eddyburg potrebbero aver conosciuto quasi un decennio fa il caso del restauro, (invero ricostruzione) del Castello visconteo-sforzesco di Novara ... (segue)
eddyburg potrebbero aver conosciuto quasi un decennio fa il caso del restauro, (invero ricostruzione) del Castello visconteo-sforzesco di Novara in Piazza dei Martiri, una volta Vittorio Emanuele II: il grande spazio quadrato tipicamente piemontese eredità della città storica interna circondata dai bastioni spagnoli. Un restauro che in seguito definito (a mala pena) discutibile equivalse a sminuirne la violazione delle buone regole quand’anche riferibili a interpretazioni del modo di Viollet-le Duc. Ricostruzioni di corpi di fabbrica immotivate, falsità spacciate per libertà d’architettura, soprattutto l’invenzione secca di una torre di 24 metri al centro dell’edificio prospiciente la piazza (a sua volta rimaneggiato, rimpastato come fosse un avanzo di torta mordicchiata dai topi). Torre pazza, insensata con quell’altana priva di destinazione chiusa per tre lati da alti muri ciechi. Non bastò l’opposizione di Italia Nostra e di molti intellettuali. Bastò invece il favore della soprintendenza e, ovvietà scontata, di altri intellettuali fra cui architetti amici o conoscenti del progettista fiorentino (in eddyburg, 20 marzo 2008).
Di qui, per aprire un nuovo argomento (in prima persona) debbo ripensare a momenti di oltre mezzo secolo fa. Il 1956 è una data cruciale nella storia moderna di Piazza dei Martiri. Pochi possono ricordarlo, pochissimi non anziani lo sanno: allora l’insieme urbanistico e architettonico fu in gravissimo pericolo di sovversione. Una terribile violenza edilizia stava per abbattersi sul Palazzo del Mercato, l’edificio insigne, magnifico esempio di architettura neoclassica del secondo ventennio dell’Ottocento, di solito designato come Palazzo Orelli dal nome del progettista, ingegner Luigi Orelli (progetto 1816, completamento 1842). Ogni passante oggi può godere la perfezione architettonica della vasta, compatta ed elegante costruzione quadrilatera, completamente porticata, dotata di un solo piano al disopra delle arcate e di un potente stilobate atto a ripianare le differenze di quota del terreno lungo i fianchi e il lato opposto alla piazza (Corso Italia, con la doppia scalinata).
Palazzo Orelli (Palazzo del Mercato) |
Ebbene, in quell’anno l’amministrazione di sinistra appena insediata si trovò a sfogliare il progetto per il sopralzo di un piano del palazzo per l’intero quadrato: progetto voluto e approvato dagli amministratori precedenti (democrazia cristiana) e avallato in maniera definitiva dal direttore generale delle antichità e belle arti presso il ministero della pubblica istruzione, Guglielmo De Angelis d’Ossat. Sandro Bermani è il nuovo sindaco, chi scrive giovane assessore a tutto ciò che concerneva allora l’urbanistica, comprendente lavori pubblici ed edilizia privata. La battaglia per «tornare indietro» fu subito iniziata e richiese anche un difficile e non poco imbarazzante confronto romano del sindaco e dello scrivente col principe dei soprintendenti. Come si vede e spero si vedrà per sempre passeggiando nella piazza ammirando il palazzo (permettendolo la molesta presenza, alle spalle, della famosa torre nonché delle automobili), la battaglia fu vinta. Un successo insperato, giacché i rapporti di forza a livello politico nazionale parevano impedirlo.
In quello stesso anno, mentre da una parte fu assicurata la persistenza della più importante piazza della città nella sua conformazione storica, da un’altra non si potette ignorare l’esistenza, lì vicino, di quel grande spazio fra il palazzo della scuola Bellini e lo spalto del bastione spagnolo: un grande rettangolo a cui era difficilissimo attribuire un senso: squallore, incertezza di appartenenza e utilità urbana lo segnavano insieme al disinteresse dei cittadini: uno spazio di nessuno, essendo semmai sentiti come propri solo la scuola e, contiguamente, l’ospedale. Aumentare il verde della città, specialmente dotato di vaste alberature, era un obbiettivo primario del nostro programma di amministratori. Mi impegnai con massima decisione insieme a ingegneri dell’ufficio tecnico in un progetto di piantumazione integrale del Largo intitolato alla benefattrice Giuseppa Tornielli Bellini.
Pensai che non bisognava diminuirne il significato e la funzione ecologica (perché no, miglioramento della sintesi clorofilliana) inserendo altre destinazioni (sportive, ludiche, commerciali…). Il risultato doveva consistere nella nascita e crescita di un vero bosco, un «bosco urbano», locuzione che più tardi il linguaggio dell’urbanistica inserirà finalmente nel proprio vocabolario. Così si procedette rapidamente a definire la griglia dell’impianto e la scelta dell’essenza, unica e a crescita non troppo lenta, appropriata al nostro territorio e al clima padano, già applicata durante le vicende storiche novaresi. I platani trasferiti dai vivai comunali non erano alberini come bambini appena nati, ma fusti di diametro apprezzabile e di chioma fremente al venticello. Dopo oltre mezzo secolo il bosco, bello e necessario, rivendica la propria intoccabilità. Alla conclusione dei lavori mi permisi ciò che altri avranno magari (non lo so) ritenuto uno sfizio, un grillo: all’inizio dell’alberata (provenendo dalla piazza) feci piantare tre ciliegi, frutto del tipo rosso-bianco che da ragazzi chiamavamo «tabarin». Anni dopo, venuto da Milano con mia moglie in visita a parenti e ad amici, potemmo gustare i frutti maturi colti da noi.
Il bosco di Largo Tornielli Bellini |
Ora un progetto degli attuali amministratori comunali (Lega) riguarda entrambi gli spazi oggetto di questa memoria. Vorrebbero distruggere il bosco urbano per farne un parcheggio (sotterraneo o a livello non fa differenza) allo scopo (dicono) di liberare la Piazza dei Martiri dalle auto e cacciarle lì. Da quale cultura deriva una scelta così retrograda? Nessuno può dire che in tema di paesaggio urbano l'una cosa valga di più o di meno dell'altra. Piazza dei Martiri (nonostante la torre) e Largo Tornielli Bellini reso fitto di piante nel 1956 (altrettanto storico, dunque) sono entrambe costituzioni alla pari del paesaggio novarese, quasi in reciproca sequenza l'una verso l'altra. La prima va restituita ai pedoni, senza se e senza ma, secondo un programma di riconquista dell'intera parte di città all'interno dei bastioni volto al bene di cittadini e visitatori. La seconda va difesa in ogni modo, a spada tratta come a fronte di una nuova invasione delle nostre terre (novaresi e vercellesi) di barbarici Cimbri, ben conosciuti e sconfitti dalle formazioni romane guidate da Caio Mario al tempo della battaglia di Campi Raudii (vedi Sebastiano Vassalli, Terre selvagge. Campi Raudii, Rizzoli, Milano 2014).
Nota. Diverse associazioni novaresi hanno consegnato alla vicesindaco una lettera firmata da 1.206 cittadini che perora la rinuncia al progetto del parcheggio. L’iniziativa proviene da Idee di Futuro, Novaresi Attivi, Sermais, Legambiente, Italia Nostra, Pro Natura, Unione Tutela Consumatori, Comitato Spontaneo per la Tutela del Centro Storico, Comitato Territoriale Novarese Acqua, Esposti all’Amianto, Medicina Democratica.
NOTA DELL'AUTORE - 19 GIUGNO 2017
Dopo diversi anni sono passato da Novara. Brutta sorpresa: Largo Tornielli Bellini, ora, lontano e deforme parente della sistemazione 1956, durevole per qualche decennio nella configurazione originaria man mano più bella per la crescita delle piante.
Sono rimasti solo due filari di platani, naturalmente alti ma potatura che più sbagliata (e ritardata) non si può, cioè taglio progressivo dei rami bassi per ridurli come scopini per la polvere. Spariti i tre magnifici ciliegi dalla chioma fitta pendente fin quasi a terra (era stato facile per noi cogliere i frutti…). Responabili non solo una ciclopista e i soliti privilegi al traffico automobilistico: il municipio non ha mai amato questo luogo e il progetto di realizzare un parcheggio sotterraneo non è di oggi. Ad ogni modo valga la forte opposizione dei movimenti elencati (il numero di firme ha superato le 5.000), benché il personale disamoramento (a quest'età!) invogli a cacciare il ricordo nel cestino.