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Internazionale 18 gennaio 2018
È una sorta di cambio generazionale. Il 14 gennaio l’intero apparato dirigente palestinese ha constatato la totale impasse di quello che non possiamo più chiamare processo di pace e ha minacciato di sospendere il riconoscimento di Israele fino a quando lo stato ebraico non riconoscerà uno stato palestinese all’interno delle frontiere del 1967.
Mahmoud Abbas, presidente dell’autorità palestinese, ha definito “lo schiaffo del secolo” la decisione di Donald Trump di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, che la Casa Bianca considera ormai come la capitale di Israele e non più come una città da dividere, un giorno, in due capitali di due stati diversi. In questa riunione di uomini anziani, ormai consapevoli di aver fatto il loro tempo senza ottenere risultati, si percepiva una rabbia fredda.
La determinazione di Ahed
Nel 2012, quando Ahed aveva 12 anni, era già diventata famosa agitando il pugno verso un altro soldato minacciando di “rompergli la testa”. Un anno fa aveva morso un altro militare per impedirgli di interrogare suo fratello. Ora è arrivato lo schiaffo, filmato dalla madre e diventato virale sui social media.
Nata in una famiglia che ha scelto la non violenza, incarna una nuova generazione palestinese che non crede più al processo di pace Definita da Haaretz, quotidiano di riferimento israeliano, la “Giovanna d’Arco palestinese”, Ahed rappresenta per la giustizia militare un problema irrisolvibile, perché la sua liberazione le avrebbe permesso di presentarsi come un’eroina al processo mentre la sua detenzione la rende una martire, una ragazzina vittima dei soprusi di un’esercito potente.
I giudici militari hanno scelto di confermare la detenzione di Ahed considerandola il rischio minore. In ogni caso è evidente che questa adolescente, nata in una famiglia che ha scelto la non violenza, incarna una nuova generazione palestinese che non crede più al processo di pace e nemmeno alla soluzione dei due stati, decisa a battersi solo per il riconoscimento dei propri diritti e della propria dignità.
Il fallimento del negoziato ha insegnato a questa generazione che oggi essa non vive nella virtualità della Palestina, ma nella realtà di uno stato di Israele che comprende la Cisgiordania, uno stato unico a cui chiedere diritti civili, più difficili da rifiutare rispetto a un insieme di frontiere, uno stato e una capitale.
R.it 16 gennaio 2018
GERUSALEMME, PROLUNGATO IL CARCERE
(AsiaNews/Agenzie) – La corte militare israeliana di Ofer - 140 km circa a nord di Gerusalemme - ha prolungato per la quarta volta la detenzione di Ahed Tamimi, adolescente palestinese di 16 anni protagonista di un video virale in cui schiaffeggia un soldato israeliano, si apprende da AsiaNews. All’udienza di ieri, oltre alla famiglia della ragazza erano presenti personalità diplomatiche straniere e attivisti per i diritti umani. Il suo caso verrà esaminato di nuovo domani dopo “ulteriori indagini”.
Il video risale al 15 dicembre. Saputo che il cugino di 15 anni era stato ferito da un colpo alla testa ravvicinato durante una protesta, Tamimi si era scagliata contro i soldati israeliani entrati nel suo villaggio vicino Ramallah, che non hanno reagito. La giovane è stata poi arrestata nella notte del 19 dicembre. Gaby Lasky, avvocato della giovane militante, accusa le autorità israeliane di violare la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, secondo cui il carcere per un minore deve essere “un provvedimento di ultima risorsa e avere la durata più breve possibile”.
Su di lei pendono anche altri reati. Su Tamimi pendono una decina di capi d’accusa anche per fatti passati, fra incitamento, assalto e lancio di pietre, per le quali le autorità non l'avevano mai perseguita. Il procuratore militare chiamerà 18 testimoni, per lo più soldati. Il processo potrebbe durare diversi mesi. Le corti militari israeliane negano ai minori palestinesi il rilascio su cauzione nel 70% dei casi. Un rapporto Unicef del 2013 riporta che quasi tutti i bambini e ragazzi si dichiarano colpevoli per ridurre la detenzione preliminare.
Ogni mese sono detenuti da Israele in media tra i 200 e i 300 minori. Fonti: No Way to Treat a Child, Military Court Watch, Save the Children, Addameer
Come vengono trattati i minori arrestati? Dalle interviste ai minori che sono stati detenuti, dal materiale video e dalle testimonianze degli avvocati emerge che le forze di sicurezza israeliane usano forza e violenza non necessarie durante l’arresto e la detenzione dei minori, che sono a volte picchiati e spesso tenuti in condizioni non sicure e pericolose. Fonte: HRW.
Arresti violenti: Molti minori sono arrestati in piena notte, svegliati nelle loro case da irruzioni di soldati pesantemente armati. Molti sono svegliati dai soldati che picchiano sulla porta d’ingresso, lanciano granate stordenti e ordinano urlando alla famiglia di uscire dalla casa. Bambini e ragazzi raccontano di essere terrorizzati dalle irruzioni dei soldati, che spesso distruggono mobili e finestre, lanciano accuse e minacce verbali e costringono i familiari a uscire di casa svestiti mentre i minori imputati sono portati via con la forza. Vengono date spiegazioni vaghe come “viene con noi, ve lo riporteremo dopo” o viene detto semplicemente che il minore è “ricercato”. Solo in pochi casi viene comunicato dove, perché o per quanto tempo il minore sarà detenuto. Fonte: UNICEF
Altri minori sono stati arrestati mentre giocavano o appena usciti da scuola, davanti a tutti i loro amici. A volte vengono presi a calci, picchiati o soffocati durante l'operazione. Le manette di plastica sono regolarmente strette al punto da provocare lesioni e ferite ai polsi. Quasi tutti sono bendati e legati durante il trasferimento, e la maggior parte riporta di aver subito violenza fisica durante l’arresto (fonte: DCI).
Interrogatori traumatici e illegittimi: Le forze di sicurezza israeliane sottopongono regolarmente i minori a interrogatori violenti che durano intere settimane, senza la presenza dei genitori. Usano intimidazioni, minacce e violenze fisiche, con il chiaro intento di costringere il minore a confessare. I minori sono tenuti legati durante l’interrogatorio, spesso alla sedia su cui sono seduti. Questa pratica può continuare per ore, causando dolore a mani, schiena, gambe e sfinimento. I minori sono stati minacciati di morte, isolamento e violenze fisiche e sessuali, contro di loro o i loro familiari.