizzonte lontano delle utopie, […] poi fatto completamente sparire dall’orizzonte della città”.
Ma la pietra tombale sul progetto Fori è stata posta nel 2001 con il decreto ministeriale di vincolo monumentale proprio sulla via dei Fori e dintorni, fino alle terme di Caracalla, congelando la situazione attuale. La relazione storico-artistica che giustifica il vincolo rappresenta un radicale cambiamento rispetto al progetto concepito da La Regina, Cederna, Petroselli, Insolera, Benevolo e tanti altri. La sistemazione patrocinata da Benito Mussolini non è più contestata, diventa anzi “un’immagine storicamente determinata che rappresenta il volto della Capitale laica per tanti anni ricercato e finalmente, come sempre e ovunque, nel bene e nel male, raggiunto”.
Il contrasto con il pensiero di Cederna è assoluto. In Mussolini urbanista (colgo l’occasione per segnalare il ritorno anche di questo libro, grazie alla nuova edizione della Corte del Fontego, con interventi di Adriano La Regina eMauro Baioni) si legge che “i Fori imperiali sulla sinistra di chi va verso il Colosseo sono stati sprofondati in catini, come in seguito a un errore di calcolo o a uno sconquasso sismico; mentre i monumenti sulla destra presentano tutti al passeggero il di dietro, per di più gravemente mutilato e rappezzato. Una cosa davvero straordinaria che le guide turistiche trascurano di segnalare”.
Viceversa, nella relazione ministeriale, alla soluzione fascista si riconosce il merito di aver conseguito una compiuta immagine urbana di Roma Capitale. “Quella visione d’insieme, che aveva caratterizzato le capitali moderne nell’Otto e Novecento, ma che non era emersa dai modesti piani regolatori del 1873 e del 1883, limitati a un adeguamento della struttura viaria ai bisogni primari di uso della città, né dal Piano del Sanjust del 1909, più interessato agli aspetti dello sviluppo funzionale che non a quelli rappresentativi, e nemmeno dal Piano del 1931, che raccoglie maldestramente idee precedenti senza dar loro un’unità d’immagini, di forme, di contenuti, ebbene quella visione d’insieme si viene realizzando […] proprio nel corso degli anni Trenta, quando via dei Fori Imperiali (con anche la simmetrica via del Mare) diviene l’elemento centrale di un sistema complesso, che si snoda da nord (oltre il Flaminio) al sud (oltre l’Eur, fino al mare)”.
Infine, la relazione che giustifica il vincolo rinnega il progetto Fori. Il gran parco urbano che avrebbe dovuto estendersi, lungo l’Appia Antica, dai Castelli Romani al Campidoglio, formando la struttura principale dell’area metropolitana e, insieme allo Sdo, il punto di partenza per un radicale rinnovamento dell’assetto di Roma: tutto ciò è ignorato nelle motivazioni del vincolo, che contesta la valenza generale del disegno proposto da Cederna, riducendolo a un insieme di singoli interventi puntuali, svincolati da ogni problematica urbanistica, con l’unico obiettivo di eliminare la via dei Fori Imperiali, “senza porsi il problema della sua storia, della sua funzione urbanistica, della sua immagine consolidata”.
Leonardo Benevolo – cui si deve, nel 1971, la prima formulazione del progetto che prevedeva l’eliminazione dello stradone – è stato fra i pochi che non ha ceduto alla sirena del revisionismo, e così ha commentato sul Corriere della Sera il decreto di vincolo: “è diventato illegale il disseppellimento degli invasi dei Fori di Cesare, Augusto, Vespasiano, Nerva e Traiano, che renderebbe percepibile ai cittadini di oggi uno dei più grandiosi paesaggi architettonici del passato. […] si è preferito Antonio Muñoz (lo sprovveduto autore di quelle sistemazioni) ad Apollodoro di Damasco, l’architetto dell’imperatore Traiano”.
Concludo con due sole rapidissime considerazioni. In primo luogo, si deve riconoscere che ha vinto il revisionismo. Anche in urbanistica. L’immagine di Roma moderna è insomma quella definita negli anni Trenta, quella di Benito Mussolini. È “il fascismo perenne” di cui scriveva Cederna. L’Italia repubblicana non ha dato nessun contributo a definire la sua capitale. Sta scritto in un decreto della repubblica che non ha suscitato proteste né indignazioni, che io sappia.
In secondo luogo, abbiamo verificato che l’idea di Cederna (e di Petroselli, La Regina, Insolera, eccetera) è “sparita dall’orizzonte della città”. È ovviamente fuori discussione che si possa cambiare idea, e che l’amministrazione capitolina e quella dei Beni culturali abbiano il diritto di confermare l’impianto urbano degli anni Trenta. Nessuno può pretendere il rispetto di un progetto alternativo, non più condiviso. Non di questo si discute. Mi sembra invece che non si possa non discutere del modo in cui è avvenuto e sta avvenendo il ribaltamento del fronte, senza aver mai formalmente dichiarato che il progetto Fori è stato archiviato. Si continua invece a evocarlo, solo che con quel medesimo nome si indicano oggi soluzioni ben diverse da quella sostenuta da Cederna.
Ripetiamo allora che Antonio Cederna, di Via dei Fori voleva cancellare la memoria. Ha scritto cose feroci contro la via dei Fori (“operazione antistorica, antiurbanistica, antisociale, antiarcheologica per eccellenza”). Viceversa, che succede? Succede che ci capita di leggere sul Corriere della Sera, sulle stesse pagine sulle quali Cederna aveva iniziato la sua battaglia per il progetto Fori nientemeno che, “l’antico sogno di Antonio Cederna” sta per realizzarsi. E come? Grazie a un progetto di attraversamento della via dei Fori, senza nemmeno interrompere il traffico, senza “nessuna demonizzazione del traffico, come si conviene a una metropoli”.
Questo sarebbe il sogno di Antonio Cederna? Che devo dire? Dovremmo essere sopraffatti dalla costernazione.
Però, proprio da Cederna abbiamo imparato che non bisogna arrendersi, ma continuare con ostinazione a sostenere le idee che ci sembrano giuste. “Questa è una città dove può succedere di tutto”, diceva Tonino. Anche che, nonostante il vincolo, anzi, proprio per contrastare quel vincolo, e il revisionismo delle sue motivazioni, si rimetta nuovamente in discussione la via dei Fori Imperiali.