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Guido Crainz
Agonia di regime
14 Aprile 2011
Articoli del 2011
Se non c’è una proposta politica alternativa sarà difficile sradicare la presa che il Caimano esercita. su una parte consistenete degli italiani. La Repubblica, 14 aprile 2011

Perché il consenso alla maggioranza non è ancora crollato, nonostante il premier abbia superato ogni limite e il Popolo della libertà sia lacerato dalle divisioni? Il moltiplicarsi delle rissose correnti del Pdl fa impallidire il ricordo della peggior Dc. Quella Democrazia Cristiana evocata dallo Sciascia di Todo modo, per intenderci. E così nei giorni scorsi Libero ha cercato di scongiurare il fantasma di un Berlusconi "bollito" (il termine è del quotidiano) mentre Giuliano Ferrara ha lanciato un "avviso ai naviganti" per ricondurre bruscamente alla ragione i riottosi. Le sempre più affannate e affannose esibizioni del premier rendono chiarissimo il suo obiettivo, incompatibile con un Paese civile –umiliare la magistratura e renderla subalterna al potere politico- e diventano al tempo stesso dei clamorosi autogoal. Si pensi solo all´ultima (per ora) menzogna sul caso Ruby: «L´ho pagata perché non si prostituisse»: come se fosse del tutto normale per i presidenti del consiglio frequentare fanciulle con simili vocazioni.

Perché, allora, quella parte del Paese che ancora sostiene il premier non mostra visibili e sostanziose crepe, trangugia escort e Stracquadanio, il rientro di Scajola e l´evocata uscita dall´Europa, le barzellette più squallide e la paralisi dell´attività parlamentare, sacrificata per intero ai guai giudiziari del leader? Senza misurarsi con questo nodo sarà difficile iniziare a invertire una deriva. Sarà difficile anche impedire il diffondersi di ripiegamenti e di pessimistiche rinunce, di rinnovate forme di scetticismo e di conformistiche chiusure nel "particulare".

C´è in primo luogo da chiedersi se la residua capacità di tenuta del premier si fonda esclusivamente sull´assenza –o sulla flebilissima presenza- di un´alternativa politica. Sarebbe riduttivo pensarlo, rimuovendo così i più generali processi che hanno attraversato il Paese sin dagli anni ottanta. E che lo hanno plasmato in profondità nell´ormai lunghissima fase "berlusconiana", trasformandolo in quel "Paese del pressappoco" tratteggiato con amara ironia da Raffaele Simone: un Paese inesauribile, ad esempio, nel trasformare disastri pubblici in vantaggi privati. Propensione antica, colta già da Goethe nel suo Viaggio in Italia: le strade di Palermo, annotava, sono coperte di immondizie in disfacimento ma ciò è apprezzato dalla nobiltà che ha: «Interesse a mantenere uno strato così morbido alle sue carrozze per poter fare con tutto comodo la solita passeggiata su un terreno elastico».

Anche al Paese profondo rimanda dunque il nodo da cui abbiamo preso le mosse: di qui la difficoltà ma al tempo stesso l´urgenza di invertire la rotta. Di avviare, almeno, un´inversione di tendenza, prima che sia davvero troppo tardi. Prima che le lesioni alle istituzioni siano diventate irrimediabili. E sarebbe una vera iattura se il logoramento del premier si consumasse solo per via giudiziaria, in assenza di proposte credibili: il ruolo della politica è dunque primario, e sin qui le carenze dell´opposizione sono state indubbiamente gravissime. Una decina di anni fa, nella stagione dei "girotondi", si diffuse l´idea che fosse sufficiente dare nuovo slancio a sentimenti di opposizione, portare nelle piazze un´indignazione crescente. E che spettasse poi al centrosinistra raccogliere quello slancio, dargli corpo e prospettive. Che spettasse interamente ad esso, insomma, il passaggio "dalla protesta alla proposta", come si diceva un tempo. Nella crescente abdicazione a questo compito sta una delle radici della paralisi attuale: non vi è alcuna via d´uscita se non si è capaci di delineare in modo credibile "l´Italia che vogliamo", per citare il più efficace ma anche il più disatteso slogan del centrosinistra prodiano. E forse è necessario ricominciare passo dopo passo, con umiltà e rigore, provando a colmare anche su singole questioni lo stridente divario fra i nodi sul tappeto e le nebulose incertezze del dibattito politico attuale.

Si prendano alcuni degli aspetti più scandalosi di questa agonia di regime. È difficile denunciare in modo credibile una legge elettorale sciagurata, che condiziona le dinamiche politiche e favorisce la compravendita dei deputati, se non è in campo una proposta alternativa su cui le opposizioni concordino (lo si è visto anche a dicembre, nel momento di maggior debolezza del premier). Sullo sfondo vi è, naturalmente, la riflessione generale sul "bipolarismo" italiano: è possibile rianimarlo o occorre prender atto che non è mai realmente nato e che il suo simulacro innesca oggi dinamiche ben poco virtuose? E´ un nodo intricato, certo, ma eluderlo contribuisce alla paralisi.

Si pensi anche ad un altro elemento di indecenza, la gestione della Rai: si è aperta anche qui una spirale senza ritorno che costringe costantemente la maggioranza ad alzare il tiro, a sbarazzarsi delle voci che pongono dubbi e aiutano a riflettere. È impossibile spiegare a un osservatore straniero l´ostracismo dato a Vieni via con me, e i veti alla sua ripresa. È difficile spiegargli perché siano duramente osteggiate anche altre trasmissioni di qualità, che pur stanno portando consistenti introiti alla televisione pubblica: da Report a Parla con me o a Che tempo che fa. E mentre si studiavano improponibili contrappesi e alternanze per togliere spazi a Floris e Santoro si accresceva la faziosità del telegiornale di Minzolini creandogli una "coda" rafforzativa. Anche su questo terreno, però, è difficile condurre battaglie credibili se non è sul tappeto un´ipotesi elementare di riforma della Rai che la ponga al riparo sempre, qualunque sia il governo, da guasti come questi. Per non parlare naturalmente del conflitto di interessi: ricordando però che entrambi i nodi sono stati colpevolmente lasciati marcire dal centrosinistra negli anni in cui ha governato.

Infine, è difficile dare sbocchi alla ripresa del protagonismo collettivo, che pur si è manifestata, senza delineare scenari convincenti per il futuro. Si pensi, per fare l´esempio più recente, alla protesta dei lavoratori precari: difficile che possa ampliarsi e trovare continuità se non prende corpo in sede politica una proposta concreta, capace di raccogliere esigenze e ipotesi –pur diverse fra loro- che sono state avanzate anche nei giorni scorsi.

Sono solo alcuni esempi ma rimandano a un elemento centrale: la necessità di verificare sin da subito se è possibile costruire un terreno comune alle differenti e non omogenee "anime" e forze politiche del Paese realmente convinte che occorra voltare pagina prima che sia troppo tardi.

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