Nel 1971 Jame Lerner diventa sindaco di Curitiba. Lo sarà per tre mandati: dal 1971 al 1975, dal 1979 al 1983 e dal 1989 al 1993 (diventerà in seguito Governatore dello Stato del Paranà, incarico che ricoprirà per due gestioni). Una continuità amministrativa questa, che contribuisce senza dubbio allo sviluppo positivo del Piano Direttore del 1966, anche grazie alla riorganizzazione dei vertici dei dipartimenti comunali che, con Lerner, vengono progressivamente affidati a tecnici provenienti dall’IPPUC, in una configurazione organizzativa che vede nei ruoli chiave della macchina municipale, persone motivate e seriamente intenzionate ad attuare e mantenere il Piano Direttore, perché ne sono gli stessi artefici.
Ma che cosa si attua del Piano Direttore, a partire dai primi anni settanta e con una straordinaria velocità? Quali sono i contenuti che porteranno Curitiba alla ribalta delle cronache internazionali e ne rendono il processo di pianificazione “inossidabile” nel tempo?
La viabilità e l’uso del suolo
Bisogna tenere a mente che la città, nei primi anni di attuazione del Piano, ha una popolazione di600 mila abitanti, una crescita demografica media annua del 5,3% e un tasso di crescita della motorizzazione prossimo al 10% annuo. Si tratta di numeri da boom. In queste condizioni vengono prioritariamente emanate le leggi (corrispondenti, sostanzialmente, a ciò che in Italia si chiama apparato normativo del Piano) che agganciano la disciplina sull’uso del suolo con il sistema della viabilità, a partire dagli “Assi Strutturali”, che innervano la città formando una sorta di croce ruotata. Ed è a partire dalla legge 5.234 del 1975 che si comincia a dare gambe a questo disegno: essa incentiva l’edificazione e l’addensamento delle aree interessate dagli Assi Strutturali e limita l’occupazione residenziale delle aree periferiche.
Inizialmente, secondo le previsioni del Piano, questi Assi dovevano essere larghi viali, di circa 60 metri di sezione, per ospitare tutte le diverse modalità di mobilità, privata e pubblica. Ma ci si accorse ben presto che queste misure richiedevano uno sventramento massiccio (i viali più ampi non superavano allora i 30 metri) che sarebbe stato troppo impattante socialmente ed economicamente. Si decide così di procedere con un sistema "trinario” (come l’ha ribattezzato Rafael Dely, il suo ideatore), fondato sulla separazione fisica dei traffici: ogni Asse Strutturale sarebbe stato costituito da una via centrale a doppio senso di marcia per veicoli privati, a ridotta velocità, e per gli autobus espressi (quelli cioè a maggior capacità di carico e ad elevata frequenza); a questa via centrale si affiancavano, separate da quadranti edificati, due vie a senso unico (in entrata e uscita dalla città) per il traffico più veloce.
I primi 20 chilometri di Assi Strutturali vengono costruiti in soli tre anni, dal ’71 al ’74, contestualmente ad un’altra operazione ad alto valore simbolico: la pedonalizzazione del centro storico – la prima in Brasile - a partire dalla “rua XV Novembro”, da allora ribattezzata “strada dei fiori”.
All’inizio degli anni ottanta comincia a farsi strada anche la necessità di salvaguardare il patrimonio edilizio storico. Un problema di difficile soluzione data la scarsa disponibilità delle casse municipali e data la propensione dei privati a realizzare edilizia redditiva in luogo degli edifici “vecchi”. Dall’IPPUC esce allora una idea, che diverrà poi legge. Si tratta in sostanza di indurre i privati, proprietari di immobili storici in aree di addensamento urbano, a preservare e recuperare gli edifici di pregio in cambio di una maggiorazione delle capacità edificatorie: capacità da spendere nello stesso lotto dell’edificio da conservare, se le dimensioni lo consentono, o in altri luoghi della città a rendita simile, ma più idonei in relazione alle condizioni di fatto. Un meccanismo sofisticato, che impone la conoscenza, da parte pubblica, di molte variabili del mercato immobiliare e, naturalmente, del patrimonio storico esistente e dei suoi valori. La legge che traduce operativamente questo concetto è del 1982 (legge 6.337) ed è grazie ad essa che si compiono i primi importanti interventi di conservazione e recupero, come quello della sede dell’Università’ Federale del Paranà in piazza “Santos Andrade”.
Questo meccanismo – definito “Legge del Suolo Creato” – non si limita ad investire il campo della conservazione dell’edilizia storica. Viene applicato successivamente anche per contribuire a colmare il deficit di abitazioni popolari e per programmare l’acquisizione e la costruzioni di parchi ed aree verdi: entrambe le applicazioni avvengono tramite l’istituzione di un Fondo Municipale ad hoc, nel quale confluiscono le risorse derivanti dalle plus valenze dei “premi edificatori” concessi ai privati.
La mobilità pubblica
La scelta strategica di dare massima priorità al trasporto pubblico, contenuta a chiare lettere nel Piano Direttore del 1966, si traduce, a partire dagli anni ’70, in un’altra scelta, legata anche alle esigue capacità d’investimento della città e dello Stato: costruire un sistema di trasporto pubblico con una rete di autobus, rinunciando alle attraenti, ma costose, performance delle tecnologie in uso in altre città, quali il Tram e il Metro. Si trattava, secondo le parole di Lerner, di «metronizzare la superficie», cioè di sviluppare un sistema di autobus che avesse efficienze simili a quelle del Metro, ma con investimenti per chilometro 30 volte inferiori. Questa soluzione si poteva realizzare a partire da alcune condizioni essenziali: la disponibilità di mezzi con elevata capacità di carico; la realizzazione di corsie riservate esclusivamente agli autobus; elevate frequenze; elevata velocità di imbarco e di sbarco dei passeggeri; bigliettazione a terra; massima integrazione tra le linee.
Con i vertici della Volvo - che ha trasferito alcune linee di produzione a Curitiba - vengono studiati mezzi che rispondano alle esigenze imposte dal progetto di trasporto pubblico lungo i 5 Assi Strutturali (le così dette linee espresse). Contestualmente si progettano le fermate portandone il livello all’altezza del pianale dell’autobus, per velocizzare le operazioni di imbarco e di sbarco. Nelle stesse fermate – dalla caratteristica struttura tubolare – viene prevista una postazione per l’erogazione del biglietto. Si costruiscono terminali di integrazione, vere e proprie piazze, in cui è interdetto l’accesso a veicoli e pedoni, è ed consentito circolare solo ai passeggeri che effettuano interscambi tra le linee espresse e il resto della rete.
Nasce in questo modo un sistema complesso ma molto efficiente e capillare di autobus con diverse funzioni, diversi colori, differenti capacità di carico. Il “fiore all’occhiello” della flotta è il biarticolato espresso che serve gli Assi Strutturali, lungo 27 metri, con una capienza di 270 passeggeri e una frequenza di 50’, che viaggia spedito lungo corsie riservate e protette.
Tra le cose più sorprendenti di questo sistema ci sono i costi. Non solo quelli d’investimento, che come detto sono notevolmente ridotti rispetto ad altre tecnologie, ma anche quelli di gestione: l’intero sistema vive senza sussidi, e si ripaga grazie alla sola tariffazione.
I numeri, ad oggi, sono presto detti: 2 milioni di passeggeri trasportati giornalmente, quasi 400 linee, 70 chilometri di corsie riservate, 350 stazioni “tubo”, 30 terminali di integrazione, una flotta di 1880 veicoli che percorrono – nelle 24 ore - quasi 500 mila chilometri.
L’agopuntura urbana
Mentre questa macchina di continua pianificazione si muove, con lungimiranza (e longevità), potrebbe coglierti l’impressione che la severa autorità dell’urbanistica curitibana abbia spazzato via l’umanità delle relazioni tra luogo, persone, cultura e tempo. Che in ragione dell’efficienza e della funzionalità la città si sia “disumanizzata”. Così non è.
Oltre al funzionalismo qui c’è una costante attenzione per la progettazione dei luoghi, per la ricucitura, ricostruzione, integrazione delle relazioni tra le persone che abitano quei luoghi. Persone che spesso fanno parte del terzo mondo delle favelas, o delle classi popolari dell’America latina che vivono con un salario minimo (che qui è di 200 US$ al mese). Qualcosa che ha a che fare con lo storico rapporto tra Piano e Progetto. Ma con l’evidente condizione che senza il primo non esiste l’altro.
«Ho sempre avuto l’impressione e la speranza che con una iniezione fosse possibile curare le malattie. Il principio di recuperare energia da una punto malato o stanco, per mezzo di una semplice puntura, ha a che fare con la rivitalizzazione di questo punto e dell’area che lo circonda.
Credo che possiamo e dobbiamo applicare alcune “magie” della medicina alle città, perché molte sono malate, in alcuni casi allo stato terminale. Nello stesso modo in cui la medicina necessita dell’interazione tra il medico e il paziente, anche in urbanistica è necessario fare in modo che la città interagisca. In questo modo si può intervenire su di un area aiutandola a curarsi, migliorarsi, a creare reazioni positive e a catena. E’ necessario intervenire per rivitalizzare, in modo che l’organismo lavori in modo differente.
Molte volte mi chiedo perché determinate città conseguono trasformazioni importanti e positive.
Ci sono molte e diverse risposte, però una mi sembra comune a tutte queste città che si sono rinnovate: la risposta è che in esse si è celebrato un nuovo inizio, un risveglio. E’ questo che fa in modo che una città si riattivi.
Sappiamo che la pianificazione e’ un processo. Per buono che sia, da esso non si conseguono trasformazioni immediate. Quasi sempre si tratta di una scintilla che accende una azione e la conseguente propagazione di questa azione. Questo è ciò che chiamo una buona agopuntura.Una vera agopuntura urbana. » (Jame Lerner, Acupuntura Urbana, 2005; la traduzione è mia)
(3-continua)