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Marco Guerzoni
4. Decrescere
15 Ottobre 2005
L'ultima puntata della corrispondenza, in presa diretta per Eddyburg dal Brasile, per raccontare la città di Curitiba, la sua incredibile esperienza, la sua prospettiva e le sue crisi.

C’e´ un Brasile della samba e delle spiagge bianche e ballerine. Uno della foresta tropicale. Uno delle favelas e della disgrazia. Uno della riscossa economica. C’è un Brasile sterminato dove la terra cambia molte volte colore e il tempo muta due volte il suo fuso. Dove gli spazi si misurano a centinaia di chilometri, in decine di ore d’autobus o in giornate di barca. C’è il Brasile di San Paolo e quello di Rio e Bahia. Poi c’è il Brasile di Curitiba. E questo è un altro luogo nello stesso tempo, e nello stesso Paese.

Tra le mille diversità di questa terra c’è anche una città che non potrebbe esistere qui, per dirla con Igor Sikorsky – pioniere dell’aviazione russa – che pare abbia dimostrato che per una particolare legge fisica, certi tipi di calabroni abbiano una superficie alare che in rapporto al loro peso ne impedirebbe il volo. Ma loro, i calabroni, stanno lì, ingnorando questa legge, e volano comunque.

Anche Curitiba sembra vivere contro la “legge” delle metropoli latinoamericane. Quella che le fa crescere in modo smisurato, sregolato, con disugualianze d’ogni sorta e prepotenti. Città e megalopoli dove il salario medio di molte persone è di tre dollari al giorno; e di molte altre praticamente nullo. Un destino certamente non identico per tutta l’america latina. Ma una sorta di legge generale che pervade il presente; una tendenza che ne ipoteca il futuro.

Le variabili di questa legge sono paradossali. Terre sterminate e ricche; giacimenti d’ogni genere di materia; poi climi di tutti i tipi. E una società incline a segregare la ricchezza; una globalizzazione orietata al saccheggio più che allo sfruttamento. Curitiba è immersa in questo paradosso e vola comunque. Per molti casi fortunati, dicono. Ma tutti appartenenti non alla magia, bensì all’intelligenza umana. Materia, dunque, riproducibile.

Si potrebbe abbandonare l’entusiasmo e misurare la capitale del Paranà con il metro opulento di un europeo, per vedere quello che non funziona. Magari le lunghe e larghe strade dei quadranti centrali percorse da un traffico intenso e veloce. Così intenso e veloce da produrre una sensazione persistente d’insicurezza. Si potrebbe chiaramente riconoscere l’attenzione severa dell’urbanistica cittadina e, in opposizione, la grande incertezza che sta fuori. In un perimetro metropolitano in ritardo di governo, fatto di periferie slabbrate, di piccoli centri sparpagliati in mezzo a una campagna piatta e sterminata. Si potrebbe leggere negli occhi dei tecnici e dei politici il timore per un sistema di trasporto pubblico che si avvia verso la sua massima capacità di carico, oltre la quale si aprono interrogativi grandi. O ancora percorrere le strade del centro per intenderne il deficit di aree verdi, in forte contrasto con la grande disponibilità di parchi della periferia; lontana, a volte accessibile con difficoltà. E ancora l’estetica dei palazzi, l’edilizia scadente, il “mobiliario urbano” disattento.

Si potrebbe avere la tentazione di svolgere questo esercizio critico a Curitiba. Ma la città vincerebbe anche questa prova. Perchè lo sguardo critico di un europeo opulento, vedrebbe null’altro che molte delle stesse crisi di una città europea. Di più, di una città italiana. Con la differenza, non trascurabile, che questa è america latina.

C’è da chiedersi allora quale insegnamento trarre dall’esperienza curitibana. Certamente tre questioni: la dignità, la creatività e l’ingegno. Con il primo ingrediente si migliora la povertà disperata rendendola “più vita”. Col secondo si valorizzano le cose semplici, apparentemente inutili, in materia animata. Col terzo ingradiente si degrada il denaro a fattore non sempre determinante per lo sviluppo. Si tratta di tre faccedenda da mettere in agenda. Magari in quella della politica nostrana.

PS: durante l’ultima visita presso l’IPPUC, ci raccontano della candidatura di Curitiba per le Olimpidi del 2012. Una candidatura priva di grandi progetti di trasformazione radicale della città, senza mega palazzetti dello sport o stadi,; senza edificazione di “villaggi olimpici”. In un mondo in cui l’indicatore del benessere continua ad essere la crescita, qui si è deciso di candidarsi per ospitare il più grande evento sportivo del pianeta con uno slogan molto semplice: “le olimpiadi del meno”.

Note e bibliografia

Il mio soggiorno a Curitiba, dal 10 settembre all’1 ottobre 2005, è avvenuto nell’ambito di una collaborazione (per conto della Provincia di Bologna) con il Master internazionale “MAPAUS” dell’università di Ferrara, diretto da Gianfranco Franz, a cui va un ringraziamento speciale, anche per avermi “spedito” in Brasile.

Tra le molte persone incontrate, voglio ricordare in particolare Claudio Maiolino della Pontificia Università Cattolica del Paranà (coordinatore del Master per la parte brasiliana) e Liana Vallicelli dell’Istituto di Ricerca e Pianificazione Urbana di Curitiba (IPPUC).

I dati, le informazioni e i dettagli “storici” contenuti nei miei rapporti sono ripresi dagli appunti tratti delle molte riunioni, incontri, seminari, a cui ho partecipato. Ma sono anche desunti da alcune letture preparatorie, in particolare:

Lerner J. (2005), Acupuntura urbana, IAAC, Barcelona.

Menezes C.L. (1996), Desenvolvimento urbano e meio ambiente: a experiência de Curitiba, Papirus, Campinas, SP.

Pirovano A. (2004), Curitiba: un modello di sviluppo sostenibile per i centri urbani dei PVS, Università Commerciale “L. Bocconi”, Milano (Tesi di Laurea).

Molte utili informazioni sono rintracciabili in internet: www.ippuc.org.br; www.curitiba.pr.gov.br

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