Via libera al Palacinema low cost
di Alberto Vitucci
Del progetto iniziale è rimasto solo il «buco». Un cratere pieno di amianto, con reperti archeologici ottocenteschi. Lavori fermi perché costa smaltire le sostanze inquinanti. «Quel nuovo Palacinema è una strada morta, serve un’idea nuova», ha detto a sorpresa il neoministro Galan. Il Codacons ha presentato una nuova denuncia alla Corte dei Conti: «Chi pagherà i danni alla città?»
Il «Sasso», progetto vincitore del concorso lanciato dalla Biennale nel 2005, non si farà più. Un altro sasso muove in queste ore le acque ferme della politica veneziana. E’ quello lanciato a sorpresa dal neoministro ed ex governatore Galan. «Ha messo la prima pietra insieme a me e Bondi, non credo che la sua sia una posizione di contrarietà», commenta l’ex sindaco Massimo Cacciari, «forse Galan vorrà rivedere il progetto, risparmiare qualcosa visti i costi della bonifica, non credo abbia cambiato idea e voglia tornare indietro rispetto all’idea di un nuovo Palazzo del Cinema». L’attale sindaco Giorgio Orsoni ha accolto la provocazione. «Se lo dice il ministro bisogna rifletterci», dice. In realtà si sta già discutendo di come uscire dal pasticcio. Idea del Comune sarebbe quella di limitare al minimo le nuove edificazioni, ristrutturare con i fondi disponibili il vecchio palazzo, creare collegamenti tra gli edifici esistenti. E recuperare il «buco» trasformandolo in parcheggio. L’amianto sarebbe ricoperto di cemento e il problema disinquinamento risolto. Una dichiarazione di resa rispetto alle intenzioni più volte espresse - anche dallo stesso Galan - per il nuovo Palacinema. Il presidente Codacons annuncia nuovi esposti. «Vogliamo che si faccia chiarezza sullo spreco di denaro pubblico compiuto», dice, «la decisione del ministro Galan conferma i nostri dubbi». Un altro esposto firmato dai comitati è già stato presentato in Procura. Si torna indietro, dunque. Perché la presenza dell’amianto, sostanza con cui venivano fabbricati a inizio secolo i tetti delle capanne delle spiagge, è stata trovata in quantità superiori al previsto. Materiali sotterrati di cui nessuno aveva evidentemente verificato la presenza prima di partire con i lavori. Un vero fallimento, il nuovo PalaCinema. Opera che doveva essere finanziata dallo Stato, inaugurata per il 150esimo dell’Unità d’Italia nel marzo scorso. Invece il palazzo del Cinema non c’è, i costi sono lievitati (si è tornati alla cifra di 130 milioni). I soldi finora li hanno messi Regione e Comune. Quest’ultimo con la vendita dell’Ospedale al Mare e la concessione alla cordata di Est Capital del progetto della nuova darsena. Lunedì il commissario Spaziante illustrerà ai cittadini del Lido il progetto della darsena da 1000 posti barca a San Nicolò. Giovedì sarà il sindaco Orsoni a incontrare la Municipalità. Tema, PalaCinema e grandi progetti.
Cantiere fermo già a giugno ed emergenza finanziaria: i soldi non bastano più
di Enrico Tantucci
Edificio rialzato e uso fiera - La nuova soluzione: rinuncia alla parte interrata e alle bonifiche
Potrebbe trasformarsi in un polo fieristico oltre che in una sala cinematografica, il Palacinema riveduto e corretto, realizzato con una soluzione low-cost, che non preveda più la parte interrata dell’edificio, ma solo la Sala grande da circa 2 mila posti, in superficie. Ma intanto già a giugno il cantiere in corso si fermerà, in attesa di capire come andare avanti.
Dopo lo stop all’attuale progetto di Palazzo del Cinema, per i suoi costi insostenibili, decretato di fatto dal ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan, il commissario Vincenzo Spaziante - in parte spiazzato dall’uscita del ministro, che segue l’appello del sindaco Giorgio Orsoni per la mancanze di risorse necessarie al cantiere - sta già abbozzando la soluzione alternativa. Lo scavo si fermerà più o meno alla profondità attuale - tra i 3 e i 5 metri - senza arrivare ai circa 10 metri previsti, lasciando l’amianto dov’era e risparmiando così gli altissimi costi della bonifica. Si rinuncerà così a buona parte degli spazi interrati - comprese le altre due sale cinematografiche - previste dal progetto iniziale del”Sasso” (la forma concepita dai progettisti per il Palacinema). L’idea di Spaziante, per non perdere in cubatura, sarebbe quella di riguadagnare quegli spazi in altezza, elevando di circa 5 metri tutto l’edificio.
Intanto la Sacaim - l’impresa che ha vinto l’appalto da 52 milioni per il Palazzo del Cinema, al netto di tutti i costi aggiuntivi delle bonifiche e di altre opere - continua a lavorare in cantiere e attende istruzioni. Se tutto dovesse bloccarsi sarebbe probabilmente inevitabile la richiesta da parte sua a Governo, Comune e Regione - i firmatari dell’accordo di programma - di un congruo risarcimento danni.
Ma l’idea di Galan, Spaziante e Orsoni non è quella, comunque, di «cancellare» il Palazzo del Cinema, ma di realizzarlo in versione ridotta, limitando i costi e destinandolo ad un uso più intensivo rispetto a quello garantito con la Mostra del Cinema. L’idea che starebbe emergendo sarebbe appunto quello di un polo fieristico, trovabdo per esso anche nuovi investitori dal territorio. Lo stop anticipato del cantiere - legato anche all’avvicinarsi del periodo organizzativo della Mostra del Cinema - servirà anche a riordinare le idee. Ma la vera incognita del Palacinema, anche rivisto, non è l’amianto: è la mancanza dei fondi necessari per realizzarlo, visti anche i problemi legati alla”partita” dell’ex Ospedale al Mare, tra il complessso turistico, la nuova darsena e l’area della Favorita che non è stata ancora venduta e lo sarà solo a trattativa privata e a un prezzo più basso. Se i soldi dal Comune non arriveranno - come pare probabile - in misura sufficiente, qualcuno dovrà pur garantirli per completare l’opera ed evitare contenziosi. E il problema torna, inevitabilmente, nelle mani del Governo e del ministro Galan.
«É un progetto sciagurato, giusto fermarlo»
I comitati propongono il rilancio dell’isola.
Ma senza il commissario straordinario
«Abbandonare subito quello sciagurato progetto e pensare davvero al rilancio del Lido, senza svendere le aree alla speculazione dei privati». Il coordinamento delle associazioni del Lido torna all’attacco. «Dobbiamo cogliere l’occasione», dice il portavoce Salvatore Lihard, «per ridiscutere tutto. Il ministro Galan ha ragione, quel progetto è morto, va ripensato completamente. E noi ne eravamo stati facili profeti. Adesso occorre coraggio, e una nuova idea per rilanciare la Mostra del Cinema»». Le associazioni ambientaliste del Lido (Difesa dei Murazzi., Rocchettam Estuario Nostro, Codacons, Italia Nostra, Lipu, vegetariani, Pax In Aqua) insieme al Movimento per la Difesa della Sanità pubblica avevano inscenato fin dall’inizio manifestazioni e inviato esposti alla magistratura e alla Corte dei Conti. «Fermate lo spreco di denaro pubblico», dicevano. Le foto dei grandi striscioni con su scritto «Vergogna», esposti alla Mostra del Cinema di settembre avevano fatto il giro del mondo. «Ma nessuno ci ha ascoltato», dice Lihard.
La protesta era iniziata all’indomani dell’abbattimento della pineta e dei 130 alberi a lato del palazzo del Cinema per far posto al cantiere della Sacaim. Un «sacrificio» ambientale che secondo i comitati non avrebbe nemmeno prodotto buoni risultati per la collettività. «+ nuovo Palacinema-palazzo dei Congressi» dice Lihard, «i è rivelato un’operazione fallimentare. E il grande buco del cantiere, dove i lavori sono stati sospesi più volte per il ritrovamento di amianto nel sottosuolo, rende difficile da due anni la vita del Lido.
«Occorre rilanciare l’attività convegnistica al Lido», continua Lihard, «proporre un’idea diversa di sviluppo e sospendere la vendita dell’area verde dell’ex Favorita, che va riconsegnata al Comune».
Anche l’operazione di trasformazione di Des Bains ed Excelsior ad opera dei nuovi padroni, la Finanziaria Est Capital, ha prodotto secondo i comitati «la perdita di 250 lavoratori e diu professionalità che se ne sono andate in altre località». Infine, i comitati ribadiscono la loro richiesta di rimuovere il commissario straordinario Vincenzo Spaziante, nominato dal governo nel marzo del 2009. «Doveva garantire la rapida realizzazione di un’opera per il 150esimo dell’Unità, ma così non è stato: per i progetti del Lido non ci serve un commissario». (a.v.)
Ha ragione Lihard, il portavoce dei comitati del Lido: occorre ridiscutere tutto. Questo succederebbe in qualsiasi comunità democratica. C’è da dubitare che accada a Venezia, a proposito del suo Lido, dove è stato costruito un fortissimo intreccio tra potentati politici ed economici, tra interessi istituzionali e interessi privati, che è stato raccontato dai giornali locali passo per passo (ed è ora raccolto in un libretto di E. Salzano, Lo scandalo del Lido , edito in questi giorni dalla Corte del Fontego). I nodi principali dell’intreccio sono costituiti dal commissario straordinario Vincenzo Spaziante, nominato per la realizzazione del nuovo palazzo del cinema, opera inclusa nelle manifestazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, dall’ex assessore comunale alla cultura Mossetto, poi fondatore e oggi presidente della società d’investimenti finanziari e immobiliari Est Capital, e dal sindaco di Venezia Massimo Cacciari, oossi sostituito da Giorgio Orsoni. Il palazzo del cinema è solo un tassello di un’ampio programma di trasformazione fisica e funzionale dell’isola, che prevede lo smantellamento dell’Ospedale al mare e la sua trasformazione in un complesso di residenze e attrezzature turistiche, il parco della Favorita, anch’esso trasformato in ville e alberghi, la trasformazione i un lussuoso residence del forte di Malamocco, la “valorizzazione immobiliare” (residenze e supermercato) del Parco delle Rose, in una nuova darsena per 1000 barche alla radice del molo del Lido e in altre trasformazioni minori. Questo complesso di interventi immobiliari è in contrasto con gli strumenti di pianificazione, urbanistica e paesaggistica, vigenti. Perciò, per realizzarli, occorre qualcuno quale, nel regime attuale, sia consentito di derogare da leggi, regolamenti, piani e altri fastidiosi “lacci e lacciuoli”. Ecco l’idea che ha trovato tutti concordi, a partire dal sindaco di Venezia: attribuire al commissario straordinario, nominato per il palazzo del cinema, poteri su tutte le trasformazioni immobiliari da realizzare nell’isola del Lido per il suo “sviluppo”.
In una comunità democratica, oltre a riaprire una discussione aperta sul deestino del palazzo del coinema, si revocherebbero subito i poteri “ultrastraordinari” affidati al commissario Spaziante. Accadrà? É prudente dubitarne.
Mille posti barca, 500 posti auto, ristorante. I comitati: «No alla privatizzazione dell’isola»
Via all’iter per l’approvazione della nuova darsena di San Nicolò. Il progetto di Est Capital dell’architetto Carlo Magnani, ex rettore del’Iuav, è stato illustrato ieri mattina alla Conferenza dei servizi presieduta dal commissario Vincenzo Spaziante.
Nel pomeriggio illustrazione alla Tethis dell’Arsenale, primo atto per aprire la procedura di Valutazione di impatto ambientale, che è stata «abbreviata» e ridotta a 30 giorni. Entro il 23 maggio dovrano essere presentate le osservazioni, il 31 maggio potrebbe essere approvata definitivamente insieme ai progetti per l’ex Ospedale al mare. 980 barche, anche yacht di lusso di grandi dimensioni, 500 posti auto lungo la diga. E poi ristorante, palestra, officine, yachting club, supermercato e uffici. E una nuova strada larga venti metri che porterà le auto a ridosso dei posti barca. Tutto sul lato mare della diga sud di San Nicolò. Parere favorevole della Soprintendenza, che ha apprezzato il «miglioramento del progetto dal punto di vista paesaggistico» e la riduzione dei posti barca, all’inizio 1500.
E’ uno dei tasselli dell’accordo stretto tra Est Capital e il Comune. Strada ormai quasi obbligata per Ca’ farsetti per incassare i soldi della compravendita dell’Ospedale al Mare e provare a sanare il bilancio. Ma i comitati non ci stanno. Ieri a Tethis hanno ascoltato la relazione del commissario Spaziante e dell’architetto Magnani, che ha annunciato un nuovo «parco» a ridosso del Mose. «Certo questo progetto è meno peggio di prima», dice Salvatore Lihard della Cgil, «ma resta il fatto che vioene così privatizzata una parte della nostra isola e del mare, e si insiste a metere una struttura che gli abitanti non accettano». Indice puntato anche sui lavori fatti dal Consorzio Venezia Nuova e dal Magistrato alle Acque che adesso saranno utilizzati dalla darsena, come la diga foranea (45 milioni di euro) che era stata stralciata perché ritenuta inutile. Adesso servirà a proteggere la darsena. «Ma il molo appena rifatto dovrà essere buttato via», dice Lihard, «e poi siamo preoccupati dall’inquinamento che mille barche porteranno alle nostre spiagge». Ma il percorso sembra ormai segnato. A volere la darsena sono le imprese che lavorano al Mose (Mantovani, Condotte, Fincosit) che hanno investito in questo grande progetto milioni di euro. Ieri la Conferenza dei servizi ha anche approvato alcuni studi per gli scavi del PalaCinema, la bonifica dell’isola della Certosa, dove è stato approvato il progetto di recupero dell’architetto Tobia Scarpa per il nuovo parco e un nuovo campeggio per la colonia Morosini.
In dispregio della pianificazione urbanistica e paesaggistica, calpestando le prerogative degli istituti della democrazia, prosegue la privatizzazione e la “valorizzazione” del Lido di Venezia: tassello di un più vasta strategia di mercificazione del territorio veneziano. Lo strumento adoperato è il “commissario straordinario”, i cui poteri – occasionati dall’inserimento del palazzo del cinema nelle opere promosse per l’anniversario dell’Unità d’Italia – si sono progressivamente estesi all’intera isola, con il beneplacito del Comune (sindaco Massimo Cacciari prima, Giorgio Orsoni ora, entrambi di centrosinistra). Il motore economico dell’operazione è la società di gestione immobiliare Est Capital, fondata e presieduta dell’ex assessore alla cultura della prima giunta Cacciari. All’impresa concorrono attivamente rilevanti personalità della cultura accademica: l’autore del progetto è l’ex rettore dell’IUAV: non è il primo docente della prestigiosa università che ha concorso fruttuosamente a “mitigare” e adornare le alcuni dei più discussi interventi del grande capitale finanziario-immobiliare, espresso dalle imprese aggregate nel Consorzio Venezia Nuova, costituito per progettare, sperimentare e realizzare il MoSE.
La crisi che investe il Casinò di Venezia, come per gli altri Casinò d’Italia, risente inevitabilmente della crisi economica globale dovuta alle scarse disponibilità e liquidità della clientela, ma anche ha fattori strettamente legati alla gestione, e all’incertezza sulle strategie future per un suo rilancio.
Per il Casinò di Venezia c’è da sottolineare che gli incassi sarebbero assai inferiori se non ci fosse una stabile e costante clientela cinese, ormai più di un terzo degli accessi quotidiani nelle sedi di Ca’ Noghera e Ca’ Vendramin. Un dato confortante ma decisamente preoccupante se per incanto questo tipo di clientela non ci fosse più.
Questo per dire che la situazione potrebbe essere persino peggiore di quella che constatiamo da un po’ di tempo a questa parte, e penso sia sbagliato in questa contingenza economica, uscirne solo con dei tagli o riducendo i costi del personale senza provocare una reazione sindacale che danneggerebbe pesantemente la già difficile situazione.
Al contrario serve un rilancio della casa da gioco, un rilancio che passa inevitabilmente per la nuova casa da gioco votata dal precedente consiglio comunale con la variante al Prg di Tessera, preceduta da una lunga e delicata intesa fra Comune, Regione e Save, ed è augurabile che l’attuale amministrazione la faccia propria per intero senza apportare modifiche sostanziali che ne allungherebbe enormemente i tempi di approvazione e di realizzazione, in attesa che la Regione si esprima per la definitiva ufficializzazione.
Deve essere chiaro che questo è un passaggio obbligato oltre che delicato strategicamente per mantenere una fonte di entrate fondamentali per il bilancio comunale e per tutti i servizi che da tale fonte ne deriva alla città nel suo insieme, tra l’altro in un contesto di pesanti tagli alla finanza pubblica da parte del governo agli enti locali, una ragione in più per fare presto senza stravolgimenti significativi che ne snaturino l’impianto e l’intesa faticosamente raggiunta a suo tempo.
Se nella malaugurata sorte il così denominato Quadrante di Tessera non dovesse trovare una condivisione nell’attuale maggioranza di Ca’ Farsetti al punto tale da stravolgerne l’impostazione originaria, non resterà che prendere in considerazione lo scioglimento del cda del Casinò spa e riportare la gestione nelle mani dirette del Comune, unico modo forse per ridurre i costi della gestione e della società.
Un’ipotesi che francamente non condivido ma che forse qualcosa farebbe risparmiare, del resto non tutti i Casinò sono gestiti da spa. Il nodo perciò è ancora una volta politico e politicamente va affrontato e possibilmente risolto
Ricordiamo che cos’è “Quadrante Venezia”, riprendendo alcuni brani dall’eddytoriale 137 su Tessera City (altra denominazione per Quadrante Venezia).
«È una vecchia idea di Gianni De Michelis, attivissimo colonnello di Benito Craxi, avanzata alla fine degli anni 80 nel quadro della proposta di realizzare a Venezia l’Expo 200. Questa proposta allora fu bocciata dai parlamenti europeo e italiano, che raccolsero l’allarme partito da Venezia. Oggi il progetto dell’insediamento sul margine della Laguna è stato ripreso e portato alla vittoria dalla coppia bipartisan Massimo Cacciari (sindaco di centrosinistra della città) e Giancarlo Galan (presidente di centrodestra della Regione). […]
«La vicenda di Tessera City è esemplare. Essa testimonia l’arroganza e la presunzione d’impunità dei suoi protagonisti, e il disprezzo che i governanti dimostrano per la legalità. È una vicenda complessa, ma l’essenziale si comprende anche attraverso una rapida sintesi. Nel 2004 il comune di Venezia approvò una variante che raddoppiava i volumi già previsti dal vigente PRG per la realizzazione di uno stadio e numerosi annessi (commercio, ricreazione, ricettività, uffici ecc.) accanto all’aeroporto Marco Polo, a Tessera. Passarono gli anni: la Regione non approvò (come avrebbe dovuto entro tempi brevi), e il comune non sollecitò (come per suo conto sarebbe stato obbligato a fare). Nel frattempo si completavano transazioni immobiliari nelle aree circostanti, dove si comprava a prezzi agricoli. A un certo punto il maggiore proprietari (la Save s.p.a, che gestisce l’aeroporto), cui si accodò subito la società di proprietà comunale (ma il sindaco ha recentemente proposto di vole vendere parte consistente delle azioni a privati) che gestisce il casinò, presentarono alla Regione una ulteriore “osservazione” alla variante del 2004. Avvennero incontri pubblici tra i rappresentanti delle due società, il sindaco Cacciari e il presidente Galan, nei quali questi ultimi dichiararono trionfalmente di condividere il piano presentato dalle società.
«Nel 2009 (cinque anni dopo!) la Regione restituisce la variante del 2004 al Comune e gli dice: te l’approvo, se tu accetti formalmente la nuova soluzione delle società. Una procedura mai vista: una osservazione presentata da enti d’interesse privato (perché tale è anche il casinò, benché oggi la proprietà sia ancora del comune) anni dopo l’approvazione della variante, che è fatta propria dai portatori d’interessi pubblici. Eppure si tratta di una modifica non marginale (si tratta del quadruplicamento della cubatura iniziale del Prg, e del raddoppio di quella della Variante), e una modifica non nell’interesse pubblico (i promotori dichiarano ufficialmente che la modifica serve perché “bisogna produrre risorse”), apportati a un piano con forzando le procedure di garanzia previste dalle leggi vigenti.
«Tutto questo per collocare oltre un milione di metri cubi sul margine della Laguna, in una delle aree a più alto rischio idraulico dell’intero Veneto. Un mega-affare senza nessuna relazione con qualsiasi analisi dei fabbisogni locali. Una logica meramente affaristica: una gigantesca estensione della prassi di molti comuni di vendere pezzi di territorio per fare cassa, svolgendo il ruolo di apripista per gli interessi privati. Il sindaco-filosofo dichiara (vedi il Gazzettino del 16 gennaio) “è il giorno più bello della mia vita”. Anche per i proprietari delle azioni della società che gestisce il casinò: il loro valore è aumentato in poche ore del 20%.»
Nonostante qualche iniziale distinguo la giunta attuale (sindaco Orsoni, assessore all’urbanistica Micelli) sembra determinata a dfendere quel progetto, con argomentazioni deliranti e nel quadro di una più generale cementificazione, presentata come occasione per attrarre investimenti dall’Oriente!. Ne riparleremo.
«Da maggio 2012 Msc crociere posizionerà a Venezia la prossima ammiraglia, la Msc Divina che potrà trasportare fino a 4200 passeggeri, aumentando ancora il volume di traffico generato dalla nostra compagnia in quello che consideriamo il nostro home port, il porto di riferimento». Questo l’annuncio di Massimo Bertoldero, area manager Nord Est della compagnia di navigazione, l’altra mattina a bordo della Msc Magnifica nell’ambito del convegno sul futuro del turismo balneare. «Anche noi - ha detto Bertoldero - vogliamo partecipare alla sfida di rilanciare il turismo in questo periodo di crisi. Per quanto ci riguarda le aspettative sono ottime con un boom di prenotazioni su Venezia, tanto che già adesso siamo praticamente quasi al 100% di copertura dei posti fino a giugno».
Il manager ha poi confermato l’impegno della compagnia sul porto di Venezia con 113 scali previsti nel corso del 2011 per un totale di circa 500 mila passeggeri. Impegno non solo estivo ma che copre l’intero anno con il posizionamento di tre navi, Magnifica, Musica e Armonia e tra settembre e ottobre anche con la Msc Opera che proporrà crociere di 12 giorni verso il Mar Nero.
Sul fronte del turismo balneare però non sono mancate le prese di posizione di fronte ad un business, quello delle crociere, in piena espansione e che qualcuno comincia a guardare con diffidenza. «Il settore delle crociere per noi è un competitor - ha detto con chiarezza il sindaco di Jesolo, Francesco Calzavara - perché se una famiglia spende duemila euro per andare in crociera poi non avrà molti altri soldi da spendere da noi». Il manager della Msc ha invece ricordato l’indotto generato dalla presenza del mezzo milione di passeggeri nell’intera area veneziana.
Il Coordinamento è promosso dall’associazione “Geografia di genere”, con il sostegno della rete AltroVe e l’adesione di numerose associazioni e comitati dell’area veneziana.
Il 25 febbraio scorso alcune associazioni cittadine sono state invitate dall’assessore Micelli a una delle illustrazioni del Piano di Assetto Territoriale (Pat) che l’assessore sta proponendo in questo periodo, da lui stesso definita come «intensa fase di presentazione e condivisione con tutta la cittadinanza».
Il Pat ha come finalità quella di stabilire le grandi direttrici strategiche (economiche, sociali, territoriali) che orienteranno nei prossimi anni tutti gli interventi di trasformazione e conservazione dei luoghi, nonché le tutele e i vincoli da applicare alle diverse porzioni di territorio, in relazione alle loro caratteristiche morfologiche, ambientali, paesaggistiche e alle loro qualità storiche e culturali.
Nonostante sia stato affermato che le linee guida che hanno ispirato il nuovo Piano di Assetto
Territoriale tendano a promuovere lo sviluppo sostenibile e a non consumare ulteriormente il suolo, in realtà questo Pat prima di tutto inizia immaginando un’unica grande città che oltre a Venezia si estende a inglobare Treviso e Padova, e il cui centro sembra essere stato fissato nell’area di Tessera, polo attrattivo del nuovo costruito e snodo della mobilità pubblica, a cui confluiscono Tav, Smfr (Sistema Metropolitano Ferroviario Regionale), tram e sublagunare.
Questo disegno avrà un forte impatto sulla vita quotidiana e sulle relazioni sociali dei cittadini: proprio per questo riteniamo che la cittadinanza debba essere informata e interpellata e che il dialogo verta non sull’astrattezza dei progetti, ma sui veri bisogni e sulle aspettative di benessere e di qualità della vita espressi dai cittadini che costituiscono il primo obiettivo di un’amministrazione comunale e sui quali vanno disegnati i piani di sviluppo e di governo del territorio. Le circa cinquanta persone selezionate che hanno partecipato all’incontro avvenuto a porte chiuse, hanno assistito a un brillante monologo di un’ora e mezza, che nelle intenzioni dell’assessorato rappresenta la più ampia condivisione con tutti i «portatori d’interesse».
Il Pat è stato illustrato finora ai rappresentanti degli enti territoriali sovraordinati, ai consiglieri comunali e di municipalità, ai rappresentanti delle associazioni di categoria, ai componenti di alcune associazioni scelte all’interno dell’immensa costellazione del volontariato cittadino: essi non possono rappresentare davvero tutti gli interessati alla trasformazione dell’abitare, della mobilità, della qualità della vita che il piano va a condizionare.
Ci chiediamo in quale momento si interpelleranno e ascolteranno i cittadini. E’ bene chiarire innanzitutto che queste riunioni non si configurano all’interno delle pratiche di democrazia partecipativa: la partecipazione non può essere ridotta a incontri di enunciazione di decisioni già consolidate. L’iter di approvazione del piano prevede che, a seguito dell’adozione da parte del consiglio comunale, si possano presentare osservazioni nei successivi sessanta giorni, ma sappiamo che difficilmente esse verranno tenute nell’adeguata considerazione, soprattutto se vanno a incidere profondamente nell’impianto complessivo della pianificazione così disegnata. Pensiamo che temi così rilevanti richiedano invece un diverso livello di approfondimento e di discussione attraverso il coinvolgimento di tutti i cittadini, a cui devono essere forniti con modalità semplici gli strumenti per conoscere i dati oggettivi e gli obiettivi che si vogliono perseguire, le problematiche a cui si vuol dare soluzione e le strade individuate per farlo.
Un processo partecipativo non si fa proponendo scelte già fatte a cui si può solo assentire o dissentire. Si fa coinvolgendo dall’inizio la cittadinanza attraverso assemblee pubbliche e tavoli di lavoro specifici a partire dai bisogni espressi e dando diritto di intervenire con richieste e proposte, a cui l’Amministrazione dovrebbe rispondere discutendo delle possibili alternative. Governare il territorio con equità e partecipazione ha bisogno di tempo e di ascolto. Se l’amministrazione vorrà intraprendere questa strada potrà contare su molti cittadini disposti a seguirla ed appoggiarla. E troverà in molte associazioni e nel coordinamento «Io decido» dei collaboratori critici ma propositivi e disposti a svolgere un ruolo di attivatori della cittadinanza.
Sui sedici milioni e seicentomila euro di danni al Bilancio dello Stato che la Guardia di Finanza di Venezia ha segnalato, per l’anno 2010, alla Corte dei Conti, ben quattordici riguardano l’operazione ponte della Costituzione o ponte di Calatrava che dir si voglia. Ponte salito all’onore delle cronache di recente per l’impresa di un 23enne che, nel cuore della notte, lo ha percorso a bordo della Polo del padre, che poi ha parcheggiato a San Geremia. Per questo danno milionario all’Erario, la Guardia di Finanza ha segnalato nove persone alla Corte dei Conti. Tra cui diversi tecnici e funzionari deol Comune del periodo delle giunte di Paolo Costa e di Massimo Cacciari. La notizia in sè è forte, anche perchè in teoria quei quattordici milioni di euro dovrebbero essere restituiti da chi verrà individuato quale responsanbile dalla Corte dei Conti. In teoria naturalmente. La pratica è ben diversa. Anche perchè difficilmente le persone indicate, possono mettere assieme una tale quantità di denaro. Va sottolineato che il Procuratore capo della corte Davide Scarano non ha ancora valutato tutto il materiale inviato dal Nucleo di polizia tributaria di Venezia. Se l’opera in sè è costata qualche cosa più di undici milioni di euro, fa specie che il danno sia superiore. Gli investigatori della Finanza hanno fatto le pulci su tutti gli incartamenti che hanno girato intorno alla creatura dell’architetto catalano Santiago Calatrava; dai progetti iniziali, alle consulenze successive e a quelle svolte, quando si è scoperto che il ponte pesava troppo per le rive che lo dovevano sostenere. Dentro sono conteggiate anche le perizie ordinate dalla stessa Corte Dei Conti. (c.m.)
Le notizie che giungono in questi giorni attraverso la stampa confermano che la città sta precipitando molto velocemente e in modo quasi scientifico verso trasformazioni che ne rovineranno per decenni a venire la bellezza, la straordinaria unicità, la poesia del vivere e dell’abitare. Sta tutto, o quasi tutto, scritto nel Piano per l’Assetto del Territorio, il famoso PAT che il sindaco Orsoni ha messo a punto e intende far approvare e implementare quanto prima. Intanto ne vengono gettate le basi attraverso incontri, accordi, compra-vendite, in qualche caso delibere.
La settimana scorsa si è avuta notizia che il Consiglio dei ministri ha approvato la proposta di Legge speciale per Venezia del ministro Brunetta. Una legge fatta da un economista, che vede nello sviluppo economico il principale traguardo da raggiungere anche a scapito dell’ambiente, della qualità della vita, della natura stessa del luogo da proteggere.
Intanto il sindaco Orsoni ha raggiunto un primo accordo con Enrico Marchi, direttore della Save: mettendo fine a esitazioni e ambiguità, si andrà avanti con la realizzazione del Quadrante di Tessera, con le costruzioni di natura ricettiva e residenziale (un milione di metri cubi di edifici privati, 15 chilometri quadrati di cemento), con il parcheggio per 28.000 automobili e con il tratto di sublagunare tra Tessera e le Fondamente Nuove. Ciò significa ridurre una parte del territorio mestrino a dormitorio per turisti di poche ore e intasare oltre ogni dire Calle del Fumo e le callette attigue. Significa anche dare il via al primo tratto di un progetto molto più ambizioso: è di pochi giorni fa la notizia che la Camera di Commercio sta premendo vigorosamente perché si attui l’altro tratto di sublagunare, quello a cui tiene veramente: il tratto Jesolo-Cavallino-Lido-Pellestrina-Chioggia, che permetterà agli alberghi del litorale di funzionare tutto l’anno come dormitorio, ancora una volta, per turisti diretti a Venezia. Solo ad essere molto ingenui si può pensare che la sublagunare non finisca per prendere proprio quella forma.
La stampa ha anche annunciato che la Vtp (Venezia terminal passeggeri) ha deliberato di investire 17 milioni di euro per la costruzione di nuove banchine portuali destinate alle grandi navi da crociera. Il porto ne potrà ospitare ben otto contemporaneamente, con un numero di passeggeri variante tra i 1.500 e i 3.000 ciascuna. Altre 15-20 mila persone al giorno. E quelli, dove li metteremo?
La EstCapital diretta, com’è noto, dall’ex assessore Mossetto ha siglato gli acquisti del Lido. Ancora zona ricettiva al posto dell’Ospedale al Mare, e darsena per 1.500 imbarcazioni a San Nicolò. Altre costruzioni al Forte di Malamocco. L’opposizione degli abitanti del Lido, ottomila firme su ventimila abitanti, è stata ignorata.
L’associazione degli industriali e l’Autorità portuale diretta dall’ex sindaco Paolo Costa si stanno disputando le zone (da bonificare) dell’ex area industriale di Marghera. L’insediamento di attività produttive in quella zona sembra assolutamente desiderabile, e potrebbe anzi segnare la vera rinascita economica del veneziano, come Italia Nostra auspica da tempo. Ma si faranno le cose con capacità di programmazione e con un piano fondato sul rispetto per l’ambiente e la residenzialità per i lavoratori? Non sembra proprio, se il sindaco Orsoni ha già dichiarato che il Comune assegnerà gli spazi direttamente e scegliendo tra i candidati caso per caso. Non dunque una programmazione, un polo tecnologico o innovativo. Intanto i quasi cento ettari della Montefibre sono già stati acquistati dall’Autorità portuale e diverranno parcheggio per i milioni di container che si spera di attrarre nel porto offshore da costruire con la benedizione (e con i fondi) della Legge speciale di Brunetta.
Sviluppo economico? Può darsi. Ma anche i capannoni del trevigiano sono sviluppo economico, e ora si capisce quanto meglio sarebbe stato programmarli in centri organizzati, senza distruggere un paesaggio che era stato quello di Giorgione e di Cima. Venezia può e deve rinascere, ma con queste premesse: preservare l’integrità dell’ambiente, la qualità della vita degli abitanti e il godimento anche estetico di abitanti e turisti.
Si può fare? Sì, facilmente. Basta pianificare uno sviluppo ordinato per Marghera e ridurre i flussi turistici. Basta negare ogni permesso di costruire altre attrezzature per un turismo che è già non solo abbondante, ma eccessivo. Non lo dice Italia Nostra; lo dice Piero Marzotto, presidente dell’Ente Italiano per il Turismo: Venezia, ha detto, è iper-spremuta. Il promotore del turismo italiano ha detto, lui in persona, che abbiamo già troppo turismo. Intanto la stampa continua ad annunciare che nuove strutture stanno sorgendo, nuovi milioni di turisti stanno arrivando.
Cultura>Turismo>Immobiliarismo>Affari
Ciò che sta accadendo al Lido di Venezia è l’illustrazione di un modello di uso del territorio e di sviamento dei poteri tipico dell’Italia d’oggi. É caratterizzato da un connubio tra cultura e affari del quale il turismo e l’immobiliarismo costituiscono il cemento. É promosso e sostenuto da uno schieramento politico bipartisan, nel quale il pro-motore è nel centrosinistra veneziano.
Il connubio tra cultura e affari non è nuovo a Venezia. Ma diventa uno strumento di governo alla fine del secolo breve. Risale agli anni novanta, quando nella prima giunta Cacciari (1993-1997) divenne assessore alla cultura e al turismo Gianfranco Mossetto, docente di scienza delle finanze a Ca’ Foscari, più tardi (2003) fondatore, e da allora presidente, della società di gestione finanziaria EstCapital «attiva nella gestione dei fondi immobiliari e nei servizi connessi alle attività immobiliari»[1].
Di Mossetto si ricorda ancora una battuta-shock: «Quanto rende al metro quadro un museo?». Pose questa domanda, appena insediato, ai suoi collaboratori, che ancora la ricordano.
«Che i musei potessero, anzi dovessero rendere, all'epoca, era ancora un'idea da pionieri. Che in prospettiva, poi, la città si sarebbe dovuta vendere pezzi del suo patrimonio, sembrava una fantasia. Nessuno, poi, avrebbe potuto immaginare che a gestire queste operazioni sarebbe stato proprio Mossetto»[2].
La vicenda in corso oggi al Lido di Venezia testimonia efficacemente come quel connubio, oltre a costituire un potente agente della degradazione del paesaggio e della vivibilità, sia promosso e praticato da larghe intese tra le forze politiche degli “opposti” poli: espressione fattuale di un pensiero unico che domina ormai larghe porzioni dell’Italia. Su questa vicenda è utile soffermarsi perché il modello svela, nell’isola cantata da Tomas Mann e Luchino Visconti, tutto il suo potenziale distruttivo, ad opera di protagonisti spesso insospettabili.
Il primo e il secondo protocollo d’intesa
Non so quando il progetto culturale e immobiliare per il Lido venne concepito, sebbene le vicende recenti, se si avrà la pazienza di seguirne il racconto, lasciano comprendere chi ne siano i concettori. Esso riguarda una serie di operazioni immobiliari che trasformeranno radicalmente l’assetto dell’isola del Lido indipendentemente dagli strumenti di pianificazione e dalle regole della democrazia.
Il Lido di Venezia è una lingua di terra, lunga 12 km, che separa (con l’isola di Pellestrina e la penisola del Cavallino) la Laguna dell’Adriatico. É un quartiere di Venezia, dove abitano circa 16mila residenti, cui si aggiunge una consistente popolazione fluttuante sia durante l’estate che nei periodi degli eventi speciali (tra i quali il festival del cinema). Le due aree strettamente collegate da un’operazione immobiliare pubblico/private sono nella parte centrale, e distano tra loro un paio di chilometri: il vasto compendio dell’ex Ospedale al Mare, a nord-est del Gran Viale, e il complesso Palazzo del cinema-Casino, a sud-ovest. Ma sono interessati al progetto anche il Forte Malamocco, un complesso a circa 6 km a nord-est dal Gran Viale, un’area collocata lungo quest’ultimo e la grande viabilità dell’area centrale.
É nel 2006-2007 che il progetto turistico-immobiliare entra negli atti amministrativi delle istituzioni coinvolte. L’anno precedente la Biennale e il Comune avevano concluso un concorso internazionale per la progettazione del Nuovo palazzo del cinema[3].
Nel 2006 il governo Prodi definisce il contenuto degli interventi per il 150° anniversario dello stato italiano e vi inserisce il Palazzo del cinema di Venezia. Nello stesso anno (12 gennaio) il Comune, la Regione e l’Ulss12 veneziana firmano un protocollo d’intesa che definisce il destino dell’ex Ospedale al mare. L’Ulss vuole dismettere l’ospedale sia per finanziare il nuovo ospedale di Mestre sia per assicurare «il reperimento delle risorse necessarie per garantire il mantenimento quantitativo del servizio sanitario prestato alla cittadinanza del Lido e di Pellestrina in un quadro di crescente livello qualitativo». Il Comune, per conto suo, è interessato alla «valorizzazione dell’area» e garantirà che la sua destinazione, «ferma restando l’attenzione per la residenzialità, si inquadri in un più ampio progetto di valorizzazione culturale, ricettiva e turistica del Lido e di Pellestrina», poiché «la valorizzazione dell’area rappresenta un’occasione per il rilancio della vocazione culturale, turistico-ricettiva del Lido anche quale volano per lo sviluppo economico dell’isola»[4].
Nel protocollo la “valorizzazione” dell’area, che sarà promossa dal Comune con un’apposita variante di Prg, è esplicitamente legata alla realizzazione del Nuovo palazzo del cinema e dei convegni, anche mediante la destinazione a tale opera dei contributi di concessione e degli oneri di urbanizzazione che il comune otterrà dalle edificazioni sull’ex area ospedaliera. L’Ulss, cui è affidata la realizzazione del Nuovo palazzo del cinema, «procederà mediante un’unica procedura concorsuale volta ad individuare un soggetto imprenditoriale che, in un contesto unitario, possa acquisire la proprietà dell’ex ospedale al mare, per attuarvi le iniziative immobiliari consentite, […] a progettare e realizzare il Nuovo palazzo del cinema».
In altre parole, si vende il complesso dell’Ospedale al mare, previa modifica delle destinazioni urbanistiche, per poter realizzare un nuovo Palazzo del cinema “più bello e più grande che prìa”.
I comitati per la difesa della sanità pubblica si mobilitano contro la vendita del complesso dell’Ospedale al mare. Questo è stato chiuso definitivamente nel 2003, ma è rimasto in funzione il padiglione Rossi (Monoblocco), utilizzato per le attività socio-sanitarie distrettuali e un punto di Primo intervento, strutture ritenute una risorsa importante non solo per gli abitanti dell’isola ma per l’intera collettività, data la presenza di attrezzature sanitarie legate alla riabilitazione e alla talassoterapia. I comitati denunciano in particolare le anomalie della procedura e alcuni vizi relativi alla liquidazione di un patrimonio ottenuto da donazioni vincolate all’uso sanitario. Né i comitati si sentono garantiti da una serie di frasi contenute nell’intesa, nelle quali si proclama la finalizzazione dell’accordo anche al miglioramento del sistema sanitario.
Intanto il Comune si rende parte attiva nella realizzazione del Nuovo palazzo del cinema. Nel febbraio 2009, si abbatte la pineta (132 alberi sani) antistante il Palazzo del cinema, «sotto la quale hanno passeggiato attori e registi, oltre a intere generazioni di lidensi che, d'inverno, hanno imparato ad andare in bicicletta»[5]. I comitati e le associazioni sono colti di sorpresa; da poco era stata costituito un coordinamento tra i comitati e le associazioni ambientaliste che costituirà l’unica opposizione al progetto: un osso duro per i nuovi padroni del Lido. Si organizza ugualmente una protesta popolare, nel corso della quale vengono raccolte 2.600 firma contro l’abbattimento della pineta[6].
Nell’agosto 2006, in attuazione dell’intesa di gennaio, l’Ulss emette un avviso pubblico[7] col quale dichiara di voler alienare il compendio immobiliare dell’ ex Ospedale al mare del Lido «sottoscrivendo apposito contratto di compravendita […] con un soggetto, munito di idonei requisiti di capacità economico-finanziaria e organizzativo-gestionale, al quale verrà richiesto» di progettare, eseguire il 1° lotto del Nuovo palazzo del cinema, ed eventualmente gestirlo per un massimo di anni 20. Si presentano sette offerte, tra cui le maggiori imprese italiane del ramo[8].
L’anno si chiude con la costituzione, da parte del governo Prodi, di una commissione interistituzionale per la realizzazione del nuovo palazzo del cinema e con l’impegno del Ministero per i beni e le attività culturali (ministro è Rutelli) di contribuire con 20 milioni di € al finanziamento.
I comitati segnalano e denunciano l’anomalia amministrativa: dopo la nuova decisione del governo il vecchio protocollo d’intesa non vale più. Occorre perciò rinegoziare il protocollo d’intesa, ciò che avviene nel maggio 2007. Rispetto al precedente protocollo viene introdotta una modifica significativa. Non soltanto i sottoscrittori s’impegnano a ricorrere «agli strumenti di semplificazione dell’attività amministrativa e di snellimento dei procedimenti» e di «rimuovere ogni ostacolo procedurale in ogni fase procedimentale di decisione e controllo», ma il Ministero «si impegna a promuovere la nomina di un commissario straordinario preposto alla realizzazione in fase attuativa di tutti gli interventi oggetto del presente accordo»[9].
L’apporto dello stato non è solo nel contributo finanziario, ma anche nella fornitura dello strumento che gioverà a sfuggire regole che rallentino il fare, o ne impediscano alcuni modi: il commissario straordinario.
Le ordinanze di Berlusconi
Il disegno - tracciato dal sindaco Cacciari e dal presidente della regione Galan, e arricchito dal ministro Rutelli - riparte presto. Presidente del Consiglio dei ministri è di nuovo Berlusconi. Appena può il premier si adopera per attuare le intese raggiunte a Venezia. Il 23 novembre 2008 il Comitato interministeriale per le manifestazioni del 150° anniversario dell’Italia approva definitivamente gli interventi delle infrastrutture da realizzare in 9 città, tra le quali è confermato il Nuovo palazzo del cinema di Venezia, presentato come progetto innovativo per un sistema integrato convegnistico e cinematografico.
Intanto il comune conclude la formazione di una variante di PRG per il Lido, approvata il 15 settembre 2008. Ma poco dopo il Berlusconi emana una raffica di ordinanze, sempre in conformità alle intese promosse dal comune, le quali peraltro scavalcano completamente le procedure ordinarie che lo stesso comune aveva avviato, a partire dal PRG.
Nel marzo 2009 il dott. Vincenzo Spaziante, funzionario della Protezione civile, è nominato Commissario delegato alla realizzazione del Nuovo palazzo del cinema e dei congressi di Venezia[10]. Poteri pieni, anzi, pienissimi e molto estesi. Con successive ordinanze del luglio 2009 e del marzo 2010 si stabilisce (sempre in esplicita attuazione del famoso protocollo bipartisan) che il mini-Bertolaso non solo provvede al Nuovo palazzo del cinema e dei congressi, ma «assume le iniziative e adotta i provvedimenti occorrenti per la realizzazione di ogni altro intervento nella medesima isola del Lido [parole successivamente modificate con la seconda ordinanza in “allo sviluppo dell’isola del Lido”] territorialmente, urbanisticamente, ambientalmente o funzionalmente correlato, anche su proposta di soggetti privati». La decisione del commissario è subordinata solo all’approvazione da parte di una Conferenza di servizi presieduta da un funzionario della Regione «cui sono chiamate a partecipare tutte le amministrazioni coinvolte»[11].
In aprile una nuova ordinanza precisa ulteriormente i poteri del Commissario e i limiti della partecipazione dei soggetti alla Conferenza di servizi. Il Commissario
«è altresì autorizzato a procedere, in nome e per conto del Comune di Venezia, all’espletamento di procedure selettive accelerate finalizzate alla dismissione e rifunzionalizzazione dell’Ospedale al mare ubicato nel territorio del medesimo Comune e alla acquisizione dei conseguenti proventi per la realizzazione del Nuovo palazzo del cinema e dei congressi di Venezia».
Egli può indire
«apposite conferenze di servizi, convocandole con almeno sette giorni di preavviso. Qualora alla conferenza di servizi il rappresentante di un’amministrazione invitata sia risultato assente, o, comunque, non dotato di adeguato potere di rappresentanza, la conferenza delibera prescindendo da tali elementi. Il dissenso manifestato in sede di conferenza dei servizi deve essere motivato e recare, a pena di non ammissibilità, le specifiche indicazioni ritenute necessarie ai fini dell’assenso. In caso di motivato dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico- territoriale, del patrimonio storico-artistico od alla tutela della salute dei cittadini, la determinazione è subordinata, in deroga all’articolo 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche ed integrazioni, ad apposita delibera del Consiglio dei Ministri da assumere entro sette giorni dalla richiesta».
E, naturalmente, «le determinazioni della conferenza di servizi costituiscono, ove occorra, variante alle previsioni dei vigenti strumenti urbanistici»[12].
Altre deroghe sono consentite da ulteriori ordinanze, accettate, se non richieste, dal Sindaco.
É abolito il parere della Commissione per la salvaguardia di Venezia, che è stata istituita dalla legge speciale per venezia del 1973, quindi non può essere scavalcata dai “normali” poteri del Commissario straordinari. Ma dieci suoi membri hanno sollevato questioni sulla legittimità degli atti del Commissario eccedenti l’ambito del Nuovo palazzo del cinema e dell’Ospedale al mare[13]. Ecco allora provvida l’ordinanza del 15 settembre, che consente al Commissario di bypassare la Salvaguardia, cui evidentemente partecipano soggetti non condizionabili [14].
E si arriva a derogare dallo Statuto comunale su un punto di grande rilevanza democratica: un’ordinanza del luglio 2009 stabilisce che il Commissario può derogare all’articolo 21 dello statuto comunale, il quale prescrive che
«la partecipazione del Sindaco o di un suo delegato alle conferenze di servizi, agli accordi di programma o ad altri istituti o sedi dove debba esercitare competenze del Consiglio o della Giunta presuppone un mandato vincolante dell'organo collegiale competente che fissa gli indirizzi dell'amministrazione con riserva di ratifica da parte della stessa»[15].
Sulla base di questi poteri, conferiti dagli ukase del premier avallati – anzi, provocati – dal Sindaco, il progetto di “valorizzazione” turistico-immobiliare prosegue a piene vele. Scrive La Nuova Venezia: «la nuova urbanistica del Lido sembra di fatto commissariata e, nel nome del nuovo Palacinema, si procede spediti con progetti che nulla con esso hanno a che fare»[16].
Un attore di rilievo: EstCapital
EstCapital era stata costituita nel 2003, proprietari Gianfranco Mossetto e Federico Tosato. Si trasforma in EstCapital Group nel 2007. Acquisisce in quegli anni i due maggiori alberghi del Lido (l’Excelsior e il Des Bains), il lungomare che li collega e il Forte di Malamocco.
Quest’ultimo, realizzato dagli austriaci alla metà del xIX secolo, è tutelato da vincoli monumentali e paesaggistici. Il Piano d‘area della Laguna (Palav, efficace ai sensi della legge Galasso) stabilisce che «sono consentiti esclusivamente interventi di manutenzione e restauro e devono essere mantenuti i caratteri significativi del contesto storico-paesistico connesso». EstCapital chiede l’approvazione di un progetto che prevede la realizzazione di 32 ville, ciascuna dotata di garage, un albergo, piscina e altre attrezzature turistiche. Mossetto supera le iniziali resistenze della sovrintendente ai beni architettonici e paesaggistici di Venezia. Come informa la stampa la sovrintendente Renata Codello dice si all’intervento, il quale rientra così nel “pacchetto” di quelli sottoposti alla sola valutazione derogatoria della Conferenza di servizi, «Grazie ai poteri in deroga affidati al commissario di governo per il Palacinema Vincenzo Spaziante, si spazia ora in altre direzioni nell’autorizzare progetti sull’isola»[17]
Le associazioni ambientalistiche protestano sottolineando come
«verrebbero occupati, complessivamente, oltre 20mila mq di un sito tutelato sacrificando i depositi di munizioni, la casamatta, la vecchia cisterna, la cappella e, temiamo, anche numerose specie arboree di pregio paesaggistico come olmi, lecci, gelsi bianchi e pioppi neri. Il progetto è stato purtroppo approvato, di massima, nell’ambito di una Conferenza di Servizi, con (incredibilmente) l’autorizzazione anche della stessa Soprintendenza competente. Tale Conferenza si Servizi avrebbe il potere (altro incredibilmente) di superare il voto della Commissione per la Salvaguardia, istituita ai sensi della Legge Speciale di Venezia, che ha chiesto invano il proprio coinvolgimento, in quanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha attribuito al Commissario straordinario Vincenzo Spaziante (Protezione Civile), nominato per la realizzazione del nuovo Palazzo del Cinema, anche il potere (ugualmente incredibile) di realizzare vari interventi per la “valorizzazione” del Lido»[18]
Nel maggio 2009 il Commissario era arrivato a Venezia. All’indomani del suo arrivo Gianfranco Mossetto rendeva esplicito il suo disegno. Scrive la Nuova Venezia, sintetizzando un’intervista:
«Rifare interamente la viabilità del Lido, valorizzando anche sotto il profilo turistico, in cambio del via libera alle ristrutturazioni di Excelsior e Des Bains, ma anche alla realizzazione degli altri interventi previsti sull’isola dall’Estcapital di Gianfranco Mossetto, che si candida anche a gestire il polo congressuale legato al nuovo Palacinema e conferma l’interesse a partecipare alla gara per l’acquisto dell’area dell’ex Ospedale al Mare. E’ questo lo scambio con il Comune e le altre autorità messo sul tappeto dall’economista già assessore al Turismo e alla Cultura e che l’estensione dei poteri al commissario di governo Vincenzo Spaziante potrebbe ulteriormente accelerare»[19].
Oltre alle proprietà già acquisite Mossetto s’impegna a rifare tutta la viabilità della parte più prestigiosa del Lido, a riorganizzare gli stabilimenti balneari e, naturalmente, a partecipare all’operazioni immobiliare e gestionale del Nuovo palazzo del cinema e dei congressi e dell’ex Ospedale al mare.
Commenta il direttore generale della Ulss12: «il progetto di Mossetto e di EstCapital per il Lido mi sembra intelligente e interessante in un’ottica di capitalismo turistico, con aspetti anche di interesse pubblico, ma segna la resa completa del Comune, che affida il futuro dell’isola ai privati».
Il pacchetto di progetti d’interesse della EstCapital e del commissario straordinario viene discusso alla conferenza di servizi alla fine del settembre 2009. Essa approva tutto: gli alberghi Des Bains ed Excelsior, il Forte Malamocco, nonché i criteri generali del bando di gara per l’assegnazione del complesso dell’ex Ospedale al mare.
Il Commissario straordinario, anche in nome e per conto del Comune, pubblica il 5 ottobre 2009 il bando di gara al quale, entro il termine del 16 novembre (poi prorogato di una settimana), gli interessati sono invitati a presentare le offerte. Alla scadenza è presente la sola offerta, quella della cordata costituita da EstCapital, Mantovani corredata da tutti i documenti richiesti, compresi i progetti preliminari. Questi vengono esaminati e approvati dalla Conferenza di servizi e di conseguenza nel dicembre 2009 Spaziante, in quanto commissario straordinario e in quanto rappresentante («per conto») del Comune, e il dott. Federico Tosato, vicepresidente della EstCapital, firmano la “promessa di vendita” mediante la quale il compendio dell’ex ospedale al mare diventerà di proprietà di EstCapital.
L’appetito vien mangiando. Da poco è stato firmato l’accordo ed ecco la prima grana: il nodo della Favorita.
«La cosiddetta Area 2 del progetto dell’area dell’ex Ospedale al Mare si stende per circa 19 mila metri quadrati e comprende verde pubblico e attrezzature sportive (campi da tennis e da calcio, strutture del Cral) comprese tra via Marco Polo e via dell’Ospizio Marino. La delibera già votata nel settembre del 2008 dal Consiglio comunale per il Parco della Favorita, all’interno dell’accordo di programma per la riqualificazione del Lido prevedeva per gli oltre 13 mila metri quadrati dell’area la destinazione a «verde sportivo» e un’altezza massima per due edifici da recuperare, tra i 10 e 12 metri. Ma la Favorita è entrata invece successivamente nella piena disponibilità edificatoria di EstCapital per ospitare tre torri e una trentina di ville, aumentando notevolmente le volumetrie iniziali»[20].
Tenta la mediazione il nuovo sindaco Giorgio Orsoni (che in campagna elettorale si era dichiarato contro la prassi dei commissari straordinari) e ottiene qualcosina. Del resto, anche l’Ente per la sicurezza del volo - vista la vicinanza con l’aeroporto Nicelli - ha chiesto una limitazione delle altezze degli edifici. Si deve rinviare la stipula del rogito tra Comune e EstCapital. Questa chiede di recuperare altrove ciò che deve cedere alla Favorita: il Comune dia via libera ad un eventuale abbattimento del Monoblocco (l’unico elemento ospedaliero che si era deciso di mantenere) e consenta la realizzazione di una darsena a San Nicolò.
Ma ecco un’altra grana: si scopre che nell’area dell’ex ospedale c’è un giacimento di rifiuti tossici.
«Si è scoperto che l’ospedale è più inquinato di Marghera, dice un addetto ai lavori. Costi della bonifica, circa 10 milioni che le imprese non intendono pagare. Se non pagano, il rogito slitta e si blocca tutto. Il Comune non può incassare i soldi per il Palazzo del Cinema e i 40 milioni di euro che ha già messo in bilancio. Dunque, si chiude per bancarotta e arriva il commissario. Una situazione drammatica. Chi ha venduto un terreno senza farci le analisi? Chi lo ha acquistato senza sincerarsi che fosse a posto? E, ancora: chi ha messo in piedi un progetto da centinaia di milioni di euro senza le garanzie appropriate? Materia di inchieste e approfondimenti futuri»[21].
Aspettando che qualcuno apra un’inchiesta EstCapital rilancia l’amo, e il Comune abbocca: agli operatori sarà concesso anche di realizzare una grande darsena e di utilizzare il presidio sanitario rimasto, nonostante le assicurazioni proclmate dal sindaco Cacciari pochi mesi prima:
«La situazione si sblocca, dicono in sostanza le imprese, se arriva il via libera ai due “progetti aggiuntivi”. La grande darsena in mare, attaccata al molo sud del Lido, davanti alla spiaggia libera di San Nicolò. Occorre scavare e realizzare un porticciolo. Un grande business. Che andrebbe unito al “cambio d’uso” del Monoblocco. Il Comune aveva rassicurato i comitati che quell’edificio sarebbe rimasto a uso sanitario. Ma nel mezzo di nuova residenza, hotel, piscine un centro sanitario potrebbe stonare. Meglio spostarlo altrove e trasformare anche il Monoblocco in appartamenti per turisti. Secondo business»[22].
L’affare s’ingrossa
Proseguono le proteste del coordinamento delle associazioni e dei comitati del Lido. Redigono un elenco in stile Saviano-Fazio, ispirato ai valori di «legalità, democrazia, rispetto delle regole e salvaguardia del proprio territorio».
L’elenco, presentato il 1 dicembre 2010 nella sede della Municipalità, alla presenza del Sindaco e del Commissario, è un volantino in cui si elencano i costi e i benefici dell’operazione Ospedale al Mare-Palazzo del Cinema:
«130 piante d’alto fusto già abbattute nel parco vincolato dell’ex Casinò; la svendita delle aree dell’Ospedale al Mare, l’abbattimento del Monoblocco, il cui restauro era costato 5,6 milioni di euro; la perdita della piscina per talassoterapia, della radiologia, del day surgery; la cementificazione della Favorita; l’aumento esponenziale nel traffico e dei nuovi edifici nell’isola; la distruzione di una parte dell’area Sic della spiaggia di San Nicolò con la realizzazione di una megadarsena privata da 1750 posti. E infine la limitazione della volontà popolare, espressa con oltre 8 mila firme».
Quali i benefici? si chiedono comitati. Eccoli:
«Una sala cinematografica da 2500 posti, la cui utilità per il rilancio della Mostra del Cinema è stata pubblicamente messa in dubbio anche da addetti ai lavori, tra cui il docente Adriano Donaggio, per anni capo Ufficio stampa della Biennale, e il rettore del’Iuav Amerigo Restucci, del Cda Biennale».
A questo bilancio, del tutto negativo, dovrebbero seguire decisioni drastiche. E il coordinamento dei comitati e delle associazioni chiede il ritiro del bando di gara per la vendita dell’Ospedale, la conferma della presenza delle funzioni sanitarie al Monoblocco e la tutela dell’ambiente del Lido. E le dimissioni del commissario straordinario Vincenzo Spaziante per «palese inadempienza del mandato: del nuovo palazzo del Cinema che doveva essere pronto nel marzo 2011 ed invece ad oggi c’è solo una grande fosso».
Mentre la Giunta Orsoni si affanna a chiudere la trattativa per poter incassare qualcosa dal mercimonio che è stato fatto dalla Giunta Cacciari (e che, in omaggio alla continuità amministrativa e politica, e ai soldi, non ha voluto tentar di cancellare) ecco che qualcun altro prova ad approfittare dello strumento messo in opera per aggirare regole, istituzioni, trasparenza e democrazia: il Commissario straordinario. Non c’entra affatto con la trasformazione dell’Ospedale al mare e con la realizzazione del Nuovo palazzo del cinema, ma è un tassello (insieme alle proprietà della società di Mossetto: agli alberghi Excelsior e Des Bains, la strada lungomare, il Forte Malamocco) del progetto immobiliarista che qualcuno ha disegnato per il Lido di Venezia: anche i proprietari del Parco delle Rose, un vasto complesso immobiliare nella parte centrale del Lido, vogliono che, in deroga ai piani comunali, la loro succulenta proprietà venga trattata dalla Conferenza di servizi gestita dal Commissario.
Si tratta di una vasta area lungo il Gran Viale, oggi occupata da una grande area verde dove insistno una pizzeria e una sala Giochi circa 4 mila metri cubi di edifici. Secondo la stampa locale «i vecchi edifici saranno tutti demoliti, gli alberi di alto fusto tagliati perché ritenuti di scarso pregio e in parte malati. La cubatura sarà quasi sestuplicata». L’intenzione dei progettisti e del promotore immobiliare è quello di «costruire una sorta di “magnete urbano” che oggi al Lido manca, al posto del “vuoto urbano” rappresentato dall’area nello stato attuale. I grandi tetti sporgenti avranno la funzione di calamitare appunto l’attenzione di chi sbarca a Santa Maria Elisabetta, la costruzione a H con i due grandi fabbricati e la torre centrale quella di permettere comunque il passaggio e la fruizione pubblica». Una «scommessa» secondo il proprietario. «Una speculazione immobiliare secondo i comitati che chiedono quale sarà il vantaggio dell’isola derivante da questa operazione» [23].
L’anno si chiude con un’operazione in extremis. La gara pubblica è andata deserta. Il contratto viene stipulato con negoziazione privata, preceduto dall’approvazione di tutti i progetti (è rinviato solo il Parco delle rose) da parte della conferenza di servizi: atto di garanzia per l’acquirente cui la stipula del rogito era subordinata. Voci trionfanti raccontano che così “si è salvato il bilancio comunale”: si potrà procedere all’inutile spesa del Nuovo palazzo del cinema.
Il rettore dell’Iuav, Amerigo Restucci, era da tempo esplicitamente critico delle iniziative lidensi. Come membro del consiglio d’amministrazione della Biennale aveva a suo tempo sostenuto che il megaprogetto del Nuovo palazzo del cinema e dei congressi era inutile, che con una spesa molto minore era possibile utilizzare gli edifici esistenti[24]. Ma tant’è: quando dietro la grandeur dell’immagine ci sono grandi affari l’ innovazione è irresistibile. Per realizzare un’opera inutile si promuove il degrado dell’ ambiente lidense e si calpesta la democrazia. É pieno d’amarezza l’augurio di capodanno di Restucci:
«Purtroppo dalle notizie che appaiono sulla stampa odierna a proposito del completo stravolgimento di una delle zone più interessanti, oltre che cariche di valori storici e ambientali come il Lido di Venezia, scaturisce un senso di amarezza e di sfiducia in un futuro segnato da regole e rispettoso di quanto a tutt’oggi, a fatica, si è salvaguardato»[25].
Il Lido nel progetto per Venezia
una conclusione
Il Lido è solo un tassello in un progetto territoriale e sociale che interessa l’intero territorio comunale. Le tracce di questo progetto affondano in decenni passati: più precisamente, nei lontani anni Ottanta del secolo scorso, quando uno dei più lucidi protagonisti della vita politica veneziana, l’intramontato Gianni De Michelis, lanciò la sua proposta di realizzare a Venezia l’Esposizione universale del 2000. Il progetto fu bloccato. Non esistevano allora i comitati, le associazioni avevano forse meno peso, ma la società civile era più reattiva e la politica più responsabile. Alcuni elementi di quel progetto li ritroviamo oggi, come ne ritroviamo l’anima.
Questa è indubbiamente nell’intreccio cultura-turismo. Una cultura, più precisamente, intesa come tema, od occasione, di grandi eventi che richiamassero cospicue quantità di visitatori avvalendosi dell’ elevate qualità, e della universale rinomanza, della città serenissima: anzi, sfruttandole a piene mani. Componenti importanti di quel progetto erano l’utilizzazione espositiva (cioè il versante mercantile della cultura) dell’Arsenale e la trasformazione dell’area di Tessera, tra l’aeroporto e la Laguna in un “magnete” capace di animare, catalizzare, connettere i grandi flussi che provenivano (e sempre più copiosi sarebbero provenuti) dal mondo con la città sorica (e lì, in una prospettiva non tanto lontana, il suo Lido).
L’Arsenale era in mano pubblica, le aree di Tessera no (e neppure gran parte di quelle del Lido). Non a caso quindi l’area di Tessera è rimasta nel gioco, ha acquistato un peso crescente, ha provocato un consistente mercato di aree agricole, ed è stata alla fine benedetta da un accordo pubblico-privato assolutamente bipartisan: l’accordo stipulato tra Galan, presidente berlusconiano della Regione, Cacciari, sindaco di centrosinistra della città, e il proprietario della società aeroportuale. L’accordo ha dato luogo a una variante di PRG surrettizia, rimasta a giacere tra comune e regione per quattro anni, in attesa che si raggiugesse l’accordo patrimoniale e funzionale.
Ai tempi della proposta demichelisiana dell’Expo la connessione infrastrutturale tra Tessera e l’Arsenale non era ancora definita, né, a maggior ragione, quella per il Lido. Ma ecco che negli anni Novanta, con un rigurgito di ottocentesco slancio tecnologico, un gruppo promotore propone la realizzazione di una metropolitana, infilata sotto la Laguna, diretta prima a raggiungere la città storica e poi, in progress, il Lido.
Il disegno non è ancora completo. Per renderlo ancora più accattivante per gli “investitori” (cioè per i gruppo che, grazie ai decisori pubblici, vede aumentare da cento a mille il valore dei terreni acquistati) qualcuno decide che la grande infrastruttura ferroviaria che collegherà Lisbona a Kiev nel tratto italiano deve toccare Tessera. Non tutti sono d’accordo. Tra i critici qualche rappresentante della Regione, adesso divenuta leghista, che vorrebbe che la TAV toccasse anche qualche altra località…balneare. Comunque, come scrive un esperto, allo stato degli atti
«delle tre alternative di tracciato - affiancamento alla linea storica, il cosiddetto quadruplicamento, unanimemente scartato; l'affiancamento alla A4, la soluzione ideale da Torino a Verona per compattare il corridoio infrastrutturale - la scelta cade invece sulle terre basse e molli delle bonifiche orientali. Soluzione più lunga, più lenta e più costosa»[26].
Molte altre tessere compongono il mosaico che minaccia di stringere Venezia sempre più in un cappio di cemento, ferro e asfalto, governato dagli affari. Bisognerà raccontarlo e denunciarlo in tutti i suoi aspetti. Alcuni già abbastanza noti all’opinione pubblica veneziana e nazionale (come il MoSE, il degrado pubblicitario dei monumenti, la dismissione dell’edilizia pubblica), altri meno.
La discussione del Piano di assetto territoriale consentirà di valutare in un unico quadro tutto ciò che si prepara. Ma la vicenda del Lido, se da un lato rivela la pervasività e la forza dei poteri che spingono a trasformare la cultura in cemento, dimostra anche che queste trasformazioni possono essere contrastate solo se cresce la protesta che parte dalle condizioni di vita determinate da quelle trasformazioni. E questa può crescere se – oltre a rendere sempre più ampia la consapevolezza delle conseguenze delle scelte territoriali – si saprà dimostrare che un altro Lido, e un’altra Venezia, sono possibili.
Venezia, 8 gennaio 2011
[1] http://www.estcapital.it/
[2] Roberta Brunetti, “L'ex assessore con la passione per il risiko degli immobili”, il Gazzettino, 24 novembre 2009
[3] Il 1° settembre 2005 era stato proclamato vincitore uno dei dieci gruppi partecipanti, quello costituito dallo studio genovese “5+1” e Rudy Ricciotti”
[4] Protocollo d’intesa ecc. 12 gennaio 2006. Firmato dal presidente dalla Regione Veneto Galan, dal sindaco di Venezia Cacciari, dall’amministratore dell’Ulss12 Padoan.
[5] Luca Ferrari, Ore 7,45, giù il primo albero, Corriere del Veneto, 13 febbraio 2009
[6] Il Coordinamento delle Associazioni Ambientaliste del Lido di Venezia (“Per un altro Lido”) era nato nel settembre 2008 proprio per contrastarel'abbattimento della pineta del Casinò. Di esso fanno parte Associazione Murazzi, Associazione Rocchetta, Associazione il Villaggio, Associazione vegetariana, Italia Nostra Venezia, Codacons Veneto, Lipo Venezia, Estuario nostro, Pax in acqua.
[7] Avviso indicativo per la richiesta di soggetti interessati all’acquisto dell’area Ospedale al mare.
[8] Acquamarcia di Caltagirone, Torso, Sacaim, Gemmo, CCC di Ravenna, Astaldi, Mantovani, Maltauro, Condotte, Condotte d’acqua ecc.
[9] Protocollo d’intesa ecc., 9 maggio 2007. Firmato da Rutelli, Galan, Cacciari, Padoan.
[10] Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri n°3746/2009
[11] Ordinanze del presidente del consiglio dei ministri n° 3791/2009 e n°3856/2010
[12] Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri n°3759/2009.
[13] Cfr. Enrico Tantucci, “Lido, Salvaguardia contro Spaziante”, La Nuova Venezia, 25 settembre 2009.
[14] Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri n°3807/2009.
[15] Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri n°3792/2009
[16] Enrico Tantucci, “Forte Malamocco: c’è il via libera”, La Nuova Venezia, 4 settembre 2009
[17] ibidem.
[18] Le denuncia è stata firmata dalle seguenti associazioni: LIPU Venezia, Estuario Nostro, Italia Nostra Venezia, Pax in Aqua, Associazione per la difesa dei Murazzi, Associazione Rocchetta e dintorni, Associazione Vegetariana, Comitato per la Revisione della Viabilità del Lido, Ecoistituto del Veneto Alex Langer, Amico Albero, Associazione Il Villaggio, Venezia Civiltà Anfibia, Codacons Veneto, Legambiente Venezia. É stata bubblicata dal sito web PatrimonioSOS ne, novembre 2009.
[19] Enrico Tantucci, “Mossetto propone lo scambio«Ditemi di si e rifarò il Lido», La Nuova Venezia, 13 maggio 2009.
[20] Enrico Tantucci, “L’Ospedale al Mare in Procura”, La Nuova Venezia,
[21] Alberto Vitucci, “La darsena in cambio della bonifica”, La Nuova Venezia, 6 agosto 2010
[22] Ibidem
[23]Alberto Vitucci, “Lido di Venezia. Parco delle rose, ecco il progetto”, La Nuova Venezia, 29 dicembre 2010.
[24]Lorenzo Mayer, “Restucci: Il Palacinema? Non serve proprio a nulla”, il Gazzettino, 15 settembre 2009.
[25] Amerigo Restucci, “L’augurio: I piani per il Lido siano discussi con tutti”, La Nuova Venezia, 31 dicembre 2010
[26] Franco Migliorini, “Europa a Passarella”, Il Corriere del Veneto, 14 ottobre 2010.
Il nuovo mercato e le aree di via Torino: «Un regalo ai privati» - L’occupazione alla Cini come denuncia «Il Comune ci rimette»
Le Varianti urbanistiche fanno solo l’interesse dei privati. E invece della pianificazione oggi si usa un po’ troppo l’«urbanistica concordata». Accuse pesanti quelle lanciate da Francesco Sanvitto, architetto di sinistra con simpatie leghiste. Che ha organizzato domani una clamorosa protesta bipartisan alla rassegna Urban promo, in corso alla Fondazione Cini nell’isola di San Giorgio.
Un gruppo di consiglieri comunali di varie tendenze (Lega, Grillini e altri) occuperanno nel pomeriggio la sede del convegno per protestare contro le ultime operazioni immobiliari. «Esposte in mostra come fossero grandi conquiste», dice l’architetto. Protesta sostenuta da un voluminoso dossier: nel mirino ci sono le operazioni immobiliari private autorizzate dal Comune negli ultimi anni con una semplice Variante urbanistica. Dal Lido a Tessera, da Cavergnago a via Torino. Scambi di terreni, vendita di patrimonio pubblico, operazioni di «valorizzazione» affidate ai privati. Materiale già oggetto di un esposto alla Procura e ora rimesso sotto i riflettori dal combattivo architetto.
Il caso che non mancherà di riaccendere polemiche è quello del mercato di via Torino, sfrattato dall’amministrazione per consentire a una società privata (la Venice campus di Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani) di realizzare sei torri, 190 mila metri cubi di residenze di lusso, darsena e servizi, attività commerciali e una casa dello studente da 350 posti. progetto di Plinio Danieli. «Da questa operazione», scrive l’architetto, «il Comune ci ha soltanto rimesso, e il mercato non ha ancora una sede». Fatti due conti, Sanvitto spiega che il valore dell’operazione nell’area del Comune poteva raggiungere i 76 milioni di euro. Il costo del nuovo mercato realizzato in area industriale (650 euro per metro quadrato) non sarebbe stato superiore a 15 milioni di euro, più gli imprevisti. Insomma il Comune, scrive il Grande accusatore, ci avrebbe guadagnato 50 milioni. Ma non è andata così. E accettando lo scambio il Comune ha fatto un bel regalo alla società. Che ha offerto per il vecchio mercato Ortofrutticolo di via Torino 46 milioni 230 mila euro, da cui ha detratto anche i 2 milioni e mezzo per la bonifica. Alla fine 43 milioni 730 mila euro. Il costo del nuovo mercato è di 36 milioni di euro (l’area viene valutata 10 milioni perché in area parificata a centro commerciale. Alla fine, sostiene il professionista, all’amministrazione sono rimasti soltanto 7 milioni 730 mila euro e nel frattempo il Comune si è accorto che l’area offerta in cambio dal Grande Benefattore (il privato) non è adatta a ospitare il mercato perché non ha nemmeno accesso all’acqua. Per rientrare almeno in parte il Comune è stato costretto a metterla in vendita concedendo un’altra Variante urbanistica per cambiarne la destinazione d’uso da impianti a commerciale e direzionale. In sostanza, si legge nel dossier messo a punto dall’architetto, «si è stravolta un’area destinata allo sviluppo universitario con quasi mille residenti in più senza servizi. «Fuori da ogni logica urbanistica, in modo illegittimo e nel solo interesse del privato», sostiene Sanvitto.
Anche l’area di Cavergnago sarà trasformata da servizi a centro commerciale, con qualche problema di immissione sulla già congestionata statale 14 Triestina. La battaglia politica e legale, promette Sanvitto, è soltanto all’inizio.
Due edifici di cinque piani più due piani interrati con supermercato e garage. Una torre centrale con grande tetto spiovente, una piazzetta e 3 mila metri quadrati di verde pubblico. Ecco il nuovo Parco delle Rose.
La parte centrale del Gran Viale che oggi ospita pizzeria, sala Giochi e una grande area verde con dentro edifici per circa 4 mila metri cubi è destinata a cambiare completamente volto. Appartamenti e palazzine come al Lido non sono per nulla tipiche. I vecchi edifici saranno tutti demoliti, gli alberi di alto fusto tagliati perché ritenuti di scarso pregio e in parte malati. La cubatura sarà quasi sestuplicata (dagli attuali 4.40 metri cubi ai 23.00 del nuovo progetto). Un’altra parte dell’isola che si trasforma.
Il progetto definitivo sarà approvato con i poteri straordinari del commissario Vincenzo Spaziante il 30 dicembre. «Che c’entra questo progetto privato con l’interesse pubblico e l’Ospedale al Mare?» chiedono i comitati. Secondo l’imprenditore calabrese Antonio Di Martino si tratta della «valorizzazione» di una parte degradata del Gran Viale. E il commissario Spaziante, calabrese pure lui, nominato dal governo tre anni fa per seguire i progetti del nuovo palazzo del Cinema in vista del 150esimo dell’Unità d’Italia, ha inserito la proposta tra quelle da approvare giovedì. Il progetto elaborato dallo studio Folin con studio a San Marco (architetti Fabrizio Folin e Eleonora Bonotto) e da Open Lab (architetti Deferrard, Pivetta e geometra Lorenzi) è stato commissionato dallì’immobiliare Adm, con sede in via Gioacchino Murat 46 a Lamezia Terme. L’intervento viene definito «riqualificazione urbanistica e residenziale dell’area Parco delle Rose», tra il Gran Viale Santa Maria Elisabetta e viale Zara.
Secondo gli architetti si deve costruire una sorta di «magnete urbano» che oggi al Lido manca, al posto del «vuoto urbano» rappresentato dall’area nello stato attuale. I grandi tetti sporgenti avranno la funzione di calamitare appunto l’attenzione di chi sbarca a Santa Maria Elisabetta, la costruzione a H con i due grandi fabbricati e la torre centrale quella di permettere comunque il passaggio e la fruizione pubblica. Una «scommessa» secondo Di Martino. «Una speculazione immobiliare» secondo i comitati che chiedono quale sarà il vantaggio dell’isola derivante da questa operazione. Gli elaborati sono stati presentati in Comune, Soprintendenza e all’Ufficio del commissario. Verranno valutati nelle prossime ore e portati all’approvazione nella seduta di giovedì.
Cristiano Gasparetto Una speranza per Venezia
Due proposte alternative per rinnovare la legislazione per la salvaguardia di Venezia in un articolo pubblicato (parzialmente) sul quotidiano Terra, 14 dicembre 2010
Quattro Novembre 1966: condizioni meteorologiche avverse, con piogge torrenziali in tutto il Veneto e maree con venti eccezionali sulle coste dell’alto Adriatico, fanno entrare dalle tre bocche di porto della laguna di Venezia un’ altrettanto eccezionale quantità d’acqua. I fiumi attorno alla laguna rompono in più punti gli argini come le enormi onde marine quelli, naturali ed artificiali, che separano il mare dalla laguna ed altra acqua entra. Sei ore dopo, la marea uscente non riesce a scaricarsi in mare perché bora e scirocco, i venti dominanti, tappano le bocche portuali e la marea successiva entra, sommandosi alla precedente. Centonovantaquattro centimetri sul livello medio del mare la marea che sommerge Venezia e i centri lagunari abitati in quella aqua granda, come poi verrà chiamata quella catastrofe sfiorata.
L’Italia e il mondo, la cultura e la politica si interrogano su come sia potuto succedere. Il dibattito è lungo e complesso, centrato più sul che fare che sulla prioritaria ricerca delle cause. Comunque, soprattutto per una particolare congiuntura politica (Venezia apriva la pista del primo centrosinistra tra Dc e socialisti) e, forse, per le sensibilità personali di deputati e senatori locali, con la collaborazione di tutte le forze politiche, nel 1973 col numero 171 viene approvata una legge che ancora oggi, per antonomasia, viene chiamata la legge speciale per la salvaguardia di Venezia alla quale altre due, con lo stesso spirito, seguiranno (798/1984 e 139/1992). Senza enfatizzare e con il distacco anche del tempo, possiamo oggi dire che senza quelle leggi speciali Venezia non si sarebbe salvata fino ad oggi: per la prima volta, anche rispetto a leggi speciali precedenti che il Parlamento aveva adottato, nella 171/1973 si inseriva la città di Venezia nel suo contesto territoriale (il comprensorio lagunare) e si coglieva il decisivo nesso tra la società formata dalle popolazioni di quello specifico territorio e le sue condizioni di vita: di fatto tra condizioni occupazionali e servizi al vivere sociale. Ciò che rende ancora oggi non solo importante questa legge ma imprescindibile, anche per una sua revisione, è stato l’ inserimento di Venezia per un verso nel sistema ambientale di cui essa stessa è divenuta parte - come una antropizzazione virtuosa e salvifica testimonia-; per un altro, l’ inserimento della città nel più ampio e complesso contesto sociale dei suoi abitanti. Abitanti per i quali, condizioni di lavoro e di vita associata diventano garanzia, necessaria anche se non sufficiente, di presidio e controllo delle strutture che costruiscono la città fisica. Inevitabilmente ne consegue che ogni salvaguardia reale (come il nome delle legge recita) comporta che, per intervenire in questo territorio, vengano istituite norme, indicazioni, indirizzi come pure proibizioni e incentivi. Questo di fatto è contenuto nelle tre leggi speciali. E sono disposizioni tutte ancora valide oggi, anche se le mutate condizioni possano suggerirne l’aggiornamento. Ciò non significa che tutti gli interventi attuati siano stati giusti e virtuosi ma certamente il contrario: tutti gli interventi che in questi anni hanno modificato dannosamente l’ambiente e peggiorato i modi di vivere si sono realizzati aggirando, eludendo e, spesso, violando la legge. L’esempio più eclatante è stata la decisione di passare alla realizzazione del MoSE (lo sbarramento mobile alla bocche di porto che dovrebbe evitare le acque alte) senza le procedure e le verifiche che la legge imponeva.
All’inizio dell’estate, il Ministro Brunetta ha deciso che la legge speciale andava rifatta perché superata dai fatti e quindi solo appesantimento burocratico alla procedure d’intervento. E’ un classico: per smantellare norme e procedure di salvaguardia si inizia sempre a dire che sono superflue e che rallentano il fare. La realtà è che il Ministro in due riunioni di un’ora (!) “ha sentito” le Istituzioni, le corporazioni dette portatrici d’interessi e qualche Associazione; a tutti ha chiesto di esprimersi sulla sua nuova strategia per Venezia, perché prima dell’inverno voleva portare in Parlamento una nuova proposta di legge. Ecco la nuova strategia proposta. La salvaguardia della città e della laguna è ormai raggiunta con la costruzione del MoSE (sorvolando, tra l’altro, che il MoSE non è ancora cominciato e sono state realizzate solo le sue opere complementari). Rimane “solo” il problema economico costituito essenzialmente da uno Stato non assistenzialista che non vuole e non può più dare finanziamenti alla città e da una zona ex industriale e operaia (Porto Marghera) che, una volta bonificata dai veleni sepolti dalle industrie del passato, deve rinascere rilanciando soprattutto la sua vocazione portuale. Venezia oggi ha la sua nuova opportunità, pari se non maggiore di quella che nel passato l’ha resa grande sui mari: è lo snodo dei traffici del “mondo che conta” nel terzo millennio e che dalla Cina risalgono Suez fino all’alto Adriatico, per incrociarsi, appunto, a Venezia con il grande asse Est-Ovest (TAV Barcellona Kiev). Grande occasione da non perdere e dalla quale un nuovo e travolgente sviluppo garantirà tutte le ricadute economiche che serviranno, appunto, a società e città.
La bozza di legge che il Ministro ha già presentata alla stampa, articola questa strategia. Strategia che in realtà è una sbornia visionaria perchè vuole rilanciare lo stesso sviluppo che ha degradato e avvelenato il territorio di Porto Marghera, allo stato attuale inutilizzabile. Sviluppo che ha profondamente modificato l’ecosistema lagunare fino a ridurlo quasi a un braccio di mare e che ha aumentato frequenza e altezza delle acque alte che sommergono sempre più spesso i centri abitati. Sviluppo, ancora, che ha ridotto l’economia veneziana a una monocultura turistica “mordi e fuggi” ma che ha, nel frattempo, svuotato la città dei suoi abitanti (da 150.000 del dopoguerra ai 59.000 attuali) facendo entrare 21 milioni e mezzo di visitatori e promettendone altri. Sviluppo, infine, che per cercare di risolvere le acque alte, prodotte dalle precedenti trasformazioni “produttive” della laguna, inventa la megaopera “salvifica”, il MoSE. Opera dalla costosissima realizzazione (il prezzo “chiuso” previsto di 4,27 miliardi di euro è ad oggi lievitato a 5,49, con un aumento di 1,22 miliardi) e gestione (60 milioni di euro ogni anno). Opera comunque inefficace a proteggerci dalle acque alte dopo la sua realizzazione - la cui data rimane tra l’altro problematica - perché con particolari condizioni di altezza e frequenza di onde in mare, l’acqua più alta del mare entrerà comunque in laguna, provocando ancora quelle acque alte che si sarebbero dovute evitare. Ad un aumentare del livello marino esterno per l’effetto serra di “soli” anche 30-35 cm. (dati considerati come molto probabili nei prossimi anni dagli scienziati più seri), le paratie del MoSE dovrebbero chiudere anche per 150-200 giorni all’anno, vanificando così ogni possibilità di rilancio portuale per Marghera. E, con questo, una possibile economia per Venezia, alternativa a quella turistica.
Venerdì 10, ospitato in una sala del Municipio di Venezia, il Senatore Felice Casson del Partito democratico, in una conferenza stampa appositamente convocata, ha comunicato che, due giorni prima, aveva depositata alla Camera un disegno di legge per la riforma della legislazione speciale per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna e ne ha brevemente illustrato scopo e contenuti.
Lo scopo è stato quello di dimostrare che una strategia alternativa non solo è possibile ma che solo una alternativa reale al tipo di sviluppo, presente nella “Bozza Brunetta” vuole normare, è realistica perché ripropone l’intuizione della Legge Speciale 1973: il legame stretto tra territorio e società per cui o entrambi si salvano o entrambi si disgregano
Il disegno di legge presentato da Casson è stato elaborato con il contributo di esperti, universitari (era presente il rettore Amerigo Restucci dell’Università Iuav di Venezia) e non, che in questi anni si sono molto impegnati sui temi della salvaguardia del territorio e dei suoi abitanti e con quello di molte associazioni vitali e vigilanti nell’analisi delle trasformazioni.
A breve entreremo nel merito dei contenuti di questa nuova proposta e delle modalità che prevede perché ci sembra decisivo per la salvezza di Venezia ricercare quell’ unità che già in passato si era trovata. Conoscenza della complessità del territorio e limpido confronto sulla proposta ne sono comunque la condizione. A tal fine gli antefatti che qui abbiamo ripreso, ci sono sembrati opportuni.
Il Corriere del Veneto
Ore 7.45, giù il primo albero
addio alla pineta del Casinò
di Luca Ferrari
Ore 7.45, crolla il primo pino davanti all'ex Casinò del Lido. A sera la piccola pineta del lungomare, sotto la quale hanno passeggiato attori e registi, oltre a intere generazioni di lidensi che, d'inverno, hanno imparato ad andare in bicicletta, non esiste più.E' il primo segno forte dei lavori per la costruzione del nuovo palazzo del Cinema, quello che è stato soprannominato il «sasso» e che dovrebbe essere pronto per il 2011.
Le seghe elettriche sono entrate in funzione ieri mattina, in ritardo sulla tabella di marcia di qualche giorno. «Dispiace sempre quando si abbattono degli alberi — dice il presidente della Municipalità del Lido, Giovanni Gusso — ma bisogna saper guardare in prospettiva. Così agendo, abbiamo la garanzia della Mostra del Cinema, il cui indotto economico nei quindici giorni è di venti milioni di euro nel nostro territorio, abbiamo delle prospettive di ricaduta economica-occupazionale, le garanzie della costruzione del nuovo futuro del Lido, il tutto comunque dentro parametri di compatibilità e sostenibilità ». Pochi giorni fa Veritas ha iniziato la piantumazione di 143 alberi in varie zone dell'isola dalla piscina al parco giochi di Ca' Bianca — bagolari, lecci, frassini, pini, querce — a indennizzo verde del taglio, ma questo non è bastato a placare le polemiche. «Non vogliamo stravolgere niente, ma valorizzare quello che c'è», agggiunge Gusso.
Le associazioni ambientaliste, però, non mollano. Già martedì scorso durante un'assemblea affollatissima sulla questione del verde cittadino, Salvatore Lihard, a più riprese aveva bacchettato il consiglio della Municipalità per l'assenza. E puntuali ieri, non appena è iniziata a circolare la notizia del taglio dei pini, sono arrivati gli esponenti delle realtà ecologiche. Federico Antinori, presidente della Lipu Venezia,è arrivato per primo. «Gli ambientalisti non sono contro il Palazzo del Cinema, noi chiedevamo che venisse costruito rispettando ambiente e paesaggio. Per noi l'ideale era che si facesse con il minor consumo possibile del suolo e si usassero strutture già esistenti. Se avessero usato l'edificio dell'ex- Casinò, si sarebbe evitati tanti problemi». Dopo una giornata molto difficile, verso sera, i rappresentanti delle associazioni locali hanno deciso di mobilitarsi con altre forme di protesta. «Non ci arrenderemo».
Il Gazzettino
Pini marittimi, la scure è mattiniera
di Lorenzo Mayer
Abbattuti i pini marittimi in lungomare Marconi per far posto al nuovo Palazzo del cinema. Ieri mattina, di buon ora, verso le 7, è iniziato l’intervento di tecnici e addetti del cantiere che, secondo quanto previsto dal programma dei lavori, hanno dato il via all’operazione con il taglio di 66 pini, piantati nel 1941. Ma anche sul numero complessivo di alberi tagliati è “guerra” di numeri. Le associazioni ambientaliste continuano a sostenere che, a conti fatti, alla fine dei lavori gli alberi sacrificati saranno non 66 ma 140. Ieri mattina sul posto, a sorvegliare la situazione, sono arrivati anche carabinieri, polizia e vigili urbani. L’area, già da alcuni giorni era stata opportunamente recintata, e la prima fase dell’abbattimento, che verrà completata oggi, ha riguardato 50 pini. Anche gli ambientalisti sono stati presi un po’ in contropiede da una mossa così repentina. Quando, intorno alle 9.30, nell’isola si è sparsa la voce che l’abbattimento era partito a gran ritmo, per i contrari che si sono mobilitati in queste settimane, raccogliendo 2.500 firme, era ormai troppo tardi per tentare di qualsiasi forma di protesta. Sono arrivati sul posto, tra gli altri, Paolo Fumagalli e Giovanni Battista Vianello, del coordinamento delle associazioni ambientaliste che con una piccola telecamera ha girato alcune riprese, Federico Antinori della Lipu, il consigliere in municipalità dei Verdi, Roberto Romandini, oltre ad un piccolo gruppo di persone. Ieri sera alle 18.30, poi, il coordinamento si è dato appuntamento per un’altra riunione d’urgenza. «Stiamo piangendo per quanto si sta consumando – ha detto Fumagalli – ma non finisce qui. I responsabili di questa operazione la pagheranno cara, politicamente, quando si andrà a votare tra un anno. Inoltre nei prossimi giorni studieremo altre proteste e iniziative». Ci sono anche voci di albergatori contrari alla collocazione del nuovo Palazzo. «Sono sotto choc – ha aggiunto una delle proprietarie dell’hotel “Quattro Fontane” che sarà a pochi passi dalla nuova opera. – quella pineta era stata voluta da mio padre».
Il direttore dei lavori, architetto ingegner Manuel Cattani, precisa alcuni punti: «Abbiamo iniziato con gli abbattimenti esattamente come era previsto, non appena la pioggia è cessata e c’erano le condizioni per intervenire. Inoltre prima, come avevamo promesso, sono arrivate le nuove alberature che verranno piantumate nelle zone già stabilite dalla municipalità come compensazione ambientale per questo sacrificio. Entro lunedì, martedì termineremo gli abbattimenti con il frazionamento delle ramaglie».
La Nuova Venezia
Motoseghe in azione, abbattuta la pineta
di Simone Bianchi
LIDO. Il profumo di resina è tutto ciò che rimane dei pini del piazzale dell’ex Casinò. Ieri mattina lo si sentiva a grande distanza avvicinandosi al cantiere dove verrà costruito il nuovo Palazzo del cinema. Le motoseghe che hanno compiuto l’operazione di abbattimento sono entrate in funzione sin dalle 7. Come scheletri inermi circa 60 alberi, che per decenni hanno adornato il piazzale, giacevano a terra, caduti sotto l’azione delle lame all’interno di quella sorta di bunker realizzato con cemento e grate di ferro per delimitare il cantiere e, probabilmente, evitare intrusioni da parte degli ambientalisti. Un fortino al quale mancava solo filo spinato; fuori poliziotti, vigili e carabinieri sorvegliavano l’andamento dei lavori.
Si temeva, infatti, un massiccio intervento di protesta da parte delle associazioni ambientaliste; ma la mobilitazione non c’è stata.
L’azione. Le forze dell’ordine erano state informate del «blitz» programmato dagli operai delle ditte incaricate fin dalle 16 di mercoledì; il Coordinamento ambientalista dell’isola lo temeva soltanto e ieri rimasto colto di sorpresa, lasciando il campo libero alla devastazione autorizzata. Appena 6-7 attivisti hanno potuto seguire con occhi e orecchie l’abbattimento di decine di pini, filmando e fotografando l’andamento delle operazioni per poi lanciare il loro grido di indignazione sui siti internet, su Facebook e su You-tube.
Le firme. Gli altri 2.600 che avevano aderito alla petizione contro il taglio degli alberi ieri non c’erano e, come con l’Ospedale al Mare - che aveva già visto i cittadini mobilitarsi anni fa - anche stavolta i comitati hanno perso, almeno in parte, l’ennesima battaglia popolare. Mentre le benne delle ruspe raccoglievano ciò che dei pini rimaneva una volta caduti a terra, i vigili urbani verificavano i permessi della ditta, peraltro tutti in regola, in attesa di un sopralluogo anche da parte del Corpo Forestale.
Disperazione. «Abbiamo saputo cosa stava accadendo quando ormai lo scempio era stato già compiuto» dice Salvatore Lihard, del citato Coordinamento, mentre la notizia viene diffusa tra gli ambientalisti via sms. Il vento solleva la polvere e la segatura derivata dal taglio, il sole illumina l’area che prima, per decenni, era stata il regno incontrastato dell’ombra. A dar voce agli alberi ci sono soltanto i volantini affissi ovunque col celebre dipinto dell’«Urlo» di Munch, passato da cartello dell’espressionismo nordico a quello di denuncia ambientalista.
Spiazzati. «Cosa faremo adesso? - si chiede Federico Antinori della Lipu - Faremo tesoro di questa esperienza per tentare di salvaguardare altre zone verdi dell’isola e in pericolo. Qui al Casinò non possiamo purtroppo fare più nulla, ma smentisco categoricamente chi va dicendo che gli ambientalisti hanno avvallato il progetto perché si realizzasse l’opera tra i pini anziché nel giardino del Casinò vincolato dal Palav. Tutti volevamo, se proprio fosse stato necessario, che il quarto Palazzo del cinema e dei congressi finisse altrove e non qui. Ma ora i problemi sono dei politici locali che hanno promosso questo scempio, il cui comportamento sarà preso in considerazione dai cittadini alle prossime elezioni».
Accuse. E Paolo Fumagalli, uno dei promotori della protesta ambientalista rincara: «Mi chiedo perché si sia dovuti arrivare a questo disastro. Le 2.600 persone che hanno firmato la petizione manifestavano il loro dolore per questi alberi. Adesso compreremo azioni della Carive per poter dire la nostra e mettere i bastoni tra le ruote al sindaco Massimo Cacciari nella vendita dell’ex Ospedale al Mare, visto che alcuni padiglioni sono lasciti di fondazioni e per i quali non era previsto il cambio d’uso». Ieri sera riunione d’urgenza del Coordinamento ambientalista per decidere le prossime mosse.
L’eventuale decisione dell’IUAV di vendere una delle due sedi più significative per il rapporto con la città (Ca’ Tron e Ca’ Badoer) si iscriverebbe certamente nell’attuale tendenza prevalente nella società: privilegiare la quantità sulla qualità, il presente sul futuro, il privato sul pubblico, il valore di scambio sul valore d’uso; trasformare il cittadino in cliente, il lavoratore in consumatore, il servizio pubblico (dalla scuola al trasporto, dall’università all’ospedale) in azienda privata; cancellare dalla vita della società tutto ciò che non è riducibile a merce, e dalle istituzioni tutto ciò che non produce ricchezza privata.
Se questa tendenza non viene contrastata il destino dell’università è già scritto. Essa completerà la sua trasformazione da luogo destinato alla formazione di intellettuali (cioè di persone capaci di guardare al presente con la libertà e le capacità necessarie per criticarlo e individuare le possibilità del futuro) a macchina capace di fornire la forza lavoro necessaria per proseguire lo sviluppo attuale. I patrimoni culturali, materiali e immateriali, dei quali essa è depositaria saranno ridotti a quanto serve nell’immediato a quanti ne sostengono il costo: gli sponsor e i clienti.
Le gravi difficoltà di bilancio di cui l’IUAV soffre oggi dipendono certamente anche da questa tendenza. Sarebbe però – a mio parere – del tutto sbagliato assumere la decisione sul modo di affrontarle senza una preventiva valutazione politica del contesto, e del modo in cui l’IUAV vi si colloca. Tanto più che, come la lettera di Stefano Boato argomenta, esistono alternative diverse: si può decidere se vendere uno degli edifici “storici”, oppure un’area nella quale i progetti, delineati e finanziati in anni in cui gli occhi erano ancora bendati, prevedevano la realizzazione di nuove costruzioni di prestigio.
A me sembra indubbio quale debba essere la scelta. L’università (come tutte le istituzioni) può resistere alla tendenze in atto unicamente se rafforza i suoi legami con la società, se si collega alle altre realtà analogamente minacciate, se è capace di dimostrare la sua utilità nel collaborare alla critica e alla proposta di soluzioni alternative. A questo fine, abbandonando l’illusione di un prestigio basato sulle magnificenze architettoniche in un futuro improbabile, mi sembra indispensabile per l’IUAV rafforzare - anziché dismettere - le sedi che hanno le potenzialità e la tradizione di “servizio alla società”, esaltarne il valore di centri di informazione, formazione e diffusione di sapere critico alle realtà sociali, farne dei luoghi di elaborazione di proposte utili per una società rinnovata.
P.S. - Gli organi dirigenti dell’IUAV, come informa il rettore, hanno deciso di basare le loro decisioni su un’analisi costi benefici affidata a una commissione di economisti. Si spera che non sarà solo sulla base dei conti economici che la decisione sarà presa. Non sarebbe, oltretutto, una bella lezione.
(In calce la lettera di Stefano Boato che ha aperto il dibattito, e argomenta le alternative possibili)
«L’Iuav non ha affatto già deciso di vendere la sede di Ca’ Tron, che ospita la Facoltà di Pianificazione del Territorio ed è attualmente inagibile, ma è certo che una sede tra Palazzo Badoer, l’area degli ex Magazzini Frigoriferi e appunto Ca’ Tron, dovrà necessariamente essere venduta per problemi di bilancio. Su mandato del Consiglio di amministrazione e del Senato Accademico, ho incaricato una commissione di economisti di farmi avere in tempi brevi un’analisi di costi e benefici della vendita delle tre sedi, per stabilire quale convenga alienare». A parlare in questi termini su una vicenda sempre più spinosa per Architettura e infuocata dalle polemiche che hanno coinvolto anche gli studenti, è il rettore Amerigo Restucci.
Ma la polemica è tutta su Ca’ Tron e i lavori di risistemazione sembrano ormai conclusi.
«Sì, ma potranno rientrare non più di un centinaio di studenti, e il resto del palazzo resterà inagibile. Per recuperarlo interamente servono circa 2 milioni di euro, che l’Iuav in questo momento non può spendere. Lo faremo solo se decideremo, sulla base dell’analisi costi-benefici di vendere un’altra sede tra Magazzini Frigoriferi e Ca’ Badoer. Spero che anche i colleghi di Pianificazione Urbanistica lo capiscano»
Qualcuno teme che la decisione sia già presa e che ci sia la volontà di depotenziare Pianificazione.
«Non è assolutamente così, fermo restando che tutta l’organizzazione della didattica dell’Iuav sarà presto necessariamente rivista sulla base delle nuove aree dipartimentali previste anche dalla riforma Gelmini. Ma il punto è che bisogna vedere il futuro dell’Iuav e delle sue sedi in un’ottica di sistema. Ad esempio, a Santa Marta, abbiamo acquisito da Ca’ Foscari il cosiddetto “parallelepipedo“ che però in questo momento non abbiamo i fondi per restaurare».
Ma se si dovesse rinunciare a Ca’ Tron, dove finirebbe Pianificazione del Territorio?
«Appunto nell’area di Santa Marta-San Basilio, dove c’è spazio per ospitare l’intera Facoltà, che ha comunque una dimensione limitata»
Non c’è dunque una linea «immobiliarista» Iuav su Ca’ Tron, che vuole vendere, per farne l’ennesimo hotel, “a prescindere”?
«Non è così, ma, ripeto, una scelta dovremo farla sulla base di ciò che è più conveniente per l’intero ateneo».
La Facoltà di Pianificazione chiede che la sede non sia venduta per farne l’ennesimo albergo
Piuttosto che vendere la storica sede di Ca’ Tron - che ospita la facoltà di Pianificazione del Territorio - perché venga trasformata nell’ennesimo albergo di lusso, o quella di Palazzo Badoer, meglio piuttosto alienare l’area degli ex Magazzini Frigoriferi, «terreno su cui l’Iuav è inchiodato da molti anni per scelte sbagliate del passato (quando il rettore Folin voleva costruirvi una nuova Aula Magna e la sede centrale e cedere l’Aula magna dei Tolentini alla Biennale per mettervi l’Archivio Storico). Terreno sul quale oggi la Fondazione Iuav (con Isp) ha aspettative immobiliariste, salvo poi tentare di trasformarlo in un grande parcheggio (l’Iuav a Venezia!) per “fare cassa”».
E’ la soluzione che prospetta il professor Stefano Boato, nella relazione stesa per conto della Facoltà di Pianificazione del Territorio, in vista della decisione del Consiglio dell’Iuav che potrebbe decidere di vendere Ca’ Tron. Una decisione rinviata qualche giorno fa anche per la protesta degli studenti. Che lo Iuav abbia necessità di fondi è noto da tempo e sul tavolo del rettore Amerigo Restucci e su quello del Consiglio ci sono tre ipotesi: una è la vendita di Ca’ Tron, valutata attorno ai 30,3 milioni di euro; la seconda è la vendita di Ca’ Badoer (26,7 milioni di euro). Quella caldeggiata dagli studenti e dalla stessa Pianificazione è invece appunto la dismissione dell’ area degli magazzini frigoriferi a Santa Marta, del valore di 23,6 milioni di euro.
Lo stesso rettore Restucci - come ricorda anche Boato - si è detto contrario alla vendita di Ca’ Tron, ma esisterebbe invece una possibile maggioranza, legata anche al presidente della fondazione Iuav Marino Folin, a favore a priori alla svolta “immobiliarista” per il cinquecentesco palazzo. Nella relazione Boato fa i nomi di alcuni favorevoli “a prescindere”, come il direttore amministrativo Aldo Tommasin e i docenti Roberto Sordina, Antonio Foscari, Giancarlo Carnevale e Guido Zucconi.
In calce è scaricabile la lettera di Stefano Boato
Orsoni prudente sul futuro di Tessera
di Alberto Vitucci
Il sindaco prende tempo anche sul mega-progetto - Casson: «Piano senza senso»
Il nuovo Casinò non si fa più. Lo stadio slitta in attesa di tempi migliori per le squadre lagunari sprofondate nelle serie minori. La Tav è stata «bocciata» dalla commissione di Salvaguardia, il grande terminal e la porta di Gehry sono rimasti nel libro dei sogni. Cadono i presupposti per cui era stata avviata la grande operazione del Quadrante di Tessera. Un milione di metri cubi di edifici privati in gronda lagunare per finanziare in parte la costruzione dei due edifici pubblici. Che ne sarà del contestato megaprogetto di Tessera city? «Vedremo, vedremo», frena il sindaco Giorgio Orsoni con la consueta prudenza. Lasciano aperto uno spiraglio gli assessori Antonio Paruzzolo e Enzo Micelli. Ma le voci critiche sono tante. Questione di risorse che non ci sono più (oltre 40 milioni il deficit del Casinò, che ha abbandonato l’idea di costruire la nuova sede) casse del Comune all’asciutto. Ma anche di «consumo del territorio». Urbanizzazione selvaggia al di fuori dei Piani regolatori per costruire palazzoni, uffici e servizi proprio in riva alla laguna.
La Variante di Tessera city è adesso ferma in Regione. C’è stato nel frattempo il cambio delle amministrazioni, Zaia al posto di Galan, Orsoni dopo Cacciari. L’accordo firmato da Galan e Cacciari insieme al presidente della Save Enrico Marchi prevedeva di dare il via libera alla grande operazione immobiliare con una semplice osservazione al vecchio Prg. Esposti alla Procura, proteste, una campagna elettorale dove in tanti si erano espressi contro l’operazione. «Noi ribadiamo il nostro no a operazioni di questo genere che passano sopra la testa dei cittadini», dice Nicola Funari, a nome di Italia dei Valori. Critici anche Rifondazione e i grillini, molti settori del Pd, una parte del Pdl.
«Un’operazione che non ha senso», dice il senatore Felice Casson. Contraria al Quadrante anche la Lega. Era stato il capogruppo Alberto Mazzonetto a presentare alla Procura un dettagliato esposto sull’illegittimità della procedura. Frenano anche gli ambientalisti. «La Salvaguardia ha votato no», ricorda Stefano Boato, rappresentante del ministero per l’Ambiente, «se resta l’interesse pubblico, Casinò e stadio si possono fare tranquillamente sui terreni già di proprietà publica, circa 27 ettari, senza stravolgere l’intera area». «Una questione di cui dovrà occuparsi il nuovo Pat, il Piano di assetto del Territorio», garantisce l’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin, «le nuove edificazioni in quell’area dovranno essere pianificate, senza scorciatoie». Una battaglia che sta per arrivare in aula a Ca’ Loredan. Dal momento che sia in maggioranza che in opposizione sono parecchi i consiglieri che non hanno cambiato idea sulla necessità di realizzare a Tessera la più grande operazione immobiliare nella storia recente di Venezia.
«Il Quadrante si farà, è strategico»
di Mitia Chiarin
Il Pd punta i piedi: «Non tocca a Ravà decidere, si sta bloccando tutto»
«Il Quadrante di Tessera, con la realizzazione di stadio e Casinò, è strategico ed è parte integrante del programma del sindaco. Se Orsoni ha cambiato idea ce lo venga a dire». Sul futuro del Quadrante di Tessera, il Pd ora fa quadrato.
Da Claudio Borghello, prossimo segretario comunale, a Michele Mognato, candidato alla guida del provinciale, arriva un monito ad Orsoni. E’ alta la preoccupazione in casa Pd dopo l’annuncio dell’amministratore delegato del Casinò, Vittorio Ravà, della rinuncia alla nuova sede della Casa da gioco. Scelta che toglie un tassello importante al piano e fa temere anche per il progetto stadio. Dopo lo stop al trasloco del mercato da via Torino e i ritardi del cantiere all’ex Umberto I, un’altra frenata allo sviluppo in terraferma e torna il subbuglio nella maggioranza. «Il quadrante è parte integrante del programma del sindaco, se Orsoni ha cambiato idea ce lo dica. Per noi il Quadrante è una grande opportunità di sviluppo della città, anche in termini di nuovi posti di lavoro. L’idea iniziale per noi è valida, se ci sono altre proposte discutiamone», avverte Claudio Borghello. «Io resto dell’idea che nuova sede del Casinò e nuovo stadio sono strettamente legati allo sviluppo di quell’area e a un disegno della città che guarda al futuro. Certo, siamo pronti al confronto - aggiunge Michele Mognato - ma io resto convinto che non si possa più aspettare oltre. Sullo stadio siamo indietro di dieci anni, un ritardo che evidenziavo già quando ero vicesindaco. E di fronte alla crisi di Porto Marghera, il Quadrante può garantire un giusto sviluppo alla città». Gabriele Scaramuzza, attuale coordinatore provinciale aggiunge: «a questo punto, occorre fare chiarezza con il sindaco e con l’assessore all’urbanistica. Non basta l’audizione del presidente di una società pubblica per dichiarare chiusa la questione e io sono preoccupato per le scelte strategiche per la città da qui ai prossimi 30 anni. E’ bene che si vada al confronto in maggioranza». L’assessore all’Urbanistica Ezio Micelli cerca di placare gli animi: «resta lo stadio ma va pensato come una struttura per grandi eventi con un progetto che tenga conto non solo del contenitore ma anche dei contenuti. Nell’immediato Ravà sottolinea l’impossibilità dell’investimento sul nuovo Casinò, ma il Quadrante è un piano di medio-lungo termine ed ora si tratta di dividere il Casinò dallo stadio, che la città attende da anno. Questo non significa affatto tirarsi indietro». E’ decisamente meno preoccupato Gianfranco Bettin, assessore ed esponente dell’ala ambientalista della giunta Orsoni: «La sede appropriata per decidere il futuro di quell’area era il Pat, l’accordo sul Quadrante noi l’abbiamo sempre considerato una procedura irregolare. Sul fronte stadio abbiamo davanti ancora un paio di anni per ragionare in attesa che la squadra risalga la china delle classifiche». E dal centrodestra interviene Saverio Centenaro (Pdl): «il milione di metri cubi di edificazioni previsti consentivano di realizzare, con gli oneri di urbanizzazione la nuova sede del Casinò e lo stadio, che per noi resta prioritario. L’impianto non è a rischio, va ridimensionato ma il Quadrante ora è parte integrante del Pat». Anche dalla Confcooperative col presidente Angelo Grasso un monito: «Far partire gli investimenti a Tessera per superare la crisi».
A Roma più di sessanta palazzi storici trasformati in cartelloni pubblicitari. A Firenze almeno 37 edifici ammantati di poster. E Milano che di réclame formato cantiere ne conta qualcosa come 261. E poi Venezia, che ha solo 6 gioielli impacchettati per pubblicizzare Rolex, Coca Cola, Bulgari. Ma è la perla della Laguna ad aver svegliato lo sdegno internazionale.
Contro l’uso delle sponsorizzazioni invadenti sui ponteggi di restauro a palazzo Ducale e sul ponte dei Sospiri i direttori dei maggiori musei del mondo, capeggiati dall’archistar sir Norman Foster, hanno scritto al ministro dei Beni culturali Sandro Bondi e al sindaco Giorgio Orsoni. Chiedono che mai più su piazza San Marco e sul ponte dei Sospiri i turisti si trovino davanti i mega poster: réclame gigantesche che nascondo - fino alla fine dei lavori, nel settembre 2011 - gli archi e le grazie dell’architettura gotica. Ma la lettera degli esperti internazionali coinvolge tutto il sistema dei restauri in Italia. Si apre infatti con una richiesta precisa «al governo italiano»: «cambiare la legge che permette le enormi pubblicità sui ponteggi dei palazzi pubblici».
La lettera, firmata tra gli altri da Neil MacGregor del British Museum e da Glenn Lowry che guida il Moma di New York, è stata lanciata dalla rivista Art Newspaper. Bondi ha deciso di non rispondere. Replica la soprintendente veneziana Renata Covello: «Abbiamo soltanto 6 palazzi storici "impacchettati" di pubblicità: attualmente Firenze ne ha 37, Roma più di 67, Milano 261». Spiega l’architetto: «I soldi dei privati sono indispensabili per i restauri e poi ricordo cantieri-poster anche sul British di Londra o al Neue Museen di Berlino. Sappiatelo a Venezia è vietata la pubblicità per le strade ed è la città meglio conservata e tutelata al mondo».
Ancora più duro il sindaco Orsoni: «Questi illustri personaggi pensano forse che siamo dei selvaggi con l’anello al naso?». Palazzo Ducale è del demanio ma dal 1924 il Comune l’ha in gestione e, con i 7 milioni di euro di incasso l’anno dalla biglietteria, tieni in piedi tutti i musei civici. Per i restauri, deve quindi rivolgersi agli sponsor. Che pretendono però poster in bella evidenzia, previa autorizzazione statale del bozzetto pubblicitario. «Lo prevede la legge - incalza Orsoni - Vengano a Venezia i soloni di Londra e New York a vedere come stiamo restaurando i monumenti e amministrando bene la città».
Stato e Comune vanno a braccetto anche al Colosseo. E hanno lanciato una gara che entro il 30 ottobre ci dirà quanti sono i "mecenati" pronti a investire nei 10 progetti di restauro. Gli sponsor dovranno indicare la cifra che sono pronti a versare. Ma anche in che modo intendono farsi pubblicità. Sapendo però che mai potranno incartare le arcate del colosso con foto di ragazze ammiccanti. Ne va del decoro del simbolo di Roma. «Ma se solo l’altro ieri hanno montato un mega poster con la pubblicità di un’auto sui ponteggi di un palazzo privato che s’affaccia proprio sul Colosseo, e con tanto di illuminazione sparata che non serve certo alla sicurezza del cantiere» denuncia Massimiliano Tonelli del comitato "Cartellopoli", associazione che a Roma si batte contro i circa «130mila cartelloni abusivi piazzati lungo le strade, mentre il Campidoglio ne ammette appena un terzo».
Almeno le pubblicità sui restauri salvano i monumenti. Ma spesso non si tratta di lavori indispensabili. E scoppiano le polemiche. È successo nel 2008 per il restauro "griffato" di Castel dell’Ovo a Napoli e l’anno scorso per il maxi striscione réclame su Ponte Vecchio a Firenze. A Roma, solo quest’estate, dopo circa otto mesi di cantiere disabitato, sono stati tolti i poster che coprivano la facciata di palazzo Venezia. Un intervento da appena 160mila euro deciso per una caduta di polvere da un cornicione. A Venezia, almeno, palazzo Ducale è entrato in cura dopo che nel 2007 una pietra da 30 chili si era schiantata su piazza San Marco.
(ha collaborato Nicola Pellicani)
Nel dicembre 2008 eddyburg informava della prima denuncia illustrata del nuovo scempio veneziano: un'iniziativa dell'associazione "Venezia città anfibia"; qui potete scaricare anche il powerpoint. In visita a Venezia Carlo d'Inghilterracriticò anche lui l'andazzo mercantile dei reggitori di Venezia, nell'aprile del 2009; lo riportammo su eddyburg qui. Commentando poi su eddyburg un'altra denuncia scrivevamo: «Dicono: solo così si trovano i soldi per i restauri. Rispondiamo: l'inutile ponte di Calatrava costa tra i 10 e i 15 milioni di €, del Comune». Lo ripetiamo ancora.
Il governo smentisce se stesso. Il ministro Brunetta annuncia una nuova Legge Speciale per Venezia che per la prima volta non prevede finanziamenti. Viene disattesa in questo modo la delibera dell’ultimo Comitatone, convocato a Roma da Gianni Letta il 22 dicembre 2008.
Il testo approvato all’unanimità da ministri, sindaci e presidente della Regione così recitava al punto 2: «Si dà mandato alla presidenza del Consiglio di individuare forme e impegni atti a garantire il rifinanziamento della Legge Speciale a partire dalla Finanziaria 2010. Considerato che i finanziamenti della legge 244 dell’anno 2007 risultano fortemente insufficienti». Dunque, oltre stanziare i famosi 42 milioni di euro - che il Comune aspetta ormai da due anni e che ancora non risultano disponibili - il Comitatone si impegnava a garantire finanziamenti continui per la manutenzione della città, come richiesto allora dal Comune.
«Di tutto questo», denuncia Michele Nognato, all’epoca vicesindaco e assessore al Bilancio, oggi consigliere comunale e segretario provinciale in pectore del Pd, «non c’è traccia. Al ministro Brunetta dico che non basta mettersi gli occhiali del futuro e pensare al 2040. Bisogna prima guardare con quelli del presente: se non ci sono le risorse promesse si blocca la città, si bloccano le imprese che lavorano ai restauri, si blocca la vita di tutti i giorni. Ricordiamo che oggi di fronte a tanti grandi progetti l’attività di scavo rii è ferma, come i lavori di difesa dalle acque alte a Burano, Sant’Erasmo, San Pietro in Volta. Il governo non ci ha dato le risorse promesse. Non ha neanche firmato il decreto per i mutui e il patto di stabilità. O questa Legge è una legge federalista, che riscrive i poteri e ci dà risorse, oppure è meglio tenersi quella che abbiamo».
Numerose le reazioni alle proposte di nuova Legge Speciale, lanciate dal ministro Brunetta. Il testo, ha annunciato, sarà pronto entro il mese, la nuova legge approvata nel 2011. Dovrà contenere lo sviluppo di Venezia traguardato al 2040, consentire di avviare e finanziare operazioni come il porto in mare, la bonifica, la sublagunare, la manutenzione del Mose. E, dice Brunetta, «intercettare la ricchezza». Si pensa a nuovi ticket e a operazioni che coinvolgano i privati.
«Mi sembra un gioco di simulazione, un esercizio di presunzione retorica», commenta Gherardo Ortalli, rappresentante storico di Italia Nostra, «se non fosse che bisogna stare attenti, perché in questa città passano alla fine sempre i progetti che fanno più danni. Che significa intercettare ricchezza, continuare a svendere questa città? Una città controllata dalle grandi imprese, che perseguono legittimamente i loro affari, dove la politica sembra bloccata: non mi è piaciuto ad esempio vedere i due ex contendenti Brunetta e Orsoni che si abbracciano e sono d’accordo in tutto».
Un annuncio che invece viene accolto con interesse da molte categorie economiche, a cominciare da Industriali, Camera di commercio, imprese che vedono occasioni di sviluppo e nuovi affari. «Ma non bisogna dimenticare», dice Paolo Lanapoppi, a nome di Italia Nostra, «le priorità della città e la tutela della laguna».
Venezia muore di turismo. Muore lentamente e inesorabilmente dei 21 milioni di visitatori che ogni anno calano in laguna, consumano i masegni di Piazza San Marco, alitano in faccia ai mosaici della Basilica, comprano una maschera, mangiano un panino, buttano una lattina per terra e - grazie dello spettacolo - se ne vanno.
A puntare il dito, la penna e l’amarezza contro quella che una volta era la prima industria della città e ora è la sua rovina è Cathy Newman, giornalista del National Geographic e vincitrice della terza edizione del Premio giornalistico dell’Istituto veneto di Scienze Lettere e Arti consegnato ieri mattina a Palazzo Franchetti.
La Newman si è aggiudicata il riconoscimento per un articolo lucido e malinconico apparso sulla rivista nell’agosto dell’anno scorso che avrebbe dovuto - o dovrebbe - far impallidire gli amministratori. Di certo non fece piacere all’allora sindaco Massimo Cacciari perché la città ne uscì a pezzi a cominciare dal titolo del servizio, "Vanishing Venice", letteralmente "Venezia evanescente", tradotto "Venezia, l’assedio" e introdotto da una fotografia a doppia di pagina di Piazza San Marco che gronda turisti come un alveare.
Per scriverlo, la Newman passò diverso tempo in città, parlò con parecchie persone, osservò molto, ascoltò tutto e se ne tornò negli Stati Uniti un tantino sconcertata su come era stato possibile far scivolare la città più bella del mondo in un contenitore architettonicamente meraviglioso ma semivuoto di abitanti, di negozi, di artigiani, di anima e quindi di vita.
La giornalista arriva al nocciolo della questione alla terza riga. «Da secoli Venezia minaccia di sparire sotto le onde dell’acqua alta ma questo è probabilmente l’ultimo dei suoi problemi». Perché il primo dei suoi problemi, quello di cui tutti parlano e nessuno affronta, è l’invasione di turisti. «C’è chi dice che quelle di Venezia siano ferite auto inflitte, frutto della brama di spremere al turista fino all’ultimo yen, dollaro o euro che sia» scrive la Newman e ricorda due numeri: 60 mila gli abitanti, 21 milioni i turisti.
Anche ieri mattina a Palazzo Franchetti - presenti il presidente dell’Istituto Veneto Gianantonio Danieli, Gherardo Ortalli di Italia Nostra e il presidente della stampa estera in Italia Maarten Van Aalderen - la giornalista americana ha sottolineato la peculiarità di Venezia e dell’essere veneziani che «comprensibilmente, significa avere un complesso di superiorità». «Il veneziano è spesso cinico - ha detto la Newman - Un giorno chiesi a una nobildonna chi sarebbe stato l’ultimo veneziano se fossero rimasti solo i turisti e lei rispose che non lo sapeva ma che di sicuro si sarebbe fatto pagare bene».
Ad ascoltarla, in sala, meno veneziani di quanti meritasse l’evento e, tra i non molti, Franca Coin, l’ex assessore al Turismo Augusto Salvadori e Tiziano Scarpa, che ha ricevuto una menzione per l’articolo «Com’è pazza Venezia» uscito l’anno scorso sull’Espresso.
La Newman non fa sconti a nessuno elencando i negozi che hanno chiuso, stigmatizzando il business dei matrimoni (il triplo di quelli dei residenti), definendo il Carnevale «un delirio commerciale». «Nel frattempo i progetti per salvaguardare la città compaiono e scompaiono con la regolarità delle maree - scrive ancora - La posta in gioco però è altissima: il turismo a Venezia genera ogni anno entrate per un miliardo e mezzo di euro. Ma a volte svaniscono anche le città».
La vendita a EstCapital dell’area dell’ex Ospedale al Mare sotto la lente della Procura. A porla, un esposto annunciato dall’avvocato Mario D’Elia che mette in discussione il fatto che la società di Mossetto rogiterà e pagherà solo a progetto esecutivo approvato.
«Quello sottoscritto dal Comune e dal commissario al Palacinema Vincenzo Spaziante per la vendita dell’ex Ospedale al Mare con la società di Gianfranco Mossetto - spiega l’avvocato D’Elia - è in pratica un contratto-capestro, perché mette la parte pubblica nelle mani nell’acquirente, che non pagherà fino a quando il progetto esecutivo non sarà di sua piena soddisfazione. In gara c’era già un progetto preliminare che fissava chiaramente vincoli urbanistici e destinazioni d’uso future per l’acquirente, senza bisogno di concedere a EstCapital il potere assoluto di bloccare la vendita se l’esecutivo non sarà di suo pieno gradimento. Addirittura, come ha già dichiarato lo stesso Mossetto, su questa base EstCapital può sciogliere in qualsiasi momento l’accordo e pretendere da Comune e commissario caparra doppia rispetto ai 16 milioni di euro già versati. Ci sono a mio avviso gli estremi per la truffa, con un danno evidente per il Comune da un accordo di questo tipo, che lo mette alla mercé del compratore, se vuole incassare i soldi necessari al suo bilancio e alla costruzione del nuovo Palazzo del Cinema, che altrimenti si ferma.
C’è poi un altro aspetto dell’accordo con EstCapital su cui la Procura della Repubblica dovrebbe indagare, ed è quello che riguarda l’aumento di spazi e volumetrie concessi dal commissario dopo l’aggiudicazione della gara e EstCapital nell’ambito della Conferenza di Servizi sul Lido». La materia è delicata e riporta alla genesi della gara per l’ex Ospedale al Mare, preceduta da un’avviso di manifestazione di interesse lanciato da Spaziante verso i privati interessati a partecipare al bando per l’acquisto dell’area. Tra gli interessati, tra gli altri, gruppi immobiliari francesi e tedeschi che poi però deciso di non partecipare alla gara rispetto alle condizioni poste da commissario e Comune: 80 milioni di euro il prezzo base, per una superficie utile disponibile di circa 37 mila metri quadri e numerosi vincoli sull’area: da quelli di tutela della Soprintendenza su parecchi dei padiglioni dell’ex nosocomio, al vincolo a verde sportivo su buona parte del cosiddetto Parco della Favorita. A presentarsi, alla gara, appunto solo la EstCapital, che se l’era poi aggiudicata con un rilancio a 81 milioni. Successivamente, però, la Conferenza di Servizi con Spaziante avevano approvato la rimozione dei vincoli sui padiglioni e sull’area della Favorita (di cui riferiamo in dettaglio a parte), grazie ai poteri commissariali, e la superficie utile a vantaggio dei nuovi acquirenti è sensibilmente aumentata, ormai vicina agli 80 mila metri quadrati.
La domanda implicita e non banale da porsi quindi è: se anche altri potenziali acquirenti dell’area dell’ex Ospedale al Mare avessero potuto prevedere che determinati vincoli ambientali e storico-artistici sarebbero stati rimossi successivamente - consentendo la demolizione di diversi padiglioni e il “recupero” edilizio della Favorita - e che quindi la superficie utile sarebbe notevolmente cresciuta, avrebbero partecipato alla gara? E, in questo caso, Comune e commissario avrebbero potuto “spuntare” un prezzo superiore agli 81 milioni di euro ancora non incassati da EstCapital?
AREA “FAVORITA”
Tre torri al posto del parco ma si tratta sulle volumetrie
Il nodo della Favorita. La cosiddetta «Area 2» del progetto dell’area dell’ex Ospedale al Mare si stende per circa 19 mila metri quadrati e comprende verde pubblico e attrezzature sportive (campi da tennis e da calcio, strutture del Cral) comprese tra via Marco Polo e via dell’Ospizio Marino. La delibera già votata nel settembre del 2008 dal Consiglio comunale per il Parco della Favorita, all’interno dell’accordo di programma per la riqualificazione del Lido prevedeva per gli oltre 13 mila metri quadrati dell’area la destinazione a «verde sportivo» e un’altezza massima per due edifici da recuperare, tra i 10 e 12 metri. Ma la Favorita è entrata invece successivamente nella piena disponibilità edificatoria di EstCapital per ospitare tre torri e una trentina di ville, aumentando notevolmente le volumetrie iniziali. Dopo la mediazione del nuovo sindaco Giorgio Orsoni si è ottenuto in Conferenza di Servizi che venga recuperato a verde pubblico un 5 per cento in più delle superfici dell’area, abbassando l’indice di edificabilità. Lievemente ridotta anche l’altezza delle tre nuove “torri” del Parco della Favorita che dovrebbero essere due di 18 metri e mezzo e una di 16 e mezzo. Ma anche l’Enac, l’Ente per la sicurezza del volo - vista la vicinanza con l’aeroporto Nicelli - ha chiesto una limitazione delle altezze degli edifici. Lo stop al progetto della Favorita è una delle cause della mancata stipula del rogito tra Comune e EstCapital che chiede, nel caso, di recuperare altrove - con il via libera all’abbattimento del Monoblocco e la realizzazione di una darsena a San Nicolò - gli spazi che perderebbe con il riassetto. La Conferenza di Servizi prevista per fine mese dovrebbe chiarire la situazione.
Non indigna solo la svendita di un rilevante patrimonio pubblico, la trasformazione dell’urbanistica in un mero strumento finanziario, il tradimento di impegni assunti, il consapevole degrado del paesaggio, il disprezzo per i cittadini. Peggiora la valutazione politica e morale l’incapacità di applicare qualsiasi regola: quelle dell’agire pubblico sono calpestate, come se tutti quelli cui tocca la responsabilità di governare fossero diventati cloni di Berlusconi; quelle dell’agire privato vengono ignorate con allegra insipienza, aprendo il fianco a censure non solo morali.
Il guaio è che gli errori (chiama moli così) dei governanti (id.) li pagano i governati. Finchè hanno pazienza…
Rieccoli. Erano stati presentati il 29 dicembre come «progetti aggiuntivi» a quello dell’ospedale al Mare al commissario Vincenzo Spaziante. Una darsena davanti alla spiaggia di San Nicolò e il Monoblocco a uso turistico. Accantonati dopo le proteste. Adesso sono di nuovo sul tavolo, vero asso nella manica delle tre imprese che hanno acquistato l’ex Ospedale (Mantovani, Condotte, Est Capital). Unico modo, sembra, per evitare la bancarotta del Comune.
Nei giorni scorsi il rappresentante della cordata che ha acquistato l’ex Ospedale al Mare, l’ingegnere Piergiorgio Baita, ha fatto cortesemente sapere a Ca’ Farsetti che non ha intenzione di pagare le bonifiche per la «sorpresa» amianto trovata sotto i terreni dell’ospedale. «Si è scoperto che l’ospedale è più inquinato di Marghera», dice un addetto ai lavori. Costi della bonifica, circa 10 milioni che le imprese non intendono pagare. Se non pagano, il rogito slitta e si blocca tutto. Il Comune non può incassare i soldi per il Palazzo del Cinema e i 40 milioni di euro che ha già messo in bilancio. Dunque, si chiude per bancarotta e arriva il commissario. Una situazione drammatica. Chi ha venduto un terreno senza farci le analisi? Chi lo ha acquistato senza sincerarsi che fosse a posto? E, ancora: chi ha messo in piedi un progetto da centinaia di milioni di euro senza le garanzie appropriate? Materia di inchieste e approfondimenti futuri.
Intanto il tempo stringe, c’è da far quadrare un bilancio legato mani e piedi alla grande operazione immobiliare. Chi pagherà i 10 milioni della bonifica? Il Comune per ora non ha intenzione di far causa all’Asl, la Est Capital di Gianfranco Mossetto (alleata con Mantovani e Condotte) non ha intenzione di vedere sfumare l’affare. Ed ecco l’offerta, ancora non ufficiale, esaminata ieri sera durante un vertice a Ca’ Farsetti dal sindaco Giorgio Orsoni con i suoi tecnici. La situazione si sblocca, dicono in sostanza le imprese, se arriva il via libera ai due «progetti aggiuntivi». La grande darsena in mare, attaccata al molo sud del Lido, davanti alla spiaggia libera di San Nicolò. Occorre scavare e realizzare un porticciolo. Un grande business. Che andrebbe unito al «cambio d’uso» del Monoblocco. Il Comune aveva rassicurato i comitati che quell’edificio sarebbe rimasto a uso sanitario. Ma nel mezzo di nuova residenza, hotel, piscine un centro sanitario potrebbe stonare. Meglio spostarlo altrove e trasformare anche il Monoblocco in appartamenti per turisti. Secondo business.
Ma le proteste al Lido aumentano, anche sull’utilizzo della grande area verde della Favorita, anche questa venduta ai privati. Che si fa? Il sindaco Orsoni ha annunciato una decisione nei prossimi giorni. Ma la strada è quasi obbligata: via libera all’ennesima grande opera affidata a Mantovani, Condotte, Est Capital per «scongiurare» la bancarotta del Comune. Il cui peso politico è in calo, a vantaggio di quello delle grandi imprese.
Il Business
Mantovani pigliatutto
Imprese pigliatutto. Mantovani, Sacaim, Est Capital, Condotte. Tutti nelle loro mani i grandi progetti dell’area veneziana. La Mantovani al Mose, ma anche al tram, al passante, a Fusina, alla nuova piattaforma in mare voluta dal Porto. Sacaim al palazzo del Cinema e ai terminal. Est Capital, la finanziaria dell’ex assessore Mossetto sulle villette al Forte di Malamocco, Des Bains ed Excelsior, Ospedale al Mare. (a.v.)
La nuova Legge speciale dovrà garantire la realizzazione di nuove infrastrutture, a cominciare dal terminale portuale e dalla sublagunare. Reintrodurre gli sgravi fiscali bocciati dall’Europa e permettere la vendita delle valli da pesca demaniali ai concessionari.
C’è anche questo nelle 40 richieste dei «portatori di interessi» pubblicate ieri sul sito del ministro Renato Brunetta. Una raccolta di proposte che ora potrebbe diventare legge. Ma intanto è scoppiata la polemica. Italia Nostra, associazione per la tutela del territorio che ha da sempre espresso posizioni molto critiche sulla filosofia di questa nuova legislazione, si è vista escludere il suo contributo dall’elenco. «Un atto di scortesia e scorretteza istituzionale», commenta in una lettera inviata al ministro la presidente della sezione veneziana Lidia Fersuoch, «abbiamo presentato il contributo per tempo e non vorremmo pensare a un’esclusione dettata dai rilievi critici alla sua impostazione». La critica di Italia Nostra è che il nuovo impianto legislativo invece di tutelare il territorio potrebbe dare il via ad altre grandi opere, a cominciare proprio dalla contestata sublagunare. Non era questo lo spirito con cui erano nate le Leggi Speciali del 1973 e 1984, ancora in parte inattuate. Oggi il quadro è cambiato dice Brunetta, bisona pensare alla Venezia del futuro. Ecco allora l’elenco delle richieste. Gli industriali di Luigi Brugnaro, l’Autorità portuale di Paolo Costa, la Camera di commercio di Giuseppe Fedalto e la Save di Enrico Marchi puntano sulle infrastrutture. Sublagunare e terminal portuale che il ministro Matteoli è pronto a finanziare.La Curia (Antonio Meneguolo) chiede fondi per la manutenzione del suo patrimonio edilizio, chiese e campanili. Più prudenti i Comitati privati, che invitano a «riflettere bene sulla sublagunare e le sue conseguenze». Venice in Peril Fund (Anna Somer Cocks) ricorda che anche con il Mose il problema delle acque potrebbe non essere affatto risolto visto l’aumento del livello dei mari. «La manutenzione di una città sull’acqua», scrive, «è la priorità».
I gondolieri (Aldo Reato) chiedono tutela per la tradizione e il divieto del traffico pesante nei rii. Il presidente degli architetti Antonio Gatto (membro della Salvaguardia) chiede di valorizzare la commissione di cui fa parte. Gli albergatori (Ava) mettono in guardia dall’aumento del turismo e invitano a rottamare i vecchi hotel e a mettere un freno alla trasformazione della città. Dall’Ance (associazione costruttori) viene un invito a valorizzare le piccole imprese locali, dopo anni di monopolio del concessionario Consorzio Venezia Nuova. Ca’ Foscari punta sul clima e la ricerca per nuove energìe.
L’associazione dei notai (Carlo Bordieri di Jesolo) chiede che venga trasferita ai concessionari la proprietà delle valli da pesca. Battaglie degli ambientalisti di decenni spazzate via. «Con il Mose», insiste il rappresentante di Confagricoltura Franco Fantin, «l’apertura delle valli non serve più». Tra i contributi mancano quelli della Regione e del Comune («Ma con Orsoni siamo in piena sintonia», assicura Brunetta. La sintesi e la proposta saranno presentate in settembre. Di soldi però non si parla più. Assicurati i finanziamenti al Mose (5 miliardi il costo delle dighe, manutenzione esclusa), non c’è traccia dei 42 milioni di euro promessi tre anni fa dal governo al Comune per la manutenzione della città.
Mose, metropolitana, sviluppi urbani al Lido e Tessera: in città non mancano i progetti. Ma l’ecosistema è a rischio
La cristalleria è piena di elefanti. Per usare la metafora dell’urbanista Edoardo Salzano, veneziano d’adozione, la soave, fragilissima Venezia continua a fronteggiare impatti vari e assortiti, presenti e futuri. A cominciare dai 22 milioni circa di turisti annui che rappresentano ormai il pericolo numero uno per il suo delicato equilibrio, per proseguire con la perdita progressiva dei residenti (175 mila nel 1951, meno di 60 mila oggi) e, con essi, delle attività minute che fanno città, sostituite dall’orgia carnascialesca dei venditori di paccottiglia e souvenir. Pesano poi le grandi attività industriali, dai veleni di Porto Marghera, che ancora attendono una risposta progettuale, alla portualità turistica e commerciale, che fa transitare in laguna petroliere e navi da crociera sempre più grandi, acuendo i problemi del moto ondoso e della perdita dei fondali. Incombono i grandi progetti, Mose su tutti (nonostante abbia vinto la sua lunga guerra trova ancora fiera opposizione in città), ma anche gli sviluppi immobiliari al Lido e a Tessera, oggi in difficoltà, mentre la voglia di grandeur trasportistica fa pensare alla metropolitana sublagunare e all’alta velocità ferroviaria. E se Roma non avesse vinto il ballottaggio per la candidatura dei Giochi olimpici del 2020 – verso cui la città remava quasi all’unisono – oggi saremmo qui a ragionare su piscine olimpioniche e stadi per l’atletica leggera, così come un tempo si ragionava sulle infrastrutture necessarie per l’Expo 2000 che Gianni De Michelis e Carlo Bernini avrebbero voluto portare sotto il campanile di San Marco.
Cosa comporta tutto questo? Scrive lo storico Piero Bevilacqua nel suo bel saggio “Venezia e le acque” (Donzelli): “L’antico rapporto di simbiosi anfibia fra la città e la sua gente, alla base del miracolo di conservazione cui Venezia deve la sua sopravvivenza, si è dissolto […] a vantaggio di un insieme di relazioni occasionali, fuggevoli, superficiali. Al suo posto […] è subentrata un’anonima ‘folla cittadina’ che usa la città come un fondale teatrale, sontuoso ma estraneo ai suoi interessi materiali e alla sua fretta, e sostanzialmente vissuto con indifferenza”. Lo stesso legame culturale dei veneziani con l’elemento acqua, secondo Bevilacqua, è cambiato: “Gli innumerevoli canali e rii che intersecano vie, calli, edifici, campi […] sono ormai vissuti come un impaccio”. Da qui la voglia di velocità e sviluppo. Che certo vanno governati, come in qualunque altra città italiana, ma che qui richiedono “uno straordinario sforzo di impegno e di creatività del potere politico”.
Il punto è questo: chi comanda oggi a Venezia? Non il sindaco, dicono i maligni, in una città che è sotto tutela statale da quasi 40 anni. Sarà un caso, ma il Mose è passato con la benedizione di tutti i governi, a cominciare dagli esecutivi di centrosinistra (Amato e Prodi), sulla carta del medesimo colore delle varie giunte comunali Cacciari, molto ostili al sistema di dighe mobili. Qui poi è attivo sin dai primi del Novecento il Magistrato alle acque, longa manus del ministero delle Infrastrutture ed espressione prima della particolarità amministrativa di Venezia; qui sono molto influenti sia l’autorità aeroportuale, che a colpi di traffici (il Marco Polo è il terzo scalo passeggeri in Italia) sta influenzando gli sviluppi urbani di Tessera, sia l’autorità portuale, affidata a un personaggio del calibro di Paolo Costa, già rettore di Ca’ Foscari, sindaco e ministro dei Lavori pubblici; qui agiscono commissari per le più svariate incombenze, dal controllo del moto ondoso allo scavo dei canali, perfino la costruzione del Palazzo del cinema al Lido ha il suo. Anche la Regione svolge un ruolo attivo nella salvaguardia della Serenissima, affidatole dalle leggi speciali per Venezia, occupandosi del disinquinamento del bacino scolante lagunare. Per non dire del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la progettazione e la realizzazione del Mose, che gestisce una partita da 4,7 miliardi di euro (e chissà se basteranno) con forti ricadute territoriali.
In questa arlecchinata di poteri, com’è inevitabile, ciascuno rivendica competenze e spazi, spesso in conflitto con quelli degli altri. Morale: tutto si muove con una certa vischiosità e manca un’idea di sviluppo coerente e condivisa. Senza un’inversione di rotta Venezia rischia una radicalizzazione dei problemi, con la perdita dell’ecosistema lagunare, trasformato irrimediabilmente in un braccio di mare, il centro storico mutato in una Disneyland a uso e consumo di un turismo sempre più mordi e fuggi (i grandi hotel sono in crisi), il progressivo degrado delle strutture architettoniche, già oggi evidente in molte parti della città: alla fine di maggio La Nuova Venezia denunciava le crepe nei ponti dei Bareteri e del rio San Luca, mentre crollano le rive lungo rio del Malibran, conseguenza “di anni di traffico selvaggio e tagli alla legge speciale – per finanziare le grandi opere – e dunque alla manutenzione diffusa della città”. Vedremo se la nuova giunta comunale guidata da Giorgio Orsoni riuscirà a recuperare voce in capitolo. E a bloccare almeno in parte la deriva cui sembra destinata la Serenissima.
Questione di Principia
Al centro dell’attenzione, non fosse altro per il giro d’affari che muove, resta il Mose, che ormai drena per intero gli stanziamenti destinati alla salvaguardia di Venezia. “La legge speciale non è mai più stata finanziata”, si rammarica Giampietro Mayerle, che dirige l’ufficio salvaguardia presso il Magistrato alle acque, chiamato a seguire il lavoro del Consorzio ma anche esecutore di progetti in diretta amministrazione, soprattutto di difesa morfologica: quando c’era qualche spicciolo da spendere, appunto. Procedono invece le opere del Mose alle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, dove verranno posizionate le schiere di 79 paratoie mobili. Le dighe sono destinate ad alzarsi con una marea di 110 cm, cioè in media 3,6 volte all’anno, secondo uno studio dell’Istituzione centro maree di Venezia (periodo considerato 1966-2008): non spesso, dunque, ma la tendenza è in crescita – 53 eventi dal 1996 al 2005, più del doppio rispetto al decennio precedente – causa i fenomeni contemporanei di subsidenza (abbassamento del livello del suolo) ed eustatismo (innalzamento del mare), che hanno fatto perdere alla città 23 centimetri nell’ultimo secolo.
In particolare, al Lido è stato costruito un porto rifugio, “costituito da due bacini – spiegano al Consorzio Venezia Nuova – che consentiranno il ricovero e il transito, attraverso la conca di navigazione, delle piccole imbarcazioni e dei mezzi di soccorso quando le paratoie saranno alzate”. Qui, al centro della bocca, è stata realizzata anche una nuova isola, punto d’arrivo delle due schiere di paratoie previste. A Malamocco, oltre alle strutture di spalla alle dighe mobili, è stata ultimata la scogliera curvilinea (1.300 metri) “che ha la doppia funzione di smorzare la vivacità delle correnti di marea e creare un bacino di acque calme a protezione della conca di navigazione per le grandi navi dirette a Marghera”, mentre a lato della conca è stata allestita un’area provvisoria di cantiere, dov’è in corso la costruzione dei cassoni di alloggiamento delle paratoie: si tratta di veri e propri edifici, alti fino a 12 metri, larghi 60 e lunghi 40-50. A Chioggia, oltre alla scogliera di 500 metri, sono quasi ultimati i lavori che interessano il lato nord della bocca, dove si sta realizzando un altro porto-rifugio per i pescherecci. A Selvazzano (Pd), invece, è stata realizzata la pre-serie del gruppo cerniera-connettore, elementi di snodo fra cassoni e paratoie, su cui “sono in corso le prove finalizzate alla produzione industriale e al montaggio”. La costruzione delle cerniere sarà affidata con gara europea bandita dal Consorzio, una delle poche sfuggite alla concessione unica. C’è poi tutta la partita della manutenzione del Mose: l’Agenzia del demanio con un’altra concessione ha assegnato al Magistrato alle acque, che agisce attraverso il Consorzio, 125 mila metri quadrati di aree nella zona nord dell’Arsenale. I lavori, anche qui, sono quasi ultimati: alle Tese della Novissima, in particolare, andranno le attività di gestione (monitoraggi ambientali, raccolta dati sull’ecosistema, controllo operativo delle barriere), mentre la manutenzione vera e propria delle paratoie avverrà nei bacini di carenaggio. Allo scopo è in fabbricazione un natante speciale (jack up) in grado di installare e rimuovere le barriere, munito di quattro gambe telescopiche che si appoggiano sul fondo per effettuare l’intervento. L’intera operazione, sottolineano al Consorzio, sta occupando circa 3 mila addetti, con l’impiego nei cantieri di circa cento mezzi navali: dovrebbe essere ultimata nel 2014. I costi: 4,678 miliardi, con importi finora assegnati pari a 3,244 miliardi e avanzamento delle opere stimato al 63 per cento, “essendo stati impegnati per interventi ultimati o in corso 2,949 miliardi rispetto al fabbisogno totale”.
A valutare questi dati sembrerebbe che per gli oppositori del Mose la partita sia ormai persa. I cantieri avanzano e lo Stato li finanzia: anche nella manovra di rastrellamento di fondi non spesi operata dal ministero dell’Economia a fine maggio sono saltati fuori altri 400 milioni per il sistema di dighe mobili. Il Comune, poi, agita il ramoscello d’ulivo: sia le dichiarazioni del neo sindaco Orsoni che quelle dell’assessore all’Urbanistica, Ezio Micelli, sono improntate a realismo. “Sicuramente l’opera richiede un processo di accompagnamento da parte del Comune – ci ha detto Micelli – perché molti interventi hanno rilievo urbano significativo, soprattutto a nord, e su questi qualche riflessione, sul piano paesaggistico e urbanistico, va fatta. Ma non credo che ci siano ulteriori margini di manovra. Continuare a ostacolare il Mose dopo che governi di ogni colore hanno dato il via libera non avrebbe senso. Anche la città ha cambiato atteggiamento: prima si coglieva maggiore ostilità, adesso prevale la curiosità di vedere finita la grande opera e valutarne il funzionamento”.
Il punto è proprio questo: la tecnologia del Mose reggerà la prova in mare? Lasciamo pure alle spalle le ferite del passato. Dimentichiamo dunque le polemiche sull’affidamento dell’opera senza gara pubblica e con oneri concessori alti (12%); scordiamoci la bocciatura nel 1998 da parte della Commissione ministeriale di valutazione d’impatto ambientale, visto che il decreto fu poi annullato dal Tar Veneto su ricorso presentato dalla Regione e il governo, che pure poteva predisporre una nuova Via, mollò il colpo; non consideriamo – del resto, chi l’ha fatto? – le bacchettate della Corte dei Conti, che in un’ordinanza nel febbraio 2009 ha messo sulla graticola vari aspetti del Mose, fra cui i costi, “incrementati per una serie di cause come le continue rimodulazioni, l’introduzione di nuove opere, l’indeterminatezza progettuale”, e i collaudi, affidati “con scarsa trasparenza” a consulenti esterni; mettiamo da parte le numerose proposte alternative per risolvere il problema dell’acqua alta presentate dal Comune, fra cui il celeberrimo sistema di paratoie a gravità firmato da Vincenzo Di Tella, che funziona in maniera simile al Mose ma si aziona in modo opposto, sfruttando il senso e la forza idrodinamica della marea, con un bel risparmio di energia; sorvoliamo infine sul fatto che del Mose c’è solo un progetto definitivo, “però di grande dettaglio – spiegano al Consorzio – perché l’opera è talmente vasta che sarebbe stato impossibile presentare un unico esecutivo”, sicché si è deciso di procedere per stralci funzionali.
Resta comunque di attualità la querelle con la rinomata società di studi offshore Principia di Marsiglia, considerata una delle più attendibili del settore, che ha bocciato clamorosamente il Mose. Cos’è accaduto? Per capire, bisogna fare un passo indietro, alle riunioni presso la presidenza del Consiglio dei ministri del 2 e 8 novembre 2006, nelle quali il Comune aveva tentato l’ultimo vano assalto al sistema Mose, “sulla base di analisi e valutazioni che avevano, fra l’altro, evidenziato gli aspetti critici strutturali del progetto”, ricorda Armando Danella, che per anni ha diretto l’ufficio salvaguardia del Comune veneziano. “In quell’occasione – prosegue – alcuni cattedratici del settore marino off-shore ci avevano consigliato di non desistere, perché i metodi di calcolo evolvono molto rapidamente e sarebbe stato plausibile, nel giro di qualche tempo, effettuare valutazioni più approfondite sul progetto”.
Passano dunque un paio di anni e viene commissionato a Principia “un nuovo studio volto ad analizzare il comportamento dinamico della paratoia Mose”: sembra che sia stato proprio Danella a convincere Cacciari, ormai rassegnato alla sconfitta, ad affidare l’incarico. Principia, che ha sviluppato una modellistica all’avanguardia, dopo avere studiato il progetto definitivo del Mose esprime due valutazioni piuttosto pesanti: in certe condizioni di mare avverso (onde alte 2,2 metri e periodo di otto secondi), “già superate peraltro nel recente passato”, afferma Danella, le paratoie alzate oscillano con ampi angoli che fanno entrare acqua in laguna; e questa amplificazione non controllata dell’angolo di oscillazione “rende il Mose sistema dinamicamente instabile – continua Danella – il che comporta l’impossibilità di identificare un corretto e attendibile dimensionamento delle strutture, delle cerniere e dei connettori; né per questo si può utilizzare la sperimentazione in vasca su modelli in scala ridotta, dove gli effetti viscosi non sono rappresentati correttamente”. Detto un po’ brutalmente e in altri termini: le paratoie in certe condizioni di mare non tengono. E comunque è impossibile dimensionarle correttamente. La loro efficacia sarà testata direttamente in mare. Non il massimo, come garanzia, per un’opera da 5 miliardi di euro.
Lo studio viene consegnato a Massimo Cacciari, che stranamente tiene la pistola fumante chiusa nel cassetto per qualche mese. Poi, quasi obtorto collo, il 22 luglio del 2009 lo fa pubblicare sul sito del Comune: una tempistica che spinge il Consorzio a parlare di “uso strumentale dello studio” da parte della precedente giunta. Comincia anche un balletto di accuse senza ritorno. Il Magistrato alle acque, informato della vicenda, prima presenta alcune domande tecniche a Principia (o meglio, le fa inoltrare formalmente al Comune stesso) e, una volta ottenute, fa scendere in campo il suo Comitato tecnico, che presenta le sue controdeduzioni, chiamando in causa un’altra volta il pool internazionale di esperti di riferimento e negando la validità dello studio; Principia ribadisce seccamente le sue posizioni. Volano, fra le righe, accuse reciproche d’incompetenza: la sfida è pesante, ma molto sotto traccia. Per questo motivo Danella, che fa parte dell’associazione Ambiente Venezia, più un ampio pool di soggetti, da Italia Nostra al Wwf, dalla Lipu ai No Mose, vorrebbero lanciare un dibattito tecnico-scientifico a livello internazionale sul tema. Il problema è serio, affermano: Venezia non è forse patrimonio mondiale dell’Umanità? La partita non è perduta, sostengono, considerato che finora sono state realizzate solo le opere preparatorie del Mose, ma non il sistema di dighe mobili vero e proprio. Sognano il colpo di scena finale, la carta che spariglia il gioco. Il dossier Principia circolerà ancora e chissà cosa produrrà. “Il Mose non sarà fermato – è la chiosa tombale di Andreina Zitelli, docente di Analisi e valutazione ambientale dei progetti dell’Università Iuav di Venezia e membro della Commissione Via che bocciò il progettone – non fu bloccato vent’anni fa, quando era ancora possibile intervenire, figuriamoci oggi: non c’è più tempo, né l’intellettualità necessaria a sostenere ipotesi alternative, né fondi. Ma non funzionerà. Mi spiace solo che non ci sarò più nel momento in cui il suo fallimento sarà sotto gli occhi di tutti”.
Trasformazioni a rischio
“L’assoluta specificità di Venezia – afferma Edoardo Salzano – è costituita dal suo rapporto con la laguna, in particolare dal rapporto fra trasformazione e natura, in cui la città per secoli è stata maestra. Sotto questo aspetto, la città è sempre stata modernissima: l’attenzione all’ambiente che ha mostrato la Repubblica la rende un caso esemplare. Oggi si confrontano due linee opposte: la difesa di questa specificità e la tendenza all’omologazione, cui appartengono progetti edificatori a largo spettro, dalla realizzazione della sublagunare alla considerazione dell’acqua come rischio e non come risorsa. Ed è questa, purtroppo, la tendenza vincente”, nonostante un’antica regola della Serenissima, ripresa anche dalla seconda legge speciale (n. 798/84), prevedesse in laguna solo trasformazioni sperimentali, graduali e reversibili. “In questa città – spiega Cristiano Gasparetto, consigliere di Italia Nostra – le opere proposte vengono realizzate per parti: manca una visione strategica del futuro di Venezia. Chi vuole la sublagunare, per esempio, invoca la necessità di muoversi in centro con minore lentezza, che però qui è un valore”. Chi vuole la sublagunare (Tessera-Arsenale, con l’idea di portarla fino al Lido) è sicuramente Enrico Marchi, patron della Save, la società che gestisce l’aeroporto Marco Polo, considerandola uno strumento necessario al lancio in orbita dello scalo. Sicuramente l’avrebbe voluta anche la giunta Cacciari: come ricorda Carlo Giacomini, docente di Scienza dei trasporti allo Iuav, “la metropolitana è stata prevista dal pum, il piano urbano integrato per il sistema della mobilità. Dispiace che in quella sede non si siano volute valutare in maniera comparativa altre opzioni strategiche. La metropolitana – ma anche il tram a Venezia – è stata assunta come scelta scontata: come sempre, si è deciso di anticipare l’infrastruttura alla programmazione della mobilità”. Quanto alla sublagunare, progetto a canna unica destinato ad attirare una quota risibile della mobilità veneziana (8-9% secondo stime comunali), “non si comprende se sia più inutile o pericolosa”, chiosa Giacomini. La giunta Orsoni, sul tema, sembra freddina: i 600 milioni necessari a costruirla non ci sono, la cordata guidata dall’Actv (l’azienda comunale dei trasporti) è ferma al palo e la realizzazione, al di là dei problemi finanziari, presenta gravi incognite ambientali. La canna – ma bisognerebbe costruirne almeno due, per motivi di sicurezza – correrebbe a 27 metri di profondità e andrebbe a sfondare il caranto, sedimento di argille storiche su cui poggia Venezia, tagliando anche le falde acquifere. La sua compatibilità con l’ecosistema lagunare, semplicemente, non esiste.
Ben diverso è l’affaire Tessera city, sviluppo immobiliare attorno all’aeroporto voluto ancora da Cacciari, che nel gennaio 2009 in una notte da lunghi coltelli, in mezzo a mille polemiche, ha varato una delibera che ha trasformato in edificabili “i terreni agricoli di una delle aree a maggior rischio idraulico di tutto il Triveneto”, come sottolinea Stefano Boato, docente di Pianificazione e progettazione del territorio allo Iuav. Lì, come abbiamo visto, dovrebbero attestarsi metropolitana e alta velocità ferroviaria, progetti altamente improbabili; lì avrebbe dovuto essere realizzata buona parte delle infrastrutture dei Giochi del 2020, ormai sfumati; lì resta in vita il Quadrante, megaprogetto da 1-2 milioni di metri cubi (casinò, alberghi, stadio e centri sportivi, commerciali e direzionali), vera e propria nuova città (Tessera city, appunto). “È bastato un voto del consiglio comunale – continua Boato – e il valore delle aree si è moltiplicato per venti volte, con la plusvalenza messa immediatamente a bilancio dai proprietari, ovvero dalle società Save e Casinò municipale di Venezia. Evidentemente si preferisce costruire ex novo a Tessera anziché riusare i grandi spazi dismessi di Marghera, perché ancora da bonificare, o riqualificare le periferie di Mestre, dove insistono 4 mila appartamenti invenduti”. Di diverso avviso l’assessore Micelli: “Capisco le preoccupazioni legate al consumo di nuovo territorio, però Tessera è uno dei grandi poli del sistema metropolitano veneziano, non può non essere valorizzato con attrezzature collettive e messo a disposizione di un territorio più ampio. La mia sfida sarà coniugare sviluppo e una rinnovata attenzione per la dimensione socioambientale. Vedo però che inizia a diffondersi in città un’opposizione a qualunque tipo di sfida. Con valutazioni certo legittime, che però non condivido”.
Altro tema che ha mosso molti malumori in città è lo sviluppo in corso al Lido, isola già interessata dai lavori del Mose agli Alberoni e a Malamocco, nonostante sia caratterizzata da un ambiente speciale, “non a caso tutelato dal palav, il piano d’area della laguna di Venezia – afferma Fabio Cavolo, esperto ambientale e lidense doc – strumento operativo della legge speciale che vincola le aree a valenza storica, paesaggistica, ambientale e culturale”. La complessa vicenda è stata sintetizzata in un esposto presentato da un gruppo di associazioni – dalla Lipu a Codacons Veneto, da Venezia civiltà a Pax in Aqua – al procuratore capo della Repubblica di Venezia Vittorio Borraccetti. Al centro della querelle, una serie di questioni: fra l’altro, l’acquisto da parte del Comune dell’ex Ospedale al mare con fondi della legge speciale, impiegati poi per la realizzazione del nuovo Palazzo del cinema; l’avvio dei lavori senza completa copertura finanziaria; il ricorso a un commissario straordinario, Vincenzo Spaziante, per la costruzione del Palacinema, “derogando dalle leggi che tutelano il patrimonio ambientale e storico nell’area di edificazione”; l’abbattimento di una pineta storica e diverse alberature nel parco delle Quattro fontane, nonché “l’improprio utilizzo dello stesso quale area di cantiere”; la distruzione dei resti del forte ottocentesco del piazzale Casinò, situato sotto il Palacinema, e l’alienazione “per scopi diversi di quelli sanitari” di strutture ospedaliere “frutto di donazioni pubbliche e private”. Sotto accusa anche l’estensione dei poteri del commissario delegato ad altri progetti privati che vengono considerati connessi al Palacinema, dalla riqualificazione degli hotel Des Bains ed Excelsior alle villette-centro benessere del riconvertito forte asburgico di Malamocco. Secondo i ricorrenti, si tratta di interventi “che non rivestono carattere né di urgenza né di eccezionalità ed evitano tutte le autorizzazioni di rito, compresa quella della Commissione per la salvaguardia di Venezia”. L’allargamento dei poteri era stata determinata da un’ordinanza del presidente del Consiglio dei ministeri del 15 luglio 2009: ricorda qualcosa? Al Lido è in campo un operatore unico, la società Est Capital, presieduta dell’ex assessore alla Cultura della prima giunta Cacciari, Gianfranco Mossetto: ciò nonostante i lavori procedono a rilento, soprattutto la realizzazione del Palacinema, che avrebbe dovuto rientrare nel pacchetto di opere per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia: “Il progetto viene continuamente ridimensionato – afferma il segretario della Cgil veneziana Salvatore Lihard – in carenza di finanziamenti. Secondo gli investitori sono pronti, complessivamente, 800 milioni da spendere per il Lido, ma noi siamo molto scettici: qui le opportunità stanno svanendo, la crisi è fortissima e la desertificazione produttiva è alle porte”. Anche il Comune, come chiarisce Micelli, ha chiesto a Spaziante un ripensamento complessivo dei progetti per il Lido. L’assessore parla di “modalità di partecipazione democratica violentate” e della necessità “di riprendere in mano in blocco i progetti che hanno valenza urbanistica. Su questo c’è comune sentire con il sindaco Orsoni e anche gli investitori – nonché lo stesso commissario – stanno dimostrando ampia disponibilità a discutere”.
Anche la vicenda Lido ha visto in campo, per l’ennesima volta, un pool di associazioni, che rappresenta la vera novità del panorama politico veneziano. Si è costituito un coordinamento di 16 sigle che ha chiesto a Orsoni maggiore trasparenza sull’attività di governo, soprattutto nelle scelte di sviluppo del territorio: “Per costruire una vera partecipazione dei cittadini – sottolinea una delle animatrici del pool, Tiziana Plebani di Geografia di Genere – è necessario agire per un potenziamento degli spazi pubblici e della loro utilizzazione; il secondo passaggio per la costruzione di una vera relazione democratica fra cittadini e amministratori è l’ascolto. Esiste alla base della società civile una ricchezza infinita di saperi e di competenze che tengono conto della persona e dell’ambiente. Disinteressatamente, senza prebende o consulenze. Uno scambio fuori mercato “per tenere il mercato fuori dalla città”, considerata come “bene comune collettivamente gestito”. Ma per ora ciascuno procede per la sua strada.
Nell’esercizio delle prerogative a lui concesse da un decreto della Presidenza del consiglio del 14 maggio 2010, il ministro Brunetta si accinge a riscrivere la Legge Speciale per Venezia. Ciò significa decidere in che direzione vanno spostati i finanziamenti nazionali destinati alla salvaguardia e allo sviluppo anche economico e sociale della città. In una parola, tenere i cordoni della borsa, ossia decidere il destino di Venezia per i prossimi anni.
Il ministro ha fatto stilare dal suo ufficio un documento in cui disegna le grandi linee degli interventi da lui pianificati. Ha poi convocato trentaquattro realtà veneziane, ha consegnato loro il documento e ha concesso otto giorni di tempo per elaborare commenti ed eventuali altre proposte.
Nella sua risposta, allegata al presente comunicato, il Consiglio direttivo di Italia Nostra, sezione di Venezia, fa notare che le priorità indicate nel documento seguono una scala di valori antiquata e superata, che mette in primo piano l’economia (anzi, un certo tipo di economia, fondata su turismo, portualità e industria manifatturiera) senza neppure nominare la qualità della vita, che invece costituisce il punto dal quale parte e deve partire ogni pianificazione territoriale moderna e volta al futuro.
La revisione della Legge Speciale per Venezia dev’essere, a parere di Italia Nostra, l’occasione per rovesciare una scala di valori che ha portato al degrado della laguna e del territorio circostante. Partendo dall’idea di “un ambiente sano e non privato della straordinaria bellezza di cui la natura, l’arte e l’antica sapienza tecnica l’hanno dotato,” si può e deve disegnare il quadro di un’economia sana e anzi florida e stabile.
Pertanto Italia Nostra suggerisce di usare i fondi della legge speciale per voltare totalmente pagina anziché proseguire, come il ministro sembra suggerire, sulle strade in cui il secolo scorso ha incamminato la città. Occorre capacità di visione e vero entusiasmo innovatore. Noi crediamo che il turismo, se non controllato, può creare un’economia drogata ai danni della residenzialità, delle attività specializzate e della stessa vivibilità del territorio. Anche uno sviluppo del porto commerciale fino a dimensioni planetarie contrasta con la fragilità e la bellezza del territorio lagunare, costringendo tra l’altro a ulteriormente scavare i canali artificiali che già ora hanno provocato il degrado della laguna e la sua trasformazione in un braccio di mare. Infine, lo sviluppo di attività industriali manifatturiere di tipo arcaico non farebbe che inquinare inutilmente l’aria e l’acqua, dovendo poi soccombere alla concorrenza di Paesi emergenti
Italia Nostra propone dunque di usare i fondi disponibili per una bonifica reale e completa di Marghera e della gronda lagunare. Propone forti incentivi fiscali per attrarre in quell’ampio e in sé bellissimo territorio imprenditori e aziende dedite alle attività del futuro, come la medicina avanzata, la biologia molecolare, le nanotecnologie e la ricerca scientifica e tecnologica in generale.
Il quadro disegnato è quello di una città popolosa e attiva, aperta a un turismo qualificato e controllato nei numeri, con centri di attività principalmente sulla terraferma, raggiungibile dagli abitanti con mezzi acquei veloci, comodi e panoramici e sottratti all’invadenza turistica.
Italia Nostra spera vivamente che il governo nazionale non sprecherà quest’occasione, forse l’ultima per alcuni decenni, di ripensare il destino della città alla luce di quanto il mondo intero si aspetta.
Il Comitato direttivo di Italia Nostra, sezione Venezia, 9 luglio 2010