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Riemerge a Venezia la proposta sulla separazione della città antica dal resto del territorio dell'attuale Comune. In una stagione in cui i recinti prevalgono sulla capacità di governare l'equilibrio tra pareri diversi d'un unico sistema, la proposta appare meno irragionevole che nel passato. La Nuova Venezia, 14 gennaio 2017 (m.p.r.)

Se Venezia, Murano e Burano costituissero un comune separato dalla terraferma, forse oggi la difficile questione del turismo sarebbe vicina a una risposta sensata, in linea con l’importante esigenza di salvaguardare la vita e l’economia locali senza rinunciare al benefici di un afflusso anche importante di visitatori. Questa è almeno la sensazione che si ha di fronte alla lettura di un documento approvato nel pomeriggio dell’11 gennaio dalla municipalità appunto di Venezia, Murano e Burano: un corpo di amministratori pubblici che riflette la composizione delle forze politiche presenti su quei territori.

Purtroppo però le proposte della Municipalità (approvate a grande maggioranza: 15 voti favorevoli, 4 contrari e 3 astenuti), non hanno valore legislativo ma solo consultivo e dovranno passare per l’esame del consiglio comunale vero e proprio il quale, eletto in tutto il Comune e oggi guidato dal sindaco Brugnaro, senza alcun dubbio le respingerà. Sarà un classico esempio del tipo di problemi posti da una democrazia: fino a che punto una maggioranza ha il diritto di imporre la sua volontà (o i suoi interessi) a delle minoranze locali? Nel nostro caso poi resta anche da decidere se la volontà dei veneziani di terraferma non sia a sua volta una piccola minoranza di fronte al resto del mondo, che ha dichiarato Venezia patrimonio di tutta l’umanità e che in gran parte condivide le sensate proposte della piccola Municipalità, come dimostra l’ultimatum posto dall’Unesco (che tra l’altro sta per scadere il primo febbraio dell’anno corrente).
Quali sono dunque le proposte approvate dalla Municipalità e destinate all’abbandono? Formulate dopo l’esame delle “audizioni” proposte dal Comune stesso negli ultimi due mesi (17 audizioni di cittadini, associazioni e forze economiche locali), esse riflettono in modo sorprendente il pensiero espresso dalle associazioni di cittadini meno legate a interessi economici immediati e più preoccupate dal mantenimento di una accettabile qualità della vita, dalla tutela dei valori umani, artistici e paesaggistici del territorio.
Per citare alcuni dei punti più importanti: 1) per la prima volta nella storia del Comune, si osa nominare esplicitamente la “soglia massima” di presenze turistiche ritenute accettabili (si era parlato di “numero programmato”, ma nessuna forza politica aveva osato formulare un numero concreto). Oggi la Municipalità dichiara che la soglia dev’essere di 50.000 presenze, inclusive di turisti pernottanti ed escursionisti. Il dato si avvicina a quello proposto da alcuni gruppi di cittadini: 38.000 da Italia Nostra, 55.000 dal professor Carrera, 35.00 da Jan van der Borg. Altri privati hanno proposto un numero eguale a quello dei residenti (appunto 55.000); 2) si chiede che gli escursionisti siano gestiti iniziando dai gruppi organizzati, il cui numero va fortemente limitato richiedendo una prenotazione obbligatoria.
Solo dopo aver studiato l’effetto di tale misura sulla vita veneziana si potrà pensare se intervenire o meno anche sugli escursionisti indipendenti che viaggiano in proprio (questa era ed è una richiesta esplicita di Italia Nostra). E si propongono misure importanti per il controllo di autobus e lancioni gran turismo; 3) gli appartamenti di Venezia devono andare in affitto a residenti, limitando l’affitto turistico a un preciso numero di giorni per anno (si propone il numero di novanta giorni), come già si fa in altre città del mondo. Si prevedono vantaggi fiscali per chi affitta a residenti; 4) si prevedono incentivi fiscali per le coppie che acquistano casa a Venezia e per i negozi di vicinato, mentre si propongono misure per arrestare la proliferazione di bar, ristoranti e negozi di paccottiglia turistica.
Con l’approvazione di questo documento si può dire che il dado sia tratto. Gli abitanti di Venezia e delle isole si sono pronunciati. Adesso starà a loro e ai loro rappresentanti ricorrere a tutti i mezzi legali, locali, nazionali e internazionali, perché sia rispettata la loro volontà di salvare Venezia dal triste destino di parco turistico da esibire e sfruttare per il guadagno di pochi.

Come approfittare della morte d’un grand’uomo per tirare l’acqua al proprio mulino. La Nuova Venezia, 8 gennaio 2017, con postilla.

Nel 1975 e nel 1976 con i Rapporti scritti per l’Unesco, assieme ad alcuni suoi “giovani allievi”, sulla Pianificazione Urbana e sulla Pianificazione Territoriale, Leonardo Benevolo definisce i contenuti fondamentali che avrebbero dovuto dare (e che daranno poi) corpo al disegno urbano complessivo e alle regole di trasformazione della città di Venezia.

La vicenda di allora, accolta in modo per lo meno controverso dai decisori politici e culturali veneziani di quel momento, dopo avere attraversato il tentativo fallito della redazione di un Piano Comprensoriale che anticipava sostanzialmente la necessità di una dimensione metropolitana della città, doveva trovare il suo sbocco nella stagione aperta nella seconda metà degli anni novanta e poi rapidamente richiusa. Con la stagione delle nuove Giunte e l’elezione di Cacciari sindaco, l’elaborazione culturale che si era accumulata negli anni precedenti poté finalmente trasformarsi in azioni di politica amministrativa e venne avviato un periodo di incredibile attività creativa intorno ai destini della città, sfociata nella redazione in pochissimi anni di tutti gli strumenti urbanistici particolari e generali necessari al suo ordinato sviluppo e corrispondenti ad una visione condivisa.

Leonardo Benevolo, che rappresentava l’espressione più alta di questo pensiero e che più di qualsiasi altro aveva la dimensione culturale di ragionare su Venezia nel quadro di un pensiero urbanistico universale e storicamente fondato, venne chiamato a dirigere e a fare da garante a questo percorso. Nel 1996 venne presentato a Roma nella sede dell’Associazione Stampa Estera e alla presenza di tutti i maggiori urbanisti italiani, di cui si desideravano e non si temevano le critiche, il libro Venezia: il nuovo Piano Urbanistico. L’impostazione del Piano, descritto in quel libro nei suoi elementi strutturali, venne accolto da giudizi unanimemente favorevoli e quell’impostazione fu alla base delle successive elaborazioni che dettero corpo ai piani delle diverse parti della città, unificati poi nel nuovo Piano Regolatore di Venezia.

Va qui notato per inciso che, nonostante tentativi estemporanei di modificare in modo distorsivo per alcune parti e su spinte di interessi privatistici le scelte di allora e nonostante la successiva redazione di un inutile PAT, quelle scelte, che pure avrebbero necessità di essere aggiornate, sono tuttora operanti in città. La fine di quell’esperienza è stata qualcosa di più della semplice conclusione di un lavoro, ma ha coinciso con una svolta nell’urbanistica italiana e in quella veneziana che fa parlare ad alcuni di controriforma urbanistica.

Chi volesse conoscere il pensiero di Benevolo sulla fine di quell’esperienza potrebbe leggere un altro libro Quale Venezia (Marsilio 2007); basti questa citazione: «La progettazione intelligente dello scenario fisico è scomparsa dal dibattito politico e dalle aspettative della gente, proprio mentre si concreta il grande avvenimento epocale a cui tutta la vicenda converge: la distruzione del paesaggio italiano, col suo ruolo primario nella cultura mondiale». E, più in generale, potrebbe leggere gli ultimi libri L'architettura nel nuovo millennio (Laterza 2006) e Il tracollo dell'urbanistica italiana (Laterza 2012), libri di scarso successo per le verità non digeribili dalla cultura dominante che vengono descritte.

Mi rendo conto che questo breve resoconto storico un po’ freddo non dà ragione dell’importanza della presenza di Benevolo e Venezia o lo stesso volerlo definire dal punto di vista della vicenda veneziana rende pallidamente giustizia alla sua dimensione culturale e umana. Per chi come me ha avuto il privilegio assoluto di aver lavorato praticamente tutta la vita al suo fianco, da studente prima, da collaboratore nell’università, e poi in numerosissimi piani urbanistici e infine nella condivisione dell’avventura amministrativa veneziana, diventa estremamente difficile dirne pubblicamente. Le tracce del suo lavoro, oltre ai libri che ha scritto e che in qualsiasi università del mondo mi capitasse di andare scoprivo come fossero tra libri di testo fondamentali, non hanno bisogno di essere celebrate perché hanno agito e agiscono nel profondo entrando a fare parte in modo inalienabile del patrimonio culturale del nostro Paese. A Venezia girano ancora molte persone che sono state allieve o hanno conosciuto Benevolo: è soprattutto a loro che mi rivolgo con queste note.

postilla

Leonardo Benevolo è stato certamente un grande maestro. Moltissimi urbanisti della mia generazione hanno imparato il mestiere a partire dai suoi libri, noti in tutto il mondo. È stato esemplare per la capacità di raccontare con parole semplici, e con una documentazione ineccepibile, le vicende della grande avventura urbana dell’umanità. Chi voglia saperne di più restando su queste pagine legga l’articolo di Francesco Erbani che abbiamo ripreso da
Repubblica all’indomani della sua scomparsa.
Come tutti gli uomini (e anche quelli "grandi") nella sua vita ha commesso qualche errore. A compiere l’errore che ho direttamente conosciuto ha contribuito pesantemente Roberto d’Agostino, quando lo ha chiamato a Venezia a “correggere” il piano per il centro storico, che avevamo faticosamente costruito tra il 1985 e il 1990. La demolizione del piano, e la privatizzazione della città storica iniziarono quando, con la giunta guidata da Massimo Cacciari fu scelto assessore Roberto D’Agostino. I disastri urbanistici di quest’ultimo furono puntualmente denunciati su questo sito. Ne è ricca, ad esempio, la cartella di scritti di Luigi Scano.

Una sintetica esposizione dei risultati del cosiddetto "piano Benevolo" è contenuta in un mio articolo del 2007, “Anch’io sono deluso", nel quale descrivo le pesanti conseguenze di quel piano e della politica di cui è stato lo strumento. Un più ampio sviluppo di quella critica è nel mio Memorie di un urbanista, Corte del fontego editore, Venezia 2010, pp.155-156. Per le ulteriori e più recenti malefatte di D'Agostino numerose testimonianze sono raggiungibili in questo sito digitando, nel "cerca" il suo nome (e.s.)


Un accordo per svendere e privatizzare in blocco l'immenso patrimonio pubblico delle isole minori della Laguna, storicamente utilizzate per gli usi della collettività. Il Sole 24Ore, 18 dicembre 2016

È stato firmato oggi un Protocollo di Intesa tral'Associazione Italiana Confindustria Alberghi e l'Agenzia del Demanio che hacome obiettivo quello di individuare ambiti di azione comuni volti avalorizzare il patrimonio immobiliare pubblico in un settore strategico comequello del turismo italiano, che rappresenta una chiave di rilancio perl'economia del Paese. L'accordo, firmato nelle sale dello Starhotels Hoteld'Inghilterra dal presidente Confindustria Alberghi, Giorgio Palmucci, e daldirettore dell'Agenzia del Demanio, Roberto Reggi, si inquadra in un rapportodi collaborazione avviato da tempo che mira ad una condivisione dei criteri perindividuare il patrimonio immobiliare dello Stato da destinare al segmentoturistico.

Negli ultimi anni l'offerta turistica italiana - si legge inuna nota congiunta - ha modificato il proprio profilo sul mercato mostrando unaumento del 22,5% per gli alberghi di fascia alta che, rispetto al 14,5% del2008, rappresentano il 18,2% del totale. Secondo l'Italy Hotel Investmentsnapshot di EY Hospitality, il 2015 è stato un anno particolarmente importanteper il settore, con un volume di transazione di 795 mln di euro (+47% rispettoal 2014). Il trend positivo è proseguito anche durante il corso del 2016, chedovrebbe chiudersi con un volume di transazioni di un mld di euro.
«Gli investitori esteri sono attratti dal mercatoalberghiero italiano e grande interesse è rivolto alle strutture già esistentisu Roma, Milano, Firenze e Venezia soprattutto quando ad affacciarsi sono glioperatori provenienti dall'Asia – ha dichiarato Giorgio Palmucci –. L'Italia èconsiderata un mercato stabile e sicuro su cui investire e per questo spingiamosulla promozione del prodotto alberghiero partecipando, anche con l'Agenzia delDemanio, come Italia Hospitality presso l'International Hotel Investment Forumdi Berlino. Il settore è ancora caratterizzato da un'eccessiva frammentarietàdell'offerta dovuta anche alle dimensioni delle strutture. Prendere parte adappuntamenti fieristici, di respiro internazionale, alla presenza di enti eistituzioni importanti come l'Agenzia del Demanio consente di trasmettere conpiù forza le reali sinergie tra settore pubblico, associazioni e settoreprivato. Il nostro obiettivo è quello di intercettare investitori e operatoriinternazionali interessati al prodotto turistico del Bel Paese. Con ilprotocollo siglato oggi aggiungiamo un nuovo tassello al quadro di rilancio delturismo italiano».

Dopo il male prodotto dall'autore dell'articolo (15 anni fa era assessore all'urbanistica con il sindaco-filosofo) viene il peggio: con l'urbanistica di Luigi Brugnaro siamo scesi ancora più in basso. La Nuova Venezia, 19 novembre 2016, con postilla

Oltre 15 anni fa, dopo due anni di elaborazione, innumerevoli incontri con le commissioni consiliari, con i quartieri (che allora erano 23) con le forze politiche, con le rappresentanze istituzionali, rispondendo a oltre mille osservazione dei cittadini, prima il consiglio comunale poi gli organismi sovraordinati hanno approvato lo strumento urbanistico generale di Venezia, che, indipendentemente dal successivo Pat, detta ancora oggi le regole di trasformazione della città.

Uno dei princìpi fondanti di quel Piano era una profonda revisione delle tendenze allora in atto relativamente al sistema degli accessi in città. Tale revisione prevedeva l’allontanamento del traffico improprio da Mestre e da Venezia, bloccando tutti gli arrivi turistici nei terminal di Tessera e di Fusina, la trasformazione del ponte transalugunare in una strada urbana di collegamento per chi vive e lavora tra Mestre e Venezia, l’abbassamento sostanziale del traffico in arrivo o in transito per piazzale Roma attraverso interventi che portavano a una sua sostanziale pedonalizzazione: il ponte di Calatrava che favorisce gli arrivi via treno, il people mover che rende il Tronchetto il vero punto di approdo automobilistico a Venezia, il sottopasso del garage comunale che allontana oltre 500 mila passaggi da piazzale Roma.
Assieme a questi interventi si prevedeva l’esclusione di ogni parcheggio all’inizio del ponte della Libertà per impedire che il traffico improprio fosse attirato fino alle porte di Venezia e si prevedeva la realizzazione di un garage per 1.200 posti auto, esclusivamente riservato ai residenti e dunque volto a favorire la residenzialità veneziana, nelle aree portuali inutilizzate.
Dopo di allora è evidentemente stato fatto un altro Piano che non conosco perché non è stato mai discusso da nessuna parte e perché nessuno degli organismi democratici lo ha mai approvato in quanto tale, ma ne ha approvate via via delle piccole parti che insieme costituiscono un disegno unitario di segno del tutto opposto al piano ufficiale e vigente. Questo nuovo piano prevede che il terminal di Fusina venga dato alla Save, che nelle aree a verde pubblico urbano dei Pili venga fatto un parcheggio di 600 auto, che a piazzale Roma si raddoppi il garage San Marco, che nelle aree dismesse del Porto si faccia una garage turistico di 1.200 posti e un albergo per 300 stanze (illegittimamente perché si tratta di aree del demanio, quindi di tutti, che il Porto dovrebbe retrocedere allo Stato visto che tra le sue finalità istituzionali non c’è quella di fare alberghi a Venezia), oltre ad altre amenità.
Facendo due semplici calcoli, tra le altre cose (distruzione del più importante esempio di archeologia industriale della città storica, degrado delle aree di arrivo in città, depauperamento ambientale là dove verranno fatti parcheggi al posto del verde pubblico) queste previsioni comporteranno circa cinque milioni di nuovi passaggi automobilistici dentro a Mestre e sul ponte della Liberà ogni anno e renderanno definitivamente impraticabile l’ipotesi di rendere strada urbana il ponte della Libertà e di civilizzare lo scandalo di piazzale Roma.
L’idea che sta alla base di questo nuovo piano è quella di incentivare il più possibile gli arrivi turistici in città nella loro forma più deleteria, il mezzo automobilistico privato, e di aumentare lo sfruttamento turistico della città lagunare. In quanto ai residenti, essi costituiscono un noioso accidente che va sopportato e blandito con affermazioni vuote di difesa della città, mentre gli si tolgono le condizioni materiali di un vivere civile, a partire dalla possibilità di avere un posto auto facilmente accessibile dalla propria abitazione.
Naturalmente questo nuovo Piano che nessuno conosce, perché non c’è e non c’è perché coloro che lo portano avanti nei fatti non hanno neppure il coraggio civile di renderne pubblici i veri effetti, risponde a interessi particolari precisi e immediatamente identificabili. Ma, al di là dei singoli soggetti che traggono vantaggi immediati su ciascuna di queste scelte, esso ha una sua forte ispirazione generale: la città storica ormai priva di difese civili, va sfruttata quanto più possibile a uso e consumo di chi ha la possibilità di farlo. Tutto chiaro. Una sola cosa mi sfugge: come siamo arrivati a questo punto di imbarbarimento nella capacità di vedere, valutare, progettare, scegliere?

postilla

Roberto D'Agostino è stato assessore all'urbanistica a Venezia nella giunta capeggiata da Massimo Cacciari, ed ha "corretto" nel 1996 il piano allora vigente (approvato pochi anni prima come lascito di un lavoro iniziato dalle giunte di sinistra) nel 1992. Nella sostanza il piano D'Agostino si caratterizzava per l'eliminazione di tutti i "lacci e lacciuoli" che impedivano di mutare le utilizzazioni residenziali in atto. Chi vuole comprendere meglio troverà su eddyburg un'ampia documentazione. Rinviamo in particolare alla lettera di Luigi Scano del 2007 e alla sua puntuale analisi critica nello scritto "Quale piano per il centro storico di Venezia". Oggi Brugnaro ci aggiunge del suo. Quod non fecerunt barbari, fecerunt barbarissimi.

Scompaiono giorno per giorno gli spazi e le istituzioni che consentivano l'incontro, il dibattito, il confronto tra cittadini. Cancellati anche i poteri delle municipalità. Il Trumpino in saòr, sindaco protempore, prosegue il suo lavoro. La Nuova Venezia, 17 novembre 2016

È da anni che si parla del rischio che Venezia si trasformi in semplice meta turistica perdendo la connotazione di “città normale”, pur nella straordinarietà del suo patrimonio artistico, architettonico, ambientale. Una città, infatti, non è più tale se non ci sono ragazzi che vanno a scuola e giocano nei campi, cittadini che fanno la spesa nei mercati, se non ci sono ferramenta in cui comprare chiodi e pittura, mercerie, panetterie, luoghi in cui i cittadini si identificano. Su questo tema si sono mosse numerose associazioni e ultimamente un gruppo di giovani ha promosso iniziative e manifestazioni. Questo dà particolare speranza.

Pur sapendo che casa e lavoro (magari un lavoro che non guardi solo all’economia turistica) sono gli elementi principali per garantire la residenzialità, oggi vorrei soffermarmi su tre questioni che considero emblematiche perché fanno parte dell’identità stessa della città, l’hanno connotata e in esse le cittadine e i cittadini si riconoscono.
Parto dalla Bevilacqua La Masa, un’istituzione che rappresenta un’esperienza unica nel panorama italiano e internazionale, lascito di Felicita Bevilacqua La Masa che, con grande lungimiranza, ha pensato alla promozione dei giovani artisti. Nella Galleria di Piazza San Marco, nel Palazzetto Tito, negli studi di Palazzo Carminati e dell’ ex Convento di Ss. Cosma e Damiano si sono formati nomi poi diventati protagonisti della scena culturale internazionale. Costa pochissimo al Comune, è riconosciuta - e invidiata - da tanta parte del mondo culturale nazionale ed europeo. I presidenti hanno lavorato gratuitamente, per puro spirito di servizio. Ricordo ancora Luca Massimo Barbero che la notte prima dell’inaugurazione di qualche mostra era lì con gli attrezzi del mestiere a darsi da fare per sistemare quadri e installazioni. Ma la stessa cosa vale per gli altri, Chiara Bertola, Angela Vettese.
Poi c’è l’Ufficio cinema. Se a Venezia insulare c’è ancora il cinema è solo perché, attraverso l’apposito Ufficio, si è lavorato per realizzare sette sale (due al Giorgione, tre al Rossini, due all’Astra) e assicurare una programmazione diversificata e di qualità. Non si è trattato di una scelta ideologica: si è anche cercato di stimolare imprenditori privati ma di fronte alla loro risposta negativa (perché considerata economicamente non conveniente) il Comune ha deciso di fare da sé, valutando che sarebbe stato scandaloso che la città, sede della più prestigiosa Mostra del cinema del mondo, restasse senza un cinematografo. Anche quest’attività non comporta grandi costi per l’amministrazione comunale. Lo stesso cinema all’aperto, chiuso dall’Amministrazione precedente, stava sostanzialmente in equilibrio finanziario.
Infine il Centro donna, nato negli anni ’80 come spazio per la ricerca e l’elaborazione di culture e politiche delle donne, nella molteplicità dei linguaggi e dei campi d’azione. So che ci sono altre strutture del Comune che meritano attenzione, come il Centro Pace (come non ricordarsi che il primo piano di Ca’ Farsetti, trasformato in Presidio per la pace nel 2002, durante l’assedio alla Basilica della Natività di Betlemme, era l’unico luogo in cui scrittori, giornalisti, esperti cristiani, ebrei, musulmani si incontravano e interloquivano fra di loro?) e l’Ufficio politiche giovanili, ma mi sono dilungate sulla Bevilacqua, l’Ufficio cinema e il Centro donna perché emblematici e caratterizzanti la città stessa, la sua storia . È vero, la giunta Brugnaro ha garantito che non ci sarà alcuna soppressione. Non si tratta neppure di rivendicare ulteriori finanziamenti. Il problema è quello di assicurare la loro identità non omologandoli ad altri servizi, perché queste specifiche realtà si salvaguarderanno e potranno svilupparsi solo mantenendo una gestione autonoma e se intorno a esse continueranno a esserci e a portare il loro contributo gli artisti, le donne, gli appassionati cinefili di questa nostra stupenda e complessa città.

«Tutto a vantaggio dei turisti, ma il Comune non fa una piega, quando potrebbe invece trattare da posizioni di forza». Potrebbe. ma non vuole. Comune e Porto, l'intesa è perfetta. Due crani, un solo pensiero: sfruttare la città finché si può. La Nuova Venezia, 17 novembre 2016

La “dittatura” del Porto sulle aree dismesse della Marittima. La contestata questione del nuovo garage - con albergo da 300 stanze, area commerciale e persino una discoteca - da 2350 posti che l’Autorità Portuale vorrebbe far realizzare nell’area delle ex locomotive, senza neanche un posto riservato ai veneziani, riapre una polemica sempre viva. Quella sollevata anche di recente con una lettera al viceministro veneziano all’Economia Enrico Zanetti - dopo che era rimasta senza risposta quella inviata al sindaco Luigi Brugnaro - dall’Associazione Venezia Cambia, tramite il suo portavoce Marco Zanetti. «La questione è facilmente sintetizzabile.

Secondo Paolo Costa, presidente dell’Autorità Portuale di Venezia, le aree del demanio portuale sono tali in perpetuo e su di esse l’Autorità Portuale può lucrare concedendole a terzi, a prescindere dal fatto che gli utilizzi siano connessi alla portualità. Dovrebbero invece passare al demanio civile (all’Agenzia del Demanio, e da questa, auspicabilmente agli enti locali, trattandosi in genere di aree sostanzialmente urbane o di sicuro interesse urbano».
È quello che sta accadendo per le aree dismesse da decenni alla Marittima, dove doveva sorgere in origine - secondo gli accordi tra Comune e Porto di oltre dieci anni - un garage riservato ai soli veneziani, per dare sollievo ai circa 1200 cittadini in lista da tempo per un posti all’autorimessa comunale. Divenuto poi un garage diviso tra veneziani - con circa 1200 posti-auto a loro riservati - e crocieristi (altri 1100 posti circa). E divenuto nell’ultima versione dell’accordo stipulato tra Costa e Brugnaro un garage da 2.100 posti riservati tutti ai crocieristi, visto che i 250 posti riservati gratuitamente al Comune non andranno a una porzione di residenti, ma diventeranno un “benefit” riservato a imprenditori interessati a investire sulla città.
Tutto a vantaggio dei turisti, ma il Comune non fa una piega, quando potrebbe invece trattare da posizioni di forza. Un decreto del Presidente della Repubblica ha ad esempio già imposto al Porto che lasciasse al Comune la gestione degli approdi turistici di Riva degli Schiavoni e Sette Martiri che invece teneva per sé. Il Porto affida a caro prezzo - con tanto di causa per esiguità del canone - gli spazi che non usava più a San Basilio all’Iuav per usi universitari e dunque pubblici. Concede nell’ex sede della Capitaneria di Porto in Marittima la possibilità di realizzare un nuovo albergo con piscina per crocieristi, come sta per avvenire. E ora si prepara a chiudere il nuovo business del parcheggio multipiano per crocieristi con albergo. L’ultima parola - per la modifica al piano particolareggiato - spetterà però al Consiglio e i “mal di pancia” abbondano a sinistra e a destra, visto che per i veneziani non c’è proprio nulla.
«Siamo qui, come residenti, perché non vogliamo che Venezia, che è già diventata Disneyland, si trasformi a breve in Pompei: un cumulo bellissimo di pietre senza nessuna anima». Articoli di Roberta De Rossi e Elisa Lorenzini, La Nuova Venezia e Corriere del Veneto -Venezia, 13 novembre 2016 (m.p.r.)


La Nuova Venezia
CORTEO CON LE VALIGE
«SALVIAMO VENEZIA»

di Roberta De Rossi

VENEZIA.«Tutti a Mogliano, andiamo tutti a Mogliano, tutti a Moglianooooo...» cantano cinquecento veneziani - chiara allusione alla residenza del sindaco Brugnaro - tirandosi appresso il loro trolley. Sfilano tra le calli del centro dietro al Doge e alla sua enorme valigia rosso fuoco stile Roberta di Camerino, pronto a imbarcarsi in gondola davanti a Ca’ Farsetti, per prendere la via dell’esilio e consegnare definitivamente la città ai turisti. Ieri, tra campo San Bartolomeo e la sede del Comune, è andato in scena #Venexodus (come recitava il grande striscione che ha avvolto il Ponte di Rialto), nuova manifestazione dei residenti veneziani contro lo spopolamento della città, scesa sotto quota 55 mila.
Così, dopo le 300 lenzuola colorate che a luglio hanno avvolto le case della città per #Veneziaèilmiofuturo; il corteo con i carrelli della spesa organizzato dai giovani di Generazione 90, ieri è stata la volta dell’ironica protesta colorata firmata Venessia.com (la stessa del funerale alla città di qualche anno fa e del conta abitanti in campo San Bartolomeo), alla quale hanno aderito una quindicina di comitati.
I perché. «Siamo qui, come residenti, perché non vogliamo che Venezia, che è già diventata Disneyland, si trasformi a breve in Pompei: un cumulo bellissimo di pietre senza nessuna anima. Vanno prese subito misure per contrastare questo declino», dice Matteo Secchi, portavoce dell’associazione, «perché il nostro è un siparietto ironico per accendere i riflettori sul problema, ma seriamente chiediamo all’amministrazione impegni certi per una politica della residenza a favore degli abitanti, che comprenda ad esempio il fatto che chi affitta ai turisti deve pagare molte più imposte rispetto chi affitta ai residenti».
Al corteo che si è snodato tra campo San Bortolo - con partenza davanti al contatore fermo su 54.926 abitanti - e Ca’ Farsetti, è seguito un lungo incontro tra una delegazione e la giunta, assente il sindaco Brugnaro fuori Venezia. «Ci hanno promesso un secondo incontro, che non è un granché, ma non è fine a sé stesso», dice all’uscita Secchi, «noi abbiamo dato disponibilità ad aiutarli: ma non aspettiamo tanto. Per ora sono solo parole, ma se non lavoriamo tutti assieme ai fatti, non saltano fuori le case promesse per il social housing e non si interviene sui flussi e gli affitti turistici, tra un mese facciamo tutti di nuovo casino». «Hanno aperto a progetti di autorecupero degli immobili da parte degli inquilini, che è quello che chiediamo da tempo», dice Chiara, dell’Agenzia sociale per la casa, che occupa alcuni appartamenti in città.
«C’è stato un importante impegno all’ascolto», interviene Giampietro Pizzo, ex candidato sindaco, che nel corteo aveva vivacemente polemizzato con alcuni assessori, «ma vogliamo chiarezza sui programmi, i tempi, le risorse ed essere coinvolti passo passo». «Abbiamo ricordato che il Pat obbliga l’amministrazione nella redazione del piano degli interventi a politiche per la residenza anche a scapito della ricettività», sottolinea Marco Caberlotto, tra i volti di generazione 90, che ha proposto al Comune di seguire l’esempio di Barcellona e Firenze e stringere con Airb&b un patto per la riscossione delle imposte di soggiorno dai turisti che affittano un alloggio attraverso la piattaforma, per reinvestire i fondi sulla residenza.
La polemica. Ma che ci fanno in corteo l’intera giunta e molti consiglieri di maggioranza, in una manifestazione che chiede proprio all’amministrazione politiche certe su casa e turismo per bloccare lo spopolamento? Ci sono la vicesindaca Colle e gli assessori Boraso, De Martin, Venturini, Zaccariotto, Romor, D’Este, Mar, il capodigabinetto Ceron e la presidente del Consiglio Damiano e molti consiglieri di maggioranza. Ogni tanto un gruppo dal corteo intona “Consiglieri infiltrati”. Gli aderenti al gruppo 25 aprile lasciano la manifestazione per protesta. .
L’amministrazione. «Desideriamo tutti lo stesso obiettivo», dichiara in una nota la vicesindaco, Luciana Colle al termine della (quasi) due ore di incontro con la delegazione di manifestanti, «sul tema casa continueremo nel processo di riorganizzazione, riordino, riassegnazione delle emergenze abitative». La giunta ha annunciato che presto verranno azzerati i bandi Social Housing e Erp per accelerare i tempi di assegnazione.«Il tema che deve vederci tutti uniti», continua Colle, «dev’essere quello del rifinanziamento immediato e urgente della Legge speciale per provvedere alla manutenzione della città storica e superare il gap di extracosti ma anche per favorire le ristrutturazioni delle abitazioni residenziali e rilanciare il lavoro dei piccoli artigiani. Un'altra priorità - è stato sottolineato - è creare nuovi posti di lavoro per far rimanere i giovani che studiano nelle nostre università e il rilanciare Porto Marghera».
L’amministrazione si è poi impegnata con i manifestanti ad operare perché «venga rivista, per il centro storico di Venezia, la legge regionale sui Bed&breakfast, così come l'opportunità che venga considerata la specialità di Venezia a livello nazionale sulla questione Airbnb». L’opposizione. M5s attacca per voce del consigliere Davide Scano: «Anziché dimostrare con i fatti la volontà di fermare l'esodo degli abitanti in laguna, la giunta fa passerella. Le delibere votate, o da votare, dicono in realtà che ai nuovi amministratori va benissimo il trend in corso: meno abitanti e più alberghi. Basti pensare, alle due delibere sui cambi d'uso che hanno coinvolto pure un'esponente della lista civica del sindaco, alla vendita di immobili per farne nuovi hotel anziché abitazioni oppure alla scelta di rinunciare ai park per residenti nell'area della Marittima per lasciare tutto ai turisti e autorizzare, in aggiunta, due nuovi alberghi con più di 400 camere»

Corriere del Veneto - Venezia
TROLLEY E CARTELLI
VENEZODUS PER 500
«CASE E SERVIZI, VOGLIAMO VIVERE QUI»
di Elisa Lorenzini

Un dossier di proposte a Ca’ Farsetti. Mezza giunta in corteo, esplodono le proteste


Venezia. Si sono presentati in oltre 500, ieri mattina, per protestare contro lo spopolamento in città, armati di trolley, valigie e cartelli con la scritta #venexodus, alla manifestazione ideata dai Venessia.com. In testa il Doge accompagnato dalla sua maxi valigia, tre metri per due e dietro un fiume di cittadini. Come Annalisa Pastrello con un trolley nero: «La città è svenduta non ci sono più case per i giovani, mia figlia abita in un condominio affittato a turisti, arrivano ubriachi, fanno disastri». Come Patrizia Capuzzo: «Ormai aprono solo negozi per stranieri, questa non è più una città vivibile». Come il fotografo Andrea Avezzù, uno tra i più giovani a sfilare: «Questo è un grido contro lo spopolamento inesorabile, Airbnb va fermato è il colpo di grazia alla residenzialità». Tra i tanti ci sono anche Marco Capitanio e Maria Giulia Manente, due giovani sposi: «Viviamo a Venezia perché avevamo la casa di famiglia, altrimenti non ce l’avremmo fatta». Maria Giulia fa la pendolare con Jesolo: «Servono più servizi per i residenti, dai trasporti ai parcheggi, il comunale non basta».

L’orologio conta residenti in campo San Bortolomio ormai scende in picchiata, la soglia dei 55 mila è già superata. Il corteo ieri è salito sul ponte di Rialto dove è stato srotolato uno striscione con lo slogan della giornata. Tra i 500 c’è chi pensa che il «nemico» sia il turismo tout court, chi punta l’indice contro le masse dei pendolari. «Serve un limite alle botteghe-spazzatura - dice Alberto Bettin - e vanno favorite le imprese culturali che attraggano turismo di qualità». E chi punta il dito contro tanti veneziani. «La gente affitta ai turisti perché guadagna di più - dice Giovanna Massaria, immobiliarista che affitta solo a non-turisti - e i controlli non ci sono, è una situazione nata con la connivenza dell’amministrazione».

Ma in mezzo al corteo c’è anche metà giunta guidata dalla vicesindaco Luciana Colle, con l’assessore al Turismo Paola Mar e la presidente del Consiglio Ermelinda Damiano e uno stuolo di consiglieri fucsia. Una presenza che ha scatenato qualche defezione, abbandoni in corsa e proteste anche contro gli organizzatori. «Avevamo aderito a un corteo di protesta, non a una manifestazione di regime travestita», tuona Marco Gasparinetti del Gruppo 25 Aprile. E Giampietro Pizzo di Venezia Cambia: «Chi ha oggi la responsabilità di decidere non può presentarsi come un cittadino qualsiasi». Protesta anche il presidente della Municipalità di Venezia Andrea Martini che «sventola» l’accordo di programma (bocciato dal parlamentino) di Comune e Porto sulla nuova Marittima con hotel e parcheggi per turisti. «Le delibere della giunta - dice il consigliere Davide Scano (M5S) - dicono che ai nuovi amministratori va bene il trend in corso: meno abitanti e più alberghi».

A Ca’ Farsetti, mentre il Doge, simbolo dell’esodo, parte in gondola lasciando la città, gli assessori hanno ricevuto una delegazione di manifestanti con un dossier di proposte, dall’autorestauro dell’Assemblea Sociale per la Casa, alle maggiori tasse per chi affitta a turisti di Venessia.com. «Ci rivedremo a gennaio - spiega dopo l’incontro il portavoce Matteo Secchi - siamo disponibili a lavorare assieme ma non ad aspettare a lungo, è un’emergenza». Pizzo aggiunge: «Vogliamo chiarezza dall’amministrazione, deve rispondere ai cittadini, non a interessi corporativi».

«Prima la speculazione si limitava a distruggere la bellezza, era un dramma estetico. Ora esclude la vita, il cancro è antropologico. Venezia è prossima a ridursi a un deserto occupato da 30 milioni di visitatori all’anno, un non-luogo privo di comunità». Ma ogni tanto appare qualche segno di speranza ,perfino in una città così corrotta da 20 anni di governi al servizio del Mercato. Incoraggiamoli. La Repubblica, 7 novembre 2016

«Ti ga finoci?». Il sole illumina gli orti della “Maravegia” a Sant’Erasmo, flottanti sulla laguna ancora calda e silenziosa. Lontano le Dolomiti sono già azzurre di neve. Davide Tozzato, 30 anni e laurea in Economia, coltiva verdure in modo naturale. Consegna sul campo, oppure online. «Mi piace questa vita — dice — ma qui il problema è che tocca ai giovani dare il buon esempio agli adulti». A fine mese, per ora, non ci arriva. In compenso quello che fa è buono. A Venezia questa, oggi, è una rivoluzione. I ragazzi non accettano di assistere alla morte della città che la retorica globale assicura di amare di più al mondo.

Dove l’acqua finisce, la scelta è non vedere: sull’ex Serenissima si combatte la guerra cruciale che oppone la vita delle persone semplici agli interessi dei capitali anonimi. Si stenta a crederci ma è la verità: uomini contro soldi a Venezia, i veneziani contro i turisti. E la resistenza, segnale di un’evoluzione più vasta e più profonda, parte dai ragazzi, decimati, espulsi e ignorati. Non può che essere così: la città è stata venduta dai suoi abitanti, i vecchi assistono alla tragedia delle colpe dei padri scontate dai figli. La sfida impossibile di chi è nato qui e ha meno di trent’anni è semplice: restare o tornare a Venezia e sulle sue isole per arginare il vuoto, offerta a termine per una massa di estranei.

«L’Italia e la comunità internazionale — dice Silvia Scaramuzza, maestra d’ascia alla Giudecca — non capiscono che il caso-Venezia è un’emergenza che tocca tutti. Prima la speculazione si limitava a distruggere la bellezza, era un dramma estetico. Ora esclude la vita, il cancro è antropologico. Venezia è prossima a ridursi a un deserto occupato da 30 milioni di visitatori all’anno, un non-luogo privo di comunità. Il passo in più è che anticipiamo il destino del Paese».

La novità è che i giovani non si rassegnano: denunciano, si ribellano e soprattutto fanno. Il 10 settembre lo slogan di Generazione 90 era “Ocio ae gambe che go el careo”:n on tutti sono maschere, qualcuno ancora deve fare la spesa per mangiare. Il 2 luglio “Ditelo coi nizioi” del Gruppo 25 Aprile ha coperto centinaia di case con lenzuola che dicevano: “Il mio futuro è qui, non me ne vado”. La prossima protesta di Venessia. com sarà il 12 novembre: “ Venexodus”, o “Tolgo il disturbo”, tutti con la valigia in mano sotto il municipio. Un doge in gondola abbandonerà Venezia per sempre, tirando un trolley.

Sotto accusa il sindaco Luigi Brugnaro, il primo di destra nella storia cittadina, ma pure i predecessori del centrosinistra. Lo shock però l’ha dato Brugnaro: «Il futuro dei veneziani - la sentenza - è a Mestre o sulla terraferma». Come dire che il centro storico è perduto, una città-selfie in un’Italia stile autoscatto, un palcoscenico sull’acqua. Altro che patrimonio culturale: al tramonto solo uno sfondo. «Fuori nessuno ha reagito - dice Piero Dri, 33 anni, laurea in Astronomia ma remèr a Cannaregio - sulle isole abbiamo capito che la situazione è sfuggita di mano. Chi amministra una comunità non può invitarla ad andarsene per fare posto a chi spende di più. La logica del libero mercato, applicata alle persone, elimina la vita: oggi tocca a Venezia, domani al resto d’Italia».

I numeri contano. In laguna, nel 1946, vivevano in 190mila. I due conta-persone pagati dai residenti ora sono a quota 54.970. In settant’anni la popolazione è ridotta a un quarto, mai la peste ha decimato di più. I giovani non sono più di 6 mila: 3 al giorno vanno via, 2 gli sfratti quotidiani. In un giorno qualsiasi di fine ottobre i turisti registrati sono 57.179: i nativi, età media 47 anni, sono sempre minoranza. «Case inarrivabili - dice Marina Colussi, 24 anni, pasticcera a San Barnaba - scelte di lavoro zero, iniziative per i giovani ancora meno. Finiti gli studi è l’ecatombe: o fai la comparsa per i turisti o devi andare via, qui o bevi nei campielli o cammini per le calli. Oppure ti rimbocchi le maniche e lotti per cambiare tutto ritrovando un’anima».

È la strada dei ragazzi della nuova resistenza civile veneziana. Laureati o diplomati, sono sarte e tagliaoro, pescivendoli e cartai, gondolieri e vetrai, merlettaie e contadini, ma pure programmisti di computer e web designer, urbanisti e restauratori, volontari e istruttori di voga alla veneta. Non emigrare è un sacrificio: vivono in famiglia per risparmiare l’affitto, niente matrimonio e niente famiglia, superfluo abolito. Eleonora Menegazzo ha 33 anni ed è figlia della storica dinastia Berta, battiloro nella casa abitata da Tiziano, dietro Fondamenta Nuove. Pur di non trasferire la bottega in terraferma, ogni giorno sta tre ore su corriere e vaporetti. «Devo dormire a Iesolo - dice - e avere pazienza. Ho studiato Economia del turismo, ma agli alberghi ho preferito un mestiere secolare che si fa con le mani. La pazienza e la bellezza camminano insieme, come l’onestà e la giustizia: la missione della nostra generazione è spingere Venezia a riconoscere i valori essenziali». Tra questi, per chi vuole andare veloce, c’è anche la lentezza. Federico Mantovan, 32 anni, laurea a Ca’ Foscari in Beni culturali, consegna il cibo che produce in barca a remi. All’alba parte da piazzale Roma e voga per i canali, vendendo e parlando con la gente sulle rive. «Nessuna nostalgia - dice - contano la felicità e la soddisfazione di fare bene un lavoro che funziona, in modo giusto e in un luogo unico. Il mio modo di ribellarmi alla condanna a morte dei ragazzi veneziani è ricominciare a fare, accontentandomi con entusiasmo».

Questa è una città fondamentale che la cronaca evita di documentare. Parliamo degli scandali e delle grandi navi che violano il bacino di San Marco, dei vecchi che cacciano i giovani per affittare agli stranieri e dei turisti che si tuffano sugli scafi-taxi dal ponte di Rialto, delle tangenti per il Mose e della crescente voglia di indipendenza, dei cinesi che rastrellano palazzi e chioschi di souvenir. Abitanti contro visitatori e comitive contro residenti, due eserciti accomunati solo dall’odio reciproco e dall’incubo di essere fregati. Oltre alla cupidigia, all’egoismo, alla maleducazione e alla criminalità, rinasce invece oggi un universo veneziano che rifiuta modelli finiti, preferendo la speranza di una modesta vita bella alla disperazione di un’esagerata morte tranquilla.

«Il futuro è proprio qui - dice Fabio Carrera, docente di Economia in città e negli Usa, fondatore del pensatoio hi-tech per studenti Venice Project Center - nello scatto mentale che induce sempre più ragazzi a rifiutare privilegi fatali e a scegliere l’energia della normalità. Grazie alla giovinezza la realtà sta già cambiando: la solidarietà della “cassa peota” può abbattere il muro di affitti e mutui, il made in Venice supera la monocultura turistica attraverso la ricerca e la tecnologia, l’elettronica e il web risolvono l’emergenza degli accessi di massa. I giovani veneziani, con la testa o con le mani, stanno cambiando il modo di fare soldi, rendendolo compatibile con la loro sopravvivenza. Solo i politici e i vecchi speculatori non lo vedono, o sperano nel fallimento di questa travolgente rivoluzione».

La stessa “idea del turista” a Venezia non è più quella promossa da tour operator e media. Lo schema logoro impone il patto ineludibile distruzione-ricchezza, il sacrificio della città, o del Paese, in cambio dell’agio finanziario. Tra chi conta meno di trent’anni prevale invece la fiducia nel coetaneo che, nel resto del pianeta, si mette in viaggio per la prima volta, incarnando il visitatore del futuro. «Se parli con un turista di vent’anni - dice Giulia Ribaudo, 26 anni, laurea in Filosofia e coordinatrice dell’associazione Closer - nemmeno il concetto di rinunciare è più tabù. Chiudere Venezia è punitivo, chiedere che non tutti visitino sempre tutto, che non ogni tour italiano offra sempre anche l’ebbrezza di uno scatto davanti al Ponte dei Sospiri, è gratificante. I giovani accettano di rinunciare a un’emozione per proteggere Venezia e salvare i veneziani, di passare dal concetto di parco- divertimenti a quello di oasi da tutelare per il bene collettivo ».

La prossima campagna dei ragazzi che vivono sull’acqua, offerta alle agenzie internazionali di promozione turistica, avrà come slogan “Amo Venezia: oggi non voglio vederla, domani sì”. È una dichiarazione d’amore, come quella di Michele Rossetto, 29 anni, vetraio a Murano. Tutto chiude, attorno a lui: nelle fabbriche erano 15mila, sull’isola ne restano mille. Ogni giorno nella piccola fornace di famiglia, per vivere e per restare, fonde trecento perle a lume, fiamma a mille gradi, 40 centesimi a pezzo. Sui vaporetti i marinai faticano meno, trovano una morosa, lo stipendio è certo. Lui si cuoce, è solo, d’inverno è povero. Però dice di essere orgoglioso, come Simone dei Rossi, 21 anni, sveglia fissa sulle 3.45 per portare sogliole e vongole al mercato. «Svolgo un servizio per la mia comunità - dice - riesco a mangiare senza fare danni. La bellezza c’è solo se non ci pensi». Vuole dire che se diventa un espediente da sfruttare, sparisce. È la lezione dei giovani partigiani che resistono sulle isole incantate “al di là del ponte”, che non cedono e che non vanno via, oppure che ritornano. Venezia la stanno salvando loro, poche parole, Venezia sono loro. Non si può dimenticarli, vanno aiutati, molto e subito: sarà una felicità.

Dell'accordo per l'uso pubblico di 10 giorni all'anno del "Padiglione degli eventi" «non risulta si sia immaginato nemmeno di parlarne. Di uso pubblico saranno i servizi igienici del grande magazzino». La Nuova Venezia, 28 settembre 2016 con postilla

Dal Fontego dei tedeschi al Fontego dei cinesi. Punterà soprattutto sui turisti orientali (cinesi appunto in prima fila, ma anche giapponesi, coreani) la Dfs per fare dell’apertura di T Fondaco - il nuovo magazzino del lusso della società che aprirà al pubblico sabato prossimo, il primo in Europa della catena - un affare in termini economici, dopo le ingenti spese sostenute. Si punta a Oriente. I turisti cinesi passati per Venezia lo scorso anno - secondo le stime più recenti - sono stati circa un milione. Un altro milione e mezzo sono stati invece i coreani e i giapponesi e circa 400 mila i russi, nonostante la crisi del rublo.
Intercettare buona parte di questi visitatori - contattandoli già alla fonte, come è stato fatto, con accordi con le agenzie turistiche dei Paesi di partenza, vista l’importante presenza della società in Oriente con i suoi punti vendita - è per la Duty Free Shop la base di partenza per rientrare dell’investimento fatto. Non a caso cinese mandarino e russo sono le lingue più richieste a parte del personale assunto per il Fontego. L’obiettivo dichiarato dall’azienda - che è controllata dal gruppo francese LVMH (Louis Vuitton-Moet-Hennessy), leader per i prodotti di lusso - è infatti di rientrare dell’investimento nel giro di due anni. L’investimento.
L’allestimento a “store” del lusso del Fontego - curato dall’architetto britannico Jamie Fobert, per cui non si è badato a spese - sarebbe infatti già costato diverse decine di milioni di euro. In più c’è l’affitto da pagare a Edizione, la società del gruppo Benetton che ha acquistato l’edificio e lo ha ristrutturato per la nuova destinazione. Si parla di circa 110 milioni di euro per un affitto pluriennale (circa 6 anni), comunque rinnovabile. Anche il gruppo Benetton infatti deve recuperare il suo investimento. Circa 56 milioni di euro per acquistare da Poste Italiane il cinquecentesco edificio e un’altra quarantina per ristrutturarlo, con una spesa vicina ai 100 milioni di euro, di cui rientrerà comunque con il contratto di affitto stipulato.
Le prospettive. Ma ora il cerino passa nelle mani di Dfs, che comunque vanta annualmente 200 milioni di visitatori nei suoi 420 negozi sparsi per il mondo - buona parte dei quali in Oriente - di cui 17 T (che sta per Traveller, viaggiatore), gallerie sul modello di quella che sarà aperta a Venezia. L’ultima è stata aperta ad Angkor, in Cambogia, a un passo da uno dei più importanti siti archeologici del mondo, con i suoi meravigliosi templi Khmer. Per garantirsi la redditività, Rinascente - il possibile gestore del Fontego prima che arrivasse Dfs - aveva ipotizzato una base annua di 6 milioni di clienti per il nuovo grande magazzino. Al nuovo gruppo ne basteranno probabilmente meno, anche perché i prezzi dei prodotti in vendita dovrebbero essere più elevati. Lounge al Tronchetto.
Già previsto un lounge - un punto di sbarco - al Tronchetto per intercettare i bus turistici in arrivo a Venezia e inserire il Fontego nel tour di poche ore di molte delle comitive straniere. Padiglione degli eventi. In tutto questo il Comune si limita per ora al ruolo di spettatore. La convenzione stilata tra Ca’ Farsetti e Benetton e ora ereditata da Dfs prevede la disponibilità degli spazi del nuovo “Padiglione degli eventi” ricavato sotto il lucernario, con un nuovo piano, per dieci giorni l’anno, in cambio della rinuncia agli standard e agli aumenti di volumetrie concesse. Dovrebbe essere stilato un calendario degli eventi in collaborazione, ma non risulta si sia immaginato nemmeno di parlarne. Di uso pubblico saranno i servizi igienici del grande magazzino, ma questo non può esaurire l’impegno verso la collettività. Da parte sua Dfs sta iniziando a stringere rapporti di collaborazione con istituzioni cittadine, a cominciare dall’università, proprio in vista del suo programma di eventi.

postilla

Pagheranno mai un prezzo i ladri di Venezia? quei sindaci, quegli assessori e consiglieri comunali, quelle soprindenze, quei "mecenati", quegli architetti e giornalisti e intellettuali che, quando non sono stati complici, hanno tollerato che a Venezia, ai suoi cittadini di oggi e di domani (e a tutta l'umanità, se Venezia appartiene a essa) è stata sottratta questa icona della città, questo suo gioiello e fuoco?
Poiché é questa è l'operazione che è stata compiuta. Passiamo oltre l'orribile volgarità delle architetture, dimentichiamo per un attimo la cancellazione delle testimonianze del passato, e soffermiamoci sull'uso di questo oggetto stuprato. Salvo per qualche pisciata, l'uso sarà riservato, funzionalmente e di fatto alla nuova borghesia compradora, d'ogni parte del mondo. Anche a quella veneziana purché, ovviamente, sia ricca: non di spirito, ma di schei.

Nessuno si interroga sul nesso turisti/rifiuti. E si sa quanto è difficile coinvolgere i turisti nella raccolta differenziata. La Nuova Venezia on line, 26 settembre 2016

Marghera. Settimana decisiva questa per capire se l’ipotesi di un nuovo inceneritore per Veritas a Marghera si concretizzerà, nonostante l’ampio schieramento contrario. Le interrogazioni dei consiglieri Pd Ferrazzi e Pellicani per una discussione in consiglio comunale o almeno una preventiva riunione di commissione consiliare per far pesare il parere del Comune, socio di maggioranza di Veritas, sono rimaste al momento senza risposta. Così come l’appello rilanciato venerdì dalla consigliera Sambo.

La Municipalità di Marghera fa da sola: convocato d’urgenza mercoledì 28 settembre il consiglio municipale per una presa di posizione decisa contro l’ipotesi inceneritore a Marghera. Che si tratti di un nuovo impianto o un potenziamento del Sg31, bloccato nel 2014, la mobilitazione contro il progetto si allarga. Centro sociale Rivolta, Assemblea contro il rischio chimico di Marghera e comitato Opzione zero Termovalorizzatore a Fusina hanno annunciato che ci saranno mercoledì al consiglio municipale convocato dal presidente Gianfranco Bettin, schierato per il no a qualsiasi ipotesi di inceneritore a Marghera e deciso a sostenere le scelte degli ultimi anni che a Venezia hanno azzerato il ricorso alle discariche, chiuso gli inceneritori, puntato sulla raccolta differenziata e sul riciclo. Bettin trova come alleati anche i cinque stelle che a Palermo hanno raccolto sostegno al no all’inceneritore a Marghera da tanti big del movimento.

I comitati ambientalisti annunciano azioni di protesta: un “mail bombing” è partito ieri, domenica, con decine di messaggi recapitati sulle caselle mail di tutti e 44 i sindaci del Veneziano per invitarli a bocciare le ipotesi, smentite da Veritas, di un nuovo impianto. Giovedì 29 settembre presidio davanti alla sede di Veritas a Mestre. Giovedì in via Porto di Cavergnago dove si riuniscono i sindaci per il consiglio di bacino e la riunione del comitato tecnico di controllo. Previsto un presidio con striscioni e fischietti dalle 9 del mattino. I comitati chiedono ai sindaci di prendere posizione «chiara e netta» contro l’aumento della produzione di combustibile solido secondario negli impianti del gruppo Veritas nonché di dire di no alla realizzazione di nuovi impianti di termovalorizzazione o al potenziamento di quelli esistenti. E si richiede «che scelte così importanti siano discusse con i cittadini e nei Consigli comunali e non portate avanti in modo “carbonaro” come si è tentato di fare».

«Abbiamo fatto applicare per un pomeriggio il decreto Clini-Passera di quattro anni fa. Potenza della musica: le navi sopra le 40 mila tonnellate sono partite con 5 ore di ritardo. Non ci eravamo riusciti nemmeno con i tuffi qualche anno fa». La Nuova Venezia, 27 settembre 2016 (m.p.r.)

«Una giornata straordinaria. Ieri si è vista una grande festa, con tanti veneziani che colgono un’idea diversa di città. Siamo molto soddisfatti per questo segnale di vitalità e andremo avanti. Al sindaco Brugnaro diciamo: se è sicuro che i veneziani hanno già scelto di scavare nuovi canali facciamo un referendum sulle grandi navi in laguna». Tommaso Cacciari, tra gli organizzatori della domenica contro le grandi navi alle Zattere, canta vittoria. Oltre tremila, secondo i conti fatti dagli organizzatori, i partecipanti alla kermesse che è durata dalle 15 fino a notte. Con le band musicali sul palco galleggiante, la festa, i discorsi.

E un risultato indiscutibile: i riflettori del mondo di nuovo accesi sul problema grandi navi in laguna. «Abbiamo fatto applicare per un pomeriggio il decreto Clini-Passera di quattro anni fa», continua Cacciari, «potenza della musica: le navi sopra le 40 mila tonnellate sono partite con 5 ore di ritardo. Non ci eravamo riusciti nemmeno con i tuffi qualche anno fa». Per il comitato No Grandi Navi-Laguna Bene comune si è trattato di un «evento storico». «A Venezia c’è tanta voglia di resistere contro l’estinzione», «dice Luciano Mazzolin, «di manifestare insieme e di fare proposte alternative per salvaguardare salute, ambiente e lavoro». Un bilancio positivo, secondo il comitato, che ha permesso di attirare di nuovo l’attenzione internazionale sul problema.

E di rilanciare i «dieci sì», le proposte per fermare la tendenza che sta facendo di Venezia una Disneyland. Stop ai cambi d’uso, controlli sul moto ondoso Non solo una manifestazione. Perché sul palco galleggiante affittato dagli organizzatori si sono alternati dal pomeriggio a sera gruppi famosi. Il clou nell’esibizione di Eugenio Finardi, che ha scandito al microfono slogan contro la grande nave della Costa che usciva illuminata dal canale della Giudecca intorno alle 20. Finardi e poi Oliver Skardy, Gualtiero Bertelli, Furio Forieri, Herman Medrano, Banda Nera, Big Mike, 4 rooms family, i Rimorchiatori, Storie Storte. Cantautori, pop, reggae. Musicisti che si non esibiti gratis per la giornata contro le grandi navi in laguna. «Li ringraziamo come ringraziamo i tanti veneziani che hanno partecipato», dice Cacciari. Adesso speriamo che il governo finalmente scelga e metta fine a questa situazione. I progetti sul tavolo sono tanti». E la battaglia continua. L’obiettivo è rimettere insieme le tante forze («trasversali», dice Cacciari) che hanno a cuore un futuro di verso per Venezia che non sia quello di Disneyland. «Ci ritroveremo presto per fare il punto, insieme ai comitati e alla Municipalità. Intanto grazie a tutti».

«Una protesta che gli organizzatori hanno legato anche alle recenti manifestazioni cittadine - come il corteo dei carrelli - di veneziani che chiedono di riprendersi la propria città». La Nuova Venezia, 26 settembre 2016 (m.p.r.)

Venezia. Una protesta gioiosa e partecipata, a suon di musica (dalla chiatta ancorata alla riva) con almeno un migliaio di persone di tutte le età - duemila per gli organizzatori - assiepate lungo la riva delle Zattere. E barche in acqua - una trentina - talvolta “camuffate” da vascelli di pirati per un “assalto” comunque pacifico alle Grandi Navi che ieri hanno solcato ancora una volta il Bacino di San Marco. Ne erano previste sei in partenza o in arrivo dalla Marittima tra le 16 e le 20, tra cui “colossi” da 90 mila tonnellate come la Msc Orchestra o la Costa Deliziosa, che però hanno atteso fino a sera prima di muoversi.

È stato questo il tono e il carattere della nuova manifestazione di ieri pomeriggio del Comitato No Grandi Navi contro il loro passaggio davanti a San Marco e lungo il canale della Giudecca, favorita anche da un pomeriggio di sole estivo. Con le navi da crociera che sono rimaste a lungo ferme in Marittima - a dispetto dell’orario previsto per il loro passaggio - proprio per evitare le contestazioni acquee dei No Navi. Intorno alle cinque e un quarto una delle navi più “piccole”, l'Ocean Majestic, ha solcato il bacino ed è stata circondata dai barchini dei manifestanti. Poi alle verso le 19 la protesta dei “pirati” per il passaggio di un’altra nave da crociera si è fatta più intensa, con l’emissione di fumogeni colorati e il ripetersi di slogan contro il passaggio delle navi da crociera, tutto in mezzo alla curiosità e dello stupore dei crocieristi assiepati sui pontoni.
Una protesta che gli organizzatori hanno legato anche alle recenti manifestazioni cittadine - come il corteo dei carrelli - di veneziani che chiedono di riprendersi la propria città. Presenti infatti anche altre associazioni, da Italia Nostra (con il presidente Lidia Fersuoch) all’Assemblea sociale per la casa, allo stesso Gruppo XXV aprile. Assenti i partiti (a parte il Partito Comunista dei lavoratori), ma presenti singoli esponenti come i consiglieri comunali del Pd Rocco Fiano e Monica Sambo, quella della Lista Casson Francesca Faccini o il presidente della Municipalità di Venezia Giovanni Andrea Martini.
Al centro della protesta naturalmente, il possibile scavo di nuovi alternativi per il passaggio delle navi da crociera a cominciare dal canale Tresse Nuovo sostenuto dal sindaco Luigi Brugnaro e dal presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa, contro cui i No Grandi Navi sono radicalmente contrari, come hanno ribadito dal palco, tra gli altri, Tommaso Cacciari e l’architetto Cristiano Gasparetto, per Italia Nostra. Bocciata anche l’idea del terminal a Marghera - evocata di recente dal presidente della regione Luca Zaia per uscire dallo stallo attuale - perché è sempre laguna e comporterebbe comunque il raddoppio del Canale dei Petroli «che dopo i guasti che ha provocato andrebbe interrato».
«Non è vero che siamo contro i lavoratori del Porto e i loro posti di lavoro sulle Grandi navi» ha insistito Cacciari «chiediamo solo che vengano tenute fuori dalla laguna». Ma sono stati detti anche una serie di sì, dal palco: all’uso delle case vuote per i veneziani, al controllo del traffico acqueo e del moto ondoso, a quello dell’inquinamento dell’aria prodotto anche dalle Grandi Navi, al mantenimento dei veneziani a Venezia.
Una festa colorata all'insegna della fantasia, con laboratori per bambini e il gioco del tiro di ovetti di gomma alla sagoma delle Grandi Navi. Bandiere al vento, striscioni, gadget e tanta musica dal palco: da quella di vari gruppi giovanili, al cantautore Gualtiero Bertelli a quella del veneziano “Sir” Oliver Skardy a gruppi come i “Rimorchiatori” fino al big dell'appuntamento: Eugenio Finardi (vedi pezzo sotto, ndr) Sul palco anche esponenti del Comitato No Tav di Val di Susa, quelli della rete Stop Biocidio di Chiaiano (Napoli) e i rappresentati di un comitato di Barcellona che si batte contro le Grandi Navi e contro gli effetti del turismo di massa. Spazio anche a uno dei promotori del referendum per la separazione tra Venezia e Mestre come Marco Sitran. E lungo la riva delle Zattere c’è stato infatti anche spazio per uno stand riservato ai separatisti della Sinistra Veneta Indipendentista, con i gonfaloni di San Marco al vento.
Di pari passo alla dismissione del patrimonio pubblico, cresce la richiesta, pressante e inascoltata, di spazi per le associazioni. La Nuova Venezia, 24 settembre 2016 (m.p.r.)

L’importanza e la qualità del lavoro di sensibilizzazione, mobilitazione e proposta che le associazioni cittadine producono a beneficio della comunità veneziana sono ormai un fatto acquisito, un fatto che nessuno (o quasi nessuno) osa più mettere in discussione. Siamo di fronte a un patrimonio prezioso fatto di saperi, competenze e impegno che mantengono viva la comunità cittadina; un patrimonio che è un’autentica speranza per Venezia, nella convinzione che la città saprà superare anche questa difficile fase della propria storia.

Giunti a questo punto, per dare gambe alla quotidiana azione di tante associazioni impegnate su molteplici questioni (dalla gestione del turismo al tema della casa, dalla tutela della laguna e del patrimonio culturale veneziano alla gestione dei beni comuni, dal ripopolamento della città storica alla manutenzione ordinaria, ecc.) è urgente affrontare una semplice ma decisiva questione: quella degli spazi a disposizione delle associazioni.
È stato più volte segnalato come esigui e costosi siano gli spazi a disposizione delle associazioni per il loro lavoro quotidiano al servizio della città. Il tema non ha sinora ricevuto risposte, anzi la situazione si è aggravata, sia per la pressione esercitata sul patrimonio immobiliare da parte della rendita sia per i tagli dei servizi pubblici alla comunità. La questione è dunque dolorosamente aperta: moltissime associazioni non dispongono di una sede in cui riunirsi, in cui preparare e realizzare le proprie iniziative.
Lanciamo dunque un appello alle istituzioni pubbliche e/o ai soggetti privati affinché mettano a disposizione una sede adeguata, una sede condivisa che sia disposizione di tutte le associazioni che ne vorranno fare uso. Chiediamo che questa sede - in nome del principio che la partecipazione dei cittadini vada incoraggiata e non penalizzata - sia concessa gratuitamente o con un affitto meramente simbolico; chiediamo che tutte le associazioni che esprimeranno la volontà di esservi ospitate lo possano davvero fare: semplicemente, con trasparenza e senza ostacoli amministrativi. Attendiamo fiduciosi delle proposte.
Amico Albero
Garanzia Civica
Generazione 90
Gruppo 25 Aprile
Masegni & nizioleti
Patto per la Città Consapevole
Venessia.com
Venezia Cambia

«Il dato è riferito solo agli ultimi dieci anni ma la tendenza non si ferma: oltre 30 mila i posti letto. L’addio degli edifici pubblici (scuole, tribunali, università) per lasciare spazio all’uso ricettivo». La Nuova Venezia, 24 settembre 2016

Hotel Venezia. Un grande architetto che a Venezia ha insegnato e vissuto a lungo come Vittorio Gregotti ha definito così la tendenza - che sembra ormai quasi irreversibile - di questa città di trasformarsi in un grande centro alberghiero, mano a mano che il numero di residenti si riduce e quello dei turisti continua ad aumentare. Solo negli ultimi dieci anni almeno un centinaio tra palazzi e palazzetti ormai vuoti o dismessi si sono trasformati in alberghi e la tendenza si allarga ora agli alloggi privati sempre più trasformati in Bed & breakfast e in appartamenti turistici. Gli stessi albergatori chiedono una moratoria per fermare l’apertura di nuova hotel che invece continua senza soste, come se la capacità ricettiva della città fosse destinata ad estendersi all’infinito.
Una crescita continua. I dati resi noti anche dall’Annuario del Turismo riferito al 2015 e appena presentato in Comune dicono che a Venezia alla fine dello scorso anno c’erano oltre 400 alberghi, con una disponibilità di posti-letto che supera i 30 mila, aumentata di oltre 500 posti solo nell’ultimo anno. A questo si aggiunge l’offerta extralberghiera con altri 20.500 posti tra bed & breakfast, affittacamere, appartamenti turistici (ma qui il “nero” abbonda e molti non sono censiti) e altre forme di ospitalità. Cresciuti al ritmo di oltre 1200 solo nell’ultimo anno. Un gigantesco «dormitorio» per turisti che si concentra soprattutto nella città storica, anche se una parte di turisti, i meno abbienti, non disdegna anche gli hotel di Mestre.
L’addio agli edifici pubblici. La trasformazione in alberghi dei palazzi è ormai diffusa, ma un colpo decisivo a questo fenomeno è arrivato anche dal trasferimento o dalla «fuga» degli uffici pubblici in essi ospitati. Uno dei più lussuosi alberghi aperti in laguna negli ultimi anni - l’Aman Hotel, sede tra l’altro di matrimoni vip come quello tra l’attore George Clooney e l’avvocatessa Alanuddin o della tennista Ana Ivanovic con il calciatore Bastian Schweinsteiger - è frutto della trasformazione del cinquecentesco Palazzo Papadopoli, per anni sede del Provveditorato agli Studi, oltre che, poi del Cnr. L’Hotel l’Orologio a Rialto, anch’esso di recente apertura, ha sede a Palazzo San Cassiano, già sede del Tribunale, ma venduto dal Comune di Venezia per fare cassa.
E che dire del seicentesco palazzo a lungo sede del Tar del Veneto in Campo della Fava e ora trasformatosi nell’hotel ai Reali, con area wellness e piccola piscina all’ultimo piano? Anche Ca’ Sagredo, il palazzo ex sede Enel lungo il Rio Novo, che sembrava dovesse diventare sede universitaria - con una trattativa poi fallita perché troppo svantaggiosa per Ca’ Foscari - diventerà un albergo di 144 stanze ricavato dal gruppo spagnolo Nh Group. E anche l’università dà il suo contributo, spesso obbligato, essendo a volte costretta a vendere i suoi palazzi per motivi economici o di utilità, a questa trasformazione alberghiera. Così è ad esempio per Ca’ Nani Mocenigo, già sede di Ca’ Foscari, per cui sono iniziati già i lavori di trasformazione alberghiera.
Lo stesso Comune di Venezia continua sulla stessa china: Palazzo Gradenigo e Palazzo Diedo, venduti lo scorso anno alla Cassa Depositi e Prestiti, attendono l’occasione giusta per diventare hotel. E Palazzo Donà a Santa Maria Formosa sarà presto messo in vendita allo stesso scopo. Una deriva che non si ferma. La tendenza è destinata a continuare, anche perché i grandi gruppi internazionali del settore alberghiero che non sono ancora presenti in città, giudicano in questo momento conveniente investire su Venezia, isole comprese, con la fioritura di nuovi hotel di lusso a San Clemente e a Sacca Sessola. Tra gli ultimi nati il Venart Palace, che ha aperto a San Stae, sulla trasformazione di Palazzo Bacchini delle Palme. A breve distanza dall’hotel Palazzo Giovanelli & Gran Canal, aperto anch’esso di recente trasformando l’omonimo edificio. Nei nuovi progetti - già presentati al Porto - hotel con piscina anche in Marittima per i crocieristi e i turisti di passaggio. Impossibile fermare questa deriva, soprattutto se la città è in grado di proporre solo la destinazione turistica per il suo futuro.
Due articoli (di Ernesto Milanesi e di Giulio Marcon) sulla grande festa di combattimento, promossa dal comitato "NO Grandi Navi", che si svolgerà a Venezia domenica 25 settembre. Il manifesto, 24 settembre 2016




VENEZIA, UNA FESTA
PER SALVARE LA LAGUNA
di Ernesto Milanesi
«Grandi Navi. Domani la manifestazione "Par tera e par mar» per realizzare un’idea di città opposta a quella che hanno in testa le multinazionali delle crocieristica"»

Una festa popolare. E la manifestazione «par tera e par mar» contro le Grandi Navi che violentano Venezia. Domani a partire dalle ore 15.30, dalla riva delle Zattere, torna la «resistenza» che dalla laguna si propaga oltre i confini nazionali.

Come già l’8 marzo in occasione del summit Renzi-Hollande, ci saranno i NoTav della Valsusa insieme alla rete Stop Biocidio di Chiaiano (Napoli) e ai rappresentati del comitato Barris Turisme Sostenible di Barcellona che si sta mobilitando contro le grandi navi e gli effetti del turismo di massa. E ancora comitati, associazioni e gruppi del Nord Est: si battono contro le Grandi Opere che riproducono il «modello Mose», con cui il Consorzio Venezia Nuova e le cricche nazionali hanno divorato finora oltre cinque miliardi di euro [l'autore dimentica di nominare il comitato "NO grandi navi", protagonista del vasto movimento d'opinione pubblica e promotore della manifestazione - n.d.r.]

Sul palco galleggiante di 20×8 metri ancorato di fronte alla riva delle Zattere, invece, è previsto un concerto speciale (dalle 15 fino alle 21) che spazia dal «revival» fino alle sonorità sull’onda delle nuove generazioni: StorieStorte, Rimorchiatori, Rooms Family, Eugenio Finardi, Gualtiero Bertelli, Herman Medrano, Sir Oliver Skardy, Bandanera e Marco Furio Ferrieri. Non basta, perché per i più piccoli viene allestita «la tenda dei piratini» mentre nei gazebo sono garantiti cibo e bevande insieme ai materiali informativi.

«Una festa della città, questo ci attendiamo: abitanti di Venezia uniti per realizzare un’idea di città opposta a quella che hanno in testa le multinazionali delle crocieristica, l’Autorità portuale e il sindaco – anticipano gli organizzatori della manifestazione – Aspettiamo tutti in barca o a piedi perché Venezia non può essere ridotta al silenzio. In una domenica qualunque come quella del 25 settembre è in programma il passaggio di sei navi da crociera, tre delle quali vengono definite di dimensioni ’medio grandi’ (due oltre le 90.000 tonnellate) che rapportate alla scala di Venezia diventano ’mastodontiche’. Di certo, la nostra non sarà un’orchestra di benvenuto».
È la vera partita sul futuro della laguna, perché le «città galleggianti» in Canal Grande nelle immagini di Gianni Berengo Gardin restituiscono lo stridente contrasto fra business e salvaguardia. Venezia città-cartolina rischia di restare definitivamente ostaggio delle lobby: non solo i commercianti del turismo, ma anche la sussidiarietà economico-politica che spazia dalle banchine del Porto alla «rigenerazione» del quadrante Tessera fino all’inossidabile grumo di interessi architettato dall’ingegner Giovanni Mazzacurati.
Venezia resta comunque sotto i riflettori: l’Unesco ha richiesto al governo Renzi di bloccare le navi da crociera nella fragile laguna. Il «patrimonio dell’umanità» va tutelato dall’Italia che entro febbraio 2017 deve spedire all’Unesco un rapporto dettagliato. Comprese le misure urgenti: stop a qualsiasi nuovo progetto infrastrutturale, un documento «legale» che sancisca la proibizione alla grandi navi in laguna, l’introduzione di limiti nel traffico acqueo e una strategia efficace per un turismo sostenibile.

Sono infatti oltre un milione e mezzo i passeggeri che anche quest’anno sbarcano e transitano nel terminal crocieristico. Finora è scattato il blocco solo per le navi superiori alle 96 mila tonnellate, ma occorre sempre trovare una «rotta alternativa» all’ingresso nel delicato centro storico di Venezia. Tanto più che è ormai consolidato l’effetto inquinante delle Grandi Navi: ad aprile l’associazione ambientalista tedesca Nabu ha registrato risultati clamorosi. «Al passaggio di una di queste navi da crociera – spiegano Daniel Rieger, responsabile Trasporti della Nabu e Axel Friedrich, già a capo dell’Agenzia dell’ambiente tedesca- gli strumenti hanno registrato in Canale della Giudecca 150 mila particelle di polveri sottili per centimetro cubo. Significa 150 volte i parametri dell’aria pulita, che prevedono mille parti per milione».


GRANDI NAVI, LE BUGIE
E LE COLPE DEL GOVERNO
di Giulio Marcon
«In questi anni i ministri Franceschini, Galletti e Orlando hanno assicurato che mai più le navi da crociera sarebbero circolate per la laguna. È successo qualcosa? Niente»

Domani ci sarà la manifestazione contro le grandi navi alle Zattere, a Venezia. E ieri il sottosegretario allo sviluppo economico, Antonello Giacomelli ha risposto ad una interpellanza presentata per l’occasione dal sottoscritto per sapere cosa si sta facendo per risolvere lo sconcio del passaggio dei «mostri del mare» per il canale della Giudecca e il bacino di San Marco.

Giacomelli ha risposto assai male. Ha detto che non è escluso lo scavo di nuovi canali in laguna (sarebbe un disastro per l’ecosistema lagunare: comitati e ambientalisti sono contrari). Poi ha detto che i traghetti (che sono spesso sotto le 40mila tonnellate) e le navi merce non passano più per il canale della Giudecca, ma si è dimenticato di dire che quasi 600 navi da crociera (che hanno più del doppio delle tonnellate di un traghetto, numero di navi aumentato dell’80% negli ultimi anni) fanno invece su e giù ogni anno per lo stesso canale. Infine il vice ministro – di fronte alla richiesta – di fare qualcosa presto, urgentemente, ha promesso un incontro tra l’Unesco e i ministeri competenti. Addirittura.

Infatti proprio l’Unesco il 13 luglio scorso nel suo vertice in Turchia ha minacciato di togliere Venezia dal catalogo dei siti «patrimonio dell’umanità» se il governo italiano non interverrà entro il 1 febbraio del 2017 su alcune questioni centrali della città: la salvaguardia dell’ecosistema lagunare, la gestione dei flussi turistici, la questione delle grandi navi. Che fa il governo? Convoca una riunione non si sa quando.

E Renzi che parla tanto di Olimpiadi a Roma e ieri di Expo a Milano, su Venezia – che merita almeno eguale rispetto – non spende nemmeno una parola.

Governo che in questi anni ha assicurato attraverso i suoi ministri (Franceschini, Galletti, Orlando) che mai più le navi da crociera sarebbero circolate per la laguna. È successo qualcosa? Niente. Nel 2012 (c’era il governo Monti) con il decreto Clini-Passera si stabiliva il divieto per la navigazione per le navi sopra le 40mila tonnellate, divieto che però veniva sospeso per trovare delle vie alternative alle navi-grattacielo. Decreto che poi è stato integrato da un provvedimento del governo Letta (nel 2013) che riduceva il numero di passaggi e stabiliva comunque a 96mila tonnellate il limite per le navi. Ma sono state trovate queste vie alternative? No. E le proposte presentate (scavo del canale Contorta, Tresse, ecc.) sono un pericolo enorme per la laguna. Qualsiasi via alternativa non deve manomettere l’ecosistema lagunare e non deve avere impatto sulle emissioni (acustiche ed atmosferiche). Ma intanto il governo latita e la giunta veneziana capitanata da Brugnaro non è da meno.

Allora c’è da fare una sola cosa oggi. Nell’attesa di trovare queste vie alternative (ancora da individuare e poi da realizzare e chissà quanti anni passeranno) bisogna imporre il divieto delle 40mila tonnellate «senza se e senza ma» e stabilire un numero chiuso per le navi. Questa è la strada da percorrere se si vuole salvare Venezia.

Domenica alle Zattere. Un solo no contro le grandi navi, ma tanti sì per una vita a Venezia, per le case per gli abitanti, per fermare il moto ondoso e, infine, un grande sì per “la difesa e il ripristino ambientale della Laguna”». La Nuova Venezia, 23 settembre 2016 (m.p.r.)

Venezia: Un palco galleggiante di venti metri per otto sarà allestito per la “Festa granda” del Comitato No Grandi Navi. La manifestazione per ribadire che le grandi navi devono passare fuori dalla laguna sarà domenica, alle Zattere dalle 15 alle 21; giornata in cui è previsto il passaggio di sei navi, due oltre le 90 mila tonnellate.

Ieri per tutto il giorno gli attivisti hanno volantinato in barchino. Sul sito FB della manifestazione hanno già aderito circa 500 persone, ma se ne attendono altrettante provenienti dai movimenti contro le grandi navi di Barcellona, dai No Tav e dal movimento «Stop Biocidio di Chiaiano» di Napoli. Il microfono sarà comunque disponibile per chiunque voglia intervenire. Ieri mattina, la storica attivista Nicoletta Dosio, che avrebbe dovuto parlare sul palco contro l’alta velocità, è agli arresti domiciliari con l’accusa di mancato rispetto delle precedenti misure restrittive che prevedevano l’obbligo di firma e di dimora. In queste ore si sta attendendo chi la sostituirà.
Nel frattempo sono stati confermati i gruppi musicali. Tra le guest star Eugenio Finardi, ma anche Sir Olive Skardy, Herman Medrano, Gualtiero Bertelli, Marco “Furio” Furieri, Banda Nera, Big Mike, I rimorchiatori, 4 rooms family, Storie storte. Un solo no contro le grandi navi, ma tanti sì per una vita a Venezia, per le case per gli abitanti, per una città solidale e non preda dei turisti, per il controllo del traffico acqueo e del cambio d’uso, per l’artigianato a Venezia, per monitorare l’inquinamento e fermare il moto ondoso e, infine, un grande sì per «la difesa e il ripristino ambientale della Laguna senza grandi opere inutili e dannose come il Mose o lo scavo di nuovi e vecchi canali portuali».

Una volta all'anno le porte del carcere si aprono, e si scopre un luogo bellissimo e una umanità che non si immagina. Il segreto è nella solidarietà di generee nella collaborazione tra le ristrette, la dirigenza, le associazioni e il territorio. ilPost.it, 19 settembre 2016 (m.p.r.)

La porta d’entrata, verde scuro, pesante, è all’interno di un ingresso come gli altri. Superata la guardiola (un ufficio, qualche calendario della polizia appeso a un chiodo, delle agenti penitenziarie che sbrigano le nostre pratiche e ci fanno lasciare le borse in un armadietto) si entra in un corridoio. Siamo “dentro”, come si dice, anche se non sembra.

Il carcere femminile della Giudecca a Venezia è un posto diverso da come ci si immagina una prigione: più volte ci si ritrova a pensare che è un posto bello e poi subito dopo a pensare che un posto così, bello non può essere. È diverso perché quasi tutte le detenute lavorano, perché c’è una sezione speciale per le madri - anche se la legge le prevede, non è facile trovarne di attive in Italia – ed è diverso perché è solo per donne. Questo significa molte cose, ma due in particolare, dicono le persone che ci lavorano: i reati commessi dalle persone qui dentro hanno una fortissima componente affettiva e molte delle condanne più lunghe nascono da uno strano incastro «tra chi usa la legge e chi invece la applica».

La Casa di reclusione si trova in un antico monastero fondato nel XII secolo. Poco dopo il 1600 divenne un ospizio gestito dalle suore per prostitute “redente” e diede il nome alla calle dove ancora oggi si trova l’entrata principale: calle delle Convertite. Se ci si passa davanti non la si vede subito: poco prima ci sono un campo con una vigna e delle reti da pesca, un piccolo ponte e poi un edificio tra gli altri, solo un po’ più alto, di cui fa parte anche una chiesa. Sulla facciata c’è una targa in latino in cui si parla di Santa Maria Maddalena penitente, delle «donne convertitesi a Dio dalla bassezza dei vizi» e delle suore che «con uno straordinario esempio di pietà» ricevettero nel 1859 dal governo austriaco l’incarico di gestire le carceri. All’epoca, la Madre superiora era anche la direttrice.

Le donne detenute sono una piccola percentuale della popolazione carceraria nazionale: in Italia circa il 96 per cento dei carcerati sono maschi e le donne sono circa il 4 per cento. I dati ufficiali più aggiornati (dicembre 2015) dicono che su quasi 54 mila persone recluse, le detenute sono 2.107: di queste 1.267 hanno condanne definitive e 790 sono straniere. La maggior parte delle donne carcerate si trova in 52 reparti isolati dentro penitenziari maschili e vive una realtà che è stata progettata e costruita «da uomini per contenere uomini»: in molti casi le detenute «sono lontane dalle loro famiglie», hanno necessità di salute particolari e «i loro bisogni specifici, in buona parte correlati ai bisogni dei loro figli, sono spesso disattesi». Questo lo scrive il ministero della Giustizia nel suo rapporto del 2015 sulla detenzione femminile. Anche l’ordinamento penitenziario le considera poco e disciplina la carcerazione delle donne solo in due commi all’articolo 11 che fanno riferimento, però, alla sola condizione della maternità.

Rispetto agli uomini, le detenute hanno anche minore possibilità di accesso alle attività lavorative: è una «discriminazione involontaria», dice sempre il ministero, causata dal numero limitato di carcerate e dall’impossibilità di condividere gli spazi con gli altri uomini per evitare situazioni di promiscuità: alle detenute, negli istituti di pena, è quindi spesso negato l’accesso alle strutture comuni per fare sport, per studiare o fare dei corsi e soprattutto per lavorare. Sono più carcerate degli altri.

Questo è come le cose funzionano in generale: poi ci sono alcune eccezioni. Gli istituti penitenziari destinati in modo esclusivo alle donne in Italia sono cinque: Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli e appunto la Giudecca. L’istituto di Venezia è costituito da vari edifici intorno al nucleo originale, formato dalla chiesa e dal convento. Al piano terra ci sono degli uffici, la sala colloqui, il magazzino e la cucina. Al primo piano la sezione detentiva con le aule scolastiche, la biblioteca, quella che chiamano “sala ricreativa”, gli uffici del personale e la cappella. Al secondo piano c’è l’infermeria con una sezione detentiva e due sale. Al terzo piano c’è la “sezione semi-libere”. Altre parti dell’edificio, non utilizzate e un po’ fatiscenti, si affacciano su un grande piazzale interno: è il “cortile dell’aria” con un pozzo chiuso, una vecchia rete da pallavolo e una panchina. Qui “le donne” (così le chiamano le persone che ci lavorano) possono uscire un’ora e mezza la mattina e due ore il pomeriggio.

Il lavoro

Alla Giudecca ci sono 78 donne, il carcere ne può accogliere poco più di un centinaio: 42 sono italiane, 36 straniere di 14 nazionalità differenti. Tra tutte e 78, 57 (cioè il 73 per cento) ha condanne definitive e, in forte controtendenza con la media nazionale, quasi tutte lavorano. Le due o tre che non lo fanno hanno problemi di salute. Ci sono i lavori interni gestiti dall’amministrazione, i lavori di manutenzione ordinaria e poi ci sono una lavanderia, una sartoria, un laboratorio di cosmetica e un posto speciale, che in molti (giornalisti, fotografi, registi) vengono a visitare: l’orto.

All’orto si arriva attraverso un piccolo corridoio dal cortile dell’aria: misura 6 mila metri quadri e ci sono diverse serre. Si coltiva un po’ di tutto, compresi gli ortaggi tipici locali: i radicchi di Treviso (e c’è una vasca per l’imbianchimento), il broccolo padovano, quello di Creazzo, il carciofo violetto di Sant’Erasmo. Girano dei gatti, ci sono anche un frutteto e una sezione “aromatica” dedicata alle erbe officinali e ai peperoncini. Ci fermiamo a parlare sotto agli alberi, è fine estate e l’orto è rigoglioso.

Liri Longo, presidente della cooperativa Rio Terà dei Pensieri che gestisce l’orto, e Vania, che ne fa parte da quindici anni, ci spiegano che la produzione è abbondante e che i frutti e gli ortaggi raccolti vengono venduti al mercatino che due detenute allestiscono fuori dal carcere ogni giovedì mattina. Parte della produzione finisce invece nelle borse distribuite dai gruppi di acquisto solidale della zona o rifornisce alcuni ristoranti di Venezia, mentre le erbe aromatiche e medicinali vengono usate dal laboratorio di cosmetica per la preparazione dei prodotti da bagno di alcuni alberghi: detergenti, balsami, creme. Le cose che si coltivano nell’orto non finiscono nella mensa della prigione ma le donne possono acquistarle, se vogliono: lo fanno soprattutto d’estate. Molte, ci spiegano, non mangiano in mensa, ma hanno dei fornelli da campeggio nelle stanze e con quello che possono acquistare cercano di cucinare i piatti delle loro tradizioni («e riescono a fare delle cose incredibili»).

Nell’orto lavorano sette donne e tutte hanno fatto un apposito corso di formazione. Questa è l’occupazione più ambita, ma la convalida delle richieste e la selezione dipende dal fine pena e dalla situazione di ciascuna. Quello dell’orto, che si trova vicino al perimetro dell’edificio, è infatti considerato un lavoro esterno ed è regolato dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario. Chi sta qui lavora tutto il giorno, dal lunedì al venerdì, non ci sono attrezzi complicati o particolarmente moderni e tutto viene fatto a mano: c’è un piccolo trattore parcheggiato all’interno di una serra che però può essere usato solo dall’agronomo. Insieme al tecnico di laboratorio di cosmetica, è uno dei due uomini che incontriamo dentro la prigione.

Le finestre del laboratorio di cosmetica si affacciano sull’orto. Maggie lavora al laboratorio: è rom, ha 28 anni e tre figli: «La cosa migliore che ho fatto», dice. Tra macchinari e barattoli di creme ci racconta che durante i tre anni di carcere preventivo scontati altrove non ha mai lavorato e che il lavoro in carcere viene considerato un privilegio: «Per buona parte della giornata ho una vita normale, le ore in laboratorio passano veloci, i pensieri restano in cella e poi mi posso mantenere: questo è importante per la mia dignità». Dice che quando stava nell’orto era più bello e intanto guarda sorridendo la sua responsabile: «Non mi sentivo in prigione, mi sembrava di essere fuori da qualche parte e poi la sera quando finivo, mi sembrava di rientrare. I lavori esterni sono i migliori perché non sei a contatto tutto il giorno con le persone con cui già devi vivere». Quello nel laboratorio è comunque un lavoro “qualificato”: servono competenze e determinati requisiti. Un’altra donna che ci lavora ci spiega con orgoglio che è necessario un minimo di istruzione: «Bisogna almeno saper leggere e scrivere per seguire le ricette e poi si ha a che fare con dei prodotti chimici, non tutte possono farlo».

La cosa più bella che è successa a Maggie negli ultimi anni, dice, è stata quella di poter vedere i suoi figli su Skype. Oltre alle telefonate, che sono di soli dieci minuti la settimana, frazionabili, da quest’anno per alcune detenute che non hanno la possibilità di fare colloqui e che hanno figli minori lontani c’è l’opportunità di usare Skype. Non è ancora diventata una prassi, però, e Maggie è stata la prima.

Vania, l’operatrice, ci racconta che per il loro lavoro le donne vengono retribuite, come stabilisce la legge. Ci sono una “borsa lavoro” messa a disposizione dal comune di Venezia che è fissa e poi ci sono i ricavati delle vendite che vengono suddivisi dalla cooperativa tra le lavoratrici. Con la «bella stagione» chi lavora nell’orto arriva anche a un totale di 500 euro mensili, compreso il contributo fisso. Il salario in carcere non si chiama così ma “mercede”, che è una specie di residuo linguistico: la retribuzione non è ancora intesa come un corrispettivo per il lavoro svolto, quanto piuttosto come una concessione accordata dallo Stato. Le buste paga vengono gestite da un ufficio interno. Le donne non maneggiano direttamente i soldi, ma possono disporne: mandarne una parte a casa e usare l’altra per comprarsi quello di cui hanno bisogno. «Sigarette, e poi c’è un elenco di cose che possono acquistare al magazzino interno in base a una lista che compilano una volta la settimana».

Oltre a Rio Terà dei Pensieri, all’interno del carcere lavora anche la cooperativa Il Cerchio che gestisce la lavanderia e la sartoria in cui lavorano sette detenute, una con contratto di formazione e sei con una “borsa lavoro” erogata dal comune. Il lavoro proviene da commissioni di ditte esterne tra cui il teatro La Fenice; parte dei vestiti sono in vendita al “Banco Lotto N° 10″, dove lavora una ex detenuta e che è stato inserito in molte guide turistiche.

La convivenza

Alcune agenti penitenziarie ci raccontano che, in generale, le celle e gli spazi individuali del carcere vengono curati con particolare attenzione: le stanze sono ordinate e pulite e si tende a replicare nella stanza l’ambiente della propria casa. Le donne della Giudecca dormono in 22 camere. Il problema principale sono proprio le stanze che sono molto ampie e ospitano più o meno 5-6 detenute ciascuna: ricordano delle camerate e non permettono momenti di intimità e isolamento: «L’essere sempre in collettività viene vissuto come vincolo e limitazione. Non ci sono spazi per la solitudine», ci raccontano le operatrici. «Allora molte donne, anche non credenti, vanno in chiesa per stare da sole o per piangere».

Alla Giudecca lo stare insieme ha creato però qualcosa di buono: un sistema molto particolare per risolvere i conflitti. Quando c’è un problema le donne si riuniscono in assemblea, se ne assumono la responsabilità e cercano di trovare, insieme e autonomamente, una mediazione. Questo meccanismo funziona. Le assemblee sono molto animate, ma le decisioni prese (senza l’intervento delle agenti o di altre mediazioni “esterne”, se non è necessario) convivono o rendono più semplici quelle dell’amministrazione e della direzione in una relazione tra i due livelli «molto particolare e collaborativa». Il merito di questa situazione è attribuito all’attuale direttrice, Gabriella Straffi, che tra poco andrà in pensione. Tutte le persone con cui parliamo sono molto preoccupate da quello che succederà dopo. Il timore è che la Casa di reclusione della Giudecca possa essere associata alla direzione del carcere maschile: «E invece è solo una direzione autonoma che potrà mantenere viva quella sensibilità di genere che qui è indispensabile».

Donne che sono anche madri

Le donne incarcerate hanno mediamente condanne più brevi rispetto a quelle degli uomini, e hanno minori probabilità di avere qualcuno a cui affidare la casa e la famiglia. A Venezia dalla fine del 2013 è attivo un ICAM, un Istituto a Custodia Attenuata per Madri detenute. Ci vivono 9 donne e 5 bambini (alcune di loro sono incinte). Due mamme lavorano nell’orto, mentre una volta non potevano: all’interno del carcere le madri erano solo madri, e non erano inserite nelle attività lavorative.

E. A. preferisce che il suo nome non venga scritto per esteso, ha 32 anni che si faticano a ritrovare nell’espressione del viso, ha qualche tatuaggio ed è arrivata alla Giudecca nel febbraio del 2012. Resterà qui fino al febbraio del prossimo anno «e sembra manchi poco, ma qui il tempo non passa mai». E. è rom, lavora nell’orto dal 2014 e tiene il banchetto esterno del giovedì. Dorme nell’ICAM e il bambino più grande qui alla Giudecca, che ha quasi sei anni, è suo; ha altri 5 figli che non vede e non sente da moltissimo tempo. Le chiediamo che spiegazioni ha dato al figlio quando è cresciuto e ha cominciato a fare delle domande. Dice che non gli ha detto che vive in una prigione: «Forse lui se ne rende conto, ma gli ho raccontato di dover stare qui perché ci devo lavorare». In un tema fatto a scuola il bambino di E. ha scritto di avere una macchina blu e una barca, sempre blu, che sono la macchina e la barca che la polizia usa per i vari trasferimenti. Nel cortile dell’ICAM il figlio di E. ha anche festeggiato un compleanno invitando «da fuori» i compagni di scuola. Quando usciranno, tra qualche mese, E. e suo figlio andranno insieme in una casa famiglia.

Ogni giorno al carcere della Giudecca arrivano dei volontari che vengono a prendere i bambini per portarli all’asilo, a scuola, o ai campi estivi. L’ICAM è un ambiente creato per loro. Lo si intravede poco dopo il corridoio d’entrata: c’è un giardino verde con un’altalena e qualche gioco, le stanze e i corridoi sono colorati, le camere da letto hanno lettini o culle. Ci sono passeggini, seggioloni e quello che a una madre e a un bambino può servire. Ma l’ICAM di Venezia è solo uno dei pochi che avrebbero dovuto essere aperti dopo l’approvazione della legge, nel 2011.

Per amore e per una strana alleanza

Il 26 per cento delle donne che si trovano alla Giudecca è formalmente in carico al Ser.D. (il Servizio per le dipendenze), mentre il 33 per cento è seguito dal servizio di psichiatria. I reati commessi sono i più diversi: si va dai furti più banali a quelli nelle case, fino agli ergastoli per omicidio. In generale alla Giudecca vengono inviate le donne che devono scontare condanne elevate, proprio per la struttura del carcere e per come è organizzato.

Sergio Steffenoni, garante per i diritti delle persone private o limitate nella libertà personale del comune di Venezia, ci racconta che in molti casi le condanne elevate nelle donne hanno una spiegazione comune che ha a che fare l’articolo 146 del codice penale. L’articolo dice che «l’esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita se deve aver luogo nei confronti di una donna incinta o se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno».

Spesso le donne incinte o madri nelle carceri italiane sono sinte o rom, sono giovanissime e consapevoli che con l’attuale legislazione in breve tempo saranno messe in libertà: la legge è stata pensata per tutelare i minori, ma si può ritorcere sulle madri che spesso sono spinte dai mariti e dalla “tradizione” a delinquere, a fare figli e poi a delinquere ancora, accumulando insieme condanne e bambini. Ci sono donne di 35 anni con 25 anni da scontare e 8 figli che spesso non hanno avuto tempo di crescere. In un documento fatto dalle donne rom e sinte della Giudecca in occasione degli Stati Generali del ministero della Giustizia c’è scritto che nei loro confronti «non c’è nessuna prevenzione, nessuna tutela, nessuna assistenza». E parlano di una specie di «alleanza» tra magistrati e mariti: i primi rispettano la legge, i secondi la usano. In entrambi i casi, loro sono le vittime: «Consapevoli ma senza strumenti economici, sociali o culturali per ribellarsi».

I reati commessi dalla donne in generale, ci raccontano Steffenoni e Marina Zoppello, l’educatrice, hanno una componente “affettiva” molto alta: cosa che non avviene invece per gli uomini. Questo comporta, tra le altre cose, che le donne tendano a giustificarsi più degli uomini e quindi trovino più difficoltà nella presa di coscienza di quel che si è fatto: «C’è una specie di rivendicazione del reato», anche nella fase di esecuzione della pena. La componente emotiva crea una maggiore difficoltà nell’accettazione della detenzione; i tempi di elaborazione, del pentimento e della cosiddetta “revisione critica” sono molto complessi e dolorosi. «Il reato è stato compiuto per amore dei figli o del compagno: diventa così un incidente di percorso e non una scelta pienamente consapevole. Il sentimento prevalente è la preoccupazione per il dopo, legato non soltanto alla possibilità di un reinserimento lavorativo, ma anche a quella di essere accettate in società e di poter tornare a vivere un’esistenza normale: spesso molte di queste donne, prima, hanno avuto una vita normale e non hanno solide carriere criminali alle spalle».

Marina Zoppello ci parla di persone molto complesse «che hanno lottato tanto nella vita, che hanno tenuto insieme la famiglia con un’altissima spinta protettiva, che hanno sopportato violenze e abusi e che a un certo punto sono esplose». Nei maschi, ci spiega l’educatrice con molta delicatezza e cercando di non essere fraintesa, prevale la progettualità del reato, mentre dalle donne «il reato è in un certo senso subìto». Chiediamo se intervenendo sul prima, sulle situazioni di violenza domestica o di sfruttamento per il mantenimento della famiglia, per esempio, si possa in qualche modo evitare che al reato ci si arrivi: «Sì, molto probabilmente e nella maggior parte dei casi sì».

Manifestazione promossa da Generazione 90. «A centinaia con carretti e borse della spesa per ponti e calli: "Per riprenderci Venezia. Diamo un segnale di normalità perché vivere la nostra città non deve essere solo un lusso per pochi"». Veneziatoday.it, 10 settembre 2016 (m.p.r.)

Sono partiti alle 10 da Rio Terà San Leonardo a Cannaregio, con destinazione il mercato di Rialto, armati di borse della spesa, carrelli e passeggini. E a giudicare dalla partecipazione attiva, almeno qualche centinaia tra ponti e calli, non si può certo dire che la manifestazione "Ocio ae gambe, che go el careo!" sia stato un insuccesso. Un corteo per dire "no" alla morte di Venezia, per resistere e impegnarsi per difendere la vivibilità e la residenzialità della città.

L'iniziativa è stata promossa dai ragazzi di "Generazione 90", il gruppo trasversale di ragazzi ventenni e trentenni nato tre mesi fa per tutelare il diritto di vivere Venezia. "Diamo un segnale di normalità, - avevano spiegato qualche giorno prima del corteo - perché vivere la nostra città non deve essere solo un lusso per pochi. Tutti sono invitati a partecipare, portando carrelli della spesa e passeggini: il senso dell'iniziativa è proprio quello di guardare al futuro con coraggio. Ci teniamo a sottolineare che il corteo è apartitico e preghiamo quanti vorranno partecipare di non portare simboli di alcun tipo". Al termine della manifestazione, attorno alle 11.30, non è previsto alcun tipo di intervento, "perché il tempo delle parole è finito ed è invece il momento per i cittadini di mostrarsi uniti in difesa di Venezia".

Moltissime le associazioni che hanno aderito all'iniziativa, da Masegni e Nizioleti a Italia Nostra - Venezia e VeneziadeiBambini, dall'Associazione San Francesco della Vigna a Evenice e Venezia360. Queste si sono aggiunte a quante precedentemente avevano aderito, da Mamme con le Rampe a Rialto Novo, da Venessia.com ai Cerchidonda, da Garanzia Civica al Circolo Ricreativo 3 Agosto, dal Gruppo 25 Aprile ai Giovani Veneziani.

Si delinea il fronte degli operatori economici, artigiani ed albergatori, e di associazioni di cittadini che chiedono un freno all'invasione turistica. Non decolla il dibattito su quale Venezia, diversa da quella turistica, si vuole realizzare. La Nuova Venezia, 7 settembre 2016 (m.p.r.)

Una città stravolta e violentata. Risultato di errori del passato e di tante decisioni della politica e della Regione «contrarie agli interessi reali della città». Sul tema dell’emergenza turistica intervengono gli artigiani. Categoria tra le più penalizzate dall'invasione e dalla trasformazione della città storica. Botteghe tradizionali che chiudono una dopo l'altra. Fabbri e falegnami che lasciano il posto ai fast-food e alle gelaterie. Sapienze antiche travolte dalla paccottiglia e dal made in China.
Al turismo di massa non interessa l’artigianato di qualità. Così negli ultimi decenni il numero delle imprese artigiane di Venezia si è più che dimezzato: dalle 2500 aziende si è scesi a poco più di mille. Hanno chiuso per i costi e gli affitti troppo alti, la mancanza di incentivi e il calo di clienti oltre mille attività artigiane. Quelle destinate ai residenti sono passate dall’83 per cento del totale a meno del 50 per cento. Il turismo ha travolto tutto. Trasformando case in affittacamere, laboratori in bar e negozi per i turisti.
«Abbiamo passato quest'estate con il refrain del decoro», attacca Gianni De Checchi, da molti anni segretario della Confartigianato veneziano, «ma si corre il rischio che questo sia il dito che tutti guardano, non certo la luna. Molto più drammatica e difficile da affrontare dopo decenni di inattività». «Giunti a questo punto», dice De Checchi, «uno che fa la pipì in canale non è importante quanto lo stravolgimento sociale ed economico, ormai inarrestabile. I cestini, le panchine, la pulizia e i gabinetti sono problemi reali. Ma piccola cosa rispetto allo svilimento di una città dove sono saltate le proporzioni e dove è venuta a mancare la base minima di anticorpi data dai cittadini residenti, come succede nelle altre città».
L’accelerazione è diventata forte negli ultimi dieci anni, senza che la politica facesse nulla. Di ticket, numero, chiuso, terminal, flussi turistici, prenotazioni obbligatorie si parla da tempo. Ma nessun provvedimento è stato preso. «Bene che il sindaco Brugnaro abbia capito adesso che la situazione di Venezia è di assoluta gravità», continua De Checchi. «Venezia forse politicamente conta meno di Mestre, ci sono meno voti. Ma è sotto i riflettori del mondo». La Confartigianato si dice disposta a dare il suo contributo al tentativo di risolvere il «dramma che sta vivendo la città».
Che fare? «Prima di tutto limitare in qualche modo gli accessi», dice De Checchi, «ma contemporaneamente attivare politiche attive per riportare cittadini e giovani in questa città, con la ripresa di una politica della casa degna di questo nome». Tra le varie proposte anche il “San Marco pass”, accessi limitati nell’area marciana. Ipotesi che al sindaco non dispiace. «Ma è una soluzione parziale, che va valutata bene», frena il segretario della Cgia, «si rischia di fotocopiare i danni dell’amministrazione precedente, che ha voluto togliere traffico da Rialto e ha intasato tutti i rii circostanti. Non vorremmo che le masse di chi ciondola in giro si concentrassero ancora di più nelle aree vicine a San Marco, rendendole ancora più intasate».
Infine l’appello: «Il sindaco e la giunta dovrebbero dedicare l’80% del loro sforzo amministrativo alla soluzione di questo problema. Con annunci e depliant non si risolve nulla. Bisogna fare qualcosa, meno polemiche e più fatti concreti». E una punturina alle altre categorie della città: «Adesso tutti dicono che bisogna superare le lobby, lo dicono anche le principali lobby di Venezia. Dunque, problemi non ce ne dovrebbero essere più».

«L’analisi di Gherardo Ortalli, a capo dell’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. "È mancata qualsiasi politica di programmazione, superato il limite massimo"». La Nuova Venezia, 4 settembre 2016 (m.p.r.)

Venezia. Trenta milioni di turisti l’anno, di cui i due terzi escursionisti giornalieri. Palazzi ed ex conventi che diventano alberghi, appartamenti trasformati in affittacamere e bed and breakfast, posti letto moltiplicati e diventati oltre 50 mila, come gli abitanti della città. B&B passati da pochi anni da 96 a 2727, mentre gli alberghi a quattro stelle sono diventati 116, il doppio del 2010, quelli a cinque stelle 21 (quando erano soltanto 5). Senza contare gli appartamenti affittati «in nero». Una valanga che rischia di travolgere il fragile equilibrio della città storica.

Allarmi ignorati, una tendenza che nessuno ha mai cercato di fermare o di invertire sotto la spinta degli interessi di categoria e dei guadagni facili legati al turismo di massa. Preoccupazione che adesso viene rilanciata dopo l’estate calda veneziana. Il degrado e la maleducazione dei turisti, gli allarmi finiti sui giornali di mezzo mondo. Sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che minaccia la sopravvivenza di Venezia. Cifre e analisi contenute in un voluminoso dossier messo a punto dalla sezione veneziana di Italia Nostra, consegnato qualche mese fa al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e alla sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni dopo un convegno organizzato all’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti.
Un quadro preoccupante dopo l’ultimatum dell’Unesco che minaccia di escludere Venezia dai siti Patrimonio dell’Umanità se non saranno presi provvedimenti nei prossimi mesi. Gherardo Ortalli, presidente dell’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti, non si stupisce.
«Da molti anni», attacca, «sappiamo bene quale sia la situazione. Esistono studi molto seri che tracciavano un quadro preciso e indicavano i limiti fisici di accoglienza di questa città».

Ad esempio? «La ricerca di Paolo Costa e Jan van der Borg alla fine degli anni Ottanta. Si fissava un limite preciso al numero dei turisti. Ventimila giornalieri, sette milioni l’anno che la città poteva sopportare senza esserne snaturata. Ma l’asticella è stata sempre alzata. Risultato, oggi siamo a 30 milioni: evidentemente il parere degli esperti e degli studiosi non interessa nessuno».

Non è un problema solo veneziano, il turismo aumenta. «Certo è un problema generale. Ma per Venezia, com’è ovvio, è molto più grave di altri. Siamo un’entità ridotta, finita, non ci possiamo espandere come gli altri». Il turismo da risorsa si sta trasformando in un problema. «La situazione è sotto gli occhi di tutti». Sono stati fatti nel passato e in tempi recenti errori che hanno portato a questo? «La prima cosa da dire è che è mancata una programmazione. La politica non è stata capace di progettare il futuro, di capire che bisognava pensare in grande, prevedere cosa sarebbe successo di lì a poco».
Leggi regionali sulle attività ricettive che equiparano Venezia alle aree in via di sviluppo non hanno aiutato. «Certamente. Ma anche le gestioni comunali non hanno messo regole. In questi ultimi anni è successo di tutto. Gli allarmi che venivano lanciati sono stati tutti ignorati». È troppo tardi per invertire la rotta? «In un recente libretto pubblicato dal Fontego ho scritto che Venezia è una città che non esiste più, un quartiere di una grande realtà. Magari è una frase un po’ dura, ma il concetto è quello. La città viene svuotata di abitanti e funzioni, i turisti sono troppi, il degrado avanza».
Una cosa da fare subito. «Il contenimento degli arrivi, il controllo dei flussi, i terminal». Anche di questo si parla da decenni. Ma non si è fatto nulla. Nemmeno i terminal alternativi, il biglietto unico e la prenotazione obbligatoria. «Certo. Ci sono oggi tanti progetti e idee che il governo non ha mai preso in considerazione. Credo si dovrebbe avviare una analisi comparata a livello scientifico. E scegliere una strada che ci consenta di intervenire. Con questo trend Venezia rischia grosso, e ormai se ne sono accorti tutti. Bisogna fare qualcosa».

Nel dipinto “San Marco benedice le isole della laguna”, di Jacopo e Domenico Tintoretto, il protettore di Venezia è raffigurato...(segue)

Nel dipinto “San Marco benedice le isole della laguna”, di Jacopo e Domenico Tintoretto, il protettore di Venezia è raffigurato mentre stende la mano benedicente verso le prime capanne ed i primi abitanti della laguna. Ora gli abitanti della laguna sono stati cacciati, e ognuna di quelle isole benedette è diventata, o si avvia a diventare, un albergo di lusso.

Periodicamente appaiono articoli di stampa nei quali si dà conto, spesso compiacendosene, che “a Venezia è caccia ai resort sulle isole…. il fenomeno si sta intensificando… le isole stanno vivendo un vero e proprio boom di gradimento e attirano investimenti esteri (Sole 24 Ore, 15 maggio 2015). Non si dice, però, che il “fenomeno” è il risultato del piano messo a punto e accuratamente attuato dagli amministratori locali a servizio degli investitori, per cedere ai privati la proprietà non solo di singoli edifici, ma di intere isole.

Le decisioni del comune che, come “bombe intelligenti” sono state usate per “neutralizzare” gli abitanti e salvare le pietre, hanno colpito tutto il territorio lagunare. Ma è nella serie di isole che si snoda a sud della Giudecca e di San Giorgio: la Grazia, San Clemente, Sacca Sessola, Santo Spirito, Poveglia, che il progetto, avviato vent’anni fa, con l’intento di trasformare la laguna in un contenitore di villaggi per le vacanze dei ricchi è stato portato a termine nel modo più completo e sistematico.

San Clemente e Sacca Sessola.
Nel 1997, subito dopo la rielezione a sindaco di Massimo Cacciari, il comune inizia le procedure per la vendita di San Clemente, già sede di un ospedale psichiatrico, nella cui proprietà era subentrato alla provincia, nel 1992, in seguito alla chiusura delle strutture manicomiali imposta dalla legge 180 del 1978, fermo restando il vincolo di utilizzo a favore delle attività della ULSS, l’azienda sanitaria locale.

San Clemente

Il primo atto è un accordo di programma con l’azienda sanitaria e con la regione (ai tempi presieduta da Giancarlo Galan), accordo che viene sottoscritto in tempi rapidissimi, perché tutte le istituzioni coinvolte sono favorevoli all’operazione. Scrive, ad esempio, Carlo Crepas direttore della ULSS in una lettera al sindaco: “caro Cacciari, come ti ho più volte illustrato, stiamo seguendo le vie più opportune per addivenire alla alienazione dell’isola di san Clemente, cui l’amministrazione comunale è molto interessata al parimenti di noi.. il ritorno per il servizio sanitario nazionale e l’utenza sarebbe positivo e incontrovertibile… inoltre… in questo momento vi sono buone possibilità di reperire sul mercato potenziali acquirenti tenuto conto della carenza di posti letto alberghieri nel centro storico veneziano, in relazione anche al periodo concomitante con il prossimo Giubileo”.

Nel mentre lavora per consentirne la vendita, il comune si attiva anche per rendere più appetibile l’acquisto dell’isola, modificandone le destinazioni d’uso che, secondo il piano regolatore, erano: ospedali per la parte edificata e rurale a cultura estensiva per quella non edificata. La variante al piano regolatore, predisposta nello stesso 1997 dall’assessorato all’urbanistica, di cui è titolare l’architetto Roberto d’Agostino, si pone come obiettivo quello di “determinare le condizioni reali per l’utilizzo del bene” e indica tra le destinazioni ammesse: abitazioni collettive, attività ricettive, espositive, di istruzione, uffici, attività ricreative e culturali. In alcuni edifici, inoltre, autorizza l’inserimento di nuovi solai per aumentare il numero dei piani.

Dopo di che, l’isola, che ha una superficie di 6,7 ettari, va all’asta e, nel 1999, viene acquistata, per l’equivalente di circa 10 milioni di euro, dalla Compagnia Finanziaria di Investimento spa di cui è principale azionista Gilberto Benetton.

Si conclude, così, la prima parte di una vicenda che è un caso da manuale della saldatura tra privatizzazione della sanità pubblica e privatizzazione del territorio. A nulla sono valse le proteste, peraltro isolate, di cittadini e associazioni, tant’é che, nel 2004, il Tar respinge il ricorso dell’Associazione italiana per la tutela della sanità mentale, che aveva denunciato lo sviamento di fondi pubblici da parte dell’azienda sanitaria locale perché aveva ignorato il vincolo d’obbligo dei proventi della alienazione a favore di attività e servizi per la salute mentale e “aveva deportato i ricoverati per liberare l’isola e farne una perla del turismo lagunare”.

La successiva realizzazione del complesso alberghiero vede alterne vicende e cambi di proprietà, che non inficiano, però, il successo complessivo dell’operazione. Ora San Clemente appartiene alla società turca Permak che l’ha data in gestione al gruppo Kempinski. Nel marzo 2016, l’albergo è stato riaperto con il nome di San Clemente Palace Kempinski Venezia. “Il Palace è perfetto per il portafoglio Kempinski” ha detto l’amministratore delegato della società. “Offre relax totale.. su un’isola privata che si sviluppa su più di sette ettari e con splendidi giardini, gli edifici storici del monastero e una chiesa risalente al XII secolo ”.

Sacca Sessola

Simili, e pressoché contemporanee le tappe che hanno consentito la trasformazione di Sacca Sessola, già sede di un ospedale per malattie polmonari, in albergo gestito da una multinazionale del turismo di lusso.

Nel 1997, il comune adotta una variante al piano regolatore che modifica le destinazioni d‘uso della grande isola, 16 ettari di superficie, che l’azienda sanitaria locale intende vendere per 13 milioni di euro. In questo caso l’acquirente non è un “imprenditore mecenate”, ma la CIT Compagnia italiana del turismo che, nel 1998, è stata privatizzata dal governo Prodi e usando soldi pubblici si è lanciata in speculazioni nei settori più vari. Prima di fallire, la CIT realizza un albergo al grezzo il cui completamento si prolunga per una decina d’anni. Nel 2012, l’amministrazione del sindaco Giorgio Orsoni elimina la previsione di attrezzature sportive, che secondo gli strumenti urbanistici avrebbero dovuto essere create nella parte nord ovest, perché “non vi è alcun interesse da parte dell’amministrazione comunale all’uso di impianti sportivi in quell’ambito” e approva il progetto di riqualificazione unitaria predisposto dai proprietari.

Ora l’isola appartiene a una finanziaria tedesca la Aareal Bank, che l’ha data in gestione al gruppo americano Marriott. A sancire la conquista, i nuovi padroni hanno cambiato il nome di Sacca Sessola, battezzandola Isola delle Rose.

Oltre alle 250 camere della parte propriamente alberghiera, il Marriott Venice Resort ha al suo interno una chiesetta che verrà ristrutturata per i matrimoni e un “centro benessere” con tre piscine, di cui una coperta, “la spa più grande di Venezia.. . un paradiso a portata di turista dove il relax non è più un semplice lusso” (La Stampa, 29 giugno 2015).

Nei messaggi pubblicitari dell’albergo, che per Marriott rappresenta “la prima proprietà 5 stelle de luxe in Italia”, l’isola è descritta come “un luogo unico per rigenerarsi… carico di energia positiva, vi spira una brezza, già mediterranea nel gioco delle correnti, fresca e benefica”. Non a caso era un sanatorio!

La Variante al Piano regolatore generale
per la Laguna e le isole minori



Soddisfatti per l’esito delle varianti di San Clemente e Sacca Sessola, gli amministratori comunali decidono di non procedere più caso per caso, ma di predisporre una Variante al Piano regolatore generale per la Laguna e le isole minori. Il documento, redatto tra il 1999 e il 2001, è adottato dal comune nel 2004, quando è sindaco Paolo Costa, ma l’assessore competente è ancora l’architetto D’Agostino.

Bisogna “approntare un quadro urbanistico che consenta il riuso e sia già pronto quando si presentino i potenziali investitori”, si legge nella relazione che illustra la filosofia del comune nei confronti dei beni pubblici e descrive i criteri e le modalità di intervento più idonei per renderli attraenti ai privati.

Secondo gli estensori, infatti:
- se molte isole sono state abbandonate è perche le loro destinazioni non erano più appropriate, “si trattava di usi poveri che sfruttavano l’insularità per creare condizioni di segregazione rispetto al contesto urbano”,
- essendo abbandonate, le isole sono soggette ad usi predatori… è la “tragedia dei commons” per cui i beni pubblici vengono sfruttati in maniera non sostenibile,
- il piano regolatore generale del 1962 vincola molte isole della laguna a destinazioni d’uso obsolete, militari e ospedaliere, da tempo cessate e non più opportune, il che ne ostacola seriamente l’uso.

Ne deriva l’obiettivo primario di “favorire il riuso delle isole con attività che generino flussi di persone tali da giustificare nuove linee di trasporto pubblico, anche a chiamata, cosicché gli usi controllati aiutino a combattere quelli predatori”.

Dal punto di vista operativo, e tenuto conto che il recupero è possibile “solo per funzioni che diano agli immobili un valore tale da rendere economicamente sostenibili i costi, la variante indica una “gamma realistica di destinazioni compatibili con la valorizzazione di ogni isola e della porzione di laguna limitrofa”. Fra gli usi ammessi ci sono sempre attrezzature collettive “non necessariamente di proprietà pubblica” e, siccome per alcune isole “il recupero all’uso può essere ostacolato dall’insufficiente capienza degli edifici esistenti”, è ammessa la realizzazione di strutture necessarie all’efficiente esplicazione delle funzioni previste dallo strumento urbanistico” (cioè nuovi edifici).

Per i cittadini (i “predatori” secondo l’amministrazione comunale) poco resta. La variante dice solo che “onde evitare che il recupero all’uso da parte dei privati si traduca nella impossibilità di accedere alle isole da parte della generalità dei cittadini, laddove ciò appariva ragionevole è stata ricavata una porzione da destinare a spazio d’uso pubblico… che sarà regolato da convenzione tra privati proprietari e comune e ne stabilisca orari e modalità compatibili con l’uso principale dell’isola”.

Santa Maria della Grazia

Santa Maria della Grazia

Per attirare i compratori, oltre ad un quadro normativo sempre più “business friendly” , le amministrazioni pubbliche fanno a gara nell’abbassare i prezzi delle isole a valori fuori mercato. Nel 2001, ad esempio, la regione autorizza l’azienda sanitaria locale che intende alienare l’isola della Grazia, di quasi 4 ettari, “al fine di ricavare risorse necessarie al miglioramento delle strutture sanitarie al servizio dei cittadini veneziani”, a venderla per 20 milioni di euro. Ma l’anno successivo, nel 2002, una nuova delibera ne dimezza il prezzo a 10 milioni.

Quindi, il comune si attiva per “offrire una corsia preferenziale” per la Grazia e, nel 2003, adotta una variante (stralcio della variante per tutte le isole non ancora adottata) che ne modifica le destinazioni e consente la costruzione di due nuovi edifici.

Nel 2007 l‘isola è venduta, per 8,7 milioni di euro, alla GS Investment di Giovanna Stefanel, sorella dell’imprenditore trevigiano, “entrata nel mondo degli affari immobiliari con il marito tedesco”.

Oltre che da vertenze giudiziarie per presunte irregolarità nella vendita e dalla pretesa dei proprietari di accollare i costi di bonifica dei terreni ai contribuenti, la trasformazione è rallentata anche dalla insoddisfazione della signora Stefanel che amerebbe farne una sua residenza - “l’isola è entrata nel mio cuore!”- per i vincoli che ne impongono un pur minimo accesso pubblico.

Secondo lo schema di convenzione per il progetto unitario per la riqualificazione della Grazia approvato nel 2012 (sindaco Giorgio Orsoni, assessore Ezio Micelli), tali vincoli consistono nella “apertura della piazzetta e la possibilità di passaggio lungo un percorso prestabilito, per tre giorni alla settimana, più le festività, dalle 10 alle 11 e 30”. La piazzetta, peraltro, per 60 giorni all’anno rimane ad uso esclusivo della struttura ricettiva.

Secondo il Gazzettino “la Grazia è una storia emblematica delle complicazioni in cui si può impantanare la vendita di un bene pubblico… di come un piccolo gioiello possa finire nel dimenticatoio nella rovina”, ma tutto è bene quel che finisce bene, e ora pare che la signora Stefanel possa procedere. I suoi architetti, ha dichiarato, stanno lavorando a “un progetto mondiale, una struttura unica”, e finalmente “sarà garantito il recupero dell’isola nel rispetto della sua storia”.

Santo Spirito e Poveglia

Assieme all’azienda sanitaria locale, il grande venditore di isole è il Demanio dello Stato, le cui offerte sono sicuramente le più vantaggiose. Nel 2004, ad esempio, vende, per 350 mila euro, i 2,4 ettari di Santo Spirito ad un gruppo di imprenditori padovani facenti capo alla Poveglia srl.

Il relativo “piano di recupero di iniziativa privata”, strumento sufficiente, dopo l’approvazione da parte della regione, nel 2010, della variante per la laguna e le isole, per le trasformazioni fisiche nel territorio lagunare, è approvato nel 2014 dal commissario straordinario Vittorio Zappalorto.
La destinazione dichiarata è residenziale, una scelta determinata dalla volontà di “creare un luogo dove si può godere del vivere in mezzo all’acqua abbandonandosi alla quiete e al silenzio… assaporare l’estasi di vivere tra mare e cielo, tra acqua e stelle, e l’attrazione di raggiungere in pochi minuti il salotto più emozionante al mondo piazza san Marco”. Alla residenza sarà annessa una piscina e il tetto potrà essere coperto con una struttura che non “costituisce volume”. Ci saranno anche un certo numero di case- albero, strutture aperte e staccate dal suolo, dedicate a chi desidera godersi la vista della laguna meditando”. In definitiva, concludono gli autori, si tratta di un progetto di “ri-antropizzazione dell’isola saccheggiata e distrutta dopo secoli di splendore residenziale”.

Santo Spirito

“Case per 144 nuovi veneziani. La sfida è ripopolare la città storica col recupero di beni dismessi” titola con entusiasmo il Gazzettino (15 marzo 2014); “Quartiere residenziale per 150 persone” esulta la Nuova Venezia (30 luglio 2014). Più sobriamente, le agenzie immobiliari parlano di villaggio nautico (si sta infatti progettando una darsena) con alloggi e relativi posti barca.
Oltre che per il linguaggio ingannevole, il piano di recupero di iniziativa privata per Santo Spirito merita attenzione per il modo in cui perfino modeste previsioni di spazi pubblici vengono stravolte a danno dei cittadini. Per i 144 abitanti teorici insediabili sull’isola, infatti, gli standards prescriverebbero una dotazione di 3456 metri quadri. La prevista area verde pubblico con possibilità di ormeggio ne misura 1581, meno della metà. Gli altri 1875 “non sono stati trovati”, recita la delibera con cui è stato approvato il piano, e quindi il loro valore “sarà” monetizzato. L’area pubblica, inoltre, sarà recintata e alcuni cancelli vi permetteranno l’accesso dalla parte privata.

Poveglia

Il Demanio dello stato ha messo all’asta anche Poveglia che è stata aggiudicata, per 513 mila euro, all’attuale sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, intenzionato a crearvi un centro di “cura per i disturbi alimentari”. L’associazione “Poveglia per tutti” è riuscita a portare all’attenzione mondiale lo scandalo di un paese dove i cittadini sono costretti ad organizzare collette per pagare il riscatto dei beni di loro proprietà, che le pubbliche istituzioni sequestrano a vantaggio di interessi privati.

La vendita di Poveglia è momentaneamente ferma, ma altre isole sono sul mercato. Come dichiara Claudio Scarpa, direttore dell’associazione degli albergatori di Venezia, “il business alberghiero si sta progressivamente spostando sulle isole… Venezia soffoca di turismo, così i big player dell'hotellerie guardano alle isole….luoghi in grado di garantire riservatezza e fornire ambienti ideali per resort e strutture di lusso dotati di ogni comfort”.

Tutti questi “ambienti ideali”, che secondo la variante dell’assessore D’Agostino erano stati abbandonati perché occupati da funzioni povere come gli ospedali, sono ora reclamizzati come oasi di benessere psichico e fisico: relax totale a San Clemente (ex manicomio), aria buona a Sacca Sessola (ex sanatorio); splendido isolamento alla Grazia (ex malattie infettive). Forse il loro “problema” non erano le funzioni povere, ma i clienti poveri. In sé le isole sono perfettamente adatte al benessere e alla salute, ma solo per i ricchi investitori che le salvano dalla “tragedia dei commons”.

Nota. Tutte le foto delle isole sono tratte dal programma Mappe di Apple inc.

«Innegabile l’esasperazione per il numero incontenibile di ospiti che talvolta non trattano la città con rispetto, ma sarebbe utile chiedersi se Venezia rispetta i suoi visitatori». Il manifesto, 23 agosto 2016, con postilla

I manifesti contro gli stranieri “maleducati” affissi a San Zaccaria, a due passi dalla Basilica di San Marco. Non si parla d’altro in questi giorni a Venezia, dopo che l’associazione venetista Wsm (Viva San Marco) si è spesa assieme ad altre in inviti perentori di dubbio stile, allo scopo di liberarsi del “foresto”.

Sono certi, i firmatari dei manifesti, di interpretare il pensiero e la volontà di quei veneziani che si sentono aggrediti dalla folla dei turisti. Rigorosi e brutali i messaggi accompagnati talvolta da immagini suine offensive corredate da scritte tradotte in inglese che dovrebbero “ripulire” la città dagli ospiti sgraditi.

Innegabile l’esasperazione per il numero incontenibile di ospiti che talvolta non trattano la città con rispetto, ma sarebbe utile chiedersi se Venezia rispetta i suoi visitatori. Se ce la fa ad offrire accoglienza e servizi capaci di stemperare l’impatto estivo, se vaporetti, motoscafi, sono sufficienti alla domanda, se i cestini di rifiuti, sempre straripanti vengono svuotati puntualmente. Nel contempo aumentano le offerte sul web, che invitano, invogliano a realizzare il sogno di visitare Venezia: appartamenti e bed and breakfast in questi giorni presi di mira e dalla pentola scoperchiata sono uscite situazioni intollerabili di evasione fiscale, di degrado, di prenotazioni in nero di luoghi fantasma scoperti per caso, come un appartamento di lusso a San Pietro di Castello che fruttava ai proprietari 25mila euro alla settimana.

Sullo sfondo le cause e gli effetti: Venezia nel 1951 contava 175mila abitanti, oggi arriva a stento a 56mila. Ne è scaturito uno sradicamento sociale ed umano e la città d’acqua e di pietra è diventata un polo turistico commerciale prezioso per l’economia e per tutte le attività che godono della presenza del turista (oggi con 34milioni di visitatori all’anno la laguna è in ginocchio). La città, sommersa e ferita, non ha sufficiente forza e voce per rivendicare la sua vocazione culturale e sono in molti ormai a pensare che sia necessario un ripensamento, un progetto capace di offrire una alternativa al turismo.

Quel progetto non può che nascere dal suo resistente e storico centro culturale e come suggerisce il Rettore di Ca’ Foscari Michele Bugliari, dovrebbero essere le Fondazioni culturali, la Biennale, l’Università, la Fondazione Cini e le diverse e differenti anime della cultura ad offrire nuove opportunità in grado di diversificare la domanda (ambiti informatici e scientifici… ), ridurre le presenze estive per invogliare a visitare Venezia d’inverno e nei posti meno frequentati come il Lido, l’Arsenale e Santa Marta. Il Sindaco dal canto suo promette la linea dura nei confronti di chi offende la città, ma la Giunta di Luigi Brugnaro nel suo complesso è cauta, sa che i proventi del turismo sono fondamentali alla sua economia e conta su cartelli e mezzi informativi per educare alla civiltà. Tant’è.

Spiace scomodare Simone Weil e la pietas che si dovrebbe riservare alla bellezza quando si sente che la stiamo perdendo, ma che direbbe Jaffier, l’eroe puro di Venezia Salva che pur in vesti e armi spagnole, non ha voluto contribuire alla distruzione della città. E per questo ha tradito, per non infrangere il sogno di tanta, troppa, incontenibile bellezza. La città di Carlo Goldoni che ha incantato e incanta artisti di ogni dove, la Venezia invernale di Josif Brodskij, con le sue tinte cupe, sembra non esserci più.

Eppure resiste ad ogni provocazione, di sua natura è aperta e ospitale, apprezza chi la ama, chi visita i suoi monumenti e le sue chiese. E anche chi semplicemente vuole capire il senso dell’incontro con questa città singolare stretta dai troppi problemi che l’assillano, per primo lo spopolamento e che risente di un tessuto sociale frammentato, oggi più che mai disorientato e incapace di leggerne la complessità.

C’è chi visita Venezia dopo averla molto pensata e immagina di trovare una Venezia classica, legata al mondo antico, con questi sentimenti sono arrivati in Piazza San Marco, Dostoevskij, Goethe è arrivato in barca da Padova, e poi Proust, Lord Byron, Ruskin e tanti altri viaggiatori illustri, sapendo che le loro aspettative non sarebbero state deluse.

Oggi emerge una vita “altra” che i masegni sopportano a stento, il caos infonde disarmonia e diffidenza, mentre le Grandi Navi attraversano beate il Canale della Giudecca e il Bacino di San Marco e i passeggeri fanno ciao ciao con la mano.

postilla
Diciamola tutta. È più di vent'anni che i cittadini del comune di Venezia (della Terraferma e della città lagunare) votano per i sindaci e i partiti che puntano tutte le carte su quel turismo che distrugge la città antica con le due ganasce della sua tenaglia: il turismo sgovernato di massa e il
rapace turismo di lusso, privatizzatore di ogni bene pubblico e stupratore d'ogni monumento. E sono decenni che le istituzioni culturali disprezzano il gigantesco patrimonio culturale costruito in un millennio di storia, facilitando la pseudo modernizzazione della città modernissima.

Per la prima volta si promette di mettere a confronto le diverse proposte presentate par garantire l'accesso a Venezia ai flussi di turisti che l'invadono. La Nuova Venezia, 20 agosto 2016 (m.p.r.)

«Una valutazione comparata e partecipata di tutte le soluzioni progettuali alternative per le grandi navi fin qui formalizzate». È l’invito contenuto nel documento finale approvato dalla commissione Ambiente del Senato al termine dell'audizione con i firmatari del progetto di avamporto galleggiante al Lido. Un'ora di domande e risposte davanti al presidente della commissione di Palazzo Madama, Francesco Maria Marinello, con i progettisti Stefano Boato, Vincenzo Di Tella e Carlo Giacomini che hanno risposto alle domande dei senatori.

La novità è che per la prima volta è emersa, condivisa alla fine da tutti i commissari, la necessità di mettere sul tavolo le soluzioni alternative e di confrontarle «con modalità obiettive ed equanimi». Come peraltro prevedeva un mai applicato ordine del giorno del Senato approvato praticamente all'unanimità nel febbraio di due anni fa su proposte del senatore veneziano Felice Casson. «Abbiamo chiesto al ministero delle Infrastrutture di fare un bando di gara che precisi le condizioni funzionali e le modalità tecniche dei progetti», ha detto in aula Boato, «ma non è mai stato fatto». Gianpiero Della Zuanna ha chiesto se il progetto di avamporto galleggiante, che prevede di spostare la stazione Marittima al Lido, davanti all'isola artificiale del Mose, sia «sicuro». «Gli studi sono stati effettuati dalla società internazionale Principia», hanno riposto i progettisti. Costo dell'opera, 120 milioni di euro. E i rifornimenti delle merci e dei passeggeri arriveranno con imbarcazioni a basso impatto di onde e inquinamento attraverso il canale dell'Orfano, dietro la Giudecca. Incalzanti le domande dei senatori Paolo Arrigoni, Laura Puppato, Paola De Din. «Siamo soddisfatti», commentano Boato, Di Tella e Giacomini, che hanno ricordato ai senatori come esistano anche le normative che prevedono il confronto prima di qualunque decisione. In particolare il Codice degli appalti. Il 18 aprile scorso, con il decreto legislativo numero 50, è stato introdotto nell’ordinamento dei Lavori pubblici lo strumento del dibattito pubblico. Una svolta rispetto alle decisioni sulle grandi opere del passato, calate dall’alto e poi spesso rivelatesi sbagliate. Per le alternative alle navi si discute di alcuni progetti. Il canale Tresse Nuovo, per far arrivare le navi in Marittima passando dal Lido, sostenuto dall’Autorità portuale e dal sindaco Brugnaro, Il terminal al Lido di De Piccoli-Duferco, la nuova stazione passeggeri a Marghera. E l’avamporto galleggiante, presentato adesso al Senato. Ipotesi che i proponenti hanno chiesto e ottenuto siano confrontate prima di ogni decisione.

Critiche severe agli eccessi del turismo sregolato di massa. Lievi rimbrotti a chi quel turismo ha provocato. E silenzio plumbeo su chi ha consentito la privatizzazione di tutto il possibile per favorire il turismo di lusso. Al quale, ovviamente il turismo straccione dà fastidio. Corriere della Sera, 20 agosto 2016

Maiali, no grazie. Certo che era una provocazione, il manifestino affisso sui muri di Venezia da un gruppo venetista con un suino in mutande che buttava pattume per terra sotto la scritta «No welcome!» Una sfida offensiva verso tutti i turisti rispettosi del decoro delle calli. È solo l’ennesimo segnale, però, che i veneziani non ne possono più dell’aggressione di un turismo di massa devastante.

E il video su YouTube dei ragazzi decisi a tuffarsi nel Canal Grande come fossero a Torvajanica è l’ultima goccia che fa traboccare il vaso.

Sono passati trent’anni da quell’estate del 1986 in cui l’allora assessore al Turismo Augusto Salvadori scatenò l’iradiddio sui giornali internazionali e sulla Cbs («Tre minuti tutti per me. Mi hanno detto: assessore, questo è il microfono, parli. E mi go parlà. Asciutto, incisivo, brillante: tutti i mali di Venezia. Il tappeto umano di sacchi a pelo davanti alla stazione, i picnic a San Marco, la gente che orina sulle saracinesche, i turisti che attraversano la città in gommone senza neanche la canottiera, i gondolieri che ai clienti non cantano le canzoni nostre»).

Tre decenni e molti sindaci dopo, i problemi non solo non sono stati risolti ma si sono aggravati. Gente che fa pipì sui muri senza nemmeno cercare più gli angoli nascosti. Giovanotti in bicicletta per le calli. Tende canadesi piantate qua e là nei giardini o nei campielli. Tovaglie stese sulle rive da famigliole che fanno il picnic manco se si trovassero in un’area di sosta sull’autostrada. Avvinazzati stesi nei sotoporteghi sfatti dall’alcol e completamente nudi. Bottiglie ammucchiate all’ingresso della basilica di San Marco perché con le nuove disposizioni antiterrorismo da qualche parte devono lasciarle e gli spazzini non ce la fanno a stare dietro ai cestini della zona dai quali, come ha scritto il Corriere del Veneto vengono rimossi 30 metri cubi al giorno di immondizie. Borseggiatori a tempo pieno sui vaporetti, a dispetto dei controlli che in questo solo mese di agosto hanno visto il fermo di 120 ladri. Sequestri quotidiani di paccottiglia «italian style» falsa sfornata da laboratori cinesi o napoletani.

Per non dire, appunto, del quotidiano bagno nei canali di visitatori italiani e stranieri, giovani e meno giovani che mai oserebbero mettersi in slip o bikini in altre città del mondo. Come i «foresti» di campo San Vio che, svergognati sul web da una veneziana, guardano la signora che dice loro in inglese e tedesco che «non è permesso tuffarsi nei canali» e che «Venezia non è Disneyland», con aria stupefatta. Come pensassero: che storia è questa, Venezia non è Disneyland? Non appartiene forse a chi paga sganciando euro e dollari, sterline e yen? È o non è un «divertimentificio»?

Ha scritto in un tweet il sindaco Luigi Brugnaro dopo il tuffo dal ponte di Rialto di quell’ubriaco schiantatosi su una barca che passava di sotto: «Insisto: poteri speciali alla città per l’ordine pubblico. Borseggiatori, imbrattatori, ubriachi! Una notte in cella». Minaccia ripetuta ieri: «Stiamo costruendo tutti i passaggi formali per iniziare a colpire duro. Mai fatto». Che dopo anni di lassismo occorra dare una stretta sulle regole per fermare il traumatico degrado di Venezia è vero. Che si possano mettere in riga i turisti (soprattutto quelli che «sporcano di più e spendono di meno») senza mettere in riga anche i veneziani che sfruttano in modo indecente l’alluvione turistica di chi visita Venezia come Las Vegas, però, pare difficile.

Basti leggere il comunicato di ieri della Guardia di Finanza sui risultati della campagna contro i B&B abusivi: «Nel terzo trimestre del 2015, prima di dare avvio all’operazione “Venice journey”, erano state censite poco più di 200 comunicazioni di inizio attività quali “locazioni turistiche”, mentre alla data odierna ne risultano inserite circa 1.900, con un incremento di nuove attività emerse di oltre 1.600 in valore assoluto, e dell’800% in valore percentuale».

Topaie vere e proprie trasformate in ostelli da 20 euro a notte ed edifici deluxe: «“Beautiful palazzo in quiet corner of Venice”: con questo annuncio un cittadino italiano, proprietario di una palazzina di pregio nel centro storico di Venezia, pubblicizzava la sua struttura ricettiva su diversi siti Internet», spiega la Finanza, «la locazione della magione, al prezzo variabile tra 13.000 e 25.000 euro a settimana, è dedicata soprattutto a una clientela straniera, interessata a servizi aggiuntivi di lusso quali vasca idromassaggio, bagno turco, terrazza panoramica e attracco privato per l’ingresso diretto dal canale.

Quando i militari del I Gruppo della Guardia di Finanza di Venezia con la collaborazione degli agenti della Polizia Municipale lagunare sono giunti presso la struttura, ad accoglierli hanno trovato un maggiordomo e personale di servizio in livrea: servizi aggiuntivi richiesti dal cliente di turno, evidentemente molto esigente. Peccato che l’attività di locazione fosse completamente sconosciuta al Fisco ed al Comune di Venezia». «Tutto regolare, i soldi finivano sul nostro conto corrente, forse non abbiamo pagato la tassa di soggiorno...», dicono i proprietari Giorgio e Ilaria Miani. Ci torneremo domani.

Fatto sta che in quell’estate della prima campagna dell’assessore «al decoro», i giornali stranieri si concentrarono soprattutto sulla più «pittoresca» delle iniziative, l’attacco ai gondolieri che intonavano «’O sole mio» invece che con «Nineta monta in gondola» e un quotidiano locale pubblicò la classifica delle canzoni più gettonate: 1° posto «’O sole mio», 2° «Torna a Surriento», 3° «Santa Lucia», 4° «Funiculì funiculà».

Oggi leggiamo reportage allarmatissimi come quello sul National Geographic di Lisa Gerard-Sharp: «Noi turisti siamo così “tossici” che sarebbe meglio rimanere a casa e cenare da “Pizza Express” dove i proventi della pizza Veneziana sostengono i restauri di Venice in Peril». Di più: «Chi come me ama Venezia con coscienza, ha il diritto di incoraggiare altri a visitarla?».

Domanda scomodissima. Ma giusta. Recentemente il sindaco di Barcellona Ada Colau è tornata a ribadire: «Non vogliamo fare la fine di Venezia». E ha rilanciato la battaglia contro i B&B abusivi: «Noi vogliamo una città bella, ma anche sostenibile. Fra il 2008 e il 2013 il turismo è aumentato del 18% ed è troppo per noi. Barcellona non è Parigi».

Immaginatevi Venezia, che sta per scendere sotto i 55.000 abitanti. Meno di Carpi o Vigevano. Paolo Costa, il presidente dell’autorità portuale che difende il business delle spropositate navi da crociera, sosteneva anni fa in un libro scritto con Jan van der Borg che la città di San Marco poteva accogliere al massimo 12 milioni di turisti l’anno. Nel 2015 sono stati trenta. E ci vogliamo meravigliare se non sono tutti baronetti di buona educazione?

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