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Judith Butler e Paola Rudan
«Allarmi ignorati da anni. I flussi vanno contenuti»
4 Settembre 2016
Vivere a Venezia
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«L’analisi di Gherardo Ortalli, a capo dell’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. "È mancata qualsiasi politica di programmazione, superato il limite massimo"». La Nuova Venezia, 4 settembre 2016 (m.p.r.)

Venezia. Trenta milioni di turisti l’anno, di cui i due terzi escursionisti giornalieri. Palazzi ed ex conventi che diventano alberghi, appartamenti trasformati in affittacamere e bed and breakfast, posti letto moltiplicati e diventati oltre 50 mila, come gli abitanti della città. B&B passati da pochi anni da 96 a 2727, mentre gli alberghi a quattro stelle sono diventati 116, il doppio del 2010, quelli a cinque stelle 21 (quando erano soltanto 5). Senza contare gli appartamenti affittati «in nero». Una valanga che rischia di travolgere il fragile equilibrio della città storica.

Allarmi ignorati, una tendenza che nessuno ha mai cercato di fermare o di invertire sotto la spinta degli interessi di categoria e dei guadagni facili legati al turismo di massa. Preoccupazione che adesso viene rilanciata dopo l’estate calda veneziana. Il degrado e la maleducazione dei turisti, gli allarmi finiti sui giornali di mezzo mondo. Sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che minaccia la sopravvivenza di Venezia. Cifre e analisi contenute in un voluminoso dossier messo a punto dalla sezione veneziana di Italia Nostra, consegnato qualche mese fa al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e alla sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni dopo un convegno organizzato all’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti.
Un quadro preoccupante dopo l’ultimatum dell’Unesco che minaccia di escludere Venezia dai siti Patrimonio dell’Umanità se non saranno presi provvedimenti nei prossimi mesi. Gherardo Ortalli, presidente dell’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti, non si stupisce.
«Da molti anni», attacca, «sappiamo bene quale sia la situazione. Esistono studi molto seri che tracciavano un quadro preciso e indicavano i limiti fisici di accoglienza di questa città».

Ad esempio? «La ricerca di Paolo Costa e Jan van der Borg alla fine degli anni Ottanta. Si fissava un limite preciso al numero dei turisti. Ventimila giornalieri, sette milioni l’anno che la città poteva sopportare senza esserne snaturata. Ma l’asticella è stata sempre alzata. Risultato, oggi siamo a 30 milioni: evidentemente il parere degli esperti e degli studiosi non interessa nessuno».

Non è un problema solo veneziano, il turismo aumenta. «Certo è un problema generale. Ma per Venezia, com’è ovvio, è molto più grave di altri. Siamo un’entità ridotta, finita, non ci possiamo espandere come gli altri». Il turismo da risorsa si sta trasformando in un problema. «La situazione è sotto gli occhi di tutti». Sono stati fatti nel passato e in tempi recenti errori che hanno portato a questo? «La prima cosa da dire è che è mancata una programmazione. La politica non è stata capace di progettare il futuro, di capire che bisognava pensare in grande, prevedere cosa sarebbe successo di lì a poco».
Leggi regionali sulle attività ricettive che equiparano Venezia alle aree in via di sviluppo non hanno aiutato. «Certamente. Ma anche le gestioni comunali non hanno messo regole. In questi ultimi anni è successo di tutto. Gli allarmi che venivano lanciati sono stati tutti ignorati». È troppo tardi per invertire la rotta? «In un recente libretto pubblicato dal Fontego ho scritto che Venezia è una città che non esiste più, un quartiere di una grande realtà. Magari è una frase un po’ dura, ma il concetto è quello. La città viene svuotata di abitanti e funzioni, i turisti sono troppi, il degrado avanza».
Una cosa da fare subito. «Il contenimento degli arrivi, il controllo dei flussi, i terminal». Anche di questo si parla da decenni. Ma non si è fatto nulla. Nemmeno i terminal alternativi, il biglietto unico e la prenotazione obbligatoria. «Certo. Ci sono oggi tanti progetti e idee che il governo non ha mai preso in considerazione. Credo si dovrebbe avviare una analisi comparata a livello scientifico. E scegliere una strada che ci consenta di intervenire. Con questo trend Venezia rischia grosso, e ormai se ne sono accorti tutti. Bisogna fare qualcosa».
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