Società degli Amici di Ronchi e Poveromo 1961-2011, pagine non numerate, riprodotto in proprio in formato 14x21, senza data (ma agosto 2011), senza luogo (ma Ronchi, Massa)
Quel gruppo di persone che, nel settembre del 1961, decise di fondare un’associazione "degli amici" di Ronchi e Poveromo forse non immaginava non solo di dare un'importante testimonianza di impegno civile, ma di scrivere una pagina della lunga storia dei movimenti per la difesa della natura.
Si trattava di persone che da molti anni frequentavano Ronchi e Poveromo --- un rettangolo di poco più di una decina di chilometri quadrati, circa a metà fra Marina di Massa e Forte dei Marmi, nella Toscana nord-occidentale --- e che, di fronte ai segni di un assalto speculativo e becero alle bellezze caratteristiche della zona, si ispirarono alle primissime associazioni, come Italia Nostra, fondata appena sei anni prima, che stavano sorgendo in varie parti d'Italia per arginare i guasti ai beni naturali e ambientali.
Negli anni cinquanta e sessanta del Novecento gli effetti del "miracolo economico" portarono alla distruzione di boschi e macchie e dune, coprirono di cemento le spiagge, alterarono il paesaggio costiero e quello di montagna, attraverso una graduale appropriazione e privatizzazione dei beni e dei valori collettivi che la Costituzione repubblicana, nel suo articolo 9, riconosce come valori da difendere: "La Repubblica ... tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione".
Questo scempio non solo non offriva a masse sempre più grandi la giusta possibilità di prendere conoscenza e di godere dei beni e dei valori naturalistici, storici e ambientali che sono di tutti, ma era mosso da un arrogante potere economico che ripeteva, nelle zone ancora utilizzabili per il riposo e la vacanza, i modelli di urbanizzazione che avevano già deturpato le città.
L'articolo 3 dello statuto della nuova associazione, che assumeva il nome di "Società degli Amici di Ronchi e Poveromo", afferma che "l'associazione ha lo scopo di difendere e proteggere le zone di Ronchi e Poveromo --- e più precisamente il comprensorio fra l'agglomerato di Ronchi e l'albergo Doria --- che sono rimaste quasi le ultime a conservare le più rare caratterististiche del paesaggio costiero della Versilia e che uniscono felicemente la veduta delle Alpi Apuane all'incantevole visione della costa, da Viareggio a Porto Venere".
Nel successivo articolo 4 lo statuto afferma: "Onde ottenere lo scopo suddetto l'associazione intende promuovere azioni atte ad evitare che edifici inopportuni vengano a turbare l'armonia del paesaggio sia sull'arenile sia nelle bellissime pinete e nella macchia di retroterra, e a proteggere la tipica vegetazione sia della landa marina --- unica ormai rimasta a ricordare le spiagge cantate dai nostri poeti --- (le agavi, i caratteristici arbusti), sia delle pinete e della macchia del retroterra: i piccoli gigli, l'erica, i lecci, gli ontani, i pioppi. Inoltre l'associazione si adopererà a promuovere la regolamentazione e la bonifica dei canali (Poveromo, eccetera) ad evitare il danno di invasione di insetti e di esalazioni malsane".
La zona di Ronchi e Poveromo era, agli inizi degli anni venti, una macchia quasi selvaggia, sede di poche abitazioni sparse e in armonia con la vegetazione, e tale più o meno è rimasta fino alla seconda guerra mondiale, quando divenne, dal settembre 1944 all'aprile 1945, l'immediato retroterra del fronte di combattimento --- l'estremità occidentale della "Linea Gotica", ferma al Cinquale. I lunghi mesi di guerra portarono alla distruzione di un largo tratto di pineta con i relativi edifici.
Dopo la Liberazione ebbe inizio una lenta ricostruzione della pineta e della vegetazione e si moltiplicarono le abitazioni, in genere senza un programma, spesso all'insegna della bruttezza e del disordine, talvolta della furberia e dell'abusivismo.
In quanto alla spiaggia la crescente pressione della popolazione estiva ne ha ben presto modificato profondamente i caratteri. Già la strada litoranea, costruita intorno al 1925, aveva portato lo spianamento di una delle grandi dune parallele al mare; la diffusione del turismo estivo portò lentamente il livellamento dell'arenile per permettere l'accesso più comodo delle persone e delle automobili fino alle cabine, fino alla riva del mare, con conseguente alterazione e distruzione della vegetazione spontanea della spiaggia, comprendente talvolta specie molto rare.
Chi critica la maniera "moderna" di avvicinarsi alla spiaggia, al verde, alla natura, al mare, è considerato un arretrato conservatore, anzi nemico del popolo, ma l'analisi ecologica dimostra che la protezione della natura è l'unica strada che permette di evitare danni in futuro ed è quindi anche socialmente utile, anzi è la strada per assicurare a tutti i cittadini, “al popolo”, il godimento di beni collettivi necessari per la salute e il benessere.
Non a caso la Francia, un paese industriale, avanzato e moderno più di noi e non certo accusabile di ubbie ecologiste, ha posto dei severi vincoli su tutte le sue coste vietando la privatizzazione, gli insediamenti stabili come strutture balneari, e, a maggior ragione, la costruzione di case.
La legge italiana n. 431 del 1985, ispirata al cosiddetto "decreto Galasso", che pure imponeva di proteggere dall'occupazione e dall'edificazione da parte di strade e abitazioni, le coste e le rive dei fiumi e del mare, non è mai stata applicata proprio dagli organi di quello stato che pure l'aveva emanata.
L’ “impero del disordine”
E non si tratta di capricci o ubbie. Per esempio negli anni settanta, la distruzione dei pini costieri, dovuta all'attacco da parte di agenti chimici presenti nel mare e trasportati in forma nebulizzata dal vento, fu proprio dovuta al fatto che l'aerosol marino non era più fermato dalle dune e dalla vegetazione spontanea della spiaggia.
Il disastro è stato completato dai vari sciagurati decreti di condono edilizio, a cominciare da quelli del 1985 e del 1993, che hanno legalizzato innumerevoli (nel senso letterario, perché nessuno li ha mai contati, tanto meno gli organi che avrebbero dovuto farlo) abusi edilizi, anche quando violavano vincoli naturalistici.
Non solo: nella zona di Ronchi e Poveromo sono stati violati tutti gli altri vincoli, ancora in vigore, ma "dimenticati", relativi al taglio degli alberi solo dopo una specifica autorizzazione delle autorità forestali, le norme sulle recinzioni dei terreni: quanto più gli edifici erano abusivi o furbescamente in violazione della legge (case che avrebbero dovuto essere monofamiliari divenute orribili palazzoni), tanto più sono state circondate e "protette" da altrettanto orrendi muraglioni, portoni a comando elettronico, viali di cemento, con ulteriore alterazione della vegetazione e della circolazione delle acque sotterranee e delle piogge.
Il falso "progresso", l'aumento della densità delle abitazioni, la cementificazione della pineta e della macchia, l'introduzione di specie vegetali estranee e la distruzione della vegetazione originaria, tutte queste azioni hanno compromesso un delicato equilibrio ambientale, idrogeologico e naturalistico. Le conseguenze non hanno tardato a farsi sentire, sotto forma dell'abbassamento della falda sotterranea di acqua dolce e dell'aumento della salinità dell'acqua sotterranea, della scomparsa delle specie vegetali ecologicamente più fragili.
Interessi di chi?
Purtroppo nei molti decenni della sua esistenza la voce della “Società degli Amici di Ronchi e Poveromo” non solo è rimasta scarsamente ascoltata dalle amministrazioni e dalle popolazioni locali, ma è stata per lo più accusata di difendere gli egoistici interessi di pochi "signori" snob, calati dalle grandi città, che volevano impedire ad altri di sfruttare e "valorizzare" --- secondo una ben distorta visione del "valore" --- la zona.
E invece, come l'associazione ha sempre sostenuto ad alta voce, la difesa delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche di Ronchi e Poveromo è non solo difesa di valori assoluti --- quella indicata dall'articolo 9 della Costituzione --- ma è anche nell'interesse della popolazione del luogo, degli agricoltori, dei bagnini, degli operatori turistici e dei turisti che guardano appena un po' più lontano del proprio naso. Un discorso non gradito.
Purtroppo l'esperienza ha mostrato che il graduale degrado, la distruzione della vegetazione spontanea, l'erosione delle spiagge, la mancata manutenzione dei fossi, gli inquinamenti, hanno portato un continuo declino del turismo della riviera apuana, soprattutto se paragonato a quello di altre zone costiere, anche della stessa Toscana.
Si è così verificato quanto si temeva: distruggere le spiagge, il verde, il silenzio, la possibilità di camminare tranquillamente a piedi o in bicicletta, significa compromettere, in breve tempo, una fonte di reddito per la stessa popolazione e per l'economia locale.
Si vede anche dalla rapida diminuzione delle strutture ricettive alberghiere trasformate in condomini: la pensione Betty, la pensione Iinternazionale (divenuta un orribile pacchiano casone), la mitica pensione La Pergola, la Villa Irene, la pensione Doria --- quella ricordata nello statuto dell'associazione --- divenuta casa di suore e ora trasformata in appartamenti.
Va anche detto che la popolazione locale non ha mai amato coloro che, venendo da altre città, nella zona di Ronchi e Poveromo sono vissuti a lungo e tale zona hanno molto amato. Lo dimostra il disinteresse per gli intellettuali e gli artisti che a Ronchi e Poveromo hanno scritto e operato, il fatto che la città di Massa non è stata capace di tutelare e segnalare, almeno con una lapide, la casa di Piero Calamandrei, che a Poveromo ha scritto importanti pagine delle sue opere di giurista e di uomo politico e anche parte della Costituzione repubblicana. Si tratta di quella villa, all'angolo fra Via Siena e il Viale Lungomare di Levante (poi alterata e ingrandita) nella quale Calamandrei ha ospitato tutti gli intellettuali e gli uomini politici che hanno fatto l'Italia moderna; il Comune non è stato neanche capace di dedicare almeno una strada, magari la stessa Via Siena, a Piero Calamandrei.
Lo stesso vale per le strade in cui hanno operato Savinio, Sacchi e tanti altri. Non dico di cambiare i nomi poetici e bellissimi di alcune strade --- via degli ontani, delle macchie, degli olmi, dei fichi, dei fortini --- ma altre strade hanno nomi che potrebbero essere modificati per ricordare poeti, scrittori e artisti che Ronchi e Poveromo hanno abitato e amato.
Il tornado del 1977
Nei molti decenni della sua storia l'associazione è passata attraverso --- ed è stata protagonista di --- vari eventi di importanza non solo locale.
Il tornado del 28 agosto 1977 è stato un evento naturale imprevedibile ed eccezionale, ma i suoi effetti devastanti sono stati ancora più gravi a causa di tutte le alterazioni ecologiche prima ricordate, perché l'intero ecosistema era stato reso più fragile dalla distruzione della vegetazione originaria e delle dune costiere e dall'alterazione delle falde idriche sotterranee. Il disastro sollevò emozione a livello internazionale. La Società degli Amici di Ronchi e Poveromo organizzò, il 29-30 ottobre 1977, insieme ad Italia Nostra, un convegno al quale partecipò, fra gli altri, Antonio Cederna (scomparso nel 1996).
La Comunità Europea, riconoscendo la grande importanza ambientale e naturalistica dell'ecosistema costiero apuano, stanziò ingenti contributi per incentivare la ricostruzione della vegetazione, in gran parte pini, distrutta. Con un commovente atto di solidarietà ogni città grande e piccola dell'Europa volle donare un albero alla zona colpita.
Dove è finito tutto questo ? Purtroppo i contributi comunitari sono stati in gran parte dissipati. Molte piante sono state messe a dimora malamente e sono poi morte, altre sono morte perché erano inadatte all'ambiente; larghi tratti delle pinete distrutte sono stati spianati e trasformati in prati all'inglese, fonti di indescrivibili sprechi di acqua, richiesta per la continua irrigazione. Intorno a molte case, al posto degli alberi, sono state costruite piscine (a pochi metri dal mare !) o stradine e parcheggi asfaltati. Il che fa diminuire la capacità ricettiva, per l'acqua delle piogge, del suolo che originariamente era sabbioso e molto permeabile, con conseguente formazione di pantani e paludi ad ogni pioggia più intensa.
Alla natura si comanda se le si ubbidisce
Ancora oggi un malinteso senso di "pulizia" della macchia o la trasformazione della macchia spontanea in "giardini" ad opera di alcuni proprietari, impedisce la formazione del sottobosco e di quella sequenza di specie vegetali che sole possono assicurare un sistema stabile e la cui difesa è specificamente raccomandata dallo statuto della Società.
In un mondo in cui lo sfoggio della ricchezza e dello spreco sono leggi, che posto possono avere le umili robinie, saggine, e roverelle, i poveri lecci e pini e platani e olmi --- ricordati nel nome di tante strade di Ronchi e Poveromo --- tutte piante che hanno la colpa di non costare niente, di crescere spontanee in gioioso disordine e non "valgono" niente, rispetto alle costose esotiche piante, ai bei giardini con gli alberi allineati, circondati da prati ben ordinati. Solo una profonda ignoranza botanica ed ecologica può non capire che invece la vegetazione sopravvive soltanto se è disordinata (secondo i nostri sciocchi canoni di "ordine"), e che tale disordine invece assicura, secondo ineluttabili leggi della biodiversità, rapporti di collaborazione e cooperazione spontanea e duratura fra tanti diversi esseri viventi vegetali. Proprio per questa la Società degli Amici di Ronchi e Poveromo ha più volte organizzato delle conferenze del prof. Erminio Ferrarini, uno dei profondi conoscitori della flora apuana, per ricavarne indicazioni e suggerimenti.
Adesso non solo della vecchia pineta restano pochi frammenti, intramezzati da larghi tratti privi di vegetazione, ma il turbamento dell'ecosistema ha fatto aumentare la salinità dell’acqua sotterranea, il che contribuisce ulteriormente a far morire piante e alberi. E ad ogni nuova licenza edilizia i proprietari e i costruttori, per prima cosa, distruggono e sradicano qualsiasi vegetazione spontanea, incuranti del fatto che in alcuni fazzoletti di terreno dei Ronchi e di Poveromo esistono ancora rari biotopi.
La spiaggia che scompare
Un altro grave problema che ha impegnato l'associazione riguarda l'assetto della spiaggia di Ronchi e Poveromo. Nel disordine del trasferimento delle competenze sulle concessioni degli arenili dal Ministero della Marina mercantile alle amministrazioni locali sono proliferati stabilimenti balneari spesso orribili, talvolta mascherati sotto l'etichetta di circoli o associazioni, in genere dotati di enormi parcheggi in terra battuta o addirittura in cemento, che occupano abusivamente larghi tratti di spiaggia, a pochi metri dal mare.
Nello stesso tempo la spiaggia di Ronchi e Poveromo lentamente retrocede, erosa dal mare, in conseguenza degli interventi sbagliati di presunta "difesa" della costa a Marina di Carrara e Marina di Massa e della diminuzione, a causa dei prelevamenti di inerti dal greto del fiume e della diga a Bocca di Magra, del trasporto, da parte delle correnti marine verso sud-est, della sabbia del Magra.
Non solo i pennelli e le barriere non consentono la ricostruzione della spiaggia di Marina di Massa, ma l'erosione, dopo avere raggiunto Ronchi, sta rapidamente muovendosi verso Poveromo e il Cinquale. Si fermerà probabilmente fra Forte dei Marmi e Viareggio, grazie all'apporto compensatore della sabbia proveniente dal Serchio, che le correnti marine spingono verso nord-ovest.
Il piano regolatore dell'arenile, approvato dal Comune di Massa nei primi anni novanta, ha peggiorato ancora le cose. Quel po' di spiaggia che ancora sopravvive è ora costellata di orribili edifici, finti bagni, ma in realtà ristoranti e discoteche, che sono riusciti anche qui a togliere la vista del mare a chi percorre il viale litoraneo. Le ultime tracce di ondulazioni, residui delle dune, sono state livellate e fu una gran fatica, per l'associazione, trovare, nel sopralluogo fatto all’inizio degli anni novanta delle decine di stabilimenti balneari, due o tre che ancora avevano alcuni residui della, una volta ricca e rara, vegetazione della rena. A questo proposito si possono ricordare gli incontri che la Società ha organizzato invitando Ferruccio Egori (scomparso nel 1999) a illustrare l’evoluzione della costa che egli aveva immortalato in una collezione di migliaia di diapositive che avrebbero meritato di essere raccolte in un archivio.
La salvezza alla crescente crisi ecologica si può avere soltanto con un salto di cultura, al quale la Società degli Amici di Ronchi e Poveromo, nel mezzo secolo della sua vita, ha dato un contributo organizzando presentazione di libri, incontri e dibattiti pubblici anche in collaborazione con le associazioni ambientaliste locali. Fra tali iniziative va ricordata in particolare la pubblicazione del prezioso volume, “Ronchi-Poveromo. Natura e memoria”, edizioni 1997 e 2007 (alcune copie sono ancora reperibili presso l’associazione), con una raccolta di saggi sulla storia della riviera apuana e una copertina arricchita della riproduzione di un quadro donato da Piero Calamandrei.
Bisognerebbe far crescere la consapevolezza che la zona di Ronchi e Poveromo può sopravvivere soltanto se si riconosce che è parte di un grande ecosistema costiero che va da Bocca di Magra fino a Livorno, e comprende fiumi e torrenti il cui apporto di sabbia al mare governa, lentamente, l'avanzata o la retrocessione della costa. Purtroppo, per strane ragioni storiche, la costa è divisa amministrativamente "sotto" due regioni, Liguria e Toscana, tre province, La Spezia, Massa Carrara e Lucca, e tanti Comuni, ciascuno dei quali, per differenti e talvolta contrastanti interessi, compie --- o omette --- opere che influenzano i caratteri naturalistici delle zone vicine.
Fra acque e mare
I fondatori della Società degli Amici di Ronchi e Poveromo, che nel 1961, nello statuto, parlarono della necessità di mantenere in efficienza il sistema idrico di fossi come il Poveromo, avevano ben presente che la zona di Ronchi e Poveromo faceva parte, ancora all’inizio del Novecento, di un ampio sistema paludoso: la bonifica era stata realizzata, con amore e saggezza, scavando numerosi canali scolmatori delle acque di piena che intersecavano tutta la pianura da Marina di Carrara a Viareggio.
Nel tratto Ronchi-Poveromo si possono ricordare il Magliano, il Poveromo, il Canalmagro Fescione, il Fosso del Sale, il sistema Montignoso-Versilia-Cinquale, ben riconoscibili nelle carte dell'Istituto Geografico Militare della fine del secolo scorso.
La pulizia dei fossi e il loro accesso al mare assicuravano il deflusso delle acque piovane, una forma di autodepurazione assicurata dall'incontro fra l'acqua salina del mare e le acque dolci provenienti dall'interno, che permetteva di evitare l'inquinamento e la salinizzazione delle falde sotterranee.
Un attento osservatore riconosce, nonostante i tentativi di livellamento delle strade asfaltate, le ondulazioni parallele e perpendicolari alla costa che assicuravano il drenaggio delle acque delle paludi e la protezione delle falde di acqua dolce che una volta era facile reperire a pochi metri di profondità e che alimentavano gli alberi della macchia.
Una parte di questo sistema idrico era unito, fino all’inizio del Novecento, dalla grande palude, e vasca di espansione delle acque, del Lago di Porta. Nel corso dei decenni il lago è stato occupato dal Polverificio di Vittoria Apuana (circa 1900-1920), poi dall'aeroporto del Cinquale (dal 1930), poi è diventato deposito di scarichi industriali e di rifiuti urbani, poi è stato occupato abusivamente da edifici, poi è stato occupato da un campo da golf (dal 1990).
Per non disturbare i malintesi miopi interessi dei concessionari delle spiagge è stato chiuso l'accesso al mare dei fossi scolmatori: il Magliano è ridotto a un rigagnolo, sono chiusi il Poveromo, il Fescione, il Fosso del Sale: il Cinquale si è riempito del fango e della marmettola provenienti dal Versilia e viene tenuto aperto quel minimo che fa comodo al passaggio dei motoscafi. Una parte dei fossi sono stati coperti con cemento e sfruttati a fini abitativi; i fossi sono così diventati vere e proprie fogne a cielo aperto, fonti di puzza, di parassiti e di inquinamento delle acque sotterranee ad opera dei prodotti di putrefazione che ristagnano nei fossi stessi e percolano nel sottosuolo.
La mancanza di manutenzione e di periodica pulizia ha fatto sì che i fossi si riempissero di fango, che ne diminuisse la capacità ricettiva delle acque piovane e che queste esondassero sempre più spesso, allagando terreni e strade.
Nel nome di interessi privati, "violenti" contro la natura, si è ridotto lo spazio per il moto delle acque e non a caso dagli anni novanta si sono vetrificate continue alluvioni dovute al fatto che le acque provenienti dai torrenti di montagna non trovano più nella pianura spazi in cui espandersi e allagano e distruggono strade, case, beni materiali e vite umane. Non c'è da meravigliarsi se ad ogni nuova pioggia si sono avute e si avranno alluvioni e allagamenti. Il fatto singolare è che gli errori e le omissioni, sotto gli occhi delle pubbliche amministrazioni, fruttano pochi milioni a chi ne trae vantaggio, costruendo case dove non dovrebbero essere costruite, e costano milioni di euro alla collettività.
Dopo ogni nuova alluvione, infatti, vengono spesi soldi pubblici per risarcire i danni, ma nessun soldo è speso per ripristinare le condizioni che assicurano l'espansione delle acque, cioè per prevenire gli eventi calamitosi. La più ardita proposta consiste nel rialzare gli argini dei fossi, e in questo modo non si fa altro che spostare le zone allagate da un posto all'altro, senza alcun vantaggio per il reale deflusso delle acque.
Nello stesso tempo l'estensione di case, di parcheggi, addirittura piste sportive di asfalto e cemento, alterano la permeabilità dei suoli e la capacità dell'originale terreno sabbioso di assorbire rapidamente le acque piovane. Così si moltiplicano le zone in cui l'acqua ristagna.
Anche questi piccoli episodi, apparentemente locali, ma che riflettono una situazione che si ritrova in tutta Italia, mostrano che l'attenzione per la condizione "naturale" della zona è essenziale per la conservazione di un patrimonio ecologico che appartiene alla collettività e che deve essere difeso nell'interesse della collettività, presente e futura.
Natura e inquinamento industriale
C'è un'altra pagina della storia del territorio di Ronchi e Poveromo in cui l'associazione ha avuto un notevole ruolo. Ad appena pochi chilometri di distanza, nella pianura fra Massa e Carrara, nel 1938 fu insediata una vasta zona industriale con stabilimenti chimici, metallurgici, meccanici, essenzialmente previsti per le esigenze della guerra.
Distrutte in gran parte durante la guerra, dopo la Liberazione le fabbriche sono state ricostruite e trasformate per operazioni produttive sempre più inquinanti: di particolare pericolosità ed effetto negativo sull'ambiente sono state le industrie chimiche, la cokeria, lo stabilimento di pesticidi Rumianca poi Enichem, l'altro stabilimento di pesticidi Montecatini poi Montedison poi Farmoplant, lo stabilimento per la produzione di ferroleghe, quello per manufatti di cemento-amianto, la fabbrica di refrattari. Nello stesso tempo una ripresa, dopo lunga stasi e crisi, dell'attività di segagione del marmo locale e dei graniti di importazione, ha portato un crescente inquinamento del mare, che si aggiungeva a quello delle fogne urbane, per decenni senza alcun depuratore, poi con depuratori sbagliati e insufficienti.
A poco a poco l'inquinamento dell'aria e delle acque ha cominciato a fare sentire i suoi effetti anche nell'apparentemente isolata e lontana zona di Ronchi e Poveromo. L'aria e l'acqua non hanno confini e si spostano secondo le loro leggi naturali e non esistono isole privilegiate.
L'inquinamento ha danneggiato la vegetazione costiera, ma la consapevolezza di convivere con un grande polo industriale e con i relativi pericoli ha raggiunto anche la zona di Ronchi con i due gravi incidenti industriali, quello del 17 agosto 1980 alla Montedison, del 12 marzo 1984 all'Enichem.
Per anni nessuno ha mai misurato lo stato di inquinamento dell'aria e delle acque e la balneabilità del mare: la scoperta delle disastrose condizioni locali si è avuta quando il nostro paese è stato costretto, negli anni ottanta del Novecento, a recepire le normative europee a dotarsi, sia pure lentamente, di una rete di analisi dell'aria e delle acque. Si è così visto che le leggi europee e quelle nazionali (a cominciare dalla storica legge "Merli" contro l'inquinamento delle acque interne) erano violate continuamente e sotto gli occhi di tutti.
A partire dalla metà degli anni ottanta si è formato nella zona un vasto movimento di protesta contro le fabbriche pericolose e inquinanti: davanti all'arroganza delle industrie che si rifiutavano di migliorare le condizioni di sicurezza e di eliminare le produzioni pericolose e inquinanti, gli abitanti di Massa si sono mobilitati chiedendo un referendum per la chiusura della Farmoplant (lo stabilimento Enichem era chiuso dal 1984).
A questo punto la Società degli Amici di Ronchi e Poveromo ha sentito il dovere di affiancare la popolazione in una protesta che era non solo civile, ma anche strettamente legata ai suoi fini istituzionali di difesa della natura e dell'ambiente. Soprattutto i soci che abitavano stabilmente nella zona --- per tutti vorrei ricordare la bravissima socia Doda Dionisi Vici che mise nell'impresa tutto il suo impegno e la sua passione --- parteciparono al comitato promotore del referendum popolare e hanno "marciato" insieme alla popolazione dapprima per ottenere il referendum, poi per sollecitare, nella votazione del 15 ottobre 1987, un "sì" che assicurasse la chiusura dello stabilimento Farmoplant.
Il referendum fu vinto e la fondatezza della protesta fu dimostrata poco dopo da un nuovo incidente, il 18 luglio 1988, sempre alla Farmoplant. Ma la storia della violenza contro l'ecosistema costiero apuano è continuata: dopo la chiusura (nel 1988) della fabbrica di pesticidi la Farmoplant, nonostante le proteste della popolazione, ha fatto funzionare, fino all'estate 1991, un grande inceneritore di rifiuti tossici per distruggere le materie pericolose ancora presenti nello stabilimento, provocando un ulteriore inquinamento.
La protesta della Società degli Amici di Ronchi e Poveromo, insieme alle altre associazioni ambientaliste --- Italia Nostra, WWF, Legambiente --- e alla popolazione contro gli inquinamenti, non è stata una posizione antindustriale, ma una richiesta, doverosa, che le pubbliche amministrazioni facessero rispettare la legge che prescrive, oltre a precise norme urbanistiche e paesaggistiche (violate), anche norme contro gli inquinamenti dell'aria e delle acque (violate anch'esse).
Una richiesta perché il lavoro e l'occupazione siano garantiti da attività compatibili con gli inevitabili vincoli che ogni territorio pone: questa compatibilità è anche premessa perché l'occupazione sia duratura. Si tratta, insomma, di una civile e doverosa domanda di rispetto delle leggi dello Stato, in armonia con quelle altrettanto inviolabili della natura, essenziale per il futuro, anche turistico ed economico della riviera apuana.
Il passato è prologo
E poiché il passato è prologo, ripercorrere la storia della Società degli Amici di Ronchi e Poveromo, a 50 anni dalla sua fondazione, non è solo un'occasione per ricordare il suo contributo culturale e di stimolo civile, ma può anche essere occasione per vedere i principali problemi che l'associazione potrebbe affrontare ... nei prossimi 50 anni.
Un bel ruolo potrebbe avere l'associazione rilanciando la cultura della solidarietà fra l'intera riviera apuana e quella versiliese, proprio partendo dalla posizione centrale di Ronchi e Poveromo, spiegando e cercando di far capire che la zona stessa si salva soltanto se si realizzano dei piani ambientali ed ecologici, in cooperazione e coordinamento fra le diverse unità amministrative in cui è polverizzata la riviera apuo-versiliese.
Un arduo compito perché non ci si può nascondere che esistono antiche e radicate antipatie fra le diverse, pur vicinissime, comunità: a parte l'antica rivalità fra Carrara e Massa, ci sono rivalità fra Massa e Montignoso, irrequieta comunità originariamente appartenente alla Repubblica di Lucca, chiusa (fino alla fine del 1700) fra gli Stati Estensi e l'enclave del Granducato di Toscana; per non parlare poi dell'orgogliosa indipendenza dei cittadini di quella che si considera "Versilia storica" a sud del Cinquale --- comprendente Forte dei Marmi, Pietrasanta, Seravezza e Stazzema, antica enclave del Granducato di Toscana fra Stati Estensi e Repubblica di Lucca --- molti dei quali ritengono di non avere niente a che spartire con gli abitanti della riviera apuana.
La presenza e la vigilanza dell'associazione sono ancora più necessari in questi anni in cui una mania di privatizzazione di tutti i beni pubblici sta portando alla svendita, da parte dello Stato, del delicato demanio marittimo --- e di quanto resta del demanio fluviale --- con la prevedibile conseguenza di un'accelerazione della distruzione di quanto ancora resta.
Qualcosa si può ancora salvare chiedendo la "protezione" di almeno alcuni piccoli pezzi del territorio. Oasi del WWF sono state create al Cinquale (in Comune di Forte dei Marmi) e una di queste oasi è diventato un piccolo "santuario" delle specie vegetali tipiche della spiaggia. Una piccola zona protetta è stata creato nel residuo delle paludi fra l'abitato di Ronchi e il fosso Magliano. Ma è troppo poco rispetto all'avidità di chi vuole installare nuovi spazi "giochi" o ristoranti o discoteche, contrabbandati come "servizi ricreativi", di fatto con interventi devastanti su quanto resta dell'ecosistema.
La Società degli Amici di Ronchi e Poveromo continua ad essere al fianco del lavoro generoso e benemerito del WWF e di quanti hanno a cuore la difesa dei valori ambientali, paesaggistici e naturalistici la cui difesa chiedevano, con lungimiranza, i fondatori della Società mezzo secolo fa.