La Stampa, 27 agosto 2013
Sono trascorsi 17 anni da quando, il 27 agosto del 1996, scomparve un pilastro della cultura ambientalista italiana. Il senso di vuoto che affiora ripensando alla passione di Cederna è amplificato da questo periodo, critico e incerto, con l’Italia appesa in uno scenario che non lascia intravedere vie d’uscita dal declino dell’idea stessa di comunità
L’estate permette, con i suoi tempi dilatati, di far correre la mente, ricordando e riflettendo sul passato. Un esercizio della memoria e della volontà per trarre insegnamento dalla storia, comprendendo il senso delle cose e dando il giusto valore a ciò che conta veramente. Sono trascorsi 17 anni da quando, il 27 agosto del 1996, è scomparso Antonio Cederna. Il senso di vuoto che affiora ripensando alla passione di Cederna è amplificato da questo periodo, critico e incerto, con l’Italia appesa in uno scenario che non lascia intravedere vie d’uscita ma, piuttosto, un deterioramento dei valori e il declino dell’idea stessa di comunità.
I valori sono stati il centro della vita di Antonio Cederna: etica, responsabilità, competenza, impegno civile, di volta in volta rivolti alla professione di giornalista, al ruolo di militante ambientalista, all’azione dell’uomo politico, all’essere un esponente del mondo della cultura. Con rigore ha saputo dire cose scomode, non accettando di tacere di fronte ai disastri, alle manomissioni del territorio e del patrimonio culturale del nostro paese.
Argomenti scomodi, un fastidio per la politica diventata strumento di gestione del consenso e oggetto di scambio clientelare: una scomodità che costò a Cederna l’essere posto nell’alveo degli intellettuali, un po’ eccentrici, ma non adatti a governare. Troppo spesso liquidato con l’appellativo di Cassandra, con la superficialità di chi non vuole capire e affrontare realmente i problemi, preferendo l’improvvisazione di soluzioni poco efficaci e di scarso rilievo.
Serve ancora oggi, nell’Italia del 2013, ricordare chi scrisse libri che in realtà erano denunce e testimonianze, come I vandali in casa, La distruzione della natura in Italia, Memorabilia Urbis, … . Serve e sarebbe utile ripercorrere e studiare il suo archivio, vedere le interviste, ascoltare la descrizione di come si costruivano periferie brutte e invivibili: tutto il materiale, raccolto in decenni di attività, è oggi disponibile, grazie alla sua famiglia che lo ha donato, affinché diventasse un patrimonio di conoscenza collettivo. Una scuola dell’esperienza e del metodo di lavoro che mise in cima alle priorità la comprensione dei problemi, studiando le soluzioni e proponendo un modo diverso di affrontare le criticità, guardando all’Europa, restituendo un valore al bene comune e affermando un ruolo ineludibile del decisore pubblico. (www.archiviocederna.it)
L’attualità dei suoi scritti è ancora qui, sotto i nostri occhi: l’incapacità di governare il territorio, di guidare lo sviluppo, attraverso scelte di buon governo, fatti che possono risultare ovvii ma che, ancora oggi, caratterizzano l’assenza di una politica che capace di fare della sostenibilità la base per il futuro dell’Italia. Un’attualità resa ancor più dirompente perché, già negli anni ’60, indicava nell’Europa il modello da imitare, seguendo l’evoluzione dell’urbanistica e delle politiche di gestione del territorio.
I dati relativi al consumo di territorio, alla perdita di biodiversità, all’inquinamento nelle aree urbane, alle emergenze “permanenti” come quelle dei rifiuti, del dissesto idro-geologico sono inquietanti: l’Italia registra un ritardo e un arretramento rispetto agli altri paesi europei, accumulando inefficienze e inadempienze. Non si tratta di una posizione puramente estetica, da “anime belle” come l’avrebbe definita Cederna: è un problema ben più complesso, fondato sul rapporto tra scarsità e disponibilità di risorse. Si tratta, in realtà, di una questione civile e culturale che può fare la distinzione tra una nazione e un’altra per il livello di progresso raggiunto, per il rispetto della legalità e delle opportunità di sviluppo alle quali accedono i cittadini. L’Italia oggi detiene il primato in Europa per le procedure di infrazione alle norme comunitarie in materia ambientale e in molte regioni il circuito economico legato alla criminalità coincide, non casualmente, con un alto tasso di reati ambientali, favorendo un florido settore che abbiamo imparato a chiamare “ecomafie” fatto di traffici illeciti, corruzione e inquinamento.
Si continua a credere che sia sufficiente scrivere le leggi, senza preoccuparsi di come farle rispettare, facendo crescere il capitale sociale e la coscienza di una cittadinanza attiva. Siamo tuttora bloccati a un modello dell’economia slegata dai processi ecologici e dall’impatto delle attività dell’uomo sull’ecosistema dove l’energia diventa un’emergenza se il petrolio raggiunge il prezzo di 100 dollari al barile ma non ci poniamo il dubbio di comprendere quali costi collettivi, legati ai cambiamenti climatici, non sono compresi in quel prezzo, ma pesano come un macigno in termini di ritardo nell’adottare altri modelli fondati sull’innovazione.
Nel frattempo un altro anno è trascorso così, con boschi bruciati, discariche stracolme di rifiuti, città ammorbate dal PM10 e dal monossido, spiagge con divieti di balneazione, alluvioni e frane, …, . Si dirà che tutto questo è inevitabile, che non si può limitare il mercato: eppure gli allarmi si fanno sempre più ricorrenti, il clima si sta modificando e le soluzioni non possono essere sempre improntate all’emergenza, a provvedimenti estemporanei.
Biodiversità, clima, trasporti, energia, acqua, territorio, rifiuti, tutte tematiche che quotidianamente entrano con forza sulle pagine dei giornali e nelle nostre vite ma che, con grande difficoltà, si trasformano in politiche strutturali restando, spesso, inutili grida d’allarme, titoli di giornale che durano pochi giorni, facendoci restare nel rischio dell’emergenza e della catastrofe imminente. Le stesse emergenze di cui scriveva Cederna, avvolte, oggi come allora, nella disattenzione. La disattenzione che potrà essere più o meno colpevole ma sempre ancorata alla convinzione che l’ambiente sia un serbatoio da consumare senza mai porsi il dubbio circa la riproducibilità delle risorse e la responsabilità verso le generazioni future.
Degli incendi estivi, diceva Cederna, bisognerebbe parlarne durante l’inverno, quando è necessario programmare gli interventi, predisporre i provvedimenti, rendere efficienti gli strumenti di tutela e di prevenzione: un’idea alquanto bizzarra in un paese abituato all’emergenza e all’ineluttabilità delle cose che accadono perché il destino è cinico e baro. Un paese dove la regola non è la pianificazione bensì la deroga e il ripetersi di condoni e prescrizioni, frutto di una corruzione diffusa e dell’irresponsabilità di chi dovrebbe controllare. Eccoci quindi fermi nel ritenere che l’ambiente sia un limite, un intralcio per il progresso, un vincolo per la crescita economica misurata dal PIL: i boschi in fiamme, i fiumi inquinati o il traffico congestionato nelle aree urbane sono ancora considerati il costo da pagare per accedere a un maggiore benessere. Il PIL dimostra la sua inadeguatezza nel misurare lo sviluppo di un’economia che non può basarsi soltanto sulla quantità di beni e servizi ma dovrebbe registrare anche il livello di qualità dello sviluppo, creando condizioni di maggior competitività basate su scelte strutturali.
Antonio Cederna queste cose le vide e le denunciò, con forza e fermezza, insistendo affinché l’opinione pubblica prendesse coscienza e rinnegasse uno stato di cose come questo: alcune battaglie di Cederna sono arrivate tal quali fino ai nostri giorni e, tuttora, sembra impossibile ripristinare la normalità. Battaglie che, riascoltando gli accorati interventi di Cederna, sembrerebbe ovvio che lo Stato facesse proprie, oggi più che mai, riaffermando i principi di legalità e di buona gestione, definendo obiettivi e programmi, affidando compiti e responsabilità in modo chiaro.
Eppure non è così: si continua a discutere dello sviluppo delle città e delle condizioni di vivibilità delle periferie; si insiste a mettere in dubbio l’utilità di parchi e riserve naturali; si minano le condizioni minime per tutelare e proteggere il patrimonio storico, artistico e archeologico; si considera il paesaggio come un intralcio per la crescita economica; si resta immersi nella pigrizia e nell’assenza di visione, una poltiglia che avvolge tutto e rende inestricabili i nodi.
Quelli che furono, cinquanta anni fa, i temi che Cederna portò all’attenzione dell’opinione pubblica sono ancora lì, afflitti dal disinteresse e dall’ignavia: il Parco regionale l’Appia Antica, i Fori, la tutela dei centri storici, la difesa delle coste, la pianificazione delle città. Di volta in volta si annunciano programmi straordinari e soluzioni innovative ma, alla fine, restano solo l’abbandono e la precarietà, nell’assenza pressoché totale di una visione di lungo periodo. Anche per Antonio Cederna ha funzionato la regola che vuole che si dia maggior risalto e valore alle idee di coloro che non ci sono più, spesso per un vezzo elitario, per dare solo maggior dignità alle proposte, destinate a restare ipotesi o dichiarazioni di principio. Toccò anche a lui la sorte di restare nella solitudine di chi vuole anteporre l’interesse collettivo al profitto personale, la solitudine di chi scrive e vorrebbe vedere le cose cambiare.
Sono trascorsi diciassette anni dalla sua scomparsa: se Cederna fosse qui continuerebbe a essere una voce pungente e brillante denunciando disastri annunciati e disattenzioni. Ben poco si è saputo apprendere dalla sua intelligenza e dal suo impegno civile: i calendari continuano a essere punteggiati con le date delle alluvioni, degli incendi, delle frane, delle discariche stracolme, del caos sulle strade, delle città invivibili. Continuiamo a ricordare i luoghi con le conseguenze delle nostre disattenzioni, senza intravedere un’alternativa. Restano soltanto gli sprechi irrisolti, i tagli irragionevoli e l’abbandono cronico.
La grande bellezza la vediamo solo nei film, ma, una volta tornati nella realtà, siamo ancora lì, tra l’abbandono e la desolazione, con la rassegnazione che possa cambiare ben poco. Antonio Cederna resta un monito, utile se un giorno si decidesse di cambiare marcia, per davvero.