»Sulla Grecia abbiamo assistito a una straordinaria opera di manipolazione dell’informazione». Articoli di Norma Rangeri, Gianni Ferrari, Simorne Pieranni, e l'intervista di Anna Maria Merlo a Yaris Varoufakis. Il manifesto, 5 luglio 2015
LA SFIDA GRECA
di Norma Rangeri
«Abbiamo assistito a una straordinaria opera di manipolazione dell’informazione, particolarmente sfrontata nell’impegno profuso a dare per verità sondaggi smentiti dalle stesse fonti, a censurare notizie importanti, come la critica del congresso Usa, recapitata, nero su bianco, alla signora Lagarde».
Può suonare retorico dire che oggi la Grecia sarà teatro di un avvenimento storico. Ma così è. Il risultato del referendum influirà sul futuro stesso dell’Unione europea e su quello di uno dei paesi più piccoli della Comunità. E proprio questa particolarità merita una prima riflessione. Come è possibile che un paese tanto piccolo possa, non dico tenere in scacco, ma condizionare il domani di altri 27 stati? Non è strano che il voto di dieci milioni di persone possa influire sulla vita di altri quattrocento? Lo sarebbe se questa vicenda non rappresentasse la quintessenza della globalizzazione.
Dagli Stati uniti alla Cina tutti seguono con attenzione quanto sta accadendo nella terra degli dei dell’Olimpo. Perciò il voto di oggi è qualcosa di più e di diverso della sfida simbolica di Davide contro Golia, anche se la grande disparità di forze può ben suggerire l’accostamento perché in questo cimento del piccolo contro il gigante non sono certo i filistei di Bruxelles ad aver dovuto sfidare nella vita quotidiana gli orsi e i leoni della lunga, infinita crisi che ha buttato donne, uomini, bambini, anziani nella battaglia contro le bestie nere della povertà, della fame, della mancanza di medicinali, della depressione che ha fatto impennare le percentuali dei suicidi.
Il cittadino greco per lunghi anni ha sopportato l’assedio e quando il Golia di Berlino lo ha inchiodato all’ultimo duello, il piccolo Davide ha tirato fuori la fionda del referendum cogliendo tutti di sorpresa. Atene mette oggi in evidenza non solo la sproporzione delle forze in campo ma le contraddizioni forti e divisive della Ue.
Sono lì a dimostrarlo i politici italiani che, da sinistra a destra - da Vendola a Brunetta a Salvini passando per Grillo - tifano, pur tra molti distinguo, per la battaglia del piccolo Davide. Sicuramente perché molti vorrebbero usare il voto greco a fini di politica interna. E non è curioso che grandi economisti, quasi tutti nobel e liberal si siano pronunciati per il “No”, posizione mal digerita da tutte le grandi firme del giornalismo nostrano, scritto e televisivo?
Abbiamo assistito a una straordinaria opera di manipolazione dell’informazione, particolarmente sfrontata nell’impegno profuso a dare per verità sondaggi smentiti dalle stesse fonti, a censurare notizie importanti, come la critica del congresso Usa, recapitata, nero su bianco, alla signora Lagarde.
Questo voto mette strappa i veli alle magnifiche e progressive sorti della Ue a trazione tedesca. Denuncia il difetto di nascita, una Unione calata dall’alto senza nulla chiedere ai cittadini, contraddicendo lo spirito dell’Europa pensata da Altiero Spinelli. Scopre un’Unione costruita su un’impalcatura economico-finanziaria che sostituiva alla valvola di sfogo della svalutazione delle monete nazionali l’impressionante svalutazione del lavoro sottomesso alle durissime leggi dell’eterna precarietà.
Tuttavia la tensione e la passione che viviamo nel giorno in cui ci sentiamo tutti greci è così forte non solo perché abbiamo imparato a memoria i numeri del disastro provocato dalla cieca austerità, fino all’ultimo paradosso del mancato rimborso di 1,6 miliardi non pagato da Atene che ha provocato il falò di 287 bruciati dalle borse il giorno dopo. Perché i mercati si erano «spaventati», così titolavano i giornali con la consueta banalità invece di raccontare a lettori e telespettatori l’assurdità della situazione.
E non si venga a dire che tagliando e dilazionando il debito greco verrebbe annullato il principio fondamentale della Ue, cioè il rispetto delle regole. Se rispettarle significa danneggiare l’intera comunità, allora è solo un braccio di ferro politico quello in corso, una pura guerra di potere con la volontà di arrivare allo scontro frontale.
Ed eccolo lì il nostro Renzi, fin dal primo momento lesto a nascondersi dietro lo scudo tedesco, pronto ad accusare Tsipras di voler tornare alla dracma, non solo una bugia ma una meschineria che spiega molte cose sulla stoffa del personaggio. Naturalmente in ottima compagnia di cuori coraggiosi come Hollande, Gabriel, Schulz…
C’è di più, è in gioco qualcosa di più profondo. Oltre alla testa, alla razionalità, c’è in ballo il cuore acceso dalla sfida democratica, c’è la lezione di un grande popolo capace di sopportare e tenere a bada la fortissima tensione del momento. Tutti gli italiani, giovani e vecchi, che danno lezioni sulle regole da rispettare sarebbero stati capaci di mettersi in fila così dignitosamente davanti ai bancomat vuoti?
E, infine, nello scontro frontale gioca una partita molto rischiosa anche lo stesso Tsipras. Aveva già vinto le elezioni con un programma molto chiaro, no all’austerità, sì, moderato, all’Europa. Oggi il giovane leader tenta il tutto per tutto, il numero secco alla roulette, dove punti quello che hai. Se perdi è un disastro, se vinci sei più forte ma non hai risolto i tuoi problemi. Che sono comuni a molti altri paesi. Italia compresa, come già dice l’Istat a proposito del rallentamento di una ripresa già debolissima.
Da questo punto di vista il voto di Atene ha un significato storico, unico. Nella mitologia greca ci sono numerosi esempi di uomini abbandonati dagli dei. Tsipras deve sperare che gli dei dell’Olimpo - e il popolo greco - oggi siano con lui.
LA CREDITOCRAZIA NON FERMA LA LOTTA DI CLASSE
Il che si è soggettivamente tradotto nella separazione e opposizione tra stati creditori e stati debitori, i due termini di un rapporto di forza tra gli stati che è tutto a vantaggio di quelli creditori. Creditori che, per essere detentori della titolarità e dell’esercizio del potere di erogazione, acquisiscono anche quello di imporre le condizioni per ottenerne l’assegnazione ed anche quello di vincolarne la destinazione. L’accumulazione aggregata di tali poteri ha prodotto la forma attuale del capitale finanziario, la «creditocrazia» e la ha munita di propri organi istituzionali convertendo quelli esistenti o inventandone nuovi.
Ma in quale ambito? Se fosse quello del mondo globalizzato ci sarebbe certamente da combatterla perché tale ma con mezzi adeguati a quella dimensione spaziale. Come affrontare invece la «creditocrazia» costituitasi all’interno di una entità ordinamentale, giuridicamente indefinibile, ma massicciamente conglomerante come l’Unione europea? Unione che, nel suo Trattato costitutivo, si impegna a «promuovere la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli stati membri».
Il cui vertice però, troika o non troika che sia, ha deciso di usare l’euro-potere non ai fini della coesione che la impegna e della solidarietà che strombazza, non per assicurare la qualità della vita o anche la sola sopravvivenza, almeno questa, degli esseri umani che compongono gli stati-comunità dell’Europa. Ai quali gli stati-governi hanno sottratto la sovranità appropriandosene per esercitarla congiuntamente agli altri stati-governi in funzione esclusiva e assoluta della prosecuzione di un’austerity inefficace e distruttiva come sostengono economisti con l’autorità scientifica di Krugman, Stiglitz, Piketty.
Come dimostrano gli effetti catastrofici prodotti - e ai governanti tedeschi ben noti - nei Laender dell’ex Ddr, a venticinque anni dalla caduta del muro. Perché l’austerity, allora? La risposta è obbligata, le cifre sono note. Non può esserci altra spiegazione che quella politica. Chi danneggia l’austerity, chi avvantaggia? Il caso Grecia è esemplare. Obbedendo al programma che le dettò la troika 5 anni fa, la Grecia ha ridotto di un quarto, 106 miliardi, la spesa pubblica e del venti per cento i salari. La vastità del disastro determinato da queste misure non ha precedenti.
E indigna, ed è doveroso indignarsi, leggendo che l’enormità del debito greco è dovuta al salvataggio delle banche tedesche e francesi. Operazione, questa dell’attribuzione di un debito, comunque operata, a soggetti doversi dai beneficiari, oltre che palesemente criminosa, dimostra a quale livello di ignobiltà si giunge invocando l’etica (protestante?) delle relazioni umane, l’intangibilità delle regole e della loro efficacia, e quale concezione si abbia per la «coesione economica, sociale … e per la solidarietà tra stati». È la Grecia che mette in crisi l’Unione europea o chi ne rinnega operativamente i fondamenti morali ed ideali?
Chi danneggia l’austerity, chi avvantaggia? Lo hanno confessato i creditori nel corso della trattativa. Chiedendo altri tagli alle pensioni, un’ulteriore riduzione dei salari, l’aumento dell’Iva, privatizzazioni più estese. Rifiutando però, e nettamente, aumenti dell’imposizione fiscale sui ceti più ricchi, e anche una tassa una tantum sugli utili di impresa superiori a 500.000 euro l’anno.
C’è ancora qualche dubbio sul significato, l’obiettivo, l’effetto dell’austerity e, con esso, sulla funzione che si è assunta la Ue, sullo specifico ruolo che la fase attuale del capitalismo neoliberista affida alla «creditocrazia»? Un capitalista affermò, qualche anno fa, che la lotta di classe c’era stata, ma la avevano vinto loro, i capitalisti. È vero, la avevano vinta. Ma continua. È indissolubilmente connessa alla democrazia che è chiamata a vincere, oggi, lì dove nacque e da dove insegnò cosa sia la civiltà politica.
VAROUFAKIS: «CHIUDERE LE BANCHE È TERRORISMO, DOPO IL REFERENDUM L'ACCORDO CI SARÀ»
Oggi il referendum. Lunedì 6 luglio, il consiglio dei governatori avrà potere di vita o di morte sulle finanze greche. Varoufakis accusa: creditori come "terroristi", "ci hanno forzato a chiudere le banche per far paura alla gente". L'appello alla ragionevolezza di Jacques Delors, mentre la Ue punta a un governo guidato dal presidente della Banca centrale greca, Yannis Stournaras
Oggi i greci votano e alla vigilia nessuno si sbilancia in previsioni. Ma già da domani, secondo le autorità di Bruxelles, il destino della Grecia sarà nelle mani della Bce. Domani, infatti, si riunisce il consiglio dei governatori della Banca centrale che avrà, nell’immediato, un grande potere: dovrà esaminare l’Ela (liquidità di emergenza, ndr), l’unico rubinetto ancora aperto.
Se vince il «sì», Francoforte potrebbe alzare l’Ela, se vince il «no» potrebbe decidere di soffocare il paese rifiutando di intervenire, con la conseguenza che le banche resteranno chiuse e, in una prospettiva non tanto lontana, spingere Atene all’uscita nella confusione più totale. Basti ricordare che il caos di questi giorni ha origine nella decisione della Bce del 29 giugno scorso, che ha obbligato alla stretta sull’accesso ai conti e al controllo dei capitali (le imprese greche non hanno più accesso al trasferimento elettronico di fondi all’interno della zona euro). Negli ultimi giorni, due membri del consiglio dei governatori, Benoît Coeuré e Victor Constancio, hanno per la prima volta espressamente fatto riferimento a un possibile Grexit.
In risposta agli ultimi attacchi, tra cui l’affondo dell’Spd Martin Schulz (Europarlamento) che ingiunge di «mettere fine all’era Syriza», Yanis Varoufakis ha reagito con rabbia: «Perché ci hanno forzato a chiudere le banche? – si chiede il ministro delle Finanze greco in un’intervista allo spagnolo El Mundo - per far paura alla gente. E quando si tratta di diffondere la paura, questo fenomeno si chiama terrorismo». Varoufakis continua a credere che «qualunque sia il risultato del referendum, martedì ci sarà un accordo», perché «l’Europa ha bisogno di un accordo e la Grecia anche. Se la Grecia crolla, mille miliardi di euro andranno in fumo» (è l’equivalente del pil spagnolo, ndr), avverte il ministro, «sono troppi soldi e non penso che l’Europa possa permetterselo».
Bruxelles tuttavia non fa mistero di puntare ad avere un governo di unità nazionale, con alla testa il presidente della Banca centrale greca, Yannis Stournaras. Per il momento, un Eurogruppo dovrebbe venire convocato martedì.
Nessuno ascolta più in queste ore le voci della ragione. Da Joseph Stiglitz, che ha parlato di «responsabilità criminale» dei creditori, fino all’ex presidente della Commissione, Jacques Delors, che firma un testo assieme a Pascal Lamy (ex Wto) e Antonio Vitorin (ex commissario) invitando le parti a «superare i giochi tattici» del momento, la Ue a tener conto della «prospettiva geo-politica» (Balcani, crisi dei migranti etc.) e non solo delle questioni tecnico-finanziarie, per proporre ad Atene una «ricostruzione» in tre tappe: aiuto immediato «ragionevole» per restaurare la solvibilità a breve; mobilitazione degli strumenti Ue per rianimare l’economia greca; infine, esaminare il «peso del debito», non solo in Grecia.
LA NARRAZIONE SULLA GRECIA DEI MEDIA ITALIANI È QUELLA DELLA TROIKA
«Informazione. Il giornalismo italiano mainstream, in grande maggioranza, ha mostrato i muscoli e ogni tipo di mezzo per raccontare un paese - la Grecia - che a detta di tanti che sono in loco, non esiste».
La crisi greca non solo ha mostrato il vero volto della troika, basti pensare ai documenti segreti pubblicati dal Guardian, alle intercettazioni di Merkel, o all’ostruzione dei paesi europei alla diffusione del documento del Fmi, che sostanzialmente dava ragione ai greci, ma ha permesso di comprendere come la narrazione dei fatti esteri dei media mainstream, sia giunto ad un suo punto di non ritorno.
La crisi greca non solo ha posto in discussione, evidentemente, l’Europa e l’eurozona, seppure in modo per ora imperscrutabile, ma ha messo in mostra una sorta di modus operandi dell’informazione italiana, che ha finito per agganciarsi completamente alla narrazione della troika, per salvare se stessa. Non ha tanto favorito le “istituzioni”, ne ha assunto in pieno le linee strategiche comunicative.
Il giornalismo italiano mainstream, in grande maggioranza, ha mostrato i muscoli e ogni tipo di mezzo per raccontare un paese - la Grecia - che a detta di tanti che sono in loco, non esiste. Dal “dramma del pensionato” con cui Repubblica ha tenuto la sua home page per tutta la giornata di venerdì, fino al confronto tra le due piazze di venerdì sera, come se fossero la stessa cosa. Come se da una parte non fossero di più, e per lo più giovani e dall’altra non fossero meno e non fossero per lo più i vituperati “pelandroni pensionati” greci. Un corto circuito – voluto — vero e proprio che ha portato la stessa Syriza a cercare di comunicare più sui social network, che sui media (come racconta Le Monde).
Non si può, oggi, fare un giornale come se non esistesse internet. Lo dovrebbe sapere l’esperto Federico Fubini (vice direttore del Corriere della Sera), i cui racconti “in presa diretta” sono stati smentiti, punto per punto, luogo per luogo da Matteo Nucci su minimaetmoralia Nucci è andato in ogni posto nel quale Fubini lamentava una situazione simile al disastro, dimostrando cosa stesse realmente accadendo in quei luoghi.
Senza parlare dei “nostri” giornalisti sui social network. Tralasciando i neo adepti renziani come Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, che ha twittato come se il –26% del Pil grazie ai trattamenti troika, fosse un’invenzione di Syriza, i social network si sono riempiti di novelli esperti economici, colmi di certezze.
Alcuni si sono distinti in modo particolare. È il caso di Vittorio Zucconi di Repubblica, in prima linea contro Tsipras, ispirato nel citare il Guardian su articoli circa il calo di turismo, ma decisamente meno pronto a lanciare gli scoop sui documenti segreti della troika.
Gli esempi sono moltissimi ed evidenziano - non solo in Italia - come nel momento del bisogno e di un grande rischio, la grancassa mediatica mainstream abbia saputo subito piazzarsi dalla parte del più forte, facendo finta di niente riguardo le “notizie” (la lettera del Congresso, il documento del Fmi, le pressioni dei paesi europei, i documenti di Nuova Democrazia in Grecia per indirizzare la comunicazione dei media in Grecia, i fallimenti della troika) e ingaggiando la lotta contro la contraddizione di un partito che non accetta le regole imposte dai “potenti”.
La narrazione a senso unico, fino ad arrivare a mistificare la realtà, purtroppo, non è una novità (l’abbiamo vista all’opera anche in Ucraina, per fare un esempio, dove i neonazisti sono diventati “europeisti”). Basta chiedere a un qualsiasi freelance, in giro per il mondo, quali siano spesso i suoi pensieri dopo la lettura di molti, tanti, pezzi di “corrispondenti” ben più noti e titolati. Non importa ciò che è vero, quanto ciò che è verosimile. Il mito del giornalismo indipendente viene dunque smascherato proprio da chi se ne fa paladino, attraverso una vera e propria narrazione di una realtà che si cerca di piegare alla propria “visione del mondo” dettata da interessi accomunabili, nel proprio “settore”, a quelli che non vuole perdere la troika in Europa.
Si accusa chi fa un giornalismo politico, evidenziando quindi le contraddizioni ma ponendosi apertamente da un lato della barricata, di essere di parte, fingendo di essere neutrali. Come se la scelta delle fonti, di chi si intervista, della prospettiva con cui si sceglie di parlare di un argomento, fossero neutrali, asettici e non presupponessero, invece, una chiara scelta.
E infine ci sono quelli imbarazzanti. Ieri l’Unità titolava “Grecia tasche vuote, arsenali pieni”, facendo finta di niente su chi in precedenza ha comprato le armi e sul fatto che quelle, insieme al ministro di destra del governo greco, dovrebbe rassicurare proprio gli amici di Renzi, ovvero la Nato. Senza considerare poi il silenzio del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, su guerre umanitarie e recenti acquisti in tema di F35.