L'occasione migliore per riflettere su un periodo di storia patria che ha portato alla degradazione fisica, culturale e ambientale del nostro paese, ci è stata offerta dal settimo congresso nazionale di "Italia Nostra" che si chiude oggi a Torino, nel trentennale della sua fondazione: l'associazione che è stata per anni l'unico baluardo contro la speculazione e l'insipienza pubblica e privata, e che fu fondata il 29 ottobre del 1955 da Umberto Zanotti Bianco, Elena Croce, Giorgio Bassani, Luigi Magnani, Pietro Paolo Trompeo, Hubert Howard, Desideria Pasolini. Erano gli anni di furente "ricostruzione" poi seguita dal cosiddetto "miracolo economico" che avrebbe travolto sotto un'urbanizzazione selvaggia quel "patrimonio storico, artistico e naturale della nazione", a tutela del quale Italia Nostra era nata, dopo che sul "Mondo" di Mario Pannunzio, erano apparse le prime isolate denunce. In quel tempo le cento città d' Italia venivano sottoposte a uno stillicidio di demolizioni-ricostruzioni, che rischiavano di disintegrare i centri storici. Le idee di Italia Nostra furono subito chiare. Sul primo numero del bollettino (oggi arrivato al numero 234) fu pubblicato un documento firmato da una ventina di (allora giovani) architetti in cui si affermava che "l'architettura moderna deve adeguarsi alle scelte urbanistiche" le quali "impongono la conservazione dei centri storici e la rinuncia a costruire in essi". Si ponevano così le basi per quella politica di recupero e risanamento conservativo del patrimonio edilizio antico che, almeno in linea di principio, si può considerare ormai acquisita, salvo periodici ritorni di fiamma di qualche architetto o amministratore sbandato. Contemporaneamente, la crescita edilizia indiscriminata distruggeva il verde di città e campagne: caso insigne l'assalto cui veniva sottoposta la campagna dell' Appia Antica. Si deve all'assidua, martellante azione di Italia Nostra se nel '65, il ministro dei lavori pubblici Giacomo Mancini, approvando il piano regolatore di Roma, vincolava finalmente quegli storici duemilacinquecento ettari a parco pubblico (che l'Spqr non abbia ancora espropriato un metro quadrato è un altro discorso). Man mano l'impegno dell'associazione si allargava all' intero territorio. Del '64 sono gli studi sulla tutela dei litorali (Gallura, Gargano, Taranto, Roma-Gaeta), del '66 le prime proposte legislative per l'istituzione e gestione di parchi nazionali e aree protette, e poi per la salvaguardia delle zone umide contro le nefaste "bonifiche", per l'istituzione dei parchi marini (previsti, almeno sulla carta, nella recente legge per la difesa del mare); e contro la mania dei porti turistici che cementificano le superstiti insenature della penisola. Quali i successi ottenuti? Semplificando a memoria, possiamo ricordare, a Roma, la conquista del parco di Villa Pamphili e la bocciatura della lottizzazione dei mille ettari di Capocotta (che un recente disegno di legge espropria per annetterla alla dotazione della presidenza della Repubblica); a Milano, la sospensione dello sventramento del centro storico; a Venezia l'abolizione delle micidiali strade translagunari; le drastiche modifiche del piano regolatore di Napoli per il centro storico, le zone verdi, lo spostamento delle industrie inquinanti; il ridimensionamento delle folli previsioni edilizie dell' Aga Khan sulla Costa Smeralda, eccetera. Quanto agli ambienti naturali è probabile che se non ci fosse stata Italia Nostra, centro e periferia (le sezioni locali sono più di centocinquanta), non sarebbero state bloccate le lottizzazioni del parco d'Abruzzo, il parco S. Rossore-Migliarino sarebbe stato lottizzato, quello della Maremma non ci sarebbe ancora: e non si parlerebbe di parco del Delta del Po, oggetto di studi approfonditi (e timidamente avviato in provincia di Ferrara). Incessante è stata l'azione dell'associazione sul fronte del patrimonio storico-artistico. Risalgono agli anni sessanta le proposte per la nuova legge di tutela; sono seguiti i saggi sulla disciplina dei beni ecclesiastici, sul restauro architettonico e urbanistico, le proposte per le agevolazioni fiscali ai privati meritevoli: memorabili le battaglie contro la devastazione dei Campi Flegrei (è stata salvata la Via Campana antica, che avrebbe dovuto diventare un diverticolo autostradale), le azioni per Agrigento e Selinunte, per il centro storico di Palermo. Determinanti sono stati gli interventi, a Roma, per l'acquisizione da parte dello Stato del complesso del San Michele: mentre proseguirà l'azione per il parco dei Fori Imperiali. E si deve all' associazione lo studio e il progetto di massima per il restauro dell'imponente cinta muraria di Ferrara. Convegni, tavole rotonde, seminari, corsi residenziali, quaderni, memoriali, numeri speciali del bollettino: l' enorme massa di documenti di Italia Nostra costituisce l'archivio dell' Italia distrutta, minacciata, da salvare, salvata. Non c'è argomento sul quale i governi non vengano incalzati (spesso in stretta collaborazione con le altre più giovani associazioni, Wwf e Lega Ambiente): dall'abusivismo alla difesa del suolo, dalla piaga delle cave che triturano l' Italia (ma il colossale cementificio di Acquasparta è stato sventato) al regime dei suoli, ai problemi dell'energia (risparmio e uso delle fonti rinnovabili). Decisiva l'azione a sostegno del decreto, poi legge, Galasso. Ma, nonostante una sempre più diffusa coscienza ambientale, si assiste oggi in Italia a una nuova, massiccia violenza contro il territorio. Si vogliono stanziare decine di migliaia di miliardi per nuove autostrade, si invocano nuovi grandi porti turistici, i piani edilizi sono sovradimensionati senza rapporto coi reali fabbisogni: e questo nel Paese dello spreco, che vanta una trentina di milioni di stanze in più degli abitanti e un chilometro e mezzo di strade ogni chilometro quadrato, e consuma 150.000 ettari di terreno agricolo all'anno. Occorre convincersi che il territorio è una risorsa scarsa e irriproducibile, ha detto il presidente di Italia Nostra Giorgio Luciani, e che ogni sforzo va fatto per subordinare ogni ipotesi di "sviluppo" alla rigorosa salvaguardia delle aree verdi, ambientali, naturali, agricole, che devono diventare i capisaldi irrinunciabili della pianificazione. Cemento e asfalto sono palliativi per la stessa occupazione: la quale può trovare impieghi duraturi in interventi di tutt'altro genere, quali il risanamento del suolo, il rimboschimento, la gestione delle aree protette, il restauro dell'edilizia antica. Questa è l'unica prospettiva realistica per l' avvenire.