«Da quasi vent'anni Berlusconi schianta la giustizia sugli scogli dei propri guai giudiziari, e divide il paese. E' giunta l'ora di finirla»
. il manifesto, 25 agosto 2013
È proprio un indecente teatrino, questo dell'agibilità politica di Berlusconi». L'ultima trovata è l'amnistia, per cui abbiamo anche una sponsorizzazione ministeriale che fa riflettere. La legge costituzionale del 1992 riformò l'articolo 79 sull'amnistia e l'indulto, prevedendo una maggioranza di due terzi dei componenti. All'avvio della stagione di tangentopoli fu un forte segnale contrario a clemenze facili e «politiche». Il percorso è impervio. Ma proprio per questo è singolare l'uscita dei ministri Cancellieri e Mauro. Sanno che una simile maggioranza di fatto non esiste nei numeri parlamentari. Sanno che il maggior partito che sostiene l'esecutivo è contrario. Sanno che Letta cerca disperatamente di separare le sorti del governo da quella personale di Berlusconi. Come è possibile allora che sponsorizzino l'amnistia, quasi manifestassero la propria opinione in un seminario di politologi? È un siluro dall'interno? È una presa d'atto che la barca fa acqua? È una captatio benevolentiae a futura memoria? Fra i tanti sintomi di salute precaria di un governo nato in provetta, questo non è da poco.
Ieri su queste pagine Andrea Fabozzi ha sostenuto che l'occasione è da cogliere, per la necessità impellente di ridare condizioni umane alle carceri, e perché - riguardando comunque molti - sarebbe un male minore e fatto alla luce del sole rispetto a strappi più gravi o occulti fatti nel solo nome di Berlusconi. Un'opinione che non condivido. Anzitutto, ridare umanità alle carceri attraverso la sola clemenza è illusorio. Per avere risposte durature è necessaria una strategia integrata che contemperi una tutela incisiva della legalità con adeguate risorse per una vita dignitosa nelle carceri, il recupero, il reinserimento, il contrasto preventivo al bisogno, il rafforzamento degli strumenti di crescita civile, di coesione sociale, di solidarietà. Di una simile strategia nemmeno si parla in queste ore, e mancherebbero le risorse se si volesse metterla in campo. Mentre l'esperienza dimostra che, se manca, gli effetti della clemenza sono effimeri, e il sovraffollamento si riproduce in breve. Una percentuale elevata di chi esce dal carcere vi rientra, e non è certo un caso che tornino dentro gli emarginati e i poveracci piuttosto che i colletti bianchi. L'effetto ultimo è che la clemenza è letta dalla pubblica opinione come debolezza dello stato ed evanescenza della legalità, dagli apparati volti alla repressione dei reati come prova di inutilità del proprio impegno, e da chi esce dal carcere per poi rientrarvi come illusione e inganno. Lo strappo è sostanzialmente inutile, oltre che grave. Vi sono paesi che puntano sul carcere. A quanto si sa, la popolazione carceraria degli Stati uniti supera i due milioni - in proporzione, molte volte quella italiana. La Cina segue a qualche distanza. Ma anche paesi europei, ad esempio la Gran Bretagna, registrano cifre superiori a quelle italiane. C'è un ampio dibattito sull'efficacia di simili strategie. Si discute del giusto rapporto tra repressione carceraria, tutela della legalità, lotta alla povertà, al bisogno, all'ignoranza. Ma non è civile un paese - il nostro - in cui non si valuta affatto un corretto bilanciamento di interessi, e non si mettono in campo politiche mirate a risposte strutturali. E non è di sinistra l'ipotesi che - nell'inerzia complessiva - si giunga a una amnistia berlusconiana. Non basta l'argomento che almeno avremmo un provvedimento in chiave di eguaglianza. Sappiamo tutti che l'amnistia si concederebbe solo perché Berlusconi la pretende, e non per tutte le altre ragioni che potrebbero sostenerla. Nella realtà della politica sarebbe una concessione a lui, un riconoscimento delle sue ragioni, un sostanziale avallo dell'assurda tesi della persecuzione giudiziaria. In questo la gravità dello strappo, non minore degli altri perché ugualmente connotato dall'uso del poteri pubblici per le ragioni di uno. Un'essenza di arbitrio sotto l'apparenza di norma generale e astratta.