L’associazione architetti annuncia valanghe di richieste: «Non sono proibite? Le facciamo anche noi»
Una valanga di richieste per farsi autorizzare la «terrazza a vasca». Progetto da decenni vietato a Venezia e ora richiesto da Benetton per il Fontego dei Tedeschi. «La legge deve essere uguale per tutti», dice il presidente degli architetti veneziani Pietro Mariutti, «non si capisce come una norma applicata da tempo ai veneziani possa essere ignorata o aggirata perché lo chiede un grande gruppo industriale». Una protesta che si annuncia clamorosa, quella annunciata dagli architetti veneziani. Che domani si ritrovano in campo Manin per manifestare contro le «lungaggini della burocrazia comunale». E intanto promettono battaglia.
Nel mirino c’è il progetto dell’architetto olandese Rem Koolhaas. Archistar di fama mondiale, a cui Benetton ha commissionato il progetto di restauro e riuso del Fontego dei Tedeschi, palazzo storico ai piedi del Ponte di Rialto acquistato per 53 milioni di euro. «Un riuso che va nel senso indicato dalla tradizione», ha spiegato Koolhaas attraverso i cuoi collaboratori veneziani, «perché il Fontego non diventerà un albergo ma un moderno centro commerciale, com’era nel Cinquecento».
Quello che fa discutere è però lo stravolgimento degli interni, del cortile ma anche del sottotetto e della copertura che dovrebbe lasciare spazio, appunto, a una grande terrazza panoramica «a vasca». Modalità vietata dal regolamento edilizio, ma adesso sul punto di essere approvata. «Dovrà pronunciarsi la Soprintendenza», ha detto il sindaco Giorgio Orsoni. Gilberto Benetton, da parte sua, ha ribadito che «la terrazza è parte strategica del progetto». La rivolta corre sul web, ed è stata portata in pubblico con toni molto chiari dall’architetto Giorgio Gianighian. «Se il Comune approva quel progetto dovrà approvare anche decine di altre terrazze di quel tipo», ha detto l’altra sera all’Ateneo veneto, «anche se non sono firmate dall’archistar. Le norme devono essere uguali per tutti».
Questione intricata. Molti nel mondo degli architetti e della cultura veneziana invitano anche a «valutare il progetto nel merito», vista la peersonalità indiscutibile del grande architetto che lo ha firmato. «Non si possono imporre divieti a tappeto e poi derogarli solo perché a chiederlo è un architetto di grido», dice l’architetto Vincenzo Casali, «Koolhaas è un grande dell’architettura moderna, e il giudizio dovrebbe entrare nel merito, affidato alle commissioni edilizie. Se è vbello si fa, altrimenti no. Ma se continuiamo con i divieti ciechi tuteliamo gli architetti degli anni Cinquanta e la nostra generazione è destinata a non poter far nulla». Amerigo Restucci, rettore del’Iuav, non ha dubbi. «Autorizzare una terrazza del genere in un edificio storico sarebbe una pazzìa. Vuol dire rinunciare all’idea che a Venezia esiste una chiave stilistica e storica che tiene insieme il tutto». La terrazza «a vasca». Ma anche le scale mobili. Una invece di due, retrattile e sospesa, a colori. Elementi ultramoderni che fanno discutere. Il Comune ha firmato con Benetton una onvenzione in cui chiede sia mantenuto l’uso pubblico del cortile a piano terra e di alcuni spazi (biblioteca, cafeteria) al primo piano. Sarà garantito l’uso pubblico del cortile, da decenni sede delle Poste centrali. Adesso si discute del progetto. Lo studio Koolhaas lo presenterà all’Edilizia privata e alla Soprintendenza per il parere. «E’ positivo», aveva detto Benetton quando ministro era ancora Giancarlo Galan, «e interessa molto il ministero». Adesso l’ultima ipotesi dovrà essere valutata dagli uffici.
Niente limiti per ora al passaggio delle grandi navi da San Marco. Niente decreto del governo, che si riserva di emettere un provvedimento firmato dai due ministri (Passera delle Infrastrutture e Clini del’Ambiente) per autorizzare lo studio di fattibilità dei progetti alternativi proposti dal Porto: una nuova Marittima sui cantieri del Mose a Santa Maria del Mare, pronta nel 2017, e intanto lo scavo del canale Contorta Sant’Angelo, per collegare Fusina all’attuale Marittima. La prima versione del decreto era molto più «operativa». Prevedeva sotto la normativa di sicurezza per le «aree sensibili» del Mediterraneo una parte dedicata a Venezia. Divieto di passaggio in bacino San Marco delle navi al di sopra delle 30 mila tonnellate di stazza. Ma il ministro Passera si è opposto, e si è scelta la via del decreto interministeriale. In attesa dei nuovi progetti però la situazione rimarrà quella attuale. Intanto la proposta del presidente del Porto Paolo Costa ha incassato l’appoggio del governo. E anche quello, pur più prudente, del presidente della Regione Luca Zaia. «Può essere la quadratura del cerchio», dice, «adesso bisogna passare ai necessari approfondimenti tecnici di fattibilità». Soddisfatto anche il sindaco Giorgio Orsoni. «La proposta del Porto va bene, l’abbiamo scritta insieme. Io credo che le navi vdadano messe fuori dalla laguna, allontanate da San Marco».
Lo scavo del canale da Fusina alla Marittima costerà almeno 30 milioni di euro. Bisogna scavare un milione e mezzo di metri cubi di fanghi. «Ma con il commissario si può fare in sei mesi», dice Orsoni, «potrà essere pronto entro il 2013». Costa ha già indicato nella sua lettera inviata l’altro giorno ai ministri Passera e Clini e al sottosegretario Mario Ciaccia anche la strada. Estendere i poteri del commissario, il dirigente regionale Roberto Casarin per decidere in fretta dove scaricare i fanghi, che potrebbero servire per tombare il vicino canale Vittorio Emanuele. Quanto al progetto a lungo termine, Costa ricorda nella sua lettera che «dal 2014 il cantiere del Mose renderà libera una piattaforma di 450 metri per 250». Nei progetti sottoposti all’Europa doveva essere smantellata per riparare il danno ambientale. Ma in questo caso potrebbe ospitare la nuova stazione marittima per attraccare almeno cinque grandi navi, collegata con tunnel al Lido. Un grande progetto che non esclude ovviamente, sempre nei piani del Porto, l’off-shore per i mercantili e i petroli (un miliardo e mezzo di euro), per cui si attende il via libera del Cipe.
Tutti d’accordo? «Evidentemente per il governo la laguna non è un’area a rischio», commenta il Comitato «No Grandi Navi», «ma un contenitore per grandi opere. Lo scavo del nuovo canale avrà effetti idraulici pesanti, portando il canale dei Petroli e le acque alte nel cuore della città. Invitiamo i cittadini a vigilare». Soddisfatti invece i sindacati e gli operatori portuali. «Mi pare una soluzione equilibrata», commenta il segretario della Cgil veneziana Umberto Tronchin, «si allontaneranno le grandi navi da San Marco mantenendo però il lavoro alle 1600 persone che lavorano con le crociere». Si lavora adesso ai due progetti proposti dal Porto e a quanto pare condivisi anche dal governo e dagli enti locali.
Ma per il momento niente divieti. Le navi da crociera continueranno a passare per San Marco almeno fino alla fine del 2013, nonostante gli annunci in senso contrario dei giorni scorsi. Il fatto che le meganavi entrino nel cuore della città per arrivare alla Marittima – unico posto al mondo – non è stato secondo il governo paragonabile all’ormai famoso «inchino» che le navi fanno in mare aperto avvicinandosi alla costa. «L’inchino lo fanno le compagnie e il porto ai loro clienti, permettendo alle navi di passare a pochi metri da San Marco», ha detto Tommaso Cacciari alla trasmissione di Santoro Servizio pubblico, «in realtà questa è gente che non porta a ricchezza a Venezia. Se le navi ormeggiassero a Marghera non cambierebbe nulla». Venezia e le navi ancora in primo piano su tv e media. Oggi uno speciale su Ambiente Italia (Raitre) dalle ore 13.
Dopo la grande e catastrofica acqua alta del novembre 1966 si sviluppò un dibattito, intenso e ricco di analisi e d’idee, che si concluse con alcuni punti fermi. Tra questi, il danno che il cosiddetto “Canale dei petroli” aveva apportato all’equilibrio idrodinamico della Laguna, la necessità di ridurne dimensioni e portata, la necessità di salvaguardare l’unitarietà idraulica e naturalistica del bacino lagunare. Le decisioni furono tradotte in legge: anzi, in una “legge speciale” che, in quanto tale, dovrebbe prevalere su ogni altro provvedimento normativo. Purtroppo le leggi non agiscono che attraverso le azioni dei governanti a ciò chiamati (perciò il governo si chiama “potere esecutivo”). I governanti operarono per poco tempo. Poi cominciarono a distruggere ciò che le leggi stabilivano di conservare. Dopo l'alluvione delle acque di mare e di terra, arrivò quella del turismo. Questa volta applaudirono. Ma non vogliamo ripetere ancora cose che abbiamo scritto pochi giorni fa, postillando un articolo di Enrico Tantucci sulla stesso argomento.. Il punto è che, pontificando o brontolando continuano a distruggere Venezia. Solidali.
Superato il tetto di 2.000 voti nel sondaggio lanciato da La Nuova Venezia sul sito web sul passaggio delle Grandi navi in Bacino San Marco. La larga maggioranza è favorevole al l’allontanamento delle navi da crociera a Venezia. Tre le opzioni prospettate in risposta: «Sì, vanno bloccate perché così l'ambiente muore»; «No, devono passare perché la città vive di turismo». Oppure il classico «Non so». Oltre 2.000 persone hanno partecipato in un giorno al sondaggio, schierandosi a maggioranza schiacciante a favore dell’ambiente, nonostante il traffico passeggeri sia una voce importante della vita economica del porto. D’altra parte, da mesi è cresciuto prepotentemente sul web il malessere contro il passaggio dei colossi del mare, a sfilare davanti a piazza San Marco. Il sondaggio resta aperto sul sito de La Nuova Venezia. Il tema del transito dei giganteschi condomini del mare - come li ha chiamati il ministro Clini - a pochi metri dalla Piazza è anche in home page del settimanale Espresso, all’indirizzo espresso.
Ci vorrà almeno un anno di lavori - dal momento del via libera - e una spesa vicina ai 40 milioni allontanare le navi da crociera dal Bacino di San Marco, come ormai tutti chiedono dopo l’affondamento della «Concordia» di fronte all’isola del Giglio. Mentre infatti il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni ha incontrato ieri a Roma il ministro dell’Ambiente Corrado Clini - che gli ha prospettato la possibilità di un provvedimento governativo in questo senso, sulle basi delle leggi già esistenti - e il presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa ha confermato la precisa volontà di Porto e Comune di eliminare progressivamente i passaggi delle navi da crociera in Bacino San Marco, restano però i problemi tecnici ed economici dell’operazione, che potrebbe essere realizzata non dal Magistrato alle Acque, come si pensa, ma dal commissario governativo allo scavo dei fanghi dei canali portuali Roberto Casarin, che almeno sino alla fine dell’anno in corso, ha la competenza su questo tipo di opere.
L’ipotesi più accreditata è quella dell’ingresso delle navi da crociera in laguna dalla Bocca di porto di Malamocco, raggiungendo la Marittima attraverso il Canale dei Petroli. Per questo, adottando un “senso unico” - che potrebbe in teoria diventare anche un doppio senso - sarebbe però necessario scavare e allargare il canale Contorta-Sant’Angelo, tra il canale della Giudecca e Marghera, mentre è da vedere se utilizzare per l’arrivo in Marittima anche il canale Vittorio Emanuele, dove è presente un elettrodotto. «Si tratterebbe di asportare non meno di un milione e mezzo di metri cubi di fanghi, facendone prima una caratterizzazione per valutare la percentuale di inquinanti - spiega l’ingegner Casarin - e se quelli più tossici fossero anche solo il 10 per cento, la spesa toccherebbe una cifra vicina ai 40 milioni di euro. Per lo stoccaggio, poi, alle Trezze o altrove, ci vorrebbe tempo per la disitratazione dei fanghi, almeno un anno». «La questione delle grandi navi- ha ricordato ieri Orsoni - l’abbiamo affrontata da tempo con uno specifico protocollo con l’Autorità Portuale e con la quale ci siamo dati tre mesi di tempo per trovare le soluzioni che permettano di alleggerire il traffico davanti a San Marco».
Entro gli inizi di marzo, così, dovrebbero essere pronte le «indicazioni su come operare, sempre che prima non intervenga una decisione da parte del governo». Il sindaco indica anche una possibile strada: se anche per i canali marittimi potesse essere applicato il codice della strada allora per un primo cittadino si aprirebbe la possibilità di avere delle competenze. «In ogni caso - conclude, dopo l’incontro con il ministro Clini - se il Ministero dovesse fare dei provvedimenti che ci aiutino ben vengano», con indirizzi specifici rivolti alle autorità competenti per ridurre il traffico marittimo nel aree a rischio.
Per Paolo Costa - intervenuto anche ieri a un dibattito televisivo sul caso Concordia a La7 - l’allontanamento delle grandi navi dal Bacino di San Marco si farà, anche se non c’è alcun rischio che in laguna possa ripetersi un simile incidente. «Al massimo una nave da crociera rischia di incagliarsi sul fondale sabbioso, come è già successo nel 2004 - ha ricordato - e verrebbe rimossa dai rimorchiatori. L’importante è che tra pochi giorni, finita la copertura mediatica, non si dimentichi il problema.
In posizione di attesa il nuovo presidente del Magistrato alle Acque Ciriaco D’Alessio: «Comune e porto stanno dialogando sulla soluzione da scegliere per risolvere il problema del passaggio delle grandi navi di laguna e ci sono un ventaglio di possibilità. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, non appena sarà presa una decisione definitiva in merito». «Stiamo valutando la possibilità di adottare misure di limitazione - ha intanto dichiarato ieri il ministro Clini in Parlamento - per le rotte di queste navi in aree sensibili e a rischio. La legge 51 del 2011prevede che il ministro dell’Ambiente e quello dei Trasporti possano prendere in considerazione «limitazioni nelle aree a rischio.
In sostanza, per "salvare" la Venezia monumentale si propongono di distruggere la radice vitale della città: la sua Laguna. Infatti parlano di approfondire e allargare il "canale dei petroli", uno dei maggiori responsabili del disastro della Laguna che dal 1966 si decise di ridurre. E non ci si preoccupa del rischio che il disastro ecologico, allontanato da Piazza San marco, dovesse distruggere l'insieme della Laguna.
Ma non basta. Non si rendono conto che, al di là del rischio di un Costa Concordia bis, c'è la catastrofe quotidiana di un turismo "mordi e fuggi" che ha già profondamente trasformato la città, e che è oltretutto la concausa dei "Grattacieli (altro che "condomini", ministro Clini) del mare".
Una concluione, speriamo provvisoria: la fedeltà al Dio degli gli affari rende demente chi affarista non è.
Il verdetto del ministero dei Beni culturali mette sotto accusa la Soprintendenza: contestate modalità e durata dei contratti
Le maxipubblicità dell’area marciana sotto accusa come il caso-Colosseo. Ma se a Roma a muoversi è stata l’Autorità Antitrust mettendo in discussione durata dell’accordo e ritorno d’immagine della Tod’s di Diego Della Valle, che finanzierà l’intervento di restauro, a Venezia a muoversi è stato direttamente il Ministero dei Beni Culturali, con un’indagine interna affidata al direttore regionale dei Beni Culturali Ugo Soragni. E ora è arrivato il verdetto dell’indagine sui contratti delle maxipubblicità stipulati in questi anni dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici nell'area marciana, in cambio dei fondi necessari ai restauri delle facciate della Biblioteca di San Marco e delle Procuratìe Nuove. Contratti pluriennali che manterranno ancora per diversi anni le maxipubblicità nell'area monumentale. A stilare il giudizio, l’Ufficio Legislativo del Ministero dei Beni Culturali, molto critico su modalità, durata e meccanismi di finanziamento adottati con l’accordo dalla soprintendente Renata Codello, a cui è stato ufficialmente comunicato in questi giorni e che dovrà ora rispondere agli addebiti che possono avere conseguenze di carattere amministrativo, visto che i contratti di sponsorizzazione e le maxipubblicità nell’area marciana sono ancora in essere.
Cinque i punti che non vanno in questi contratti, che non rientrerebbero nel campo delle sponsorizzazioni vere e proprie, ma farebbero capo agli appalti stipulati per i vari interventi di restauro. Una prima conseguenza è che per aggiudicarli si sarebbe dovuti andare a una gara ad evidenza pubblica e non a trattativa privata come invece avvenuto con i contratti sottoscritti dalla Soprintendenza in esclusiva con la società inglese (con sede a Floriana di Malta) Remedia e con l'italiana Gerso, con un contratto di sette anni e un importo di 3 milioni e 600 mila euro per i restauri, in cambio di maxipubblicità sui ponteggi delle facciate dell'ex Palazzo Reale, Procuratie Nuove, Biblioteca Marciana, Zecca e sulle due facciate del Correr (Ala Napoleonica e Calle dell'Ascension).
Proprio la lunghezza dei contratti è un altro dei punti messo in discussione, perché una durata più breve - come accade normalmente - vincolata a tempi certi per il singolo intervento avrebbe consentito un maggior potere contrattuale da parte del committente e la possibilità di successive condizioni migliori in regime di concorrenza. Un esempio chiaro delle conseguenze di questa situazione sono i ponteggi da anni presenti sull’Ala Napoleonica con maxipubblicità, senza che la stessa soprintendente Codello - come ha dichiarato di recente in pubblico presentando la conclusione dei restauri della facciata sul Ponte della Canonica di Palazzo Ducale - possa dichiarare con certezza quando l’intervento sarà concluso.
Proprio per tutte queste problematiche e per l’ampiezza anche temporale dell’accordo raggiunto, la Soprintendenza avrebbe dovuto prima sottoporlo per accettazione al Ministero dei Beni Culturali e questo è un altro degli aspetti da chiarire. Il consigliere particolare del ministro Franco Miracco ha già dichiarato inoltre che l’accordo per le maxipubblicità nell’area marciana sarebbe in contrasto con lo stesso Codice dei Beni Culturali «che all'articolo 49 autorizza sì il soprintendente a ricorrere alle pubblicità sui monumenti, ma solo "quando non ne derivi danno all'aspetto, al decoro e alla pubblica fruizione" di essi e mi pare non ci sia dubbio sul fatto che ciò è invece quanto sta avvenendo a San Marco».
Vedi questo argomentol'articolo di eddyburg, con l'allegato powerpoint.
La convenzione stabilisce che il mancato via libera del progetto con terrazza comporti la restituzione dei 6 milioni. Tutti gli investimenti avviati in città dal gruppo di Ponzano Veneto
La ristrutturazione del Fontego dei Tedeschi, con l’inserimento all’interno di esso di un centro commerciale - probabilmente la Rinascente - è un altro “tassello” dello sbarco su Venezia del gruppo Benetton che prosegue già da diversi anni, con diverse iniziative in campo immobiliare, commerciale e della ristorazione.
Un’operazione - quella della ristrutturazione del Fontego acquistato da Poste Italiane qualche anno fa – che segue la grande operazione del Monaco e del Ridotto, con la ristrutturazione di tutto il complesso acquistato a suo tempo dal Comune, con l’imminente riuso degli spazi della ex libreria Mondadori, poi mandata via, che dovrebbero essere affidati a un nuovo negozio di Louis Vuitton.E, ancora prima, il gruppo Benetton si era impegnato nell’acquisizione dell'isola di San Clemente e delle aree del Tronchetto - poi venduti - e nel restyling della stazione di Santa Lucia, ancora in corso attraverso Grandi Stazioni, la società in cui Benetton è uno dei soci privati di maggioranza.
Se Benetton non riuscirà a realizzare con la sua ristrutturazione del Fontego dei Tedeschi la terrazza panoramica sul tetto e le scali mobili interne previste dal progetto dell’architetto olandese Rem Koolhaas, che tanto fanno discutere per il loro impatto, il Comune dovrà restituire a Edizione Property - la società immobiliare del gruppo di Ponzano titolare dell’immobile - i 6 milioni di euro di indennizzo ricevuti per il via libera al cambio di destinazione d’uso. Una condizione-capestro che chiama in causa anche la decisione che sulla ristrutturazione dell’edificio cinquecentesco dovrà prendere la Soprintendenza d’intesa con la Direzione regionale dei Beni Culturali.
E’ scritto con chiarezza al punto 9 della convenzione sottoscritta da Edizione e Comune. «Tutti gli impegni assunti da Edizione - si legge - si intendono risolutivamente condizionati alla circostanza che, per qualsiasi motivo indipendente dalla volontà di Edizione, non sia possibile conseguire l’obiettivo della riqualificazione e rifunzionalizzazione del Fondaco nei termini indicati nelle premesse, in sostanziale conformità al progetto elaborato dall’architetto Rem Koolhaas, entro il termine massimo di 48 mesi dalla sottoscrizione di questa convenzione, o comunque che non sia stato possibile ottenere tutti i provvedimenti amministrativi necessari entro 12 mesi dalla data di sottoscrizione di questa convenzione. Al verificarsi di una delle due ipotesi Edizione avrà diritto di ottenere, a sua semplice richiesta scritta, la restituzione dell’intero importo del contributo previsto a titolo di beneficio pubblico da parte del Comune di Venezia, oltre agli interessi al tasso legale».
Il rischio che ciò accada è concreto, perché non è affatto scontato che da Soprintendenza e Direzionale Regionale dei Beni Culturali arrivi il via libera alla terrazza panoramica di Koolhaas realizzata con la demolizione del tetto attuale. «Data anche la particolare delicatezza dell’intervento sul Fontego dei Tedeschi - dichiara infatti il direttore regionale Ugo Soragni - mi aspetto di concordare con la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia il parere sull’intervento, e non ho dubbi che così avverrà». La Direzione regionale ha ora anche l’ultima parola sulle demolizioni in edifici vincolati nell’area veneziana e il precedente al no alla trasformazione d’uso di Ca’ Corner della Regina, induce alla prudenza sul giudizio finale. E il no alla terrazza costerebbe caro al Comune.
Ca' Corner della Regina passa a Prada: per il bilancio del Comune di Venezia una boccata d'ossigeno che vale 40 milioni. La delibera sulla Variante urbanistica è stata approvata ieri sera dal Consiglio comunale, dopo una discreta polemica innescata dalle opposizioni e 800 emendamenti, tutti respinti.
Affare da 40 milioni ma Prada avrà l'appartamento Soragni rimuove il vincolo della soprintendenza salvo al fotofinish il bilancio dell'amministrazione comunale di Alberto Vitucci Ca' Corner della Regina passa a Prada. Sarà un museo e sede di mostre d'arte, con la possibilità di realizzare un appartamento all'ultimo piano e nel sottotetto per i nuovi acquirenti. Al Comune arriveranno, oggi stesso, 40 milioni di euro per l'acquisto del prestigioso edificio sul Canal Grande, già sede dell'Asac, l'Archivio storico della Biennale. La delibera sulla Variante urbanistica è stata approvata ieri sera dal Consiglio comunale, dopo una discreta polemica innescata dalle opposizioni e 800 emendamenti, tutti respinti. 25 i voti a favore (la maggioranza con Pd, Italia dei Valori, Psi, In Comune, Rifondazione), otto i contrari (Lega e Pdl), due i non votanti (Nicola Funari e Renzo Scarpa del Gruppo Misto). Dodici gli assenti, tra cui il capogruppo del Pdl Michele Zuin, che in aula solo pochi minuti prima aveva tuonato contro il sindaco Giorgio Orsoni. «Vergogna», aveva urlato con toni polemici, «noi dovrenmmo votare questa delibera e lei non ci mostra nemmeno il parere della Soprintendenza?». Giallo risolto al fotofinish quello che riguardava il vincolo sullo storico immobile. Il direttore regionale Ugo Soragni ha in parte annullato il vincolo posto dagli uffici della Soprintendenza. Sostituendolo all'ultimo minuto con una serie di prescrizioni. Riguardano il diniego a realizzare appartamanti se non a uso del proprietario. Il vincolo di sei anni agli spazi del sottotetto per mantenerli a uso espositivo. E la possibilità per il pubblico di visitare gli spazi restaurati fino a un massimo di 80 giorni l'anno con un calendario preciso per l'apertura al pubblico, come succede per le dimore storiche restaurate e rese visitabili dal Fai. Proprio sulla misteriosa lettera inviata da Soragni in aula è scoppiata una rissa verbale tra Zuin e il sindaco. Alla fine Orsoni ha acconsentito a illustrare ai capigruppo i contenuti della lettera. E la delibera proposta dall'assessore all'Urbanistica Ezio Micelli è stata votata.
Un altro palazzo sul Canal Grande passa così in mani private. Anche se resta per la gran parte destinato a usi culturali ed espositivi. La forzatura per la vendita è arrivata nelle ultime settimane. «Sono soldi essenziali per il nostro bilancio», ha detto il sindaco senza mezzi termini. Così un altro gioiello è stato messo in vendita. In pochi giorni il Comune ha incassato circa 60 milioni di euro. I 16 del secondo acconto per l'Ospedale al Mare, 6 per la concessione della Variante al Fontego dei Tedeschi acquistato da Benetton. 40 infine per la vendita a Prada di Ca' Corner. Proteste dalle opposizioni per la «svendita» della città e del suo patrimonio. Ma il bilancio del Comune anche per il 2011 è salvo. Fino a quando si potrà rimediare vendendo i gioielli di famiglia?
«La Provincia ammetta i suoi errori o si prepari ad una denuncia alla Procura della Repubblica». Come promesso non è esente da strascichi il “pasticcio” sul Piano di Assetto Territoriale che ha mandato in escandescenza le quaranta associazioni che si stanno battendo contro la “cementificazione” prevista dal Pat e dal Quadrante di Tessera. Nei giorni scorsi la Giunta ha approvato una modifica che stralcia le prescrizioni relative al rischio idraulico contenute nella relazione tecnica che a novembre ha dato via libera allo strumento urbanistico. Prescrizioni che, di fatto, bloccavano il Quadrante di Tessera.
In quelle righe, importantissime per i comitati capitanati da Michele Boato, si diceva: «A Est della bretella di collegamento autostradale venga interdetta ogni nuova edificazione o urbanizzazione» e ancora «venga posta una norma di salvaguardia temporanea in base alla quale si stabilisca che tali aree non possono essere assoggettate ad interventi di nuova urbanizzazione del suolo». Poi la modifica che resetta tutto e parla di “errore materiale”. Ieri Michele Boato, assieme ad altri rappresentanti delle associazioni, ha convocato una conferenza stampa nella quale va all’attacco.
Le associazioni hanno avanzato una richiesta di «annullamento in autotutela» che sarà depositata in Provincia e che sta girando in queste ore tra consiglieri provinciali e comitati. «Un avvertimento alla presidente Zaccariotto – spiega Boato – prima della denuncia in Procura, visto che in quel documento votato il 14 dicembre ci sono diversi falsi, anzitutto non si tratta di “errore materiale”». I comitati contestano la procedura, sostenuti anche dai grillini, che in merito hanno presentato un’interrogazione urgente all’assessore all’Urbanistica Ezio Micelli e al sindaco chiedendo spiegazioni.
Troppe le cose che non coincidono, secondo Boato, in quelle frasi che stralciano la precedente deliberazione. «La delibera del 14 dicembre – spiega Davide Scano – non dev’essere stata accolta con grande entusiasmo visto che tre assessori e la presidente della Provincia erano assenti e un assessore ha votato contro, proprio Paolo Dalla Vecchia, l’assessore all’Ambiente, cosa che non accade spesso». Le associazioni ambientaliste pongono anche domande di carattere politico: «Chiediamo alla Lega – attacca Boato – di domandare le dimissioni della presidente Zaccariotto innazitutto, in secondo luogo vorremmo sapere perché il sindaco Orsoni, contrario a Veneto City, è a favore di Tessera City».
Boato annuncia battaglia legale e con lui le numerose associazioni che hanno sfilato sia a Venezia che a Tessera, ma anche una consistente parte politica che si sta mettendo in moto se non altro per ottenere spiegazioni chiare su quanto avvenuto con le prescrizioni prima apparse e poi stralciate. A gennaio ci sarà una serie di appuntamenti tra cui un convegno a Mestre per presentare il Pat “pensato” delle associazioni ambientaliste e una nuova manifestazione a Venezia. Marta Artico
Fontego dei Tedeschi, si tratta ad oltranza, per chiudere l’intesa entro fine anno. Anche ieri, oltre tre ore di confronto tra il Comune (schierato con il vicedirettore generale Bassetto e gli assessori Maggioni, Micelli, Filippini) e legali e tecnici della famiglia Benetton: c’è intesa di massima, ma ora si tratta di mettere nero su bianco la convenzione, gli spazi che resteranno ad uso pubblico nella piena disponibilità del Comune e il corrispettivo in milioni di euro per il cambio di destinazione d’uso da uffici pubblici a commercio. Naturalmente è il quantum oggetto del discutere, ma non solo: il Comune deve anche garantirsi la disponibilità «reale e garantita, nei secoli a venire degli spazi pubblici», come la spiega il vicedirettore generale Bassetto, «perché non si tratta di una semplice servitù, ma di un libero utilizzo di spazi liberi dalle attività commerciali da parte del Comune». In maniera informale - ufficialmente nessuno parla di soldi - il Comune ha valutato l’intera trattativa 10 milioni di euro e non intende andare sotto i 6 cash insieme al mantenimento ad uso pubblico di tutti gli spazi non commerciali. Soluzione di massima sulla quale, alla fine, anche Edizione Property pare convergere. «Di soldi non abbiamo parlato nel dettaglio», commenta l’assessore ai Lavori pubblici Alessandro Maggioni, «ma la proprietà sa che il Comune chiede che tutti gli spazi non a uso commerciale - cortile, corridoi, bagni e quant’altro - restino a standard pubblico». Niente più muro-contro-muro, toni costruttivi. «Abbiamo avuto tre ore di lavoro fitto sulla bozza di convenzione e questo fa piacere perché dimostra l’interesse di entrambe le parti a chiudere l’intesa», commenta la dottoressa Valentina Zanatta, portavoce di Edizioni Property, che però non si sbilancia sul merito dei punti ancora irrisolti, «sull’uso pubblico degli spazi non commerciali non c’è nessun problema. Restano da definire un paio di punti e non si tratta solo del valore economico del cambio di standard. Ma vogliamo tutti chiudere l’intesa entro fine anno. Noi siamo già pronti con tutti i lavori di consolidamento e restauro che non comportano cambi d’uso, come quelli sulle facciate già cantierabili: ma, l’azienda ha deciso di non fare ulteriori investimenti sul palazzo prima di avere firmato la convenzione». A Ca’ Farsetti sono giorni frenetici per Patrimonio e Bilancio. In attesa della conclusione temporale della procedura di evidenza pubblica per Ca’ Corner della Regina, si è già organizzata la vendita certa (in assenza di rilanci) al gruppo Prada, che ha fatto un’offerta irrevocabile per 40 milioni. Già in calendario il 29 dicembre il Consiglio comunale per le varianti urbanistiche definitive e il 30 appuntamento fissato dal notaio.
Prosegue senza sosta la vasta operazione di colonizzazione degli spazi della città ad opera dei saccheggiatori/benefattori dei beni comuni e dei patrimoni pubblici. Già se ne era parlato sulla stampa locale, e già nel l fortunato libriccino di Paola Somma, Benettown, settimo della collana Occhi aperti su Venezia dell’editore Corte del fòntego se ne erano comprese le vicende e la sottesa strategia. Al lettore non veneziano potrà essere utile sapere alcune cose sull’oggetto dell’operazione. Il Fontego dei Tedeschi era, dagli inizi del XII secolo l’antico quartier generale dei mercanti tedeschi: depositi e magazzino, residenza, uffici e servizi riempivano gi spazi del grande edificio a corte, sul Canal Grande a Rivo Alto, dov’era l’antico porto della Repubblica Serenissima, accanto al famoso Ponte. Da alcuni decenni il Fontego era l’edificio centrale delle Poste: un grade e frequentatissimo spazio pubblico, in uno dei centri nevralgici della città. Dal 2008 se ne era impadronito la multinazionale di Treviso, per 58 milioni di euro.
Diventerà un grande centro commerciale (“megastore”). Anche per questo edificio, come per gli altri che ne hanno preceduto e che ne seguiranno il trasferimento dal pubblico al privato, il comune provvederà alle necessarie varianti urbanistiche. Certo, afferma uno degli assessori “competenti”, «il Comune chiede che tutti gli spazi non a uso commerciale - cortile, corridoi, bagni e quant’altro - restino a standard pubblico»; anche i clienti dei negozi di Benetton e soci fanno pipì.
L'ipotesi di estromettere le grandi navi da crociera dal Bacino di San Marco trasferendo gli approdi dalla Marittima alla Prima zona industriale di Marghera, lanciata dal sindaco Giorgio Orsoni e dal consigliere comunale ambientalista Beppe Caccia (lista “In Comune”), è altrettanto miope e autolesionista che continuare a lasciarle transitare nel cuore della città. Equivale a nascondere la polvere sotto il tappeto e a tenere pulito solo il salotto buono lasciando al degrado tutto il resto della casa. La laguna e Venezia sono un tutt'uno, la seconda non vive senza la prima, e i condomini galleggianti vanno fatti ormeggiare fuori, in mare aperto, come aveva proposto nel 2004 l'allora sottosegretario ai Trasporti del governo Prodi, Cesare De Piccoli, e come già oggi l'Autorità Portuale sta progettando di fare per il traffico petroli e per quello commerciale con una banchina off shore al largo di Malamocco.
Il dissesto della laguna, infatti, è iniziato a fine Ottocento per adattarla alla “moderna” portualità con l'ampliamento e l'approfondimento delle bocche portuali ed è continuato di scelta deleteria in scelta deleteria fino ad oggi col contorno che ben conosciamo di acque alte e di perdita di sedimenti. Oggi la laguna è un braccio di mare e continuare a portare al suo interno le grandi navi significa perseverare in un disegno i cui frutti nefasti dovrebbero ormai essere ben chiari a tutti e soprattutto a chi ci governa. Significa rinunciare ad ogni possibile futura chiusura del Canale dei Petroli, la cui presenza ha trasformato la laguna centrale in un tavoliere profondo un metro e mezzo cancellando chilometri quadrati di velme e di barene e una rete secolare di canali e di ghebi che attenuavano l'onda di marea.
E' proprio il transito delle navi nel Canale dei Petroli a provocare la maggior perdita di sedimenti in mare, messi in sospensione dalle onde, e ora si propone non di ridurre i traffici ma di aumentarli coi traghetti destinati a Fusina al terminal delle Autostrade del Mare (almeno 800 passaggi all'anno)? Con le navi da crociera (almeno 1400 passaggi all'anno)? Con la Marittima 2 già progettata dal Porto in Cassa di Colmata A per i mastodonti di nuova generazione da 350 e più metri? Vogliamo davvero arrivare alla profondita media della laguna di due metri e cinquanta profetizzata con questo trend per il 2050 dal professor Luigi D'Alpaos? O vogliamo dividere in due la laguna arginando il Canale dei Petroli, perché questa sarà l'altra alternativa?
Mi domando e domando: perché barattare un male (il passaggio delle navi a San Marco) con un altro male che non si sa se minore o maggiore (il mandarle a Marghera), quando c'è l'alternativa di tenerle fuori in mare? Il Principato di Monaco ha costruito in un anno nel 2002 davanti al Porto Hercule una diga semigalleggiante di 352 metri di lunghezza per 160 mila tonnellate di peso alla quale si ormeggiano proprio le grandi navi da crociera. Si è potuto fare a Montecarlo e a Venezia no?
Oltretutto gli scenari più ottimistici di crescita del livello del mare nei prossimi 100 anni parlano di cifre tra i 50 e gli 80 centimetri ma le proiezioni dei rilievi reali, satellitari, portano la previsione a un metro e più, e dunque prima o poi la laguna dovrà venire fisicamente separata dal mare, estromettendo qualsiasi funzione portuale. Perché, dunque, non pensarci fin da oggi, invece di gettare via inutilmente risorse preziose danneggiando per soprammercato l'ambiente?
Postilla
Silvio Testa è un valoroso giornalista veneziano (ha lavorato molti anni al Gazzettino , sempre con grande attenzione ai problemi della Laguna). La sua critica “storica” alle grandi navi in Laguna (ha oubblicato di recente un libriccino della fortunata collana “Occhi aperti su Venezia”. di Marina Zanazzo, Corte del fòntego) lo conduce, giustamente, a criticare anche la soluzione proposta oggi dal sindaco Orsoni e a rilanciare l’antica idea di un avamporto in Adriatico. Ma le Grandi Navi in Laguna sono solo la manifestazione plateale di un errore più profondo. L’incompatibilità tra i Grattacieli naviganti e Venezia è il simbolo dell’incompatibilità tra i Grandi Numeri del turismo di massa e la città Serenissima. Finché non si avrà il coraggio di progettare e applicare quello che Gigi Scano definiva “razionamento programmato dell’offerta turistica” la città meravigliosa (ancora un po’) non sarà salva. Il degrado che prosegue finirà di distruggerla.
Spesso le grandi manifestazioni sportive o culturali fungono da vetrine per proteste più o meno irrelate, o pretestuose.
La Mostra del Cinema di quest’anno, invece, è percorsa da un’agitazione più profonda, che serpeggia tra i pacifici presidi del Lido e gli animati dibattiti pubblici in città, e che culminerà domenica 11 alle 11 — a Leone assegnato — con la proiezione in Sala Volpi di un video dal titolo Ricordi... il ritorno di Lisa (interverrà l’attrice Ottavia Piccolo).
Non si tratta di una battaglia in nome di principi astratti: nutriti gruppi di cittadini veneziani sentono l'esigenza di denunciare l’imminente scempio del Lido, lo snaturamento dell'isola di Mann in pro dei palazzinari e del turismo internazionale d'altissimo bordo. Alcuni disastri sono già sotto gli occhi dei festivalieri: il taglio della storica pineta dove passeggiavano i divi, l'avviata trasformazione del Forte Malamocco (pur vincolato dalla Soprintendenza) in un villaggio turistico, lo scavo — nei pressi dell'attuale Palazzo del Cinema — di un fosso destinato alle fondamenta di un nuovo Palacinema progettato nel 2004 e destinato a non sorgere mai. Altri interventi sono stati ratificati dalla giunta Orsoni il 23 luglio scorso, e prevedono l’abbattimento dell'Ospedale a mare (che doveva conservare alcuni padiglioni essenziali per i cittadini, e diventerà invece un centro commerciale e di appartamenti turistici) e la creazione di una gigantesca darsena artificiale per gli yacht là dove oggi sorge la spiaggia libera di San Nicoletto. Tutte opere "parassitarie", cresciute attorno all'originario progetto del nuovo Palazzo del Cinema, grazie alla salvifica definizione di quest'ultimo come "grande evento", e alla sua gestione commissariale: stiamo parlando di molte decine di milioni di euro.
La storia incredibile di questa rovina ambientale, perpetrata in nome della "valorizzazione" e del "rilancio turistico-culturale", e condita di aspetti a dir poco sconcertanti (i rifiuti tossici scoperti a posteriori nell'area dell'ospedale; l'amianto scoperto a posteriori nel fosso suddetto, che è costato finora 37 milioni), è stata raccontata da Edoardo Salzano in un aureo libretto, e può essere ripercorsa da ciascuno tramite le sintesi aggiornate sui siti internet di "Italia Nostra Venezia", e dell'associazione "Un altro lido".
Esistono dei responsabili precisi: anzitutto la giunta dell'infallibile filosofo Massimo Cacciari, che pensando di combinare un grosso affare immobiliare ha cacciato il Comune in un gioco dal quale il suo successore Orsoni non ha saputo uscire se non con la resa incondizionata; poi Giancarlo Galan, che dopo aver inaugurato solennemente il fosso nel 2008 da governatore (insieme a Cacciari e Bondi), pochi mesi fa, ormai promosso a ministro dei beni culturali, lo ha metaforicamente richiuso, garantendo che il nuovo Palacinema non si farà (per questo, l’impresa costruttrice potrebbe chiedere risarcimenti milionari); poi il governo Prodi, che nel 2007 ha istituito la figura di un commissario, concretamente nominato però dal Berlusconi IV nella persona di Vincenzo Spaziante, intimo collaboratore di Bertolaso e dei più tristemente noti De Santis e Della Giovampaola, quelli delle escort al Gritti; infine, ovviamente, gli attori principali, ovvero il commissario stesso (che doveva realizzare un Palazzo entro il 2011 e invece per ora ha soltanto sdoganato cemento e darsene), e il Fondo di investimento che ha acquistato le aree, il "RealVenice" della società EstCapital, gestita dall'ex assessore della giunta Cacciari Gianfranco Mossetto, e variamente legata alle imprese che godono dei finanziamenti (630 milioni di euro!) per il progetto Mose.
Chi sospetti nel mio dire un preconcetto misoneismo è invitato a considerare il contesto di Venezia, mai come oggi assediata da progetti pazzeschi: decine di ettari di costruzioni nuove di zecca (e perfettamente inutili) nel Quadrante di Tessera; una metropolitana che corre sotto la laguna; la Tav che passa nel delicatissimo terreno della gronda lagunare; la moltiplicazione delle banchine per le enormi navi da crociera che già oggi più volte al giorno s'incuneano tra San Giorgio e Palazzo Ducale; un luccicante megastore di Benetton nel Palazzo delle poste a Rialto; una mirabolante "porta di Venezia" progettata dall'archistar Gehry. Tutte idee concepite con il solo obiettivo di monetizzare (tramite un facile immobiliarismo, l'intensificazione di un turismo già oggi insostenibile, o luculliane sponsorizzazioni) luoghi benedetti dalla natura, da secoli di storia e da un indubbio prestigio internazionale. "Veneto City", "Venice Gateway", per chi dubitasse del fatto che la corruzione del linguaggio non va mai da sola.
Oltre ai comitati suddetti, tanto attivi quanto passiva sembra l'intelligentsija cittadina, sono i competenti a lanciare gli allarmi più seri e documentati: intendo gli urbanisti dello luav Boato e Vittadini, e gli studenti di Pianificazione di Ca' Tron. Essi non mancano contestualmente di richiamare l’attenzione sull'area industriale dismessa di Marghera, il cui futuro incerto pare non far gola a nessuno; o meglio, il ministro Brunetta, che sta lavorando alla Legge speciale per Venezia, sta pensando di ridisegnarla come pied-à-terre di una piattaforma off-shore per navi petroliere e transoceaniche (sic), nell'ambito di un progetto per la città che il Pd contrasta — apparentemente senza avvertirne il disagio — con ben due disegni di legge diversissimi fra loro. Il firmatario di quello più sensato e deciso è Felice Casson: molti elettori di sinistra si chiedono cosa sarebbe accaduto se fosse stato lui a diventare sindaco di Venezia sei anni fa.
Questa volta, sul ponte dell’Accademia, l’incendio è partito: i vigili urbani l’hanno dovuto chiuderlo al traffico pedonale per più di un’ora e sospendere gli attracchi ai due pontili dell’ Actv sottostanti, mentre i vigili del fuoco, oltre a spegnere il fuoco, con la motosega hanno eliminato quelle parti di legno danneggiate dove poteva ancora covare il fuoco.
In poco più di quattro mesi è la quinta volta che i pompieri sono costretti ad intervenire su quel ponte che nel 1933 venne edificato in poco più di un mese: doveva essere provvisorio e invece, dopo 78 anni, è ancora là. Eppure in quindici lustri e mezzo non si sono verificati principi d’incendio se non in poche occasione, ora in quattro mesi è accaduto ben cinque volte e l’ultima, ieri, non c’è stato solo fumo, per la prima volta si sono viste anche le fiamme.
Fino ad ora si è parlato di cicche non spente finite sul rivestimento di legno, ma una volta può accadere casualmente, cinque no. «Non me lo so proprio spiegare» afferma l’assessore ai Lavori pubblici Alessandro Maggioni. L’ipotesi che non si tratti di casualità, ma di qualcuno che la sigaretta o qualcos’altro la infili proprio per far partire l’incendio? «Non ho elementi certi per affermarlo - risponde l’assessore - ma non è da escludere, anche perchè ha piovuto da poco e il legno, seppur in cattive condizioni, in questi giorni non è certo secco».
Ieri, è accaduto poco prima delle 17: un passante ha visto il fumo che saliva da sotto uno dei gradini delle rampa verso le Gallerie dell’Accademia e ha dato l’allarme. Sono arrivati i vigili del fuoco e la Polizia municipale, c’era già qualche brace che cadeva sul Canal grande sopra i due pontili della fermata Actv. I pompieri hanno azionato le pompe con l’acqua sia da sotto sia da sopra e, nel frattempo, il ponte è stato chiuso al traffico pedonale e la fermata dei mezzi pubblici sospesa per poco più di un’ora. L’intervento è durato circa due ore e si è concluso con la motosega per eliminare il legno sul quale potevano covare altre braci.
«Il ponte è stato messo in sicurezza e riaperto - spiega l’ingegner Roberto Benvenuti, dirigente tecnico dell’assessorato ai Lavori pubblici - ma certo bisogna trovare una soluzione tampone fin tanto che non partono i lavori di restauro». Passare con la vernice ignifuga tutte le parti lignee sarebbe un lavoro lunghissimo, mettere i cartelli perchè i passanti prestino attenzione serve ma non basta, Comune e Vigili del fuoco si incontreranno per trovarla. «L’episodio di ieri - conclude l’assessore Maggioni - dimostra l’estrema urgenza di dare gambe al progetto di restauro. Dobbiamo fare in fretta».
A mo’ di postilla pubblichiamo un brano del libro: E. Salzano, Memorie di un urbanista. L’Italia che ho vissuto, Corte del Fòntego, Venezia 2010, p. e nota
«Per lo Stucky le destinazioni previste dai piani rendevano necessaria una iniziativa concordata con la proprietà. Si prevedeva – tenendo conto anche delle caratteristiche strutturali degli edifici – la realizzazione di un centro congressi, di un albergo, di un luogo ove sistemare i moltissimi archivi comunali oggi ancora collocati in spazi meglio utilizzabili per altre funzioni urbane (a questo scopo si prevedeva di utilizzare i giganteschi silos di cereali), e infine edilizia residenziale. Ciò che si chiedeva alla proprietà era la cessione gratuita dei silos, a titolo di oneri di urbanizzazione e costruzione, e il rigoroso convenzionamento dell’edilizia residenziale per i veneziani. La proprietà non accettò queste condizioni e il complesso rimase abbandonato finché l’ amministrazione, agli albori del nuovo secolo, accettò le pretese della proprietà. Adesso lo Stucky è una esclusiva enclave di lusso. I silos, le cui facciate erano interamente prive di aperture, sono stati vittima di un incendio che li ha completamente distrutti (lasciando miracolosamente illesi gli edifici adiacenti) . Sono stati ritrovati disegni “originali” che avrebbero previsto la realizzazione di finestre sulle facciate; su questa base anche quell’ala è stata trasformata in albergo. Lucrosamente: per la proprietà, s’intende.
«(80) “E' stato un incendio doloso per il pm di Venezia, Michele Maturi, quello che ha semidistrutto il mulino Stucky sull'isola della Giudecca nella città lagunare. Il pubblico ministero ha infatti parlato di una "mano umana" e ipotizzato "il gesto di un folle o l'imprudenza di un barbone o, più probabilmente l'iniziativa dolosa di qualcuno". Al momento non ci sono gli elementi per confermare questa pista, ma la strada sembra essere quella giusta. Il mulino Stucky, importante esempio di architettura industriale ottocentesca, era in fase di restauro e pronto ad essere trasformato in un grande albergo e centro congressi” (da “Edilportale”, 18 aprile 2003).»
Un ponte fa tremare la laguna. E i nervi lasciati scoperti dalla tormentata vicenda di quello realizzato da Santiago Calatrava sono nuovamente scossi: spunta infatti un progetto per sostituire sul Canal Grande il ponte dell´Accademia, a pochi passi da San Marco. Ed ecco sollevarsi discussioni, approvazioni e reprimende. Favorevoli il Comune e la Soprintendenza, prudente il ministero per i Beni culturali, molto scettici architetti e urbanisti.
L´opera dovrebbe sostituire il ponte che attraversa il canale in pieno centro storico, fra le sponde dove sorgono le Gallerie dell´Accademia e Palazzo Franchetti. La polemica invade i social network, si mobilitano i comitati. È necessario rifare quel ponte? E, se è indispensabile, è corretta la procedura per intervenire in un luogo tanto pregiato? Due anni fa il Comune bandì un concorso, che si chiuse senza esiti. Ma a giugno scorso un´impresa di costruzioni bolognese, la Schiavina, e un´architetta veneziana, Giovanna Mar, che non vanta esperienze in fatto di ponti, presentano un progetto. Il Comune apprezza. Il costo, 6 milioni, sarebbe a carico dell´impresa e coperto da sponsor. Una specie di omaggio alla città. Ma quanto gratuito?
Il nuovo ponte dell´Accademia si sovrapporrà alla vecchia struttura realizzata in legno nel 1933, e immaginata allora come provvisoria. Di fatto, però, è un oggetto del tutto diverso. I materiali sono lame d´acciaio, lastre metalliche di zinco-titanio e alluminio. Il progetto sta bruciando tutti i passaggi: ha l´approvazione della Soprintendente ai beni architettonici, Renata Codello, e l´assessore ai lavori pubblici del Comune, Alessandro Maggioni, ha assicurato che la decisione avverrà in settembre. Ma Franco Miracco, consigliere del ministro Giancarlo Galan, frena: «È impensabile che la vicenda si risolva in sede locale. Saggiamente il direttore regionale dei Beni culturali ha inviato tutto al comitato di settore del ministero, che esaminerà il progetto».
«Serve un nuovo ponte? Non mi sembra», interviene Edoardo Salzano, urbanista, ex preside dell´Iuav (l´Istituto universitario di architettura). «Ormai il ponte è diventato parte integrante del paesaggio veneziano. La struttura è intatta, infatti viene conservata dal nuovo progetto». È d´accordo Lidia Fersuoch, presidente della sezione veneziana di Italia Nostra: «Quel ponte non è pregiato, ma ha una sua dignità. Perché non lo si restaura?». Secondo l´assessore Maggioni, invece, «il rifacimento è indispensabile, perché i costi di manutenzione del legno sono insopportabili: negli ultimi mesi si sono anche verificati tre piccoli incendi». Eppure, aggiunge Maggioni, «non esiste pericolo di crollo».
Gli interrogativi incalzano. «Che cosa dovrà pagare la città per quest´opera?», insiste Salzano. «Certamente venderà un altro pezzo di se stessa, cancellando con grandi pannelli pubblicitari parti della sua bellezza». Il rapporto fra pubblico e privato tocca un altro nervo scoperto: brucia la vendita dell´area dell´Ospedale a Mare al Lido ceduta a un fondo immobiliare che costruirà case, alberghi e un porto. Il tutto per realizzare il Palazzo del Cinema. Che però non si farà più.
Ma brucia anche la vicenda Calatrava. Una perizia commissionata dal Comune definisce il contestato ponte dell´architetto spagnolo «in prognosi riservata». La questione non è nuova: le sponde su cui poggia si muovono e la struttura ha bisogno di manutenzioni che fanno crescere i costi. Costi che si aggiungono ai 15 milioni finora spesi (il ponte nasceva anch´esso come un "regalo"). Autore della perizia è un professore bolognese, Massimo Majowiecki: lo stesso che firma il progetto strutturale per l´Accademia.
Molte discussioni solleva il fatto che per il nuovo ponte non si sia bandito un concorso. «Se un concorso va deserto, la legge consente la trattativa privata sulla base di quel bando», replica l´assessore Maggioni. Obietta Francesco Dal Co, storico dell´architettura all´Iuav e direttore di Casabella: «Il concorso è fondamentale per ogni opera pubblica. Ma lo è tanto più a Venezia, in quel punto del Canal Grande». «Al primo concorso per il ponte, negli anni Trenta, partecipò anche Carlo Scarpa», racconta Dal Co. E negli anni Ottanta immaginarono soluzioni gli architetti Robert Venturi e Franco Purini. «Per un´opera del genere si cimenterebbe il meglio dell´architettura internazionale», insiste Dal Co. E invece? «E invece succede che chi mette i soldi decide anche il nome dell´architetto. E questo, purtroppo, al committente pubblico va bene».
Timeo Danaos et dona ferentes . Abbiamo un precedente recentissimo di ponti "donati" alla città, il ponte di Calatrava. Sembrava che fosse gratis, poi si è saputo che costerà al contribuente circa 15 milioni di euro. E mi domando, a chi serve? Del ponte di Calatrava lo abbiamo saputo, basta leggere il libretto di Paola Somma, Benettown , per l’editore Corte del fontego. È servito per “valorizzare” le proprietà dirette o indirette (Grandi Stazioni) di Benetton, padrone ormai delle grandi aree strategiche di Venezia.
A che serve il nuovo Ponte dell’Accademia? Rende più bello il paesaggio? Non mi sembra, ormai il ponte ex provvisorio è diventato parte integrante del paesaggio veneziano, La struttura è intatta, infatti viene conservata dal nuovo progetto. Corre voce che il ponte rischia di incendiarsi: questa diceria m’insospettisce. Ricordo che la demolizione dei silos granari dello Stucky (volumi privi di finestre), e la conseguente realizzazione al loro posto di un albergo, furono precedute da un incendio di chirurgica precisione, che distrusse solo quello che alla proprietà serviva distruggere per potervi sostituire un edificio dotato di finestre.
Che cosa dovrà pagare la città per ottenere la costruzione del nuovo, inutile, ponte? Dovrà vendere solo un altro pezzo di se stessa, cancellando con grandi pannelli pubblicitari parti della sua bellezza? L’assessore “competente” dice che “a fare il ponte sarà l’impresa Schiavina” (viva la concorrenza), ma per finanziarne la costruzione si ricorrerà a soluzioni innovative, tra cui l’azionariato popolare (e se ne parla anche nella relazione del progetto). Già. L’aumento della povertà è diventato parte integrante del paesaggio sociale, in Italia e in Europa. Pensiamo che il “popolo” comprerà volentieri “azioni” per costruire un nuovo (inutile) ponte? E in ogni caso, ha senso spendere qualche milione di euro per rivestire di nuovi moderni materiali un ponte che c’è e funziona, quando non ci sono soldi per gli asili nido e l’assistenza ai malati?
Per la ristrutturazione del Ponte dell’accademia ci fu un concorso, che passò sotto silenzio e in cui nessun progetto fu nominato vincitore. Adesso si dà il via libera senza alcuna discussione pubblica, senza alcun coinvolgimento di professionalità di alto livello, a uno dei progetti presentati e discussi a quel concorso solo perché “donato” da un’impresa di costruzioni? Almeno, per l’altro ponte, quello di Benettown, il lustrino era l’archistar Santiago Calatrava, i gonzi potevano crederlo una garanzia.
Non sembra necessario chiedere a chi governa la città di andarsene: sembrano aver già dato le dimissioni dalle responsabilità dei loro compiti.
Una città con il turismo può vivere, ma anche morire. Molti veneziani la pensano così in questi giorni, con Venezia invasa da un gran numero di visitatori. La pensa così anche Italia Nostra che recentemente ha pubblicato alcuni dossier sul rischio di un "turismo" fuori controllo che metterebbe a rischio la sopravvivenza della città stessa. l'associazione si è appellata addirittura all'Unesco facendo arrabbiare il Sindaco Giorgio Orsoni. Il problema del turismo di massa a Venezia è noto da molto tempo, e forse non è mai stato affrontato seriamente. Nel 1988, mentre infuriava la polemica sulla possibilità di poter ospitare l'Expo del 2000 nella città lagunare, polemiche legate ai numeri dei visitatori potenziali in laguna che un evento del genere comportava, l'ex ministro poi Sindaco di Venezia e attuale Presidente dell'Autorità portuale veneziana Paolo Costa aveva elaborato con l'Università di Venezia uno studio sul turismo che evidenziava alcuni dati. Lo studio forniva una precisa indicazione riguardo la soglia limite di presenze media giornaliere che la città, a causa della sua struttura socio-economica, non poteva superare pena lo stravolgimento completo di tutte le attività non legate direttamente al fenomeno turistico: ventidue-milasettecento presenze giornaliere di media, mentre la soglia limite della capacità fisica di accoglienza della città era fissata in centomila presenze giornaliere. Rispetto ad allora in città ci sono più alberghi, in isola e in gronda lagunare, e soprattutto le grandi navi da crociera: il turismo è aumentato non certo diminuito.
Secondo l'analisi sui flussi turistici del 2010 del Centro studi di Banca Popolare di Vicenza, che ha attinto a dati Istat e della Banca d'Italia, il Veneto si conferma prima regione italiana sia per gli arrivi turistici (14,6%) sia per le presenze (16,3%) seguono Lombardia, Toscana, Trentino, Emilia Romagna e Lazio. La componente straniera rappresenta il 61,5% degli arrivi e il 60,4% delle presenze. Nel 2010 sono stati 10 milioni i visitatori stranieri in aumento del 7,1% rispetto il 2009. Lo studio non ha dubbi, le città d'arte hanno beneficiato di questi numeri vacanzieri: la metà degli stranieri le ha scelte per visite o soggiorni. La componente tedesca rimane la principale mentre aumentano le presenze russe e australiane e dell'America centro-meridionale.
Nuovi turisti, nuovi numeri, nuovi problemi per Venezia ? Pare proprio di si. Nei giorni scorsi la città ha vissuto uno stato d'assedio degno delle giornate di carnevale: picchi di quasi 100 mila arrivi al giorno per la concomitanza del maltempo che ha portato molti vacanzieri delle spiagge in città, l'arrivo delle grandi navi da crociera e il fine settimana. Più in generale, l'incremento medio per giugno e luglio è stato valutato in un 10%. Le categorie legate al turismo gongolano : "più gente, più soldi" ma rimane sempre il dubbio che queste entrate rimangano davvero alla città e ai suoi servizi, soprattutto pubblici, che devono affrontare spesso tali invasioni.
Anna Sandri sulla Stampa ha dato un quadro fosco ma forse veritiero del turismo a Venezia: «A seconda di come la si guardi, l'immagine che Venezia in questi giorni offre è quella di una città ingorda, che prende tutto quel che c'è da prendere, e più gente arriva meglio è, così è più facile vendere le bottiglie d'acqua minerale a 4 euro; oppure, è quella della città divorata da un turismo non “mal gestito” ma abbandonato a se stesso, senza programmazione e senza lungimiranza». La sensazione è proprio questa, il turismo di massa che invade la città non è mai stato affrontato radicalmente, mai la politica ha preso in mano la situazione e creato progetti concreti per guidare un processo che può divenire pericoloso per il tessuto urbano e sociale della città. Una situazione che va affrontata con calma, monitorata attentamente per trovare moderne contromisure che non devono essere figlie dell'emergenza.
Ma oggi non è così. Il Sindaco Orsoni non è proprio convinto delle cifre girate in questi giorni sulle presenze turistiche "allarmanti", contrarissimo a qualsiasi ipotesi di numero chiuso, ha chiesto al Governo lo sblocco delle assunzioni per aumentare l'organico dei vigili urbani e ha introdotto a Rialto sperimentalmente flussi separati ai pontili dei battelli per favorire i residenti, ma gli ingorghi e le resse permangono. L'assessore comunale al turismo Roberto Pancera spinge per gli imbarcaderi con accessi differenziati e intende intervenire in qualche modo sul turismo crocieristico in grande espansione e che ha portato i passeggeri dagli 873mi1a del 2000 ai 2 milioni 260mila del 2010. Pancera vuole equiparare gli "hotel galleggianti" agli alberghi veri e propri tassando quindi gli ospiti delle navi e dei traghetti. La risposta comunale al problema è che dal 24 agosto sarà introdotta la "tassa di soggiorno" per i turisti che pernotteranno negli alberghi del territorio comunale. Tassa che sarà determinata per persona e pernottamento fino a un massimo di cinque notti consecutive. L’imposta dunque non sarà pagata a partire dal sesto giorno di permanenza in città e le aliquote saranno diverse a secondo dell'alta o bassa stagione, all'ubicazione geografica della struttura alberghiera e alla sua categoria o tipologia. Si pagherà fino a 5 euro, gratis per i bimbi.
Potrà bastare? Per l'Udc veneziana che esprime l'assessore al turismo, bisognerebbe creare addirittura una linea di navigazione nel Canal Grande solo per turisti, per il Presidente della Provincia di Venezia Francesca Zaccariotto, leghista, bisognerebbe esportare un Piano Urbano del Traffico veicolare in città storica quindi istituire sensi unici nelle calli con divieti di svolta per i pedoni. Provocazioni a parte, in verità vengono messe sul tappeto tante ricette diverse fra loro e poco integrate mentre il problema da affrontare è serio e meriterebbe interventi coordinati e sistemici. Bisognerebbe integrare e coordinare tutti i servizi offerti e spostare i turisti dalla sola area marciana in altri luoghi della città, offrire possibilità di turismo diverso e di qualità facendo conoscere altri incantevoli luoghi di Venezia e della sua laguna, aiutando lo stesso "turista" a fare un salto di qualità culturale.
Oppure gestire meglio i flussi turistici, intervenendo sui viaggi organizzati e introducendo, come ha suggerito il Vicepresidente della sezione veneziana di Italia Nostra, Paolo Lanapoppi, un meccanismo rigido di prenotazioni. Di fatto manca uno studio davvero serio sui benefici e sui costi del turismo, l'impressione è che tuttora il turismo stia generando molti benefici soprattutto in specifici settori ma anche costi sociali e ambientali, si pensi alle statistiche sui rifiuti nel centro storico di Venezia che sono un multiplo di quelli di Mestre proprio grazie alle attività turistiche. Un problema vero che dovrebbe essere affrontato tempestivamente anche dalla politica è che la differenza positiva che c'è tra benefici e costi (ambientali e sociali) non viene destinata che in minima parte a coprire i costi cittadini che il mercato non rileva e che sono appunto quelli sociali, ambientali e di intasamento. Uno studio serio sul controllo dei flussi turistici, sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie e una redistribuzione verso la città “viva” del surplus generato dal turismo dovrebbero essere delle priorità di intervento.
Venezia si salva con la tradizione
di Alberto Vitucci
Diceva l’ex doge Gianni De Michelis: «Nel nome di Venezia anche le idee più stupide hanno successo». Aveva ragione, e la storia lo dimostra. Alle idee stupide si sommano spesso luoghi comuni e banalità, che insieme al «libero mercato» rischiano di travolgere Venezia molto più delle acque alte. Venezia è una città speciale. Speciale perché costruita sull’acqua, perché i suoi tempi sono diversi dal resto del mondo, perché i costi dei restauri e delle case sono più alti che altrove.
Una «banalità» che però nessuno comprende quando si tratta di legiferare. O di applicare norme fatte per tutte le altre città anche alla città d’acqua. Da qui bisogna partire, senza invocare ad ogni problema e ad ogni crisi l’omologazione di questa città a tutte le altre. Grandi dighe e banchine portuali per eliminare l’acqua alta e il moto ondoso, la sublagunare per arrivare prima, i restauri fatti con il cemento al posto della pietra d’Istria.
La Venezia del novembre 2006 mostra grandi problemi irrisolti. Il calo degli abitanti, il proliferare di motoscafi, bancarelle, alberghi e appartamenti per turisti al posto delle case, una classe dirigente arroccata sull’economia «garantita», il turismo o i contributi dello Stato. Attività economiche che se ne vanno, artigiani che chiudono e lasciano il posto alla paccottiglia made in Taiwan.
Di chi la colpa? Del Comune, che ha allargato le maglie del Piano regolatore consentendo i cambi d’uso. Della Regione, che ha votato nel 1993 una legge sulle licenze taxi che sembra fatta apposta per incoraggiare ricorsi e non regolamentare nulla. E un’altra che consente di aprire Bed and breakfast e pensioncine senza vincoli. E del governo centrale, che ha applicato la legge sul commercio anche al centro storico. Niente più merceologìe, tutti possono vendere mascherine e vetro di Murano. Secondo voi cosa conviene in una città con 15 milioni di turisti l’anno? Poi ci sono le colpe dei veneziani. Che parlano, discutono, ma poi non agiscono di conseguenza. Così sono proprio quelli che protestano perché lo Stato ha buttato via troppi soldi per i contributi ai privati che affittano le loro case risanate con la Legge speciale ai turisti.
Ma Venezia non è soltanto questo. E’ anche una «città ideale» dai ritmi antichi e dal fascino mondiale, dove si vive ancora bene. Con realtà economiche compatibili che si fanno largo rischiando in proprio. Come il Consorzio della cantieristica alla Giudecca, il centro velico alla Certosa, la ricerca e le nuove attività ai più sconosciute (chi lo sa che alla Giudecca si producono sci di altissimo livello?) e tanti altri.
La scommessa vera è proprio questa: valorizzare e incoraggiare le attività tradizionali, legate all’acqua e alla ricerca. Ad esempio pensando ad affitti agevolati per i negozi tradizionali, al riuso del patrimonio pubblico (non solo del Comune, ma delle Fondazioni, della Curia patriarcale, delle Ipab, della Regione) mirato alla rinascita economica. E poi la cultura. Far fruttare i gioielli di famiglia senza svenderli o modificarne l’uso. Giorni fa un giornalista della Cbs mi ha chiesto come mai un luogo monumentale unico al mondo come l’Arsenale non sia già stato utilizzato per farne un museo del Mare - progetto che la Marina ha fermo da anni - come hanno fatto con enorme successo a Genova senza avere nulla di simile. O per ospitare attività economiche legate all’acqua nel segno della tradizione. Questa è la strada. Senza perdere energìe e risorse nelle trite polemiche sulle grandi opere. Venezia può rinascere anche senza Mose e sublagunare. Ma occorre fermare (o far tornare) le aziende che se ne vanno in terraferma. Trovare casa e lavoro ai giovani che non hanno alcuna possibilità di comprarla o affittarla vista l’enorme possibilità speculativa offerta dal turismo.
Infine, il numero chiuso. Non basta il ticket né la Ztl. Le orde dei turisti mordi e fuggi vanno scoraggiate, i servizi e i trasporti per i veneziani garantiti. Venezia è città finita, non può sopportare pressioni all’infinito. Su questo le istituzioni devono fare proposte concrete. Il sindaco Cacciari fa bene a rispedire al mittente le critiche pretestuose. Fa male a non ascoltare i suggerimenti che lo invitano a usare la sua autorevolezza per dare un colpo d’ala. Per salvare Venezia senza ridurla a una copia di Las Vegas. E’ questo che i veneziani chiedono, senza divisioni ideologiche. E su questo, forse, sono disposti a risvegliarsi dal lungo sonno.
L’intervento di Marco Michielli
presidente di Federalberghi Veneto
Forte come la pietra d’Istria sotto il peso della storia, fragile come il cristallo sotto quello delle invasioni turistiche. Ma così come perfino la resistenza della pietra d’Istria ha un limite, dimostrando di soffrire più i passi dei «viandanti» che i capricci della marea, anche Venezia finirà schiacciata dal peso delle orde mordi-e-fuggi prima ancora che invasa dalle acque... se l’atteggiamento sarà ancora quello della rassegnazione. «Diamola in pasto alla Disney», provoca il settimanale inglese Observer; «Mose sì, Mose no» ripete l’eco infinita della polemica sulle dighe mobili; «Non un soldo per questa Venezia», rincara l’economista Francesco Giavazzi. Che, malgrado le apparenze e nonostante la levata di scudi del sindaco Massimo Cacciari e di altri veneziani più o meno noti, dimostra interesse per le sorti della città lagunare e, come si fa con un malato che non vuole reagire, tenta l’arma dello scossone: senza un progetto che faccia rivivere la città, dice Giavazzi, non vale più la pena stanziare fondi per la sua salvaguardia. E’ vero: Venezia non deve essere solo vetrina, non può diventare una Disneyland, non può guardare solo ai turisti, intesi come numeri da record, ma deve progettare schiere di futuri residenti. E un turismo di qualità. Ogni anno stiamo a suonare la grancassa sui record di visitatori entrati in città, e ogni anno il record è battuto.
E’ vero, noi albergatori con il turismo ci viviamo, ma dalle finestre dei nostri alberghi vediamo il presente e guardiamo al futuro con preoccupazione. E il sorriso per la conquista di nuovi record ci muore sulle labbra quando ci accorgiamo che per attraversare un ponte o una fondamenta dobbiamo essere pronti, come minimo, a farci pestare i piedi, e che i gradini di quel ponte, consumati dal passaggio di trilioni di persone, non riusciamo neanche più a vederli. Allora, ci chiediamo: che senso ha, tutto questo? Che razza di turismo ha generato la nostra epoca? Un turismo che va di fretta e divora quel che riesce con gli occhi, consuma toccando e poi scappa verso un’altra destinazione. E’ questo, il turismo dei numeri, quello che vogliamo? E’ chiaro, come dice Giavazzi, che se Venezia non vuole diventare Disneyland deve uscire dal proprio immobilismo, deve smetterla di essere preda, soprattutto deve ritrovare i propri abitanti, creare le condizioni per tornare a essere anche una città di residenti. E perché no, aggiungiamo noi, deve avere il coraggio di scegliere un turismo con meno numeri e più qualità, scelta impopolare ma necessaria.
Basta con la demagogia, al diavolo il populismo: selezioniamo gli ingressi. Cominciamo a pensare a contingentare il numero di persone che arrivano in città. Diciamo: se vuoi entrare a Venezia da turista devi metterti in fila e prenotare. La devi desiderare, questa città, e saperla attendere anche per mesi, se necessario per anni. Devi sapertela meritare, così come devi saperti meritare tutto il Veneto. Sono convinto che, se a livello regionale siamo a circa 57 milioni di presenze, anziché puntare ai 60 milioni low cost potrebbe essere meglio tornare ai 55 milioni, ma a più alto valore aggiunto. Perché il turismo di massa che «divora» non riguarda solo il capoluogo lagunare, ma anche altre città d’arte, anche la montagna.
Mi auguro che, di fronte alla provocazione dell’Observer e alla durezza dei toni di Giavazzi, i veneziani (e non solo) abbiano un moto d’orgoglio, che non subiscano con rassegnazione lo spirito usa-e-getta di sfruttamento delle risorse che spinge sempre più foresti non solo a invadere Venezia per poche ore, ma anche a gettarsi come avvoltoi sui resti di una città appesa al filo di vita dei suoi pochi abitanti per fare di ogni appartamento un bed and breakfast.
Venezia è un merletto delicato, mal sopporta numeri e invasioni barbariche, chiede rispetto e restituisce cultura. Mi auguro che si cominci subito a pensare, lavorare, inventare qualcosa perché nessuno più possa dire «Non un soldo per questa Venezia».
C’è chi predica da vent’anni anni (prima ancora della grandi discussione su l’Expo a Venezia) sull’esigenza di salvare i luoghi famosi dall’ondata devastatrice del turismo sregolato, praticando le forme civili del “razionamento programmato dell’offerta”. Oggi la questione si ripropone, in condizioni peggiori: perché l’altezza dell’onda è aumentata, e perché sono stati abbandonati gli argini.
A Venezia, colpevoli dell’abbandono certo anche la Regione e lo Stato, per le ragioni cui accenna Vitucci. Ma in primo luogo il Comune. Non fu forse la prima Giunta Cacciari a cancellare la delibera di applicazione delle norme nazionali che avrebbero consentito di contenere l’invasione dei fastfood e di simili iniziative omologatrici? E non fu una giunta comunale (politicamente orientata nello stesso modo) a cancellare le norme troppo “vincolistiche e ingessatrici” del piano regolatore, che avrebbero consentito il controllo delle destinazioni d’uso, la difesa della residenza e la resistenza vittoriosa al proliferare degli affittacamere?
La sensazione che qualcosa di irreparabile fosse accaduto si è fatta sentire, come un brivido, alle 15.26 di un normale lunedì di luglio, l’altro ieri, quando la polizia municipale di Venezia ha diffuso un comunicato: arrivare in città in auto, da Piazzale Roma, non era più possibile.
Tutto ingolfato, tutto intasato, parcheggi esauriti e code lunghissime sul Ponte della Libertà; se proprio ci si doveva andare, era opportuno usare il treno. Il che, naturalmente, si portava dietro un’ironia grottesca visto che erano del giorno prima le immagini dei bivacchi di centinaia di turisti sugli scalini della stazione di Santa Lucia, bloccati per l’onda lunga del disastro della Tiburtina.
Quando gira male, gira male: e sarà anche vero che Piazzale Roma sparge sale sulle ferite perché ci sono imponenti lavori in corso e il caos è continuo (si obietterà che non è un gran momento per aprire cantieri, ma a Venezia non c’è un momento migliore di un altro), ma la sensazione, quella che mette i brividi, è che si sia arrivati al punto di rottura. Venezia non ha vie di fuga né ammortizzatori, comincia da una parte e dall’altra finisce; oltre (da una parte e dall’altra) puoi solo buttarti in canale. Tutti, troppi, non ci si sta.
A seconda di come la si guardi, l’immagine che Venezia in questi giorni offre è quella di una città ingorda, che prende tutto quel che c’è da prendere, e più gente arriva meglio è così è più facile vendere le bottiglie d’acqua minerale a 4 euro; oppure, è quella della città divorata da un turismo non «mal gestito» ma abbandonato a se stesso, senza programmazione e senza lungimiranza.
Se mai il turismo qui è stata voce in perdita, cosa è accaduto per peggiorare in modo tanto evidente una situazione già al limite? I veneziani hanno la loro risposta: costretti a convivere, fiato su fiato e sudore su sudore, con le masse che vagano da Rialto a San Marco e da San Marco a Rialto, ascoltano i nuovi idiomi dei nuovi turisti: a tutti quelli che già c’erano (sottratti solo un po’ di giapponesi che hanno i loro problemi e diradano le visite e di americani che non se la passano benissimo, e aspettando i turchi, che si annunciano tra una o due stagioni) si sono aggiunti i brasiliani e i russi, i nuovi ricchi del pianeta che arrivano pieni di soldi e totalmente impreparati a quello che troveranno: come cinesi e indiani, la grande novità delle ultime stagioni, ignorano ad esempio che un ponte non è un belvedere sul quale sostare e dal quale scattare foto. È, semplicemente, il modo più asciutto per passare un canale e dunque camminare per la città. Ingorghi, nervosismo, insulti sono ormai all’ordine del giorno: chi vive, o tenta di sopravvivere, a Venezia e non è direttamente interessato alla vendita di paccottiglia, kebab e acqua minerale, non ce la fa più.
E non ce la fa più Venezia: il Ponte di Rialto perde i pezzi. Nell’ultimo fine settimana è stato transennato due volte. Sabato perché un po’ di pioggia aveva trasformato i gradini di marmo ormai consumati in una trappola scivolosa e i turisti volavano come trapezisti maldestri; domenica perché - passa che ti ripassa un masegno del ponte ha ceduto e si è aperto un buco.
Le prime transenne le hanno spostare gli stessi turisti: i gradini gli servivano per mettersi comodi a farsi il panino. Probabilmente c’era il tutto esaurito sugli altri gradini, quelli delle Procuratie a San Marco, Basilica mortificata tra maxi pubblicità, turisti che danno da mangiare ai piccioni sotto i cartelli che vietano di dare da mangiare ai piccioni, e il megapalco per i concerti. Il sindaco Giorgio Orsoni aveva detto: non più di uno; infatti saranno cinque, e il palco troneggia offendendo una delle piazze più belle al mondo.
Questa è Venezia, dove la soluzione all’invivibile sono - da ieri - gli accessi separati ai vaporetti per turisti e residenti, ma solo su una linea e sul solo pontile di Rialto, e per un orario limitato. Serve a placare i nervi dei residenti, quotidianamente contusi dagli zaini di viaggiatori svagati. Visti gli accessi limitati, magari i turisti sceglieranno di andare a piedi. Causa prezzi esorbitanti dei biglietti, in tanti lo fanno già, trascinando milioni di trolley sui delicati masegni, intasando ancora di più le calli. E se si stancano, la soluzione è sotto gli occhi di tutti: piedi in canale, in fondo è solo Venezia, che sarà mai.
Altri articoli
Molti articoli sull'argomento in eddyburg. Ne segnaliamo alcuni, a partire dai più antichi: Erbani, Se la laguna si trasforma in un club Mediterranée; Cristinelli, Il turismo deve essere governato; Luigi Scano, Prg di Venezia e proliferazione di alberghi e affittacamere; Pivato, Un'alluvione chiamata turismo; Van der Borg, Tassa turistica ma mirata; Salzano, Presepio vuoto per il turismo; Anna Toscano, Disneyland di lusso; Tantucci, Boom di case turistiche; Vitucci, Venezia e l'onda alta del turismo; Pivato, Venezia muore di turismo; autori vari, Procede, tra contrasti e intese, la grande trasformazione.
La riva consolidata, una miriade di negozi, salette vip, una biglietteria degna di questo nome e un piazzale dotato di aiuole, panchine e lampioni. Una stazione vera, insomma, che vedrà la luce alla fine del 2012 quando, dopo tre anni lavori e un investimento complessivo di 23 milioni di euro, Santa Lucia si guarderà allo specchio e non si riconoscerà più. Più grande, più luminosa e più moderna, potrà rivaleggiare con Milano e offrire agli 82 mila passeggeri che ogni giorno salgono e scendono dai 450 treni in partenza o in arrivo prestazioni da grande città in una struttura che però ha conservato la facciata in marmo, i soffitti di mosaico, le colonne di ottone e po’ di odore della storia.
Iniziati due anni fa e arrivati ormai a metà strada, i lavori interni saranno affiancati giovedì anche dall’inizio di quelli esterni, che riguarderanno il rifacimento della riva S. Lucia ormai ridotta a un colabrodo. Nell’arco dei prossimi dodici mesi, e con un spesa complessiva di 4 milioni di euro, la fondamenta sarà rifatta da cima a fondo seguendo quattro fasi: il prosciugamento di una parte di Canal Grande per consentire lo svolgimento delle opere, la bonifica degli ordigni bellici, la rimozione delle parti degradate e la riscostruzione delle strutture.
«Ricomincia la riqualificazione di una delle porte d’accesso della città - ha detto l’assessore ai Lavori pubblici, Alessandro Maggioni, presentando ieri i lavori insieme all’amministratore delagato di Grandi Stazioni Fabio Battaggia - Siano potuti partire grazie a una deroga ottenuta in conferenza dei servizi del 19 luglio in attesa della nuova delibera del Cipe che speriamo arrivi nell’arco di qualche settimana per dare il via anche all’intero progetto di recupero dell’area esterna della stazione. Si tratta di piazzale, aree verdi e banchine. Una nuova approvazione del Cipe che, come ha spiegato Battaggia, si è resa necessaria per l’incremento dei prezzi, determinato dal trascorrere del tempo e passato dai 700 mila euro originari ai quattro milioni attuali.
I disagi, ovvio, non mancheranno ma proprio per agevolare l’ingresso alla stazione anche dalla fondamenta Santa Lucia saranno aperti tre varchi nell’ex Palazzo Compartimentale che porteranno direttamente all’interno del terminal. Nel frattempo proseguono i lavori interni che interessano una superficie di oltre 15 mila metri quadrati di cui 7 mila riservati alle attività commerciali (40 i negozi previsti), una biglietteria di 730 metri quadrati con un aumento del 22 per cento delle postazioni e un Club freccia di 160 metri quadrati. Il tutto dovrebbe essere ultimato per l’autunno dell’anno prossimo. Sono intanto terminate le lavorazioni strutturali, con il potenziamento delle strutture attraverso l’utilizzo di fibre di carbonio e la demolizione e la ricostruzione dei solai. Quasi completati anche i lavori per la riqualifica del piano terra dell’ex Palazzo Compartimentale, con gli annessi magazzini di servizio, dove troveranno spazio nuove aree commerciali.
Postilla
Abbiamo chiesto un commento a Paola Somma, autrice del recente libretto Benettown , Corte del Fòntego, Venezia 2011. Eccolo:
La sistemazione della fondamenta ai piedi del ponte di Calatrava non è un normale intervento di manutenzione urbana. E’ uno dei tasselli della ristrutturazione e privatizzazione della stazione ferroviaria e degli edifici e delle aree contermini. La gigantesca e complessa operazione è iniziata nel 1999, quando la società Grandi Stazioni, il cui principale azionista è il gruppo Benetton, ha acquistato il palazzo della direzione dipartimentale delle ferrovie e, contestualmente, il comune ha intrapreso la realizzazione del ponte. Successivamente, Grandi Stazioni ha rivenduto l’edificio alla regione lucrando un sostanzioso aumento di valore, ha accatastato come proprietà privata la fondamenta e l’intero piazzale antistante la stazione, ha ottenuto ulteriori concessioni per aumentare la superficie da destinare alle sue attività di ristorazione e shopping e per consolidare la sua conquista della città intervenendo nelle aree adiacenti.
Stupisce che, assieme al consolidamento della fondamenta, non si sia ancora pensato di costruire ai piedi della rampa di Calatrava un casello con la scritta: prossima uscita Benettown.
Caro direttore, «Io avrei affrontato la questione del Lido in altro modo», dice il sindaco Giorgio Orsoni, «ma se avessi bloccato la vendita dell’ospedale a mare avrei rischiato di violare il patto di stabilità e mettere a rischio anche i 40 di euro promessi dal Comitatone». È indubbio che Venezia, come tanti altri comuni, sia costretta a vendere quote di patrimonio, ma davvero non c’era altra strada che distruggere una parte del Lido e arricchire i soci di EstCapital e le imprese che costruiscono il Mose?
Il Comune possiede il 14,6 per cento delle azioni di Save, l’azienda che gestisce l’aeroporto di Tessera. In Borsa quelle azioni valgono circa 60 milioni di euro, venti più di quelli promessi dal Comitatone (solo promessi in quanto la decisione definitiva spetta al Ministro dell’economia che a quella riunione non c’era e che forse ha altre priorità).
È davvero necessario che il Comune possegga il 75% di un’azienda informatica, Venis, che vende servizi acquistabili sul mercato, forse a condizioni più convenienti? Ho citato Save perché sorge un dubbio. La società reclama dal Comune 17 milioni per realizzare il progetto ideato da Frank Gehry: «Siamo finalmente a buon punto per avere quei famosi 17 milioni di euro. E’ una condizione sine qua non per la sostenibilità di Venice Gateway», ha detto recentemente il presidente Marchi.
Ricordo l’origine di quei 17 milioni: inizialmente il Comune li aveva destinati alla costruzione di una bretella autostradale per collegare l’aeroporto con Tessera City (destinazione curiosa, in quanto di solito sono i privati a pagare gli oneri di urbanizzazione a fronte del permesso a edificare). Slittato quel progetto, Save vuole ora utilizzare quei 17 milioni per costruire un albergo e un centro congressi. Davvero c’è bisogno di denaro pubblico per sovvenzionare redditizie attività private? Qualora Tremonti approvasse i 40 milioni non è che 17 finiranno alla Save?
Mi preoccupo perché è una vicenda che ricorda da vicino quanto è accaduto al Lido. Si era partiti per costruire il nuovo palazzo del Cinema; ora quello non si fa più e a guadagnarci saranno solo EstCapital e i suoi azionisti, i quali soppianteranno anche la Sacaim ottenendo l’appalto per la sala cinematografica che si realizzerà al posto del grande progetto del centenario. (Il tutto sotto la regia del Commissario Spaziante. Venuta meno la ragione per cui era stato nominato, costruire il nuovo palazzo del Cinema, come giustifica, in un momento di difficoltà economiche, la sua permanenza in quell’incarico?). Il sindaco dice di essere stretto in una morsa infernale, senza sapere come far quadrare i conti. Io penso che se ne esca solo riaffermando il «primato della politica», come si diceva un tempo. I cittadini di Venezia hanno eletto sindaco Giorgio Orsoni. Non hanno eletto né EstCapital, né il dottor Marchi, né l’impresa Mantovani.
Via libera all'Ospedale al Mare, alla darsena e al nuovo Piano sanitario con íl trasferimento di servizi all'ex Ginecologia e la riabilitazione con le piscine al Carlo Steeb. Tutto come da copione nella riunione della Conferenza dei servizi convocata ieri in municipio dal commissario Vincenzo Spaziante. I grandi progetti dell'isola sono stati approvati senza particolari osservazioni. Adesso si attende la concessione dello spazio acqueo di circa 550 mila metri quadrati da parte della Regione. Poi la società Real Venice 2 verserà la seconda tranche dell'acconto al Comune per l'acquisto dell'ex nosocomio. Il rogito definitivo — e il versamento del saldo, prezioso per il bilancio comunale — è previsto per il 31 dicembre.
Ma intanto i progetti vanno avanti. L'ex Ospedale diventerà un centro turistico e commerciale con villette, centro benessere, la spiaggia che avrà anch'essa una nuova concessione e si aggiungerà a quelle vicine del Comune, San Nicolò e Zona A. La novità più importante è che dopo le proteste del Comune il progetto ha accolto la richiesta di «permeabilità» del' area. Gli spazi dell'ex Ospedale saranno dunque fruibili anche dal pubblico e non diventeranno un villaggio turistico privato. Piccola consolazione per i comitati, che annunciano azioni di protesta. «Una vergogna», dice il portavoce Salvatore Lihard, «la gente vuole sapere perché si sono spesi 35 milioni di euro per fare un buco nell'amianto. E perché il Palazzo del Cinema, che aveva dato origine a tutto questo, non si farà più. E poi la riabilitazione spostata agli Alberoni prelude secondo noi alla privatizzazione di questi servizi fondamentali per i cittadini». La battaglia dunque continua. Anche se il commissario Vincenzo Spaziante ha annunciato ieri di voler gradualmente «restituire» al Comune le procedure ordinarie, come richiesto da un ordine del giorno del Consiglio comunale un mese fa. Licenze edilizie, concessioni e autorizzazioni per la darsena e i progetti edilizi saranno dunque rilasciate da Ca' Farsetti. «Al Comune spettano anche i controlli ambientali sulla darsena», dice Spaziante. Che aggiunge: «Non è vero che il Palacinema non si farà più. nei prossimi giorni riceveremo il nuovo progetto che sarà valutato. Se non andrà bene i lavori che abbiamo sospeso per mancanza di fondi potranno riprendere».
Vedi altri articoli in questa cartella; in particolare: Lo scandalo bipartisan del Lido di Venezia
Caos turisti, pressing di Italia Nostra
Orsoni infuriato per il «danno di immagine»,
l'associazione replica a muso duro (a.v.)
II sindaco Orsoni infuriato con Italia Nostra. «Ci chiamano da tutto il mondo», raccontano dal suo staff, «con quella iniziativa ci stanno provocando un danno di immagine notevole». L'appello lanciato nei giorni scorsi all'Unesco dall'associazione ha avuto il suo effetto. Un'immagine di Riva degli Schiavoni. Ogni anno arrivano in città 20 milioni di turisti Il direttore generale del World Heritage centre dell'associazione Krishore Rao si è impegnato in prima persona a «monitorare» tutti i grandi progetti che rischiano di essere distruttivi per la città e la sua delicata laguna. Infrastruture e grandi opere, cementificazioni e nuovi progetti di insediamenti turistici Un tono apocalittico che non è piaciuto al sindaco Giorgio Orsoni, che ha usato parole molto dure contro Italia Nostra e i suoi atteggiamenti, definiti «retrogradi». Ma l'associazione rincara la dose. «Ricercatori del Coses, società di ricerca del Comune e della Provincia», denuncia la sezione veneziana di Italia Nostra, «hanno dichiarato che la città potrebbe soportare centomila visitatori al giorno se questi la smettessero di concentrarsi nei siti più famosi come piazza San Marco». «Un passo avanti verso la morte dell'anima di questa città», scrive Italia Nostra, «nel 1988 uno studio dell'Università, quando rettore era Paolo Costa, sosteneva che il limite massimo di persone che la città poteva sostenere senza sofferenza era di 30 mila al giorno [più precisamente, 22000 - ndr]. Vent'anni dopo i turisti sono arrivati a 22 milioni (59 mila di media al giorno), oggi qualcuno parla di centomila. Nel frattempo sono arrivate le grandi navi da crociera, i nuovi alberghi in gronda lagunare, il Quadrante di Tessera, il progetto di metropolitana sublagunare». Italia Nostra respinge le critiche sul fatto di attaccare i turisti che dormono in albergo e visitano i musei «Il direttore dell'Ava Claudio Scarpa e quello della Fondazione musei Walter Hartsarich forse non ci leggono con attenzione», conclude la nota dell'associazione veneziana, «perché noi non ce l'abbiamo certo con quel tipo di turismo. Ma con le masse divenute troppo numerose che arrivano in città la mattina, si fermano in centro per poche ore e poi ripartono nel pomeriggio». «Continueremo nella nostra campagna civile di denuncia», fa sapere Italia Nostra, «per far capire alle istituzioni che in questo modo tra pochi anni la città d'arte non esisterà più, vuota di abitanti e consumata da milioni di turisti». (a. v.)
il Gazzettino
Pat, la Provincia a sorpresa promuove il piano comunale
IL WATERFRONT Una delle aree più importanti per la riqualificazione del territorio veneziano Zaccariotto e Dalla Tor soddisfatti: «Buon lavoro»
Tanto tuonò, ma alla fine non piovve. Anzi, ieri Comune e Provincia se non si sono abbracciati poco ci mancava. Invitati dalla presidente Francesca Zaccariotto e dal suo vice, Mario Dalla Tor (che è anche assessore all'Urbanistica), il sindaco Giorgio Orsoni e l'assessore Ezio Micelli hanno illustrato il Piano di assetto del territorio, il Pat, che la Provincia dovrà approvare prima che venga adottato dal Consiglio comunale. Dopo le polemiche seguite, la scorsa settimana, all'uscita di Dalla Tor che accusava il Comune di non aver accolto le osservazioni della Provincia, ieri tutto sembrava appianato.
I tempi, dunque, dovrebbero essere più o meno rispettati: il Comune si aspetta che per settembre la giunta provinciale deliberi il suo parere favorevole, e quindi conta di adottare il Pat in Consiglio entro la fine del mese. Poi ci saranno 60 giorni di tempo per le osservazioni, e di seguito le contro osservazioni. «Dovremmo riuscire ad avere lo strumento operativo per i primi mesi del 2012, sforando di qualche mese le nostre previsioni per la fine 2011» ha commentato Micelli. «Il Piano sarà operativo entro i primi mesi del 2012» Soddisfatta la presidente Zaccariotto: «Considero l'incontro un passaggio importante della collaborazione tra Comune e Provincia. Il nostro obiettivo è che il territorio veneziano diventi e sia riconosciuto come "provincia verde d'Europa"». Soddisfatto anche il vicepresidente Dalla Tor: «Il Comune di Venezia, che è il capoluogo della regione e ha un peso notevole ed esemplare rispetto a tutto il territorio provinciale, ha recepito molte delle indicazioni della Provincia» espresse nel "Manifesto delle azioni" presentato lo scorso gennaio ai sindaci di Spinea, Marcon, Martellago, Mira, Quarto d'Altino e, naturalmente, Venezia, per omogeneizzare tutti i loro Pat e porre le basi per una vera area metropolitana. Anche l'assessore Micelli, infine, che la scorsa settimana aveva risposto fermamente alle critiche di Dalla Tor, ha parlato di clima costruttivo. Viabilità da coordinare con gli altri comuni limitrofi, corridoi ecologici, sistema della gronda lagunare, situazioni di criticità delle aree industriali tra Dese e Marcon, waterfront a Porto Marghera... ieri si è parlato di tutto, e su tutto il Comune ha dato la sua risposta nel Pat.
In particolare hanno parlato del Quadrante Tessera «il cui piano, ricordo, è coerente sia con il Ptrc della Regione sia col Ptcp della Provincia» spiega Micelli che, inoltre, sui destini di Marghera ha voluto precisare: «Stiamo promuovendo l'idea di quell'area come sede dell'industria, ma abbiamo ben specificato che si tratta di processi che aprono alla riconversione industriale, per un'industria pulita e compatibile, e quindi non sono affatto la carta della conservazione». (e.t.)
il Gazzettino
Tav e Tessera City, gli ambientalisti scendono in piazza
Più di trenta associazioni si sono riunite ieri a Venezia per protestare contro l'approvazione del nuovo Pat, in discussione a Cà Farsetti. «Più che di un piano di assetto - ha sottolineato ironicamente Michele Boato, di Amico Albero - ci sembra un piano di assassinio territoriale, dato l'impatto devastante e irreversibile che, avrà sulle aree investite dalla follia dei progetti che prevede». Nel mirino delle associazioni le grandi opere in programma, dalla sublagunare alla Tav «che spostando il centro del trasporto a Tessera con l'unica fermata prevista all'aeroporto - ha spiegato Boato - di fatto taglierà fuori dai giochi Mestre isolandola completamente»; al progetto di Tessera City che si svilupperà in una delle aree a maggior rischio idrogeologico del territorio veneziano: «La nuova città a Tessera, oltre a cementificare 372 ettari di terreni agricoli, sarebbe già allagabile in partenza e implicherebbe di riflesso l'abbandono al degrado di Porto Marghera, area già infrastrutturalizzata, la cui bonifica verrebbe accantonata». Le associazioni chiedono dunque al Comune di non votare questo tipo di Pat e di aprire una consultazione in cui possano trovare spazio le contestazioni e le proposte alternative studiate dai comitati e dalle associazioni. Venerdì pomeriggio è stata indetta una manifestazione di protesta sotto Cà Farsetti, ed è in programma una grande manifestazione a Mestre per il prossimo 1 settembre in Piazza Ferretto. (V.Tur.)
la Nuova Venezia
Lido, faccia a faccia. comitati-sindaco
Il Comune: «Dalla firma dei progetti dipende il bilancio del Comune» Domani la conferenza dei servizi sull'ospedale al Mare e la darsena Vincenzo Spaziante LIDO. Un faccia a faccia durato un'ora. Da una parte il sindaco Giorgio Orsoni, dall'altra i comitati del Lido, ricevuti ieri mattina in municipio nello studio del primo cittadino. Alla fine una piccola tregua, che sarà verificata domani dopo la conferenza dei servizi presieduta dal commissario straordinario Vincenzo Spaziante. «Avete le vostre ragioni, ma dalla firma di quel progetto ormai dipende il bilancio del Comune», ha esordito il sindaco, «un progetto che mi sono trovato, e che sicuramente sarà adeguato e sistemato in corso d'opera. Ma adesso non c'è altra strada che firmare».
Dal via libera di domani dipendono i circa 40 milioni di euro che Asl, Demanio e la società Real Venice 2 (Mantovani, Condotte e Fincosit al-1'80 per cento, Est Capital al 20 per cento) dovranno versare per la compravendita del-lex ospedale nelle casse del Comune. Il Patto di stabilità prevede l'obbligo per Ca' farsetti di introitare soldi superiori a quelli spesi Sul piatto ci sono i contestati progetti per l'Ospedale al Mare che diventerà centro turistico e commerciale con alberghi, appartamenti, la nuova spiaggia, e poi la darsena da mille posti barca con i parcheggi a San Nicolb per 500 auto, la nuova strada.
Infine le nuove strutture sanitarie in sostituzione del Monoblocco, che dovrà essere abbattuto per far posto a strutture turistiche. Anche su questo punto i comitati hanno espresso il loro disaccordo sull'ipotesi di dividere in due i servizi, trasferendo la riabilitazione e la piscina al Carlo Stebb degli Alberoni, il resto nell'ex edificio che ospitava Ginecologia a San Nicolò. «Costa 18 milioni e Est Capital è disposta a metterne solo 8», dice Salvatore Lihard, portavoce dei comitati, «noi abbiamo un progeto alternativo che costa la metà. La sanità dell'isola non pub essere chiusa o peggio privatizzata e sacrificata ai grandi progetti. Ricordiamo che in piena stagione turistica non abbiamo né l'elisoccorso né l'idroambulanza». Intanto un gruppo di consiglieri comunali ha chiesto al sindaco di vedere prima i progetti del nuovo Palacinema. Per finanziarlo era partita la grande operazione, ma adesso si è deciso di cambiare. (a.v.)
Venezia chiama l’Unesco. E l’Unesco risponde. Ma stavolta dalla laguna non si chiede di ottenere la protezione di qualche monumento. Al contrario. Si chiede se non sia il caso di escludere la città di San Marco dalla World Heritage List, l’elenco dei siti culturali di importanza mondiale. Il motivo? La lunga serie di manomissioni attuate o in programma nell’area lagunare.
È Italia Nostra che si è rivolta all’organismo incaricato dall’Onu per cultura, patrimonio storico-artistico e naturale. La lettera è firmata da Lidia Fersuoch, che guida la sezione veneziana dell’associazione, e dalla presidente nazionale Alessandra Mottola Molfino. «La laguna è in serio pericolo di veder distrutte le sue forme caratteristiche», si legge. La risposta dell’Unesco è stata rapida: faremo indagini e decideremo. Ma intanto contro l’iniziativa di Italia Nostra si è scagliato il sindaco Giorgio Orsoni che se l’è presa con chi «va in giro per il mondo a lanciare appelli inutili e dannosi».
I pericoli che gravano su Venezia sono di due tipi, sostiene Lidia Fersuoch. In primo luogo un turismo massacrante, alimentato negli ultimi tempi da gigantesche navi da crociera che attraversano il bacino di San Marco e il Canale della Giudecca. In secondo luogo, una serie di progetti, avviati o in cantiere. Il Mose, per esempio, il sistema di paratie contro l’acqua alta, le cui opere sono in costruzione (l’isola artificiale alla bocca del Lido grande 13 ettari). Oppure «il centro portuale a Dogaletto-Giare, all’interno della laguna, circa tre milioni di container in una regione dove esistono già tre interporti, tutti sottoutilizzati», aggiunge Fersuoch. «Quella è una zona dal fondale bassissimo, in cui sopravvivono diverse barene, le terre sommerse dalle maree». Lidia Fersuoch cita anche le cementificazioni al Lido, nell’area dell’ex Ospedale a Mare, dove sorgerà un complesso residenziale, commerciale e alberghiero. Di fronte all’insediamento è previsto un porto turistico grande 50 ettari, quanto l’isola della Giudecca. L’area è stata venduta dal Comune per realizzare il nuovo Palazzo del Cinema. Che però non si farà più.
Venezia e la laguna hanno un destino inscindibile, sottolinea Alessandra Mottola Molfino: «Questo è un concetto molto chiaro all’Unesco, che ha incluso la laguna nel patrimonio da proteggere tanto quanto le chiese e i palazzi della città».
La critica di Italia nostra alla situazione veneziana è stata ripresa dalla rivista Newsweek international, nell'articolo Italy's Ancient Monuments and Cultural Heritage Crumbling
Il Comune di Venezia vuole approvare il Pat entro fine estate, massimo per settembre. Ma ha fatto i conti senza la Provincia. »Il Pat che ci hanno presentato, così com'è non lo approveremo mai». E siccome la Provincia da gennaio di quest'anno ha tutte le competenze urbanistiche (mentre prima c'entrava anche la Regione), o le due istituzioni trovano un accordo, oppure il Piano di assetto del territorio (Pat appunto), Venezia se lo può sognare. La settimana prossima ci sarà un incontro molto importante sulla vicenda: si ritroveranno da un lato la presidente della Provincia, Francesca Zaccariotto e il vicepresidente, Mario Dalla Tor con i loro tecnici, dall'altro il sindaco Giorgio Orsoni, l'assessore all'Urbanistica, Ezio Micelli, e i tecnici di Ca' Farsetti. La Provincia verificherà se le richieste di modifica e di inserimento avanzate negli ultimi incontri sono state accolte modificando il Pat. La Provincia non può pretendere di fare la programmazione urbanistica del Comune, è un'invasione di campo impropria. «Però può e deve pretendere che i vari Pat dei comuni siano armonizzati tra loro - spiega il vicepresidente Mario Dalla Tor -. Questo stiamo facendo, questo abbiamo l'obbligo di fare».
Avete chiesto delle modifiche al Comune di Venezia, quindi non vi piace il Pat che sindaco e giunta vogliono, invece, approvare. «Ci sono questioni tecniche che stridono e, se posso permettermi, c'è anche un'impostazione vecchia che sta dietro a quel documento di programmazione urbanistica. Sembra un Prg, un banale piano regolatore, e invece un Pat deve essere uno strumento che vola alto che ha il coraggio di fare scelte per i prossimi 20 o 30 anni. Non certo le scelte di far costruire qui o li. Dev'essere il sogno per la città che sarà».
Tecnicamente cosa c'è che non va? «La "Super Castellana" che finisce nel nulla, Porto Marghera che non ha identità, il Quadrante Tessera che non si capisce come e quando partirà, interi quartieri di Mestre da riqualificare, il collegamento mancato tra aree verdi con i Comuni vicini. E, soprattutto, si prevede troppa nuova cubatura, mentre quella nuova già realizzata è per la maggior parte di scarsa qualità». Volete impedire che Venezia costruisca nuovi edifici, ma intanto approvate Veneto City. «Noi vogliamo che in tutta la provincia si finisca di consumare territorio agricolo. Quindi, progetti già approvati a parte, pretendiamo che non si costruisca più un metro cubo su superfici libere. Mestre ha interi quartieri con edifici degli anni Cinquanta o Sessanta. Potrebbe favorire i crediti edilizi, dare incentivi per demolire e ricostruire mentre, in cambio, il privato realizza un'area verde ai confini del centro.
Se la città diventa bella, se Porto Marghera guarda al futuro, il costruttore e l'imprenditore vengono volentieri, altrimenti scappano anche quelli che ci sono. E, d'altro canto, ci sono già intere aree ferme, l'ex Umberto I, Todini in via Ulloa, Campus in via Torino... Nessuno costruisce. In Provincia siamo 860 mila abitanti e c'è già cubatura approvata per 300 mila nuove persone, mentre le previsioni ottimistiche parlano di 80 mila nuovi residenti. Venezia, in queste condizioni, conta di concedere nuova edificazione?».
Oggi, 2011, la laguna di Venezia, e con questa la stessa città, sono sotto attacco. Un sapiente governo delle trasformazioni ambientali, cominciato già dai primi abitanti del settimo secolo, ha fatto sopravvivere fino ai giorni nostri, sia pur profondamente mutato, un ecosistema lagunare, per propria costituzione fragile quant'altri mai. Un dato per tutti: nel 1600 c'erano 255 kmq. di barene (terre basse ciclicamente coperte dalle maree) che nel 1970 si erano ridotti a soli 64; ma il problema non è solo quantitativo; cercheremo di illustrare, connettere e motivare diversi fronti di un attacco che può essere mortale per questo bene dell'umanità.
Quanto alla città in sé, il rischio non è tanto la distruzione fisica di case e palazzi (“conservati” ma comunque strutturalmente e morfologicamente modificati) ma della perdita di una comunità vivente che li usi nella vita quotidiana perché violentemente espulsa da un turismo pervasivo e distruttivo. Per la laguna, il rischio è la sua trasformazione in un braccio di mare di omogenea profondità i cui rapporti col mare aperto si sono totalmente artificializzati. Artificiali sono divenute molte delle barene. Artificiali le loro sponde sommerse che, una volta costituite da fanghi organici, limi, sedimenti e vegetazione alofila, state trasformate, per proteggerle dall'erosione, in rive di sassi sommersi contenuti in sacchi di plastica quando non da palificate continue rinforzate con materiali sintetici. L'erosione delle sponde e la perdita dei sedimenti costituenti i fondali sono divenute potenti per le trasformazione fisiche che laguna ha subito in questi ultimi 150 anni ma anche per le nuove micidiali correnti provocate dalle sole opere complementari già realizzate per il MoSE., che promettono male per quando l'intera opera fosse mai realizzata. Di fatto è la fine di una vita biologica lagunare, capace anche di propria autodepurazione organica, una fine che costringerebbe anche alla formazione di un nuovo sistema artificiale, munito di grandi tubazioni e depuratori, per lo smaltimento dei reflui organici.
In questa precarietà per la conservazione di una civiltà e storia cittadina e di un ecosistema lagunare sapientemente antropizzato da secoli, si collocano e vanno valutate alcune attualissime proposte di modificazione del territorio:
− Tessera City, come impropriamente viene chiamata la mega lottizzazione di 1.800.000 metri cubi con i suoi “incentivi” edificatori: Tram, Metropolitana Sublagunare, fermata dell'Alta Velocità ( box 1);
− la Linea ad Alta Velocità (TAV), con fermata a Tessera ( box 2);
− la Metropolitana Sublagunare da Tessera alle Fondamente Nuove e Arsenale di Venezia e poi...( box 3).
I box allegati ne illustrano sinteticamente la storia ed i poteri che l'anno costruita. Valutiamone ora le conseguenze che potranno derivarne in relazione alla salvaguardia sia della città di Venezia che della laguna ed il comportamento dell'Amministrazione Comunale nell'esercizio di governo di queste trasformazioni.
Per quanto detto su Tessera City, appare con evidenza che il comune di Venezia, probabilmente con l'intento di potenziare i propri introiti tramite la controllata società del Casinò, ha innescato una procedura che lo ha condotto, per fare cassa, ad accettare il ricatto della società aeroportuale SAVE, e a consentire tutte le trasformazioni d'uso speculativo di territori di proprietà e acquisiti attorno all'aeroporto. Col cambio recente del Sindaco, che pur precedentemente si era espresso problematicamente sull'intera operazione, è stato deciso di approntare uno strumento pianificatorio (PAT) totalmente nuovo nel quale, riconosciuta l'illegittimità della precedente procedura, viene inserita a pieno titolo la trasformazione del quadrante Tessera per farne -come si dice- la città del divertimento e dello sport, con tutti gli annessi speculativi commerciali ed alberghieri. Tessera offrirà opzioni d'investi-mento speculativo assai competitive rispetto ad investimenti di bonifica e recupero dell'area ex industriale di Marghera, rendendo ancor più complesso il rilancio di una politica produttiva “vera”ed ecocompatibile da contrapporre a quella ormai distruttiva del turismo predatorio di Venezia. Un micidiale consumo di suolo ora agricolo ed un mancato recupero di aree già profondamente infrastrutturate che sono già coste enormi investimenti alla collettività.
Riguardo all'Alta Velocità ( TAV), il Comune, non approvando né bocciando il tracciato in galleria sotto il bordo della laguna, ne ha chiesto una comparazione con tracciati alternativi ma ha comunque inserito nel Piano Urbanistico (PAT) l'ipotesi di attraversamento con una linea ad Alta Velocità per sole persone senza valutare le procedure approssimative che hanno portato al progetto preliminare voluto dalla Regione, senza esprimersi sull'esclusione di una Alta Capacità che tolga traffico merci dalle strade e sull'assurdità di lasciare senza collegamento passeggeri la stazione di Mestre-Venezia per costituire una fermata all'aeroporto pur con un traffico passeggeri bassissimo e quando era già previsto un collegamento a Venezia e a tutta la regione ogni 10 minuti con la metropolitana di superficie.. Ma quel che più ambientalmente preoccupa è che se la TAV dovesse arrivare a Tessera, non potrebbe farlo che in una profonda galleria di 8-9 km. a 30 metri di profondità, tagliando trasversalmente tutte le falde d'acqua sotterranee che tengono in pressioni i terreni su cui posa Venezia. Ci sarà la ripresa di una subsidenza che già, per prelievi d'acqua per usi industriali degli anni '60, aveva sprofondata la città per più 10 cm.
Riguardo alla metropolitana sublagunare, il PAT traccia un ambiguo collegamento - che definisce primario - tra il lato nord di Venezia e Tessera, battezzando, per l'occasione, quest'ultima “Porta Est”. La nuova linea di collegamento, quasi esclusivamente per turisti, viene così riconosciuta come strategica. Ne deriverà un potenziamento senza controllo di questa attività ma soprattutto del turismo peggiore, quello definito “mordi e fuggi”, che potrà con questo mezzo arrivare in città il mattino ed uscirne la sera con un aggravio antropico insostenibile a discapito della mobilità e fruizione della città da parte dei residenti, dei pendolari per lavoro e degli studenti. Materialmente le carrozze, che sono quelle del tram, correranno, in una o due gallerie, sotto gli strati di argille fossili costipate (caranto) che reggono i fondali della laguna, le isole ed i suoi centri abitati, compromettendo definitivamente l'intera laguna. Basti ricordare che nell'unico punto dove il caranto è stato manomesso, il porto di Malamocco, si è creata una voragine di più di 40 metri di profondità. Ma altrettanto devastanti saranno gli sbarchi in città, le vie di fuga in centro alla laguna con manufatti innalzati molti metri sopra il livello dell'acqua per evitarne allagamenti. L'arrivo di milioni di turisti aggiuntivi, sbarcati di fronte a strade e calli larghe spesso meno di due metri, produrranno abbattimenti di porzioni intere di città. Quando nell'ottocento arrivò a Venezia il treno fu necessaria la costruzione della Strada Nova che, larga decine di metri, attraversa tutta la città fino a Rialto; quando ai primi del '900 si costruì il ponte automobilistico e Piazzale Roma, un pezzo intero di città fu abbattuto e fu aperto il Rio Novo.
Il territorio e la città costituiscono l'ambiente reale nel quale i cittadini vivono. Salvaguardia e sviluppo sono in sé parole vuote se non vengono calate all'interno di una strategia di governo delle trasformazioni. Il nuovo Piano Urbanistico (PAT) non si interroga sufficientemente sulle questioni dirimenti delle emergenze della laguna e della città di Venezia per le quali turismo, quadrante di Tessera, TAV e sublagunare sono tra le più rilevanti. Se non governate saggiamente, contribuiranno ad un'ulteriore trasformazione della laguna in un vero e proprio braccio di mare con la definitiva perdita anche della sua natura biologica.
Tessera City: la storia / box 1
Per Tessera City si intende una vasta area agricola da urbanizzare a lato dell'attuale aeroporto Marco Polo situato sulla gronda lagunare veneziana. Dovrebbe comprendere una seconda pista aeroportuale, uno stadio con tutti gli annessi per sport e fitness, un nuovo casinò con annesso albergo e attività ludiche: 1.800.000 metri cubi di cosiddette Attività Varie con alberghi, uffici, supermercati e quant'altro di commerciale e effimero.
Nel 1995 il Piano Regolatore di Venezia prevede a lato dell'aeroporto Marco Polo un'area per un nuovo stadio che avrebbe potuto essere costruito col credito sportivo. Nel 1999 una variante al Piano aumenta le funzioni insediabili nell'area e prevede una linea di metropolitana subacquea dall'aeroporto a Venezia, Fondamente Nuove e Arsenale. Nel 2004 una nuova variante al Piano Regolatore, prevede la costruzione comunale diretta dello stadio e per finanziarlo ne raddoppia l'area prevedendovi le cosiddette attività varie cioè tutte destinazioni speculative per innalzare il valore dei terreni e fare cassa e costruire, con la propria società partecipata, anche un nuovo Casinò con annesso grande albergo. Nel 2005 la SAVE, società proprietaria dell'aeroporto compra a prezzo agricolo le aree a lato del previsto Stadio per una possibile nuova pista aerea e attività speculative annesse. Nel contempo la Regione Veneto tiene bloccata la variante al PRG del 2004 del Comune. Nel 2007 le società SAVE e del Casino presentano direttamente in Regione una loro Variante al PRG che, spostando la collocazione dello Stadio, quadruplica ancora le aree edificabili in una zona che dovrebbe essere dichiarata inedificabile perché, con piogge abbondanti, vi si accumulano anche 172 cm. d'acqua. Si pensa di porvi “riparo” spostando un pezzo rilevante del costruendo bosco di Mestre che dovrebbe così sgrondare in area pubblica l'acqua della mega-lottizzazione privata. Questa procedura è assolutamente illegittima perché tale proposta sarebbe dovuta eventualmente arrivare al Comune che, se accettata, doveva inoltrarla alla Regione. Nel 2008 viene stipulato un accordo tra il sindaco Massimo Cacciari e il Governatore regionale Galan accettando di fatto le proposte SAVE-Casinò con lo spostamento dello Stadio. Si consente con ciò la quadruplicazione della cubatura speculativa edificabile (1.800.000 mc. su 500.000 mq.) e il possibile raddoppio della pista aeroportuale. Vengono sconvolti tutti i trasporti con l'arrivo di un tram cittadino che, dopo un percorso di 4 km. in piena campagna, entra nel mega tubo della sublagunare per Venezia a partire da una stazione interna all'aeroporto dove confluiscono l'Alta Velocità e la Metropolitana Regionale di superficie. Questo servizio da solo può connettere funzionalmente Venezia con l'intera regione rendendo così inutili tutte le altre modalità. L'insediamento, per la sua dimensione e caratteristiche d'uso, indurrà un pesante traffico automobilistico e, per la sua collocazione sulla bretella stradale che lo collega alla tangenziale di Mestre, lo riverserà inevitabilmente su questa strada appena decongestionata con la costruzione del passante autostradale. Italia Nostra nell'ultima seduta della Commissione Urbanistica Consiliare, dichiarò direttamente a Cacciari, la non liceità della procedura ma il Sindaco, incurante, la fece approvare dal Consiglio e la invia in Regione. Ora è tutto bloccato perché la Commissione di Salvaguardia di Venezia non ha approvato la Variante al Piano in assenza dell'istruttoria comunale, che i tecnici si sono rifiutati di fare, e di quella regionale con annessa dichiarazione ufficiale sulla legittimità delle procedure. Sulla stampa è apparsa una dichiarazione del nuovo Governatore Zaia alla SAVE che conferma l'impossibilità procedurale d'approvazione.
La TAV, treno ad Alta Velocità
nell'attraversamento dell'area veneziana: la storia /box 2
In Veneto nel 2004 riprende un dibattito sull'Alta Velocità che fa seguito all'intenso confronto degli anni '97-2000. La Regione, in vista della sua scadenza elettorale del 2005 produce una Bozza di Piano Regionale dei Trasporti, adottato in Giunta, mai portato in Consiglio e mai sottoposto a valutazione specialistica. Pur vigendo ancora il vecchio Piano, è a questa Bozza che tutti si riferiscono come facciamo anche noi. Per il superamento del nodo ferroviario assai complesso di Mestre con un tracciato per l' Alta Velocità (TAV) da Milano a Trieste, vengono fatte tre ipotesi:
− una, a Nord di Mestre, lungo una ferrovia dismessa, vecchio tronco militare solo in parte in uso, che raccoglie le radiali ferroviarie da Padova, Castelfranco, Treviso e San Donà;
− una sotterranea, diretta che collega Padova e Trieste;
− una che, superata la stazione di Mestre verso Venezia, punta a est entrando in galleria, sotto il bordo della laguna, per congiungersi alla Metropolitana Regionale di Superficie (SFMR) in una stazione dentro l'aeroporto e poi prosegue, a ridosso della città romana di Altino, per superare il Sile ed andare oltre.
Non fu operata alcuna comparazione e la Regione effettuò una scelta a favore della stazione all'aeroporto di Tessera finanziando un progetto preliminare alla società di progettazione Italfer. Si è configurata così una linea proveniente da Milano, per soli passeggeri e senza possibilità per le merci, fino alla fermata all'aeroporto. Tracciato che salta, secondo la società aeroportuale SAVE, la stazione Meste-Venezia. Successivamente prosegue nella bassa pianura quasi fino a Portogruaro; in Friuli si affianca all'autostrada e successivamente alla linea esistente fino a Monfalcone. Da qui, in due gallerie sotto il Carso, sconfina per la Slovenia a Divacia dove dovrebbe avvenire l'intersezione tra la linea Lubiana-Capo d'Istria e il così detto progetto ferroviario 6 Lione-Budapest, uno dei 30 progetti prioritari europei. Il progetto complessivo è assai composito (linee nuove ed affiancamenti all'esistente) ma non manifesta alcuna strategia per il futuro. Assai indicativa è una dichiarazione di Moretti, amministratore di FS, in risposta alla Regione, che così sintetizziamo: i treni TAV non sono un servizio pubblico ma treni per il business, collocati ove è possibile fare utili, che seguono il libro bianco dei trasporti della Comunità Europea nel privilegiare, per ottenere alta velocità, solo le grandi città. Chi vuole fermate ravvicinate - rivolto alla Regione Veneto-, se le faccia assieme ai treni! E poi: noi guardiamo a nord più che verso la Slovenia perché, con Belgrado, sarà importante forse per una integrazione della Turchia non prima degli anni 2050. Possiamo con serenità concludere che il grande progetto TAV, quando esce a est da Venezia, è ancora tutto da decidere.
Appaiono comunque opportune alcune considerazioni sull'Alta Capacità (trasporto di merci da dirottare dalle strade alla ferrovia) e Alta Velocità (trasporto veloce di passeggeri). L'intero progetto preliminare, non solo per quanto attiene al nodo di Venezia-Mestre ma per l'intera tratta, riguarda esclusivamente i passeggeri. L'offerta che viene fatta è infatti per un totale di 24 treni/giorno, ossia un treno ogni 2 ore per senso di marcia (sic!); di fatto una linea molto poco utilizzata quando per le merci si prevedere un servizio ben più sostanzioso di 116-138 treni/giorno. Si configura così un servizio di linea, in nuova sede, con impatti e costi conseguentemente alti ma debole per i pochissimi passeggeri trasportati. L'unica giustificazione tecnica potrebbe venire dall'utilizzo della linea anche per il traffico merci che invece viene assolutamente precluso dalla scelta dell'alta velocità a 240 km./ora. Al proposito appare viziosa ogni ambiguità: a oggi, in Italia, non è stato possibile utilizzare per il trasporto di merci nessuna linea realizzata per la TAV, specializzata a 240 km./ora,! E' bene comunque ricordare che queste sono solo offerte di traffico del progetto preliminare ma che non esistono in assoluto previsioni del traffico in numero di passeggeri o tonnellate di merci trasportate, carenza assai grave per una scelta ponderata. Appare comunque evidente come l'unica possibilità per le merci sia far passare i treni a nord di Mestre lungo la linea dismessa e parzialmente interrotta detta “dei Bivi”. Ma di questa possibilità, che dovrebbe prevedere modi e percorsi ristrutturativi, non c'è traccia alcuna nel progetto. Come non appare neppure l'ipotesi progettuale di utilizzare un'unica linea (di giorno per i passeggeri e di notte per le merci, con treni che viaggino alla media velocità di 130/140 km./ora) che potrebbe essere ricavata con opportune ristrutturazioni dai percorsi esistenti, con rilevanti risparmi e riduzione d'impatti. Per quanto riguarda le velocità infine, ecco un dato, che ci sembra eclatante, per tutti: i tempi di percorrenza per la tratta da Mestre-Venezia a Trieste, con velocità diversificate in ragione dei tracciati, per la TAV sono di 52 minuti contro i 58 utilizzando la vecchia linea rammodernata ! Sei soli minuti in più ma quale il risparmio economico e di suolo e quanto minori gli impatti sull'ambiente?
La metropolitana sublagunare: la storia/ box 3
L'idea di collegare in profondità la Venezia insulare con la terraferma ha una lunga storia che comincia con un comitato di studi che, all'inizio del secolo scorso, proponeva una galleria di 3.600 metri ad una profondità di 9-10 metri. Successivamente, dagli anni '60, si proposero altri diversi progetti prima di arrivare a quello odierno. Diversi, ma tutti accomunati dal non aver saputo cogliere, di Venezia, le diversità che ne configurano la cifra identificativa anche rispetto ad altre città pur belle. Una di queste diversità è il rapporto che essa intrattiene col tempo: un rapporto tutto speciale, che rifiuta ogni omologazione soprattutto basata sulla velocità.
Ma è proprio per proporre una mobilità rapida, che alla fine del 1999 il Comune di Venezia e la Camera di Commercio, con un protocollo d'intesa, promuovono uno studio di fattibilità per una metropolitana subacquea da realizzare in project financing. Nel 2002 si costituisce un' Associazione di Imprese dietro all'ACTV, società per i trasporti locali partecipata dal Comune, che presenta un progetto di collegamento sublagunare Mestre-Venezia. Nel 2003, per cercare un finanziamento pubblico, la Giunta veneziana dichiara il progetto“di pubblico interesse” e nel 2004 viene considerato “infrastruttura strategica” e inserito nell'elenco CIPE come opera che si può realizzare direttamente in variante ad ogni diversa previsione urbanistica. Comincia da allora un percorso, contraddittorio e ondivago da parte del Comune che “convenziona” con i promotori, nel 2004, un progetto da 270 milioni, assumendosi fino al 90% del rischio per eventuali mancati introiti. Ma nel 2009 firma una nuova convenzione, su una previsione di spesa aumentato a 420 milioni, (+40%), affermando di essersi liberato così dall'obbligo del ripiano finanziario per possibili perdite d'esercizio. Nella verità il promotore è l' ACTV, sua partecipata al 36% e ogni sua perdita sarà, proporzionalmente, perdita dell'Amministrazione. L'autosufficienza gestionale è una controversia perenne dell'intera operazione, perché da tutte le analisi appare evidente come non sia economicamente sostenibile. Ma, per poter sottoscrivere una nuova convenzione che ne diminuisce il coinvolgimento economico, il Comune accetta tre pesantissime condizioni. I promotori, presentando un nuovo piano economico, potranno insindacabilmente aumentare il costo dei biglietti per i non residenti, potranno ottenere il prolungamento della Convenzione quarantennale e“modificare, migliorare, potenziare ed estendere” il piano dell'opera (di fatto farla come e dove vorranno). Il Comune inoltre si impegna a sostenere la macro speculazione immobiliare di Tessera con annessa fermata del treno ad alta velocità (TAV), per potenziare il bacino d'utenza del trasporto subacqueo. L'opera è di fatto economicamente insostenibile, a servizio quasi esclusivo dei turisti come rilevato anche dal Piano del Traffico del Comune e costringe il Comune a cedere la sua sovranità sul governo delle trasformazioni dell'intera area.
Costruttivamente la sublagunare si sviluppa su un percorso di 8 km., con 7 fermate: Favaro (est di Mestre), Aeroporto e Tessera (Tessera City), Murano, Fondamente Nuove e Ospedale, Arsenale (Venezia), prevedendo la possibilità di proseguire fino al Lido ed oltre. Tre sono i vettori che la percorrono , con frequenza di 7-8 minuti e capaci di 200-300 persone. Oltre alle stazioni di fermata, si prevedono 2 vie di fuga emergenti in piena laguna, molto elevate sul pelo dell'acqua, come anche le fermate veneziane, per evitare allagamenti. I mezzi corrono in una sola galleria a notevole profondità con possibilità di un punto di interscambio.
I Vigli del Fuoco si sono già espressi sulla sicurezza, bocciando l'unicità del tubo e geologi della Regione e della Provincia, in uno studio recente, hanno confermato il grave rischio di intaccare, con lo scavo in profondità, l'integrità della piattaforma di argille fossili (caranto) che, pur in maniera disomogenea, sostengono fondo lagunare, isole e costruzioni dei centri abitati.
La conferenza stampa di Italia nostra ha suscitato grande interesse sulla stamoa estera, e reazioni stizzite degli amministratori locali (i materiali sono presentati nel sito della sezione veneziana dell'associazione, che costituisce un ottimo riferimento alle vicende della città e del suoterritorio). La relazione di Gasparetto, insieme a quelle di Luigi d'Alpaos e di Lorenzo Bonometto, distribuite nell'occasione, hanno costitutito un ricco dossier sulle condizioni attuali della città cui la stamoa internazionale ha dato ampia rilevanza. Finalmente la questione di Venezia è tornata all'attenzione del mondo, non per decantare le "magnifiche sorti e progressive" del MoSE, ma per conoscere i problemi veri della città, i rischi che corre, il degrado che è in atto per colpa di politiche stupide, miopi ed espressive di quel neoliberismo straccione che prevale in Italia.
Alle tre emergenze cui dedica il suo dossier Gasparetto ce ne sarebbe da aggiunfgere una quarta: quella della democrazia . C'è da chiedersi infatti quale democrazia sopravviva in una città (e in una regione) dove decidono tutto i commissari speciali cui le istituzioni cedono i loro poteri (si veda il commissario Spaziante al Lido di Venezia) e i grandi gruppi privati vengono chiamati a fare i mecenati e in cambio comprano i pezzi strategici della città (vedi il libretto di Paola Somma, Benettown , della piccola e coraggiosa casa editrice Corte del Fontego).
Per finanziare la costruzione a Venezia di un nuovo Palazzo del Cinema da cento milioni (iniziali), è stata concepita una complessa operazione immobiliare con la dismissione di un vecchio ospedale, anomalie e procedure poco trasparenti, nomina di un commissario governativo e aste vinte dalle aziende che già costruiscono le dighe del Mose. Alla fine, in un crescendo dei costi e cambi di progetto, verrà cementificata l'intera isola del Lido. Senza che sia costruito alcun Palazzo del Cinema. Una storia esemplare di sprechi, ma con un probabile utile record per il fondo privato che ha realizzato l'operazione.
Il progetto del Palazzo del Cinema di Venezia
Sette anni fa la Biennale, allora presieduta da Davide Croff, lanciò un concorso internazionale per realizzare il nuovo Palazzo del Cinema al Lido di Venezia. Il progetto vincente sarebbe costato circa cento milioni di euro. L’anno successivo (era il 2006) il Governo si impegnò a cofinanziare l’opera nell'ambito delle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia con un contributo di circa 40 milioni. La cifra non finanziata dal Governo sarebbe stata a carico del Comune di Venezia e della Regione Veneto. A gestire tutta l’operazione venne chiamato non il sindaco di Venezia, ma un commissario governativo con poteri inizialmente limitati al nuovo palazzo del cinema e poi via via estesi a tutta l’isola del Lido.
Vecchi ospedali e nuovi fondi
Per reperire i fondi necessari, che Comune e Regione certo non avevano, si mise in piedi un'operazione immobiliare. Con la regia del commissario, il Comune (a quel tempo retto dal sindaco Massimo Cacciari) avrebbe acquistato dalla Ulss (Unità locale socio sanitaria) 12 del Veneto (e quindi dalla Regione) il vecchio ospedale del Lido. Una variante del piano regolatore, approvata in anni precedenti, già consentiva un cambio di destinazione di alcuni edifici del complesso ospedaliero. Il Comune avrebbe esteso questo cambio di destinazione a tutta l’area dell’ospedale e lo avrebbe venduto moltiplicandone il valore.
Così avvenne. Per arrivare alla vendita furono necessarie due gare delle quali la prima andò deserta, mentre la seconda -indetta con tempi brevissimi, meno di tre mesi, in modo da rendere pressoché impossibile la partecipazione di grandi gruppi immobiliari esteri - si concluse con un prezzo di circa 72 milioni di euro. L’acquirente è il fondo immobiliare Real Venice gestito dalla società EstCapital del quale sono azionisti alcune delle imprese che stanno costruendo le dighe del Mose: Mantovani e Condotte. Del prezzo di vendita, 32 milioni sarebbero andati alla Ulss, il resto al Comune, una cifra non lontana da quanto necessario per contribuire alla costruzione del nuovo Palazzo del Cinema, sebbene ancora insufficiente.
In base a queste premesse venne fatto l’appalto per la costruzione del Palazzo del Cinema.
Errori procedurali
In questa semplice sequenza vi è già una serie di errori procedurali: (i) un commissario senza che vi sia nessun motivo di emergenza; (ii) l’estensione dei poteri del commissario (nel frattempo era stato nominato Vincenzo Spaziante, un funzionario della Protezione civile) cui vengono accordati pieni poteri su tutto il Lido, anche in deroga alla normativa vigente e nonostante l’opposizione del nuovo sindaco di Venezia Giorgio Orsoni; (iii) la distrazione di risorse Ulss per fini non sanitari: l’ospedale è stato venduto dall’Ulss al Comune per 32 milioni e da questi rivenduto per 72 - un’incauta vendita da parte dell’Ulss: infatti il piano regolatore già prevedeva, almeno in parte, il cambio di destinazione.
…E anomalie
Comunque, fatto l'appalto, iniziano i lavori per il nuovo Palazzo del Cinema e il commissario, in attesa che il Comune incassi, comincia l’opera utilizzando i fondi destinati dallo Stato. Rapidamente, ma non prima di aver speso 37 milioni, come dichiarato da Spaziante il 16 giugno scorso (nessuno sembra stupirsi di come sia stato possibile spendere 37 milioni di euro per fare un buco, se pur grande) si scoprono, nel sottosuolo dell’area, dei rifiuti in amianto. Evidentemente, le cose erano state fatte così in fretta che nessuno aveva pensato di fare delle verifiche. I costi lievitano al di là dei 100 milioni inizialmente previsti. Poiché i soldi nessuno li ha, il commissario abbandona il progetto. "Non c’è altra via, con la sola finanza pubblica non saremmo riusciti ad arrivare alla fine, visti i costi aggiuntivi dovuti alla presenza dell’amianto – spiega all’Ansa il ministro Galan – finora sono stati spesi 37 milioni e quello che è stato realizzato con quei 37 milioni dovrà essere ricompreso nel nuovo progetto". Non mi è ovvio come, dato che verrà costruita una sala cinematografica, invece di un grande Palazzo del Cinema.Sacaim, l’impresa che si vede cancellare i lavori per il Palazzo del Cinema, chiede al commissario un risarcimento di 50 milioni. Come scrive La Nuova Venezia l’impresa “non ci sta a fare da capro espiatorio per il grande pasticcio del PalaCinema”.
Il progetto cambia ancora
Le disavventure del progetto non finiscono qui. La cubatura promessa al fondo di EstCapital consentiva la costruzione di due grandi torri: nessuno aveva osservato che dietro all'ospedale c'è un aeroporto, che con quelle torri avrebbe dovuto esser chiuso. Conclusione: le torri non si possono fare. EstCapital chiede di essere compensata. Il commissario, interpretando in modo un po’ lato i suoi poteri, acconsente alla costruzione di una darsena per imbarcazioni turistiche, lungo una delle bocche di porto del Lido - proprio là dove si sta costruendo il Mose, con evidenti economie di scala, essendo gli azionisti di EstCapital, e quindi le imprese che presumibilmente costruiranno nell’area del vecchio ospedale, le stesse che stanno costruendo il Mose. Una darsena per un migliaio di barche, la cui dimensione sarebbe analoga all’isola della Giudecca. La rinegoziazione del contratto consente al commissario di alzare il prezzo e ottenere una cifra più vicina a quella di cui il Comune avrebbe dovuto disporre se si fosse costruito il Palazzo del Cinema. Dai 72 milioni iniziali il prezzo di vendita dell’area dell’ospedale lievita a 81 milioni: alla Ulss sempre 32, al Comune 49.
Ma agli acquirenti la compensazione non basta: chiedono al commissario di poter acquistare ed edificare anche il bel parco della Favorita, adiacente all'ospedale. Il commissario fissa un prezzo, 20 milioni, che EstCapital ritiene troppo elevato: quell’asta va deserta (per ora).
Conclusione: l'isola del Lido verrà stravolta senza alcun motivo perché non si costruirà alcun palazzo del cinema. Il Comune (se la Corte dei Conti non obietterà) incasserà 49 milioni, dai quali occorre detrarre i 37 pagati dai contribuenti per fare il buco. Potrebbe andare a finire che l’isola del Lido è stata cementificata per un incasso netto di soli 12 milioni - o con una perdita netta di 38 milioni, se il giudice obbligherà il commissario a pagare alla Saicam il risarcimento chiesto dall’impresa.
Quanto guadagna l’immobiliarista privato?
La cosa straordinaria è che queste cifre sono briciole rispetto all’utile presumibile del fondo che ha fatto l’operazione immobiliare. Azzarderò un calcolo, premettendo che i numeri sono solo stime, ma non credo lontanissime dal vero. I metri quadrati realizzabili nell’area dell’ospedale sono, come detto, circa 70mila; il valore atteso della vendita è stimabile intorno ai 7mila euro/mq, il che porta ad un valore lordo complessivo della vendita vicino a 500 milioni di euro; il costo di realizzazione è stimabile in 140 milioni di euro (2mila euro/mq), ai quali si possono aggiungere oneri vari per 20 milioni di euro, per un totale di 160 milioni di euro; il costo di acquisto dell’area, come detto, è stato 81 milioni di euro; il costo complessivo dell’operazione è quindi 240 milioni di euro circa; l’utile atteso dell’ordine di 260 milioni di euro, senza contare la darsena e i profitti delle imprese che costruiranno.
Signor sindaco, non sarebbe opportuno che Lei usasse i poteri autorizzativi in capo al Comune per impedire questa operazione disastrosa per Venezia?
É la logica dei commissari straordinari, baby. Vincenzo Spaziante è stato nominato commissario straordinario, con pieno consenso bipartisan, per la realizzazione del Palazzo del cinema e dei convegni, inserito nell’elenco delle opere celebrative del 150° anniversario dell’unità d’Italia. I suoi poteri sono stati estesi, con pieno consenso bipartisan, a tutte le opere necessarie per lo sviluppo economico del Lido di Venezia. É una logica devastante (condivisa dai riformisti di destra e di sinistra) che ha visto spesso quelli che dovrebbero essere i garanti dei diritti democratici (i sindaci, e in generale gli eletti) complici o promotori dell’abolizione della democrazia. Si veda il libretto del sottoscritto, Lo scandalo del Lido, nella fortunata collana Occhi aperti su Venezia dell’editore Corte del Fontego. (e.s.)
Una voragine al posto dello storico bosco e lavori fermi: è quello che resta del progetto per il Nuovo Palazzo del Cinema. Avviato al solito in "emergenza" dal vice di Bertolaso. E per finanziare l'opera si stanno svendendo gioielli della laguna, dove costruire ancora
LIDO DI VENEZIA - Un grande buco, anzi una voragine pietosamente recintata e coperta da una plastichetta di cantiere. Intorno, dove un tempo brillava il verde brunito di una pineta, il vento alza mulinelli di polvere bianca. A quasi tre anni dall'inizio dei lavori, la voragine è tutto quel che c'è del Nuovo Palazzo del Cinema, una delle grandi opere infilate fra le celebrazioni dell'Unità d'Italia, che quell'appuntamento ha già saltato e che chissà se vedrà mai la luce. O chissà come, visto che siamo alla quinta revisione del progetto e a ogni revisione si toglie un pezzo. Giancarlo Galan, neoministro dei Beni culturali, ex governatore della Regione Veneto, era qui davanti al Casinò il 28 agosto del 2008. Sistemava la prima pietra del nuovo edificio. Con lui l'allora sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, l'ex ministro Sandro Bondi e il presidente della Biennale Paolo Baratta. Dalla prima pietra alla pietra tombale. Ora, trentatré mesi dopo, Galan fa sapere che per il Palazzo del Cinema serve un'idea nuova, che i costi sono troppo elevati e che così non si va da nessuna parte.
Un pasticcio. Al Lido di Venezia si sta consumando una vicenda esemplare. Per pagare i suoi costi (all'inizio 130 milioni) si è scelto di vendere alcune delle porzioni più pregiate del territorio isolano, come la vasta area dell'Ospedale a Mare con la sua spiaggia di finissima sabbia chiara. Un'area pubblica, ora privatizzata. Qui, costringendo al trasloco anche l'ultimo presidio sanitario, sorgeranno un complesso residenziale e alberghiero e si allestirà un porto per 1.000 barche, grande 50 ettari, più o meno la superficie di un'altra isola della laguna, la Giudecca. Un vero stravolgimento del Lido, striscia di terra lunga e stretta che chiude la laguna veneziana, luogo di leggendarie vacanze ai primi del Novecento, quando vennero edificati villini e palazzine liberty. Poi, dal dopoguerra, una lenta crisi, niente più mondanità internazionale salvo durante il Festival del Cinema. Qui il verde è ancora tantissimo, soprattutto nelle punte estreme dell'isola, verso Malamocco e gli Alberoni e verso San Nicolò. Dove, appunto, sorgerebbe il porto. Contro la frenesia edificatoria che sta abbattendosi sul Lido sono nati comitati di cittadini, sono stati lanciati appelli e sono partiti esposti e denunce alla magistratura. Il Comune è con l'acqua alla gola. Se non vende i suoi tesori rischia di non poter più saldare i conti del Palazzo del Cinema. E finirebbe fallito. Il sistema per finanziare l'edificio fu promosso dal sindaco Cacciari ed è poi stato ereditato dall'attuale amministrazione di Giorgio Orsoni. Che ora prende tempo e lascia trapelare soluzioni alternative: limitare le nuove edificazioni, ristrutturando il vecchio Palazzo del Cinema e creando collegamenti tra gli edifici esistenti.
Straordinarie le manomissioni al paesaggio, straordinarie le procedure. La costruzione del Palazzo del Cinema è stata commissariata e affidata a un dirigente della Protezione civile, Vincenzo Spaziante, che ha poteri straordinari, come se il Lido dovesse fronteggiare una calamità naturale. Spaziante è stato vice di Guido Bertolaso e fra gli artefici del progetto C. a. s. e. dopo il terremoto dell'Aquila. Al Lido non vigila solo sul cantiere, ma ha competenza su tutti gli affari immobiliari che ruotano intorno all'operazione, l'Ospedale a mare e non solo. È un sindaco ombra ed è come se l'isola fosse privatizzata e sottratta alle ordinarie competenze comunali: per le varianti urbanistiche, per esempio, si salta il passaggio in Consiglio comunale. Ma la vicenda trascina anche una scia di personaggi incontrati nelle inchieste giudiziarie sulla "cricca": grande del Palazzo del Cinema era Angelo Balducci, l'ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici finito in carcere, e in varie fasi del progetto troviamo impegnati Fabio De Santis e Mauro Della Giovampaola, anche loro arrestati, e le cui notti veneziane all'Hotel Gritti erano allietate, stando agli accertamenti dei magistrati, da escort inviate da Diego Anemone.
Il cantiere del Palazzo del Cinema, affidato alla Sacaim, una delle imprese più potenti a Venezia e nel Veneto, si è impantanato perché, ai primi scavi è venuto fuori amianto. E più si scavava più ci si imbatteva nella micidiale sostanza. I costi in questi tre anni sono impazziti: fra progettazioni e lavori si è già speso 35 milioni. Troppo per avere solo una voragine e per la pazienza dei lidensi, già minata dalla distruzione di una delle più belle pinete dell'isola, centotrenta alberi sbaraccati. Che la pineta non si dovesse radere al suolo erano convinti anche i progettisti del Palazzo del Cinema (Rudy Ricciotti e lo studio 5+1AA).
Ma l'argomento che ora inquieta gli abitanti del Lido (circa sedicimila persone) è un altro: il Palazzo del Cinema chissà quando l'avremo, ma intanto galoppano i progetti immobiliari che servivano a pagare l'opera fantasma. Ci troveremo un territorio stravolto, dicono, in cambio di che cosa? L'area dell'Ospedale a Mare è stata acquistata da un fondo immobiliare, Est Capital, sorto per iniziativa di un ex assessore della giunta Cacciari, Gianfranco Mossetto. Il quale esibisce sfarzosi progetti per far tornare il Lido, dice, ai fasti di un secolo fa. La prima mossa il gruppo l'ha compiuta nel 2007, acquistando i due gioielli del turismo lidense, l'Hotel des Bains e l'Hotel Excelsior e il Forte di Malamocco, un complesso militare austriaco costruito a metà Ottocento. Il Des Bains, scenario dei turbamenti di Gustav von Aschenbach nella Morte a Venezia di Thomas Mann, è in ristrutturazione da due anni. L'albergo verrà trasformato parzialmente in residence, ma i lavori sono fermi e non si sa quando riprenderanno. Anche il Forte di Malamocco è investito da un progetto: 32 ville, un albergo, una piscina e altre attrezzature. Anche se non rientrano nell'operazione finanziaria per il Palazzo del Cinema, questi interventi cascano fra le competenze di Spaziante, che nei fatti, insieme a Est Capital, sta disegnando il futuro del Lido. A poche decine di metri dall'Ospedale a Mare c'è l'area della Favorita, quasi due ettari di terreno. Il Comune, che ne è proprietario, vorrebbe vendere anche questa e anche questa finirebbe cementificata. Ma per il momento le offerte non raggiungono i 20 milioni richiesti: si sono fatti avanti i comitati ambientalisti, offrendo la cifra simbolica di un euro, un gruppo romano (8 milioni) e la solita Est Capital (10 milioni).
I comitati protestano, preparano documenti e ricorsi amministrativi. È sorto un sito (www.unaltrolido.com). Con loro è schierato l'attuale rettore dello Iuav (Istituto universitario architettura Venezia), Amerigo Restucci. Un urbanista di fama, Edoardo Salzano, ex assessore e animatore del sito www.eddyburg.it, ha scritto un instant book intitolato Lo scandalo del Lido (edito da La Corte del Fontego). In questi giorni è il porto il bersaglio delle più vivaci polemiche. Salvatore Lihard, portavoce dei comitati lidensi, ha presentato alla Regione un dossier di Osservazioni per la Valutazione di impatto ambientale. E anche l'assessorato all'Ambiente del Comune, retto da Gianfranco Bettin, è giunto a conclusioni molto preoccupate sul porto. È di Bettin il paragone fra la nuova darsena e l'isola della Giudecca. Ma altri punti destano perplessità, dalle eventuali conseguenze sulla pesca alla percezione dell'orizzonte che verrà deformata dagli alberi delle barche. All'inizio di questa settimana, infine, il Consiglio comunale ha votato una mozione all'unanimità (ma gli esponenti del Pdl sono usciti dall'aula) in cui si chiede di superare il regime commissariale e di chiarire che sorte avrà il Palazzo del Cinema. Che resterà per chissà quanto tempo ancora solo una voragine.
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