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300mila in piazza a Roma per i referendum
27 Marzo 2011
Articoli del 2011
Angelo Mastrandrea, Andrea Palladino, Eleonora Martini e Cinzia Gubbini racontano la grande manifestazione. Il manifesto, 27 marzo 2011

ACQUA PUBBLICA

LA PIAZZA, LA SORPRESA


di Angelo Mastrandrea

Impressione numero uno, guardando il lento fluire della manifestazione che si appresta a inondare piazza San Giovanni a Roma: il colore azzurro dell'acqua domina su tutto, chiazze di giallo rimandano al nucleare, l'arcobaleno compare a sprazzi come da previsioni della vigilia. Impressione numero due, dopo aver visto sfilare due terzi del corteo: confermato il primo colpo d'occhio cromatico, ma «il bello, il brutto e il cattivo» del titolo del manifesto di giornata, vale a dire l'acqua, il nucleare e la guerra, è come se si fossero fusi in un sentimento unico, producendo un'inedita contaminazione di pacifismo e ambientalismo. Impressione numero tre, abbandonando la piazza: non si è ascoltato un solo slogan su Berlusconi e sul governo. A ben sentire, nemmeno sull'opposizione. Quasi che il giudizio fosse nei fatti: la legge che privatizza le risorse idriche è opera del Pdl, ma sulla stessa barca ci sono un'abbondante fetta del centrosinistra, Confindustria e una potente lobby trasversale non seconda a quella (altrettanto trasversale) che lavora per il ritorno al nucleare.

Stando così le cose, quante possibilità ha un ecologismo popolare così diffuso di incidere realmente sulle scelte politiche del nostro Paese? Poche, pochissime, a giudicare dal boicottaggio politico e dal sostanziale silenzio mediatico su questioni che pure coinvolgono milioni di persone. L'unica speranza è che il 12 giugno ci svegliamo con una sorpresa: spiagge vuote e urne piene di sì per l'acqua pubblica e per l'abbandono del nucleare. La piazza di ieri dice che la sorpresa, e non sarebbe la prima volta in Italia, è a portata di mano.

MARCIA PER LA VITTORIA

di Andrea Palladino

Una grande manifestazione apre la campagna referendaria di giugno. Gli organizzatori: siamo 300 mila. In piazza centinaia di comitati per l'acqua pubblica da tutta Italia: «Ora il quorum»

A ben pensarci c'è qualcosa di curioso nel vedere decine e decine di migliaia di persone sfilare, a Roma, per l'acqua. Non è la Bolivia delle rivolte di qualche anno fa, o il Maghreb infiammato dai costi dei beni essenziali. È un paese pigro e cupo, l'Italia che ci mostrano quotidianamente, che nulla dovrebbe avere a che fare con un movimento così forte, capillare, anticonformista e orgoglioso come quello che chiede - da almeno cinque anni - di cambiare la politica partendo dal concetto di beni comuni. Eppure ieri a Roma centinaia di comitati cittadini, associazioni più o meno informali, parti di una rete cresciuta nel silenzio allineato dell'informazione e della politica - almeno quella parlamentare - hanno riaffermato la centralità del movimento per i beni comuni nel nostro paese. Con volontà e creatività, prendendo in mano per qualche ora la capitale, puntando al raggiungere il quorum dopo sedici anni di referendum falliti, un obiettivo che potrebbe rivoluzionare la politica italiana, soprattutto a sinistra.

Un milione e quattrocentomila firme raccolte in tre mesi non avrebbero senso senza tenere a mente questo volto della società italiana dell'era di Berlusconi, che è la vera spina dorsale di quello che i media chiamano - semplificando - il popolo dell'acqua.

Elencare le città comporebbe una lista immensa e senza senso. Conviene allora citare una parte importante e unica del movimento, il gruppo degli enti locali per l'acqua pubblica che ieri aprivano il corteo con i gonfaloni storici delle città. Un'intera regione, le Marche, le province di Cagliari e Campobasso e tantissimi comuni, con i sindaci, le delegazioni, le fasce tricolori. Uno fra tutti, quello di Aprilia, che con determinazione ha presentato il foglio di via al gestore privato Acqualatina, dopo avere visto le pattuglie con vigilantes armati andare a staccare l'acqua a chi contestava gli aumenti a tre cifre.

Il ricordo della prima manifestazione nazionale - che ha percorso le vie di Roma nel 2009 - sembra già affondare nella preistoria. Allora i manifestanti erano meno di quarantamila e il punto di arrivo era la piccola piazza Farnese, con un piccolo camion come palco. Lo scorso anno il centro storico venne letteralmente invaso dalle centinaia - oggi forse migliaia - di comitati cittadini, Sembrava l'apice di un movimento, un punto di non ritorno. Non era che l'inizio.

Ieri i movimenti per l'acqua non hanno temuto di accogliere le altre parti della società civile, quella antinuclearista e l'anima pacifista. E non era solo la cronaca ad imporre un ritmo differente, una suddivisione del corteo, sostanzialmente aperto e coinvolgente. Qualcosa sta cambiando, a ben guardare i trecentomila volti sfilati da piazza della Repubblica fino a San Giovanni, sfidando i grandi numeri. Ci sono segnali chiari e oggettivi, che rendono misurabile il movimento: «Lo scorso anno avevamo si e no riempito un pullman - spiegano i gruppi venuti dalla Calabria - quest'anno ne abbiamo organizzati quattro, e saremmo andati oltre se non c'era un problema di costo». Stessi numeri e stesso balzo in avanti per un'altra regione, il Piemonte. E poi la presenza forte delle zone storiche del Pd - che sul tema dell'acqua mostra ancora molte ambiguità - come la Toscana e l'Emilia Romagna. E poi la Puglia alle prese con la prima grande ripubblicizzazione in Italia, la Campania, dove i comitati si trovano di fronte all'eterna emergenza dei rifiuti, la Sicilia, che grazie al movimento per l'acqua ha raggiunto il primo obiettivo di una legge regionale che potrebbe togliere le risorse idriche ai privati. E la Calabria, dove la rete che oggi si riunisce attorno alla difesa dei beni comuni era nata nell'ottobre del 2009, con la manifestazione di Amantea per la verità sulle navi dei veleni.

Il quorum da raggiungere per i referendum su acqua e nucleare sembra non spaventare i comitati che ieri hanno colorato una Roma un po' sonnacchiosa e primaverile. Un segno importante è stato la partecipazione del gruppo ecodem - l'area ecologista del Pd - al corteo, con uno striscione sorretto, tra gli altri, da Roberto Della Seta. In questi mesi la posizione dei democratici non era stata particolarmente netta, soprattutto sul secondo quesito che prevede l'eliminazione del profitto garantito per i gestori privati dell'acqua. E proprio gli ecodem fin dall'inizio avevano agitato lo spettro del quorum ritenuto impossibile da raggiungere. Con il disastro di Fukushima le cose sono ovviamente cambiate. Ma forse è cambiata anche la percezione che viene dai territori, dove il Pd vede crescere in maniera esponenziale il movimento per l'acqua. Un confronto che guadagna sempre più consenso e coscienza critica.

NO NUKE

«SOLE, VENTO E MARE MA NON NUCLEARE»

di Eleonora Martini

«La catastrofe nucleare in Giappone basta e avanza, fermiamo le centrali atomiche». Molti degli striscioni e delle bandiere gialle che punzecchiano qua e là il grande corteo blu-acqua di Roma, odorano ancora di fabbrica. Nuovi di zecca, come la miriade di comitati locali «Vota sì per fermare il nucleare» sorti come funghi in tutto lo Stivale nelle ultime settimane. «Siamo nati come movimento in difesa dell'acqua pubblica, ma è l'intero pianeta il nostro bene comune, da difendere a tutti i costi contro la follia atomica: una tecnologia inutile, rischiosa e costosa». Ma dopo Fukushima e dopo il grande «bluff» della moratoria sul piano nucleare pensata solo per boicottare il referendum, hanno deciso di esplicitare meglio il loro messaggio «No Nuke».

Due istanze, la proprietà collettiva dell'oro blu e un territorio denuclearizzato, che viaggiano a braccetto, e non conoscono idea politica: a sfilare nelle strade della capitale ci sono elettori di destra e di sinistra, c'è perfino «Fare Verde», un'associazione nata 25 anni fa come di estrema destra ma, tentano di spiegare le donne e gli uomini dello spezzone che qualcuno ha cercato di cacciare dal corteo, «ora è composta da cittadini di ogni orientamento politico», «molti di sinistra, come me», puntualizza un pescarese.

Ciascuno ha aggiunto un simbolo, una parola, contro il nucleare sullo striscione o sul cartello, o una spilla gialla appuntata sulla giacca. Calzano tute bianche e maschere antigas; una stilista fiorentina indossa la bandiera antinuclearista che ha trasformato in un abito da cortigiana. Sono solo delegazioni, però, perché decine di altre manifestazioni No nuke si sono tenute ieri contemporaneamente in molte città italiane. Alcuni sardi in trasferta a Roma raccontano che a Cagliari ieri in molti hanno risposto alla geofisica Margherita Hack, che ha indicato la Sardegna come miglior sito nucleare, portando in piazza il vessillo indipendentista nella versione radioattiva: quattro teschi al posto dei quattro mori. Arrivano dalla Lombardia e dall'Umbria: «Uniti vinceremo di nuovo: Italia denuclearizzata». Dalla Sicilia, dal Lazio e dalla Basilicata, dalla Puglia, dal Piemonte e dall'Abruzzo. Vengono dalla Campania e sono «di ogni appartenenza politica», i «Movimenti Cap» che portano striscioni numerati e con una scritta «Socialità e progresso»: sono i codici di avviamento postale delle singole città, un modo per dire che ogni paese è un popolo che dice «No al nucleare». «Perché - spiegano - lo sappiamo già che se ci sarà bisogno di una pattumiera per le scorie radioattive, saremo noi i primi della lista».

Greenpeace, Legambiente e Wwf hanno mobilitato migliaia di persone da tutta Italia. E sono tanti i lavoratori e gli imprenditori delle energie rinnovabili che hanno speso capitali, tempo, energia e speranze in progetti di produzione - fotovoltaico, soprattutto - e ora rischiano di perdere tutto a causa del decreto Romani. «Anni di battaglie burocratiche, progetti bocciati e ripresentati mille volte e poi infine approvati, non sai nemmeno perché, senza aver cambiato una virgola - racconta Roberto, ingegnere, che per il suo progetto aveva trovato anche capitali esteri -e ora, dopo due mesi dall'entrata in vigore dell'ultima legge, il governo cambia tutto. Il termine ultimo per allacciare gli impianti è il 31 maggio, ma per l'Enel ogni cavillo è buono per rinviare: sono due mesi e mezzo che aspettiamo». Una storia tra tante. Ma i politici che sfilano sono pochi, qualcuno degli Ecodem e dell'Idv, i Verdi, Sel e Rifondazione. Anche se, come dice Paolo Ferrero: «A differenza di tanti altri temi su cui abbiamo manifestato, questo del referendum sull'acqua e sul nucleare è un terreno dove si può concretamente vincere».

NO WAR

I PACIFISTI COME PESCI NELL ACQUA

di Cinzia Gubbini

Non è un mare di bandiere arcobaleno, che pure ci sono a colorare il blu dei vessilli del movimento per l'acqua pubblica. Ma una cosa è certa: l'arcobaleno è nel cuore dei difensori dei beni comuni. Forse un po' a sorpresa, visti i grandi dibattiti sulle lacerazioni interne al movimento pacifista, piazza San Giovanni ieri era integralmente contro i bombardamenti e per la pace. Ora, qualcuno a favore dell'intervento in Libia deciso dopo la risoluzione Onu ci sarà pure stato - uno, a fatica, lo abbiamo trovato pure noi - ma la maggior parte delle persone che si sono messe in marcia da piazza della Repubblica non ha dubbi: è stato un errore bombardare la Libia, e ancor peggiore è stata la decisione dell'Italia di partecipare per cercare un posto al sole.

Ragionamenti concreti, anche un filino sofferti, non chiacchiere in libertà. «Oggi avremmo portato tutte le bandiere, compresa quella arcobaleno, che comunque è nel nostro cuore e nella nostra testa», dicono Lorena e Stefania, arrivate da Modena. «Gli insorti chiedevano aiuto? Bisognava trovare altre strade. E ora inneggiano all'intervento armato? Non so, io ho letto cronache di gente anche molto molto disperata per gli effetti delle bombe occidentali», dice Lorena. «E poi - aggiunge Stefania, che indossa una maglietta di Emergency - vogliamo chiederci come mai lì sì e in altri posti no?». Fabio, un loro amico, prima sta zitto, ma poi interviene come un fiume in piena: «Che sia una guerra sbagliata lo si capisce dal fatto che neanche loro sanno più come uscirne. E bisogna mettersi in testa una cosa: non c'è una guerra che abbia risolto i problemi».

Che il concetto di «guerra umanitaria» sia penetrata anche a sinistra è una cosa che fa imbestialire Marianna, del centro sociale Mezza Canaja di Senigallia: «Non si fa una risoluzione Onu e dopo 20 minuti cadono le bombe, c'erano altre strade da tentare». Quali? «Armare i ribelli, aiutarli nel loro processo di rivolta sociale che certo avrebbe avuto i suoi tempi ma sarebbe stato più giusto». Daniele, compagno di centro sociale, annuisce: «Io un'idea chiara ancora non ce l'ho, ne discuteremo al centro. Ma mobilitarsi per l'acqua pubblica è più di istinto, il discorso sulla guerra richiede maggiore approfondimento».

Rosa e Pier Giorgio da Cosenza meriterebbero un capitolo a parte, se non altro per la loro storia: marito e moglie per vent'anni, da dieci sono separati, ma le manifestazioni se le fanno ancora insieme. Condividendo tutto, o quasi. Rosa infatti non apprezza che Pier Giorgio abbia portato un cartello apertamente anti berlusconiano («basta all'uso giudiziario della politica») perché «la questione dell'acqua riguarda tutti, e per vincere questo referendum dobbiamo prendere i voti di tutti. Non esiste destra e sinistra». Ma sulla questione della pace non ci piove: «Intervento sbagliatissimo. Certo, bisognava fermare il folle. Ma non così. E poi? L'Italia, col suo carico di passato colonialista, interviene in Cirenaica?». Contraria anche Agar, una ragazza nata a Roma ma di origine egiziana, che segue con passione le rivolte nel Maghreb: «Io sono contro Gheddafi, ma anche contro le bombe sui civili, senza dubbi».

E qualcuno che pensi fosse necessario intervenire armati? C'è: «Scriva pure il mio nome e cognome: Francesco Gatti da Nuoro. Io penso che ci sono situazioni un cui non bisogna avere paura di usare la forza per difendere i civili. Questa era una di quelle»

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