Un'altra prevaricazione dell'economia (capitalistica) sul diritto. L'erogazione dell'acqua è un servizio pubblico di "rilevanza economica" che deve assoggettarsi alle regole di mercato, non c'è diritto che tenga. economiaepolitica, 10 luglio 2017 (i.b)
Qualche settimana fa il Consiglio di Stato ha respinto, in via definitiva, i ricorsi presentati dal Codacons, da Federconsumatori e dall’Associazione Acqua Bene Comune Onlus contro il metodo tariffario approvato nel 2012 dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (Aeegsi) per calcolare la tariffa che gli utenti devono pagare ai loro gestori per la fornitura e il trattamento delle acque.
Le associazioni dei consumatori e i proponenti dei referendum per l'acqua pubblica del 2011 lamentavano il fatto che l’Aeegsi non avesse rispettato, nell’elaborazione dei metodi di calcolo, gli esiti del secondo referendum che aveva abolito dal calcolo delle tariffe idriche l’«adeguatezza della remunerazione del capitale investito» con il voto di oltre 26 milioni di italiani.
Volendo riassumere brevemente le motivazioni del Consiglio di Stato, si potrebbe dire che, secondo il supremo giudice amministrativo, ai sensi della normativa italiana ed europea attualmente in vigore il servizio idrico è un servizio ‘a rilevanza economica’ e, dunque, anche per tale servizio vale la regola per cui tutti i costi devono essere coperti dalla tariffa secondo il principio del “full cost recovery”. In presenza di tale principio, il diritto deve fare un passo indietro e lasciare il campo alla scienza economica che è la sola legittimata a stabilire quali voci di spesa rientrino effettivamente tra le nozioni di costo e, di conseguenza, debbano essere coperte dalla tariffa e pagati dagli utenti finali.
Il collegio peritale – composto da tre professori uno della Sapienza Università di Roma, uno dell’Università di Roma Tor Vergata e uno dell’Università LUISS “Guido Carli”, designati dai rispettivi Rettori – ha stabilito che «le formule e i parametri diretti a calcolare il tasso di interesse di riferimento e la componente di copertura della rischiosità rientrano nei limiti di attendibilità e di ragionevolezza del settore tecnico-scientifico dell’economia industriale, sotto il profilo della loro idoneità a riflettere la componente tariffaria strettamente limitata alla copertura dei costi del capitale investito. Inoltre, sono in linea con le pratiche della regolamentazione in ambito nazionale ed internazionale» [2]
Insomma gli interessi sul capitale proprio investito si devono pagare in ogni caso perché rientrano nel principio di totale copertura dei costi come ci insegna la scienza ‘esatta’ dell’economia industriale.
Non vi può essere, dunque, alcuna attività a rilevanza economica che escluda dai propri conti il costo del capitale proprio investito e nessun referendum popolare potrebbe stabilire il contrario.
Del resto il quesito referendario del 2011, secondo l’interpretazione del Consiglio di Stato, è stato pienamente rispettato, dal momento che la remunerazione del capitale investito non deve essere più «adeguata» e, dunque, non assicura una posizione di ‘rendita’ prefissata una volta per tutte dal legislatore, ma è stabilita direttamente dai mercati finanziari e trasferita poi nella tariffa idrica attraverso la complicata formula matematica elaborata dall’Aeegsi che garantisce agli utenti finali l’assenza di aggravi o duplicazioni e cioè la piena economicità del servizio.
Insomma il secondo quesito referendario del 2011 è stato del tutto inutile: il servizio idrico è un servizio pubblico locale a rilevanza economica da gestire secondo le leggi del mercato. Non basta eliminare l’adeguatezza della remunerazione del capitale per rendere il governo e la gestione dell’acqua estranei alle logiche del profitto.
Ciò è il segnale di un processo molto preoccupante e ancora in corso: il progressivo appiattirsi del diritto sulla scienza economica. Tale processo avviene in due modi: da un lato attraverso un’interpretazione della normativa in vigore che privilegia le ragioni dell’efficienza economica su quelle della natura del servizio pubblico, dall’altro con l’ingresso diretto della scienza economica, attraverso lo strumento della consulenza tecnica, all’interno della decisione giudiziaria.
Il primo punto è stato messo in luce già qualche anno fa dal giurista francese Alain Supiot che ne aveva individuato le ragioni nel fatto che «La struttura linguistica e il mercato appaiono dunque oggi come i due punti di riferimento attorno ai quali le scienze sociali strutturano la loro ricerca delle leggi sotterranee che governano le questioni umane» [3]. La prova di ciò sta nel fatto che proprio la locuzione “rilevanza economica” applicata al servizio idrico integrato funge da paradigma linguistico attraverso cui il mercato entra prepotentemente nel settore dell’acqua. Tale locuzione dal punto di vista del diritto ha una duplice funzione, da un lato, serve a far rientrare anche i servizi idrici all’interno dei servizi pubblici locali in regime di libera concorrenza sia pure di concorrenza per il mercato e non di concorrenza nel mercato; dall’altro, serve a far rientrare la materia dell’affidamento dei servizi idrici all’interno della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza. Sono questi i motivi per i quali il legislatore italiano nel 2003 ha sostituito il concetto di «rilevanza industriale» con quello più ampio e indefinito di «rilevanza economica» per definire le caratteristiche di quei settori nell’ambito del servizio pubblico locale nei quali si doveva procedere con affidamenti mediante procedure ad evidenza pubblica [4].
Il secondo punto, cioè quello che si riferisce all’ingresso diretto della scienza economica nelle decisioni che riguardano la gestione del servizio idrico, trova la sua prova inconfutabile proprio nel fatto che i giudici del Consiglio di Stato si affidano alla consulenza tecnica di tre economisti per definire se le tariffe idriche vengono calcolate correttamente attraverso il metodo elaborato dall’Aeegsi. Solo la scienza economica può dire, infatti, al diritto come comportarsi per il calcolo delle tariffe determinando così una vera e propria identificazione della razionalità giuridica con quella economica.
La scelta politica viene così affidata esclusivamente al mercato senza lasciare alcuno spazio per una allocazione alternativa delle risorse affidata ad una diversa gerarchia di valori come quella che sta alla base della scienza giuridica.
Anche questo rischio era stato identificato qualche anno fa da un sociologo da poco scomparso, Ulrich Beck, il quale aveva sottolineato come le decisioni su come guidare i processi di investimento non sono tanto il risultato di una decisione diretta dei vertici imprenditoriali, quanto un effetto collaterale: «È importante sottolineare che il metapotere di indirizzare gli investimenti non dipende da vertici manageriali che perseguono attivamente un disegno politico. Piuttosto, accade loro di fare “politica” come effetto collaterale. Il loro coinvolgimento non è né politico né non-politico è una sorta di sub-politica globale» [5].
Resta il problema di capire fino in fondo quali siano i modi per evitare la concentrazione delle risorse finanziarie in un settore quale quello dell’acqua in cui la progressiva “depubblicizzazione” ha permesso l’ingresso di un numero rilevante di operatori privati. La strategia finora messa in campo dal Forum dei movimenti per l’acqua è stata quella di contrastare i processi di privatizzazione attraverso tutti gli strumenti giuridici a disposizione: prima con il ricorso a una legge di iniziativa popolare, che non è stata mai discussa dal Parlamento, poi promuovendo i referendum popolari del 2011, i cui esiti sono stati neutralizzati dal legislatore. Anche l’ultima forma di resistenza, quella di rivolgersi alla magistratura amministrativa contro le decisioni dell’Aeegsi ha portato a una sonora sconfitta.
Insomma si potrebbe dire che se gli italiani con il referendum del 2011 avevano provato a tirar fuori l’acqua dal sistema di mercato, ma l’intento non è stato raggiunto anche perché il collegio degli esperti di economia aziendale ha contribuito a far rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta: la teoria microeconomica dominante riconosce anche la remunerazione del capitale come esito spontaneo del mercato.
Si potrebbe dire, con Karl Polanyi, che una volta istituito il sistema di mercato «deve essere lasciato funzionare senza interferenze esterne. I profitti non sono più garantiti ed il commerciante deve realizzarli sul mercato. Si deve anche permettere che i prezzi si regolino da soli, ed un tale sistema autoregolato di mercati è ciò che intendiamo per economia di mercato» [6].
Tenendo conto del fatto che i referendum sull’acqua sono stati in grado di portare alle urne ventisei milioni di italiani in un periodo di elevata astensione politica, l’idea di una gestione pubblica dell’acqua potrebbe essere ancora in grado di smuovere una vasta partecipazione politica diretta a realizzare la redistribuzione dei benefici derivanti dall’utilizzo di una risorsa che va facendosi sempre più scarsa e, per questo, sempre più preziosa per l’intera comunità degli utenti, compresi quelli delle generazioni future.
Note
[1] Consiglio di Stato, sent. n. 2481 del 26 maggio 2017.
[2] Consiglio di Stato, sent. n. 2481 del 26 maggio 2017.
[3] A. Supiot, Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del diritto, Milano, 2006, p. 92.
[4] Mi si consenta di rinviare sul punto a S. Marotta, Le tariffe del servizio idrico integrato dopo il referendum, in «Munus», n. 3/2012, pp. 657-666.
[5] U. Beck, La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 233.
[6] K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 1974, p. 56.