Con la decisione dell'Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione che ha completato il controllo per così dire di "legalità ordinaria" dei quesiti referendari sull'acqua bene comune si è compiuto un altro piccolo ma significativo passo avanti istituzionale nella direzione giusta. Non era tanto il controllo formale di validità di almeno mezzo milione di firme a preoccupare, visto che il Forum ne aveva consegnate e certificate quasi il triplo.
Preoccupava invece una possibile confusione fra il limpido e charissimo disegno tecnico-giuridico contenuto nei nostri tre quesiti e l'ambigua formulazione del quesito referendario presentato dall' Italia dei Valori. Confusione che si era temuta, vista la proposta dell'Ufficio centrale per il referendum di accorpare il nostro secondo quesito volto ad abrogare i modelli privatistici formali di gestione (Spa indipendentemente dalla natura pubblica o privata dell'azionariato) con quello dipietrista, che invece fa salva la gestione inhouse formalmente privatistica. L'accorpamento non c'è stato e quindi la Corte Costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi entro il 15 febbraio sulla "legalità costituzionale" della nostra operazione complessiva.
Naturalmente, il controllo di legalità ordinaria non è limitato alla validità delle firme ma si estende al controllo circa la vigenza formale delle leggi sottoposte a referendum, cosa non del tutto banale in un quadro normativo complesso come quello attualmente vigente, in cui si sono susseguiti negli anni molti interventi legislativi tanto contingenti quanto capaci di far scivolare il referendum su una buccia di banana. Per noi redattori dei quesiti, quindi, c'è la soddisfazione di essere riusciti a ricostruire in poco tempo un edificio referendario congruente con i criteri di legalità formale richiesti (il referendum nel nostro ordinamento è solo abrogativo) ma tuttavia capace di proporre un quadro radicalmente innovativo, che ieri la Cassazione ha riconosciuto coerente al suo interno.
Se tutto il nostro impianto riuscirà a passare indenne anche il vaglio della Corte Costituzionale, in giugno gli elettori avranno di fronte una scelta di grande chiarezza e radicalità: continuare nel processo di progressiva "recinzione" del bene comune acqua o finalmente invertire la rotta?
È evidente che questa domanda, che abbiamo posto sul piano tecnico in modo assolutamente prioritario per l'acqua, coinvolge sul piano politico l' intero sistema dei beni comuni, toccando una quantità di interessi di grande delicatezza e valore. Non sorprende quindi affatto che la copertura mediatica continui ad essere quasi completamente assente in modo ormai imbarazzante dal punto di vista democratico.
C'è da augurarsi che le cose cambieranno se la Corte Costituzionale nel proprio giudizio di costituzionalità del nostro impianto sarà a a sua volta disposta a riconoscerne la piena coerenza con la Costituzione. Nel farlo essa avrebbe certo la prerogativa costituzionale di spingersi, con sentenza manipolativa, a dichiarare incostituzionale la Legge Ronchi qualora la data certa dei suoi effetti (a oggi il 31-12-2011) non venisse a sua volta procrastinata di un anno nell'ipotesi in cui il Parlamento dovesse essere sciolto, con conseguente rinvio del referendum ad una data del 2012 (successiva quindi agli effetti "saccheggiatorii" della legge che si vuole abrogare).
Questa sarebbe una bella ed innovativa giurisprudenza costituzionale, che darebbe prestigio alla Corte rendendola garante del rispetto della volontà del popolo sovrano che deve esprimersi in modo rilevante (e non dopo che il bottino è stato sottratto) su una questione troppo importante per passare sotto silenzio.