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Tommaso di Francesco
Angelo Del Boca: «Il governo è irresponsabile»
17 Febbraio 2015
Articoli del 2015
«L’affermazione del ministro Gentiloni, 'Siamo pronti a combattere' e la dimenticanza sulle nostre colpe nel disastro libico, mostrano il vuoto della diplomazia»
. Tommaso di Francesco intervista Angelo Del Boca Il manifesto, 17 febbraio 2015 (m.p.r.)
Abbiamo rivolto alcune domande sull’attuale crisi libica ad Angelo Del Boca, sto­rico del colo­nia­limso ita­liano, della Libia e autore di molti saggi sulla figura di Ghed­dafi (com­presa una impor­tante mono­gra­fia, rie­dita in que­sti giorni in una ver­sione più com­pleta da Laterza).
Come giu­di­chi l’affermazione del mini­stro degli esteri Paolo Gen­ti­loni: «Siamo pronti a com­bat­tere in Libia…», per­ché «è uno Stato fal­lito», sem­bra spie­gare Mat­teo Renzi?
È una dichia­ra­zione irre­spon­sa­bile e impru­dente. Per­ché mette l’accento (salvo mar­gi­nal­mente chia­rire il solito rife­ri­mento all’«egida Onu») pro­prio ad un inter­vento mili­tare dell’Italia che non siamo in grado di fare. Per­ché un conto è atti­vare una guerra aerea come abbiamo fatto nel 2011, un altro com­bat­tere con truppe di terra. È una dichia­ra­zione gra­vis­sima, per­ché siamo spinti den­tro uno sce­na­rio di guerra per il quale siamo ina­datti. Baste­rebbe che i nostri gover­nanti inca­paci stu­dias­sero un po’ la sto­ria, per sco­prire le tante scon­fitte libi­che che abbiamo subito. Altro che inviare 5mila uomini come ha evo­cato la mini­stra della difesa Pinotti. Da inviare con­tro chi? Su quale fronte?
Renzi, che rela­zio­nerà su que­sto gio­vedì in Par­la­mento, sem­bra ora fre­nare e parla di «solu­zione poli­tica». Ma è chiaro che, dopo il sì in patria di Ber­lu­sconi, lavora ad una «coa­li­zione di volen­te­rosi». Ma la situa­zione sem­bra pre­ci­pi­tare: l’Egitto del gene­rale gol­pi­sta Al Sisi, bypas­sando l’Italia, ieri notte ha bom­bar­dato le basi dell’Is a Derna; e ieri mat­tina la Fran­cia ha chie­sto la riu­nione urgente del Con­si­glio di sicu­rezza dell’Onu…
È nello stile di Renzi che vuole gio­care su due tavoli. Il primo è quello da «pro­ta­go­ni­sta», di una mis­sione mili­tare a guida ita­liana. Una cosa mai sen­tita, almeno nel dopo­guerra. L’altro è più pru­dente, viste le dif­fi­coltà reali di una tale enor­mità. Insomma: vabbè, lo fac­ciamo con l’Onu. Che è un atteg­gia­mento più mode­rato e più spen­di­bile. Soprat­tutto di fronte all’atteggiamento del Cairo.
Ieri notte l’aviazione egi­ziana ha bom­bar­dato le posta­zioni dello Stato isla­mico a Derna. Quali rea­zioni pro­voca in Libia l’entrata in campo dell’Egitto con l’offensiva mili­tare del generale-presidente Al Sisi? E qual è la situa­zione poli­tica interna al fronte libico, diviso e frammentato?
L’iniziativa mili­tare egi­ziana è rile­vante, anche se va ricor­dato che è ini­ziata da tempo, infatti aveva già bom­bar­dato nei giorni scorsi Ben­gasi. Di fatto il nuovo regime del Cairo appog­gia il governo libico in esi­lio di Tobruk che fa rife­ri­mento al gene­rale Kha­lifa Haf­tar e al suo eser­cito. Haf­tar com­batte già a Ben­gasi con­tro i jiha­di­sti e sta ria­bi­li­tando espo­nenti del regime di Ghed­dafi. E Al Sisi deve dare una prova di forza per­ché se non difende quel con­fine e il Sinai, per lui è finita. Il fatto è che den­tro la Libia a comin­ciare da Tri­poli, di alleati di Al Sisi non se ne vedono, Tri­poli è persa. Anche per­ché il governo legit­timo libico, eletto da ele­zioni suf­fra­gate dagli osser­va­tori inter­na­zio­nali, è nelle mani della coa­li­zione Al Fajr (Alba), for­ma­zione che va dai Fra­telli musul­mani alla mili­zia Scudo di Misu­rata. Come si ricor­derà nel 2013 il gene­rale Al Sisi ha depo­sto il pre­si­dente Morsi, mas­sa­crato e messo fuori legge i Fra­telli musul­mani. E ora le mili­zie del Calif­fato pun­tano alla con­qui­sta di Misu­rata, gover­nata appunto dalle stesse forze di Tripoli.
Non ti sem­bra che, anche sta­volta, venga taciuto l’interesse ita­liano, ormai deci­sivo, riguardo alle nostre fonti di approv­vi­gio­na­mento energetico?
Que­sto aspetto invece è fon­da­men­tale. Ma Renzi lo tace, anche per­ché la situa­zione dell’Eni in que­sto momento è pastic­ciata e inge­sti­bile. Dopo gli scan­dali legati all’Algeria e soprat­tutto per la crisi in Ucraina che, alla fine, ha sostan­zial­mente pena­liz­zato l’Unione euro­pea e in par­ti­co­lare l’Italia, visto il disa­stro della can­cel­la­zione del South Stream, il fon­da­men­tale mega-progetto di gasdotto euro­peo. Secondo me in que­sta fase - e non solo per l’insicurezza deri­vata dalla guerra per bande ma anche per il mer­cato stor­nato verso altri lidi -, l’Eni non è in grado di estrarre nem­meno un litro di petro­lio dai gia­ci­menti libici.
Come mai tanta arro­ganza e mio­pia del governo ita­liano in que­sta fase della crisi mon­diale?
È per­ché, in modo scel­le­rato, manca una poli­tica estera, una vera diplo­ma­zia ita­liana. Renzi dice che la Libia è uno «Stato fal­lito». E chi l’ha fatto fal­lire se non la guerra del 2011 voluta a tutti i costi dalla Fran­cia di Sar­kozy? Dimen­ti­cano che con quella guerra fug­gi­rono milioni di lavo­ra­tori migranti e di libici, dei quali ora un milione è in Egitto e 600mila in Tuni­sia. Voglio ricor­dare che quando gli aerei della Nato bom­bar­da­vano la Libia nel marzo del 2011, io ammo­nivo «la Libia diven­terà una nuova Soma­lia». È quello che è acca­duto. Ora va coin­volto, in una fun­zione di media­zione inter­na­zio­nale l’alta per­so­na­lità di Romano Prodi, già inviato spe­ciale nel Sahel dell’Onu, che ha espresso più volte la sua con­tra­rietà alla solu­zione mili­tare, e che è visto come inter­lo­cu­tore anche dalle attuali auto­rità di Tri­poli. Subito, prima che sia troppo tardi.
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