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«Il lavoro di Renzo Piano è iniziato 12 mesi fa, coadiuvato da Pantaleo e da tre giovani architetti, Anna Merci, Laura Mazzei e Nicola Di Croce. La filosofia del rammendo ha guidato la scelta degli interventi. Il metodo della partecipazione e delle connessioni sociali ha ritmato ogni passaggio». Corriere del Veneto, 15 gennaio 2017

Un hub civico e culturale nell’ex-scuola Edison a Marghera. E un giardino del fitorimedio, un lungo parco urbano da nord a sud: a un anno di distanza dalla decisione di Renzo Piano di portare a Marghera il G124, il suo team senatoriale sulle periferie, ora i progetti sono pronti. Il titolo è un programma: «Marghera terreno fertile. Dalle buone pratiche alle politiche».

«Una cosa è alla base di tutto, quasi un architrave», sottolinea Raul Pantaleo, il tutor locale dell’intervento, a sua volta membro dei TAMassociati, i curatori del Padiglione Italia nella Biennale appena chiusa. Quale? «Il regolamento sui beni comuni», messo a punto da Labsus, il laboratorio nazionale sulla sussidiarietà. Il gruppo di Renzo Piano chiede dunque al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, di adottare quel regolamento, che riconosce ai gruppi di vicinato, alle associazioni e ai singoli cittadini la possibilità di prendersi cura della propria città.

Sono tutte proposte che i progettisti del G124 consegneranno in dettaglio all’amministrazione di Venezia a fine mese, in un incontro pubblico all’ex-scuola Edison.

Il lavoro di Renzo Piano è iniziato 12 mesi fa, coadiuvato da Pantaleo e da tre giovani architetti, Anna Merci, Laura Mazzei e Nicola Di Croce. La filosofia del rammendo ha guidato la scelta degli interventi. Il metodo della partecipazione e delle connessioni sociali ha ritmato ogni passaggio: 7 esplorazioni a piedi, di cui tre con lo stesso senatore, hanno battuto palmo a palmo Marghera, dal Porto all’area agricola verso l’entroterra, dalla stazione a Forte Tron. Hanno incontrato decine di associazioni: «Qui c’è un tessuto culturale e sociale, spesso informale, di grande vitalità», sottolineano gli architetti. Ne è nata una rete: Orma, Officina Riuso Marghera, «non è una semplice cordata di associazioni - spiega Anna Merci - Ma un organismo civico, laico, innovativo che punta ad avere capacità contrattuale e creatività nelle pratiche». E infine hanno individuato una sezione di territorio dove intervenire, nella Marghera Sud, stretta tra l’ex-scuola Edison fino alla piccola Chiesa della Rana sperduta tra le fabbriche. «Ogni tappa è stata discussa, valutata, scelta con gli abitanti», continua Merci.

L’ex-scuola, innanzitutto: abbandonata nel 2007, in parte usata da alcuni enti (Protezione Civile, Prefettura, Dormitorio Caritas, la Palestra) e il resto (3650 mq sui 5300 complessivi) vissuto da gruppi come gli straordinari ragazzi del Parkour. E’ su quest’ultima parte che si è concentrato il progetto di messa a norma, recupero e ridisegno degli spazi. Dunque: laboratori artigiani, co-working, auditorium, aule per le attivissime scuole di musica del quartiere, stanze per danza e attività sportive. E all’esterno, l’abbattimento di muri e recinzioni, riconnettendo così il quartiere e dotandolo di una piccola piazza-parco. Un intervento stimato attorno ai 600 mila euro, da trovare magari attingendo al Fondo nazionale per le periferie urbane.

Più giù, a ridosso degli orti urbani, partiranno presto i lavori per il giardino del fitorimedio, in un fazzoletto di terra che si trasformerà in un angolo didattico e ricreativo con piante e siepi scelte per mitigare e assorbire gli inquinanti che qui infestano ovunque i terreni.

Un giardino-gioiello, dentro la città-giardino (così è nata Marghera) studiato con gli esperti dell’Università di Udine, Luca Marchiol e Guido Fellet. Strategica è l’idea, che i progettisti proporranno alla città, di dotarsi di una dorsale ecologica, che la attraverserebbe da nord a sud per quasi 3 km sul fianco ovest, quasi da contraltare all’asse brutale di via Fratelli Marghera.

Un sinuoso «corridoio ecologico» costruito tessendo la miriade di piccoli lotti e interstizi pubblici abbandonati o non utilizzati e mappati in corso d’opera. Un bosco nel cuore della città.

L’idea sarà recepita? Di sicuro, l’intera «strategia orizzontale», come la definisce Pantaleo e cara a Renzo Piano sembra quasi un controcanto rispetto alla città verticale di cui tanto si è ripreso a parlare.

Lo show del sindaco di Venezia: chiacchiere e promesse col naso lungo, sorrisi, allusioni e scambio di doni. Poi si vedrà. L'importante sono i soldi promessi da Roma. Corriere del Veneto, 25 gennaio 2017, con postilla

Dice Italia Nostra con il suo vicepresidente Paolo Lanapoppi: «Nella nostra lettera all’Unesco spieghiamo che nessuno dei 10 punti richiesti dalla Convenzione di Istanbul è stato rispettato. Non capisco come possono collaborare quando una delle richieste principali della commissione di Istanbul era di portare le grandi navi e le petroliere fuori laguna mentre il sindaco ha ribadito il progetto delle crociere in Marittima». In effetti l’interrogativo resta. E’ stato uno dei temi al centro della discussione di ieri pomeriggio su cui però la nota a margine del Comune dedica solo quattro righe.

«Non c’è stata nessuna vittoria, la decisione su Venezia sarà presa a luglio, e sarà il governo a dover dare una risposta, è tutto fumo, il disaccordo resta in primis sullo scavo delle Tresse». Così il portavoce del Gruppo 25 Aprile commenta la stretta di mano di ieri tra la direttrice dell’Unesco Bokova e il sindaco Luigi Brugnaro. «Non si capisce a cosa si riferisca il sindaco dove dice di aver presentato i progressi fatti da Venezia negli ultimi 15 mesi — interviene il capogruppo Pd in consiglio comunale Andrea Ferrazzi- siamo in attesa di progetti concreti».

Sulle stesse note il segretario di Confartigianato Venezia Gianni De Checchi: «Mi fa molto piacere che l’Unesco abbia visto proposte concrete nel documento di Brugnaro, speriamo di vederle anche noi veneziani». Sindaco, assessori e dirigenti hanno cercato di spiegarlo nel dossier presentato mescolando idee, sogni e cose fatte. Perché se ad esempio è stato condiviso che uno dei problemi più evidenti sia la proliferazione di strutture ricettive non alberghiere, dall’altro la soluzione è stata individuata nella modifica della legge regionale «per la cui formulazione il Comune ha da sempre fornito il proprio supporto». In attesa resta tutto com’è. Hanno parlato di sicurezza e della riqualificazione delle parti più degradate o isolate della città. Quello che sindaco e assessori hanno cercato di spiegare ieri è che con la riqualificazione urbanistica e ambientale, la rigenerazione di Porto Marghera, la rivitalizzazione del tessuto socio-economico, la valorizzazione delle periferie, si possa far crescere il centro urbano.

postilla
Il grande battage pubblicitario della gita della troupe del sindaco Brugnaro a Parigi (18 persone) si è conclusa come doveva: con molte pagine di pubblicità per il piccolo trumpista italiano, molte cortesie sulla Senna tra i soggetti titolati, e nessuna decisione nel merito. Qualcuno, in Laguna e dintorni, ha rilevato che Brugnaro e la sua corte non hanno dato una risposta soddisfacente a nessuna delle questioni solleva dall'Unesco.

Ma, a cose fatte, e nell'attesa del responso finale dell'agenzia dell'Onu (che verrà a luglio), una domanda s'affaccia: che cosa (e chi) guadagna o perde Venezia, se l'Unesco cancella la Capitale del Veneto dalla sua lista? E del resto, in che cosa l'inclusione di Venezia in quella lista aumenta davvero la possibilità che Venezia e la sua Laguna ne traggano beneficio e che i suoi attuali saccheggiatori siano ostacolati nel proseguire il saccheggio?
Grazie al meritorio lavoro della sezione Venezia di Italia Nostra l'Unesco ha posto precise domande e stringenti raccomandazioni al Comune e allo Stato: ma se il Comune e lo Stato rispondessero picche (invece di far finta di obbedire continuando a operare peggio di prima) che cosa potrebbe fare l'Unesco? Nessuna regola certa e chiara quell'Agenzia internazionale può proporre, e nessuna sanzione può comminare in caso di infrazioni. Del resto, è noto che l'influenza del governo italiano sull'Unesco è forte, e che l'uomo più potente di quell'organizzazione è ancora Francesco Bandarin, sostenitore, in Laguna, della "corrente di pensiero" favorevole al MoSE.

C'è poco da illudersi, la battaglia per salvare Venezia si vince o si perde nella città, del cui popolo il primo compito è sostituire a Brugnaro e alla sua corte una diversa compagine per il governo della città.

La Municipalità Venezia, Italia Nostra, le associazioni veneziane non si riconoscono con l'operato del sindaco Brugnaro sulla gestione della città e della sua Laguna. La Nuova Venezia, Italia Nostra Venezia, Gruppo 25 Aprile, 23 gennaio 2017 (m.p.r.)


Italia Nostra Venezia

LA MUNICIPALITÀ ALL'UNESCO:
I VENEZIANI PATISCONO MA NON SONO ASCOLTATI
Venezia: lo striscione mostrato all’Ateneo Veneto sabato 21 gennaio è già arrivato a Parigi davanti alla sede dell’Unesco). Dopo la lettera di Italia Nostra Venezia (inviata giorni fa alla direttrice dell’Unesco Irina Bokova e ai direttori delle commissioni incaricate di studiare la questione Venezia), ora anche la Municipalità di Venezia Murano Burano si rivolge ai vertici Unesco per annunciare i provvedimenti invocati dai rappresentanti dei cittadini residenti nella Venezia insulare, in probabile contrasto con quanto sindaco e governo nazionale andranno a presentare a Parigi (l’incontro è previsto per domani 24 gennaio).
Ricordiamo che la commissione Unesco per i siti Patrimonio dell’Umanità aveva riscontrato (su sollecitazione di Italia Nostra) gravi problemi nella gestione del sito “Venezia e la sua Laguna” e aveva concesso a Comune e Governo fino al 1 febbraio 2017 per presentare un piano per rimediare. La lettera della Municipalità ha un altissimo valore giuridico perché quell’istituzione rappresenta, come si dichiara nel testo, un corpo di cittadini regolarmente eletto (e non una semplice associazione come la nostra, per quanto prestigiosa). Implicito è il fatto che il volere dei cittadini veneziani è stato sopraffatto da quello dei residenti nella terraferma comunale, molto più numerosi.
Molto istruttiva la lista di provvedimenti invocati dalla Municipalità e ben sintetizzati nell’articolo della Nuova Venezia che proponiamo qui sotto. Di nostro aggiungiamo che l’idea di scrivere all’Unesco si è formata probabilmente nel corso della riunione sul “Futuro di Venezia” organizzata pochi giorni or sono dal gruppo 25 Aprile, alla quale aveva partecipato il presidente della Municipalità Andrea Martini assieme a rappresentanti dei sestieri e di tante associazioni, inclusa naturalmente Italia Nostra che aveva molto insistito sull’importanza del procedimento in corso a Parigi. Aggiungiamo ancora che stiamo in queste ore traducendo per i nostri lettori la lista delle criticità riscontrate dalla Commissione Unesco e delle relative richieste contenute in quello che è ormai noto come “l’Ultimatum del 1 febbraio” e che inseriremo la lista in italiano su questo sito appena sarà pronta.



La Nuova Venezia
«STOP AI TROPPI TURISTI
E AI CAMBI D'USO»
di Alberto Vitucci

»Il presidente della Municipalità Andrea Martini scrive alla direttrice Irina Bokova. «Dal Comune non ci hanno mai risposto»
«Stop allo scavo di nuovi canali in laguna, un tetto alla presenza dei turisti in città - non più di 50 mila persone al giorno - blocco dei cambi d'uso da residenza ricettivo e all'apertura di negozi non tradizionali, incentivi per chi affitta ai residenti». Sono alcuni dei punti definiti «improcrastinabili», dalla Municipalità, «perché sia davvero invertita la tendenza allo spopolamento e alla totale trasformazione della città antica in un parco a tema». Priorità assolute da attuare per dimostrare che il governo della città ha cambiato rotta.

Lo scrive il presidente della Municipalità di Venezia Andrea Martini, in una lettera aperta inviata ieri al direttore dell'Unesco Europa Irina Bokova. Alla vigilia del vertice con il sindaco Brugnaro a Parigi, la Municipalità ricorda i tanti problemi aperti e le «mancate risposte» ricevute dall'amministrazione. «Le scrivo come presidente democraticamente eletto della Municipalità di Venezia, Murano, Burano», attacca Martini, «organismo che rappresenta 63 mila cittadini veneziani. Sono proprio quelli maggiormente colpiti dalle criticità che il rapporto dell'Unesco ha con chiarezza descritto, richiamando su di esse l'attenzione mondiale. Criticità che i veneziani patiscono e che richiedono decisioni improcrastinabili». «Abbiamo indicato quali dovrebbero essere le scelte da fare subito per fermare il degrado di Venezia e della sua laguna», continua, «per regolamentare i flussi turistici, rilanciare la salvaguardia e difendere la residenzialità. Abbiamo inviato all'amministrazione documenti precisi non ricevendo purtroppo alcuna risposta».
Il primo, spiega il presidente, è stato approvato l'8 ottobre scorso. Il Consiglio «dichiara la propria totale e ferma contrarietà a qualsiasi progetto di escavo di nuovi canali», e prevede di «mantenere alla Marittima di Venezia solo attività compatibili e ricorrere all’esterno per ospitare navi over 40.000 tonnellate di stazza». Il secondo, dell'11 gennaio 2017, si occupa proprio del contenimento della pressione turistica. Prevede la prenotazione obbligatoria per i gruppi, limite complessivo, tra pernottanti ed escursionisti di 50.000 turisti al giorno, di non ampliare l’offerta di posti letto, di limitare le locazioni di appartamenti a turisti, di introdurre incentivi per chi affitta ai residenti. La Municipalità, scrive ancora il suo presidente, «ha organizzato incontri per la regolamentazione del traffico acqueo, la riduzione del moto ondoso, l’inquinamento. Ha espresso parere contrario alle deliberazioni dell’Amministrazione Comunale in merito alle alienazioni degli immobili del Comune, ai cambi di destinazione d’uso da residenziale a turistico, all’autorizzazione all’edificazione di nuovi alberghi, alla cancellazione del Parco della Laguna Nord».
«Aggiungo il mio vivo auspicio», conclude Martini, «che la clamorosa iniziativa prospettata dal prestigioso organismo da Lei diretto ottenga i positivi effetti sperati per la nostra città». Intervento pesante, di critica alle posizioni dell’amministrazione e di sollecito ad attuare «provvedimenti drastici». Si aggiunge a quello inviato dalla sezione veneziana di Italia Nostra all’Unesco. Anche qui si richiamano le emergenze e si denunciavano i mancati interventi negli anni assunti dall’amministrazione comunale».

Gruppo 25 Aprile on line
PARIS, BONJOUR! LETTERA E FLASHMOB ALL'UNESCO

Lo striscione da 4 metri lo conoscete: è quello che adornava il tavolo degli oratori venerdì, all’incontro conclusivo di #Veneziamiofuturo. Si è fatto un migliaio di chilometri per arrivare fin qui, al quartier generale dell’UNESCO che domani si appresta a ricevere la visita del Sindaco di Venezia:

I nostri pesciolini da Parigi salutano la mamma Anna Ferrigno ma non sono l’unica sorpresa: l’UNESCO oggi riceverà anche la lettera che qui trascriviamo, in cui viene denunciato il rischio di una violazione della Convenzione di Aarhus se veramente il “pacchetto di misure” annunciato alla stampa verrà presentato dal Sindaco senza alcuna forma di pubblica consultazione, che la Convenzione ratificata con Legge dello Stato nel 2001 ha reso obbligatoria anche in Italia.

Se invece il Sindaco ci va a mani vuote o per “sondare il terreno” vuol dire che il suo viaggio a Parigi potrà essere interpretato come una simpatica visita di cortesia che potrebbe anche avere un senso sempre che non si porti venti persone al seguito, dato che a pagarne il viaggio saremmo noi.

In entrambi i casi, la richiesta dei cittadini è semplice: essere informati sulle misure concrete che il Sindaco intende presentare all’UNESCO, dato che nemmeno il Consiglio comunale riunitosi il 19 gennaio lo è stato e per le “uova pasquali con sorpresina” è ancora presto, siamo solo a gennaio.

Diversamente dalle sue, le nostre proposte sono in rete dal 10 gennaio e sono il frutto di una consultazione pubblica; nella stesura definitiva distribuita all’Ateneo Veneto verranno pertanto depositate oggi all’UNESCO insieme con questa lettera:


Gruppo 25 aprile

Veneziamiofuturo

LE PROPOSTE
DEI SESTIERI DI VENEZIA
Ateneo Veneto 20 gennaio 2017
Premessa di metodo. Questo documento di sintesi riassume le proposte e le richieste raccolte negli incontri con i sestieri. Non ha natura esaustiva e non rappresenta la posizione di una singola associazione perché il nostro obiettivo è dare voce alle istanze del territorio (i sestieri) con riferimento ai problemi più sentiti nella “città d’acqua”. In questo senso è anche un “quaderno delle lamentele”, dove per ogni “lamentela” abbiamo elaborato una possibile risposta. Le proposte rispondono ai criteri che avevamo indicato all’inizio del ciclo di incontri: non chiediamo la luna, non vogliamo creare illusioni o fare demagogia; quelle di cui ci facciamo portatori sono richieste concrete, attuabili e realistiche. Ai rappresentanti eletti nelle Istituzioni chiediamo che ognuno faccia la sua parte e la faccia subito, perché Venezia si sente “assediata” e la situazione non ammette ritardi ulteriori.
Il dibattito all’Ateneo Veneto permetterà di discutere alcune proposte “prioritarie” e di affinarne altre, collocandole in una visione “di insieme” su ciò che è necessario e urgente per dare un futuro a Venezia: non parliamo del lungo periodo ma delle cose che andrebbero fatte subito, prima che sia troppo tardi; il resto è materia per un “programma di governo” di chi vorrà candidarsi alle prossime elezioni. Questa bozza preliminare è stata pubblicata per 10 giorni sulla nostra pagina facebook e sul nostro sito Internet per raccogliere i commenti e suggerimenti di chi ha partecipato agli incontri (sono oltre 500 persone) e anche di chi non lo ha fatto.
Il ciclo di incontri nei sestieri, compreso quello conclusivo all’Ateneo Veneto, è stato interamente auto-finanziato dai cittadini senza alcun appoggio di partiti o sindacati, aziende o cooperative, enti pubblici o Fondazioni. Non abbiamo etichette e non ne vogliamo, il nostro è soltanto un movimento di opinione che alle “ricette” calate dall’alto (spesso formulate da persone che non conoscono la città) ha preferito un approccio diverso: quello di proposte nate dal contatto quotidiano con il territorio, sestiere per sestiere.
A come Alloggi Alla Regione Veneto chiediamo: 1) la modifica urgente della legge regionale del 2013 che ha liberalizzato in modo selvaggio le locazioni turistiche; tale modifica potrà essere adottata in tempi brevi dato che si tratta soltanto di introdurre un’eccezione per i sestieri di Venezia, in omaggio alle esigenze specifiche di tutela del suo tessuto sociale, che è parte integrante della sua specialità, imponendo requisiti vincolanti anche in materia di scarico delle acque reflue, a tutela dell’igiene e dell’ambiente lagunare; 2) un intervento immediato sulla controllata ATER, il cui compito è “la costruzione ed il recupero di alloggi, da assegnare in locazione temporanea o permanente a canone calmierato” finalizzato all’assegnazione degli alloggi attualmente non utilizzati, eventualmente anche favorendo forme di auto-restauro a carico degli inquilini potenziali, e al completamento delle unità abitative i cui lavori sono stati avviati e non ancora ultimati.
B come Bricole Al Ministro delle Infrastrutture e Trasporti chiediamo: lo stanziamento dei fondi necessari per avviare un programma straordinario di manutenzione e sostituzione delle bricole, a completamento dei primi interventi avviati dal Provveditore interregionale per le Opere Pubbliche, sulla base della cartografia aggiornata realizzata su nostra richiesta nel maggio 2016.
C come Case e Cambi di destinazione d’uso Al Sindaco e al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: di bloccare immediatamente e per un paio d’anni almeno i cambi di destinazione d’uso da residenziale a turistico-ricettivo o alberghiero nei sestieri, facoltà che è già riconosciuta dal PAT (Piano di Assetto Territoriale) in vigore dal 2014 a tutela della residenzialità, che è precipitata ai minimi storici e in alcuni sestieri rischia di estinguersi in assenza di una terapia d’urto immediata. Questo provvedimento, di natura emergenziale e provvisoria, andrà accompagnato da misure “strutturali” e permanenti volte a incentivare le locazioni di lungo periodo rispetto a quelle di natura speculativa (vedasi anche lettera R come rifiuti, alla voce TARI, per l’utilizzo della leva fiscale a fini perequativi): quello che va costruito è un insieme di misure tali da costituire un patto comunale con i proprietari “virtuosi”.
D come Dignità Al Sindaco di Venezia e alla Giunta comunale chiediamo: di riconoscere e agevolare nei fatti il diritto di ogni persona a condurre un’esistenza dignitosa e decorosa. Il rispetto per gli anziani e i disabili non può limitarsi a qualche posto “riservato” a bordo dei vaporetti ma deve concretizzarsi in forme di sostegno mirate a sostenere la qualità della vita di queste fasce di cittadinanza. In questi settori il Comune di Venezia vanta una consolidata tradizione che è necessario preservare o ripristinare contro i tagli effettuati, anche incoraggiando le numerose forme di volontariato presenti sul territorio che spesso operano senza alcun contributo pubblico.
E come Educazione Nautica Alle scuole cittadine proponiamo: un progetto di educazione nautica, al quale siamo pronti a fornire il nostro contributo con docenti volontari ed esperti a titolo gratuito, in considerazione dei sempre più frequenti incidenti (a volte mortali) che in parte sono dovuti ad inesperienza e/o mancata conoscenza delle regole di base, dato che la normativa in vigore consente la navigazione senza patente per le imbarcazioni con motori di potenza non superiore ai 40 cavalli (che con semplici ritocchi alla portata di tutti salgono in realtà a 60).
F come Flussi turistici Al Sindaco di Venezia, al Consiglio e alla Giunta comunale chiediamo: di avviare al più presto un programma di gestione dei flussi turistici che permetta di alleggerire e diversificare (nel tempo e nello spazio) una pressione divenuta insostenibile e incompatibile con la possibilità stessa di offrire un’accoglienza degna della reputazione della Città; fra le proposte attualmente sul tavolo, quella protocollata da Roberta Bartoloni che è stata illustrata nell’incontro di Castello presenta caratteristiche di gradualità, flessibilità, fattibilità in tempi brevi, non discriminazione e contenimento dei costi che abbiamo particolarmente apprezzato – senza escluderne altre che potranno essere confrontate con questa al fine di prendere il meglio di ognuna.
G come Gestione dei beni comuni Al Sindaco e al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: di dare un segno tangibile di discontinuità rispetto alla politica di alienazione di beni pubblici avviata dalle amministrazioni precedenti, che nella situazione attuale di bilancio (con l’allentamento dei vincoli del patto di stabilità) risulta incomprensibile oltre che miope, e in alcuni casi si è tradotta in un gettito assolutamente irrisorio rispetto alla perdita definitiva per la collettività, come è stato per la casa del custode dei Giardini Papadopoli.
H come Hotels Basta alberghi nei sestieri! V. alla lettera C come “Case”.
I come Illuminazione Alla giunta e agli uffici comunali competenti chiediamo: illuminazione notturna e installazione di telecamere di sorveglianza in ruga degli Oresei, che di recente ha conosciuto episodi di barbara violenza ai danni di una esercente.
L come Lavoro Considerato che l’industria del turismo a Venezia è ormai quella che impiega il maggior numero di occupati, spesso precari e mal pagati rispetto al costo della vita [1] con la duplice conseguenza del pendolarismo dalla terraferma (30.000 persone circa) e di un sempre maggior numero di giovani veneziani che scelgono la via dell’espatrio[2] Al Sindaco di Venezia e alla Giunta comunale chiediamo: di superare la fase attuale di sfruttamento dell’Arsenale come spazio per feste esclusive quando invece dovrebbe essere perno naturale e fulcro ideale per la creazione di posti di lavoro qualificati, che non siano legati soltanto alla monocultura turistica; questo potrà avvenire progettando una cittadella della ricerca finalizzata agli studi marittimi in grado di ospitare istituzioni di ricerca italiane e straniere e offrendo spazi ad imprese compatibili con il complesso e impegnate nel settore marittimo (cantieristica, lavori marittimi…), dell’artigianato tradizionale (imprese fabbrili, falegnamerie…) e del restauro, all’interno di una cornice culturale unica al mondo. Per rispettare la promessa di “restituzione alla città” a suo tempo fatta, chiediamo inoltre l’apertura dell’Arsenale alla cittadinanza abbattendo le barriere attuali per permettere un percorso di visita unico (anche negli spazi occupati dalla Biennale) che potrebbe anche generare reddito con visite guidate a pagamento per piccoli gruppi. [1] Dato Unioncamere: il 77% dei posti di lavoro creati nella città metropolitana di Venezia nel 2016 erano precari. Più della metà delle offerte di lavoro (4.350 su 8.000 circa) riguardava le attività ricettive e della ristorazione. Al secondo posto (3.600 circa) le posizioni “non qualificate” nel commercio e nei servizi. Fonte: Nuova Venezia 8 novembre 2016. [2] Veneziani stabilmente residenti all’estero nel dicembre 2016 (fonte: liste elettorali referendum costituzionale): 12.296, numero superiore alla somma dei residenti nei sestieri di San Marco e San Polo!
M come Museo Correr Alla Fondazione Musei Civici di Venezia ricordiamo che: il Museo Correr, fondamentale Istituzione nella vita culturale della Città, deve questo nome al suo fondatore, Teodoro Correr: un nobiluomo veneziano che negli anni seguenti alla caduta della Repubblica era riuscito a raccogliere un’enorme quantità di opere artistiche e cimeli veneziani delle più svariate epoche, salvandoli dalla dispersione e costituendo il primo nucleo del Museo. Grazie a ulteriori importanti donazioni e acquisti, come quello effettuato dal Comune di Venezia a fine ‘800 dei cimeli del Doge Francesco Morosini, il Museo Correr andò sempre più ampliandosi e divenne un importante punto di riferimento per studiosi e cittadini. Nel 1922 le Raccolte vennero trasferite in Piazza San Marco, in una nuova sede che si estendeva tra l’Ala Napoleonica e parte delle Procuratie Nuove. Assieme al Palazzo Ducale costituisce (o dovrebbe costituire) il fulcro espositivo di opere d’arte e collezioni storiche che ricordano la storia e la cultura della Serenissima. Purtroppo gli interventi radicali degli ultimi anni dimostrano come restauri e ripristini, anche corretti dal punto di vista formale, possono in realtà alterare gli scopi e le caratteristiche originarie di una Istituzione. La cittadinanza ha la sensazione che si sia persa di vista la valorizzazione degli aspetti più originali e fondamentali della storia e della civiltà di Venezia a favore di altri nel complesso storicamente più marginali. Alla Fondazione Musei Civici di Venezia chiediamo dunque di ritornare allo spirito e alla ratio che stanno alla base della nascita delle collezioni del Museo Correr, ricordando altresì che il recupero di dignità e di coscienza della città passa non solo da una maggiore attenzione alla sua storia e alla sua civiltà ma anche da un uso che non sia soltanto turistico e commerciale dei suoi monumenti simbolo, e sottolineando come il turismo di qualità che si dice di voler coltivare è in realtà interessato a conoscere la storia e le caratteristiche specifiche di una Repubblica marinara unica al mondo più che a ritrovare anche qui il tipo di cose che potrebbe trovare in qualsiasi altro museo.
N come Negozi di vicinato e botteghe artigianali Al Sindaco e al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: l’Adozione di un Regolamento comunale che, come già fatto dal Comune di Firenze, fissi un limite al proliferare di attività commerciali incompatibili con la tutela del patrimonio monumentale e immateriale (artigianato locale), avvalendosi delle disposizioni di legge recentemente adottate a livello nazionale[1] con l’obiettivo di privilegiare negozi di vicinato e attività artigianali; per tali attività chiediamo inoltre di attivare forme di agevolazione fiscale e incentivi compatibili con la norma “de minimis” (entro la soglia dei 200.000 euro pro capite, che permette di evitare l’obbligo di notifica alla Commissione europea). [1] Decreto legislativo n° 222 del 25 novembre 2016
O come Ospedale Una proposta innovativa e promettente che abbiamo ricevuto è quella di collegare il nostro ospedale all’Università di Padova e portare a Venezia gli specializzandi e i dottorandi. Sviluppando questo gemellaggio con la Università di Padova, Venezia potrebbe diventare sede di ricerche mediche avanzate allestendo, negli enormi e liberi spazi del convento dei domenicani (Ospedale Civile ), un centro di studi sanitari di eccellenza a livello mondiale come (in altro ambito) è stato fatto a Trieste con la SISSA. In questo modo si utilizzeranno al meglio gli spazi dell’ormai quasi vuoto convento di San Domenico evitando operazioni speculative di tipo turistico. In quei locali si potrà sviluppare la clinica e la ricerca, per cure innovative e di assoluta eccellenza. Questo farebbe del nostro Ospedale civile un polo di attrazione e rivitalizzerebbe tutta la zona circostante. Al Ministero della Salute chiediamo: il mantenimento del punto nascite dell’Ospedale civile di Venezia, in deroga alla soglia dei 500 parti all’anno, in considerazione dei tempi di percorrenza e delle modalità di trasporto tipiche della realtà lagunare, accogliendo in questo la richiesta già presentata dalla Regione.
P come Posti barca Al Sindaco di Venezia chiediamo: di sbloccare il bando per l’assegnazione dei posti barca vacanti nei sestieri e nelle isole, che gli uffici comunali hanno predisposto da più di un anno su indicazione dell’allora Commissario Zappalorto e che allo stato attuale risulta essere un obbligo disatteso dalla Giunta in carica, dato che il regolamento comunale applicabile ne prescrive la pubblicazione con cadenza biennale.
Q come Qualità dell’Aria Alla Regione Veneto chiediamo: un intervento immediato sull’Agenzia regionale per l’Ambiente (ARPAV) affinché venga finalmente installata una stazione di monitoraggio della qualità dell’aria nei sestieri, considerato che l’unica centralina presente in Laguna, è stata collocata a Sacca Fisola in tempi remoti quando le circostanze erano diverse da quelle attuali, non è rappresentativa dell’esposizione reale della popolazione residente a Venezia tanto che è classificata come “stazione di fondo” e pertanto non misura l’impatto delle fonti locali di inquinamento quali il traffico acqueo e marittimo. Un piano per l’adeguamento e la rottamazione dei motori marini più inquinanti, facendo uso dei fondi UE “strutturali” di competenza regionale o anche ai bandi di gara annuali quali ad esempio Life+.
R come Rifiuti Al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: la rimodulazione delle imposte comunali come la TARI (tassa sui rifiuti) con tendenziale abbattimento allo zero per le prime case e aliquota ridotta per le utenze domestiche in generale; nel breve termine, revoca immediata degli aumenti deliberati dal Consiglio comunale per il 2016, da finanziarsi con l’aumento dell’aliquota applicata ad alberghi e altre attività ricettive di tipo turistico.
S come scuole (e asili) comunali Al Sindaco di Venezia e alla Giunta comunale chiediamo: un rinnovato sostegno allo sviluppo degli asili nido e delle scuole materne che rappresentano un servizio fondamentale per la cittadinanza e che hanno sempre costituito uno dei fiori all’occhiello del Comune di Venezia. Si tratta di attività strategiche che mirano a fornire un ottimo livello di educazione dei piccoli e costituiscono un prezioso supporto, specialmente per quelle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano, a tariffe compatibili con i livelli stipendiali attuali. Appare pertanto logico chiedere che, anche per il futuro, il Comune si impegni a garantire livelli qualitativi adeguati e sicurezze ai bambini e alle loro famiglie, nonché ai lavoratori del settore.
T come Traffico Acqueo Al Sindaco e al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: elaborazione e attuazione di un piano per il riassetto del traffico acqueo che ponga come obiettivi primari: la salvaguardia del patrimonio immobiliare pubblico e privato contro gli effetti del moto ondoso; il controllo dell’inquinamento atmosferico; il controllo dell’inquinamento acustico; la sicurezza della navigazione con precedenza al trasporto pubblico di linea, comprese le gondole da parada o traghetti; la razionalizzazione del trasporto merci che è attualmente caratterizzato da barche in ferro sproporzionate alle necessità e alle caratteristiche dei rii interni.
U come Ultima spiaggia in assenza di una terapia d’urto immediata sul duplice fronte casa-lavoro, la curva demografica nei sestieri è tale che i residenti “sopravvissuti” a Venezia sono condannati all’irrilevanza da una classe politica cinica e miope (per non dire di peggio) che ragiona soltanto con il pallottoliere del “quanti voti porta” questa o quella comunità locale, non solo a livello regionale (nessuno consigliere regionale, allo stato attuale) ma anche nel loro stesso Comune: dalla Giunta in carica i segnali già accumulati in questo senso sono troppo numerosi per poter essere ignorati. Alla Regione Veneto chiediamo: la convocazione del referendum di iniziativa popolare per il ripristino di due Comuni autonomi (Venezia e Mestre) su cui sono state raccolte 9.000 firme, in modo tale che la popolazione possa esprimersi nel merito della questione, dato che l’istituzione della Città Metropolitana di Venezia permette di affrontarla in modo completamente diverso rispetto al passato e considerato che il Sindaco attuale ha ritirato le deleghe alle Municipalità, facendo con questo venir meno anche l’ultima flebile parvenza di decentramento amministrativo. Considerata l’imminente convocazione del referendum regionale sull’autonomia, un abbinamento delle due consultazioni referendarie permetterebbe di superare l’obiezione relativa ai costi del referendum che riguarda l’assetto territoriale dell’attuale Comune di Venezia. Alle Autorità italiane chiediamo: Il riconoscimento di uno Statuto speciale per Venezia, che permetta alla Città di: I° trattenere una quota del gettito fiscale prodotto anziché elemosinare periodicamente quanto le è in realtà dovuto se si considera il residuo fiscale accumulato ogni anno (la differenza fra imposte riscosse sul suo territorio e la somma di trasferimenti e servizi ricevuti dallo Stato); II° decidere in autonomia quali sono le priorità di intervento sul suo territorio, senza essere sacrificati sull’altare del pallottoliere elettorale che non prende in conto il valore universale di Venezia, le sue caratteristiche uniche al mondo e il suo status di Patrimonio dell’Umanità.
V come Venezia all’aperto Fra le richieste che abbiamo raccolto nei sestieri ci sono anche: 1. Il ripristino del cinema all’aperto di campo San Polo. 2. Il raddoppio della frequenza del mercatino di Santa Marta, che è particolarmente apprezzato dai residenti. 3. Il ripristino dei mercatini delle cose vecchie e del collezionismo, denominati “Mercatini dei Miracoli”, eliminando il requisito del 50% di venditori professionisti che ne ha determinato la scomparsa. 4. La manutenzione e ripristino della funzionalità delle fontane pubbliche, e più in generale di tutti i manufatti di proprietà comunale sulla pubblica via (panchine, fontanelle e segnaletica), che a volte si trovano in condizioni di incomprensibile abbandono. 5. Le strutture disponibili per le attività sportive (voga a parte) sono scarse, manca ad esempio una struttura per avvicinare i ragazzi all’atletica. Al Comune chiediamo di garantire un’offerta completa di attività sportive partendo dal miglior utilizzo delle strutture esistenti.

Il presente documento è stato consegnato ai mass media e ai partecipanti all’incontro pubblico del 20 gennaio, per essere poi pubblicato sulla pagina facebook di “Venezia mio futuro” e sulla pagina internet www.gruppo25aprile.org.

Si continuano a salvare muri e pietre di Venezia che probabilmente mai è stata così lustra, mentre si continua ad erodere il patrimonio pubblico che è l'unico metro per misurare salute e vitalità di una comunità. La Nuova Venezia, 19 gennaio 2017 (m.p.r.)

«Siamo orgogliosi di avere aperto a fine dicembre il nuovo supermercato Despar all’interno del restaurato ex cinema e Teatro Italia, dopo aver già aperto poco prima quello di Rialto a Palazzo Bembo. Se ci sarà l’occasione di aprire un terzo supermercato a Venezia, magari recuperando un altro “contenitore” storico, noi siamo pronti». Paul Klotz, amministratore delegato di Aspiag Service srl, la società che gestisce il marchio Despar ha «battezzato» così quella che di fatto è stata l’inaugurazione ufficiale del nuovo supermercato Despar, ricavato all’interno dell’ex cinema Teatro Italia, chiuso dalla fine degli anni Novanta, recuperando anche l’apparato decorativo liberty originale dell’edificio reso invisibile dalle pannellature che lo ricoprivano quando era usato anche come aula didattica dall’università di Ca’ Foscari.

Un intervento tormentato, dopo un primo stop di Ministero dei Beni Culturali e Soprintendenza al progetto di trasformazione dell’edificio - di proprietà di una società di Piero Coin, che si è lamentato ieri di quella che ha definito la manipolazione della stampa sulle finalità del progetto che molto ha fatto discutere l’opinione pubblica - anche sulla base della direttiva Franceschini sulla salvaguardia delle sale cinematografiche storiche.
Poi il via libera al nuovo progetto - quello attuale - che mantiene il ballatoio preesistente, collocando il supermercato con le scaffalature solo al piano terra, comunque staccate dagli affreschi. «Avevamo pensato a un ovale in legno sospeso» spiega l’architetto Torsello «che non ci è stato consentito, ma siamo comunque soddisfatti del risultato. Abbiamo “salvato” anche i pozzi e i resti di abitazioni cinquecentesche ritrovati rimuovendo la pavimentazione, mantenuti anche se ricoperti e restaurato nel modo più fedele la parte degli affreschi e dei decori». Che sono comunque da ammirare - pur immersi tra formaggi e prosciutti - di nuovo visibili, con gli interventi di Guido Marussig, Alessandro Potti, Umberto Martina, Umberto Bellotto, seguendo l’intuizione dell’editore Giuseppe Scarabellin che finanziò nel 1916 l’apertura del cinema-teatro, con al suo fianco il progettista Domenico Mocellin, investendo su un’idea di modernità.
Ora purtroppo a Venezia non è più tempo di cinema, ma di supermercati per turisti - ma anche residenti, assicura l’ad Klotz - e il dibattito resta quello, quasi quotidiano a Venezia, se valga la pena di mantenere un edificio intatto, ma vuoto e degradato, o restaurarlo in modo impeccabile - come in questo caso - ma cambiandone totalmente l’uso e finalità, sempre in funzione turistica. Da parte sua l’Aspiag - come ha sottolineato anche il direttore appalti Massimo Salviato - ci mette una grande attenzione alla sostenibilità ambientale in campo energetico e della stessa gestione di prodotti e rifiuti. Ma il dibattito sul riuso dell’edificio resta aperto.

Riemerge a Venezia la proposta sulla separazione della città antica dal resto del territorio dell'attuale Comune. In una stagione in cui i recinti prevalgono sulla capacità di governare l'equilibrio tra pareri diversi d'un unico sistema, la proposta appare meno irragionevole che nel passato. La Nuova Venezia, 14 gennaio 2017 (m.p.r.)

Se Venezia, Murano e Burano costituissero un comune separato dalla terraferma, forse oggi la difficile questione del turismo sarebbe vicina a una risposta sensata, in linea con l’importante esigenza di salvaguardare la vita e l’economia locali senza rinunciare al benefici di un afflusso anche importante di visitatori. Questa è almeno la sensazione che si ha di fronte alla lettura di un documento approvato nel pomeriggio dell’11 gennaio dalla municipalità appunto di Venezia, Murano e Burano: un corpo di amministratori pubblici che riflette la composizione delle forze politiche presenti su quei territori.

Purtroppo però le proposte della Municipalità (approvate a grande maggioranza: 15 voti favorevoli, 4 contrari e 3 astenuti), non hanno valore legislativo ma solo consultivo e dovranno passare per l’esame del consiglio comunale vero e proprio il quale, eletto in tutto il Comune e oggi guidato dal sindaco Brugnaro, senza alcun dubbio le respingerà. Sarà un classico esempio del tipo di problemi posti da una democrazia: fino a che punto una maggioranza ha il diritto di imporre la sua volontà (o i suoi interessi) a delle minoranze locali? Nel nostro caso poi resta anche da decidere se la volontà dei veneziani di terraferma non sia a sua volta una piccola minoranza di fronte al resto del mondo, che ha dichiarato Venezia patrimonio di tutta l’umanità e che in gran parte condivide le sensate proposte della piccola Municipalità, come dimostra l’ultimatum posto dall’Unesco (che tra l’altro sta per scadere il primo febbraio dell’anno corrente).
Quali sono dunque le proposte approvate dalla Municipalità e destinate all’abbandono? Formulate dopo l’esame delle “audizioni” proposte dal Comune stesso negli ultimi due mesi (17 audizioni di cittadini, associazioni e forze economiche locali), esse riflettono in modo sorprendente il pensiero espresso dalle associazioni di cittadini meno legate a interessi economici immediati e più preoccupate dal mantenimento di una accettabile qualità della vita, dalla tutela dei valori umani, artistici e paesaggistici del territorio.
Per citare alcuni dei punti più importanti: 1) per la prima volta nella storia del Comune, si osa nominare esplicitamente la “soglia massima” di presenze turistiche ritenute accettabili (si era parlato di “numero programmato”, ma nessuna forza politica aveva osato formulare un numero concreto). Oggi la Municipalità dichiara che la soglia dev’essere di 50.000 presenze, inclusive di turisti pernottanti ed escursionisti. Il dato si avvicina a quello proposto da alcuni gruppi di cittadini: 38.000 da Italia Nostra, 55.000 dal professor Carrera, 35.00 da Jan van der Borg. Altri privati hanno proposto un numero eguale a quello dei residenti (appunto 55.000); 2) si chiede che gli escursionisti siano gestiti iniziando dai gruppi organizzati, il cui numero va fortemente limitato richiedendo una prenotazione obbligatoria.
Solo dopo aver studiato l’effetto di tale misura sulla vita veneziana si potrà pensare se intervenire o meno anche sugli escursionisti indipendenti che viaggiano in proprio (questa era ed è una richiesta esplicita di Italia Nostra). E si propongono misure importanti per il controllo di autobus e lancioni gran turismo; 3) gli appartamenti di Venezia devono andare in affitto a residenti, limitando l’affitto turistico a un preciso numero di giorni per anno (si propone il numero di novanta giorni), come già si fa in altre città del mondo. Si prevedono vantaggi fiscali per chi affitta a residenti; 4) si prevedono incentivi fiscali per le coppie che acquistano casa a Venezia e per i negozi di vicinato, mentre si propongono misure per arrestare la proliferazione di bar, ristoranti e negozi di paccottiglia turistica.
Con l’approvazione di questo documento si può dire che il dado sia tratto. Gli abitanti di Venezia e delle isole si sono pronunciati. Adesso starà a loro e ai loro rappresentanti ricorrere a tutti i mezzi legali, locali, nazionali e internazionali, perché sia rispettata la loro volontà di salvare Venezia dal triste destino di parco turistico da esibire e sfruttare per il guadagno di pochi.

Come approfittare della morte d’un grand’uomo per tirare l’acqua al proprio mulino. La Nuova Venezia, 8 gennaio 2017, con postilla.

Nel 1975 e nel 1976 con i Rapporti scritti per l’Unesco, assieme ad alcuni suoi “giovani allievi”, sulla Pianificazione Urbana e sulla Pianificazione Territoriale, Leonardo Benevolo definisce i contenuti fondamentali che avrebbero dovuto dare (e che daranno poi) corpo al disegno urbano complessivo e alle regole di trasformazione della città di Venezia.

La vicenda di allora, accolta in modo per lo meno controverso dai decisori politici e culturali veneziani di quel momento, dopo avere attraversato il tentativo fallito della redazione di un Piano Comprensoriale che anticipava sostanzialmente la necessità di una dimensione metropolitana della città, doveva trovare il suo sbocco nella stagione aperta nella seconda metà degli anni novanta e poi rapidamente richiusa. Con la stagione delle nuove Giunte e l’elezione di Cacciari sindaco, l’elaborazione culturale che si era accumulata negli anni precedenti poté finalmente trasformarsi in azioni di politica amministrativa e venne avviato un periodo di incredibile attività creativa intorno ai destini della città, sfociata nella redazione in pochissimi anni di tutti gli strumenti urbanistici particolari e generali necessari al suo ordinato sviluppo e corrispondenti ad una visione condivisa.

Leonardo Benevolo, che rappresentava l’espressione più alta di questo pensiero e che più di qualsiasi altro aveva la dimensione culturale di ragionare su Venezia nel quadro di un pensiero urbanistico universale e storicamente fondato, venne chiamato a dirigere e a fare da garante a questo percorso. Nel 1996 venne presentato a Roma nella sede dell’Associazione Stampa Estera e alla presenza di tutti i maggiori urbanisti italiani, di cui si desideravano e non si temevano le critiche, il libro Venezia: il nuovo Piano Urbanistico. L’impostazione del Piano, descritto in quel libro nei suoi elementi strutturali, venne accolto da giudizi unanimemente favorevoli e quell’impostazione fu alla base delle successive elaborazioni che dettero corpo ai piani delle diverse parti della città, unificati poi nel nuovo Piano Regolatore di Venezia.

Va qui notato per inciso che, nonostante tentativi estemporanei di modificare in modo distorsivo per alcune parti e su spinte di interessi privatistici le scelte di allora e nonostante la successiva redazione di un inutile PAT, quelle scelte, che pure avrebbero necessità di essere aggiornate, sono tuttora operanti in città. La fine di quell’esperienza è stata qualcosa di più della semplice conclusione di un lavoro, ma ha coinciso con una svolta nell’urbanistica italiana e in quella veneziana che fa parlare ad alcuni di controriforma urbanistica.

Chi volesse conoscere il pensiero di Benevolo sulla fine di quell’esperienza potrebbe leggere un altro libro Quale Venezia (Marsilio 2007); basti questa citazione: «La progettazione intelligente dello scenario fisico è scomparsa dal dibattito politico e dalle aspettative della gente, proprio mentre si concreta il grande avvenimento epocale a cui tutta la vicenda converge: la distruzione del paesaggio italiano, col suo ruolo primario nella cultura mondiale». E, più in generale, potrebbe leggere gli ultimi libri L'architettura nel nuovo millennio (Laterza 2006) e Il tracollo dell'urbanistica italiana (Laterza 2012), libri di scarso successo per le verità non digeribili dalla cultura dominante che vengono descritte.

Mi rendo conto che questo breve resoconto storico un po’ freddo non dà ragione dell’importanza della presenza di Benevolo e Venezia o lo stesso volerlo definire dal punto di vista della vicenda veneziana rende pallidamente giustizia alla sua dimensione culturale e umana. Per chi come me ha avuto il privilegio assoluto di aver lavorato praticamente tutta la vita al suo fianco, da studente prima, da collaboratore nell’università, e poi in numerosissimi piani urbanistici e infine nella condivisione dell’avventura amministrativa veneziana, diventa estremamente difficile dirne pubblicamente. Le tracce del suo lavoro, oltre ai libri che ha scritto e che in qualsiasi università del mondo mi capitasse di andare scoprivo come fossero tra libri di testo fondamentali, non hanno bisogno di essere celebrate perché hanno agito e agiscono nel profondo entrando a fare parte in modo inalienabile del patrimonio culturale del nostro Paese. A Venezia girano ancora molte persone che sono state allieve o hanno conosciuto Benevolo: è soprattutto a loro che mi rivolgo con queste note.

postilla

Leonardo Benevolo è stato certamente un grande maestro. Moltissimi urbanisti della mia generazione hanno imparato il mestiere a partire dai suoi libri, noti in tutto il mondo. È stato esemplare per la capacità di raccontare con parole semplici, e con una documentazione ineccepibile, le vicende della grande avventura urbana dell’umanità. Chi voglia saperne di più restando su queste pagine legga l’articolo di Francesco Erbani che abbiamo ripreso da
Repubblica all’indomani della sua scomparsa.
Come tutti gli uomini (e anche quelli "grandi") nella sua vita ha commesso qualche errore. A compiere l’errore che ho direttamente conosciuto ha contribuito pesantemente Roberto d’Agostino, quando lo ha chiamato a Venezia a “correggere” il piano per il centro storico, che avevamo faticosamente costruito tra il 1985 e il 1990. La demolizione del piano, e la privatizzazione della città storica iniziarono quando, con la giunta guidata da Massimo Cacciari fu scelto assessore Roberto D’Agostino. I disastri urbanistici di quest’ultimo furono puntualmente denunciati su questo sito. Ne è ricca, ad esempio, la cartella di scritti di Luigi Scano.

Una sintetica esposizione dei risultati del cosiddetto "piano Benevolo" è contenuta in un mio articolo del 2007, “Anch’io sono deluso", nel quale descrivo le pesanti conseguenze di quel piano e della politica di cui è stato lo strumento. Un più ampio sviluppo di quella critica è nel mio Memorie di un urbanista, Corte del fontego editore, Venezia 2010, pp.155-156. Per le ulteriori e più recenti malefatte di D'Agostino numerose testimonianze sono raggiungibili in questo sito digitando, nel "cerca" il suo nome (e.s.)


L'intervento del Vicepresidente di Italia Nostra Venezia sul delicato momento che Venezia sta vivendo con gli annosi problemi: Mose, navi, turismo. La Nuova Venezia, 28 gennaio 2016 (m.p.r.)

L'anno 2016 si conclude con tutti i grandi problemi di Venezia ancora irrisolti, mentre con il passare del tempo le situazioni gravi si cronicizzano. Com'è sempre accaduto a Venezia ciò metterà le generazioni future di fronte a fatti compiuti e irreversibili, con grande soddisfazione dei pochi che dallo stato esistente traggono rendite economiche e politiche. Il Mose è ancora incompleto. Dopo l'esplosione degli scandali, molto facilmente prevedibili e previsti, il carrozzone sussiste e barcolla ma continua a succhiare denaro. Le voci di chi era contrario fin dall'inizio e ora ha avuto platealmente ragione cadono ancora nell'indifferenza del potere; anzi, causano irritazioni aggiuntive.

Le navi da crociera continuano a passare davanti a San Marco, con stupore del mondo intero. Dopo anni di discussioni si è ancora incerti se portarle a Marghera o scavare canali per arrivare alla Marittima o creare banchine fisse o mobili alle bocche di porto. L'opzione più giusta, quella di liberare città e laguna da quell'incubo, non viene neppure considerata, nel nome di un malinteso vantaggio economico, che andrebbe solo a favore dei potenti organizzatori, con briciole di semi-stipendi per gli sfortunati figli di chi non possiede licenze di taxi, di gondole o di bancarelle finto-ambulanti. È esplosa la trasformazione degli appartamenti da case d'abitazione in strutture ricettive. Oltre seimila se ne contano su ventiquattromila utenze in città. Nessuno interviene e tra poco sarà troppo tardi. Sciami di lancioni depositano ogni ora migliaia di visitatori innocenti davanti alla Ca'di Dio, per ritornare a prenderli nelle prime ore del pomeriggio e riportarli agl'infernali trasporti su gomma per la corsa verso altre martirizzate città d'arte.
Una commissione indipendente dell'Unesco, e poi un'assemblea generale, hanno esaminato il quadro generale e concluso che Venezia rischia di venire inclusa tra i siti in pericolo. Dovrebbe presentare un piano di resurrezione entro il febbraio 2017 ma non sembra avere intenzione di farlo. Il sindaco di Venezia si è scagliato contro l'interferenza negli affari della sua città, dimostrando un'abituale grossezza di vedute con la dichiarazione che prima di parlare l'Unesco dovrebbe mandare dei soldi per aiutare Venezia a pareggiare i bilanci. I quali bilanci sono sempre in rosso malgrado trenta milioni di turisti nel 2016, cosa che spinge a vendere altri palazzi di pubblica proprietà e a concedere altri permessi per alberghi e centri di commercio turistico.
Di buono c'è che i cittadini non contagiati dalla generale miopia liberistica ancora resistono, ancora chiedono misure per salvare bellezza, cultura e qualità della vita e ancora mostrano a esempio le positive realtà di Barcellona, Amsterdam, San Francisco, perfino New York. In quest'ultima città, e nel suo intero Stato, non è possibile affittare un appartamento per meno di trenta giorni di fila: lungimiranza di amministratori che vedono un processo di degrado all'orizzonte e lo contrastano prima che sia troppo tardi. Oggi si cita con orrore un'ordinanza comunale del 1962 che obbligava a sversare in laguna tutti i materiali inquinanti prodotti dalle industrie di Porto Marghera. Domani lo stesso orrore sarà generato dall'indifferenza verso le grandi navi da crociera e verso il proliferare di plateatici, di affitti turistici, di ricordini fabbricati in Cina. Il 2016 ha dato una forte spinta in quella direzione. Il 2017 rischia di fare altrettanto e forse di più, data la composizione dell'attuale giunta comunale e del consiglio che la sorregge. Si va verso un anno di decisioni che non potranno essere che negative, date le premesse. Occorrerà resistere, mostrare che le strade alternative esistono e possono essere piene di luce. Anche quest'ondata di oscurantismo passerà, come tante altre in passato. * Vicepresidente Italia Nostra, Venezia

Un accordo per svendere e privatizzare in blocco l'immenso patrimonio pubblico delle isole minori della Laguna, storicamente utilizzate per gli usi della collettività. Il Sole 24Ore, 18 dicembre 2016

È stato firmato oggi un Protocollo di Intesa tral'Associazione Italiana Confindustria Alberghi e l'Agenzia del Demanio che hacome obiettivo quello di individuare ambiti di azione comuni volti avalorizzare il patrimonio immobiliare pubblico in un settore strategico comequello del turismo italiano, che rappresenta una chiave di rilancio perl'economia del Paese. L'accordo, firmato nelle sale dello Starhotels Hoteld'Inghilterra dal presidente Confindustria Alberghi, Giorgio Palmucci, e daldirettore dell'Agenzia del Demanio, Roberto Reggi, si inquadra in un rapportodi collaborazione avviato da tempo che mira ad una condivisione dei criteri perindividuare il patrimonio immobiliare dello Stato da destinare al segmentoturistico.

Negli ultimi anni l'offerta turistica italiana - si legge inuna nota congiunta - ha modificato il proprio profilo sul mercato mostrando unaumento del 22,5% per gli alberghi di fascia alta che, rispetto al 14,5% del2008, rappresentano il 18,2% del totale. Secondo l'Italy Hotel Investmentsnapshot di EY Hospitality, il 2015 è stato un anno particolarmente importanteper il settore, con un volume di transazione di 795 mln di euro (+47% rispettoal 2014). Il trend positivo è proseguito anche durante il corso del 2016, chedovrebbe chiudersi con un volume di transazioni di un mld di euro.
«Gli investitori esteri sono attratti dal mercatoalberghiero italiano e grande interesse è rivolto alle strutture già esistentisu Roma, Milano, Firenze e Venezia soprattutto quando ad affacciarsi sono glioperatori provenienti dall'Asia – ha dichiarato Giorgio Palmucci –. L'Italia èconsiderata un mercato stabile e sicuro su cui investire e per questo spingiamosulla promozione del prodotto alberghiero partecipando, anche con l'Agenzia delDemanio, come Italia Hospitality presso l'International Hotel Investment Forumdi Berlino. Il settore è ancora caratterizzato da un'eccessiva frammentarietàdell'offerta dovuta anche alle dimensioni delle strutture. Prendere parte adappuntamenti fieristici, di respiro internazionale, alla presenza di enti eistituzioni importanti come l'Agenzia del Demanio consente di trasmettere conpiù forza le reali sinergie tra settore pubblico, associazioni e settoreprivato. Il nostro obiettivo è quello di intercettare investitori e operatoriinternazionali interessati al prodotto turistico del Bel Paese. Con ilprotocollo siglato oggi aggiungiamo un nuovo tassello al quadro di rilancio delturismo italiano».

Difficile pensare che a Venezia, città di millenaria saggezza e civiltà, nei secoli accogliente di persone respinte dagli altri, potesse esprimere un sindaco la cui ideologia, sensibilità, cultura sia simile a quella declamata (ma non ancora praticata) da Donald Trump. Per fortuna che un prete c'è. Il Fatto Quotidiano on line, 20 dicembre 2016

Il sindaco Luigi Brugnaro non poteva scegliere momento meno opportuno per lanciare la sua crociata contro la povertà, o meglio contro la povertà visibile nel centro di Mestre, la città veneziana di terraferma. A pochi giorni dal Natale, con le strade abbellite dalle luminarie e con le vetrine dei negozi piene di merci che fanno stridere ancor di più i contrasti sociali, ha lanciato la proposta di realizzare una “cittadella della povertà”. Ha usato proprio questa espressione. Come esiste, a piazzale Roma, la “cittadella della giustizia”, ovvero il Tribunale lagunare, come a Venezia esiste da pochi mesi il “palazzo del lusso” a due passi di Rialto, allo stesso modo Brugnaro vuole localizzare, in un punto per ora imprecisato della periferia, una struttura dove possano essere dirottati barboni e clochard, poveracci italiani e immigrati in cerca di aiuto.

Il primo cittadino aveva cominciato la scorsa settimana dichiarando che è venuto il momento di spostare le mense dei poveri che ogni giorno sfamano a Mestre centinaia di persone. Via dal centro, dalla passeggiata pedonale di piazza Barche o piazza Ferretto, perché il via vai di disperati crea problemi di decoro e degrado urbano. A Mestre ci sono due mense, Ca’ Letizia in via Querini e una struttura gestita dai frati in via Cappuccina. Siccome entrambe sono della diocesi, il patriarca Francesco Moraglia non ha gradito l’entrata a gamba tesa in un campo, quello della carità, in cui la chiesa veneziana è impegnata da sempre. Così ha preso spunto da un incontro pubblico per esprimere il suo dissenso. “Una città non può emarginare realtà che appartengono al vivere sociale. Se ci sono problemi che richiedono di organizzare meglio le mense, ci impegneremo perché questo avvenga, ma portare tutto in un luogo deputato alla carità, quasi come se ci fossero barriere divisive all’interno della comunità civica e sociale, questo no”. Parole severe contro gli steccati e l’illusione di risolvere i problemi buttando la polvere sotto il tappeto.

Moraglia ha aggiunto: “Immagino che l’iniziativa abbia buone intenzioni, eppure spostare le mense non è solo nascondere la povertà, ma è creare una disparità tra una società che crede di avere eliminato la sofferenza e una realtà che, per i suoi bisogni primari, vive al margine della società e accede alla società vedendola come un mondo proibito”. Poi ha concluso, escludendo l’eventualità di far traslocare le mense. “Se c’è da mettere a posto alcune organizzazioni dobbiamo farlo, perché dobbiamo evitare difficoltà anche a chi vive nel quotidiano, ma dobbiamo anche prendere atto che nella società ci sono ricchezza, povertà, bambini, nonni, adulti, sani e malati. E bisogna cercare, nel rispetto, di offrire servizi migliori a tutti rimanendo attenti all’uomo concreto, alle sue stagioni e sofferenze”.

La proposta di Brugnaro nasce dal fatto che i residenti della zona dove si trovano le mense si lamentano. Sostengono che è difficile la convivenza con i frequentatori, non solo stranieri, ma anche italiani. Da apripista aveva fatto l’assessore alla Coesione sociale, Simone Venturini, un paio di mesi fa. Poi il primo cittadino ha dato l’annuncio in modo ufficiale. Ieri, dopo le parole del Patriarca, Brugnaro è tornato sull’argomento: “Sto pensando a una cittadella della povertà. L’idea è di concentrare i servizi per avere più risultati”. E avrebbe anche individuato l’area, per ora top secret. Lapidario il vicario episcopale don Dino Pistolato: “Bisogna fare attenzione a costruire dei ghetti, non usiamo la politica per nascondere. Chi va nelle mense sono persone che si muovono, che senso ha costruire una città per loro? In tutte le grandi città, da New York a Parigi, i poveri stanno vicino a dove c’è la ricchezza”.

Una nuova proposta per portare i flussi del turismo "mordi e fuggi" a corrompere la città e i grattacieli del mare a distruggere la Laguna. Ma il nuovo progetto ha ancora più criticità dei precedenti, quindi verrà ugualmente bocciato. La Nuova Venezia, 2 dicembre 2016 (m.p.r.)

Il Patto per Venezia firmato tra il presidente del consiglio e il sindaco di Venezia ci ha [Lidia Fersuoch è presidente di Italia nostra - Venezia] preoccupato notevolmente per quanto concerne soprattutto l’inserimento nello stesso Patto del progetto di escavo del canale Tresse nuovo, un collegamento (proposto dal sindaco e dall’autorità portuale) tra il Canale dei Petroli e il Vittorio Emanuele, per far giungere in Marittima le navi crocieristiche. Il progetto appare dunque avere il sostegno e l’avallo di Renzi, nonostante il ministro delle infrastrutture nella sua recente visita non l’avesse preso in considerazione. Nel patto, inoltre, a rendere più “pesante” l’appoggio della Presidenza del consiglio compare l’asserzione della centralità di Venezia nel panorama nazionale e i molti milioni di euro finalmente sbloccati.

A ben guardare, però, recentemente la stampa ha dato notizia di un altro patto, stipulato con Milano. Entrambe le città - si può pensare - hanno gravi problemi, e probabilmente entrambe, per motivi diversi, sono centrali per il governo e lo Stato. Ma a scorrere le notizie di stampa degli ultimi mesi ci si accorge che Renzi ha firmato un patto per Genova, un patto per Firenze, un patto per Torino, per Palermo, per Cagliari, Reggio Calabria, Messina, Catania, Bari, Napoli (il presidente del consiglio si è perfino dichiarato pronto a firmare un patto per Roma). Sono stati firmati anche patti per regioni intere: c’è un patto per la Campania, la Sicilia, la Basilicata, la Puglia, il Molise, la Sardegna, l’Abruzzo, il Lazio.
Dimentico qualcosa? Tutti questi patti prevedono opere infrastutturali, grandi interventi, finanziamenti cospicui. Un vortice di milioni. E sono stati sottoscritti in questi ultimi mesi. L’opposizione - il senatore Casson - ha l’impressione «che il premier fino al prossimo 4 dicembre firmerebbe qualunque cosa». Ma anche altrove in molti sono critici: «quei soldi per interventi importanti a Marsala erano stati già previsti anni fa», mentre per la Calabria «non c’è alcun finanziamento aggiuntivo rispetto ai fondi europei e nazionali già stanziati» e per Milano «hanno spacciato come novità il prolungamento della M5 fino a Monza, che praticamente è già in costruzione». Inoltre, qualcuno ha quantificato i bonus elargiti da Renzi: si tratterebbe di una somma che supera i 12 miliardi a carico dello Stato.
Questo e altro si legge sui quotidiani nazionali, ma forse - è prudente considerarlo -, si tratta di organi di stampa politicamente avversi a Renzi. In ogni caso si può considerare l’appoggio al progetto del sindaco con meno preoccupazione. Brugnaro sulle Tresse sostiene: «quello è il progetto della città … lo ha capito Renzi che ha detto chiaro “è la città che decide”, lo capirà anche la Sambo».
Peccato però che se anche tutti i cittadini concordemente si dichiarassero sostenitori convinti del progetto Tresse ciò non basterebbe: il progetto non passerà la VIA. Questo progettato canale, infatti, presenta tutte le criticità del Contorta e ne aggiunge altre, come ad esempio il fatto di essere tracciato attraverso l’Isola delle Tresse, una mega discarica di fanghi inquinati (realizzata in regime commissariale, essendo vietatissima la realizzazione di imbonimenti in Laguna, ancor più di discariche).
Ma la criticità maggiore, che Italia Nostra contesta a qualunque progetto mirante a conservare le navi croceristiche in Laguna, è quello che deriva dal transito nel Canale dei petroli. Come tutti ormai sanno, il Canale dei petroli è responsabile della spaventosa erosione del bacino centrale, che ha distrutto la morfologia lagunare approfondendo i fondali e cancellando la rete naturale dei canali. Nella mostra Venezia 1966-2016. Dall’emergenza al recupero del patrimonio culturale. Storie e immagini dagli archivi della città (organizzata dalla Biblioteca Marciana e dall’Archivio di Stato nel mese di novembre presso le Sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana, e di cui sarà presto on-line il catalogo) Italia Nostra ha presentato uno scenario progettuale di ripristino di funzionalità idraulica e morfologica dell’area del Canale dei Petroli, curato da Lorenzo Bonometto e di prossima pubblicazione. La Laguna, patrimonio naturale e culturale dell’umanità, necessita di progetti volti al restauro morfologico e idraulico, e non certo di nuovi, devastanti canali.

Lidia Fersuoch è presidente della sezione di Venezia di Italia Nostra

Dopo il male prodotto dall'autore dell'articolo (15 anni fa era assessore all'urbanistica con il sindaco-filosofo) viene il peggio: con l'urbanistica di Luigi Brugnaro siamo scesi ancora più in basso. La Nuova Venezia, 19 novembre 2016, con postilla

Oltre 15 anni fa, dopo due anni di elaborazione, innumerevoli incontri con le commissioni consiliari, con i quartieri (che allora erano 23) con le forze politiche, con le rappresentanze istituzionali, rispondendo a oltre mille osservazione dei cittadini, prima il consiglio comunale poi gli organismi sovraordinati hanno approvato lo strumento urbanistico generale di Venezia, che, indipendentemente dal successivo Pat, detta ancora oggi le regole di trasformazione della città.

Uno dei princìpi fondanti di quel Piano era una profonda revisione delle tendenze allora in atto relativamente al sistema degli accessi in città. Tale revisione prevedeva l’allontanamento del traffico improprio da Mestre e da Venezia, bloccando tutti gli arrivi turistici nei terminal di Tessera e di Fusina, la trasformazione del ponte transalugunare in una strada urbana di collegamento per chi vive e lavora tra Mestre e Venezia, l’abbassamento sostanziale del traffico in arrivo o in transito per piazzale Roma attraverso interventi che portavano a una sua sostanziale pedonalizzazione: il ponte di Calatrava che favorisce gli arrivi via treno, il people mover che rende il Tronchetto il vero punto di approdo automobilistico a Venezia, il sottopasso del garage comunale che allontana oltre 500 mila passaggi da piazzale Roma.
Assieme a questi interventi si prevedeva l’esclusione di ogni parcheggio all’inizio del ponte della Libertà per impedire che il traffico improprio fosse attirato fino alle porte di Venezia e si prevedeva la realizzazione di un garage per 1.200 posti auto, esclusivamente riservato ai residenti e dunque volto a favorire la residenzialità veneziana, nelle aree portuali inutilizzate.
Dopo di allora è evidentemente stato fatto un altro Piano che non conosco perché non è stato mai discusso da nessuna parte e perché nessuno degli organismi democratici lo ha mai approvato in quanto tale, ma ne ha approvate via via delle piccole parti che insieme costituiscono un disegno unitario di segno del tutto opposto al piano ufficiale e vigente. Questo nuovo piano prevede che il terminal di Fusina venga dato alla Save, che nelle aree a verde pubblico urbano dei Pili venga fatto un parcheggio di 600 auto, che a piazzale Roma si raddoppi il garage San Marco, che nelle aree dismesse del Porto si faccia una garage turistico di 1.200 posti e un albergo per 300 stanze (illegittimamente perché si tratta di aree del demanio, quindi di tutti, che il Porto dovrebbe retrocedere allo Stato visto che tra le sue finalità istituzionali non c’è quella di fare alberghi a Venezia), oltre ad altre amenità.
Facendo due semplici calcoli, tra le altre cose (distruzione del più importante esempio di archeologia industriale della città storica, degrado delle aree di arrivo in città, depauperamento ambientale là dove verranno fatti parcheggi al posto del verde pubblico) queste previsioni comporteranno circa cinque milioni di nuovi passaggi automobilistici dentro a Mestre e sul ponte della Liberà ogni anno e renderanno definitivamente impraticabile l’ipotesi di rendere strada urbana il ponte della Libertà e di civilizzare lo scandalo di piazzale Roma.
L’idea che sta alla base di questo nuovo piano è quella di incentivare il più possibile gli arrivi turistici in città nella loro forma più deleteria, il mezzo automobilistico privato, e di aumentare lo sfruttamento turistico della città lagunare. In quanto ai residenti, essi costituiscono un noioso accidente che va sopportato e blandito con affermazioni vuote di difesa della città, mentre gli si tolgono le condizioni materiali di un vivere civile, a partire dalla possibilità di avere un posto auto facilmente accessibile dalla propria abitazione.
Naturalmente questo nuovo Piano che nessuno conosce, perché non c’è e non c’è perché coloro che lo portano avanti nei fatti non hanno neppure il coraggio civile di renderne pubblici i veri effetti, risponde a interessi particolari precisi e immediatamente identificabili. Ma, al di là dei singoli soggetti che traggono vantaggi immediati su ciascuna di queste scelte, esso ha una sua forte ispirazione generale: la città storica ormai priva di difese civili, va sfruttata quanto più possibile a uso e consumo di chi ha la possibilità di farlo. Tutto chiaro. Una sola cosa mi sfugge: come siamo arrivati a questo punto di imbarbarimento nella capacità di vedere, valutare, progettare, scegliere?

postilla

Roberto D'Agostino è stato assessore all'urbanistica a Venezia nella giunta capeggiata da Massimo Cacciari, ed ha "corretto" nel 1996 il piano allora vigente (approvato pochi anni prima come lascito di un lavoro iniziato dalle giunte di sinistra) nel 1992. Nella sostanza il piano D'Agostino si caratterizzava per l'eliminazione di tutti i "lacci e lacciuoli" che impedivano di mutare le utilizzazioni residenziali in atto. Chi vuole comprendere meglio troverà su eddyburg un'ampia documentazione. Rinviamo in particolare alla lettera di Luigi Scano del 2007 e alla sua puntuale analisi critica nello scritto "Quale piano per il centro storico di Venezia". Oggi Brugnaro ci aggiunge del suo. Quod non fecerunt barbari, fecerunt barbarissimi.

Scompaiono giorno per giorno gli spazi e le istituzioni che consentivano l'incontro, il dibattito, il confronto tra cittadini. Cancellati anche i poteri delle municipalità. Il Trumpino in saòr, sindaco protempore, prosegue il suo lavoro. La Nuova Venezia, 17 novembre 2016

È da anni che si parla del rischio che Venezia si trasformi in semplice meta turistica perdendo la connotazione di “città normale”, pur nella straordinarietà del suo patrimonio artistico, architettonico, ambientale. Una città, infatti, non è più tale se non ci sono ragazzi che vanno a scuola e giocano nei campi, cittadini che fanno la spesa nei mercati, se non ci sono ferramenta in cui comprare chiodi e pittura, mercerie, panetterie, luoghi in cui i cittadini si identificano. Su questo tema si sono mosse numerose associazioni e ultimamente un gruppo di giovani ha promosso iniziative e manifestazioni. Questo dà particolare speranza.

Pur sapendo che casa e lavoro (magari un lavoro che non guardi solo all’economia turistica) sono gli elementi principali per garantire la residenzialità, oggi vorrei soffermarmi su tre questioni che considero emblematiche perché fanno parte dell’identità stessa della città, l’hanno connotata e in esse le cittadine e i cittadini si riconoscono.
Parto dalla Bevilacqua La Masa, un’istituzione che rappresenta un’esperienza unica nel panorama italiano e internazionale, lascito di Felicita Bevilacqua La Masa che, con grande lungimiranza, ha pensato alla promozione dei giovani artisti. Nella Galleria di Piazza San Marco, nel Palazzetto Tito, negli studi di Palazzo Carminati e dell’ ex Convento di Ss. Cosma e Damiano si sono formati nomi poi diventati protagonisti della scena culturale internazionale. Costa pochissimo al Comune, è riconosciuta - e invidiata - da tanta parte del mondo culturale nazionale ed europeo. I presidenti hanno lavorato gratuitamente, per puro spirito di servizio. Ricordo ancora Luca Massimo Barbero che la notte prima dell’inaugurazione di qualche mostra era lì con gli attrezzi del mestiere a darsi da fare per sistemare quadri e installazioni. Ma la stessa cosa vale per gli altri, Chiara Bertola, Angela Vettese.
Poi c’è l’Ufficio cinema. Se a Venezia insulare c’è ancora il cinema è solo perché, attraverso l’apposito Ufficio, si è lavorato per realizzare sette sale (due al Giorgione, tre al Rossini, due all’Astra) e assicurare una programmazione diversificata e di qualità. Non si è trattato di una scelta ideologica: si è anche cercato di stimolare imprenditori privati ma di fronte alla loro risposta negativa (perché considerata economicamente non conveniente) il Comune ha deciso di fare da sé, valutando che sarebbe stato scandaloso che la città, sede della più prestigiosa Mostra del cinema del mondo, restasse senza un cinematografo. Anche quest’attività non comporta grandi costi per l’amministrazione comunale. Lo stesso cinema all’aperto, chiuso dall’Amministrazione precedente, stava sostanzialmente in equilibrio finanziario.
Infine il Centro donna, nato negli anni ’80 come spazio per la ricerca e l’elaborazione di culture e politiche delle donne, nella molteplicità dei linguaggi e dei campi d’azione. So che ci sono altre strutture del Comune che meritano attenzione, come il Centro Pace (come non ricordarsi che il primo piano di Ca’ Farsetti, trasformato in Presidio per la pace nel 2002, durante l’assedio alla Basilica della Natività di Betlemme, era l’unico luogo in cui scrittori, giornalisti, esperti cristiani, ebrei, musulmani si incontravano e interloquivano fra di loro?) e l’Ufficio politiche giovanili, ma mi sono dilungate sulla Bevilacqua, l’Ufficio cinema e il Centro donna perché emblematici e caratterizzanti la città stessa, la sua storia . È vero, la giunta Brugnaro ha garantito che non ci sarà alcuna soppressione. Non si tratta neppure di rivendicare ulteriori finanziamenti. Il problema è quello di assicurare la loro identità non omologandoli ad altri servizi, perché queste specifiche realtà si salvaguarderanno e potranno svilupparsi solo mantenendo una gestione autonoma e se intorno a esse continueranno a esserci e a portare il loro contributo gli artisti, le donne, gli appassionati cinefili di questa nostra stupenda e complessa città.

«Tutto a vantaggio dei turisti, ma il Comune non fa una piega, quando potrebbe invece trattare da posizioni di forza». Potrebbe. ma non vuole. Comune e Porto, l'intesa è perfetta. Due crani, un solo pensiero: sfruttare la città finché si può. La Nuova Venezia, 17 novembre 2016

La “dittatura” del Porto sulle aree dismesse della Marittima. La contestata questione del nuovo garage - con albergo da 300 stanze, area commerciale e persino una discoteca - da 2350 posti che l’Autorità Portuale vorrebbe far realizzare nell’area delle ex locomotive, senza neanche un posto riservato ai veneziani, riapre una polemica sempre viva. Quella sollevata anche di recente con una lettera al viceministro veneziano all’Economia Enrico Zanetti - dopo che era rimasta senza risposta quella inviata al sindaco Luigi Brugnaro - dall’Associazione Venezia Cambia, tramite il suo portavoce Marco Zanetti. «La questione è facilmente sintetizzabile.

Secondo Paolo Costa, presidente dell’Autorità Portuale di Venezia, le aree del demanio portuale sono tali in perpetuo e su di esse l’Autorità Portuale può lucrare concedendole a terzi, a prescindere dal fatto che gli utilizzi siano connessi alla portualità. Dovrebbero invece passare al demanio civile (all’Agenzia del Demanio, e da questa, auspicabilmente agli enti locali, trattandosi in genere di aree sostanzialmente urbane o di sicuro interesse urbano».
È quello che sta accadendo per le aree dismesse da decenni alla Marittima, dove doveva sorgere in origine - secondo gli accordi tra Comune e Porto di oltre dieci anni - un garage riservato ai soli veneziani, per dare sollievo ai circa 1200 cittadini in lista da tempo per un posti all’autorimessa comunale. Divenuto poi un garage diviso tra veneziani - con circa 1200 posti-auto a loro riservati - e crocieristi (altri 1100 posti circa). E divenuto nell’ultima versione dell’accordo stipulato tra Costa e Brugnaro un garage da 2.100 posti riservati tutti ai crocieristi, visto che i 250 posti riservati gratuitamente al Comune non andranno a una porzione di residenti, ma diventeranno un “benefit” riservato a imprenditori interessati a investire sulla città.
Tutto a vantaggio dei turisti, ma il Comune non fa una piega, quando potrebbe invece trattare da posizioni di forza. Un decreto del Presidente della Repubblica ha ad esempio già imposto al Porto che lasciasse al Comune la gestione degli approdi turistici di Riva degli Schiavoni e Sette Martiri che invece teneva per sé. Il Porto affida a caro prezzo - con tanto di causa per esiguità del canone - gli spazi che non usava più a San Basilio all’Iuav per usi universitari e dunque pubblici. Concede nell’ex sede della Capitaneria di Porto in Marittima la possibilità di realizzare un nuovo albergo con piscina per crocieristi, come sta per avvenire. E ora si prepara a chiudere il nuovo business del parcheggio multipiano per crocieristi con albergo. L’ultima parola - per la modifica al piano particolareggiato - spetterà però al Consiglio e i “mal di pancia” abbondano a sinistra e a destra, visto che per i veneziani non c’è proprio nulla.
«Siamo qui, come residenti, perché non vogliamo che Venezia, che è già diventata Disneyland, si trasformi a breve in Pompei: un cumulo bellissimo di pietre senza nessuna anima». Articoli di Roberta De Rossi e Elisa Lorenzini, La Nuova Venezia e Corriere del Veneto -Venezia, 13 novembre 2016 (m.p.r.)


La Nuova Venezia
CORTEO CON LE VALIGE
«SALVIAMO VENEZIA»

di Roberta De Rossi

VENEZIA.«Tutti a Mogliano, andiamo tutti a Mogliano, tutti a Moglianooooo...» cantano cinquecento veneziani - chiara allusione alla residenza del sindaco Brugnaro - tirandosi appresso il loro trolley. Sfilano tra le calli del centro dietro al Doge e alla sua enorme valigia rosso fuoco stile Roberta di Camerino, pronto a imbarcarsi in gondola davanti a Ca’ Farsetti, per prendere la via dell’esilio e consegnare definitivamente la città ai turisti. Ieri, tra campo San Bartolomeo e la sede del Comune, è andato in scena #Venexodus (come recitava il grande striscione che ha avvolto il Ponte di Rialto), nuova manifestazione dei residenti veneziani contro lo spopolamento della città, scesa sotto quota 55 mila.
Così, dopo le 300 lenzuola colorate che a luglio hanno avvolto le case della città per #Veneziaèilmiofuturo; il corteo con i carrelli della spesa organizzato dai giovani di Generazione 90, ieri è stata la volta dell’ironica protesta colorata firmata Venessia.com (la stessa del funerale alla città di qualche anno fa e del conta abitanti in campo San Bartolomeo), alla quale hanno aderito una quindicina di comitati.
I perché. «Siamo qui, come residenti, perché non vogliamo che Venezia, che è già diventata Disneyland, si trasformi a breve in Pompei: un cumulo bellissimo di pietre senza nessuna anima. Vanno prese subito misure per contrastare questo declino», dice Matteo Secchi, portavoce dell’associazione, «perché il nostro è un siparietto ironico per accendere i riflettori sul problema, ma seriamente chiediamo all’amministrazione impegni certi per una politica della residenza a favore degli abitanti, che comprenda ad esempio il fatto che chi affitta ai turisti deve pagare molte più imposte rispetto chi affitta ai residenti».
Al corteo che si è snodato tra campo San Bortolo - con partenza davanti al contatore fermo su 54.926 abitanti - e Ca’ Farsetti, è seguito un lungo incontro tra una delegazione e la giunta, assente il sindaco Brugnaro fuori Venezia. «Ci hanno promesso un secondo incontro, che non è un granché, ma non è fine a sé stesso», dice all’uscita Secchi, «noi abbiamo dato disponibilità ad aiutarli: ma non aspettiamo tanto. Per ora sono solo parole, ma se non lavoriamo tutti assieme ai fatti, non saltano fuori le case promesse per il social housing e non si interviene sui flussi e gli affitti turistici, tra un mese facciamo tutti di nuovo casino». «Hanno aperto a progetti di autorecupero degli immobili da parte degli inquilini, che è quello che chiediamo da tempo», dice Chiara, dell’Agenzia sociale per la casa, che occupa alcuni appartamenti in città.
«C’è stato un importante impegno all’ascolto», interviene Giampietro Pizzo, ex candidato sindaco, che nel corteo aveva vivacemente polemizzato con alcuni assessori, «ma vogliamo chiarezza sui programmi, i tempi, le risorse ed essere coinvolti passo passo». «Abbiamo ricordato che il Pat obbliga l’amministrazione nella redazione del piano degli interventi a politiche per la residenza anche a scapito della ricettività», sottolinea Marco Caberlotto, tra i volti di generazione 90, che ha proposto al Comune di seguire l’esempio di Barcellona e Firenze e stringere con Airb&b un patto per la riscossione delle imposte di soggiorno dai turisti che affittano un alloggio attraverso la piattaforma, per reinvestire i fondi sulla residenza.
La polemica. Ma che ci fanno in corteo l’intera giunta e molti consiglieri di maggioranza, in una manifestazione che chiede proprio all’amministrazione politiche certe su casa e turismo per bloccare lo spopolamento? Ci sono la vicesindaca Colle e gli assessori Boraso, De Martin, Venturini, Zaccariotto, Romor, D’Este, Mar, il capodigabinetto Ceron e la presidente del Consiglio Damiano e molti consiglieri di maggioranza. Ogni tanto un gruppo dal corteo intona “Consiglieri infiltrati”. Gli aderenti al gruppo 25 aprile lasciano la manifestazione per protesta. .
L’amministrazione. «Desideriamo tutti lo stesso obiettivo», dichiara in una nota la vicesindaco, Luciana Colle al termine della (quasi) due ore di incontro con la delegazione di manifestanti, «sul tema casa continueremo nel processo di riorganizzazione, riordino, riassegnazione delle emergenze abitative». La giunta ha annunciato che presto verranno azzerati i bandi Social Housing e Erp per accelerare i tempi di assegnazione.«Il tema che deve vederci tutti uniti», continua Colle, «dev’essere quello del rifinanziamento immediato e urgente della Legge speciale per provvedere alla manutenzione della città storica e superare il gap di extracosti ma anche per favorire le ristrutturazioni delle abitazioni residenziali e rilanciare il lavoro dei piccoli artigiani. Un'altra priorità - è stato sottolineato - è creare nuovi posti di lavoro per far rimanere i giovani che studiano nelle nostre università e il rilanciare Porto Marghera».
L’amministrazione si è poi impegnata con i manifestanti ad operare perché «venga rivista, per il centro storico di Venezia, la legge regionale sui Bed&breakfast, così come l'opportunità che venga considerata la specialità di Venezia a livello nazionale sulla questione Airbnb». L’opposizione. M5s attacca per voce del consigliere Davide Scano: «Anziché dimostrare con i fatti la volontà di fermare l'esodo degli abitanti in laguna, la giunta fa passerella. Le delibere votate, o da votare, dicono in realtà che ai nuovi amministratori va benissimo il trend in corso: meno abitanti e più alberghi. Basti pensare, alle due delibere sui cambi d'uso che hanno coinvolto pure un'esponente della lista civica del sindaco, alla vendita di immobili per farne nuovi hotel anziché abitazioni oppure alla scelta di rinunciare ai park per residenti nell'area della Marittima per lasciare tutto ai turisti e autorizzare, in aggiunta, due nuovi alberghi con più di 400 camere»

Corriere del Veneto - Venezia
TROLLEY E CARTELLI
VENEZODUS PER 500
«CASE E SERVIZI, VOGLIAMO VIVERE QUI»
di Elisa Lorenzini

Un dossier di proposte a Ca’ Farsetti. Mezza giunta in corteo, esplodono le proteste


Venezia. Si sono presentati in oltre 500, ieri mattina, per protestare contro lo spopolamento in città, armati di trolley, valigie e cartelli con la scritta #venexodus, alla manifestazione ideata dai Venessia.com. In testa il Doge accompagnato dalla sua maxi valigia, tre metri per due e dietro un fiume di cittadini. Come Annalisa Pastrello con un trolley nero: «La città è svenduta non ci sono più case per i giovani, mia figlia abita in un condominio affittato a turisti, arrivano ubriachi, fanno disastri». Come Patrizia Capuzzo: «Ormai aprono solo negozi per stranieri, questa non è più una città vivibile». Come il fotografo Andrea Avezzù, uno tra i più giovani a sfilare: «Questo è un grido contro lo spopolamento inesorabile, Airbnb va fermato è il colpo di grazia alla residenzialità». Tra i tanti ci sono anche Marco Capitanio e Maria Giulia Manente, due giovani sposi: «Viviamo a Venezia perché avevamo la casa di famiglia, altrimenti non ce l’avremmo fatta». Maria Giulia fa la pendolare con Jesolo: «Servono più servizi per i residenti, dai trasporti ai parcheggi, il comunale non basta».

L’orologio conta residenti in campo San Bortolomio ormai scende in picchiata, la soglia dei 55 mila è già superata. Il corteo ieri è salito sul ponte di Rialto dove è stato srotolato uno striscione con lo slogan della giornata. Tra i 500 c’è chi pensa che il «nemico» sia il turismo tout court, chi punta l’indice contro le masse dei pendolari. «Serve un limite alle botteghe-spazzatura - dice Alberto Bettin - e vanno favorite le imprese culturali che attraggano turismo di qualità». E chi punta il dito contro tanti veneziani. «La gente affitta ai turisti perché guadagna di più - dice Giovanna Massaria, immobiliarista che affitta solo a non-turisti - e i controlli non ci sono, è una situazione nata con la connivenza dell’amministrazione».

Ma in mezzo al corteo c’è anche metà giunta guidata dalla vicesindaco Luciana Colle, con l’assessore al Turismo Paola Mar e la presidente del Consiglio Ermelinda Damiano e uno stuolo di consiglieri fucsia. Una presenza che ha scatenato qualche defezione, abbandoni in corsa e proteste anche contro gli organizzatori. «Avevamo aderito a un corteo di protesta, non a una manifestazione di regime travestita», tuona Marco Gasparinetti del Gruppo 25 Aprile. E Giampietro Pizzo di Venezia Cambia: «Chi ha oggi la responsabilità di decidere non può presentarsi come un cittadino qualsiasi». Protesta anche il presidente della Municipalità di Venezia Andrea Martini che «sventola» l’accordo di programma (bocciato dal parlamentino) di Comune e Porto sulla nuova Marittima con hotel e parcheggi per turisti. «Le delibere della giunta - dice il consigliere Davide Scano (M5S) - dicono che ai nuovi amministratori va bene il trend in corso: meno abitanti e più alberghi».

A Ca’ Farsetti, mentre il Doge, simbolo dell’esodo, parte in gondola lasciando la città, gli assessori hanno ricevuto una delegazione di manifestanti con un dossier di proposte, dall’autorestauro dell’Assemblea Sociale per la Casa, alle maggiori tasse per chi affitta a turisti di Venessia.com. «Ci rivedremo a gennaio - spiega dopo l’incontro il portavoce Matteo Secchi - siamo disponibili a lavorare assieme ma non ad aspettare a lungo, è un’emergenza». Pizzo aggiunge: «Vogliamo chiarezza dall’amministrazione, deve rispondere ai cittadini, non a interessi corporativi».

Un volume decisivo per la comprensione della Laguna di Venezia, costruito da Lidia Fersuoch sulla base di un'mmensa congerie di documenti testuali e cartografici d'archivio è stato presentato recentemente a Venezia. Tra i commentatori Francesco Erbani, che ci ha concesso di pubblicare il testo del suo intervento. In calce il link all'audio dell'affollato evento

Lasciate come prima cosa che denunci l’imbarazzo per la mia scarsa titolarità quale relatore alla presentazione del volume di Lidia Fersuoch. Inadeguatezza nei confronti dell’oggetto, questo poderoso, fondamentale contributo alla storia, alla geografia e direi al presente vivo, un presente così minacciato della Laguna (con la L maiuscola, come ho imparato da Lidia: nomina sunt consequentia rerum). Inadeguatezza, poi, nei confronti degli altri due relatori, Luigi D’Alpaos e Francesco Vallerani, molto più accreditati di me a misurare l’entità scientifica di questo contributo.

Conosco Lidia Fersuoch da tanti anni. Siamo amici. Conosco la sua competenza sulle complesse, fascinose e drammatiche vicende della Laguna. Stimo la sua passione militante. Le volte che mi sono occupato di Laguna come cronista l’ho considerata al pari di una specie di Corte di Cassazione, ritenendola in possesso della parola per me definitiva, quella che consente di orientarsi, di non sbandare, di andare all’essenziale, di fiutare dove stanno le ragioni della Laguna e dove stanno quelle di chi, agli interessi della Laguna, antepone i propri.

Ora, con questo volume, Codex Publicorum. Atlante (edito dall’Istituto veneto di lettere, scienze ed arti) è possibile per me percepire più compiutamente la profondità storica delle competenze spese, insieme a Italia Nostra, nelle battaglie per l’integrità della Laguna, contro le Grandi Navi e i progetti di nuovi canali, contro il Mose. È una quantità di saperi che in questo volume transita dalle discipline umanistiche a quelle idrauliche con sorprendente agilità, per nulla fiaccata dalla mole di documentazione. È come se si completasse un circuito virtuoso fra cultura e politica, un circuito in cui l’una e l’altra si alimentano reciprocamente e che va dalle carte dell’Archivio di Stato alle bocche di porto e dalle bocche di porto torna all’Archivio di Stato.

Questo Atlante restituisce su mappe le misurazioni effettuate dai giudici del piovego, i giudici che dal XIII secolo avevano giurisdizione sulle proprietà pubbliche, erano addetti a redigere una specie di catasto di queste proprietà pubbliche e dunque vigilavano su canali, strade, saline, valli da pesca, barene, ponti, testimoniando attraverso le vicende processuali, i contenziosi, il mutevole assetto lagunare di quello e dei secoli successivi. Svolgevano quei giudici, se non capisco male, una fondamentale funzione di tutela del patrimonio pubblico e dunque in quelle sentenze si potrebbero rintracciare gli antecedente delle denunce, degli esposti, delle battaglie di questi anni.

D’altronde questo è il frutto di un lavoro ventennale, di cui con Lidia qualche volta ci siamo trovati a parlare e i cui presupposti sono in un lavoro che risale al 1995 e che sviluppava la sua tesi di laurea: San Leonardo in Fossa Mala e altre fondazioni medievali lagunari.

All’estremo opposto del volume di cui si parla questa sera, all’estremo opposto come dimensioni, ma non come peso specifico o intensità della riflessione, c’è Confondere la Laguna, 35 essenziali pagine nella coraggiosa, benemerita collana “Occhi aperti su Venezia” della Corte del Fontego di Marina Zanazzo. Lì si legge della “multiforme bellezza” della Laguna, del suo “equilibrio precario tra un orizzonte di mare e uno di terra”, dei “potenti e tortuosi canali che si diramano in venature di sempre minore sezione” a partire dalle tre bocche di porto, delle terre sommerse, i bassifondi, o a pelo d’acqua, le velme, oppure appena rilevate, le barene. Insomma, tutto, tranne che “un semplice e passivo vaso liquido”, tutto, tranne che “un’indistinta distesa d’acque”.

Per molti di noi, non veneziani, per molti di coloro che sono abituati a paesaggi più netti, più rocciosi, a mari profondi, di colore blu cobalto, oppure per chi è incapace di cogliere il dettaglio incerto di un paesaggio, il fascino che genera questa impressione di grigio, è una sorpresa salutare leggere le parole con le quali Lidia descrive il funzionamento delle barene, che proteggono le aree stabilmente emerse, le isole abitate della Laguna, partecipano alla fitodepurazione e sono dotate di una vegetazione capace di catturare i sedimenti sospesi nelle correnti, attuando così un perenne processo di autorigenerazione.

Sono terre, le barene, ma in fondo appartengono di più al mondo dell’acqua: ecco la loro seducente incertezza. Quell’incertezza, quella mutevolezza che induce a percepirle con pazienza, dubbiosi e incerti noi stessi, persino un po’ spaesati, a bandire oltre le osservazioni frettolose, anzi sbrigative, anche atteggiamenti sbrigativi, iniziative che non calcolano le conseguenze.

D’altronde anche questo Atlante del Codex publicorum, che Lidia assimila a un testo medievale, «costituito per gemmazioni successive», riferendosi ai territori della gronda lagunare «da San Martino in Strada a San Leonardo in Fossa Mala», come recita il sottotitolo, tratta di territori incerti e mutevoli, territori ai margini, paesaggi fragili, anfibi, già raccontati nella tesi di laurea e nel volume del ’95. È un paesaggio sfuocato, forse smarrito, che in queste pagine viene come rimesso a fuoco e persino resuscitato, fatto di «fiumi, di laghi, di punte di terra, di vigne». Un’altra Venezia, scrive Lidia Fersuoch, «largamente obliterata e perduta».

Sopravvive comunque e anzi invoca attenzione la trama di un sistema delicato, gli urbanisti lo definirebbero “territorio lento”, che sopporta interventi di salvaguardia, di cuci e scuci (oggi va di moda l’espressione “rammendo”) e che invece è destinato a soccombere se trattato con supponenza scientista, con prepotenza tecnologica. Sono luoghi che – leggo nell’Atlante – interessati dalle sentenze dei giudici «sono animati da vivide presenze, storie, controversie e rivalità», e recano segni di mestieri antichi che, pur inesorabilmente spariti, lasciano nella memoria un deposito di saperi e di metodi che ancora possono servire per orientarsi e non restare sopraffatti di fronte alle imposizioni globali. Hanno dunque bisogno, questi luoghi, di una parola che li descriva, di una rinominazione che restituisca loro vita e freschezza. Le sentenze e l’Atlante ci provano.

A Venezia invece si perdono incessantemente residenti e anche barene: Lidia racconta che nel Seicento una stima estende la superficie totale delle barene a 255 kmq, all’inizio del Novecento si era a 170, nel 2003 si è scesi a 47.

Prima si parlava di incertezza. Incerti, invece, leggendo i volumetti di Lidia, oltre Confondere la Laguna, anche A bocca chiusa, dedicato alle gravi criticità del Mose, e persino Nostro Fontego dei Tedeschi, che non parla di Laguna, ma anche i nuovi templi del lusso, micidiali attrattori turistici gravano sul fragile sistema Venezia-Laguna, e quindi questo poderoso Atlante, incerti, dicevo, non bisogna essere di fronte alla più terribile tragedia che può abbattersi in Laguna, il suo dissesto morfologico, la sua erosione.

Quali danni abbia provocato il Canale dei Petroli, realizzato a metà degli anni Sessanta, lo ha raccontato magistralmente D’Alpaos (il quale, con ragioni assai convincenti, lo ha indicato come responsabile solo parziale dell’alluvione di cinquant’anni fa). Non scenderò nei dettagli, nell’atrofizzazione della venatura di canali dovuta al fatto che la marea, controllata dal nuovo, più profondo e più largo canale, entrando in Laguna corre sulla superficie dei bassifondi e solleva materiali che vengono sospinti in mare aperto. Né mi soffermerò su quel che accade quando passano enormi navi che producono onde le quali anche loro sollevano grandi quantità di materiali dai fondali i quali poi tornano a depositarsi nel Canale dei Petroli o finiscono in mare aperto.

A proposito del passaggio delle navi nel Canale dei Petroli, ricordo il racconto che faceva Lidia (che poi ne parla nel volume del ’95 che citavo prima) delle ricerche dell’archeologo Ernesto Canal, il quale per individuare i resti della chiesa di San Leonardo in Fossa Mala attendeva, appunto, il passaggio di una nave e il risucchio che questo provocava. Poi Lidia ha adottato lo stesso accorgimento per fotografare quei resti prima sommersi e poi emersi.

La Laguna rischia di diventare un cratere: cent'anni fa, calcola D'Alpaos, la profondità media era di 40 centimetri, ora, a causa di un milione di metri cubi di sedimenti che finiscono in mare aperto ogni anno, siamo a un metro e mezzo. E se non si porrà rimedio, fra cinquant'anni si scende a due e mezzo. La Laguna sarà un braccio di mare.

Per me valgono a documentare plasticamente il dissesto che quotidianamente si perpetua da cinquant’anni in Laguna, due immagini: una cartografia della Laguna che restituisce, nella Laguna nord, l’ordito di canali, quasi fosse una forma vegetale che nella ramificazione custodisce l’essenza della propria vita; nella Laguna sud, invece, un azzurro intenso, compatto, una distesa liquida che è l’antitesi della Laguna (la Laguna sud è quella dove c’è il Canale dei Petroli); l’altra immagine è il video che documenta l’onda sollevata dal passaggio di una nave lungo il Canale dei Petroli, un’onda che poi spazza la superficie della Laguna per centinaia e centinaia di metri. Quella cartografia e quel video restano ai miei occhi la prefigurazione di quel che, moltiplicato, potrebbe accadere in Laguna se si scaveranno o si approfondiranno altri canali.

Ci sono altri fattori che alterano la morfologia lagunare. La velocità delle barche a motore e il moto ondoso che provoca. La coltivazione delle vongole. Ma intanto su questo dissesto, oltre che sull’assenza di politiche per regolare e contenere il turismo, sul passaggio in bacino San Marco delle Grandi navi, ha attivato la sua attenzione anche l’Unesco, sollecitato ancora nel 2011, sempre da Lidia Fersuoch e da Italia Nostra, e che nel luglio scorso ha spedito al Comune un voluminoso rapporto, 78 pagine, che si conclude con un ultimatum: se entro il primo febbraio del 2017 non verranno prese misure urgenti, Venezia finirà in una lista nera dell’Unesco, la List of the World Heritage in Danger. Un passaggio che può provocare l’uscita della città e della Laguna dai siti patrimonio dell’umanità (Venezia si era guadagnata il riconoscimento nel 1987).

II riconoscimento Unesco ha un valore culturale e politico, più che giuridico, perché dichiara patrimonio dell’umanità inscindibilmente città e Laguna, raccomandando la tutela di quest’ultima «al pari dei palazzi e delle chiese». E per questo l’organismo dell’Onu guarda con preoccupazione anche lo scavo di altri canali in Laguna per farvi passare le navi tenendole lontane da San Marco: prima il Contorta, più recentemente il Tresse. Secondo molti, un rimedio peggiore del male.

Sul futuro della Laguna nel suo insieme, comprendendo anche Venezia, gravano incertezze e minacce, cinquant’anni dopo quel 4 novembre 1966. Le Grandi navi, lo scavo di nuovi canali, il Mose: sono tre questioni maledettamente legate fra loro. Sembra già sfumato nel tempo il clima d’indignazione seguito all’inchiesta della Procura di Venezia del 2014 che ha rivelato quale gigantesca corruzione avvolgesse il Mose. E quale impressionante mistificazione scientifica, tecnologica e politica abbia oscurato le ragioni della salvaguardia della Laguna, che comprende la salvaguardia di Venezia dall’acqua alta, ma che non si riduce a questa.

Ebbene chi s’immergesse nella lettura dello studio di Lidia Fersuoch, approfondirebbe una storia che si riferisce ai secoli dal XIII in poi, ma ogni tanto solleverà lo sguardo all’oggi e ne ricaverà utilissimi elementi di conoscenza.

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«Venezia è città complessa, policentrica, che si articola su almeno tre livelli: il centro storico, la terraferma e le isole. Bene hanno fatto le autrici di questa guida a inserire nella guida capitoli dedicati a tutti questi luoghi». Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2016 (m.p.r.)

“Venezia è ribelle già per sua natura: sfida il delicatissimo equilibrio tra terra e acqua, sorge su pali di legno piantati nella laguna, cresce ricca di edifici, chiese, palazzi e strade mettendo in discussione le leggi della fisica, sopravvive grazie a un continuo passo a due tra l’uomo e l’ambiente circostante”: con queste parole le due autrici Beatrice Barzaghi e Maria Fiano presentano la Guida alla Venezia ribelle, che vuole essere un manuale per un turismo alternativo, capace di proporre percorsi certo insoliti e forse lontani dalle consuete mete stereotipate, eppure per questo quanto più autentiche. Pubblicato dall’apprezzabile Voland, casa editrice che ha già dato alle stampe le «guide ribelli» a Roma, Parigi, Barcellona, il libro propone per ogni tappa consigli su canzoni, film, libri che permettano di approfondire gli argomenti trattati.

La guida ci invita a seguire itinerari, per l’appunto, ribelli, che raccontano di una città da sempre allergica alle imposizioni, capace di essere un punto di riferimento per la libertà di stampa nell’epoca della Controriforma, protagonista nel Risorgimento e durante la Resistenza antifascista, fino alle lotte operaie degli anni ’70 e alle rivendicazioni per il diritto alla casa negli ultimi decenni. E tutto questo è in contrasto con la visione di una Venezia in irreversibile decadenza, al massimo meta per i turisti delle Grandi Navi o di ricchi proprietari di seconde case.

Venezia è città complessa, policentrica, che si articola su almeno tre livelli: il centro storico, la terraferma (con Mestre e il complesso industriale di Marghera, che ha meno di cent’anni) e le isole. Bene hanno fatto le autrici a inserire nella guida capitoli dedicati a tutti questi luoghi, considerando giustamente Venezia come un tutt’uno multiforme in comunicazione ininterrotta (anche se la consapevolezza di questa unicità è cosa recente).

E se a Rialto la farmacia Morelli ospita in vetrina un contatore che indica come in un countdown il numero dei residenti del centro storico, in continuo calo e da molto sotto i 60mila, l’isola di Poveglia ha visto partecipare sostenitori da tutto il mondo alla raccolta fondi per il riacquisto dell’isola dal demanio, perché rimanesse un luogo accessibile a tutti, in un lavoro di recupero ambientale che ricorda, ad esempio, quello analogo portato avanti negli anni ’80 per rendere di nuovo agibile l’isola della Certosa.

Sono molte infatti le forme di resistenza, anche creativa, allo spopolamento ed alla svendita di edifici e di spazi preziosi per la collettività. Che danno vita a esperimenti civici, a nuove forme di condivisione, in un posto in cui è difficile costruire da zero e dove anche la vita dei luoghi si rinnova, e così le forme dell’abitare e di vivere la città. Città che diventa humus fertile per personaggi irregolari, geniali, spesso innovatori nei propri campi d’azione. Come l’artista Emilio Vedova, il compositore Luigi Nono o i coniugi Basaglia, che hanno rivoluzionato l’approccio alla psichiatria. E soprattutto, come sottolinea la storica Maria Teresa Sega nell’introduzione, “Venezia città delle donne ribelli”. Dove l’emancipazione spesso è passata attraverso il lavoro, come nel caso delle molte operaie attive nelle fabbriche cittadine, o grazie al riconoscimento dell’opera intellettuale, come capitato alla pittrice Rosalba Carriera, o a Elena Cornaro, prima donna laureata al mondo. Ed è anche da qui che emerge l’eccezionalità di una Venezia che possiamo vedere ora con occhi diversi.

«Prima la speculazione si limitava a distruggere la bellezza, era un dramma estetico. Ora esclude la vita, il cancro è antropologico. Venezia è prossima a ridursi a un deserto occupato da 30 milioni di visitatori all’anno, un non-luogo privo di comunità». Ma ogni tanto appare qualche segno di speranza ,perfino in una città così corrotta da 20 anni di governi al servizio del Mercato. Incoraggiamoli. La Repubblica, 7 novembre 2016

«Ti ga finoci?». Il sole illumina gli orti della “Maravegia” a Sant’Erasmo, flottanti sulla laguna ancora calda e silenziosa. Lontano le Dolomiti sono già azzurre di neve. Davide Tozzato, 30 anni e laurea in Economia, coltiva verdure in modo naturale. Consegna sul campo, oppure online. «Mi piace questa vita — dice — ma qui il problema è che tocca ai giovani dare il buon esempio agli adulti». A fine mese, per ora, non ci arriva. In compenso quello che fa è buono. A Venezia questa, oggi, è una rivoluzione. I ragazzi non accettano di assistere alla morte della città che la retorica globale assicura di amare di più al mondo.

Dove l’acqua finisce, la scelta è non vedere: sull’ex Serenissima si combatte la guerra cruciale che oppone la vita delle persone semplici agli interessi dei capitali anonimi. Si stenta a crederci ma è la verità: uomini contro soldi a Venezia, i veneziani contro i turisti. E la resistenza, segnale di un’evoluzione più vasta e più profonda, parte dai ragazzi, decimati, espulsi e ignorati. Non può che essere così: la città è stata venduta dai suoi abitanti, i vecchi assistono alla tragedia delle colpe dei padri scontate dai figli. La sfida impossibile di chi è nato qui e ha meno di trent’anni è semplice: restare o tornare a Venezia e sulle sue isole per arginare il vuoto, offerta a termine per una massa di estranei.

«L’Italia e la comunità internazionale — dice Silvia Scaramuzza, maestra d’ascia alla Giudecca — non capiscono che il caso-Venezia è un’emergenza che tocca tutti. Prima la speculazione si limitava a distruggere la bellezza, era un dramma estetico. Ora esclude la vita, il cancro è antropologico. Venezia è prossima a ridursi a un deserto occupato da 30 milioni di visitatori all’anno, un non-luogo privo di comunità. Il passo in più è che anticipiamo il destino del Paese».

La novità è che i giovani non si rassegnano: denunciano, si ribellano e soprattutto fanno. Il 10 settembre lo slogan di Generazione 90 era “Ocio ae gambe che go el careo”:n on tutti sono maschere, qualcuno ancora deve fare la spesa per mangiare. Il 2 luglio “Ditelo coi nizioi” del Gruppo 25 Aprile ha coperto centinaia di case con lenzuola che dicevano: “Il mio futuro è qui, non me ne vado”. La prossima protesta di Venessia. com sarà il 12 novembre: “ Venexodus”, o “Tolgo il disturbo”, tutti con la valigia in mano sotto il municipio. Un doge in gondola abbandonerà Venezia per sempre, tirando un trolley.

Sotto accusa il sindaco Luigi Brugnaro, il primo di destra nella storia cittadina, ma pure i predecessori del centrosinistra. Lo shock però l’ha dato Brugnaro: «Il futuro dei veneziani - la sentenza - è a Mestre o sulla terraferma». Come dire che il centro storico è perduto, una città-selfie in un’Italia stile autoscatto, un palcoscenico sull’acqua. Altro che patrimonio culturale: al tramonto solo uno sfondo. «Fuori nessuno ha reagito - dice Piero Dri, 33 anni, laurea in Astronomia ma remèr a Cannaregio - sulle isole abbiamo capito che la situazione è sfuggita di mano. Chi amministra una comunità non può invitarla ad andarsene per fare posto a chi spende di più. La logica del libero mercato, applicata alle persone, elimina la vita: oggi tocca a Venezia, domani al resto d’Italia».

I numeri contano. In laguna, nel 1946, vivevano in 190mila. I due conta-persone pagati dai residenti ora sono a quota 54.970. In settant’anni la popolazione è ridotta a un quarto, mai la peste ha decimato di più. I giovani non sono più di 6 mila: 3 al giorno vanno via, 2 gli sfratti quotidiani. In un giorno qualsiasi di fine ottobre i turisti registrati sono 57.179: i nativi, età media 47 anni, sono sempre minoranza. «Case inarrivabili - dice Marina Colussi, 24 anni, pasticcera a San Barnaba - scelte di lavoro zero, iniziative per i giovani ancora meno. Finiti gli studi è l’ecatombe: o fai la comparsa per i turisti o devi andare via, qui o bevi nei campielli o cammini per le calli. Oppure ti rimbocchi le maniche e lotti per cambiare tutto ritrovando un’anima».

È la strada dei ragazzi della nuova resistenza civile veneziana. Laureati o diplomati, sono sarte e tagliaoro, pescivendoli e cartai, gondolieri e vetrai, merlettaie e contadini, ma pure programmisti di computer e web designer, urbanisti e restauratori, volontari e istruttori di voga alla veneta. Non emigrare è un sacrificio: vivono in famiglia per risparmiare l’affitto, niente matrimonio e niente famiglia, superfluo abolito. Eleonora Menegazzo ha 33 anni ed è figlia della storica dinastia Berta, battiloro nella casa abitata da Tiziano, dietro Fondamenta Nuove. Pur di non trasferire la bottega in terraferma, ogni giorno sta tre ore su corriere e vaporetti. «Devo dormire a Iesolo - dice - e avere pazienza. Ho studiato Economia del turismo, ma agli alberghi ho preferito un mestiere secolare che si fa con le mani. La pazienza e la bellezza camminano insieme, come l’onestà e la giustizia: la missione della nostra generazione è spingere Venezia a riconoscere i valori essenziali». Tra questi, per chi vuole andare veloce, c’è anche la lentezza. Federico Mantovan, 32 anni, laurea a Ca’ Foscari in Beni culturali, consegna il cibo che produce in barca a remi. All’alba parte da piazzale Roma e voga per i canali, vendendo e parlando con la gente sulle rive. «Nessuna nostalgia - dice - contano la felicità e la soddisfazione di fare bene un lavoro che funziona, in modo giusto e in un luogo unico. Il mio modo di ribellarmi alla condanna a morte dei ragazzi veneziani è ricominciare a fare, accontentandomi con entusiasmo».

Questa è una città fondamentale che la cronaca evita di documentare. Parliamo degli scandali e delle grandi navi che violano il bacino di San Marco, dei vecchi che cacciano i giovani per affittare agli stranieri e dei turisti che si tuffano sugli scafi-taxi dal ponte di Rialto, delle tangenti per il Mose e della crescente voglia di indipendenza, dei cinesi che rastrellano palazzi e chioschi di souvenir. Abitanti contro visitatori e comitive contro residenti, due eserciti accomunati solo dall’odio reciproco e dall’incubo di essere fregati. Oltre alla cupidigia, all’egoismo, alla maleducazione e alla criminalità, rinasce invece oggi un universo veneziano che rifiuta modelli finiti, preferendo la speranza di una modesta vita bella alla disperazione di un’esagerata morte tranquilla.

«Il futuro è proprio qui - dice Fabio Carrera, docente di Economia in città e negli Usa, fondatore del pensatoio hi-tech per studenti Venice Project Center - nello scatto mentale che induce sempre più ragazzi a rifiutare privilegi fatali e a scegliere l’energia della normalità. Grazie alla giovinezza la realtà sta già cambiando: la solidarietà della “cassa peota” può abbattere il muro di affitti e mutui, il made in Venice supera la monocultura turistica attraverso la ricerca e la tecnologia, l’elettronica e il web risolvono l’emergenza degli accessi di massa. I giovani veneziani, con la testa o con le mani, stanno cambiando il modo di fare soldi, rendendolo compatibile con la loro sopravvivenza. Solo i politici e i vecchi speculatori non lo vedono, o sperano nel fallimento di questa travolgente rivoluzione».

La stessa “idea del turista” a Venezia non è più quella promossa da tour operator e media. Lo schema logoro impone il patto ineludibile distruzione-ricchezza, il sacrificio della città, o del Paese, in cambio dell’agio finanziario. Tra chi conta meno di trent’anni prevale invece la fiducia nel coetaneo che, nel resto del pianeta, si mette in viaggio per la prima volta, incarnando il visitatore del futuro. «Se parli con un turista di vent’anni - dice Giulia Ribaudo, 26 anni, laurea in Filosofia e coordinatrice dell’associazione Closer - nemmeno il concetto di rinunciare è più tabù. Chiudere Venezia è punitivo, chiedere che non tutti visitino sempre tutto, che non ogni tour italiano offra sempre anche l’ebbrezza di uno scatto davanti al Ponte dei Sospiri, è gratificante. I giovani accettano di rinunciare a un’emozione per proteggere Venezia e salvare i veneziani, di passare dal concetto di parco- divertimenti a quello di oasi da tutelare per il bene collettivo ».

La prossima campagna dei ragazzi che vivono sull’acqua, offerta alle agenzie internazionali di promozione turistica, avrà come slogan “Amo Venezia: oggi non voglio vederla, domani sì”. È una dichiarazione d’amore, come quella di Michele Rossetto, 29 anni, vetraio a Murano. Tutto chiude, attorno a lui: nelle fabbriche erano 15mila, sull’isola ne restano mille. Ogni giorno nella piccola fornace di famiglia, per vivere e per restare, fonde trecento perle a lume, fiamma a mille gradi, 40 centesimi a pezzo. Sui vaporetti i marinai faticano meno, trovano una morosa, lo stipendio è certo. Lui si cuoce, è solo, d’inverno è povero. Però dice di essere orgoglioso, come Simone dei Rossi, 21 anni, sveglia fissa sulle 3.45 per portare sogliole e vongole al mercato. «Svolgo un servizio per la mia comunità - dice - riesco a mangiare senza fare danni. La bellezza c’è solo se non ci pensi». Vuole dire che se diventa un espediente da sfruttare, sparisce. È la lezione dei giovani partigiani che resistono sulle isole incantate “al di là del ponte”, che non cedono e che non vanno via, oppure che ritornano. Venezia la stanno salvando loro, poche parole, Venezia sono loro. Non si può dimenticarli, vanno aiutati, molto e subito: sarà una felicità.

La grande abilità di Giuseppe Salvaggiulo, che ha intervistato Luigi Brugnaro, sindaco protempore di Venezia, é che lo ha completamente spogliato e lo ha costretto a rivelarsi come realmente è. Purtroppo per la città. La Stampa, 4 novembre 2016

L’eloquio torrenziale («ho un convegno a San Donà, c’è tempo solo per un’ultima domanda», poi parla per un’altra mezz’ora), la gigantesca spilla dei pompieri di New York sul rever della giacca («mi hanno fatto vigile del fuoco onorario»), una certa idea dell’economia («le aziende in crisi devono fallire, i soldi pubblici servono a portare qui le multinazionali»), lo stile da parón che un anno e mezzo da sindaco non ha scalfito («vivo in trincea con 800 milioni di debiti, grazie a quindici anni di sindaci filosofi e professori»). Nel giorno in cui la città celebra l’anniversario dell’Aqua Granda, l’alluvione del 1966, Luigi Brugnaro, l’imprenditore che con una lista civica appoggiata dal centrodestra ha espugnato Venezia, svela le sue idee su turismo, Unesco, urbanistica, sviluppo industriale. Con un messaggio per Renzi.

Il turismo di massa è l’emergenza?
«Tutt’altro. Ma qualcuno, invece di sviluppare altri settori, vuole uccidere il turismo che ci dà da mangiare».

Qual è la sua ricetta?
«Prima sviluppiamo l’industria. Tutto dipende dal porto. Gli armatori acquistano navi più grandi e il nostro non è in grado di accoglierle. Allora dico a Renzi: facciamo un patto per Venezia».

In che cosa consiste?

«Nel 2002 accettammo il Mose in cambio di uno sviluppo del porto. Non s’è visto nulla. Bisogna fare un nuovo porto offshore per le navi oceaniche. I cinesi sono pronti a investire 600 milioni di euro, ma vogliono certezze».

Che altro c’è nel patto?
«Un nuovo tracciato per le grandi navi da crociera, peraltro già usato in passato. E Porto Marghera».

Chiede soldi?
«Quelli della legge speciale, doverosi. Per il resto, soprattutto regole. I privati vogliono sapere quanto costano le bonifiche e cosa possono costruire. Con un’autorizzazione unica e tempi rapidi».

Il suo piano per Porto Marghera?
«Sul waterfront grattacieli fino a cento metri con terziario e residenziale, alle spalle una zona industriale, sui canali la logistica».

Quanti grattacieli?
«Quanti ne vogliono. L’area è grande, non c’è limite».

Com’è il suo rapporto con il governo?
«Io sono filogovernativo per natura. Aspetto una risposta in un rapporto leale».

Dunque migliore di quello con l’Unesco, che potrebbe mettere Venezia nella black list dei siti a rischio.
«Noi ospitiamo una sede Unesco e paghiamo le spese, solo negli ultimi anni 1,4 milioni. Eppure l’Unesco ci manda un aut aut da Istanbul. Io dico: i turchi li abbiamo fermati a Lepanto, se volete parlarci venite qui».

Ne fa una questione di galateo?
«No, di sostanza. Ci minaccia un’organizzazione che cambia i nomi ai luoghi sacri di Gerusalemme. Ignobile. Non accetto giudici e controllori, ma proposte. A casa nostra i conti li facciamo da soli».

L’Unesco propone di vietare le grandi navi da crociera.
«Le vietassero a casa loro. E i cinquemila posti di lavoro poi chi ce li dà, l’Unesco?».

Dell’ecosistema lagunare non si preoccupa?
«Le grandi navi non fanno male a nessuno».

Le maree bene non fanno.
«Le maree? Non dia retta agli estremisti».

Uscire dall’Unesco?
«Sarebbe ininfluente. È l’Unesco che si fa pubblicità con Venezia, non il contrario. È l’Unesco che va salvata, non Venezia».

Unesco a parte, sul turismo di massa bisogna fare qualcosa? Veniamo da un weekend con punte di 150mila turisti al giorno, tre volte i residenti.
«Tutti ci danno lezioni, allora io ho istituito una commissione pubblica. Chiunque ha proposte le consegni. Ora o mai più. Noi accoglieremo quelle condivisibili e faremo le nostre».

Qual è la base della discussione?
«I turisti non vanno demonizzati, sono persone come noi. Senza turisti Venezia muore».

Anche i turisti trash?
«I maleducati ci sono anche a New York, inevitabile che a Ferragosto qualcuno si tolga la maglietta. Lo multeremo».

Vuole il numero chiuso?
«La città è aperta a tutti, non la vieterò mai a nessuno. Ma il turismo mordi e fuggi non dà grandi benefici e crea costi per la città, va regolamentato».

Come?
«La tassa di soggiorno non basta per finanziare i servizi utilizzati dai turisti. Penso a un contributo, un obolo inversamente proporzionale al tempo di permanenza. Chi arriva e parte in un solo giorno paga di più, ogni giorno di pernottamento fa calare l’entità del contributo».

Vale anche per i passeggeri delle grandi navi?
«Certo».

Come si può applicare?
«Con un sistema di prenotazioni online e di addebito sui biglietti dei vaporetti, delle navi e dei treni».

Venezia rischia di diventare una città per ricchi.
«No, per chi la ama e non si accontenta di qualche ora tra Rialto e San Marco».

Perché avete venduto l’aeroporto del Lido a 26 mila euro?
«Perché l’aeroporto funzioni. Il Comune non può fare l’imprenditore. È la valutazione in bilancio. Nessuna speculazione».

E la privatizzazione del giardino Papadopoli?
«Ma quale giardino! Era un ricettacolo di tossici, una fogna. Abbiamo accettato una proposta dell’hotel vicino, che lo sistema e custodisce utilizzandolo in via esclusiva per dieci giorni l’anno. A costo zero per il Comune: un affare».

La chiamano “sindaco fuori dal Comune” perché non vive a Venezia ma a Mogliano Veneto, Treviso. «Lavoro 16 ore al giorno, non prendo stipendio, mi pago staff, auto, barca, viaggi, non ho conflitti di interessi, non ho bisogno di rubare. Solo il caffè che abbiamo bevuto è a spese del Comune. Dove risiedo sono c...i miei».

Dell'accordo per l'uso pubblico di 10 giorni all'anno del "Padiglione degli eventi" «non risulta si sia immaginato nemmeno di parlarne. Di uso pubblico saranno i servizi igienici del grande magazzino». La Nuova Venezia, 28 settembre 2016 con postilla

Dal Fontego dei tedeschi al Fontego dei cinesi. Punterà soprattutto sui turisti orientali (cinesi appunto in prima fila, ma anche giapponesi, coreani) la Dfs per fare dell’apertura di T Fondaco - il nuovo magazzino del lusso della società che aprirà al pubblico sabato prossimo, il primo in Europa della catena - un affare in termini economici, dopo le ingenti spese sostenute. Si punta a Oriente. I turisti cinesi passati per Venezia lo scorso anno - secondo le stime più recenti - sono stati circa un milione. Un altro milione e mezzo sono stati invece i coreani e i giapponesi e circa 400 mila i russi, nonostante la crisi del rublo.
Intercettare buona parte di questi visitatori - contattandoli già alla fonte, come è stato fatto, con accordi con le agenzie turistiche dei Paesi di partenza, vista l’importante presenza della società in Oriente con i suoi punti vendita - è per la Duty Free Shop la base di partenza per rientrare dell’investimento fatto. Non a caso cinese mandarino e russo sono le lingue più richieste a parte del personale assunto per il Fontego. L’obiettivo dichiarato dall’azienda - che è controllata dal gruppo francese LVMH (Louis Vuitton-Moet-Hennessy), leader per i prodotti di lusso - è infatti di rientrare dell’investimento nel giro di due anni. L’investimento.
L’allestimento a “store” del lusso del Fontego - curato dall’architetto britannico Jamie Fobert, per cui non si è badato a spese - sarebbe infatti già costato diverse decine di milioni di euro. In più c’è l’affitto da pagare a Edizione, la società del gruppo Benetton che ha acquistato l’edificio e lo ha ristrutturato per la nuova destinazione. Si parla di circa 110 milioni di euro per un affitto pluriennale (circa 6 anni), comunque rinnovabile. Anche il gruppo Benetton infatti deve recuperare il suo investimento. Circa 56 milioni di euro per acquistare da Poste Italiane il cinquecentesco edificio e un’altra quarantina per ristrutturarlo, con una spesa vicina ai 100 milioni di euro, di cui rientrerà comunque con il contratto di affitto stipulato.
Le prospettive. Ma ora il cerino passa nelle mani di Dfs, che comunque vanta annualmente 200 milioni di visitatori nei suoi 420 negozi sparsi per il mondo - buona parte dei quali in Oriente - di cui 17 T (che sta per Traveller, viaggiatore), gallerie sul modello di quella che sarà aperta a Venezia. L’ultima è stata aperta ad Angkor, in Cambogia, a un passo da uno dei più importanti siti archeologici del mondo, con i suoi meravigliosi templi Khmer. Per garantirsi la redditività, Rinascente - il possibile gestore del Fontego prima che arrivasse Dfs - aveva ipotizzato una base annua di 6 milioni di clienti per il nuovo grande magazzino. Al nuovo gruppo ne basteranno probabilmente meno, anche perché i prezzi dei prodotti in vendita dovrebbero essere più elevati. Lounge al Tronchetto.
Già previsto un lounge - un punto di sbarco - al Tronchetto per intercettare i bus turistici in arrivo a Venezia e inserire il Fontego nel tour di poche ore di molte delle comitive straniere. Padiglione degli eventi. In tutto questo il Comune si limita per ora al ruolo di spettatore. La convenzione stilata tra Ca’ Farsetti e Benetton e ora ereditata da Dfs prevede la disponibilità degli spazi del nuovo “Padiglione degli eventi” ricavato sotto il lucernario, con un nuovo piano, per dieci giorni l’anno, in cambio della rinuncia agli standard e agli aumenti di volumetrie concesse. Dovrebbe essere stilato un calendario degli eventi in collaborazione, ma non risulta si sia immaginato nemmeno di parlarne. Di uso pubblico saranno i servizi igienici del grande magazzino, ma questo non può esaurire l’impegno verso la collettività. Da parte sua Dfs sta iniziando a stringere rapporti di collaborazione con istituzioni cittadine, a cominciare dall’università, proprio in vista del suo programma di eventi.

postilla

Pagheranno mai un prezzo i ladri di Venezia? quei sindaci, quegli assessori e consiglieri comunali, quelle soprindenze, quei "mecenati", quegli architetti e giornalisti e intellettuali che, quando non sono stati complici, hanno tollerato che a Venezia, ai suoi cittadini di oggi e di domani (e a tutta l'umanità, se Venezia appartiene a essa) è stata sottratta questa icona della città, questo suo gioiello e fuoco?
Poiché é questa è l'operazione che è stata compiuta. Passiamo oltre l'orribile volgarità delle architetture, dimentichiamo per un attimo la cancellazione delle testimonianze del passato, e soffermiamoci sull'uso di questo oggetto stuprato. Salvo per qualche pisciata, l'uso sarà riservato, funzionalmente e di fatto alla nuova borghesia compradora, d'ogni parte del mondo. Anche a quella veneziana purché, ovviamente, sia ricca: non di spirito, ma di schei.

Nessuno si interroga sul nesso turisti/rifiuti. E si sa quanto è difficile coinvolgere i turisti nella raccolta differenziata. La Nuova Venezia on line, 26 settembre 2016

Marghera. Settimana decisiva questa per capire se l’ipotesi di un nuovo inceneritore per Veritas a Marghera si concretizzerà, nonostante l’ampio schieramento contrario. Le interrogazioni dei consiglieri Pd Ferrazzi e Pellicani per una discussione in consiglio comunale o almeno una preventiva riunione di commissione consiliare per far pesare il parere del Comune, socio di maggioranza di Veritas, sono rimaste al momento senza risposta. Così come l’appello rilanciato venerdì dalla consigliera Sambo.

La Municipalità di Marghera fa da sola: convocato d’urgenza mercoledì 28 settembre il consiglio municipale per una presa di posizione decisa contro l’ipotesi inceneritore a Marghera. Che si tratti di un nuovo impianto o un potenziamento del Sg31, bloccato nel 2014, la mobilitazione contro il progetto si allarga. Centro sociale Rivolta, Assemblea contro il rischio chimico di Marghera e comitato Opzione zero Termovalorizzatore a Fusina hanno annunciato che ci saranno mercoledì al consiglio municipale convocato dal presidente Gianfranco Bettin, schierato per il no a qualsiasi ipotesi di inceneritore a Marghera e deciso a sostenere le scelte degli ultimi anni che a Venezia hanno azzerato il ricorso alle discariche, chiuso gli inceneritori, puntato sulla raccolta differenziata e sul riciclo. Bettin trova come alleati anche i cinque stelle che a Palermo hanno raccolto sostegno al no all’inceneritore a Marghera da tanti big del movimento.

I comitati ambientalisti annunciano azioni di protesta: un “mail bombing” è partito ieri, domenica, con decine di messaggi recapitati sulle caselle mail di tutti e 44 i sindaci del Veneziano per invitarli a bocciare le ipotesi, smentite da Veritas, di un nuovo impianto. Giovedì 29 settembre presidio davanti alla sede di Veritas a Mestre. Giovedì in via Porto di Cavergnago dove si riuniscono i sindaci per il consiglio di bacino e la riunione del comitato tecnico di controllo. Previsto un presidio con striscioni e fischietti dalle 9 del mattino. I comitati chiedono ai sindaci di prendere posizione «chiara e netta» contro l’aumento della produzione di combustibile solido secondario negli impianti del gruppo Veritas nonché di dire di no alla realizzazione di nuovi impianti di termovalorizzazione o al potenziamento di quelli esistenti. E si richiede «che scelte così importanti siano discusse con i cittadini e nei Consigli comunali e non portate avanti in modo “carbonaro” come si è tentato di fare».

«Abbiamo fatto applicare per un pomeriggio il decreto Clini-Passera di quattro anni fa. Potenza della musica: le navi sopra le 40 mila tonnellate sono partite con 5 ore di ritardo. Non ci eravamo riusciti nemmeno con i tuffi qualche anno fa». La Nuova Venezia, 27 settembre 2016 (m.p.r.)

«Una giornata straordinaria. Ieri si è vista una grande festa, con tanti veneziani che colgono un’idea diversa di città. Siamo molto soddisfatti per questo segnale di vitalità e andremo avanti. Al sindaco Brugnaro diciamo: se è sicuro che i veneziani hanno già scelto di scavare nuovi canali facciamo un referendum sulle grandi navi in laguna». Tommaso Cacciari, tra gli organizzatori della domenica contro le grandi navi alle Zattere, canta vittoria. Oltre tremila, secondo i conti fatti dagli organizzatori, i partecipanti alla kermesse che è durata dalle 15 fino a notte. Con le band musicali sul palco galleggiante, la festa, i discorsi.

E un risultato indiscutibile: i riflettori del mondo di nuovo accesi sul problema grandi navi in laguna. «Abbiamo fatto applicare per un pomeriggio il decreto Clini-Passera di quattro anni fa», continua Cacciari, «potenza della musica: le navi sopra le 40 mila tonnellate sono partite con 5 ore di ritardo. Non ci eravamo riusciti nemmeno con i tuffi qualche anno fa». Per il comitato No Grandi Navi-Laguna Bene comune si è trattato di un «evento storico». «A Venezia c’è tanta voglia di resistere contro l’estinzione», «dice Luciano Mazzolin, «di manifestare insieme e di fare proposte alternative per salvaguardare salute, ambiente e lavoro». Un bilancio positivo, secondo il comitato, che ha permesso di attirare di nuovo l’attenzione internazionale sul problema.

E di rilanciare i «dieci sì», le proposte per fermare la tendenza che sta facendo di Venezia una Disneyland. Stop ai cambi d’uso, controlli sul moto ondoso Non solo una manifestazione. Perché sul palco galleggiante affittato dagli organizzatori si sono alternati dal pomeriggio a sera gruppi famosi. Il clou nell’esibizione di Eugenio Finardi, che ha scandito al microfono slogan contro la grande nave della Costa che usciva illuminata dal canale della Giudecca intorno alle 20. Finardi e poi Oliver Skardy, Gualtiero Bertelli, Furio Forieri, Herman Medrano, Banda Nera, Big Mike, 4 rooms family, i Rimorchiatori, Storie Storte. Cantautori, pop, reggae. Musicisti che si non esibiti gratis per la giornata contro le grandi navi in laguna. «Li ringraziamo come ringraziamo i tanti veneziani che hanno partecipato», dice Cacciari. Adesso speriamo che il governo finalmente scelga e metta fine a questa situazione. I progetti sul tavolo sono tanti». E la battaglia continua. L’obiettivo è rimettere insieme le tante forze («trasversali», dice Cacciari) che hanno a cuore un futuro di verso per Venezia che non sia quello di Disneyland. «Ci ritroveremo presto per fare il punto, insieme ai comitati e alla Municipalità. Intanto grazie a tutti».

«Una protesta che gli organizzatori hanno legato anche alle recenti manifestazioni cittadine - come il corteo dei carrelli - di veneziani che chiedono di riprendersi la propria città». La Nuova Venezia, 26 settembre 2016 (m.p.r.)

Venezia. Una protesta gioiosa e partecipata, a suon di musica (dalla chiatta ancorata alla riva) con almeno un migliaio di persone di tutte le età - duemila per gli organizzatori - assiepate lungo la riva delle Zattere. E barche in acqua - una trentina - talvolta “camuffate” da vascelli di pirati per un “assalto” comunque pacifico alle Grandi Navi che ieri hanno solcato ancora una volta il Bacino di San Marco. Ne erano previste sei in partenza o in arrivo dalla Marittima tra le 16 e le 20, tra cui “colossi” da 90 mila tonnellate come la Msc Orchestra o la Costa Deliziosa, che però hanno atteso fino a sera prima di muoversi.

È stato questo il tono e il carattere della nuova manifestazione di ieri pomeriggio del Comitato No Grandi Navi contro il loro passaggio davanti a San Marco e lungo il canale della Giudecca, favorita anche da un pomeriggio di sole estivo. Con le navi da crociera che sono rimaste a lungo ferme in Marittima - a dispetto dell’orario previsto per il loro passaggio - proprio per evitare le contestazioni acquee dei No Navi. Intorno alle cinque e un quarto una delle navi più “piccole”, l'Ocean Majestic, ha solcato il bacino ed è stata circondata dai barchini dei manifestanti. Poi alle verso le 19 la protesta dei “pirati” per il passaggio di un’altra nave da crociera si è fatta più intensa, con l’emissione di fumogeni colorati e il ripetersi di slogan contro il passaggio delle navi da crociera, tutto in mezzo alla curiosità e dello stupore dei crocieristi assiepati sui pontoni.
Una protesta che gli organizzatori hanno legato anche alle recenti manifestazioni cittadine - come il corteo dei carrelli - di veneziani che chiedono di riprendersi la propria città. Presenti infatti anche altre associazioni, da Italia Nostra (con il presidente Lidia Fersuoch) all’Assemblea sociale per la casa, allo stesso Gruppo XXV aprile. Assenti i partiti (a parte il Partito Comunista dei lavoratori), ma presenti singoli esponenti come i consiglieri comunali del Pd Rocco Fiano e Monica Sambo, quella della Lista Casson Francesca Faccini o il presidente della Municipalità di Venezia Giovanni Andrea Martini.
Al centro della protesta naturalmente, il possibile scavo di nuovi alternativi per il passaggio delle navi da crociera a cominciare dal canale Tresse Nuovo sostenuto dal sindaco Luigi Brugnaro e dal presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa, contro cui i No Grandi Navi sono radicalmente contrari, come hanno ribadito dal palco, tra gli altri, Tommaso Cacciari e l’architetto Cristiano Gasparetto, per Italia Nostra. Bocciata anche l’idea del terminal a Marghera - evocata di recente dal presidente della regione Luca Zaia per uscire dallo stallo attuale - perché è sempre laguna e comporterebbe comunque il raddoppio del Canale dei Petroli «che dopo i guasti che ha provocato andrebbe interrato».
«Non è vero che siamo contro i lavoratori del Porto e i loro posti di lavoro sulle Grandi navi» ha insistito Cacciari «chiediamo solo che vengano tenute fuori dalla laguna». Ma sono stati detti anche una serie di sì, dal palco: all’uso delle case vuote per i veneziani, al controllo del traffico acqueo e del moto ondoso, a quello dell’inquinamento dell’aria prodotto anche dalle Grandi Navi, al mantenimento dei veneziani a Venezia.
Una festa colorata all'insegna della fantasia, con laboratori per bambini e il gioco del tiro di ovetti di gomma alla sagoma delle Grandi Navi. Bandiere al vento, striscioni, gadget e tanta musica dal palco: da quella di vari gruppi giovanili, al cantautore Gualtiero Bertelli a quella del veneziano “Sir” Oliver Skardy a gruppi come i “Rimorchiatori” fino al big dell'appuntamento: Eugenio Finardi (vedi pezzo sotto, ndr) Sul palco anche esponenti del Comitato No Tav di Val di Susa, quelli della rete Stop Biocidio di Chiaiano (Napoli) e i rappresentati di un comitato di Barcellona che si batte contro le Grandi Navi e contro gli effetti del turismo di massa. Spazio anche a uno dei promotori del referendum per la separazione tra Venezia e Mestre come Marco Sitran. E lungo la riva delle Zattere c’è stato infatti anche spazio per uno stand riservato ai separatisti della Sinistra Veneta Indipendentista, con i gonfaloni di San Marco al vento.
Di pari passo alla dismissione del patrimonio pubblico, cresce la richiesta, pressante e inascoltata, di spazi per le associazioni. La Nuova Venezia, 24 settembre 2016 (m.p.r.)

L’importanza e la qualità del lavoro di sensibilizzazione, mobilitazione e proposta che le associazioni cittadine producono a beneficio della comunità veneziana sono ormai un fatto acquisito, un fatto che nessuno (o quasi nessuno) osa più mettere in discussione. Siamo di fronte a un patrimonio prezioso fatto di saperi, competenze e impegno che mantengono viva la comunità cittadina; un patrimonio che è un’autentica speranza per Venezia, nella convinzione che la città saprà superare anche questa difficile fase della propria storia.

Giunti a questo punto, per dare gambe alla quotidiana azione di tante associazioni impegnate su molteplici questioni (dalla gestione del turismo al tema della casa, dalla tutela della laguna e del patrimonio culturale veneziano alla gestione dei beni comuni, dal ripopolamento della città storica alla manutenzione ordinaria, ecc.) è urgente affrontare una semplice ma decisiva questione: quella degli spazi a disposizione delle associazioni.
È stato più volte segnalato come esigui e costosi siano gli spazi a disposizione delle associazioni per il loro lavoro quotidiano al servizio della città. Il tema non ha sinora ricevuto risposte, anzi la situazione si è aggravata, sia per la pressione esercitata sul patrimonio immobiliare da parte della rendita sia per i tagli dei servizi pubblici alla comunità. La questione è dunque dolorosamente aperta: moltissime associazioni non dispongono di una sede in cui riunirsi, in cui preparare e realizzare le proprie iniziative.
Lanciamo dunque un appello alle istituzioni pubbliche e/o ai soggetti privati affinché mettano a disposizione una sede adeguata, una sede condivisa che sia disposizione di tutte le associazioni che ne vorranno fare uso. Chiediamo che questa sede - in nome del principio che la partecipazione dei cittadini vada incoraggiata e non penalizzata - sia concessa gratuitamente o con un affitto meramente simbolico; chiediamo che tutte le associazioni che esprimeranno la volontà di esservi ospitate lo possano davvero fare: semplicemente, con trasparenza e senza ostacoli amministrativi. Attendiamo fiduciosi delle proposte.
Amico Albero
Garanzia Civica
Generazione 90
Gruppo 25 Aprile
Masegni & nizioleti
Patto per la Città Consapevole
Venessia.com
Venezia Cambia

«Il dato è riferito solo agli ultimi dieci anni ma la tendenza non si ferma: oltre 30 mila i posti letto. L’addio degli edifici pubblici (scuole, tribunali, università) per lasciare spazio all’uso ricettivo». La Nuova Venezia, 24 settembre 2016

Hotel Venezia. Un grande architetto che a Venezia ha insegnato e vissuto a lungo come Vittorio Gregotti ha definito così la tendenza - che sembra ormai quasi irreversibile - di questa città di trasformarsi in un grande centro alberghiero, mano a mano che il numero di residenti si riduce e quello dei turisti continua ad aumentare. Solo negli ultimi dieci anni almeno un centinaio tra palazzi e palazzetti ormai vuoti o dismessi si sono trasformati in alberghi e la tendenza si allarga ora agli alloggi privati sempre più trasformati in Bed & breakfast e in appartamenti turistici. Gli stessi albergatori chiedono una moratoria per fermare l’apertura di nuova hotel che invece continua senza soste, come se la capacità ricettiva della città fosse destinata ad estendersi all’infinito.
Una crescita continua. I dati resi noti anche dall’Annuario del Turismo riferito al 2015 e appena presentato in Comune dicono che a Venezia alla fine dello scorso anno c’erano oltre 400 alberghi, con una disponibilità di posti-letto che supera i 30 mila, aumentata di oltre 500 posti solo nell’ultimo anno. A questo si aggiunge l’offerta extralberghiera con altri 20.500 posti tra bed & breakfast, affittacamere, appartamenti turistici (ma qui il “nero” abbonda e molti non sono censiti) e altre forme di ospitalità. Cresciuti al ritmo di oltre 1200 solo nell’ultimo anno. Un gigantesco «dormitorio» per turisti che si concentra soprattutto nella città storica, anche se una parte di turisti, i meno abbienti, non disdegna anche gli hotel di Mestre.
L’addio agli edifici pubblici. La trasformazione in alberghi dei palazzi è ormai diffusa, ma un colpo decisivo a questo fenomeno è arrivato anche dal trasferimento o dalla «fuga» degli uffici pubblici in essi ospitati. Uno dei più lussuosi alberghi aperti in laguna negli ultimi anni - l’Aman Hotel, sede tra l’altro di matrimoni vip come quello tra l’attore George Clooney e l’avvocatessa Alanuddin o della tennista Ana Ivanovic con il calciatore Bastian Schweinsteiger - è frutto della trasformazione del cinquecentesco Palazzo Papadopoli, per anni sede del Provveditorato agli Studi, oltre che, poi del Cnr. L’Hotel l’Orologio a Rialto, anch’esso di recente apertura, ha sede a Palazzo San Cassiano, già sede del Tribunale, ma venduto dal Comune di Venezia per fare cassa.
E che dire del seicentesco palazzo a lungo sede del Tar del Veneto in Campo della Fava e ora trasformatosi nell’hotel ai Reali, con area wellness e piccola piscina all’ultimo piano? Anche Ca’ Sagredo, il palazzo ex sede Enel lungo il Rio Novo, che sembrava dovesse diventare sede universitaria - con una trattativa poi fallita perché troppo svantaggiosa per Ca’ Foscari - diventerà un albergo di 144 stanze ricavato dal gruppo spagnolo Nh Group. E anche l’università dà il suo contributo, spesso obbligato, essendo a volte costretta a vendere i suoi palazzi per motivi economici o di utilità, a questa trasformazione alberghiera. Così è ad esempio per Ca’ Nani Mocenigo, già sede di Ca’ Foscari, per cui sono iniziati già i lavori di trasformazione alberghiera.
Lo stesso Comune di Venezia continua sulla stessa china: Palazzo Gradenigo e Palazzo Diedo, venduti lo scorso anno alla Cassa Depositi e Prestiti, attendono l’occasione giusta per diventare hotel. E Palazzo Donà a Santa Maria Formosa sarà presto messo in vendita allo stesso scopo. Una deriva che non si ferma. La tendenza è destinata a continuare, anche perché i grandi gruppi internazionali del settore alberghiero che non sono ancora presenti in città, giudicano in questo momento conveniente investire su Venezia, isole comprese, con la fioritura di nuovi hotel di lusso a San Clemente e a Sacca Sessola. Tra gli ultimi nati il Venart Palace, che ha aperto a San Stae, sulla trasformazione di Palazzo Bacchini delle Palme. A breve distanza dall’hotel Palazzo Giovanelli & Gran Canal, aperto anch’esso di recente trasformando l’omonimo edificio. Nei nuovi progetti - già presentati al Porto - hotel con piscina anche in Marittima per i crocieristi e i turisti di passaggio. Impossibile fermare questa deriva, soprattutto se la città è in grado di proporre solo la destinazione turistica per il suo futuro.
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