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«Il Porto dà in concessione il Fabbricato 280, è arrivata l’offerta per un hotel per giovani e crocieristi». Si aspetta ora l'assenso del comune al cambio di destinazione d'uso e all'aumento volumetrico. L'utilità pubblica? un museo del mare al Tronchetto. La Nuova Venezia, 22 giugno 2016 (m.p.r)

Venezia. In arrivo un nuovo albergo da 200 stanze con due piscine - il secondo caso in un hotel del centro storico dopo quella all’ultimo piano dell’Hilton Stucky - riservato ai giovani e ai crocieristi che sbarcano o si imbarcano dalla Marittima. L’Autorità portuale di Venezia ha infatti offerto pubblicamente in concessione il Fabbricato demaniale 280, fra il Tronchetto e la Marittima, un tempo sede della Capitaneria di Porto ma da tempo vuoto e ora un po’ fatiscente.

Un edificio in cemento un po’ spoglio, nello stile dell’edilizia anni Cinquanta che però il Porto vuole recuperare. Ed è già arrivata un’offerta precisa da parte del gruppo fiorentino Élite Vacanze Gestioni srl, che prevede appunto di ristrutturare e ampliare l’edificio - con un cambio di destinazione d’uso da direzionale a ricettivo a commerciale - per realizzare appunto un albergo con piscina scoperta, sauna e spazio polifunzionale espositivo, aperto al Porto e anche alla città, che dovrebbe ospitare una sorta di “Museo del mare”.

Necessario il via libera del Comune che dovrà appunto concedere il cambio di destinazione d’uso. L’investimento previsto da parte del gruppo toscano per la ristrutturazione totale dell’edificio, il suo ampliamento e la modifica ai fini alberghieri è importante:15 milioni e 700 mila euro. C’è comunque tempo fino alla fine di agosto per presentare altre offerte eventualmente migliorative all’Autorità portuale.

Il nuovo hotel però non sarà un cinque stelle, pur senza rinunciare ai confort, ma guarderà oltre che ai crocieristi, a una clientela soprattutto giovanile di turisti che arrivano a Venezia. EC Vacanze Group è infatti oggi il più grande gruppo in Italia per campeggi, villaggi e ostelli, con otto campeggi e tre Ostelli di alta categoria, più altre strutture. Nell’area veneziana il gruppo possiede già ad esempio il Campeggio Jolly, a Mestre, da 450 posti letto. Il progetto prevede al piano terra la realizzazione della hall di accesso all’albergo e di una piscina coperta di 85 metri quadrati con sauna e spogliatoi e 51 camere con bagno. Sempre al piano terra è prevista, in un’area di 300 metri quadrati, la realizzazione dello spazio polifunzionale espositivo dedicato al mare, con annessa sale conferenze, che sarà a disposizione dell’Autorità portuale, oltre che della città.

Al primo, secondo e terzo piano dell’edificio saranno distribuite altre 130 camere, con uffici di accoglienza e una hall di ingresso di 200 metri quadrati. Il quarto piano prevede la realizzazione di un bar-ristorante di 350 metri quadri, con verde attrezzato e un’altra piscina, questa volta scoperta, oltre ad altre 14 camere con bagno. Bisognerà attendere la fine di agosto, per vedere se non arriveranno altre offerte, prima del via libera del Porto al nuovo hotel in Marittima, in attesa poi del placet urbanistico del Comune.

«Studio Cnr: mezzo milione di tonnellate di cemento pesano sui fondali. «Nel resto della laguna trend in linea con gli ultimi decenni». Il progetto Mose prevedeva l’abbassamento di 8 centimetri in un secolo». La Nuova Venezia, 15 giugno 2016 (m.p.r.)

Venezia. Mezzo milione di tonnellate di cemento sott’acqua per i cassoni del Mose. E la laguna sprofonda. Lo hanno scoperto i ricercatori del Cnr Luigi Tosi e Cristina Da Lio, che hanno consegnato l’ultimo studio sulla subsidenza dell’Alto Adriatico realizzato con i professori Tazio Strozzi e Pietro Teatini. Secondo gli ultimi rilevamenti affidati a sofisticati sistemi di Gps da satellite, la velocità di sprofondamento è aumentata. «Mentre in quasi tutta la laguna e nelle isole di Burano e Sant’Erasmo il terreno si è abbassato di pochi millimetri, confermando il trend degli ultimi due decenni», scrivono, «nelle tre bocche di porto interessate dai lavori del Mose l’abbassamento registrato è nell’ordine di molti centimetri». Addirittura 7-8 secondo altri rilievi geologici in possesso del Consorzio Venezia Nuova.
Un dato che preoccupa, perché nel progetto originario del Mose, il sistema di dighe mobili contro le acque alte, l’eventualità di uno sprofondamento era prevista, ma limitata a 8 centimetri nel prossimo secolo. Studiosi e ricercatori non amano le polemiche. «Siamo certi che i progettisti hanno previsto la modifica dei fondali», si limitano a dire gli studiosi che hanno firmato l’ultimo rapporto. Ma i numeri parlano chiaro. E indicano la certezza che l’enorme peso delle strutture in calcestruzzo destinate a sostenere le 78 paratoie ha già prodotto degli effetti sull’equilibrio dei fondali lagunari. Fenomeno previsto, assicurano gli ingegneri. Che proprio per sostenere il peso del cemento avevano conficcato centinaia di pali lunghi 35 metri sui fondali sabbiosi delle bocche di Lido, Malamocco e Chioggia.
Un assestamento è senz’altro previsto, ma per adesso gli 8 centimetri che si dovevano perdere in un secolo sono già stati persi in poco più di due anni. Aggiunti alla subsidenza naturale (circa 2 millimetri nell’area regionale) e all’eustatismo, cioè l’aumento del livello dei mari già evidente, potrebbe rappresentare un problema. Ma soprattutto, fanno notare i critici del progetto Mose, impone un controllo serrato sull’efficacia del progetto.
Due anni fa la storia del Mose aveva subito una brusca virata. 35 arresti per l’inchiesta della Procura di Venezia, partita da un accertamento fiscale delle Finanza. Una rete di corruzione e di malaffare venuta alla luce, che aveva rivelato connessioni tra singoli e apparati dello Stato. Pochi mesi dopo il presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone aveva chiesto e ottenuto dal prefetto di Roma il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova, pool di imprese istituito con la seconda Legge Speciale del 1984 che ha in regime di monopolio la salvaguardia della laguna e la realizzazione del Mose.
Il commissario Luigi Magistro ha avviato una grande inchiesta interna, scoprendo molte irregolarità e ottenendo, un anno dopo, anche il commissariamento della Comar srl, società per la gestione degli appalti di proprietà degli stessi azionisti del Consorzio, la padovana Mantovani e le romane Condotte e Grandi Lavori Fincosit. Verifiche sono state avviate anche dal punto di vista tecnico dal commissario Francesco Ossola, dopo la serie di incidenti che aveva funestato l’avvio della fase operativa del Mose: lo scoppio di un cassone sul fondale a Chioggia, il crollo della diga foranea al Lido e l’allagamento di un altro cassone a San Nicolò, il danneggiamento della conca di navigazione a Malamocco. Adesso altre verifiche dovranno essere fatte - e in parte sono già in corso - sulla struttura del sistema Mose e sulla sua tenuta, la manutenzione, la gestione e il rischio della subsidenza. Adesso diventato una certezza.
«Esiste il diritto alla resistenza in molte costituzioni, anche nella nostra, resistenza contro atti percepiti come ingiusti e per ribadire un diritto, quello della libertà di riunione pacifica, quello di avere un ambiente non inquinato». La Nuova Venezia, 11 giugno 2016 (m.p.r.)

Venezia. I 49 manifestanti contro le grandi navi sono stati assolti. Ieri, alle 16, il giudice monocratico di Venezia Stefano Manduzio ha letto la sentenza. Fatto non sussiste e fatto non costituisce reato: queste le formule scelte per i reati di inosservanza dei provvedimenti delle autorità, inosservanza delle prescrizioni del questore e accensioni pericolose, così come avevano chiesto i difensori, gli avvocati Aurora D’Agostino, Giuseppe Romano, Michele Maturi e Mario D’Elia. Il pm Elisabetta Spigarelli aveva chiesto la condanna di 12 dei 49 imputati, tra cui Michele Boato, Tommaso Cacciari e Michele Valentini, ma anche loro sono stati assolti per aver organizzato e partecipato alla manifestazione sulle barche alla Punta della Dogana il 12 settembre 2012.

«In questo caso si è voluto trasformare la dissidenza in delinquenza», ha affermato l’avvocato Romano, chiedendo l’assoluzione per tutti. «L’obiettivo della protesta», ha proseguito, «ottenere che le grandi navi da crociera non passino più per il bacino San Marco è ormai condiviso da tutti, per risolvere il problema c’è chi come il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini propone di farle attraccare a Trieste mentre il sindaco Brugnaro vuole scavare un canale per farle arrivare comunque in Marittima. Ora ammettiamo che durante quella manifestazione tutti conoscessero le prescrizioni del questore, ma abbiano deciso di disobbedire per non essere rinchiusi con le loro barche in uno spazio ristretto, ritenendo ingiusta l’ordinanza della Polizia. Esiste il diritto alla resistenza in molte costituzioni, anche nella nostra, resistenza contro atti percepiti come ingiusti e per ribadire un diritto, quello della libertà di riunione pacifica, quello di avere un ambiente non inquinato».
Per il legale dei manifestanti, la polizia in teoria difendeva l’ordine pubblico, ma nessuno l’aveva messo in discussione e in realtà l’unico interesse colpito in quel momento era quello dei crocieristi. L’avvocato D’Agostino ha sostenuto che quelli accesi in una barca erano semplici e innocui fumogeni colorati, mentre gli avvocati Maturi e D’Elia hanno puntato a dimostrare che non c’era alcuna delimitazione tracciata dai poliziotti. «Si dovrebbe punire chi non attua il decreto Clini-Passera del 2 marzo 2013, il quale prevede il blocco del passaggio delle grandi navi a San Marco e i manifestanti volevano ovviare a questa gravissima omissione» ha sostenuto Maturi. Il pm aveva chiesto l’assoluzione per tutti i passeggeri delle barche e la condanna per quelli che ne avrebbero condotte sei oltre il limite indicato dalla Polizia, oltre per coloro che avevano acceso i fumogeni. «Il vero disturbo durante quella manifestazione», ha dichiarato Tommaso Cacciari dopo la sentenza di assoluzione, «lo hanno creato le forze dell’ordine con l’elicottero che volava basso sopra le nostre barche e le moto d’ acqua che provocavano moto ondoso, sono state l’unico elemento di confusione».
«Ormai nessuno difende il passaggio delle grandi navi in bacino San Marco», ha concluso Cacciari, «eppure non capiamo come mai continuino a passare. Basta a questo scempio e noi saremo ancora a manifestare domenica 12 giugno alle Zattere, nel pomeriggio quando partiranno dalla Marittima le navi da crociera».

I maggiori esperti di subsidenza marina gettano l'allarme sulla sempre più ridotta differenza tra il livello delle terre emerse rispetto a quello del mare. Pesante incidenza negativa hanno avuto il MoSE per il bacino lagunare veneziano e la centrale di Porto Tolle per il delta del Po. La Nuova Venezia, 2 giugno 2016 (m.p.r.)

L’Istituto di scienze marine del Cnr, in uno studio presentato a Venezia con i maggiori esperti al mondo di subsidenza costiera, evidenzia una significativa eterogeneità nella perdita di altimetria del suolo rispetto al livello del mare nei vulnerabili ecosistemi della laguna e del delta del Po. Se la laguna e la città sono stabili, il fenomeno aumenta nel sistema deltizio fino a 20 millimetri l’anno. Le bocche di porto della laguna, relative al progetto Mose sperimentano cedimenti di oltre 30 millimetri l’anno, la centrale elettrica di Porto Tolle di oltre 15.

Venezia è la città più nota nel mondo riguardo alla problematica della subsidenza relativa, cioè la perdita di altimetria del suolo rispetto al livello del mare dovuta alla combinazione di abbassamento del terreno e innalzamento del mare. Laguna e delta rappresentano quindi ecosistemi molto vulnerabili: la pianura costiera che li circonda è generalmente soggiacente il livello marino, anche di oltre 4 metri e il rischio idrogeologico e ambientale associato è particolarmente elevato, con rischi di inondazione e desertificazione.
La ricerca è finanziata dal Progetto Bandiera “Ritmare - La ricerca italiana per il mare” e i risultati del monitoraggio sono stati ottenuti processando le immagini acquisite dal satellite Cosmo-SkyMed (banda X) dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e dal satellite Alos-Palsar (banda L) dell’Agenzia spaziale giapponese Jaxa. L’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) di Venezia e l’Università di Padova sono impegnati nello studio e nel monitoraggio della subsidenza di quest’area da oltre 40 anni.
«Lo studio evidenzia, ancora più che negli anni passati, la significativa eterogeneità delle velocità di subsidenza a scala regionale e locale», spiega Luigi Tosi dell’Ismar-Cnr. «Dal settore centrale della laguna, stabile, il fenomeno aumenta in direzione nord e sud, con valori massimi nel delta del Po. I valori possono raggiungere 8 millimetri l’anno nel bacino lagunare e 20 nel delta; le aree agricole prossime alla costa sono soggette a valori tra 2 e 10 millimetri». La città ha una relativa stabilità. «La subsidenza media è di 1,2 millimetri, con valori fino a 2-4. L’altimetria del suolo rispetto al livello del mare, ormai molto ridotta, la rende estremamente vulnerabile ad ulteriori abbassamenti, anche minimi», avverte il ricercatore.

«Dfs ha acquisito un’area accoglienza dove arriveranno i bus dei turisti che poi saranno accompagnati anche allo store. Sarà interessate scoprire come i turisti del Fontego sbarcati al Tronchetto arriveranno via acqua nel grande magazzino, visto che il Canal Grande è vietato ai lancioni turistici». La Nuova Venezia, 1° giugno 2016 con postilla

I turisti-clienti del nuovo Fontego dei Tedeschi «targato» Dfs, in particolare orientali, sbarcheranno in bus al Tronchetto, smistati in un’area di accoglienza a loro riservata. Saranno poi “caricati” in barca e portati in tour per qualche ora a San Marco e naturalmente nel grande magazzino del lusso che aprirà dal 30 settembre di fronte a Rialto. Poi, riportati indietro al Tronchetto, riprenderanno il loro bus turistico per la prossima meta. Dovrebbe essere questo il core-business di «T (che sta non a caso per traveller, viaggiatore) Fondaco», il grande magazzino del gruppo francese per assicurare un congruo flusso di visitatori-clienti, in grado di giustificare i costi importanti dell’operazione.

Come aveva già anticipato il vicepresidente di Dfs Italia Roberto Meneghesso, infatti, la società si è dotata di una lounge - un’area di accoglienza – al Tronchetto, al momento ancora vuota ma che sarà allestita nei prossimi mesi. Come documentiamo con le foto pubblicate in questa pagina, l’area di accoglienza per i turisti del Fontego si trova alle spalle del garage del Tronchetto e vicino al parcheggio dei bus turistici, in uno stabile al piano terra che ospita ai piani superiori la sede di Alilaguna e in quello sottostante i magazzini delle Poste Italiane. Un’area di circa 350 metri quadrati perfettamente funzionale alla necessità di Dfs, perché i turisti-clienti potranno arrivare in bus proprio di fronte ad essa, entrare e sostare nell’area di accoglienza - dove saranno probabilmente proiettati anche video o filmati che riguardano Venezia per un’infarinatura di base sulla città - e poi uscire lunga la riva del Tronchetto per imbarcarsi per l’inizio del tour commercial-turistico. Al ritorno faranno il percorso inverso. Il grosso della clientela del nuovo grande magazzino del lusso sembra destinato dunque a fermarsi solo poche ore a Venezia, aumentando il flusso dei turisti “mordi-e-fuggi”.
La loro sosta naturale al Fontego - per la breve durata della visita veneziana - sarà probabilmente soprattutto il piano terra del grande magazzino, dove non a caso sono previste le boutique di souvenir, con la vendita di vetri, maschere, prodotti gastronomici e la caffetteria. La chiave di riuscita dell’operazione dal punto di vista di Dfs sono gli accordi con i grandi tour operators internazionali, puntando appunto a far inserire la «tappa» del Fontego nei giri turistici veneziani dei “giornalieri” organizzati. Dfs punta soprattutto sul rapporto con l’Oriente, perché su quella di Venezia sarà la prima “Galleria” europea del gruppo, in Asia i punti -vendita del gruppo sono numerosi, in collegamento con gli aeroporti e nelle grandi città come Hong Kong, Singapore, Okinawa tra le molte.
Sarà interessate scoprire come i turisti del Fontego sbarcati al Tronchetto arriveranno via acqua nel grande magazzino, visto che il Canal Grande è vietato ai lancioni turistici. Lo stesso vicepresidente di Dfs ha anticipato che una delle quattro entrate al grande magazzino sarà appunto quella d’acqua, usata come pontile per i lavori, per i clienti vip che vorranno arrivare in taxi sino allo store del lusso. Ma qui non stiamo parlando di qualche coppia di facoltosi turisti orientali, ma di gruppi che arriveranno in massa per visitare con l’area marciana, anche l’area commerciale. Non resta che aspettare per sapere.

postilla
In estrema sintesi: il furto continua. Prima hanno tolto alla collettività uno spazio pubblico, centrale quanto altri mai nella vita quotidiana della città, per dedicarlo alle attività commerciali al top della globalizzazione; hanno trasformato l'antico Fòntego dei Tedeschi, privandolo anche del suo plurisecolare nome, in un "non luogo" della "infrastruttura globale" descritta da Saskia Sassen. Poi lo estraggono dall'aera urbana e dai suo flussi pedonali e lo collegano direttamente con un hotpoint localizzato in connessione con la rete autostradale. Fra qualche mese proporranno al sindaco di costruire un poeple mover, o un pezzetto di tunnel sublagunare, per facilitare l'accesso, magari con un percorso che comprenda piazza San Marco.

Negli stessi giorni a Venezia si svolgeranno due eventi: ai Giardini si aprirà la Biennale architettura, a Rialto l'antico centro della città si potrà vedere il più clamoroso degli scempi di Benettown: la distruzione del Fòntego dei Tedeschi. La Nuova Venezia, 21 maggio 2016, con postilla

Dal XVI secolo al futuro, dai tedeschi ai francesi, dai legnami ai tacchi assassini, in un'evoluzione di tempi, modi e opportunità. Il commercio, quello delle merci in arrivo dal nord Europa, e poi quelle comunicazioni, nel lungo periodo in cui fu sede delle Poste; il commercio, questa volta del lusso, soprattutto italiano, rimane il cardine del Fontego dei Tedeschi che sta perfezionando la sua muta in attesa di mostrarsi a Venezia e al mondo tra quattro mesi.

Il resto è il risultato dell'incontro, quasi mai facile, tra le vestigia del passato e la tecnologia, tra la storia e la sua proiezione, tra la scala mobile rosso color sangue di bue e i merli di pietra della facciata a guardia del ponte di Rialto. Ecco il Fontego che diventa Fondaco, anzi “T Fondaco dei Tedeschi”, secondo la ristrutturazione voluta da Edizione - la società del Gruppo Benetton proprietaria dell'edificio –, affidata allo Studio Oma dell'architetto Rem Koolhaas e alla Sacaim, e ora, a lavori praticamente conclusi, salda nelle mani del marchio Dfs (Duty Free Shop), controllato dal Gruppo Lvmh, che ha avuto in affitto l'edificio cinquecentesco.

Ecco il Fondaco come lo vedrà la stampa il prossimo 29 settembre e il pubblico il 30 quando duemila lampade illumineranno i 6.800 metri di superficie, le sessanta boutique, le 450 finestre, i quattro ascensori, la scala mobile chiamata “tappeto rosso” (solo in salita) e, sempre più su, il padiglione vetrato tenuto insieme da 22 mila bulloni, l’ultimo piano destinato agli eventi culturali e la terrazza che è panoramica come una ruota: 360 gradi di pura Venezia dal Lido alle Alpi. «Qui ogni arco, ogni fregio, ogni decorazione ricordano la storia dell’edificio - spiega il vicepresidente per l’Italia di Dfs, Roberto Meneghesso - per noi è un onore, oltreché una responsabilità, continuare una tradizione che affonda le radici nel XIII secolo e riportarlo in vita». Quattro gli ingressi a piano terra che convergeranno nel grande cortile dove fino al 2008 i veneziani facevano la fila per spedire un pacco.
Quattro ingressi di cui quello sulla Salizada conserva ancora le vecchie porte di legno, vetro e ottone. «Tutto, abbiamo conservato tutto quello che c’era» dice ancora Meneghesso insieme all’architetto Alberto Torsello. Tutto quello che era possibile, ovviamente. Come i masegni delle arcate a piano terra, numerati, rimossi, spazzolati e rimessi al proprio posto uno per uno. I meravigliosi soffitti di legno decorato. La scala in pietra d’Istria. Gli intonaci spugnati a mano. I pavimenti alla veneziana che si rincorrono per gran parte della superficie. La vecchia buca delle lettere. L’immenso cantiere, dove hanno lavorato fino a 160 operai contemporaneamente, si sta piano piano svuotando e, a breve, entreranno gli arredatori ai comandi dell’architetto britannico Jamie Fobert che curerà gli allestimenti. Ci penserà il tempo, se sarà galantuomo, ad annerire gli infissi in ottone dorato che hanno fatto cadere la mascella a più di qualcuno, a fare digerire i pavimenti alla palladiana dal vago effetto animalier, a scurire le pareti dorate un po’ “bling bling” degli ascensori e a smorzare il rosso, il lustro e il nuovo.

postilla
Lo scempio è compiuto e, dal 29 giugno, visibile. Occorrerebbe affiggere, a memoria dei posteri, una lapide con l'elenco dei protagonisti e dei complici del delitto. La città e i suoi cittadini e abitanti hanno perduto uno spazio pubblico vitale per decenni, l'umanità un elemento di rilievo del patrimonio storico e artistico della città. In cima alla lista dei carnefici e dei loro complici non ci sarebbe solo quel signore, padrone di Benettown, che un sindaco filosofo definì "un mecenate", ma anche un paio di sindaci della città, la dirigente della sovraintendenza ai Beni architettonici e paesaggistici di Venezia, gli architetti che hanno concepito e implementato il progetto, e via enumerando. Chi volesse contribuire a comporre l'elenco dei nomi da inserire in una lapide siffatta può cominciare a sfogliare eddyburg, scrivendo sull'apposito "cerca le parole" "Fontego dei Tedeschi".

«Sono loro le persone che riempiono i social network con espressioni di ammirazione, di amore per la bellezza e spesso di grande dolore per gli oltraggi del turismo di massa». Articoli di Italianostra.org e la Nuova Venezia, 14 maggio 2016 (m.p.r.)

Italianostravenezia.org
VOGALONGA, BENVENUTI OTTOMILA VOGATORI

Di fronte alla media di ottantanovemila turisti al giorno che vengono a Venezia (dei quali ben trentamila solo in alberghi e appartamenti), gli ottomila iscritti alla Vogalonga di domani 15 maggio sono come una goccia nel mare. Eppure rappresentano una grande consolazione per tutti noi veneziani e una luce di speranza nel futuro della nostra città. Sono loro le persone che riempiono i social network con espressioni di ammirazione, di amore per la bellezza e spesso di grande dolore per gli oltraggi del turismo di massa. Li abbiamo visti in questi ultimi giorni percorrere spesso i canali minori con le loro canoe e dragon boat, scivolando silenziosi e incantati, così diversi dai gruppi di crocieristi stipati sui taxi in corsa folle verso gli aeroporti o verso le loro navi gigantesche. Domani, partendo dal bacino di San Marco, passeranno davanti alle Vignole, a Burano e a San Francesco del Deserto, a Mazzorbo e a San Giacomo in Paludo. Il fascino della laguna resiste ancora, grazie anche a quel gruppetto di intrepidi che nel 1975 ebbero l’idea di lanciare una vogata che sembrava molto lunga e molto difficile.

Invece si tramutò nell’evento dell’anno per migliaia di residenti e di visitatori. La viviamo con un po’ di malinconia perché a volte ci sembra l’ultimo respiro di un mondo che sta per scomparire, ma in altri momenti possiamo ancora rallegrarci alla vista di tante persone che hanno capito Venezia e la rispettano e amano, e allora ci diciamo che forse non tutto è ancora perduto.

La Nuova Venezia
OTTOMILA VOGATORI ALLA MARATONA DEI RECORD

di Alberto Vitucci
Vogalonga dei record. Iscrizioni chiuse e richieste che continuano ad arrivare. La maratona del remo ha passato i confini lagunari, e anche quelli nazionali. È diventata negli anni una “classica” della voga seguita nel mondo da milioni di appassionati. Domani al via in Bacino San Marco la 42ª edizione, con più di 1800 barche iscritte, ottomila vogatori. Lo spirito originario forse è un po’ appannato. La “garbata denuncia” contro il moto ondoso, nata nel 1974, è diventata un’emergenza. Con la laguna ormai resa invivibile da motoscafi, barconi, Gran turismo, vaporetti zeppi di turisti. Ma la vocazione resta.
Nel giorno della Vogalonga i canali e la laguna vengono restituiti ai remi. Ai silenzi e alla natura, alle barche tipiche, nate per scivolare senza problemi tra secche e velme. Negli anni, la Vogalonga ha aperto sempre più ai concorrenti esteri. Oggi sono quasi sei volte rispetto ai veneziani, e a loro si aggiungono 1600 appassionati giunti dalle società remiere e di canottaggio di tutta Italia. Si parte alle 9 in punto, con il classico colpo di cannone sparato dall’isola di San Giorgio. Barche pronte in bacino San Marco: più avanti, verso i Giardini e Sant’Elena le veloci imbarcazioni del canottaggio, jole e kajak. Dietro sandoli e gondole, caorline e mascarete, s-cioponi e sampierotte. Fino alle ammiraglie delle società remiere veneziane. La disdotona della Querini, la quatordesona della Voga veneta Mestre, la dodesona della Bucintoro. I gondoloni e le bissone.
Trenta chilometri e percorso invariato da 42 anni. Quando in una sera di autunno un gruppo di amici riuniti del bar di Toni Rosa Salva decise di lanciare la manifestazione, sull’onda della svedese Vasaloppet. «È una maratona non competitiva, vincono tutti», ripeteva Rosa Salva. Traguardo volante come oggi in Punta della dogana, dopo essere rientrati in Canal Grande dalla Laguna nord per il canale di Cannaregio e il ponte dei Tre Archi. Per tutti lo stesso premio, una maglietta, un diploma e una medaglia consegnati in barca dalle autorità e dai volontari che tengono in piedi l’organizzazione. Il nome pronunciato dall’altoparlante, la segnalazione sul giornale.
La prima edizione, disputata nel maggio del 1975, fu un successo inaspettato. Cinquecento barche e 1500 vogatori, venuti per dichiarare il loro amore per la laguna, per chiedere lo stop ai motori inquinanti. Un successo che aveva aiutato la rinascita della cantieristica allora in piena crisi. E poi la nascita delle società remiere, l’occupazione dell’ex Macello di San Giobbe adibito per anni a centro remiero. Un successo durato un po’ di anni. Poi la breve crisi, per via del calo demografico. Ma dalla fine degli anni Novanta sono arrivati gli stranieri. Americani, inglesi, olandesi, francesi, cinesi, con kayak e jole che adesso sono le barche più rappresentate alla Vogalonga. Trasporto in camion, a volte in aereo, sistemazione al Tronchetto e sulle rive.
Tutto è pronto per un rito che mantiene comunque una sua freschezza. Obbligatorio l’omaggio al turismo, nell’epoca dei selfie e della comunicazione digitale. Ma lo spirito della Vogalonga rimane: «Noi ci crediamo», dice Antonio Rosa Salva jr, terza generazione degli organizzatori di Vogalonga in casa Rosa Salva, dopo il nonno Toni e il padre Lallo.
Del gruppo di fondatori ne restano pochi: Delfo Utimpergher, Lilli Sirolla. Ma la “maratona” non competitiva ha ancora un grande significato. La prova è che a dispetto del calo demografico, il numero dei partecipanti veneziani non è mai diminuito. Anche domani i cantieri veneziani saranno vuoti, le barche della flotta lagunare tutte in acqua. A percorrere i 30 chilometri di Laguna nord e rientrare in Canal Grande dal rio di Cannaregio. Due anni fa il maxi-ingorgo che aveva provocato problemi proprio all’entrata del canale. Da allora è stato introdotto il numero limite, e volontari della Guardia costiera provvederanno a disciplinare l’entrata. Dunque, la parola ai remi. Per la grande festa della laguna e la manifestazione che da 42 anni ne ricorda la fragilità sua delicatezza ambientale.

Un'interrogazione del senatore Felice Casson costruita dopo aver ottenuto l'accesso agli atti e averli esaminati con attenzione, rivela che il Re è nudo. Nonostante i lori sforzi congiunti Paolo Costa e Luigi Brugnaro non hanno in mano nessuna carta per violentare la Laguna. Nessuno dei progetti presentati per far entrare le Grandi navi in Laguna è legittimo, nessuno è stato correttamente depositato. La Nuova Venezia, 11 maggio 2016, e il testo dell'interrogazione



La Nuova Venezia

TRESSE E QUOTE, CASSON ATTACCA
di Alberto Vitucci

«Dilettanti allo sbaraglio. Confusioni di progetti e procedure per far passare le grandi navi in bacino San Marco sine die. O, peggio, una situazione come quella che fece sorgere e prosperare lo scandalo del Mose». Felice Casson, senatore del Pd, va all’attacco del «Fronte del porto». Qualche giorno fa aveva chiesto l’accesso agli atti al ministero delle Infrastrutture. Ieri, visionati i documenti, ha presentato una interrogazione al presidente del Consiglio Matteo Renzi, al ministro dell’Ambiente e al ministero delle Infrastrutture e Trasporti.
Casson ha scoperto che «nessun carteggio tra l’Autorità portuale e il ministero indicherebbe, come sostenuto dall’Autorità portuale il canale Tresse Nuovo come variante ad altro progetto in Valutazione». Nella fattispecie, il Contorta Sant’Angelo, grande scavo sostenuto per tre anni dal Porto e poi abbandonato in favore del «Tresse», sostenuto dal nuovo sindaco Brugnaro. «Non è nemmeno possibile che il nuovo progetto sia iscritto a valutazione di Via» continua Casson «visto che è stato presentato dopo l’entrata in vigore del codice degli appalti». Dunque? Casson afferma che «va evitata qualunque forma di pressione o interferenza» e che le decisioni sui progetti alternativi vanno prese «nel rispetto delle norme e in relazione alla qualità ambientale dei progetti».
Nuovi scavi in laguna, scrive il senatore, non sono legittimi perché in contrasto con la Legge Speciale e provocherebbero nuovi danni all’equilibrio lagunare. L’avviso al governo comprende anche la vicenda della vendita delle quote Vtp. «Occorre attendere l’esito dei ricorsi amministrativi con l’ordine del Consiglio di Stato al Tar di pronunciarsi al più presto sul diritto dei soci di minoranza. Ed esercitare la vigilanza sull’Autorità portuale», scrive, «circa l’assetto societario e la cessione delle quote azionarie, visto che l’attuale presidente Costa è in scadenza nell’ottobre prossimo». Infine, il nuovo ammiraglio comandante della Capitaneria di porto, Goffredo Bon. «Prima ancora di assumere il comando», scrive Casson, «ha espresso parere favorevole alle Tresse, progetto inesistente».

IL TESTO DELL'INTERROGAZIONE
di Felice Casson

Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-05762
Pubblicato il 10 maggio 2016, nella seduta n. 622
Il senatore Felice Casson - Ai Ministri dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti. -

Premesso che:
in data 27 aprile 2016, dalla stampa cittadina, si è appreso che, durante la seduta della commissione consiliare V del 26 aprile 2016, l'assessore per l'ambiente del Comune di Venezia, geometra Massimiliano De Martin, dava informazione che l'Autorità portuale di Venezia aveva presentato ufficialmente alla commissione per le verifiche di impatto ambientale (VIA) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'istanza relativa allo scavo di un nuovo grande canale nella laguna di Venezia, il così detto canale Tresse nuovo, dava notizia che la documentazione era stata trasmessa e depositata al Comune e invitava gli enti interessati a presentare le loro osservazioni;
tale informazione è stata ribadita nel corso della successiva riunione del Consiglio comunale di Venezia del 28 aprile;
nessun avviso pubblico, da parte dell'Autorità portuale, è comparso sui quotidiani, nazionali e locali, circa l'avvenuta presentazione dell'istanza di VIA (art. 23 del decreto legislativo n. 152 del 2006);
si è appreso dalla stampa locale, e poi appurato, che la ragione della mancata comunicazione pubblica risiederebbe nel fatto che l'istanza dello scavo del canale Tresse nuovo sarebbe stata presentata al Ministero in data 26 aprile 2016, con titolazione in epigrafe e nei contenuti progettuali non conformi alla nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 50 del 2016, recante "Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 91 il 19 aprile ed entrato in vigore il 20 aprile;
gli elaborati presentati dall'autorità portuale di Venezia sono stati presentati in base al codice degli appalti di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, che risulta abrogato dall'art. 217 del nuovo codice degli appalti di cui sopra dal giorno stesso della sua entrata in vigore;
avvalora l'immediata efficacia del nuovo codice il fatto che nelle norme transitorie contenute all'art. 216, al comma 27, viene precisato che "Le procedure per la valutazione di impatto ambientale delle grandi opere avviate alla data di entrata in vigore del presente decreto secondo la disciplina già prevista dagli articoli 182, 183, 184 e 185 di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono concluse in conformità alle disposizioni e alle attribuzioni di competenza vigenti all'epoca del predetto avvio. Le medesime procedure trovano applicazione anche per le varianti";
alla data dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 50 del 2016, presso il Ministero dell'ambiente non risultava avviata alcuna procedura per la valutazione di impatto ambientale del progetto intitolato, direttamente o indirettamente, canale Tresse nuovo;
risulta altresì che già una precedente istanza di VIA per il canale Tresse nuovo con "Interventi per la sicurezza dei traffici delle grandi navi nella Laguna di Venezia" era stata dichiarata irricevibile, mentre il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con lettera del direttore generale Puja ne avrebbe genericamente raccomandata la priorità;
da un accesso agli atti effettuato dall'interrogante, risulta che una lettera del 15 marzo 2016 del capo di gabinetto del Ministro delle infrastrutture, Mauro Bonaretti, all'Autorità portuale di Venezia attesta che «Il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dichiarato irricevibile l'istanza relativa all'avvio della procedura di VIA Speciale per il progetto "Canale Tresse Nuovo - Interventi per la sicurezza dei traffici delle grandi navi nella Laguna di Venezia" in quanto trasmesso non corredato dagli atti e dalla documentazione progettuale prevista dalle "Specifiche tecniche per la predisposizione e la trasmissione della documentazione relativa alle procedure di VAS e VIA"»;
il capo di gabinetto scriveva anche: «Si invita pertanto codesta Autorità a predisporre la documentazione necessaria ad avviare la suddetta procedura in conformità con quanto previsto dalle specifiche tecniche sopra indicate»;

alla data del 20 aprile 2016, giorno di entrata in vigore del nuovo codice degli appalti, non risulterebbe pervenuta al Ministero dell'ambiente alcuna istanza di VIA che faccia rientrare il progetto nella condizione prevista dall'art. 216;

sempre da attività di accesso agli atti può dirsi che in nessun carteggio, tra l'Autorità portuale e il Ministero delle infrastrutture e tra quest'ultimo e il Ministero dell'ambiente, contrariamente a quanto sostenuto dall'Autorità portuale di Venezia, il Ministero delle infrastrutture riconoscerebbe o indicherebbe il progetto in variante, o come parziale variante ad altro progetto in valutazione;

il capitano di vascello Goffredo Bon, prima ancora di assumere il comando della Capitaneria di porto di Venezia, in un'intervista rilasciata venerdì 6 aprile, ha dichiarato: «penso che il progetto delle Tresse possa essere la soluzione valida», dimostrando di non essere informato minimamente del fatto che l'istanza di VIA non era stata nemmeno incardinata e che il progetto sarebbe quindi giuridicamente inesistente;

a giudizio dell'interrogante il contesto nel quale cade la questione del canale è reso confuso e inquietante da altri eventi collaterali molto importanti: 1) l'Autorità portuale di Venezia è prossima alla fase di transizione per scadenza (1° ottobre 2016) del secondo quadriennio dell'attuale presidente Paolo Costa; 2) è ancora più vicina la riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle autorità di sistema portuale; 3) è in essere un riassetto societario della società VTP concessionaria della gestione del terminal della Marittima; 4) la sentenza del Consiglio di Stato impone al TAR del Veneto di andare al merito sul ricorso presentato dalla cooperativa Portabagagli del porto di Venezia, aprendo nuovi scenari; 5) il timore è che ci si trovi di fronte, stanti i vari "errori procedurali" commessi e le forzature operate, a "dilettanti allo sbaraglio" ovvero ad uno stallo e immobilismo, inaccettabili perché consentirebbero alle grandi navi di continuare a passare sine die nel bacino di San Marco ovvero, ancora peggio, ad un clima quale quello che fece sorgere e prosperare lo scandalo del MOSE del consorzio Venezia nuova, nell'ambito del quale sono stati coinvolti, tra decine di altri, anche due ministri della Repubblica,

si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti rappresentati e quali decisioni e controlli intendano esercitare;
se non ritengano necessaria, nel caso specifico del canale Tresse nuovo, una ricostruzione dei rapporti intercorsi tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Autorità portuale di Venezia, anche per fare chiarezza sulle continue dichiarazioni del presidente Paolo Costa, che chiamano in causa direttamente lo stesso Ministro e comunque i suoi uffici;
se in effetti il cosiddetto progetto canale Tresse nuovo sia giuridicamente inesistente in quanto a) ogni nuovo progetto dovrebbe essere conforme al livello di progettazione previsto dal codice degli appalti e privo di difformità progettuali; b) va evitata qualsiasi forma di pressione o interferenza da parte degli uffici ministeriali circa la definizione, la priorità e l'esito delle procedure di valutazione di impatto ambientale, in contrasto con la normativa vigente, e c), in particolare, vanno rispettate le nuove norme e ogni nuovo progetto nello specifico relativo alla laguna di Venezia, dichiarata di preminente interesse nazionale, deve essere valutato in relazione alle qualità ambientali dei progetti, previste dagli art. 95 e 183 del decreto legislativo n. 50 del 2016;
se, relativamente alle dichiarazioni del nuovo comandante della Capitaneria di porto, non ritengano di dover verificare quanto segnalato, d'intesa eventualmente con l'ammiraglio ispettore delle Capitanerie di porto;
se non ritengano necessario esercitare la vigilanza sul bando dell'Autorità portuale circa l'assetto societario e la cessione delle quote azionarie;
se non ritengano opportuno attendere il pronunciamento della sentenza del TAR del Veneto ordinata dal Consiglio di Stato per la prosecuzione del bando;
se il valore delle quote deciso dall'Autorità portuale sia un valore reale o sia invece legato ad una valutazione speculativa, stante la breve durata della concessione.


La Nuova Venezia
VTP, CONTROLLO PUBBLICO A TERMINE
REGIONE PRONTA A CEDERE LE QUOTE
di Gianni Favarato

Se gli azionisti di minoranza di Venezia Terminal Passeggeri (Vtp spa) non eserciteranno a loro volta il diritto di prelazione per l'acquisto delle azioni messe in vendita dall'Autorità Portuale (Apvs), il controllo pubblico del terminal è assicurato, ma l'anno prossimo - dopo le tre fasi del nuovo assetto della governance - la finanziaria della Regione (Veneto Sviluppo) potrebbe cedere l’intera quota azionaria di maggioranza alle compagnie di crociera.
Prima fase. All'indomani della decisione della Regione di esercitare - attraverso la controllata Veneto Sviluppo spa - il suo diritto di prelazione sulle azioni di Apvs messe in vendita dall'Autorità Portuale e diventare così azionista di maggioranza di Vtp spa, vengono posti i primi dubbi sulla reale intenzione del presidente regionale Luca Zaia, di «garantire una strutturale maggioranza pubblica stabile in Vtp». Il dubbio è più che lecito visto che il consiglio regionale aveva votato all'unanimità la mozione presentata dal consigliere del Pd Bruno Pigozzo che impegnava la Giunta regionale «a esercitare le prerogative di indirizzo che le sono proprie nei confronti di Veneto Sviluppo spa, ribadendo la natura strategica dell'investimento in Venezia Terminal Passeggeri» in modo da «garantire la regia pubblica per un’infrastruttura di rilevanza unica per Venezia ma per tutto il territorio regionale».
Seconda fase. La decisione presa l'altro ieri dal consiglio di amministrazione di Veneto Sviluppo (di cui fanno parte, con quote di minoranza, una decina di banche) lascia aperta un’opzione che va nel senso opposto a quella indicata dal consiglio regionale. Veneto Sviluppo si è garantita il 51% delle azioni di Apvs - la società che, a sua volta, ha una quota azionaria maggioritaria (53% in Vtp spa) - mentre il 48% di Apvs è destinato alle compagnie crocieristiche di Venezia Investimenti che hanno manifestato la volontà d'acquisto offrendo poco più di 24 milioni di euro per l’acquisto dell’intera quota di Apvs oggetto di cessione. Sempre che, come prevede il Codice civile, gli azionisti di minoranza non esercitino a loro volta il diritto di prelazione.
Il diritto di prelazione spetta, entro i prossimi 30 giorni, per primo all’Autorità portuale che, però, non lo eserciterà visto che è stato proprio l'ente presieduto da Paolo Costa e mettere in vendita le sue azioni (il 65,98%) detenute in Apvs, tenendo per sè solo un simbolico 1%. In seconda istanza la prelazione spetterà sia a Finpax srl (la società dei portabagagli che però sembra non aver trovato un accordo interno e le risorse economiche in tal senso) che a Save spa (il gestore dell’aeroporto che al momento non ha detto cosa vuole fare) e la Camera di Commercio che, tuttavia, per statuto non può comprare nuove azioni.
Al momento nessuno dei tre azionisti di minoranza ha manifestato un tale interesse, quindi sembra scontata l'assegnazione dell'intera quota del 48% di Apvs messa in vendita da Veneto Sviluppo, nelle mani delle compagnie crocieristiche di Venezia Investimenti (Costa Crociera, Msc, Royal Caribbean e Global Liman). Terza fase. Ma ci sarà un’ulteriore fase - tra maggio 2017 e novembre 2018 - in cui, secondo molti consiglieri regionali, Veneto Sviluppo potrebbe cedere la maggioranza assoluta di Vtp a Venezia Investimenti.
Il consiglio di amministrazione della finanziaria regionale, presieduto da Massimo Tussardi, l'altro ieri, oltre a decidere di esercitare il diritto di prelazione su Apvs, ha deliberato che Venezia Investimenti srl verserà a Veneto Sviluppo circa 17,5 milioni di euro per l’acquisto del 48% delle quote, con facoltà per la Finanziaria regionale nel periodo compreso fra il 15 maggio 2017 e il 15 novembre 2018 di cedere a proprio insindacabile giudizio una percentuale variabile fra il 3% e il 51% del capitale di Apvs alla stessa Venezia Investimenti che garantisce con una fideiussione bancaria a prima richiesta questa seconda fase dell’operazione».
Ciò significa che le quattro compagnie di crociera che utilizzano il terminal di Santa Marta potrebbero diventare anche i controllori e gestori del terminal stesso, determinando un monopolio che certo non piacerà alle altre compagnie e potrebbe mettere all’angolo qualsiasi interesse pubblico nel settore. «Siamo soddisfatti per la decisione presa da Veneto Sviluppo in coerenza con la mozione unanime del consiglio» commenta dice Bruno Pigozzo «ma non possiamo non rilevare che l’opzione votata dalla finanziaria regionale di poter vendere la quota di maggioranza di Vtp contraddice tutto ciò». Cosciente dei dubbi dei consiglieri regionali, ieri il presidente di Veneto Sviluppo, Tussardi, ha scritto al presidente Zaia dicendosi pronto ad andare in Consiglio per spiegare adeguatamente i contenuti di tutta l’operazione.

«Si tratta di progetti estremamente impattanti contenuti nel PTRC partorito dall'ultima giunta Galan-Chisso e mai emendati dai successivi governi regionali guidati dalla Lega». Opzionezero.org, 10 maggio 2016

Comunicato stampa Opzione Zero

«Se qualcuno pensa di approfittare del problema “grandi navi” per ridare la stura a vecchi progetti che sanno tanto di speculazione immobiliare come i poli logistico e crocieristico di Dogaletto, si sbaglia di grosso. Cementificare centinaia di ettari di suolo agricolo in riva alla Laguna per fare spazio ai mostri del mare è una follia che contrasteremo con ogni mezzo a disposizione. Che le si voglia piazzare a Venezia, a Marghera, a Dogaletto o da qualsiasi altra parte, le “grandi navi” rimangono sempre incompatibili e insostenibili. Come comitato siamo uniti e compatti con il Comitato No Grandi Navi e con le associazioni ambientaliste per bloccare la costruzione di nuovi canali o nuovi terminal. Le “grandi navi” devono stare fuori dalla Laguna punto e basta».

E' questa la pronta risposta di Opzione Zero alle dichiarazioni rilasciate oggi sulla stampa da parte del presidente della società Venezia Terminal Passeggeri (VTP) Sandro Trevisanato sulla possibilità di un terminal a Dogaletto.

In un articolo del Gazzettino, Trevisanato prende infatti spunto dalla proposta fatta da Venezia Investimenti di ricollocare le navi da crociera oltre le 96.000 ton a Marghera, per rilanciare l'idea di costruire un nuovo terminal crociere sfruttando le aree agricole che si affacciano sulla Laguna nei pressi della Cassa di Colmata A in Comune di Mira, o forse là dove era previsto il Polo Logistico.

«Si tratta di progetti estremamente impattanti contenuti nel PTRC partorito dall'ultima giunta Galan-Chisso e mai emendati dai successivi governi regionali guidati dalla Lega - prosegue Opzione Zero - Progetti che rientravano in pieno nella furia speculativa e cementificatrice che ha devastato il Veneto, e di cui il caso MOSE ha offerto uno spaccato inequivocabile».

Per Opzione Zero è necessario stroncare immediatamente un disegno del genere, e per questo chiede al Comune di Mira di intervenire facendo pesare fino in fondo il proprio ruolo di comune lagunare presso la Regione, l'Autorità Portuale e presso il Comitatone.

Opzione Zero presenterà inoltre un proprio contributo in fase di osservazioni al nuovo Piano di Assetto del Territorio, con l'intento di introdurre vincoli più specifici e più stringenti per le aree potenzialmente interessate da questi progetti.

Ancora effetti perversi dei tagli imposti dalla micidiale politica dell'Unione europea e interpretata dal governo Renz: alloggi pubblici all'asta per mitigare gli effetti della riduzione dei finnziamenti alla sanità. La Nuova Venezia, 1 maggio 2016 (p.s.)

Venezia. L’Asl 12 ci riprova e si prepara a mettere sul mercato una fetta consistente del patrimonio immobiliare di cui dispone, oltre cinquanta appartamenti per un valore complessivo di quasi 22 milioni di euro. Appartamenti che in buona parte sono dati in affitto ma che l’Asl ritiene sia meglio vendere, per incassare un po’ di soldi da re-investire per la ristrutturazione e la riorganizzazione delle sedi oggi utilizzate, e per l’acquisto di nuovi macchinari.

Nei mesi scorsi l’Asl ha chiesto all’Agenzia delle Entrate la valutazione degli immobili, e ora è in attesa dell’autorizzazione da parte della Regione Veneto, cui spetta il via libero definitivo per l’alienazione degli immobili di proprietà dell’azienda sanitaria. Dopodiché si passerà all’asta. Già l’anno scorso l’Asl aveva deciso di mettere in vendita oltre trenta appartamenti, soprattutto in centro storico, per un valore complessivo di almeno 14 milioni di euro. In un primo momento aveva cercato di venderli tutti insieme, con l’obiettivo di far gola a qualche fondo immobiliare, senza riuscirvi. E quasi a vuoto erano andate anche le singole aste degli immobili messi in vendita - solo 4 ceduti - motivo per cui si è poi passati a trattative private.

La manifestazione d’interessa va presentata entro il 27 maggio. Per questo secondo pacchetto di immobili, non appena la Regione darà il via libera, bisognerà procedere con l’asta pubblica e l’Asl 12 dovrà decidere se provare a vendere, in prima battuta, il pacchetto intero, o procedere alle singole alienazioni. Nel lungo elenco girato dal direttore generale, Giuseppe Dal Ben, alla Regione e al ministero dei Beni culturali - qualora emergesse che alcuni edifici risultano vincolati - ci sono appartamenti il cui valore è compreso, mediamente, tra 200 mila e 700 mila euro, come per un edificio a Cannaregio 2082.

Degli oltre cinquanta immobili in vendita cinque si trovano a Mestre tutti in via Torre Belfredo 60 (ex calle della Testa 3) mentre gli altri, con l’eccezione di un caso a Pellestrina, in calle Chiori 986. Gli altri edifici in vendita si trovano per la maggior parte a Cannaregio (32 appartamenti) dove si trovano gli immobili più costosi, mentre altri 17 appartamenti si trovano nel sestiere di Castello. Proprio per la scarsità di risorse nelle scorse settimana la Regione aveva respinto la richiesta dell’Asl 12 di abbattere la palazzina ex Ced alle spalle del distretto sanitario di via Cappuccina.

Dal Ben voleva abbatterla per poi ricostruirla ex novo, per una spesa di 2 milioni e 300 mila euro prevista nel 2017 (un milione) e nel 2018 (un milione e 300 mila euro) ma la Regione ha congelato il piano dell'Asl, invitandola a rinviare la demolizione.

Mentre in città proliferano residenze turistiche e b&b abusivi ed esentasse, il sindaco fa sgomberare la casa dei senza tetto. La Nuova Venezia, 1 maggio 2016 (p.s.)

Marghera. Al "lavoro" accasciati per ore sui masegni di Venezia o lungo le strade di Mestre e poi a "casa", in tante approntate sotto il cavalcavia di Marghera: sono decine i mendicanti che affollano la città nelle ultime settimane, storie di degrado e miseria. Sulla base di un'ordinanza firmata dal sindaco Brugnaro, i vigili urbani sono intervenuti per sgomberare il campo abusivo.

Quattro tende da campeggio, una decina di materassi e tanti altri rifiuti da riempire un autocarro intero: la nuova operazione antidegrado è stata portata a termine tra giovedì e venerdì 29 aprile dalla sezione Pronto intervento della Polizia municipale, che ha smantellato cinque accampamenti di questuanti romeni, collocati sotto i cavalcavia di via Rizzardi e via della Pila, nella zona di Marghera.

Le operazioni sono state condotte da una squadra antidegrado, composta da quattro operatori della Polizia Municipale, da personale specializzato di Veritas e da una ditta di fabbri fatta intervenire dal Comune per ripristinare le barriere elettrosaldate anti intrusione.

Durante l’intervento sono stati rimossi giacigli, viveri, materassi e tanto altro materiale. Nella zona della ferrovia sono stati anche sgomberati, previa identificazione, quattro questuanti di nazionalità rumena e i loro giacigli.

Le operazioni di sgombero, sono state effettuate sulla scorta di un’ordinanza di rimozione firmata dal sindaco ed emanata sulla base dei rapporti redatti dagli operatori della Sicurezza urbana incaricati dell'attuazione del programma di rigenerazione urbana "Oculus".

I dati sulle presenze dei senza tetto accampati nella zona industriale tra Mestre e Marghera sono stabili da anni e l'esecuzione di frequenti sgomberi da parte della Polizia Municipale ha finora efficacemente contrastato l'insorgere di stabili e vasti accampamenti abusivi. Il programma Oculus proseguirà con intensità anche nelle prossime settimane.

Sapendo di godere dell'appoggio delle pubbliche istituzioni, gli armatori alzano le pretese. Ora vogliono venga abolito il limite delle 96 mila tonnellate per le grandi navi in laguna. Se non saranno accontentati, "minacciano" di andarsene. La Nuova Venezia, 29 aprile 2016 (p.s.)

Venezia. Traffico crocieristico in calo a Venezia negli ultimi due anni e anche in quello in corso, e una richiesta precisa che arriva dal presidente - in scadenza - della Venezia Terminal Passeggeri Sandro Trevisanato: quella che per la fase transitoria, in attesa del nuovo tracciato per le Grandi Navi (un’attesa che potrebbe durare diversi anni) il Governo, con nuovo decreto, abolisca il limite delle 96 mila tonnellate, ora vigente, per consentire l’ingresso in laguna delle navi da crociera.

La previsione per il 2016 annunciata da ieri da Vtp, è quella di un milione 550 mila passeggeri. Nel 2015, i passeggeri erano stati 1.582.483, contro il milione e 733 mila del 2014 e il milione e 815 mila passeggeri del 2013. Un calo - secondo Trevisanato e l’amministratore delegato di Vtp Roberto Perocchio - dovuto appunto al limite di tonnellaggio, accettato dalle compagnie per entrare in laguna, che allontana quelle più grandi e più nuove e rischia appunto di ridimensionare lo scalo veneziano.

Trevisanato, giunto al termine del suo mandato (prorogato solo in attesa del riassetto di Vtp), invoca due misure da parte del governo, da prendere entro il 2016, per evitare che le compagnie si spostino verso altri home port, «che saranno soprattutto stranieri, perché Trieste non ha lo stesso appeal di Venezia»: l'individuazione rapida della via alternativa al passaggio in Bacino San Marco, che è la soluzione Tresse Nuovo - sostenuta dal sindaco Luigi Brugnaro e dal presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa - e la fissazione di limiti non quantitativi, ma qualitativi.

«Rispettando regole di costruzione riguardanti la chiglia - spiega - garantendo manovrabilità per la sicurezza e utilizzando carburanti e apparecchi per abbattere le emissioni supereremmo la completamente la crisi e Venezia potrebbe riesplodere, potendo puntare ai due milioni e mezzo di passeggeri. In caso contrario, riteniamo che di più non si possa fare e Venezia sarebbe destinata ad un declino progressivo». Di qui la richiesta al Governo - dopo il Clini-Passera che fissava appunto il limite di ingresso delle Grandi Navi a 96 mila tonnellate - di un nuovo decreto “qualitativo” «che superi l’illogicità del limite già annullato dal Tar del Veneto».

E a sostegno Trevisanato cita le recenti dichiarazioni alla Fincantieri del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e il sostegno del nuovo sottosegretario ai Beni Culturali Dorina Bianchi. «Sappiamo quanto è importante il settore crocieristico per l'Adriatico», aveva detto tra l’altro Delrio, «però i documenti relativi ai tragitti alternativi al bacino di San Marco devono essere analizzati accuratamente. Stiamo definendo una data per riconvocare il Comitatone e decidere come gestire, nel frattempo, l'accesso a Venezia di navi da crociera che gli armatori vogliono sempre più grandi».

«Venezia, un’invasione. Paralisi a piazzale Roma senza che nessuno pensasse ad attivare quelle misure - come appunto il blocco del traffico sul ponte della Libertà se non per le auto dei residenti e per i mezzi pubblici - che pure sono teoricamente previste in caso di grave intasamento». La Nuova Venezia, 27 marzo 2016 (m.p.r.)

Venezia. Weekend di Pasqua come quello dei giorni “caldi” del Carnevale. Invasione di turisti in laguna quella di ieri - favorita anche al dal bel tempo e dal clima mite - che ha comportato, soprattutto nella prima parte della giornata, momenti di paralisi per il centro storico, a cominciare dall’area di piazzale Roma. Già in mattinata esauriti rapidamente i posti-auto nei garage comunale e San Marco, e riempito anche quello del Tronchetto. Il risultato è stato il formarsi di una coda di circa due chilometri lungo il ponte della Libertà, che ha bloccato anche i tram e gli autobus in arrivo a Venezia. Le auto sostavano in coda all’ingresso dei garage - senza possibilità di entrare - e dunque creavano l’effetto “tappo” lungo il Ponte, bloccandolo.

I pochi vigili urbani in servizio assistevano sostanzialmente impotenti alla situazione, senza che nessuno pensasse ad attivare quelle misure - come appunto il blocco del traffico sul ponte della Libertà se non per le auto dei residenti e per i mezzi pubblici - che pure sono teoricamente previste in caso di grave intasamento. Per i veneziani che dovevano rientrare in centro storico è stata perciò un’odissea, con almeno un’ora e mezzo di tempo di attesa prima di poter scendere dall’auto e parcheggiare dopo aver imboccato il Ponte.
Presi d’assalto anche i vaporetti, oltre che per raggiungere l’area marciana, anche per le isole, in particolare Murano e il Lido, nonostante l’Actv avesse anticipato l’entrata in vigore degli orari primaverili proprio per aumentare il numero delle corse. Messe comunque in funzione diverse corse bis e registrate code agli imbarcaderi, in particolare a piazzale Roma, alla Ferrovia e anche per il rientro da Murano. Ma anche per le calli del centro storico l’intasamento è stato massimo, in particolare a Rialto, perché la viabilità ridotta anche per i lavori in corso di restauro del ponte, ha comportato il formarsi di un’autentica muraglia umana per salire e per scendere. Stessa situazione intorno a Piazza San Marco, in particolare per il ponte della Paglia.
Notevoli problemi di viabilità anche lungo la Strada Nuova, con la massa di turisti in arrivo a piedi dalla Stazione e da piazzale Roma e diretti verso San Marco, perché il gran numero di bancarelle consentite per il periodo pasquale lungo la via ha complicato notevolmente la circolazione pedonale, creando anche qui veri e propri “tappi” al normale passaggio. Ottimi affari in compenso per bar e ristoranti e anche per i numerosi banchetti di souvenirs. Ancora una volta, però, la gran massa delle presenze turistiche si è concentrata nell’area realtina e in quella marciana, con file lunghissime - che arrivavano sino al Molo - anche per entrare in Basilica di San Marco e per accedere al Campanile, dove è ormai imminente l’introduzione dei tornelli.

«La proposta contro il proliferare delle destinazioni alberghiere respinta dalla maggioranza. La richiesta riguardava l’approvazione di una Variante al regolamento edilizio per dare disposizioni finalizzate all’incentivazione dell’uso residenziale degli edifici del centro storico». La Nuova Venezia, 19 marzo 2016, con postilla

Basta con le trasformazioni della città. E con la proliferazione delle destinazioni turistico-alberghiere. Una parola d’ordine che sembrava aver messo d’accordo tutti, maggioranza e opposizione. Per cercare di fermare una deriva che sta trasformando Venezia in Disneyland. Hotel, bed and breakfast e appartamenti per turisti dove erano le case dei veneziani. Botteghe di maschere, pizza, bar e oggetti cinesi a un euro dove erano i negozi di vicinato. Sul principio tutti d’accordo. Ma quando si tratta di votare, le divisioni rispuntano. Così l’altra sera in Consiglio comunale la maggioranza ha bocciato la mozione proposta dalle opposizioni e discussa a lungo in commissione.

«Una cosa incredibile», commenta il capogruppo del Pd Andrea Ferrazzi, primo firmatario del documento, «in commissione avevamo raggiunto un accordo trasversale, dopo la modifica del testo concordata. Nonostante questo, solo il consigliere Pellegrini ha votato a favore, Paolino D’Anna si è astenuto. Gli altri l’hanno bocciata». «Prendiamo atto di questa clamorosa posizione di chi amministra la nostra cittá», continua Ferrazzi, «invece di cogliere l'occasione per una profonda modifica regolamentare e programmatoria per ridare vita alla nostra Cittá hanno deciso che la svendita al turismo mordi e fuggi a danno dei residenti va bene».
«Una brutta cosa», commenta Davide Scano del Movimento Cinquestelle, «che fa il paio con il parere favorevole alla trasformazione in hotel dell’appartamento in calle delle Rasse del marito della consigliera Locatelli». «Mi dispiace, ma il consigliere Ferrazzi ha avuto un atteggiamento un po’ brusco, come se pretendesse che noi votassimo», dice il capogruppo della lista Brugnaro Maurizio Crovato, «tutti siamo per la difesa di Venezia, ma in politica conta anche il modo con cui si fanno le cose».
La mozione era stata presentata da un nutrito gruppo di consiglieri dell’opposizione. Ferrazzi, Sambo e Lazzaro del Pd, Casson, Faccini, Pellicani, Pelizzato e Fiano della Lista Casson, appoggiata anche dai grillini. La richiesta principale riguardava l’approvazione di una Variante al regolamento edilizio, in discussione in questi giorni, per dare disposizioni finalizzate all’incentivazione dell’uso residenziale degli edifici del centro storico». Ma anche una nuova Variante al Piano degli Interventi per modificare, nella sola città antica, le condizioni che determinano la possibilità di concedere i cambi d’uso. Definendo in alcuni casi la destinazione ricettiva come «concorrente alla residenzialità». Una misura difficilmente rinviabile, per ridurre una tendenza che si è fatta massiccia negli ultimi anni. E che ha portato la città al suo minimo storico di abitanti, poco più di 55 mila. Con il record di turisti: nel 2015 27 milioni quelli ufficiali.

postilla

Nessuno sembra ricordare che il piano urbanistico della città storica, elaborato nell'ultimo decennio del secolo scorso e adottato nel 1992, prevedeva già la tutela della residenzialità e regole rigorose per condizionare le modifiche delle destinazioni d'uso, e che le norme furono peasntemente modificate (meglio, stravolte) dalla prima giunta Cacciari, per opera determinante dell'assessore neoliberista Roberto D'Agostino. Si veda in proposito la vicenda riassunta nell'articolo di Silvio Testa del 2015 (La Salvaguardia chiede a Cacciari di limitare le concessioni di cambio d'uso), e i numerosi articoli di Luigi Scano nella cartella Per la sua Venezia , e in particolare il documento Quale piano per la città storica di Venezia? (parte seconda)

Europa Nostra suona il campanello d’allarme per ricordare al mondo intero che Venezia non può sopravvivere senza la sua laguna. La presidente di Italia Nostra Venezia presenta la lista degli stravolgimenti e delle emergenze ambientali di Venezia. Gli articoli de La Nuova Venezia, 17 marzo 2016 (m.p.r.)



VENEZIA A RISCHIO

UN DISASTRO TOTALE
di Enrico Tantucci

Venezia, con la sua laguna, è il sito culturale e naturalistico più a rischio d’Europa, sotto l’aggressione congiunta del traffico delle grandi navi in laguna, dell’erosione dei suoi fondali, dell’inquinamento, della pressione turistica. Lo ha certificato ieri nell’incontro tenutosi nell’Aula Magna dell’Ateneo Veneto, Europa Nostra, federazione di organizzazione a difesa del patrimonio che riunisce 40 Paesi del vecchio continente e che è sostenuta ora nei suoi progetti di recupero anche dalla Bei, Banca Europea degli Investimenti. Un incontro che è servito ad annunciare i sette siti più a rischio in Europa. Tra cui non c’è Venezia, proprio perché la sua situazione è giudicata talmente grave e importante da sopravvanzare quella di tutte le altre realtà europee.

Il passo successivo - sollecitato anche da Sneška Quaedvlieg-Mihailoviæ, segretario generale di Europa Nostra - e che anche l’Unesco nella sua sessione estiva inserisca la città e la sua laguna tra i siti patrimonio dell’umanità ormai in pericolo. Perché - è emerso chiaramente dal dibattito di ieri - né il Comune, né il Governo italiano sembrano in grado di proteggere efficacemente Venezia e la laguna dall’aggressione a cui è sottoposta e serve, appunto una tutela europea e mondiale per una città la cui salvezza sta a cuore a tutti. Un appello in questa direzione è stato lanciato ieri con un videomessaggio dal grande tenore Placido Domingo, presidente di Europa Nostra.
«Europa Nostra suona il campanello d’allarme - ha detto Domingo - per ricordare al mondo intero che Venezia non può sopravvivere senza la sua laguna. Cinquanta anni dopo che si sono creati i primi movimenti di solidarietà nel mondo per Venezia, l’opinione pubblica internazionale deve ancora una volta alzare la voce per lanciare un appello al Parlamento europeo, al Governo italiano, alle Autorità regionali e comunali e anche agli altri leader politici ed economici». Il presidente di Europa Nostra ha richiamato l’attenzione sui gravi pericoli che Venezia deve fronteggiare. L’innalzamento del livello del mare dovuto ai cambiamenti climatici, gli intensi flussi turistici, l’aumento del traffico delle grandi navi da crociera, gli scavi di canali sempre più profondi, l’erosione dei fondali e delle paludi, l’inquinamento e la pesca industriale.
L’architetto Francesco Bandarin, vicedirettore generale per la cultura dell’Unesco, ha aggiunto: «L’Unesco prende nota con grande attenzione della decisione di Europa Nostra di dichiarare Venezia come il sito in maggiore pericolo in Europa. L’Unesco sta preparando un rapporto sulla situazione di Venezia, che sarà presentato al comitato del Patrimonio mondiale. Il comitato formulerà le sue decisioni e raccomandazioni a luglio». Sostegno anche da Silvia Costa, presidente della commissione Cultura e Istruzione del Parlamento europeo e parole di apprezzamento, ma di circostanza dall’architetto Francesco Scoppola, direttore generale Belle Arti e Paesaggio del ministero dei Beni Culturali e del Turismo.
I rappresentanti di Europa Nostra e della Banca Europea degli Investimenti hanno nell’occasione annunciato i sette siti dichiarati più in pericolo in Europa nel 2016: il sito archeologico di Ererouyk e il villaggio di Ani Pemza in Armenia, la Fortezza a Mare Patarei a Tallinn in Estonia, l’aeroporto di Helsinki-Malmi in Finlandia, il ponte girevole Colbert a Dieppe in Francia, il Kampos di Chios in Grecia, il convento di S. Antonio di Padova in Estremadura in Spagna, l’antica città di Hasankeyf e dei suoi dintorni in Turchia.

TUTTE LE EMERGENZE CHE DETURPANO
LA BELLEZZA DELLA CITTÀ

di Enrico Tantucci

«Sono stati elencate da Fersuoch, presidente di Italia Nostra. «Le Fondamente Nove saranno completamente stravolte”»

Venezia. La lunga lista degli stravolgimenti e delle emergenze ambientali di Venezia. È quella che ha fatto ieri il presidente della sezione veneziana di Italia Nostra Lidia Fersuoch, intervenendo nella seconda parte del dibattito organizzato da Europa Nostra all’Ateneo Veneto, focalizzato proprio sulla nostra città. «Ho appena visto il progetto previsto nell’area degli ex Gasometri di San Francesco della Vigna e autorizzato nel periodo commissariale, modificando la pianificazione urbanistica», ha detto Fersuoch, «che stravolgerà completamente l’aspetto delle Fondamente Nove». Il progetto, curato dall’Immobiliare Del Corso srl, prevede la realizzazione di nuovi alloggi per una superficie di oltre diecimila metri quadri.

Altro motivo di seria preoccupazione posto all’attenzione di Europa Nostra è quello delle sorti dell’Arsenale. «Rischiano di essere abbandonati al degrado i tre magnifici bacini di contenimento in pietra d’Istria», ha ricordato il presidente di Italia Nostra, «usati per l’attività cantieristica, che verrà così a sparire, per lasciare spazio in questa zona alla manutenzione delle paratoie del Mose, con la realizzazione di un enorme capannone e di un depuratore. Una manutenzione che invece che in uno dei monumenti-simbolo di Venezia, potrebbe essere tranquillamente svolta a Porto Marghera».
L’altro allarme lanciato è quello della barriera delle palancole di metallo che non riesce più a tenere i fanghi inquinati delle lavorazioni di Porto Marghera. «Quelle palancole sono ormai un colabrodo», ha sottolineato Fersuoch, «nonostante la spesa di un milione di euro per realizzarle e la laguna rischia di esserne inquinata ogni giorno di più, creando a Porto Marghera una situazione simile a quella dell’Ilva di Taranto». Ultima nota per la laguna, che Europa Nostra vorrebbe tutelare insieme a Venezia. «Il sindaco Brugnaro ha appena abolito il Parco della laguna», ha concluso l’ambientalista, «e questo dice tutto sulla considerazione che si ha in questo momento a Venezia per la tutela del suo ambiente».
«Ambientalisti delusi: “C’è una grande confusione tra strumento e necessità di salvaguardia”». Articoli di Simone Bianchi ed Enrico Tantucci, La Nuova Venezia, 16 marzo 2016 (m.p.r.)



«IDEOLOGIA PIÙ FORTE
DEL TURISMO SOSTENIBILE»

di Simone Bianchi
La possibile perdita di una realtà come il Parco della Laguna Nord a molti sta andando di traverso. Soprattutto tra chi per anni si era battuto per la sua istituzione. La giunta comunale, in realtà, non ha fatto altro che ottemperare a quanto Brugnaro aveva promesso in campagna elettorale. Nella sezione relativa all’ambiente - “Per la tutela dell’ambiente, del paesaggio e degli animali” - il sindaco si impegnava infatti al «blocco e ritiro del progetto del Parco della Laguna Nord». Ora che l’impegno si è concretizzato, però, c’è chi non è affatto contento. «Sicuramente c’erano cose più urgenti da fare rispetto a questa, ma sembra che fosse il primo pensiero del sindaco visto che era nel suo programma di governo», attacca Alessandra Taverna, presidente dell’Istituzione Parco della Laguna Nord. «Ovviamente l’istituzione è sempre stata altra cosa rispetto al Parco, e ci è già però stato chiesto di fare il bilancio preventivo per il 2017. Abbiamo i soldi ma sparisce il Parco? C’è grande confusione tra strumento e necessità di salvaguardia. Si vede il Parco come qualcosa di costoso e problematico, invece dispiace l’abbandono in cui è stata lasciata la laguna in questi mesi. Come Istituzione abbiamo sempre lavorato in modo precario ma lo abbiamo fatto. Non so come finirà, non esprimo giudizi politici, ma decidere questo senza definire nulla sul futuro della stessa Istituzione non lo comprendo. E poi, perché le remiere dovrebbero essere contrarie al parco?». Infine il commento dei Vas (Verdi ambiente e società) veneziani. «Abbiamo fatto una grande battaglia sul Parco, c’era il tempo per capire di più la situazione senza prenderla così di petto. E c’è grandissimo rammarico dopo anni di impegno per portare a casa un Parco che ora con un colpo di spugna si vuole cancellare. Ancora una volta prevalgono le scelte ideologiche sul turismo sostenibile e sulla tutela ambientale».

BRUGNARO ABOLISCE
IL PARCO DELLA LAGUNA

di Enrico Tantucci
«Per il sindaco ci sono troppi vincoli. Cancellata la pianificazione urbanistica e la tutela di oltre 16 mila ettari di ecosistema»

Detto fatto: addio al Parco della Laguna. Già nell’ottobre scorso in consiglio comunale era stata bocciata la mozione del consigliere della Lista Casson, Nicola Pellicani, che chiedeva di discutere del futuro del Parco. «Troppi vincoli», secondo il sindaco Luigi Brugnaro - che aveva fatto dell’abolizione uno dei punti della sua campagna elettorale - con lo strumento di pianificazione urbanistica della laguna nord voluto dalla giunta Orsoni e già in quell’occasione l'assessore all’Urbanistica Massimiliano De Martin aveva annunciato l’intenzione della Giunta di abolire sia il Parco che l'Istituzione. Ora, nell’ultima seduta di Giunta, l’addio al Parco della Laguna con il “governo” degli oltre 16mila ettari di ecosistema lagunare e la relativa tutela, sparisce, con una delibera che cancella la pianificazione urbanistica del Parco e riporta tutto come prima. E fioccano le prime proteste.

«La giunta comunale, secondo quanto promesso da Brugnaro in campagna elettorale - dichiara il presidente della Municipalità di Marghera ed ex assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin - ha cancellato, o sta per cancellare, il Parco della Laguna Nord, istituito dopo molti anni di discussioni dal Comune di Venezia nel 2014, con l’adesione della Municipalità del centro storico e isole, della Provincia e della Regione Veneto, oltre che di fitta serie di associazioni ambientaliste, culturali, di impegno sociale, di categoria economiche. Il Parco avrebbe rappresentato una nuova e solida occasione di sviluppo sostenibile e di tutela delle tradizioni culturali e degli ambienti naturali della laguna, sperimentando modalità dello stesso sviluppo turistico diverse e opposte rispetto al modello invasivo e stravolgente oggi dominante a Venezia. È un’occasione perduta, per l’economia e per l’ambiente. Ora speriamo che la giunta non riapra l’inceneritore di rifiuti, chiuso dal Comune sempre nel 2014».
Per Monica Sambo, consigliere comunale del Pd, «per quanto riguarda il Parco della Laguna oggi si scrive una brutta pagina tutta basata su pregiudizi e per un mero tornaconto elettorale. Cancellando il parco si butta un lungo lavoro di concertazione con categorie e cittadinanza, si tagliano le potenzialità di un progetto che poteva offrire opportunità a questi territori, senza che venga definita una prospettiva utile al rilancio locale. Il parco poteva essere un Ente gestito dai cittadini, strumentale alla tutela ambientale, alla salvaguardia dei lavori tradizionali, alla promozione dei prodotti tipici e del turismo sostenibile, facilitatore per migliorare la vivibilità e la residenzialità dell’area urbanizzata delle isole della Laguna Nord. Un interlocutore autorevole per i cittadini e punto di riferimento amministrativo in grado di portatore le istanze locali nella loro specificità in chiave metropolitana ed europea. Il Sindaco non ha nessuna visione di città e di prospettiva ma prende decisioni “alla giornata” unicamente a fini elettorali. Per rispondere alla scelta del sindaco circa l'eliminazione del Parco della Laguna riteniamo che lo stesso, diversamente da quanto sostenuto, non sarebbe stato un “carrozzone” perché non avrebbe comportato costi aggiuntivi per l’amministrazione, in quanto avrebbe assorbito personale già esistente».

Due piccole storie che gettano un po' di luce sulla faccia nascosta della città, sempre più ridotta ariserva per i ricchi del mondo e artefatta vetrina dei residui di una bellezza che fu. La Nuova Venezia, 11 marzo 2016

IL COMUNE DI VENEZIA DICE "STOP"
AGLI AIUTI AI SENZA FISSA DIMORA

Contratto scaduto, ieri ultimo giorno per gli operatori delle cooperative Caracol e Gea: cancellati 34 posti letto al Rivolta

MESTRE. Giovedì è stato l'ultimo giorno di lavoro per il progetto “Senza dimora” degli operatori delle cooperative Caracol e Gea: una quindicina di operatori della Caracol sono andati per l’ultima volta in strada tra i senza fissa dimora della stazione di Mestre. Hanno distribuito bevande e coperte e salutato tutte le persone che hanno collaborato in questi anni per l’emergenza “inverno”. Sono scaduti i cento giorni, previsti da contratto e il futuro servizio sarà affidato con un bando pubblico, promette la giunta Brugnaro. Nel frattempo al posto delle cooperative si utilizzeranno i comunali.

Ultimo giorno ieri anche per la cooperativa Gea al centro diurno alla mensa di Ca’ Letizia, in via Querini «dove il servizio viene dimezzato», denuncia il consigliere comunale Nicola Pellicani (Lista Casson) che ha portato la questione in discussione in commissione con un’interpellanza: «Anche il servizio di assistenza legale, assicurato dagli avvocati volontari che si appoggiavano a Gea ora rischia di scomparire», spiega. Tra i primi contraccolpi di questa riorganizzazione c’è la riduzione del servizio docce. Il servizio veniva garantito ai clochard cittadini al Drop-In di via Giustizia due giorni la settimana, il mercoledì mattina e il venerdì pomeriggio. Ora un cartello avvisa che le docce sono aperte solo il mercoledì mattina, il giorno meno utilizzato dai clochard cittadini. A qualcuno può sembrare un problema di poco conto ma garantire una vita decorosa a chi vive in strada è il primo passo per evitare situazioni di degrado ben peggiori.

«È scaduto il contratto ma i senza fissa dimora hanno il diritto di lavarsi, che costituisce il minimo di solidarietà che un Comune deve saper garantire», avverte Pellicani. «Un servizio di assistenza tra l'altro che se non assicurato finirà per alzare i costi sociali del problema. «L'assessore alle politiche sociali aveva« garantito che gli stessi servizi sarebbero stati assicurati dal personale interno del Comune, ma come volevasi dimostrare ciò non è avvenuto. Iniziamo così tristemente a vedere gli effetti dei tagli al sociale applicati dalla giunta Brugnaro».

L'assessore Simone Venturini non ci sta a passare per un politico “senza cuore”. E rigetta ogni critica: «Sarà finalmente il Comune a gestire i servizi programmando attività di riscatto sociale e di uscita dalla strada», dice, prevedendo «collaborazioni con altri servizi dell’inclusione sociale. L’attività sulla strada sarà potenziata per far emergere dalla strada la gente e ci sarà anche un occhio di riguardo per gli abitanti delle zone che vivono situazioni di degrado. Il nuovo bando pubblico verrà pubblicato nel giro di due mesi».

Ma le Politiche sociali del Comune sono in subbuglio: ci sono altri tagli in corso, come quelli ai mediatori linguistici e culturali. «Nessun contraccolpo significativo ma piccoli risparmi sugli appalti in essere per evitare di intaccare sensibilmente i servizi», tranquillizza Venturini. Il Comune resta senza i 34 posti letto dell’accoglienza attivati dalla Caracol al centro Rivolta di Marghera e messi a disposizione in questi anni del Comune. E la Riduzione del danno, che si occupa di tossicodipendenza, ha ridotto le uscite degli operatori in strada».

PALAZZO DONÀ, “SFRATTATO”
LO SPORTELLO IMMIGRATI

Dopo la vendita per farne albergo, non c’è ancora una sede alternativa Il servizio segue 2 mila badanti. L’assessore Venturini: «Non lo smantelleremo»

VENEZIA. Che fine farà lo “Sportello Immigrazione” del Comune, apertura il giovedì pomeriggio negli spazi storici di palazzo Donà, in campo Santa Maria Formosa e centinaia di stranieri seguiti ogni anno, in particolare tra le badanti che lavorano a Venezia?

Gli operatori del servizio - tutti dipendenti comunali - sono in allerta da quando l’amministrazione ha annunciato la vendita del palazzo alla sua società Ive-Immobiliare veneziana per 4 milioni di euro, perché poi lo metta sul mercato con cambio di destinazione d’uso ad albergo. Tempi stretti, tanto che ai 17 assistenti sociali ospitati nello stesso edificio - sinora gestiti in autonomia dalla Municipalità, ma da qualche settimana avocati a sé dall’amministrazione - le Politiche sociali hanno già fatto sapere che entro giugno dovranno liberare gli uffici e trasferirsi negli spazi di campo Santa Margherita (non rinnovando l’affitto ad associazioni che avevano qui da anni la loro sede, come Il Granello di Senape e Ambiente Venezia). Agli operatori dello Sportello Immigrazione, sinora, nessuna comunicazione: silenzio. E loro temono la chiusura dello sportello in centro storico.

Il servizio ha un nome complesso - "Servizio immigrazione e Promozione dei diritti di cittadinanza e di asilo" - che si traduce in un'attività precisa: uno sportello al quale gli stranieri che vivono, lavorano, studiano nel Comune si rivolgono per avere informazioni sul rinnovo del permesso di soggiorno, il riconoscimento dei titoli di studio, l'inserimento scolastico dei bambini, l'assistenza sanitaria, i contributi. Mille gli accesi ogni anno. Due le sedi: in via Verdi 36 a Mestre (apertura il martedì) e, sinora, a Venezia a palazzo Donà, sin dagli anni Novanta, apertura il giovedì pomeriggio dalle 14.30. Orario della pausa pranzo delle badanti (2 mila nella città storica) che a Venezia sono le utenti principali del servizio.

Dal Comune arrivano rassicurazioni. «Non c’è nessuna volontà di smantellare un servizio», la risposta dell’assessore Simone Venturini, «in questi giorni i tecnici dell’Ufficio Patrimonio sta individuando alcune soluzioni per vedere quali sono gli immobili disponibili. Il passo successivo sarà quello di valutare che tipo di servizio svolgono i dipendenti. Ovviamente, nel caso in cui venisse fuori che è strettamente legato al territorio, come quello delle badanti, si farà in modo di non spostarlo. Noi stiamo riorganizzando finalmente la macchina comunale per migliorarla. Teniamo presente che il sociale è completamente frammentato quindi questa è un’occasione per fare meglio e non per peggiorare. Fino a una nostra comunicazione, tutto prosegue come prima in modo da non creare confusione tra le persone». (r.d.r.-v.m.)

«È l’8 marzo dei movimenti che difendono i territori dal business cannibale delle Grandi Opere e sventolano anche l’arcobaleno della pace». articoli di Roberta De Rossi, Ernesto Milanesi, Carlo Mion, la Nuova Venezia e il manifesto, 9 marzo 2016 (m.p.r.)

La Nuova Venezia
TRE ORE DI MANIFESTAZIONE
FRA TERRA E MARE
di Roberta De Rossi

Venezia. Un’ora di “battaglia navale” davanti a Punta della Dogana, tra i manifestanti in barca (determinati nel cercare di raggiungere piazza San Marco) e le forze dell’ordine in motovedetta e moto d’acqua (determinate, parte loro, a respingerli con gli idranti). O - per meglio dire - un’ora di scaramucce messe in preventivo da entrambe le parti, anche se qualche incrocio e qualche manovra in retromarcia alla cieca hanno rischiato di rovesciare un paio di barchini, nei momenti più caldi della protesta. È stato questo il cuore della manifestazione contro le grandi opere pubbliche, che ha richiamato ieri a Venezia No GrandiNavi, No Tav, No Trivelle, studenti in arrivo dal Veneto e tutt’Italia, con un paio di pullman dalle Marche contro le trivelle e una cinquantina di persone partite nella notte dalla Val di Susa e dal Piemonte per protestare contro i treni Ad alta velocità, in occasione del vertice Renzi-Hollande ospitato ieri in palazzo Ducale: erano annunciati in cinquecento e forse sono stati alla fine anche di più, nonostante la pioggia battente, che non ha mollato la presa per tutta la durata della manifestazione.
Appuntamento per tutti alle 10 nel piazzale della stazione di Santa Lucia, per un corteo “da tera e da mar”: a piedi lungo un tortuoso percorso fino in campo Santa Margherita e poi San Basilio e le Zattere; e in barca, a bordo di una quindicina di topi e topette prese a noleggio, che hanno seguito il corteo attraverso i canali, al ritmo di slogan contro le grandi opere e musica. A scortarli, centinaia tra vigili urbani, carabinieri e poliziotti in tenuta antisommossa.
Per chi ne ha viste altre di manifestazioni No Grandi Navi di studenti, ambientalisti e centri sociali, ieri non c’è mai stata vera tensione, ma una sorta di gioco tra le parti. Questa volta, la Questura non ha chiamato l’elicottero della Polizia, che in una precedente protesta contro le navi da crociera in laguna - fermandosi in aria a poche decine di metri dall’acqua - aveva sì messo in serio pericolo le persone in barca. Ieri, per poco più di un’ora, c’è stato invece un susseguirsi di tentativi da parte delle barche dei manifestanti (una quindicina) di passare il blocco di motovedette, moto d’acqua, imbarcazioni delle forze dell’ordine grandi e piccole (una ventina, poco più), impegnate invece a respingere i tentativi di sfondamento con l’acqua degli idranti (per altro, in una giornata alquanto fredda) e con inseguimenti, mentre da terra, i manifestanti sostenevano i compagni, con grida e slogan.
Qualche momento di tensione si è registrato quando nel corso di alcuni tentativi di “arrembaggio”, le manovre dei mezzi si sono fatte più veloci, con onde improvvise e alcuni speronamenti in retromarcia: ma alla fine, non è accaduto nulla di grave. Obiettivo dichiarato dai manifestanti: marcare il territorio e far “durare” la protesta più a lungo del termine delle 13, dato come tassativo dalla Questura per sciogliere il corteo. E così è stato: la protesta è durata fino alle 13.20, poi i manifestanti hanno fatto ritorno a piedi e in barca verso la stazione.



Il manifesto

«BATTAGLIA NAVALE»
NELLA ZONA ROSSA DI SAN MARCO
CONTRO LE GRANDI OPERE

di Ernesto Milanesi

Un migliaio in corteo, sotto la pioggia per oltre due ore, dalla stazione ferroviaria di santa Lucia fino a punta della Dogana (e ritorno). Una ventina di barche a misurarsi con gli idranti e gli speronamenti delle forze dell’ordine nella «zona rossa» in bacino san Marco. È l’8 marzo dei movimenti che difendono i territori dal business cannibale delle Grandi Opere, sventolano anche l’arcobaleno della pace nella città di Valeria Solesin e promettono al premier un’altra «battaglia navale» fra scuole e università. A Venezia sono arrivati i resistenti della Val Susa, a beneficio di Wu Ming 1 che prende appunti multimediali. Tocca a loro cantare in testa alla manifestazione, come far da ospiti d’onore delle imbarcazioni «armate» di fumogeni e copertoni d’auto.

Ma per Renzi & Hollande a palazzo Ducale si sono mobilitati da tutt’Italia: Stop Biocidio di Napoli, No Ombrina dall’Abruzzo, Kein Bbt dal Trentino, No Muos dalla Sicilia. È l’alternativa «dal basso» alla devastazione di cemento, asfalto, trivelle, produzione di morte. Ma insieme rappresenta la democrazia diretta che s’incarna nei referendum, come nelle lotte sociali o nelle «missioni a braccia aperte» lungo i confini dell’Europa con i muri di filo spinato.

Nella delegazione dei centri sociali delle Marche spicca Karim Franceschi, il combattente di Kobane. E sotto gli ombrelli marciano Arnaldo Cestaro, classe 1939, massacrato alla scuola Diaz di Genova, e il piccolissimo figlio nel marsupio di una delle donne dietro lo striscione di Vicenza, stritolata dal cemento della nuova base Usa come dai progetti dell’alta velocità ferroviaria. In coda centinaia di studenti con i cori anti-Renzi, le bandiere rosse, il sound system.

Il corteo si snoda dai Tolentini a campo Santa Margherita, fino a San Basilio e alle Zattere, sempre accompagnato da quello par màr che attraverso rii e ponti deve guadagnare lo specchio di laguna letteralmente blindato fin dall’alba. È lì che poco dopo mezzogiorno scatta l’ingaggio. Motovedette della polizia e gli idranti della Guardia di finanza vanno all’assalto dei natanti da diporto. I «pirati» tentano una, due, tre volte di violare la zona off limits davanti a piazza San Marco. Ma vengono speronati, bersagliati dai cannoni idrici e, in un caso, a bordo si resta senza timone.

Inutile il cambio di «equipaggi» a punta della Dogana: scendono fradici di pioggia, idranti e onde sollevate dalle moto d’acqua dei poliziotti; sale a bordo gente nuova e più asciutta. Diventa una «battaglia navale« con i fumogeni rossi che accompagnano gli slogan dei piemontesi e dei veneziani all’indirizzo dei «filibustieri» in divisa. Dura circa un’ora senza che nessuno si faccia davvero male, finché a terra si decide di abbandonare il presidio e in acqua di mettere la prua verso il canale della Giudecca. Ma almeno il summit numero 33 italo-francese non si esaurisce nel cerimoniale istituzionale contemplato dalle agende presidenziali. Tanto più che la «vertenza Lione-Torino» (progetto 1992) è approdata ieri pomeriggio in Senato: protagonisti dell’audizione in commissione lavori pubblici i sindaci e i tecnici della Val Susa. In parallelo, è partita la «tempesta elettronica» con le dieci domande sulla Tav spedite a raffica via e mail ai vertici dei due governi.

A Venezia, invece, il «doge Gigi» non ha perso l’occasione di imbastire la sua personale vetrina con il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti. Il sindaco fucsia Brugnaro fa sapere di aver discusso delle bonifiche a Marghera, del futuro del Mose e della rotta alternativa per le città galleggianti dei croceristi. Peccato che manchino le risorse indispensabili al «marginamento» in sicurezza dell’ex area industriale dei veleni, mentre la Corte dei Conti sta per presentare un conto da 5,2 milioni di euro a Giancarlo Galan per i danni d’immagine subiti dalla Regione nello scandalo che ha travolto il Consorzio Venezia Nuova.

Sul fronte delle Grandi Navi, l’iniziativa più concreta è di Cesare De Piccoli (ex viceministro dei trasporti nel governo Prodi): con Dp Consulting srl e Duferco Italia Holding spa ha appena presentato il progetto «Venis Cruise 2.0» con il nuovo terminal crocieristico alla bocca di porto del Lido. La proposta del vecchio leader della Quercia veneziana fa il paio con la lettera aperta che la nuova segretaria comunale del Pd Maria Teresa Menotto ha «spedito» a Renzi, sollecitandolo proprio a fermare le mega-crociere fuori dalla laguna.

La Nuova Venezia
IN PUNTA DELLA DOGANA

È BATTAGLIA NAVALE
di Carlo Mion
Venezia. L’acqua arriva da ogni dove. Acqua salsa giù per la schiena, in bocca mentre inginocchiati sul fondo del “topo” da trasporto si cerca riparo. Gli idranti che mirano alle barche dei manifestanti hanno gioco facile dall’alto delle imbarcazione, dove sono sistemati. È un gioco da ragazzi puntare e colpire le piccole imbarcazioni. Se non basta l’acqua dall’alto, complice anche la pioggia, ecco quella che arriva dai lati “sparata” dalle moto d’acqua della polizia che con veloci gimkane creano uno tsunami di onde.
Così, per un’ora, dalle 12 alle 13 di ieri, si consuma la “battaglia navale” di Punta della Dogana. Da una parte una trentina di barche di manifestanti “No Grandi Navi” e “No Tav” cercano di raggiungere la “zona rossa” del vertice italo-francese, dall’altra polizia e guardia di finanza che con piccole e grosse imbarcazioni bloccano i tentativi di arrembaggio dei “pirati”. E sulla riva delle Zattere e di Punta della Dogana gli altri manifestanti a fare il tifo per i “pirati”. Alla fine i manifestanti non sono passati, ci hanno provato in tutti i modi. Ma poi il buonsenso ha prevalso e quindi non si contano feriti, mentre la polizia scientifica sta ultimando di identificare i “pirati”.
Il corteo di barche, come quello di terra, si è messo in movimento dalla stazione di Santa Lucia. I copertoni di auto, sistemati a prua delle piccole imbarcazioni, fanno intendere che ci sarà il tentativo di forzare il blocco “navale” a Punta della Dogana. Del resto è nel Dna di questi manifestanti l’intolleranza ai luoghi off limits. Comunque il corteo è variopinto e percorre canali poco conosciuti ai più. Luoghi nascosti che regalano immagini suggestive. Tutto comincia a complicarsi quando si arriva in canale della Giudecca. Qui le onde fanno ballare e chi non è abituato si trova a disagio. Non è semplice rimanere in piedi e godersi le rive. Quando tutte le barche escono in canale, vengono ordinate una accanto all’altra. Il colpo d’occhio è forte. Nel suo piccolo si tratta di una “grande armada”.
Il blocco di imbarcazioni procede unito, mentre da riva arrivano i primi incitamenti. Già la testa del corteo si è sistemata in Punta della Dogana. Il capitano del “topo” avverte di tenere le mani all’interno del bordo barca. Qualcuno capisce altri si chiedono perché. Pochi minuti e lo capiranno. La “grande armada” prosegue in testa alla quale c’è Tommaso Cacciari. Le imbarcazioni di polizia e guardia di finanza si fanno sempre più vicine. Aumentano le onde. Partono le prime imprecazioni dei manifestanti. Lo slang veneziano, usato per gli epiteti, viene usato alla sua massima potenza. Le moto d’acqua iniziano a “sparare” l’acqua della laguna dentro alle barche. I primi “caduti” sono ospiti della Val Susa che si ritrovano inzuppati dalla testa ai piedi. Le barche dei “pirati” si fanno sempre più insistenti nel tentativo di forzare il blocco voluto dal Questore Angelo Sanna.

Dalle imbarcazioni di guardia di finanza e polizia iniziano a sparare con gli idranti acqua pescata in bacino. A questo punto nessuno viene risparmiato. Un primo tentativo di andare oltre la linea di Punta della Dogana è fallito. Ancora qualche scaramuccia mentre tatticamente i “pirati” indietreggiano. Ci scappano delle piccole collisioni senza conseguenze. Inevitabile in mezzo alla confusione che si è creata con barche che fanno manovra in una “piscina”. I “pirati” indietreggiano e si riorganizzano. Nuovamente una accanto all’altra le barche muovono all’assalto del blocco navale. A questo punto dagli idranti l’acqua arriva più abbondante di prima. Alcune imbarcazioni vengono prese di mira non solo da due idranti ma pure da una moto d’acqua. Troppe onde, arriva acqua da ogni angolo mentre imperterrito il capitano del “topo” governa l’imbarcazione in mezzo a questo “tsunami”. Altri quindici minuti e tutto finisce.

Il blocco voluto dal Questore ha funzionato, i manifestanti hanno avuto parecchia visibilità e nessuno si è fatto male. «La giornata dimostra che tutti quanti possono discutere: è stata fatta una manifestazione ordinata. Gli abbiamo solo un po’ innaffiati quando hanno cercato di superare la “zona rossa”», ha detto alla fine il sindaco Luigi Brugnaro. «Direi che è tutto a posto, non sono stati fatti atti di vandalismo. La democrazia così funziona bene».
Quel che resta dell’Orto Botanico di Venezia sta per scomparire. L’ennesima cementificazione pianificata dalle varie ... (continua la lettura)

Quel che resta dell’Orto Botanico di Venezia sta per scomparire. L’ennesima cementificazione pianificata dalle varie amministrazioni comunali che, in accordo con i privati investitori, da anni cinicamente speculano sulla presunta mancanza di case per i veneziani, riempirà il giardino con 140 appartamenti ed alcune attrezzature commerciali e direzionali.

La creazione dell’Orto fu decisa nel 1810, in applicazione di un decreto del 1807 con cui gli occupanti francesi avevano istituito i primi licei non confessionali nel Veneto, disponendo anche che l’insegnamento della botanica fosse obbligatorio e che ogni liceo avesse a disposizione un orto botanico “a scopo didattico”. Nacque, così, l’Orto del liceo convitto Santa Caterina (oggi liceo classico Foscarini) per la cui sede fu scelto un vasto terreno di 18672 metri quadrati, già occupato dal convento dei frati francescani minori a san Giobbe, uno degli ordini religiosi sciolti da Napoleone. Dopo il ritorno della dominazione austriaca, l’Orto venne affidato al bavarese Giuseppe Ruchinger, poi a suo padre ed infine ad un fratello.

Orto botamico San Giobbe. Dettaglio Mappa Ludovico Ughi
Mappa fratelli Combatti
Sotto la guida della famiglia Ruchinger, divenne uno dei più rinomati d’Italia, tanto che gli fu concessa la denominazione di “Imperial Regio Orto Botanico in Venezia” e, a differenza degli altri orti botanici delle province venete che vennero soppressi nel 1826, rimase “a carico erariale per istruzione pubblica”. Nel 1847, Giuseppe Maria Ruchinger diede alle stampe una pubblicazione con la “Descrizione dell’orto e il catalogo delle piante”, che resta un documento fondamentale, non solo per il dettaglio e la precisione scientifica, ma perché descrive la situazione della zona poco prima che subisse una radicale trasformazione. In seguito alla costruzione della ferrovia (1846), infatti, l’Orto che prima si affacciava sul bordo della laguna (vedi mappa di Ludovico Ughi) venne a trovarsi su un canale confinante con l’imbonimento sul quale poggiano i binari (vedi mappa dei fratelli Combatti).

Con l’annessione di Venezia al regno d’Italia (1866) ha inizio la decadenza dell’Orto. Il Demanio intendeva usarlo “a scopo diverso da quello della coltivazione di piante” e solo la concessione per 29 anni, e poi la vendita, all’ultimo dei Ruchinger ne prolungò la sopravvivenza. Fu infine comprato dal principe Giuseppe Giovannelli (dal 1868 al 1870 sindaco di Venezia) e ceduto alla società tedesca Maschinenbauer Schwartkopff, intenzionata a costruirvi una fabbrica di siluri. La trattativa venne seguita personalmente dal ministro della Marina, Benedetto Brin, e all’inaugurazione del silurificio, nel 1887, presenziarono il re Umberto e la regina Margherita.

Ai primi del ‘900, il governo decise di sospendere la produzione dei siluri a Venezia e l’area passò alla Società per l’utilizzazione delle forze idrauliche del Veneto (poi Enel), che ne ha conservato la proprietà per un secolo, durante il quale una parte della vegetazione è scomparsa, ma una parte ha resistito. Il recupero dell’Orto Botanico, quindi, è tuttora un intervento tecnicamente fattibile, ma si scontra con l’ostinazione delle amministrazioni comunali che dal 2004 in poi (con i sindaci Costa, Cacciari, Orsoni e ora Brugnaro) lo considerano “un’area dismessa da valorizzare”. «Non dobbiamo farci condizionare dalla presenza di qualche arbusto», ebbe a dire, nel 2004, un componente della Commissione consiliare incaricata di rispondere alle osservazioni contrarie al PRIU Piano di recupero integrato urbano che il comune stava contrattando con l’Enel. E in effetti, le autorità comunali non si sono lasciate “condizionare” dalla vegetazione, ma hanno concesso tutte le licenze edilizie richieste, in cambio di “un diritto di passaggio” per accorciare il tragitto dalla stazione ferroviaria al nuovo campus universitario di Cà Foscari, allora in cantiere.

Nel 2007 il compendio fu messo all’asta dall’Enel e acquistato dalla società Gimal di Giuseppe Malaspina, un imprenditore calabrese trapiantato in Brianza. Malaspina è un personaggio interessante. Nel 1981 è stato condannato a 14 anni per omicidio (secondo quanto riportato dalle cronache avrebbe sparato a un tale che minacciava di denunciare la sua partecipazione ad una rapina in una gioielleria). Tornato in libertà dopo cinque anni, si è “messo in edilizia” ed ha cominciato ad occuparsi di affari immobiliari tramite una serie di società che cambiano continuamente nome e ragione sociale. E’ arrivato a Venezia tra il 2007 ed il 2008, nello stesso periodo in cui si cui si sono registrati altri sbarchi di calabresi in laguna, dal commissario straordinario mandato al Lido dal governo Berlusconi per coordinare l’operazione del Palazzo del cinema, ad alcune imprese immobiliari chiacchierate, ma di fatto intoccabili.

Oltre all’area di San Giobbe, Malaspina ha comprato Cà Sagredo e l’ha trasformata in un elegante albergo di gran lusso. Nel 2008, intervistato dal Sole 24 Ore, ha dichiarato di essere interessato a «progetti ambiziosi concentrati sulla fascia del turismo di lusso… e sulle residenze di lusso.. un business del quale l’Italia finora è rimasta quasi del tutto esclusa».

In seguito, qualche intoppo deve aver rallentato i suoi progetti. Nel 2011 il suo nome ricompare nelle cronache della Brianza, questa volta in veste di accusatore nei confronti di un clan di calabresi (originari di Montebello Jonico come lui) che minacciavano i suoi familiari “a scopo di estorsione”. Nel 2012 pare sia insolvente nei confronti delle ditte incaricate di preparare i terreni di San Giobbe. Ma nel 2013 tutto sembra risolto, e Malaspina «soddisfatto ed emozionato si dice pronto a valutare altri futuri investimenti nella città lagunare». Il suo entusiasmo è condiviso dall’assessore all’urbanistica della giunta Orsoni, Ezio Micelli, che dichiara «la zona ricca di storia e al centro di un nuovo progetto di sviluppo.. rappresenta un grande potenziale per la città». Per i cittadini forse no, ma per la comunità degli investitori, che i nostri amministratori considerano la loro città, il potenziale c’è ed è enorme, perché l’Orto si trova in una posizione di grande appetibilità immobiliare.
Il che lo rende un tassello importante del progetto di creazione di un waterfront nord occidentale che, partendo dalla stazione marittima, e attraverso il people mover ed il ponte di Calatrava, prosegua fino alla stazione ferroviaria, ormai trasformata in centro commerciale e che, con la continua cancellazione di treni regionali e intercity, si avvia a diventare un terminal ad uso esclusivo dei clienti dell’Alta velocità, per poi congiungersi al campus universitario (vedi google map). Gli interessi che premono per la realizzazione di questo disegno sono molti e potenti, dall’Autorità del Porto, alla società Grandi Stazioni, all’Università che vende i suoi palazzi sul Canal Grande e come un normale speculatore edilizio si insedia su aree un tempo periferiche e preme perché la pubblica amministrazione ne valorizzi l’intorno.
Nei giorni scorsi la stampa locale ha espresso preoccupazioni perché l’operazione San Giobbe è in ritardo ed i lavori sono nuovamente fermi. Per i cittadini potrebbe essere l’ultima occasione per tramutare i guai del signor Malaspina in opportunità e tentare di fermare la distruzione del giardino, farci restituire l’area e ripristinare l’Orto Botanico; “a scopo didattico” come imponeva Napoleone o “per istruzione pubblica” come decretava l’imperatore d’Austria.

Sorpresa! i costi a carico del comune, cioè nostri,"lievitano". Rosso e Benetton, invece, sono a posto. La Nuova Venezia, 27 febbraio 2016

Venezia. Le mensole della balaustre tutte spezzate. Il cemento scoperto sotto i gradini. Il parziale distacco dei paramenti murari dei negozi. Sono le sorprese - negative - del cantiere del restauro del ponte di Rialto che stanno emergendo in corso d’opera in questi mesi. Non certo per lo scarso impegno o l’imperizia delle imprese impegnate nell’opera - guidate dalla capogruppo Lares - che lottano alacremente contro il tempo, con il raddoppio delle squadre di operai al lavoro, per concludere il restauro entro l’anno. Ma per i dissesti scoperti in questi mesi nel corso dei lavori, nonostante il lungo monitoraggio preliminare, che aveva certificato l’ottimo stato di salute del ponte - realizzato ad arcata unica nel 1591 dall’architetto Antonio da Ponte - dal punto di vista statico e che avrebbe dovuto teoricamente mettere al riparo da ogni rischio. Dissesti che allungano la durata dei lavori e anche il costo dell’intervento, finanziato dall’imprenditore vicentino dell’abbigliamento giovane Renzo Rosso, con la sua capofila Only the Brave.

Sembravano più che sufficienti i 5 milioni di euro di sponsorizzazione stanziati da Rosso per il restauro, ma i costi dell’intervento, previsti in circa 3 milioni di euro, sono destinati a lievitare. Il Comune di Venezia sta predisponendo proprio in questo periodo la perizia di variante, ma i 500 mila euro in più previsti, potrebbero rivelarsi insufficienti. Già stanziati circa 50 mila euro a favore della Studio di Ingegneria Marascalchi per un approfondimento della progettazione strutturale dell’intervento, alla luce delle “magagne” emerse nel corso dei lavori. Il guaio più grosso si è evidenziato già da qualche mese, quando sono stati rimossi i gradini della parte sud, quella che guarda verso la Riva del Carbon, per portarli in cantiere per il restauro.

«È emersa» come si legge in una recente determina del Responsabile Unico del Procedimento del Comune, l’ingegner Manuel Cattani «dopo la messa in luce della struttura del ponte, una situazione inaspettata con una lesione longitudinale che percorre tutta la Rampa del ponte attraversando le mensole di sostegno della balaustra e, smontate alcune parti di arco sulle facciate dei negozi, si è evidenziata una situazione delle strutture murarie difforme da quanto ipotizzato inizialmente in base alle indagini preliminari». «Quando abbiamo rimosso la pavimentazione dei gradini» spiega anche il direttore generale del cantiere Mario Cherido «ci siamo accorti che tutte le mensole delle balaustre erano spezzate. Un danno che non riguarda la statica del ponte, ma di cui non era possibile accorgersi prima, se non rimuovendo i gradini. Lo stesso problema è presente anche nella gradinata nord del ponte, quella che guarda in direzione del Fontego dei Tedeschi e del palazzo dei Camerlenghi, ma in questo caso erano già intervenuti nell’Ottocento, introducendo dei pesi sopra le mensole della balaustra, proprio per aiutarle a sostenere il peso strutturale. Nelle parte sud siano già intervenuti e ora lo faremo anche dall’altra». Previsto tra l’altro l’inserimento di lamine di acciaio che “aiutino” le balaustre a tenere.

Ma non è stata l’unica sorpresa negativa emersa con la rimozione dei gradini. «Non ci aspettavamo certo di trovare del cemento» spiega ancora l’ingegner Cherido «tanto che era previsto di lavorare a mano. Ma, evidentemente, gli interventi compiuti negli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta dello scorso secolo, sono stati fatti senza grande cura e utilizzando, appunto, il cemento, che è anche il responsabile delle colate di umidità che si riscontrano sotto l’arcata del ponte, perché è stato compromesso il corretto smaltimento delle acque piovane. Un problema che ha comportato un allungamento dei tempi e anche un modo molto più complicato per intervenire». Ma non è finita, perché i problemi inaspettati scoperti in corso di restauro riguardano anche i negozi che si affacciano sul ponte, con possibili distacchi dei paramenti murari sovrastanti. Anche qui si dovrà intervenire con iniezioni di materiale consolidante.

Sperando che sia finita e che la scopertura della gradinata centrale - la più delicata - ancora da iniziare, non riservi anch’essa nuove sorprese.

«Come se il danno fosse un dato scontato e inevitabile», Roberto D'Agostino promette che il suo progetto ne farà meno. La speranza per la rivitalizzazione di Marghera e della gronda lagunare è l'annuncio «di un progetto alternativo all’idea di grande porto e centro ferroviario e autostradale». La Nuova Venezia e italianostravenezia.org, 18 e 11 febbraio 2016 (m.p.r.)



Italia Nostra Venezia
CROCIERE, SPUNTA DI NUOVO L'IPOTESI MARGHERA
18 febbraio 2016

Sul problema degli ormeggi delle grandi navi da crociera ricompare in questi giorni il progetto di situare un nuovo porto a loro dedicato nella zona di Marghera che si affaccia sulla gronda lagunare ai piedi del ponte della Libertà. Il progetto, molto simile a quello caldeggiato dall’ex sindaco Orsoni, è stato ora presentato in maniera ufficiale dal suo principale ideatore, l’architetto Roberto D’Agostino (ex assessore alla pianificazione urbanistica nella giunta Cacciari). Secondo i suoi sostenitori, quella soluzione eviterebbe di far scavare un nuovo canale nella laguna (il famigerato canale Tresse Nuovo, lungo 1,2 chilometri, largo 120 metri e profondo 10, un oltraggio e una ferita per l’ambiente lagunare), permetterebbe il recupero dello storico porto della Marittima per l’uso di navi di piccolo tonnellaggio e renderebbe facile l’approvvigionamento delle navi via terra e l’arrivo dei passeggeri dall’aeroporto.

L’Autorità portuale aveva a suo tempo sollevato una difficoltà tecnica: l’uso del canale dei Petroli per l’entrata e uscita delle navi passeggeri renderebbe molto complicata la convivenza con le petroliere e le navi del porto commerciale. Ma, obietta D’Agostino, tale promiscuità esiste anche con il progetto del canale Tresse proposto dal Porto.

Purtroppo i nostri amministratori, a livello sia locale sia nazionale, si ostinano a non voler accettare il fatto che non ci sono soluzioni accettabili per il problema delle grandi navi a Venezia, se non quella di escluderle del tutto. Ma di fronte a quest’altra ipotesi di affronto per la nostra laguna (con migliaia di passaggi di navi sempre più gigantesche) e per il nostro tessuto socio-economico (con almeno due milioni di passeggeri a riversarsi per calli, campielli e mezzi di trasporto) sembra che si limitino, nel migliore dei casi, a valutare quale delle soluzioni potrebbe essere la meno dannosa (o la più promettente ai fini elettorali). Come se il danno fosse un dato scontato e inevitabile.

Italia Nostra, com’è noto, è invece contraria a che Venezia rimanga un porto di destinazione per le grandi navi da crociera. Nei prossimi giorni pubblicheremo su questo sito alcune pagine tradotte da un prestigioso volume uscito negli Stati Uniti nel 2013, nel quale vengono illustrati in modo inoppugnabile i danni da esse inferti alle città di destinazione e si dimostra che i danni medesimi sono spesso molto superiori ai vantaggi economici. Chiunque vive a Venezia, se non legato da interessi particolari, non può non vedere che la nostra città di 56.000 abitanti non è adatta a ricevere le grandi folle dei crocieristi e che la laguna, anche nel tratto già scavato del canale dei Petroli, non può sostenere ulteriori passaggi di navi, con il loro carico di inquinamento marino e atmosferico, di onde subacquee che si frangono sui fondali, di sedimenti che si sollevano e fuoriescono in mare.

La Nuova Venezia
GRANDI NAVI A MARGHERA, SPUNTA UN PROGETTO ALTERNATIVO

di Alberto Vitucci

Lo studio D’Agostino con la ED srl l’ha presentato a Roma al ministero: banchine in Prima zona, niente scavi, barche di lusso e social housing nell’attuale Marittimadi Alberto Vitucci

VENEZIA. Un nuovo porto passeggeri a Marghera. L’idea che il Comune e la giunta Orsoni avevano lanciato due anni fa adesso diventa progetto. Un elaborato progettuale in piena regola, con studi e calcoli, depositato a Roma al ministero per l’Ambiente e già promosso nella prima fase di “scooping”. Lo firma lo studio di architettura dell’ex assessore all’Urbanistica Roberto D’Agostino, insieme all’impresa ED srl. Un’alternativa «credibile e logica», dice l’ex assessore, che chiede alla città di pronunciarsi. Portare le grandi navi a Marghera, nell’area della Prima zona industriale dove adesso sono i depositi dell’Eni, significa rilanciare l’area urbana della Marittima, dedicandola a piccole navi di lusso e yacht. Ma anche la nuova marina e case di lusso modello Amsterdam, con un nuovo canale all’interno.

Utopia? «No», dice D’Agostino, che nel frattempo ha vinto un concorso internazionale per progettare i piani regolatori di Maputo in Mozambico e Dar es Salam in Tanzania. «Certo, serve l’interessamento di un ente pubblico», dice, «perché l’iscrizione alla Via costa centinaia di migliaia di euro. Io ho già regalato alla città il mio lavoro».

E il Porto non è favorevole all’idea di spostare le navi passeggeri a Marghera. «Un’opposizione inspiegabile», dice il progettista, «anche i nuovi canali che vuole il Porto provocherebbero l’incrocio di traffico commerciale e passeggeri. Dunque, il problema non esiste».

I vantaggi della soluzione Marghera sarebbero tanti, dice D’Agostino. Il primo: non occorre scavare nuovi canali né, come nell’ipotesi del Tresse Nuovo, «tagliare in due l’isola delle Tresse con i suoi fanghi inquinati. Le navi resterebbero lontane, ma fino a un certo punto, dalla città storica. Per portare i passeggeri dalla nuova Marittima, che si costruirebbe nel canale Industriale Nord e in canale Brentelle, ci saranno dei vaporetti attrezzati con cui il Comune potrebbe far pagare una sorta di tassa d’ingresso offrendo il trasporto dal terminal alla città.

A Marghera la nuova Marittima potrebbe ospitare fino a sette navi. Con parcheggi, servizi, uffici e centri commerciali. Nell’attuale Marittima oltre alle case di lusso anche alloggi in social housing. «Una nuova situazione urbana che toglie anche il traffico delle grandi navi da San Marco».

Progetto che si potrà autofinanziare, secondo D’Agostino, perché gli 800 milioni di investimento (300 a Venezia, 200 per le banchine e le bonifiche a Marghera, altri 300 per gli uffici e i discount), potrebbero tornare con gli interessi, con un valore finale di un miliardo e 200 milioni.

Tempi previsti per il completamento: intorno ai sei anni. Entro sei mesi due navi potrebbero già spostarsi, per togliere il 40 per cento del traffico, la Marittima nuova in tre anni, il resto entro sei anni. Cosa manca per il via al progetto Marghera? «Il consenso della comunità, che adesso cercheremo portando in giro la nostra idea», dicono i progettisti, «e la volontà politica». I terreni di Marghera che dovranno essere espropriati sono di proprietà di Fincantieri, Gruppo Salmini e Pilkington. Il resto del Porto e del Demanio. Il sasso è lanciato.


Italia Nostra Venezia
PER MARGHERA E LA GRONDA LAGUNARE C'è FORSE ANCORA UNA SPERANZA

11 febbraio 2016

Riportiamo un articolo della Nuova Venezia che dà quasi per certo il fatto che il gruppo di lavoro dell’architetto Renzo Piano si occuperà nei prossimi anni proprio delle rivitalizzazione di Marghera e della gronda lagunare. Il gruppo è costituito da architetti il cui curriculum è molto promettente per quanto riguarda la capacità di progettare nel rispetto e anzi nell’esaltazione delle caratteristiche storiche, ambientali ed estetiche del territorio, In particolare segnaliamo la presenza di Raul Pantaleo, grande amante della laguna veneta (ex presidente, in gioventù, dell’Associazione Velica Lido, ancora molto viva e fiorente) e poi collaboratore di Gino Strada con progetti di edifici ospedalieri in Africa. Consolano anche alcune parole di Renzo Piano, che si riferisce a Marghera come un territorio «al confine tra terraferma e laguna”, mettendone in rilievo proprio quella caratteristica di gronda lagunare che può essere esaltata nei suoi valori anche estetici. Si tratterà comunque di un progetto che non potrà che essere alternativo a quell’idea di grande porto e centro ferroviario e autostradale (e parcheggio per milioni di container) che sembra invece nelle intenzioni dell’attuale presidente dell’autorità portuale ed ex sindaco di venezia, Paolo Costa.

Trovate qui il video di 30 minuti con l’intervista di Lucia Annunziata a Renzo Piano sul progetto di
recupero delle periferie, e trovate qui il curriculum di Raul Pantaleo, “tutor” del gruppo di Renzo Piano per il 2016.

Sacrosanta indignazione di persona perbene: «In linea con i miei ideali di migliore conservazione del patrimonio storico, non trovo più onorevole appartenere a un istituto che premia chi fa l’esatto contrario col Fondaco dei Tedeschi». La Nuova Venezia, 11 febbraio 2016

«Con questa mia chiedo di essere depennato dalla lista dei Soci dell’Ateneo Veneto. Mi dimetto per protesta contro l’assegnazione del Premio Torta nello scorso dicembre all’architetto Renata Codello, già Soprintendente alle Belle Arti e al Paesaggio e in tale veste principale responsabile dell’autorizzazione data alla vasta manomissione in atto del Fondaco dei Tedeschi, a suo tempo ricostruito in meno di tre anni (1505-1508) dopo un incendio, il terzo edificio della Repubblica di Venezia in importanza dopo Palazzo ducale e San Marco (cappella ducale) e il primo edificio d’importanza economica, da parte dei nuovi proprietari, la famiglia Benetton, noti mecenati culturali (si fa per dire) e dell’architetto Rem Koolhaas».

Comincia così la lettera che il professor Reinhold C. Mueller, noto medievista e già Ordinario di storia economica e sociale del Medioevo all’Università di Ca’ Foscari ha inviato di recente al presidente dell’Ateneo Veneto Guido Zucconi per protesta contro il riconoscimento all’architetto Codello (premiato in questo caso per la ristrutturazione delle Gallerie dell’Accademia), per il via libera alla trasformazione del Fontego dei Tedeschi che tanto sta facendo discutere in città, anche con le nuove finestre «dorate» in simil-alluminio anodizzato.
«Il Comune, sotto il sindaco Orsoni, e la Soprintendenza, sotto la direzione dell’architetto Codello» scrive ancora Mueller «hanno approvato il progetto di “restauro”, meno qualche provocazione più oscena, con lo scopo di rendere l’edificio rinascimentale un mega-store. Per farlo passare la Soprintendenza ha sposato la tesi che l’edificio, a seguito di manomissioni degli anni 1930, non era più una costruzione rinascimentale ma era da considerarsi addirittura un edificio degli anni attorno al 1930, ciò di fronte al compito di salvaguardare un edificio storico e riportarlo il più possibile allo stato originale, o comunque di non peggiorare interventi precedenti dove non reversibili».
E conclude: «In breve, in linea con i miei ideali sulla migliore conservazione possibile del patrimonio storico, non trovo più onorevole appartenere a un istituto che premia, per un’opera qualsiasi tanto “sapiente” e di “autentico interesse culturale per la città”, come suonano le motivazioni del premio, chi ha permesso l’esatto contrario nel caso del Fondaco dei Tedeschi. Pertanto, per correttezza e coerenza, rassegno - seppur con rammarico - le mie dimissioni da socio dell’Ateneo Veneto».
«Condivido buona parte dei tuoi giudizi sul progetto di Koolhaas, ma il Premio Torta non è un riconoscimento alla carriera», replica il professor Zucconi a Mueller, difendendo il premio assegnato all’architetto Codello per le Gallerie dell’Accademia. Ma senza fargli cambiare idea. (e.t.)

Una pianificazione all'altezza dei tempi del neoliberismo. Non è la collettività, con le regole della democrazia, a decidere il suo futuro, ma i grandi interessi economici, nuovi Moloch divoratori di risorse altrui. La Nuova Venezia e Italianostravenezia.org, 10 febbraio 2016

La Nuova Venezia

PIANO REGOLATORE,
ASSEGNATO L'APPALTO

di Gianni Favaretto

A quasi cento anni dalla nascita (1917), il porto lagunare di Venezia ridisegna il suo assetto urbanistico, insieme a quello di Chioggia e ripianifica il suo sviluppo alla luce dei grandi cambiamenti avvenuti nell’ultimo secolo e delle nuove frontiere della logistica globale, dell’industria e delle infrastrutture. Il traffico di petroliere non c’è più e quello legato alle grandi industrie siderurgiche, chimiche ed energetiche che all’inizio del secolo era il core business del porto, si è fortemente ridimensionato, liberando aree industriali che aspettano da troppo tempo una rigenerazione ambientale, economica e occupazionale con un’orizzonte temporale proiettato sul 2030, quando saranno completati i nuovi corridoi europei dei trasporti, e al 2050, quando saranno completati gli investimenti dell’Unione Europea e bisognerà ridurre le emissioni di anidride carbonica nei trasporti del 60%.

Malgrado la catena ininterrotta di chiusure delle grandi industrie chimiche e siderurgiche degli ultimi anni, a Porto Marghera sono ancora attive (i dati sono dell’Ente Zona e risalgono al 2014) 1.034 aziende, che occupano complessivamente 13.560 addetti, delle quali 113 appartengono al settore manifatturiero (il 14% del totale delle imprese insediate) e impiegano 4.011 addetti, mentre logistica e trasporto contano 182 imprese (23,3% del totale) e un totale di 1.731 occupati (il 17,2%).
Dopo la chiusura del bando di gara internazionale da un milione e mezzo di euro - pubblicato nello scorso settembre - l’Autorità Portuale di Venezia ha assegnato ieri, in via provvisoria, il compito di redigere il nuovo Piano Regolatore Portuale, comprensivo della Vas (la Valutazione ambientale strategica) ad un raggruppamento di imprese specializzate. Si tratta di cinque società qualificate e certificate: la genovese D’Appolonia spa (specializzata in servizi integrati di ingegneria nei settori dell'ambiente, dell'energia, petrolifero e delle infrastrutture); la società olandese, con sede nel grande porto di Rotterdam, “Maritime and Transport Business Solution (Mtbs)”, esperta in finanza e business imprenditoriali nel settore marittimo, terminal e vie navigabili; la società di ingegneria Acquatecno srl di Roma che opera da trent’anni nel settore delle opere marittime e dell’ambiente; la Studio milanese dell’architetto e urbanistica Paola Viganò che insegna allo Iuav; infine, la Rina Service spa che sviluppa e offre servizi di classificazione navale, certificazione, verifica di conformità, ispezione e “testing”.
Entro la fine di febbraio verranno eseguiti tutti i passaggi formali per l’aggiudicazione definitiva del bando di gara, dopo di che comincerà la predisposizione del piano regolatore di tutta l’area demaniale, della laguna e di tutte le macroisole di Porto Marghera: un’area amplissima (l’estensione della laguna di Venezia è di 55 mila ettari), servita da tre bocche portuali, San Nicolò di Lido, Malamocco, Chioggia; a queste fanno capo tre distinti bacini lagunari, separati, nella funzionalità del regime idraulico, da riconoscibili spartiacque.
Da marzo prossimo comincerà la redazione del nuovo Piano regolatore urbanistico del Porto e della Valutazione ambientale strategica, sulla base delle “linee guida” già delineate e approvate dall’intero Comitato portuale e inizieranno anche le verifiche e consultazioni dell’Autorità Portuale con Comune, Città Metropolitana di Venezia, Regione e ministero delle Infrastrutture. Nel frattempo il pool delle cinque società che hanno vinto il bando di gara metteranno al lavoro ingegneri, economisti, cartografi ed esperti ambientali che saranno chiamati a mettere a punto un nuovo piano regolatore capace di delineare un porto all’altezza delle esigenze del mercato europeo e mondiale.

Italianostravenezia.org
CAMBIAMENTI EPOCALI
PER IL PORTO E PER TUTTA LA LAGUANA

Il vero futuro non solo di Venezia ma di tutti i 500 chilometri quadrati della Laguna (incluse le comunità che vi si trovano) sta per essere impostato e disegnato sulla base di indicazioni, o meglio specificazioni, imposte sostanzialmente dall’Autorità portuale di Venezia attraverso il suo presidente Paolo Costa. La laguna di Venezia sarà come Costa l’ha voluta e la propone da tempo, al servizio dell’attività portuale di Marghera, attività che condizionerà tutto il retroterra come centro per il transito di merci marittime.

Una così epocale trasformazione meritava forse di essere studiata con maggiore partecipazione di tutti gli abitanti e dei loro rappresentanti e di essere pubblicamente discussa molto più a lungo. Sono passati cento anni dalla nascita di Porto Marghera (1917) e le condizioni sono profondamente diverse. «Dagli inizi del secolo il mondo è cambiato», ha detto Costa a Gianni Favarato della Nuova Venezia, e ora dobbiamo «sviluppare un porto internazionale adeguato per scala di attività ed efficienza a competere sui mercati europei e mondiali con nuove rotte delle merci tra la Cina e tutta l’Asia con il continente europeo» (trovate su questo sito numerosi post in cui l’ambizioso progetto viene esaminato).
Ora il Porto ha appaltato a cinque società specializzate (non si sa per quale cifra) il compito di redigere un dettagliato piano regolatore portuale per tutta la Laguna. L’area ex industriale di Marghera diventerà zona di transito per container, mentre gli ormeggi per navi da merci e da passeggeri (incluse quelle da crociera) saranno ridisegnati secondo le indicazioni di Costa. Sembra molto evidente che il futuro economico e sociale di Marghera, ma anche di Venezia, Mestre, Chioggia, Tessera, verrà determinato da questo piano.
Vi saranno forse (ma la cosa è tutt’altro che certa) i modi di esaminarlo in dettaglio via via che verrà presentato. Ne riportiamo per ora i dati essenziali riproducendo due articoli di Gianni Favarato comparsi sulla Nuova Venezia di oggi 10 febbraio.

«Brugnaro, da sindaco, andrà avanti con la realizzazione del parcheggio ai Pili - come prevede la convenzione con il Comune - o si fermerà, come promesso in campagna elettorale? Da Ca’ Farsetti, per ora, nessuna risposta». La Nuova Venezia, 9 febbraio 2016

«Se sarò sindaco, nell’area dei Pili non sarà realizzato né sviluppato alcun intervento». È una delle dichiarazioni fatte da Luigi Brugnaro, prima della sua elezione, riguardo agli interessi della sua società Porta di Venezia spa, proprietaria di alcune aree proprio all’imbocco del Ponte della Libertà. È però di questi giorni la determina dirigenziale che approva il progetto esecutivo redatto da Berro & Sartorio Ingegneria srl e commissionato da Porta di Venezia che si riferisce al tratto iniziale della pista ciclabile - che passa appunto sui terreni di proprietà della società di Brugnaro - che dovrebbe unire Venezia alla terraferma lungo il ponte della Libertà. Un intervento per cui è già stato stanziato un milione di euro dal Comune per la sua realizzazione.

La determina fa riferimento alla deliberazione di giunta del 29 novembre 2013 che ha approvato la convenzione stipulata per questi terreni dei Pili tra il Comune e Porta di Venezia (firmatario allora per la società Derek Donadini, attuale vicecapo di gabinetto del sindaco). La convenzione prevede la possibilità di realizzare nell’area dei Pili parcheggi a cielo aperto per circa 460 posti-auto con relative attività commerciali annesse, in cambio appunto della cessione di una porzione di spazio a titolo gratuito per consentire il passaggio della nuova pista ciclabile nel tratto che va dal sottopasso del Parco Vega al Ponte della Libertà. L’accordo, di carattere provvisorio, ha una durata di sette anni, ma è già previsto nella convenzione che possa essere prorogato.
La destinazione precedente dell’area era a verde pubblico. Brugnaro aveva acquistato dal Demanio anni fa le aree - circa 40 ettari - per 5 milioni di euro e la sua idea iniziale era di far nascere nella zona un palasport da 10 mila posti disponibile non solo per eventi sportivi, ma anche culturali, come musical o concerti. Ma l’idea non si era mai tradotta in realtà anche per la complessità della sua realizzazione e i problemi e i costi legati alle bonifiche dei terreni. Una precedente intesa raggiunta con il Comune prevedeva la realizzazione di una sottostazione per la fornitura di energia elettrica per la linea del tram che corre non lontano dalla zona, poi saltata. Ma la stessa area è invece diventata indispensabile per il Comune per il passaggio della pista ciclabile destinata a unire Mestre e Venezia, correndo lungo il ponte della Libertà. Per la progettazione della pista il Comune avrebbe dovuto rivolgersi a un professionista e per evitare la spesa ulteriore e i tempi lunghi di una procedura di esproprio sui terreni di Brugnaro, con possibili contenziosi con la sua società, si era appunto raggiunto un accordo.
Porta di Venezia cederà dunque gratuitamente al Comune le aree necessarie per il passaggio della pista ciclabile e farà eseguire a sue spese tutte le fasi di progettazione della nuova infrastruttura, come è avvenuto. In cambio, su un’area di circa 1.500 metri quadri, adiacente a un'altra dove già sorge un parcheggio per auto di proprietà della stessa società, saranno attrezzati gli spazi per ospitare circa 60 posti-auto. Un’altra area molto più grande - di circa 16.600 metri quadri - utilizzata in precedenza come parcheggio di autobotti e cisterne destinate alla movimentazione dei prodotti petroliferi in uscita dalla raffineria Eni, dovrebbe diventare un altro parcheggio gestito da Porta di Venezia per la sosta di motocicli, auto, camper e per un punto di noleggio bici, ricavando circa 400 nuovi posti-auto. Previsto anche un servizio di bar e ristoro e un punto di informazioni. Nascerebbe così un altro parcheggio "precario" ai bordi della città storica, che rischia, però, di diventare permanente.
La domanda è: Brugnaro, da sindaco, andrà avanti con la realizzazione del parcheggio ai Pili - come prevede la convenzione con il Comune - o si fermerà, come promesso in campagna elettorale? Da Ca’ Farsetti, nonostante esplicita richiesta di un commento sulla questione, per ora nessuna risposta.

Non ha partecipato al voto il sindaco Luigi Brugnaro per un’altra delibera approvata di recente dalla giunta che riguarda una sua società, la Scuola Grande della Misericordia spa, che ha avuto in concessione - con l’onere di recuperarlo, con project financing da circa 9 milioni e mezzo di euro - l’omonimo complesso sansoviniano di Cannaregio, da lui “inaugurato” poche settimane prima del voto delle amministrative, ma di fatto ancora chiuso al pubblico. Approvato su proposta dell’assessore ai Lavori Pubblici Francesca Zaccariotto un progetto di variante, che prevede una modifica delle reti impiantistiche dell’edificio, cambiamenti nel distributivo interno per l’uso polivalente del cinquecentesco edificio, consolidamenti strutturali e murari e soluzioni migliorative per gli interventi di restauro sulle superfici dipinte, sulle murature, sulle parti lapidee e a stucco. I nuovi interventi sul complesso della Scuola Grande della Misericordia - realizzati con fondi della società di Brugnaro - sono già stati approvati dalla Soprintendenza.
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