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Antonio Cederna
1989, Ecco la Sardegna, isola di cemento
26 Agosto 2006
Scritti di Cederna
La Sardegna prima di Soru (1). Per ricordare: un articolo da la Repubblica, 11 maggio 1989

Un passo avanti e due indietro, questo l’andamento della politica italiana, già tanto precaria, in materia di tutela paesistica e territoriale. Non avevamo fatto in tempo a rallegrarci per la legge urbanistica approvata ai primi d’aprile dal consiglio regionale sardo, ed ecco che sabato scorso il Consiglio dei ministri la boccia con motivazioni inconsistenti e la restituisce al mittente: a una regione che finalmente e dopo gravi ritardi predispone efficaci misure contro il dilagare del cemento, lo Stato risponde con cavilli cedendo, è ovvio supporre, alle pressioni delle forze che traggono le loro fortune dal saccheggio di quella risorsa scarsa e irriproducibile che è il territorio. La legge sarda bloccava infatti l’assalto edilizio alle coste: in sostanza, e per semplificare, prescriveva la loro inedificabilità temporanea (per due anni), in attesa della predisposizione dei piani paesistici. Una prescrizione del tutto ragionevole e da gran tempo auspicata, se appena consideriamo lo stato di fatto e di progetto. Pensiamo che 20 milioni di metri cubi sono già stati costruiti, e altri 50 circa sono previsti dagli sgangherati strumenti urbanistici dei sessantotto comuni costieri: se questa folle previsione venisse realizzata, i 1.569 chilometri delle coste sarde verrebbero sommersi, devastati, privatizzati, sconciati, distrutti sotto un ininterrotto tavoliere di cemento e asfalto, per ospitare oltre un milione e mezzo di turisti, (in pratica raddoppiando in un sol colpo la popolazione dell’isola). Con la legge che blocca l’edificabilità per due anni la Regione Sardegna ha voluto sventare questa autentica soluzione finale delle più belle coste del Mediterraneo, prendere il tempo necessario a riesaminare piani, lottizzazioni e convenzioni per sottoporli a elementari principi di pianificazione: insomma, opporsi al dilagare dell’urbanizzazione selvaggia dettata solo dal capriccio della speculazione e disastrosa, oltre che per territorio ambiente paesaggio, anche per l’economia in generale, perché fatta per tre quarti di seconde case, perché crea pochissimi posti di lavoro (un addetto ogni quaranta posti letto) e perché scarica sulla collettività i costi di servizi e infrastrutture. Bocciando la legge, il governo torna a rendere possibile quella sinistra prospettiva. E lo fa con proterva insipienza, come ha osservato il presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica Edoardo Salzano: infatti, quello che più colpisce è l’improprietà delle motivazioni addotte. Dice il governo che la legge sarda è in contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato, in particolare con gli articoli 41 e 42 della Costituzione. Sono gli articoli che regolano i modi di acquisto e di godimento e i limiti eccetera della proprietà privata: e quindi non hanno nulla a che fare con la legge in questione, la quale, anziché in contrasto con l'ordinamento giuridico dello Stato, non fa che attuare una legge dello Stato, in vigore da quattro anni, la legge Galasso. Una legge che ha vincolato intere categorie di beni territoriali (parchi, foreste, montagne, coste di mare fiumi laghi) in quanto irrinunciabile patrimonio di bellezze naturali; e ha sottoposto vasti territori a inedificabilità temporanea, in attesa dei piani paesistici regionali (che poi ben poche regioni, in testa l’Emilia-Romagna, abbiano provveduto, è un altro discorso). Non solo: la legge regionale sarda è perfettamente conforme a una famosa sentenza della Corte Costituzionale, la n. 56 del 1968, che ha sancito la piena validità dei vincoli ambientali in quanto tutelano territori che sono di per sé, originariamente, di interesse pubblico; e ha affermato a tutte lettere che la pubblica amministrazione può anche proibire in modo assoluto di edificare, e in tal caso non comprime alcun diritto sull’area, perché quel diritto è nato con il corrispondente limite e con quel limite vive. Un principio che è stato ribadito in un’altra sentenza di tre anni fa, quando la Corte ha affermato che l’attività urbanistica deve essere piegata a realizzare il valore estetico-culturale del paesaggio, la cui tutela è uno dei principi fondamentali della Costituzione (articolo 9): perché il paesaggio costituisce un interesse primario e prioritario al quale vanno subordinati tutti gli altri interessi, compresi quelli economici. Tutto ciò viene negato dal governo, che dopo essere stato per anni incapace di esercitare le sue funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di assetto del territorio, mette ora i bastoni tra le ruote di una regione che ha fatto una buona legge. E la Sardegna resta senza legge urbanistica, il tempo dei piani paesistici si allontana (intanto sarebbe bene che la regione rinunciasse a iniziative deleterie, come il porto turistico a San Teodoro e ai campi da golf che spianano la macchia mediterranea). Si vede che a Roma si sono rifatte vive le forze economiche che in consiglio regionale erano state battute (contro la legge avevano votato democristiani, missini e qualche cane sciolto franco tiratore): adesso torneranno alla carica le immobiliari, il Consorzio Costa Smeralda tornerà a pretendere qualche milione di metri cubi in più in comune di Arzachena, e così pure farà la Fininvest per il villaggio Costa Turchese a Olbia (un investimento di mille miliardi) con tanto di premi di cubatura. E di com'erano le coste sarde ci resteranno solo le vecchie cartoline.

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