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Renato Nicolini
Abusivismo forma della deriva autoritaria
17 Ottobre 2010
Recensioni e segnalazioni
Un libro utile per comprendere quanto l'habitat dell'uomo sia l'ultimo dei pensieri di chi ci governe. Affari e demagogia uniti nella lotta. il manifesto, 17 ottobre 2010

Il titolo del libro di Paolo Berdini, Breve storia dell’abuso edilizio in Italia, dal ventennio fascista al prossimo futuro (Donzelli editore), ne nasconde un po’ la natura. Si tratta anche di una storia, dai contributi originali come quello che, con malizia, nota l’origine dell’abusivismo nei trentuno «nuclei edilizi» e nelle dieci «borgate ufficiali » fuori Piano Regolatore (PRG) della Roma fascista; l’abusivismo romano è il percolato di quella politica d’immagine che gettava i più deboli e i più poveri fuori della città, perché non fossero visti, come si fa con la polvere sotto il tappeto. Ma è soprattutto un breviario laico, da portare con sé anche per le piccole dimensioni, per chi pensa che la politica sopravvive nell’intelligenza critica, dato lo stato comatoso dei partiti, e voglia rivedere da quest’angolazione, fondamentale quanto inconsueta, la storia d’Italia negli ultimi cinquant’anni.

La crisi italiana di oggi si può raccontare non solo con la parabola televisiva; ma anche come abbandono di ogni politica di difesa del territorio e dello spazio pubblico, fondata su regole e certezze, per far posto alla cultura della deroga. Questa storia dell’abusivismo in Italia ha il suo istant decisif nel 1966, frana di Agrigento, «causata dalla costruzione di 8500 vani in contrasto con lo norme urbanistiche». Le foto dei templi greci attorniati dalla “colata di cemento” fecero il giro del mondo. Il clima era quello delle denunce della speculazione romana di Antonio Cederna, de Le mani sulla città. Fiorentino Sullo tenta da ministro, «convinto che quello fosse il solo modo per attuare la riforma urbanistica», di «azzerare la rendita urbana». E perde. Non solo perché gli abusivi di Agrigento sono poi stati assolti, è come se da quel momento la cultura della deroga e dell’abuso sostituisse, passo dopo passo, la programmazione urbanistica.

Per colmo di beffa, ci sono quelli che irridono, in nome di un presunto riformismo liberista, ai «lacci e lacciuoli» del piano da sconfiggere con accordi di programma, o, come oggi vorrebbe Maurizio Lupi, per legge, con «l’assunzione della contrattazione tra pubblico ed interessi immobiliari come motore della pianificazione» (qualcosa che – ci dimostra l’Expo di Milano – non sempre funziona…). L’abusivismo scampato alla legge Sullo é sanato con un primo condono nel 1985. Morto come abusivismo di necessità, rinasce col motto «padrone in casa mia» di Silvio Berlusconi, con il secondo condono del 1994 ed il terzo del 2003. Col terzo condono, l’abusivismo, da tipico del Sud, sembra potersi diffondere ai tanti capannoni del Nord abbandonati dall’industria.

Da allora la metastasi si è diffusa in tutto il corpo, il Piano Casa di Berlusconi (e, ahimé, di moltissime Regioni…) è pensato non con una mentalità da urbanista, di tutela della città bene comune, ma da abusivo. La nuova mentalità rovescia lo stretto legame tra pianificazione urbanistica e democrazia, l’ascolto della vita quotidiana che è il solo modo per rendere piacevole la vita nella città e nel territorio (una cornucopia inesauribile di ricchezza anche economica…) in una deriva autoritaria, dove si trasforma in uomo della provvidenza persino Bertolaso. In realtà l’imbuto stretto è funzionale al controllo, alle deroghe (anzi, nasce proprio in deroga…), alla cricca.

Una partita oggi difficile, quasi compromessa per le brecce che liberismo e cultura del fare hanno aperto anche a sinistra. Berdini ci fa vedere a che cosa rinunciamo, se lasciamo disco verde alla deroga: alla bellezza dell’Appia Antica e del nostro patrimonio archeologico (quanto sono lontani i tempi del progetto Fori di Petroselli!); alle coste, ormai quasi tutte cementificate (esistono i censimenti, ma non esistono né la volontà politica né le risorse economiche per demolire gli ecomostri); alla tradizione che assegna alle città italiane il ruolo di modelli di vivibilità in tutto il mondo; ad un piano di rimboschimento e messa in sicurezza del territorio, delle aule scolastiche, degli edifici pubblici, delle città, sempre più drammaticamente urgente nel paese delle frane e delle alluvioni di fango.

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