loader
menu
© 2024 Eddyburg
Marisa Fumagalli
A Venezia meno di sessantamila veneziani
24 Ottobre 2009
Terra, acqua, società
Dramma di Venezia come città, non parco a tema, se ne accorge anche il Corriere della Sera, 24 ottobre 2009. Ma il Sindaco è ottimista, beato lui (f.b.)

La maledizione di Venezia: troppi turisti, pochi abitanti. «E dov’è la novità? Non certo la differenza tra 60.000 residenti e 59.999». Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, con una battuta ironica, sdrammatizza il segnale d’allarme. Ovvero gli ultimi dati sulla «fuga» della popolazione dal centro storico lagunare. Ormai ridotto a «una collezione di monumenti» (questa, invece, è la sintesi dell’ex primo cittadino, Paolo Costa, oggi presidente del Porto). Per l’esattezza, il numero dei residenti segnalato dall’Ufficio statistica del Comune (rilevazione del 21 di ottobre) è 59.984. Cifra più cifra meno non fa la differenza, ma a preoccupare è la tendenza. Se ne va circa un abitante al giorno. Irreversibile. Così, l’andare sotto i 60.000 assume anche un significato simbolico. Venezia e i suoi abitanti, insomma, sono numericamente assimilabili ai nuclei di Molfetta, Crotone, Vigevano. Messi insieme, i veneziani doc riempirebbero lo stadio di Firenze.

La curva dell’erosione, lenta e costante, tradotta in cifre: 174.000 (Venezia e Giudecca) nel 1951, circa 100.000 nel ’78. 80.000 nel 1989, 70.000 nel ’96. Fatto sta che un gruppo di «indigeni » (riuniti nel sito venessia. com) si prepara a celebrare li funerale della città. Il sindaco- filosofo, c’è da scommetterlo, bollerà la cerimonia come folklore. Cacciari del resto, non è pessimista. Sostiene, infatti, che oggi non ha senso considerare il centro storico staccato da Mestre, da Marghera. Poiché quel che succede a Venezia, più o meno succede anche a Milano e a Roma: per varie ragioni, la gente tende a trasferirsi nelle cinture urbane. Il fatto è — e qui starebbe la differenza — che a Venezia il distacco fisico tra centro e periferia è ben visibile: il ponte della Libertà unisce/ divide la terraferma dalla città lagunare. Ma che cos’è rimasto, obiettano altri, del tessuto urbano? I veneziani fuggono, chiudono le botteghe storiche, gli artigiani danno forfait. Victor Gómez Pin, docente di Filosofia a Barcellona, si è aggiudicato il Premio 2009 dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, con un articolo pubblicato dal País , che denuncia le ricadute negative dello spopolamento della storica e famosa Serenissima.

«Venezia — scrive — si svuota di veneziani e si popola di centinaia di migliaia di turisti che dall’alba al tramonto vagano, guida alla mano, alla ricerca di qualche briciola dell’anima cittadina...». Luca Marzotto, amministratore delegato di Zignago holding, quest’anima riesce a vederla. «Il mio lavoro è a Portogruaro, ma da qualche anno vivo a Venezia — racconta —. Qualche disagio c’è, tuttavia il contesto è così affascinante che ne vale la pena». L’imprenditore Luigino Rossi e la moglie Roberta risiedono in Laguna, soprattutto per i bambini. «I pericoli sono inesistenti, le scuole sono buone, non c’è traffico», spiega lei. «Certo, non tutti possono permetterselo, la vita è costosa», ammette lui. Rossi, che è anche presidente di uno dei 24 Comitati privati per la salvaguardia di Venezia, rilancia una proposta, che già fece capolino in passato: «Dobbiamo far diventare Venezia una città speciale, una sorta di porto franco. Ciò servirebbe non solo ad attrarre capitali, utili per la vita di questa città fragile, ma le agevolazioni fiscali ed altri benefici ne stimolerebbero il ripopolamento ».

Paolo Costa punta invece sul lavoro. «È una mia vecchia idea, in cui continuo a credere — afferma l’ex sindaco —. Per trattenere i veneziani, ma anche i forestieri, occorre creare un tessuto produttivo moderno, che attragga colletti bianchi. Servono, però, agibilità, trasporti veloci, Ecco perché ritengo indispensabile la metropolitana sublagunare». «Vene­zia con pochi abitanti langue nel degrado sociale e materiale — osserva Elio Dazzo, neopresi­dente dell’Apt —. Meno buro­crazia e più agevolazioni aiute­rebbero a portare abitanti nel centro. Inoltre, si potrebbero in­centivare taluni settori. Penso alla creazione di atelier, di aree urbane per residenze di artisti». Il lamento sulla città in decli­no, a onor del vero, riemerge puntualmente quando cala il si­pario sulla sfavillante stagione mondana e culturale. Non si di­ceva, infatti, nei mesi scorsi, du­rante la Biennale, la Mostra del Cinema, mentre si inaugurava, tra folla e consensi, Punta della Dogana del magnate Pinault, «com’è grande Venezia»? Mari­no Folin, presidente della Fon­dazione Iuav, invita (come il sindaco Cacciari) a smetterla di vedere il bicchiere mezzo vuo­to. «Venezia non è mai stata vi­tale come ora — asserisce —. La fuga? Le statistiche sono fuorvianti. Abitare a Venezia non significa per forza avere la residenza. Moltissimi, italiani e stranieri, la abitano molti mesi l’anno. E’ linfa nuova che spaz­za via i luoghi comuni».

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg