L’ambiguità non giova al PD: se non ne esce «andrà in pezzi, eil Caimano potrà allegramente piangere la digestione del suo agognato boccone democratico».
La Repubblica, 21 agosto 2013
È comprensibile che Enrico Letta difenda l’operato del proprio governo. Nelle condizioni date può vantare anche alcune lodevoli iniziative; in particolare l’aver insistito sul ritorno all’Europa ripreso da Mario Monti. Ma le condizioni date, cioè la coabitazione con un partito che ha sempre privilegiato interessi settoriali, e persino personali, rispetto a quelli generali, costituiscono una zavorra pesantissima. Obbligano il presidente del Consiglio a una continua mediazione tra visioni politiche contrapposte. Forse va ricordato ancora una volta: il governo Letta-Alfano, come amano precisare i dirigenti del Pdl, nasce dall’emergenza, non dalla convinzione di avere una mission comune e di condividere le stesse prospettive. Non si configura in nulla come un governo di grande coalizione, che è tutt’altra cosa.
Infatti il Pdl è perfettamente cosciente della provvisorietà di questo esecutivo, nonostante spanda una mielosa cortina fumogena in cui lo esalta come frutto di larghe intese e addirittura volto alla “pacificazione”. Ne è talmente cosciente che interpreta l’azione di governo come un momento della prossima campagna elettorale. Non per nulla ha elevato l’Imu ad icona intangibile della sua partecipazione governativa. Che l’abolizione della tassa sugli immobili metta di nuovo in sofferenza le finanze pubbliche non ha alcuna importanza: l’essenziale è guadagnare consensi trasversali grazie a un messaggio così fortemente emotivo e seducente. Navigare in queste acque è difficile, ed Enrico Letta ci sta provando con tutta la sua capacità e buona volontà. Ma forse dovrà arrendersi all’evidenza dei fatti. E cioè che il Pdl è solo e soltanto interessato a sfruttare elettoralmente la propria presenza al governo. E se fino a poche settimane era l’Imu l’alfa e l’omega dei pidiellini per cui o Letta si piegava o l’esecutivo saltava, ora si è aggiunta anche la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi.
Le prime dichiarazioni dei democratici, a partire da quella del segretario Guglielmo Epifani, poi riprese, seppur con tono più sfumato, dallo stesso presidente del Consiglio, non lasciavano spazio ad una via di uscita per il Cavaliere. Ma da qui alla decisione finale passerà almeno un mese. Un tempo lunghissimo a disposizione di Berlusconi per esercitare ogni tipo di pressione al fine di trovare una soluzione “politica”. Altrimenti, dichiarano oggi i falchi, un minuto dopo i ministri del Pdl si dimetteranno. Questa minaccia - del tutto credibile perché non c’è nessuno in quel partito che possa nemmeno ventilare una ipotesi diversa dalla chiusura a riccio a difesa del leader - paradossalmente butta la palla in campo al Pd: se i democratici non trovano un modo per evitare la decadenza di Berlusconi saranno loro i responsabili della crisi di governo. Questo ricatto non sembra senza effetto tra i democratici. Alle dichiarazioni sdegnose di alcuni fanno pendant operazioni di sostegno toto corde al premier (documento Boccia) che, alla bisogna, possono tramutarsi nella richiesta di una “iniziativa politica” per salvare il governo (cioè Berlusconi). L’offensiva mediatica contro i “falchi” del Pd ha già trovato una certo eco nelle parole di Letta al meeting di Rimini quando ha parlato di professionisti del conflitto. Lungo questa strada si arriva alla delegittimazione di chi considera il Pdl tuttora l’avversario da contrastare. Invece, la democrazia dell’alternanza, benché sia stata messa in mora da un risultato elettorale inedito e dalla disastrosa gestione post elettorale del Pd, non per questo ha perso il suo valore. La si può mettere tra parentesi per circostanze eccezionali e per una durata limitata. Ma la contrapposizione tra forze politiche alternative è la norma, e a tale normalità democratica è necessario tornare quanto prima. Per la salute del sistema politico, innanzitutto.
Si sta invece diffondendo la richiesta che il Pd sia, ancora una volta, “responsabile”, come fosse una sorta di fratello maggiore di giovani scavezzacollo. Tocca a lui essere giudizioso; e anche magnanimo e comprensivo. E quindi trovare un accomodamento alle magagne altrui. In effetti, la responsabilità è un tratto storico degli antenati del Pd sia di marca comunista (con in cima i miglioristi di Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano) che democristiana (pensiamo ai placidi dorotei di tante legislature). Il presidente della Repubblica ha fatto appello a questo fattore genetico nel novembre 2011 al momento della nascita del governo Monti, e vi insiste ancor oggi. Queste pressioni sul partito democratico aumenteranno giorno dopo giorno. Alla fine rischierà lui di pagare il prezzo della condanna di Berlusconi: se si divaricheranno le posizioni tra chi vuole mantenere un atteggiamento rigoroso e chi, in nome della responsabilità e della governabilità, vuole accedere a qualche forma di salvataggio del Cavaliere il Pd andrà in pezzi. E il Caimano potrà allegramente piangere la digestione del suo agognato boccone democratico.