loader
menu
© 2024 Eddyburg
Tomaso Montanari
Allarme Giotto “Quel restauro è una minaccia per gli affreschi”
19 Febbraio 2015
Beni culturali
Agire senza riflettere, valutare,

condividere è un errore. Più avviene su beni comuni ( il patrimonio culturale, la convivenza ecc.) più devastanti gli effetti. La Repubblica, 19 febbraio 2015

Giotto, Simone Martini, Pietro Lorenzetti: gli affreschi trecenteschi della Basilica di San Francesco ad Assisi, forse i testi più sacri della storia dell'arte italiana, sono in pericolo. A minacciarli non è un terremoto o una guerra, ma ­ – come avviene sempre più spesso – un restauro troppo sicuro di sé.

La Direzione Generale per le Belle Arti del Ministero per i Beni Culturali – ora guidata dall'architetto Francesco Scoppola, già direttore proprio dell'Umbria – è «allarmatissima», ed ha disposto un sopralluogo i cui esiti non sono stati affatto rassicuranti. L'attenzione si è concentrata sulla manutenzione degli affreschi di Lorenzetti, attualmente in corso nel transetto sinistro della Basilica inferiore, e sulla pulitura del paramento di pietra del Subasio. Le parti di quest'ultimo già restituite alla vista sono scioccanti: un effetto 'pizzeria' che contrasta violentemente con le zone sulle quali non si è ancora intervenuti.

Ma a preoccupare è soprattutto ciò che si vede dall'altra parte del transetto, e nella cappella di San Nicola. Qui il restauro si è già concluso, ed è possibile valutarne gli effetti. Che ­ – per chiunque conoscesse bene questi affreschi – sono impressionanti: non siamo più di fronte alle stesse opere. Qui è attiva la bottega di Giotto, intorno al 1315: e almeno nella Crocifissione è possibile ravvisare un suo stesso intervento. Ebbene, proprio il celebre gruppo della Madonna che sviene ai piedi della Croce ha ora una scalatura cromatica e un chiaroscuro completamente diversi da quelli noti. Accanto, le sublimi mezze figure di Santi affrescate poco dopo (1317-19) da Simone Martini sono ancor più cambiate: appiattite, e prive di alcuni dettagli della decorazione. E la Madonna al centro del trittico nella Cappella di San Nicola ha completamente (e irreversibilmente) perso il suo manto.

Cos'è dunque successo? Il restauratore – Sergio Fusetti, che tutti ricordano nelle drammatiche immagini del 1997, quando si salvò per miracolo dal crollo della vela di Cimabue nella Basilica superiore – è un professionista preparato e stimato. Tuttavia, questi restauri sono stati circondati da una singolare aura 'mediatica'. Nel luglio del 2012 fece scalpore l'invito a Patti Smith a 'restaurare' una minuscola porzione degli affreschi giotteschi: cosa che la cantante prontamente fece, a favore di fotocamere. E poco dopo si sostenne di aver trovato nientemeno che la 'firma' «GB»: cioè «Giotto Bondone», come fossero le iniziali su una camicia.

Bruno Zanardi – che ha restaurato, tra l'altro, gli affreschi della Basilica Superiore, e ora insegna Storia del restauro all'Università di Urbino ­– appare turbato: «Avevo visto il cantiere nel 2011, e l’impressione era stata d’un buon lavoro, eseguito da un restauratore che sapevo bravo e esperto. Invece quando sono tornato un paio di mesi fa in Basilica con i miei allievi ho avuto una sensazione molto diversa. Ho visto un diverso e innaturale emergere dei chiari di visi, manti, fasce decorative, unito a un forte compattamento dei cieli. Quasi l’intervento fosse stato un restauro, quindi una pulitura, un lavaggio, seguito da una reintegrazione con acquarelli. Non una semplice manutenzione, cioè una spolveratura con pennelli di martora. Ricordavo gli incarnati dei santi angioini affrescati da Simone Martini, come fusi nel vetro per la meravigliosa assenza di ogni sforzo tecnico nella loro esecuzione. Mentre oggi sono “solo rosa”».

I dubbi sugli esiti del restauro si sommano a quelli sul modo in cui esso è stato gestito. Si può dire che nella Basilica di Assisi sia stato tenuto a battesimo il moderno restauro italiano: qui iniziò ad operare, nel 1942, il neonato Istituto Centrale del Restauro, che vi ha poi lavorato fino al 2006. Negli ultimi anni, invece, il legame tra Basilica e Istituto si è spezzato, anche a causa del definanziamento col quale gli ultimi ministri per i Beni culturali hanno progressivamente ucciso questa istituzione cruciale per la sopravvivenza del nostro patrimonio artistico. Una delle conseguenze è che i Frati hanno deciso di 'fare da soli', passando da uno dei collegi di ricercatori e restauratori più affidabili al mondo, alla ditta privata di un singolo restauratore. La direzione è stata assunta direttamente dal soprintendente dell'Umbria (che per un periodo sosteneva anche un interim in Calabria!), senza creare un comitato scientifico 'terzo' rispetto a chi conduceva il restauro: un passo doveroso, nel caso di opere tanto importanti (recentemente lo ha fatto, per esempio, l'ambasciatore francese in Italia, prima di far toccare la Galleria di Annibale Carracci in Palazzo Farnese).

Perché questo è il punto: il restauratore può benissimo sostenere di aver eliminato ridipinture, o reintegrazioni più tarde. Ma questa discussione andava fatta prima, e non dopo. Quel che non doveva succedere è che il restauratore fosse solo a decidere se, e quanto, intervenire: perché indietro non si torna, e quegli affreschi sono un inestimabile bene comune. Se i filologi avessero il potere di cambiare per sempre il dettato di un verso di Dante in tutte le copie della Commedia, sarebbe pensabile che a farlo fosse solo uno di loro? Bisognerebbe prima parlarne a lungo, per poi magari decidere che è meglio rischiare di tenersi un'integrazione tarda, che perdere un pezzo di originale.

Ormai otto anni fa, proprio sulle pagine di «Repubblica», Salvatore Settis e Carlo Ginzburg proposero inutilmente che una pausa di riflessione fermasse i restauri che incessantemente reintervengono sui testi fondamentali della nostra tradizione: «Togliere una velatura da una tavola, un ritocco a secco da un affresco, un elemento che fa parte della stratificazione storica dell'opera, equivale a bruciare la pagina di un testo che ci è arrivato in un unico manoscritto ... È giusto che una generazione si arroghi il diritto di intervenire drasticamente, trasformandola in maniera irreversibile, su una parte così cospicua, qualitativamente e quantitativamente, della tradizione artistica italiana?».

Prima che i ponteggi passino alle Vele di Giotto, alla cappella di San Martino e poi magari alla Basilica Superiore e alle grandi storie di Francesco con le quali Giotto fondò l'arte italiana, è forse il caso che il lavoro si fermi, che il Mibact intervenga, che si apra una vera discussione.

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg