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Vezio De Lucia
A proposito di paesaggio
29 Gennaio 2005
Vezio De Lucia
Il 27 e 28 gennaio, si svolge a Roma il convegno di Italia nostra sul paesaggio ...

Il 27 e 28 gennaio, si svolge a Roma il convegno di Italia nostra sul paesaggio, di cui Eddyburg ha già dato notizia. Può essere un’occasione utile anche per dipanare, se possibile, la gran confusione che regna a proposito della parola paesaggio, che da qualche anno è tornata in voga (la conferenza nazionale è del 1999), e la cosa è sicuramente positiva, ma al tempo stesso la parola paesaggio continua a essere utilizzata con significati diversi, contraddittori ed equivoci. In particolare da quando si sono affermati i movimenti ambientalisti e il pensiero verde, il paesaggio è stato progressivamente ridotto a sinonimodi ambiente. Oppure, più drasticamente, il paesaggio, tema considerato futile, antiquato, fuori moda, è stato semplicemente cancellato e sostituito, volta a volta, da ambiente, o da ecologia, ecosistema, biosfera, biodiversità, parole evidentemente reputate più scientifiche e moderne.

Un caso clamoroso di confusione sta nei lavori parlamentari relativi alla modifica dell’art. 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”. L’Italia è probabilmente l’unico paese al mondo che ha assunto la tutela del paesaggio e delle belle arti fra gli obiettivi fondamentali dell’ordinamento costituzionale. (Anche se, proprio a partire dagli anni della repubblica, ha avuto inizio il più disastroso saccheggio del nostro patrimonio d’arte e di natura, quel saccheggio che i padri costituenti intendevano scongiurare. Ma oggi non trattiamo di questo). Che succede allora alla Camera? Ben 181 deputati, alcuni autorevolissimi, di varia ispirazione, hanno proposto (Atti Camera n. 3591 della XIV legislatura) di sostituire la tutela del paesaggio con le seguenti espressioni: “Riconosce l’ecosistema come bene inviolabile della Nazione e del pianeta, appartenente a tutto il genere umano, e ne incentiva la protezione dalle alterazioni e dalle contaminazioni ambientali. Garantisce il rispetto degli animali e delle biodiversità”. Cose tutte da condividere, che non giustificano però l’obliterazione del paesaggio e che non possono sostituirlo. In verità, un po’ diverso, ma sempre pasticciato, è il testo poi approvato in prima lettura con una vasta maggioranza trasversale.

Di fonte a tanta disinvoltura dobbiamo, secondo me, confermare che con la parola paesaggio si deve intendere la fisionomia del territorio, la sua forma, meglio ancora, la sua bellezza. La parola paesaggio dovrebbe sempre rimandare alla qualità estetica: un paesaggio può essere più o meno bello, oppure brutto, ma è sempre espressione di un giudizio estetico – non trascurando il fatto che, soprattutto nel nostro paese, dov’è difficile identificare una condizione di pura natura, ogni paesaggio è sempre prodotto di arte e natura. La conseguenza è quindi che il paesaggio, siccome valore estetico, è un valore culturale, unfattore insostituibile ai fini della percezione, dell’identificazione, della descrizione e della trasformazione di un territorio. E, perciò, al paesaggio deve essere riconosciuta una collocazione autonoma, tanto in senso disciplinare, quanto in senso operativo, cioè in materia di scelte urbanistiche, com’è sempre stato nelle migliori esperienze del governo del territorio in Italia (qui non posso non rinviare alla mia precedente opinione su Eddyburg, dove si contesta la soluzione prevista dal nuovo, terrificante disegno di legge urbanistica nazionale della maggioranza che esclude dall’urbanistica la tutela, e quindi la bellezza, e quindi il paesaggio).

Ma l’autonomia del paesaggio deve essere rivendicata anche e soprattutto nei confronti dell’economia, dell’occupazione, dello sviluppo e via di seguito. Lo sviluppo è diventato il valore supremo della società contemporanea, quello che comanda su ogni altra prospettiva. Fra lo sviluppo e il paesaggio è in corso una guerra mondiale che non finisce mai, e che il paesaggio continua a perdere. Senza considerare strumentalizzazioni e mistificazioni, anche nella più limpida delle circostanze, il paesaggio è quasi sempre costretto alla resa se sono in gioco nuovi posti di lavoro, incremento del reddito, prospettive turistiche.

Vince sempre l’economia. Anche nelle situazioni meno schematiche, quelle all’apparenza più condivisibili, gli stessi valori del paesaggio e della bellezza sono esplicitamente utilizzati ai fini dello sviluppo e dell’incremento del reddito. La domanda che a questo punto dobbiamo porci è la seguente: ma la supremazia dei valori paesistici e della bellezza non dovremmo perseguirla anche senza alcun beneficio pratico, né immediato né futuro? Posso permettermi di chiedere a Eddyburg di sviluppare una discussione in proposito?

Postilla - Non "lo sviluppo", ma quella particolare e "moderna" concezione dello sviluppo che è raccontata, per esempio, dalla brava Carla Ravaioli (es)

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