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Loris Campetti

Lavoro da morire
8 Giugno 2011
Articoli del 2011
Via i lacci e i lacciuoli che frenano lo “sviluppo”: anche quelli che rendono meno inumano il lavoro sfruttato. Il manifesto, 8 giugno 2011

Ce lo ripetono in tutte le salse: l'economia italiana per riprendere a marciare ha bisogno di semplificazioni. Bisogna ingaggiare una guerra senza frontiere alla burocrazia. Troppi lacci e vincoli frenano la ripresa, troppe tasse gravano sulle imprese, troppi controlli «rallentano la catena della produzione di valore». Così parlano gli imprenditori e il loro cavalier servente di turno al governo prende appunti e fa scempio non della burocrazia, ma delle norme che tutelano chi lavora.

Il primo atto di questo governo dopo il suo insediamento è stato un attacco al Testo unico della sicurezza del lavoro, una delle non moltissime tracce positive lasciate ai posteri dal governo Prodi. Obiettivo dichiarato, la depenalizzazione dei reati previsti dal Testo. Poi ci si meraviglia, o addirittura ci si scandalizza, quando l'onorata assise degli imprenditori applaude calorosamente l'amministratore delegato della Thyssen Krupp appena condannato per omicidio volontario nel rogo torinese in cui furono bruciati 7 operai metalmeccanici. Più di 16 anni in primo grado, che esagerazione. Così si allontano i capitali stranieri dall'Italia. L'ultimo atto in ordine di tempo messo in scena dal governo Berlusconi è il varo di misure volte a destrutturare il sistema ispettivo.

Un'azienda che abbia «subìto » un'ispezione da parte di una qualsivoglia struttura pubblica preposta al controllo della regolarità e del rispetto delle normative, anche inmateria di sicurezza, potrà vivere in pace per sei mesi e nessun ispettore potrà rimettere il naso nei suoi uffici e officine. Una libertà di saccheggio, come quella concessa ai soldati che hanno conquistato un obiettivo. Una libertà di sei mesi con la possibilità di violare leggi e vite umane nella più completa impunità. È scritto nell'articolo 7 del «decreto sviluppo» - il decreto legge pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 13 maggio che dovrà essere convertito in legge entro 60 giorni.

Giustamente la Cgil chiede correzioni radicali a un testo che denuncia la subalternità politica agli spiriti animali dei nostri imprenditori. La vita di chi lavora non vale niente, prima viene il diritto al profitto. Non era questo lo spirito dei nostri costituenti, o di chi ha stilato quello Statuto dei lavoratori che non a caso il ministro Sacconi vuole gettare alle ortiche senza neppure provocare troppo scandalo. In campo padronale, la sterilizzazione de facto dei delegati dei lavoratori che devono tutelare la sicurezza produce effetti disastrosi. La crisi è un'occasione straordinaria per trasferire tutti i poteri nelle mani dell'impresa utilizzando il ricatto del lavoro.

Se questo è il processo in atto, non possono sorprenderci i dati sull'aumento terribile degli «infortuni» e dei morti sul lavoro nei primi mesi dell'anno, più 22% rispetto allo stesso periodo del 2010. Fermando le lancette della morte a lunedì scorso, 266 lavoratori hanno già pagato con la vita dal 1° di gennaio. Si muore nei cantieri edili e nelle campagne, si muore in fabbrica. Si muore anche andando o tornando dal lavoro in bicicletta travolti dalle automobili alla fine del turno di notte. Ieri è toccato sulla via Emilia a un operaio cingalese, succede sempre più spesso ai sik che tornano dalla campagna laziale pedalando sulla via Pontina. Succede ai metalmeccanici che smontano dal turno alla Fiat di Melfi e si lanciano verso casa distante anche cento chilometri. Ma chi muore così non viene conteggiato, non fa statistica. Se i numeri di questa strage non sorprendono, però, devono continuare a indignare gli uomini e le donne di buona volontà. Ma questi padroni, e questi legislatori, forse non sono uomini di buona volontà. Forse non sono uomini.

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