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Luigi Emilio Scano
2006. Tutti “matti”! (o tutti accoppati?)
20 Giugno 2007
Sardegna
La reazione di un sardo, che non ha dimenticato di esserlo, alle fascistiche intemperanze del sindaco di Olbia. Nell'immagine Emilio Lussu

Può darsi che il Sindaco di Olbia, allorquando ha ipotizzato (o auspicato? o invocato?) “un colpo di pistola o di fucile alla testa” del Presidente della giunta regionale della Sardegna, Renato Soru (mai nessuno mi costringerà a chiamarlo “governatore”), fosse stato fatto uscire di senno da un qualche dio, come suppone chi ne ha postillato la notizia in eddyburg.it (“Ppr, Nizzi passa alle minacce: un colpo di pistola contro Soru” – Società e politica – Dai giornali del giorno).

Forse qualche dio (magari il medesimo) aveva obnubilato gli intelletti (già però sovraccarichi di istigazioni all’odio, e all’azione omicida) di quegli squadristi che, quasi giusto ottant’anni or sono, assalirono la casa cagliaritana di un altro eminente uomo politico sardo, del quale porto il nome (anche se d’abitudine ometto di riportarlo nel firmarmi: ma mi propongo di rimediare). Mi riferisco, ovviamente, a Emilio Lussu: che, impugnata la sua pistola, respinse l’attacco dopo avere ucciso il primo squadrista affacciatosi in casa sua. Per la qual cosa fu assolto in istruttoria, per legittima difesa, da giudici non ancora asserviti al regime fascista, ma condannato in via amministrativa a cinque anni di confino a Lipari. Mio padre, allora poco più che ventenne, che negli anni precedenti aveva percorso in lungo e in largo la Sardegna partecipando alla scorta (armata) di Lussu, si rammaricò per tutto il resto della sua vita per non essere stato, il giorno dell’assalto, accanto al suo “padre spirituale” (così lo chiamava: d’accordo, era un sentimentale un po’ retorico). E a nulla valeva segnalargli che l’irruento ufficiale della Brigata Sassari era (e aveva dimostrato di essere) capace di cavarsela anche senza l’ausilio di un giovane studente in medicina, che amava allora, e avrebbe poi sempre amato, le partite di caccia, ma inanellando “padelle”, salvo mangiare di gusto pernici, cinghiali e altra selvaggina ammazzata dai compagni di battuta.

Ad ogni buon conto, Emilio Lussu ha legato in modo imperituro il suo nome (tra l’altro) alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Si deve a lui, infatti, se la Costituente sancì che il perseguimento di tale finalità compete alla Repubblica, cioè a tutte le sue articolazioni: Stato, regioni, province (o, oggi, città metropolitane), comuni. Con ciò ponendo le premesse acché il “giudice delle leggi”, vale a dire la Corte costituzionale, bocciasse impietosamente i tentativi, operati a seconda del “clima” prevalente, e talvolta, negli ultimi anni, imperando la babele dei linguaggi, degli intendimenti, degli interessi in conflitto, dei tatticismi autoreferenziali, anche quasi simultaneamente, ora nella legislazione statale, ora in quella regionale, di escludere talvolta lo Stato, talaltra il sistema regionale-locale, talaltra ancora soltanto le regioni, ovvero soltanto gli enti locali subregionali, dal diritto/dovere di concorrere alla predetta finalità, costituzionalmente posta (la qual cosa non implica affatto distribuzione delle medesime competenze a tutti i soggetti istituzionali anzidetti, né equiordinazione dei poteri).

Probabilmente si deve (anche) alla lezione di Emilio Lussu, tanto appassionato difensore dell’”identità culturale” della sua isola quanto “internazionalista” e curioso delle più diverse “culture” del mondo (assieme alla sua compagna Joyce, traduttrice di poeti albanesi, curdi, vietnamiti, angolani, mozambicani, afroamericani, eschimesi, aborigeni australiani), se fin dall’infanzia mi fu proposta la lettura, o almeno la consultazione, dei libri del prozio Dionigi Scano (ingegnere, ma soprattutto Vice-presidente della Società storica sarda): “Storia dell’arte in Sardegna dal XI al XIV secolo”, Chiese medioevali di Sardegna”, “Forma Kalaris”. Sulle caratteristiche del paesaggio sardo, all’inizio degli anni ’50, non c’era, in letteratura, molto, o, almeno, mio padre aveva maggiori difficoltà a trovarlo. Provava a supplire portandomi al mare, da Cagliari (dove lui lavorava, e tutti abitavamo), a Cala Mosca (di allora) più che al Poetto, e da Oristano alle paludi di Cabras e alla penisola del Sinis, e da Morgongiori (suo paese natale del quale per brevissimo tempo fu sindaco) su e giù, a cavallo, per le pendici del Monte Arci, e anche (bagassa! che fatica micidiale) per la Giara di Gésturi.

Per il mio diciannovesimo compleanno (eravamo da un sacco di tempo tornati “in continente”, e da qualche anno a Venezia, dove mio padre si era sposato, e io ero nato) mi regalò un libro, di Nicola Valle, intitolato “Scompare un’isola”. Credo soprattutto per potere scrivere, nella dedica, “anche tu, Luisicu, sarai tra quelli che non permetteranno che quest’isola scompaia”.

Si illudeva. Non ho fatto niente, specificamente, per la sua isola. Forse (mi illudo? voglio illudermi?) ho concorso a fare qualcosa per tutelare l’”identità culturale” (e l’”integrità fisica”) del territorio di qualche altro pezzo d’Italia, qua e là, e ho fornito qualche strumento (di dottrina giuridica, di ermeneutica giurisprudenziale) a quanti altri altrettanto volessero fare, in qualche altro posto d’Italia, qua e là.

Ma altri hanno fatto, egregiamente, negli ultimi tempi. Altri hanno redatto un piano paesaggistico regionale che pone le premesse (certo: nulla più che questo) affinché la Sardegna non “scompaia” (nelle sue caratteristiche costitutive e salienti, ovviamente, cioè non divenga la squallida, degradata, volgare, tragica maschera imbellettata di sé stessa: come, a esempio non casuale, sta diventando, o forse è già irreversibilmente avviata a diventare, la città delle mie radici materne, Venezia). Altri hanno voluto quel piano, e ne hanno deciso l’entrata in vigore. Una grandiosa operazione collettiva, sorretta e spronata e pretesa (a quel che ne so) dal Presidente della giunta regionale della Sardegna, Renato Soru.

Al quale, oggi, qualcuno (in consapevole o inconsapevole continuità con un passato che forse non passa proprio) promette che “avrà del piombo”.

Ebbene: così come, un po’ meno di quarant’anni or sono, a seguito di un’infelicissima battuta di un uomo politico francese di tutt’altra statura (non voglio fare dello spirito), più di metà della Francia proclamò “siamo tutti ebrei tedeschi!”, oggi chiunque sia interessato alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, e anzi chiunque sia interessato alla preservazione, nel nostro Paese, della dialettica politica liberal-democratica, è chiamato a proclamarsi partecipe “di quella gabbia di matti che sta amministrando la Sardegna”, e solidale con il suo “temibile tiranno”, il Presidente della giunta Renato Soru. E ad affermare, come l’anno scorso i ragazzi di Locri, “e adesso ammazzateci tutti”.

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