Salerno, 11 febbraio 2005 - E' davvero singolare che mentre la sinistra si mobilita per fermare la legge Lupi, a Salerno – città retta da una giunta di centro-sinistra – ci si avvii alla revisione del Prg, redatto da Bohigas e mai adottato, proprio per adeguarlo alle richieste della proprietà fondiaria. Che sarà mai? Forse l’applicazione anticipata della legge Lupi?Del resto, la normativa in discussione alla Camera non fa che legittimare e rendere lecita la pratica che ha afflitto da sempre l’urbanistica italiana. Le istanze del potere economico e immobiliare saranno sdoganate e potranno agevolmente uscire dalla clandestinità delle segreterie politiche per approdare trionfalmente nei consigli comunali.
E’, in buona sostanza, una legge di depenalizzazione, normativa assolutoria per comportamenti penalmente rilevanti. Quand’è che si renderanno lecite le mazzette?
Un saluto sconsolato.
Intanto, non vedo segnali di una mobilitazione della sinistra contro la legge Lupi. PRC, PCDI, Verdi, DS, non parliamo della Margherita. Si, è vero, la legge Lupi è la statuizione del peggio: di ciò che le leggi di riforma (dalla 1150/1942, alla 167/1962, alla 765/1967, alla 865/1971, alla 10/1977, fino alla 431/1985), l'azione dell'INU e le politiche urbanistuche delle migliori amministrazioni comunali (che non sono poche) avevano cercato di contrastare. Oggi la colpa (che una volta si nascondeva, e che comunque si combatteva) diventa la regola.
E' un po' come il craxusmo, non a caso tornato alla moda. La corruzione nella cosa pubblica era sempre esistita. Il craxismo è stato la leggittimazione della corruzione e la sua sublimazione in strumento normale della politica, in stretta simbiosi con la subordinazione dello Stato (che è di tutti) al partito (che è di una parte).
Posso sbagliare, ma vedo un preoccupante parallelismo tra la riabilitazione di Craxi e il silenzio sulla legge Lupi.
Salvi cari amici e compagni. Sono l' assessore all' Governo del Territorio del Comune di Piombino. Vi scrivo per esprimere la mia preoccupazione rispetto al disegno di legge Lupi sul governo del territorio, che è in discussione in Parlamento in questi giorni. Si sente un silenzio molto rumoroso su questo dibattito ,che da tempo investe il parlamento italiano, e che riguarda una materia delicata, se pur ricca di necessità riformatrice. Noi, che stiamo elaborando un nuovo piano strutturale unico di area tra, cinque comuni del nostro territorio, la zona è la Val di Cornia in Provincia di Livorno, e dentro un quadro di buona pratica pianicatrice Toscana, consolidata e rinnovata ( vedi nuova legge 1 / 2005 sul governo del territorio ) intendiamo accendere i riflettori sulla riforma urbanistica, e sul rapporto tra diverse visione della pianificazione. Per questi motivi stiamo facendo circolare tra i comuni toscani un' odg che presenteremo nel prossimo consiglio comunale e che ha già avuto importanti adesioni. Insieme al nostro consulente di Piano l' architetto Vezio de Lucia ed alla regione toscana, ci stiamo attrezzando per un ciclo di iniziative che si pongano l' obiettivo di alzare la pressione sulla discussione parlamentare. Per questo vi chiedo se potete pubblicare sul vostro sito il nostro ordine del giorno e se potete, con le vostre relazioni far circolare il testo su cui abbiamo lavorato e che naturalmente contiene riferimenti territoriali che dovranno essere superati in un documento che speriamo possa essere discusso in altre zone del Paese.
Titolo originale: Local Agenda 21Applied Locally in Western Australia: City of Cockburn Case Study – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Gli esseri umani alterano di continuo l’ambiente, dai ghiacci dell’Artico a nord fino alle savane dell’Africa a sud, dalla Grande Barriera Australiana a est, alle paludi del Costa Rica a ovest. L’Australia si unisce al resto del pianeta nel “pensare globalmente e agire localmente”, incoraggiando le comunità a collaborare con le proprie amministrazioni locali.
Introduzione
Sempre di più le persone capiscono quanto gli esseri umani abbiano il potere di modificare l’ambiente, in tantissimi modi. Nella Western Australia, lo sviluppo di città e altri insediamenti, insieme ai risultati delle attività industriali e agricole, si traduce in un aumento dei livelli di inquinamento, nell’uso di grandi quantità di materie prime ed energia, nel mettere in pericolo molti ambienti naturali, comunità ed economie locali. Per affrontare questi problemi, in Australia le comunità hanno iniziato a collaborare con le proprie amministrazioni elette.
Sino a tempi recenti le questioni ambientali, quelle sociali ed economiche, sono state gestite singolarmente. Se vogliamo un futuro sostenibile per questa nazione e per il mondo, è essenziale affrontare questi tre aspetti insieme: è quello che tenta di fare l’Agenda 21 locale.
L’Agenda 21 Locale
L’Agenda 21 nasce dalla conferenza ONU sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED), nota come Earth Summit in Brasile, nel giugno 1992. L’hanno adottata ben 170 governi nazionali, compresa l’Australia, come piano globale per l’ambiente e lo sviluppo. Agenda 21 riconosce che le amministrazioni locali rappresentano un elemento di primaria importanza nelle azioni per attuare il piano, attraverso i programmi e iniziative della Agenda 21 Locale (LA21).
La Conferenza del 1992 segna un’importante pietra miliare nella storia delle relazioni fra l’umanità e il suo pianeta. Per la prima volta, a livello mondiale lo sviluppo moderno è considerato tenendo presenti la salute della Terra e delle future generazioni. Suscita consapevolezza collettiva globale, e porta a molte azioni di base a livello mondiale.
Il summit di Rio produce un serie di accordi, che segnano un grande passo in avanti nella cooperazione intergovernativa a livello internazionale. Tema centrale dell’Agenda 21 locale è la correlazione fra questioni ambientali e sociali. Sottolinea la necessità per tutti gli ambiti sociali di dare un proprio contributo. Il capitolo 28 dell’Agenda 21 incoraggia le amministrazioni locali a promuovere la sostenibilità ambientale, economica e sociale, traducendo i principi dello sviluppo sostenibile in strategie significative per le comunità. La storia che vogliamo raccontare è quella di una di queste amministrazioni, Cockburn nella Western Australia, e dei suoi tentativi di migliorare il proprio ambiente, la società, l’economia.
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L’Agenda 21 locale nella città di Cockburn
I governi locali stanno diventando sempre più i soggetti di punta per l’attuazione della sostenibilità. Stanno sviluppando e mettendo in pratica approcci sistematici per affrontare il nostro futuro a lungo termine in termini di salute e benessere della comunità, del suo ambiente e dell’economia che la sostengono. La città di Cockburn sta fra le più di 2.000 amministrazioni locali di 64 paesi a livello mondiale, che sviluppano una propria strategia di sviluppo sostenibile (SDS). All’inizio l’amministrazione aveva utilizzato per il proprio progetto semplicemente il titolo “LA21”, in seguito l’ha cambiato per il più descrittivo “Strategia di Sviluppo Sostenibile”, sperando che generi ulteriore interesse al tema.
L’inizio
Il territorio di Cockburn si trova a sud di Fremantle dalla linea di costa sino a circa 13 chilometri nell’entroterra. Comprende diciassette sobborghi, ed è una delle più vaste amministrazioni locali dell’area metropolitana, con una superficie di 148 chilometri quadrati. La popolazione è di 72.400 abitanti, calcolati al luglio 2001. Il territorio attraversa l’ambiente delle colline ondulate di Spearwood, fino alla topografia più piatta e bassa di Bassendean. Due sistemi di zone umide (Beeliar Wetlands) sono costituiti da laghi permanenti e corsi d’acqua stagionali. I boschi originari coprono circa il 30% del distretto, con la maggior parte della vegetazione concentrata lungo l’acqua e le aree meno edificate verso est.
Il progetto di Agenda 21 locale per la città di Cockburn è iniziato nel maggio 2000. Tra i passi iniziali nel processo di strategia di sviluppo sostenibile (SDS) l’amministrazione ha tenuto un’assemblea cittadina per presentare il programma LA21, e stimolare l’interesse collettivo e la partecipazione attiva al progetto. I partecipanti hanno fornito un’ampia gamma di idee per la città, e hanno espresso insoddisfazione per alcuni aspetti ambientali e sociali di Cockburn. Cosa più importante, il progetto è iniziato in forma pubblica, e nei passaggi successivi è stato seguito dalla stampa locale, tenendo informata la comunità. Sono stati tenuti quattro laboratori partecipati nel novembre 2000, a definire una community vision per il futuro di Cockburn. Sono stati invitati a partecipare molti gruppi, comprese associazioni di residenti, gruppi ambientalisti, centri come i Lions e RSL, rappresentanti del mondo dell’impresa e dello sport. È stato predisposto un rapporto preliminare che rende conto dei progressi della strategia di sviluppo sostenibile per Cockburn.
Per mettere in pratica le raccomandazioni del progetto di sviluppo sostenibile, è stato formato uno SDS Steering Committee [comitato guida per lo sviluppo sostenibile]. Questo comitato è formato da funzionari sei settori interessati dell’amministrazione locale. Le sue riunioni diventeranno il luogo di resoconto per i progressi del programma.
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Cos’è stato fatto
La collettività aveva espresso serie preoccupazioni per la mancanza di un “cuore”, di un “centro”, a Cockburn. Viste le dimensioni, e il fatto della presenza di elementi di separazione ambientali come la catena di zone umide e strutturali come strade di comunicazione principale, è difficile realizzare un vero centro. Il Consiglio prenderà in considerazione le possibilità di crearne uno, consentendo una maggior interazione sociale comunitaria, con zone pedonali, facile accessibilità, attività integrate di tipo culturale e per il tempo libero (è attualmente in corso uno studio a questo proposito). È previsto uno studio della rete di mobilità, ciclabile e pedonale all’interno della città. Per rispondere alle richieste dei residenti, l’amministrazione potrebbe rivedere i piani per Cockburn, apportando le modifiche necessarie ove possibile in ambito urbanistico, per incoraggiare uno sviluppo nel senso definito dalla community vision sostenibile.
Attraverso la consultazione pubblica, si stata sviluppando una strategia di trent’anni per la città. Scopo dei documenti preliminari è quello di far partire meccanismi interni che mettano l’amministrazione in grado sviluppare la “visione”, verso un futuro sostenibile, un ambiente salubre, una struttura sociale vivace, una solida base economica. Sono stati sviluppate tematiche comuni per la “visione”, attraverso un’analisi di tipo SWOT ( Strengths Weaknesses Opportunities and Threats).
La realizzazione del Thomson Lake Regional Centre ha le potenzialità per costituire una pietra miliare per la progettazione urbana sostenibile, e offrire un importante centro per la vita comunitaria di Cockburn. Il desiderio di uno stile di vita gradevole, di interazione sociale, di un ambiente ben conservato, sono elementi fondamentali della vita, e devono essere considerati come prospettive pratiche, concrete, raggiungibili e fondamentali per l’attività del Consiglio municipale.
La città sta cercando di modificare la propria strategia di gestione dei rifiuti. In linea con le iniziative a scala statale, ha fissato l’obiettivo di riduzione dello smaltimento in discarica entro il 2020. Si prevede di raggiungere la quota dell’85% di raccolta differenziata entro il 2003, attraverso una combinazione di riciclaggio, educazione del pubblico, compostaggio e trattamenti per i rifiuti secondari. L’amministrazione di Cockburn fa parte del Southern Metropolitan Regional Council, un’organizzazione “ombrello” per gestire i rifiuti su delega delle amministrazioni locali nei sobborghi meridionali di Perth. La città può anche diventare un caso guida, promuovendo all’interno dell’amministrazione municipale il riciclaggio e riuso dei materiali. Ciò comprende carta, legno, e riutilizzazioni nelle infrastrutture di servizio.
Cockburn non ha un completo controllo per quanto riguarda la conservazione delle aree boscose o delle zone umide entro i propri confini, ma è evidente che la comunità sia fiera di queste caratteristiche, ne voglia vedere tutelata una parte considerevole, e desidererebbe un’aumentata comprensione e contatto con esse. La City of Cockburn ha una buona tradizione in questo campo, con piani di gestione in corso per la maggior parte delle zone boscose. L’amministrazione tra l’altro promuove, incrementa e conserva le proprie caratteristiche naturali attraverso la rivegetazione e programmi contro gli infestanti, e ha di recente lanciato programmi di Consapevolezza delle Riserve naturali per sottolinearne il valore.
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La città di Cockburn ha possibilità molto ridotte di interazione con la propria costa, a causa delle significative quantità di aree di sponda destinate a usi industriali. L’amministrazione vorrebbe vedere uno sviluppo più appropriato degli spazi non industriali lungo la costa, come zone residenziali ambientalmente corrette, che lascino accessibilità pubblica alla riva, con caffè, ristoranti, a realizzare un nodo urbano sul mare. Se ne potrebbe realizzare uno del tipo mixed use, con strutture per il tempo libero, culturali, e servizi comuni.
Dai laboratori partecipati è emersa l’opinione diffusa secondo cui a Cockburn è localizzata un’eccessiva quantità delle strutture industriali della zona di Perth, e che si tratta di industrie di basso livello, che creano una cattiva immagine alla città. La cittadinanza è favorevole ad incoraggiare lo sviluppo delle nuove tecnologie, un’industria pulita e moderna, e vorrebbe vedere rimosse le attività attuali. Cittadinanza e amministrazione riconoscono i benefici dell’industria, ad esempio dal punto di vista dell’occupazione locale, ma ritengono che anche questo settore dovrebbe impegnarsi insieme al resto della città a realizzare il programma ambientalmente sostenibile.
Conclusioni
Alla fine di un periodo di osservazioni pubbliche e relative modifiche, l’amministrazione di Cockburn pubblicherà un rapporto di Final Sustainable Development Strategy. Sarà un affinamento della relazione preliminare, e chiarirà in dettaglio i passi da compiere per attuare con successo la strategia SDS. Stabilirà la community vision, obiettivi, indicatori, fasi intermedie, azioni, tempi, responsabilità e disponibilità finanziarie. Si dovranno anche documentare criticamente, attraverso uno Action Plan, alcuni risultati valutabili. Si dovranno individuare responsabilità verificabili, indicando chi deve fare cosa, quando, e come. Tutte queste azioni saranno strettamente correlate agli obiettivi e prospettive definite dalla comunità per il territorio di Cockburn.
Scopo ultimo è che le attività e decisioni del Consiglio tengano sempre presente e traducano in pratica il passaggio dell’attività amministrativa locale verso uno sviluppo sostenibile, secondo la community vision. Per il progetto è fondamentale che vengano rese disponibili adeguate risorse. E nonostante le risorse, il progetto può essere messo in discussione se non ci sono persone che credono in esso, che vogliono lavorare per realizzarlo.
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Nota: qui il link al testo originale (e ad altri casi studio) sul sito dedicato allo Sviluppo Sostenibile, della Presidenza del Consiglio, Western Australia. Di notevole interesse anche i ricchi materiali di pianificazione ordinaria, urbanistica e ambientale disponibili al sito della City of Cockburn, raggiungibile dalla stessa pagina con link nelle note (f.b.)
Estratti (dalle pagine del sito e dai volumi del rapporto) e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
[Premessa]
Il programma Bush Forever individua aree boscose [ bushland] da mantenersi e tutelare per sempre. È una delle iniziative di conservazione più significative mai intraprese nella Western Australia, e colloca Perth ai primi posti per quanto riguarda le città del mondo che proteggono la propria biodiversità.
Seguendo le linee guida fissate dalla World Conservation Union, Bush Forever mira alla tutela di almeno il 10 per cento del complesso originario di vegetazione nell’ambito geografico dello Swan Coastal Plain, entro l’area metropolitana di Perth, e alla conservazione delle aree ecologiche in pericolo.
Bush Forever rappresenta l’impegno del governo alla predisposizione di un piano strategico, così come indicato nel 1995 dalla Urban Bushland Strategy. Contribuirà anche in modo significativo a conseguire gli obiettivi centrali fissati nel 1996 dalla National Strategy for the Conservation of Australia's Biodiversity. È una politica sostenuta dal governo, di peso considerevole, e proteggerà gli ambiti classificati come Bush Forever sites attraverso meccanismi fissati all’interno del piano. Unisce i risultati di molti diversi programmi di ricerca, condotti nell’arco di parecchi anni, assicurando che le proprie raccomandazioni tengano conto delle conoscenze più avanzate in campo ecologico per quanto riguarda la regione metropolitana di Perth.
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Conservare la diversità biologica (biodiversità) è una delle principali sfide ambientali per l’umanità, a livello planetario. Lo Western Australian State of the Environment Report (1998) riconosce che la perdita di biodiversità e ambienti di vita attraverso la deforestazione, degrado ambientale, interferenze umane e dispersione di parassiti animali e vegetali costituisce uno dei più importanti problemi a livello statale.
L’Australia può giocare un ruolo importante nella conservazione della biodiversità, perché è una delle nazioni più bio-diverse al mondo, con specie che non si trovano altrove. La biodiversità di Perth è una delle più alte rilevate nelle grandi città, e attraverso il programma Bush Forever, l’area ha un’opportunità unica per diventare la capitale australiana da questo punto di vista.
Attraverso un’efficace pianificazione ambientale, la conservazione della biodiversità può aumentare la qualità di vita urbana, senza compromettere i livelli occupazionali, quelli delle abitazioni e dei servizi. Bush Forever offre la base per la biodiversità e conservazione identificando chiaramente aree boscose dell’area regionale e pianificando la loro protezione: il problema diventa non tanto se ci debba essere o meno sviluppo urbano, ma dove esso avviene e in che modo è progettato al fine di minimizzare gli effetti sulle aree naturali circostanti.
Bush Forever vuole “mantenere il Bosco in Città”. Le zone boscose urbane contribuiscono al carattere particolare di Perth, e il loro contributo alla qualità di vita locale è stato spesso descritto come “cuore e polmoni della città”. Le zone ad alberi e arbusti di Perth, anche se forse mancano dell’immediato effetto visuale delle foreste ad alto fusto del sud, hanno una propria particolare bellezza, legata alla varietà e intreccio di forme. Un obiettivo importante di Bush Forever è di suscitare maggior consapevolezza e apprezzamento delle aree boscose urbane, e sviluppare un più forte senso di responsabilità e identità dei cittadini, attraverso il coinvolgimento nel controllo del degrado.
La tutela del bosco metropolitano costituisce non solo un obbligo morale nel proteggere gli habitat naturali dalla distruzione e salvare specie animali e vegetali dall’estinzione, ma può anche proteggere risorse di valore incalcolabile utili all’educazione, alla tutela del paesaggio, al turismo, alla ricerca medica e scientifica, e affianca la tutela dei corsi d’acqua, il controllo dei microclimi, il controllo biologico degli infestanti e delle malattie, offre spazi quieti per la contemplazione, il relax, il senso dei luoghi. Ogni città ha bisogno dei propri spazi naturali: una volta perduti, è impossibile riaverli.
Ma Bush Forever riconosce anche che la biodiversità non si può ottenere con la sola azione governativa, appoggiando si ad un sistema di riserve tutelate. È essenziale la cooperazione degli sforzi uniti di Stato, amministrazioni locali, cittadini e proprietari per proteggere le risorse boschive. Uno degli ingredienti essenziali del programma sarà un impegno generale di cura e responsabilità condivisa.
La visione futura è quella di un territorio conservato di cui Perth possa andare giustamente fiera, dove ciascuno trovi il proprio “Parco Reale” a portata di mano, per il piacere di oggi e, in eredità di una qualità della vita unica, per i nostri figli.
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Cos’è, Bush Forever?
Bush Forever è un piano strategico decennale per proteggere circa 51.000 ettari di zone boscose a scala regionale, articolate su 287 località denominate Bush Forever Sites, e che rappresentano, se il programma sarà portato a termine, un obiettivo pari al 10 per cento di ciascuno degli originali 26 complessi vegetali dello Swan Coastal Plain, nell’are metropolitana di Perth.
Di tutta questa vegetazione di importanza regionale identificata, 33.400 ettari hanno già qualche tipo di protezione attraverso riserve esistenti e/o convenzioni. Delle località non tutelate, circa il 9% è di proprietà privata entro zone classificate come Rurali (approssimativamente 4.270 ettari), Urbane, di Prossima Urbanizzazione, o Industriali (approssimativamente 330 ettari) dal Metropolitan Region Scheme (MRS). I rimanenti 13.200 ettari sono di proprietà dei governi statale, federale, o delle amministrazioni locali, e la maggior parte di queste aree sono classificate per Usi Pubblici nel MRS.
Il Piano nel suo insieme, e Bush Forever, fanno parte del quadro generale delle iniziative pubbliche ad unire i risultati di molti programmi di ricerca: quello del Ministry for Planning chiamato Perth Environment Project (1995); il System 6 Update Program (1996); gli studi biologici a scala regionale del CALM; la mappatura delle zone umide e il lavoro di valutazione del WRC. Bush Forever identifica zone boscose di importanza regionale, le classifica Bush Forever Sites, e raccomanda che queste aree debbano essere conservate e gestite per offrire, il più a lungo possibile, una base e un modello dell’originale biodiversità di Swan Coastal Plain nell’area metropolitana di Perth.
Per gli scopi di Bush Forever, le aree boscose si definiscono “zone in cui è presente vegetazione sia residua dello stato originale naturale, sia, quando modificata, ancora rappresentativa della struttura generale e del complesso di specie dello stato naturale, e offra il necessario habitat per la fauna locale”.
Dei 26 complessi vegetali presenti nell’area metropolitana di Perth, sette si collocano al di sotto del 10 per cento minimo di conservazione a cui mira Bush Forever. Si tratta soprattutto delle zone storicamente deforestate sul lato orientale dello Swan Coastal Plain. Dove resiste ancora più del 10 per cento, Bush Forever assicurerà la tutela minima in tutte le zone, tranne in tre casi dove accordi e progetti già approvati ridurranno le zone disponibili per la tutela.
Ad ogni modo, ci saranno anche occasioni all’esterno dell’area metropolitana per reperire zone aggiuntive o sostitutive. Bush Forever è lo strumento principale per attuare l’impegno governativo verso la conservazione delle zone boscose di importanza regionale nell’area di Perth. Sostituisce le raccomandazioni del precedente progetto System 6 per lo Swan Coastal Plain. L’attuazione del programma contribuirà significativamente agli obiettivi chiave della National Strategy for the Conservation of Australia’s Biological Diversity (1996). Bush Forever potrà anche offrire orientamenti e certezze a proprietari e operatori immobiliari sul significato della conservazione di biodiversità nell’area metropolitana di Perth.
Quali sono le zone boscose di Perth?
Circa il 12 per cento dello Swan Coastal nell’area metropolitana è destinato a parchi e aree per il tempo libero. Queste zone comprendono le aree sportive, ma non alcune superfici di terreno gestite dal CALM (come le foreste statali) e aree di conservazione locale, che complessivamente porterebbero l’area tutelata a più del 25 per cento, e anche più se si considera l’insieme della Perth Metropolitan Region.
Bush Forever parte dalle superfici attualmente protette ,nell’identificazione di quelle significative da raccomandare per una tutela a scala regionale. Questo significa che le località classificate Bush Forever Sites hanno già qualche tipo di tutela essendo destinate a Parco e Area per il tempo libero dal MRS, e/o sottoposte alla National Parks and Nature Conservation Authority (NPNCA – ora chiamata Conservation Commission of Western Australia).
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Come vengono scelti i Bush Forever Sites?
Le località da tutelare possono essere considerate le più rappresentative dell’insieme delle comunità ecologiche (sulla base di una mappatura dei complessi vegetali) nello Swan Coastal Plain dell’area metropolitana di Perth. La sopravvivenza delle aree boscose si basa sulla loro dimensione, sulle condizioni generali, sulla gestione dei processi che le minacciano. Alcune comunità ecologiche e specie sono reattive rispetto alle interferenze, ma altre sono più fragili. Nell’ambiente urbano di Bush Forever alcuni siti sono relativamente piccoli, mostrano segni significativi di interferenze, e richiedono un intervento attivo di controllo degli infestanti. Senza un’efficace protezione di almeno il 10 per cento di ciascun complesso vegetale, una comunità ecologica può andar perduta per sempre, e con essa il suo contributo alla conservazione della biodiversità. La perdita di una comunità ecologica può avere effetti cumulativi che interessano le altre, dato che la scomparsa di alcune specie mette in pericolo l’esistenza di quelle correlate e associate.
I criteri di selezione delle aree boscose di importanza regionale sono i seguenti:
I criteri per la selezione delle zone sono stati sviluppati secondo la Urban Bushland Strategy,dallo Urban Bushland Advisory Group (UBAG) e dal System 6 Update Program (DEP1996). UBAG comprende rappresentanti dello Urban Bushland Council, delle amministrazioni locali e delle imprese di costruzione, per assicurare che vengano presi in considerazione tutti gli aspetti della vita cittadina interessati. Il System 6 Update Program implica il coinvolgimento di molte agenzie governative e di amministrazioni locali.
Un ulteriore elemento di affinamento del processo di selezione delle zone Bush Forever Site è quello di determinare anche i valori economici e sociali delle particolari aree o elementi, come le destinazioni d’uso dei piani regolatori e il punto di vista finanziario generale dell’ente pubblico. Non sono state esclude preliminarmente dalla considerazione intere categorie di terreni, ma dove essi erano particolarmente penalizzati da destinazioni di piano o progetti già approvati sono state effettuate, dove possibile, scelte alternative.
Iter di Bush Forever
La bozza di rapporto è stata resa pubblica per le osservazioni dal 29 novembre 1998 al 30 aprile 1999. È composta da due volumi: I) Parte generale, politiche, raccomandazioni; II) articolato in parte A, B, C, con informazioni tecniche, carte, dettagli area per area. Ogni proprietario interessato ha ricevuto una copia del Volume I ed estratti tecnici dal Volume II. Sono stati contattati personalmente quanti più proprietari possibile, ed effettuate visite in loco e incontri. Questo processo è destinato a continuare per tutta la durata del programma. Sono state ricevute complessivamente più di 2.000 risposte, comprese lettere, petizioni, e 670 osservazioni individuali.
Il periodo di osservazioni pubbliche ha consentito di verificare limiti e contesto dei Bush Forever Sites in relazione ai proprietari interessati. Si sono anche discussi i meccanismi di attuazione, nel contesto delle funzioni attuali e prevedibili, e dei valori da conservare. Alcune revisioni di confine, cancellazioni e aggiunte di siti, come risultati delle osservazioni, rilievi o negoziazioni, sono riportate nelle mappe esecutive. Ulteriori esami di osservazioni, verifiche di confine e attuazione di misure di tutela continueranno nel corso del processo, che si prevede continui per parecchi anni.
Delle 670 osservazioni singole, il 53 per cento sosteneva attivamente la bozza del 1998, e solo il 19 faceva obiezioni; il resto chiedeva chiarimenti, ma non esprimeva un parere sul piano nel suo insieme. È stato redatto un documento riassuntivo delle osservazioni, disponibile a richiesta. Una ricerca di opinione svolta da professionisti alla fine del periodo di pubblicità del piano, ha rilevato che il 24 per cento delle persone che vivono nell’area metropolitana di Perth erano a conoscenza del Progetto e, di queste, il 93 per cento ne aveva una percezione positiva. Ricerche simili più recenti indicano un costante alto livello di sostegno collettivo.
Il Governo ha anche istituito un Bushplan Reference Group, organismo indipendente, non governativo, con funzioni consultive. Comprende rappresentanti del mondo scientifico, della conservazione ambientale, delle imprese di costruzione, e tecnici specializzati di vari settori. Scopo del Gruppo è di consigliare il Governo su quanto è necessario per portare a termine e attuare il piano del 1998, attraverso un’analisi delle questioni chiave emerse durante il periodo di pubblicità. Questo ha comportato conferenze e un laboratorio pubblico nel marzo 1999 a cui hanno partecipato 80 delegati. Il Gruppo ha tenuto conto delle osservazioni presentate, dei risultati del laboratorio e delle discussioni, nel presentare le sue raccomandazioni ai ministri per la Pianificazione, l’Ambiente, le Risorse Idriche. Il Bushplan Reference Group ha confermato l’impostazione generale del Progetto. Le questioni chiave sollevate comprendono le strutture decisionali e amministrative, le forme di tutela provvisoria, i bisogni di alcuni gruppi di interesse e le modalità di finanziamento.
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Nota: qui il link al sito della W.A. Planning Commission, con la documentazione completa e originale. Gli strumenti tecnici attuativi (rapporti con la proprietà ecc.) sono esposti nel Vol.II Parte B (f.b.)
Titolo originale: Planning for Tomorrow: a Citizen’s Guide to Smarter Growth in Florida (1999) – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
Affrontare la crescita: la Florida si confronta col suo futuro
La crescita in Florida
La Florida è ancora uno degli stati in crescita più rapida del paese. Nel 1950, con una popolazione di 2,8 milioni di abitanti, eravamo al ventesimo posto. Oggi siamo al quarto, con quasi 15 milioni di residenti. Ogni giorno, 650 persone si trasferiscono qui, il che fa un totale di un milione di nuovi abitanti ogni quattro anni, e nel 1997 hanno visitato la Florida 47 milioni di turisti. Da qui a quindici anni avremo più popolazione di New York, e diventeremo il terzo maggior stato. Entro il 2020, ci si aspetta che la nostra popolazione superi i 20 milioni di abitanti.
Sole, spiagge incontaminate e un clima balsamico continuano ad attirare vacanzieri e altri in questo paradiso che chiamiamo Florida. Oltre alle attrazioni naturali, nell’ultimo secolo la Florida ha fatto tutto quanto era in suo potere per incoraggiare e contenere la propria crescita. Lo stato ha finanziato la bonifica di milioni di ettari di aree umide e assegnato terreni per la realizzazione di ferrovie, aprendo vaste espansioni di zone selvagge allo sviluppo edilizio. La Florida continua ad attirare nuovi residenti con le sue generose esenzioni fiscali per le fattorie, bassa imposizione immobiliare, e nessuna tassa personale sul reddito.
Una popolazione in crescita naturalmente aumenta la domanda di servizi pubblici. Per esempio, ogni anno dobbiamo costruire 1300 chilometri di nuove strade, aggiungere 730 nuove aule e assumere 740 nuovi agenti di polizia. Servono anche un maggior numero di impianti per l’acqua e le fogne, prigioni, tribunali, servizi di emergenza e antincendio, o altre strutture pubbliche. Non c’è bisogno di dire che tutto questo costa denaro, in uno stato che è fiero delle proprie poche tasse. Dobbiamo semplicemente dare un’occhiata alle nostre strade congestionate o alle aule sovraffollate, per vedere i problemi che pone stare al passo con la crescita.
Il passato come prologo
Prima della seconda guerra mondiale, la maggior parte degli abitanti della Florida viveva in città compatte, dove si poteva andare a piedi al lavoro, o a scuola, o a fare spesa. Dopo la guerra, sembrava che tutti volessero partecipare all’ American Dream, possedendo un’automobile e una casa su un quarto di ettaro di terreno nei suburbi. I governi a tutti i livelli offrivano sovvenzioni, alcuni inconsapevolmente, incoraggiando lo sviluppo suburbano.
I dollari dei contribuenti aiutavano a finanziare i nuovi insediamenti, sostenevano i cittadini nell’acquisto di abitazioni suburbane, e la costruzione di nuove strade, reti idriche e fognarie nelle zone rurali, mettendo le basi per una crescita ancora più grande. Nella meno affollata Florida degli anni ’50, ’60 o ’70, potevamo ancora “permetterci” questo sviluppo diffuso. Era possibile trasferirsi nei suburbi e fare il pendolare quotidianamente e abbastanza velocemente per lavoro. I terreni a buon mercato nelle fasce esterne urbane e in quelle ancora più esterne suburbane, consentivano ai costruttori di realizzare, e a noi di acquistare, a prezzi più bassi.
Sprawl
Lo sprawl è stato definito insediamento a “bassa densità” oltre i margini delle aree servite e dei bacini di impiego, a separare i luoghi dove si vive si fanno acquisti, si studia, ci si diverte, e obbligando all’uso dell’automobile per spostarsi da una funzione all’altra. In lingua di tutti i giorni, significa che le automobili dominano il paesaggio e le nostre vite. Passiamo ore infinite fermi su strade intasate, perché non possiamo più andare a piedi dove vogliamo. La maggior parte di noi è obbligata a guidare da casa ai negozi, al lavoro, per andare a scuola. Lo sprawl ci condiziona tutti, tutti i giorni.
Lo sprawl abbassa la qualità delle vita.Viaggiare da un “uso del suolo” isolato a un altro si mangia il tempo che potremmo spendere con la famiglia o con gli amici, o contribuendo alla vita della comunità. Chilometri dopo chilometri di asfalto e fasce commerciali rendono difficile distinguere una città dall’altra, e perdiamo il nostro “senso dello spazio”.
Storicamente, le strade hanno fornito luoghi per giocare, andare in bicicletta, camminare, incontrarsi e conversare, e servono da connessioni con gli altri quartieri e con il centro. Ma oggi pochi di noi vanno a piedi al negozio a comprarsi un po’ di pane, fermandosi a chiacchierare coi vicini. Le strade oggi sono destinate all’unico scopo di far muovere le automobili, a separare i quartieri anziché a collegarli.
La nostra dipendenza dall’automobile ha avuto grossi effetti sui nostri bilanci. Nel 1995, la American Automobile Association stimava che il costo diretto di un’auto che percorreva 24.000 chilometri l’anno fosse di 6.185 dollari, ovvero circa 26 centesimi al chilometro. Nella famiglia media, che possiede due automobili, il costo del trasporto è secondo solo a quello per l’abitazione.
Negli anni ’80, il numero dei veicoli registrati in Florida è cresciuto due volte più velocemente della popolazione. E anche così, quasi metà della popolazione dello stato (soprattutto giovani, anziani, poveri) non guida o non ha accesso all’auto. A peggiorare le cose, i centri commerciali hanno strappato gli affari dai quartieri del centro, e l’insediamento diffuso ha reso il trasporto pubblico proibitivamente costoso.
Lo sprawl minaccia il nostro ambiente naturale. Spazi verdi e zone naturali insostituibili stanno scomparendo, specie rare e in pericolo sono di fronte a minacce crescenti. Ogni giorno in Florida distruggiamo più di 200 ettari di bosco e altrettanti di terra agricola. Le nostre città si espandono nella campagna, l’acqua piovana dilavata dai nuovi quartieri degrada la qualità idrica, e le emissioni delle automobili minacciano l’aria che respiriamo.
Cinque città della Florida hanno il dubbio orgoglio di figurare nella lista delle 20 a livello nazionale più minacciate dallo sprawl, compilata dal Sierra Club. Fra il 1990 e il 1996, la zona urbanizzata di Fort Lauderdale è cresciuta del 27%. La popolazione di Orlando è aumentata del 28%, mentre la sua area urbana si gonfiava del 68%. La popolazione dell’area metropolitana di West Palm Beach è cresciuta circa del 30%, e la sua superficie del 75%. E a Pensacola dove la popolazione è aumentata solo di poco, l’area urbanizzata si è ampliata quasi del 95%. Negli stessi sei anni, Daytona Beach è quasi raddoppiata di dimensioni, mentre la densità di popolazione decresceva del 43%, con una tendenza che potrebbe creare una città di quasi 1.600 chilometri quadrati nel 2020!
Sfortunatamente, queste non sono le sole città della Florida che affrontano sprawl.
Lo sprawl spreca il denaro del contribuente. Lo sprawl ci colpisce direttamente nel portafoglio. Come contribuenti, paghiamo pesantemente le nuove strade e sistemi fognari, la loro futura manutenzione, le riparazioni per rimediare a vecchi problemi, ivi compresi quelli determinati dagli impatti ambientali.
Numerosi studi hanno dimostrato che costa di più provvedere servizi pubblici e infrastrutture all’insediamento a bassa densità, che per le aree urbanizzate esistenti. Un’analisi condotta da James E. Frank, professore di pianificazione urbana e regionale alla Florida State University, ha confrontato il costo attuale di fornire di fognature un quartiere suburbano e uno centrale nei pressi dell’impianto di depurazione. Le cifre vanno dai circa 4.500 dollari per le abitazioni di città, agli oltre 11.000 per quelle al di fuori della zona urbanizzata. Dato che le imposte per acqua e fogne si basano sui costi medi, entrambe le utenze pagano la stessa cifra per abitazione. Questo vuol dire che gli utenti del centro sovvenzionano quelli del suburbio.
In modo simile, Frank ha rilevato che la distanza influisce fortemente sui costi associati alla fornitura di altre strutture e servizi. Per esempio, può costare fino a 10.000 dollari fornire di strade adeguate un’abitazione suburbana, contro i poco più di 570 per una casa di città.
Uno studio di Robert Burchell e David Listokin per il Brookings Institute ha confrontato lo sprawl con l’edificazione compatta, presumendo le medesime quantità di persone e posti di lavoro. È stato rilevato che lo sviluppo compatto, con una miscela di tipi residenziali ad alte densità, consuma il 45% in meno di terra, e costa il 25% in meno in strade, il 15% in servizi, 5% per le abitazioni, il 2% per altri costi pubblici, di quanto non si paghi per l’insediamento diffuso fino ad una densità di sette abitazioni per ettaro.
Altrove, Burchell ha calcolato che orientare l’edificazione del South Florida (a Palm Beach, Martin, St. Lucie, Miami – nelle contee Dade e Broward) di nuovo verso ala costa potrebbe far risparmiare ai contribuenti più di sei miliardi di dollari per il 2020. Come? In parte, usando meno terreni per lo stesso numero di residenti. Lo spostamento risparmierebbe 250.000 ettari di zone umide, spazi aperti e aree agricole, ridurrebbe la domanda di acqua potabile di 7,7 miliardi di litri, e farebbe risparmiare una cifra stimata attorno ai 2 miliardi di dollari in strade e alte infrastrutture, con il beneficio aggiunto di migliorare l’equilibrio razziale della regione.
I funzionari dei governi locali, gli urbanisti e i cittadini consapevoli, non sono i soli a riconoscere gli inconvenienti dello sviluppo diffuso. La Bank of America ha commissionato uno studio sullo sprawl urbano, che ha concluso come “la diffusione incontrollata da motore di crescita è diventata ... una forza che minaccia di inibire lo sviluppo a degradare la qualità della vita”.
Pianificare il domani
La maggior parte di noi ha provato ad andare in un’altra città, e pensare quanto sarebbe piacevole viverci. Possiamo riconoscere immediatamente le qualità che ci attirano in un certo posto: le forme degli edifici e il disegno stradale, il rigoglioso verde e le zone naturali protette, oppure una sensazione di ricchezza culturale e di vitalità economica. Ed è poco probabile che tutto questo si verifichi per caso. Alcune città operano per ottenere il consenso su una visione del futuro, e poi sviluppano un piano di lungo periodo per realizzarla.
Un senso della prospettiva è essenziale per lo sviluppo di una città sostenibile e di successo. Un ben concepito piano di lungo periodo (detto “comprensivo” o generale) può aiutare la comunità a conseguire la propria visione. Questo piano può definire chiaramente dove vuole andare la città, e di cosa c’è bisogno per arrivarci. Ma non esiste una città uguale a all’altra, e i piani devono essere pensati in sede locale. È essenziale la partecipazione attiva dei cittadini per raggiungere una visione condivisa, sviluppare il piano, assicurarsi che venga seguito.
Verso uno sviluppo più sostenibile: il sistema di pianificazione generale in Florida
Il governo della crescita
Negli ultimi 25 anni, gli sforzi di primo piano della Florida per governare la crescita e proteggere l’ambiente si sono guadagnati un riconoscimento a livello nazionale. Nei primi anni ’70 alcuni leaders preveggenti compresero che la popolazione in rapido aumento stava danneggiando l’ambiente. Questo, insieme al declinare degli investimenti in infrastrutture, stava portando lo stato sull’orlo di una crisi, e abbassando la qualità della vita ai residenti. Con la consulenza di un gruppo di esperti di altissimo livello, il corpo legislativo statale intraprese azioni decise e progressiste per adottare leggi intese a tutelare l’ambiente e governare la crescita.
Sviluppando questo programma, con vasto consenso del pubblico e dei media, nel 1985 lo stato della Florida adottò il fondamentale Growth Management Act. Questa decisione anticipatrice ha fissato una “piramide di pianificazione” con lo stato a sovrintendere e stabilire criteri di base. In cima alla piramide c’è il piano generale [ comprehensive plan] statale, con ampi obiettivi e politiche che affrontano argomenti dall’istruzione all’ambiente. Al livello successivo, undici consigli regionali di pianificazione hanno il compito di adottare politiche strategiche di scala regionale coerenti al piano nazionale. Poi ci sono i circa 470 piani generali delle amministrazioni locali, che devono essere coerenti a quelli regionali e statale.
La legge richiede che ai cittadini sia data la facoltà di partecipare alla formazione di questi piani “nel modo più pieno possibile”. La partecipazione attiva del cittadino è il fondamento della piramide di piano. È qui che entrate in gioco voi.
Il Florida Department of Community Affairs (DCA) e la sua Division of Community Planning sovrintende alla piramide di pianificazione, esaminando e approvando i piani e successive varianti generali elaborati dai governi locali, accertandosi che ottemperino ad alcuni criteri minimi prestabiliti. Le città sono incoraggiate ad andare oltre, questi minimi.
Il Growth Management Act è compreso nel Chapter 163 dei Florida Statutes. Ulteriori particolari sono inclusi nel Florida Administrative Code Rule 9J-5. Come affermato nella legge, il piano generale [ comprehensive] locale deve:
• Guidare e controllare lo sviluppo futuro;
• Affrontare i problemi attuali, e misurarsi efficacemente con quelli futuri che possano emergere dall’uso e edificazione del suolo;
• Preservare, promuovere, proteggere, migliorare la salute collettiva, la sicurezza, comodità, ordine;
• Proteggere le risorse umane, ambientali, sociali ed economiche.
Il Department of Community Affairs esamina, commenta e approva ciascun piano generale e sua variante per aree con superficie superiore a 5 ettaria. Nessuna variante generale è efficace finché non è stata giudicata coerente con le leggi statali, ed eventuali contrasti sono risolti con un’udienza amministrativa, da parte del Governatore e del suo ufficio o, più raramente, attraverso la magistratura. Le “persone interessate” (residenti o imprese che hanno partecipato alla formazione del piano e hanno sottoposto agli atti commenti scritti o orali in varie fasi dell’iter) possono essere parte di questo processo.
Il comprehensive planning è inteso come processo continuo. Attraverso varianti, consentite due volte l’anno (con avviso pubblico ed esame e approvazione statale) un piano può evolversi secondo le circostanze. Il Florida’s Growth Management Act richiede anche che ogni sette anni le amministrazioni locali redigano un Evaluation and Appraisal Report sui modi in cui si stanno realizzando gli obiettivi stabiliti da proprio piano. Questa verifica di frequente conduce a varianti.
Il piano generale ha forza di legge e governa molte decisioni di governo locale riguardo al governo del territorio. Seguire il piano generale è considerato un modo efficace di governare la crescita in base ai bisogni previsti delle popolazione e di servizi e infrastrutture.Ad ogni modo, è importante ricordare che il processo di pianificazione statale fissa solo criteri minimi. Le città che si dotano di piani più vincolanti di solito sono in grado di affrontare meglio gli effetti della crescita.
Componenti del Comprehensive Plan locale
Ciascun piano generale locale deve essere coerente al relativo piano strategico regionale, che a sua volta si inserisce in quello statale. Di seguito si descrivono alcune componenti chiave della pianificazione generale locale in Florida.
Carta dell’uso futuro del suolo.Ciascun piano generale locale deve contenere una mappa che rappresenta il futuro uso del suolo previsto per la città in un periodo di 10-20 anni. Ciascuna comunità evidenzia sulla mappa quello che identifica come corretta localizzazione e densità di insediamento residenziale, terziario, commerciale, industriale, a usi misti, e altro. Si riportano anche la caratteristiche specifiche e uniche locali, come le zone di sensibilità ambientale e di valore storico. Oltre ad essere legalmente vincolante, questa carta aiuta gli abitanti a visualizzare dove la crescita futura possa o non possa avvenire.
Capitoli[elements].I piani regolatori generali locali devono contenere alcune sezioni, chiamate capitoli, che affrontano aspetti specifici dello sviluppo cittadino: grandi opere, uso futuro del suolo, trasporti, fognature, gestione dei rifiuti, drenaggio, acqua potabile e gestione della falda, conservazione delle risorse naturali, spazi aperti e tempo libero, abitazioni, tutela delle coste, coordinamento con altri livelli di governo. Le città con popolazione superiore a 50.000 abitanti devono inserire anche paragrafi sul trasporto collettivo, i porti e aeroporti nel capitolo sulla mobilità, e le città sulla costa predisporne uno su questo argomento. Capitoli opzionali, consentiti a discrezione di ciascuna amministrazione locale, comprendono la tutela storica, arte e cultura, sviluppo economico, istruzione pubblica, progettazione urbana.
Ciascun capitolo deve esplicitare i propri scopi, obiettivi, politiche, che rappresentano il nucleo centrale del piano generale. Essi definiscono la visione collettiva del futuro, e come debba svilupparsi. E visto che l’amministrazione locale è obbligata a seguire il piano e ad agire in modo “coerente” alle sue previsioni quando prende decisioni che modificano l’uso del suolo, i capitoli hanno anche forza di legge.Le regole locali per l’edificazione ( zoning e piani di lottizzazione, ad esempio) devono pure essere coerenti col piano. Questa indicazione di coerenza è importante, perché il piano generale deve essere seguito, per rappresentare uno strumento efficace a mitigare gli effetti della crescita. Ciascun capitolo deve basarsi su adeguata documentazione di analisi delle tendenze passate, presenti e future, e del contesto entro cui si muove l’amministrazione. Per esempio, per offrire spazio disponibile sufficiente all’edificazione, il capitolo sull’uso futuro del suolo deve basarsi sulle previsioni di crescita demografica in un periodo di 10-20 anni.
Tecniche di pianificazione generale per ridurre i costi pubblici dell’urbanizzazione
Nelle sue raccomandazioni finali del 1987 lo State Comprehensive Plan Committee notava che sarebbe costato 53 miliardi di dollari, pagare tutte le infrastrutture statali e locali necessarie, la metà di cui di tipo stradale, per l’urbanizzazione attuale e prevista. Questa incapacità di pianificare e pagare per la crescita, ha lasciato i contribuenti della Florida un enorme e crescente debito da pagare!
Capitolo sul finanziamento delle opere principali. Scopo di questa parte, richiesta in tutti i piani regolatori locali, è di stimare il costo di realizzazione delle opere necessarie (specificate poi negli altri capitoli del piano) alla popolazione attuale e futura. Deve comprendere una valutazione della capacità dell’amministrazione di finanziare e costruire opere, insieme ad un programma di attuazione, ad assicurare che esse siano rese disponibili a servizio della nuova urbanizzazione. Dato che fissa tempi e localizzazioni degli investimenti a sostegno della crescita futura, questo capitolo deve essere coerente con quello sull’uso futuro del suolo. Il piano di finanziamento deve essere aggiornato ogni anno.
Convergenza [concurrency]. La convergenza, connessa al capitolo sul finanziamento delle opere, è stata definita uno degli elementi chiave per il governo della crescita in Florida. Consente ai governi locali di approvare nuove urbanizzazioni solo quando si siano attuati i piani per adeguati servizi e infrastrutture necessari a quegli insediamenti. Servizi e infrastrutture comprendono strade, fogne, gestione dei rifiuti, drenaggio, acqua potabile, parchi, spazi per il tempo libero, trasporti collettivi. Se le infrastrutture non sono disponibili, l’amministrazione non può approvare nuove urbanizzazioni. A partire dal 1996, è possibile inserire - a discrezione delle amministrazioni locali - nelle convergenze anche le scuole.
Per affrontare i problemi finanziari associati alla crescita, i piani generali locali devono stabilire e attuare un sistema di gestione delle convergenze [concurrency management system]. Ciascuna città determina i bisogni di servizi e infrastrutture pubbliche per la popolazione esistente e la crescita futura, ad un adeguato “livello di servizio”, per almeno dieci anni. Si adotta poi un bilancio quinquennale di spesa, come parte del piano generale, che fissa come saranno realizzati questi servizi pubblici in modo “convergente” con gli impatti dei nuovi insediamenti.
Non tutte le strutture devono essere “allineate” al momento dell’approvazione dei nuovi quartieri. Ad esempio, i parchi sono considerati convergenti se sono in corso di costruzione un anno dopo il rilascio del permesso di un certo insediamento, mentre le strade devono essere in corso di costruzione entro tre anni. In più, la legge consente di individuare cosiddette transportation concurrency exception areas dove si promuove la densificazione locale [ infill], la riurbanizzazione, la rivitalizzazione delle aree centrali.
Ma anche così il sistema di gestione delle convergenze può mancare i propri scopi, specialmente se l’amministrazione locale ha previsto troppa crescita all’interno del capitolo sull’uso del suolo, o ha mancato adeguate previsioni di finanziamento delle necessarie strutture e servizi. È importante tenere sotto controllo i processi di convergenza, per evitare conseguenze indesiderate.
Contributo di urbanizzazione [impact fee]. Le risorse con cui i governi locali realizzano le strutture necessarie stabilite dal sistema di gestione delle convergenze provengono da varie fonti, comprese le tasse locali sugli immobili, fondi speciali, trasferimenti statali e federali e, in alcuni casi, dai contributi di urbanizzazione pagate dal costruttore. Un contributo di urbanizzazione, se stabilito, può imporre al costruttore di sostenere in tutto o in parte i costi per servizi e infrastrutture in un nuovo insediamento, per mantenere i livelli qualitativi stabiliti.
Questi contributi raramente si avvicinano al costo pieno di un nuovo insediamento. Gli esperti hanno calcolato il costo reale di strade, fogne, scuole ecc. da 18.000 dollari (aree urbane) a 48.000 (zone rurali) per abitazione. I contributi di urbanizzazione sono limitati per legge a coprire solo alcuni costi specifici, e non possono comprendere tutto il carico di servizi e infrastrutture o bisogni pregressi. In molte zone della Florida, questi contributi aumentano di parecchie migliaia di dollari il costo di un’abitazione.
Area di Servizio Urbano. Sulla carta dell’uso futuro del suolo, e di solito anche nel corrispondente capitolo, una Urban Service Area (USA) definisce i confini entro cui devono essere fornite le infrastrutture pubbliche di servizio all’urbanizzazione entro uno specificato numero di anni. Le USA sono intese a incoraggiare lo sviluppo di nuovi quartieri nei pressi di altre zone urbanizzate, e l’uso di strutture già esistenti. Se organizzate correttamente le USA rallentano una prematura conversione di zone rurali a urbane, e limitano la necessità di nuovi servizi per queste zone. Sfortunatamente, alcune città della Florida hanno adottato USA inefficaci o inefficienti, perché coprono zone geografiche troppo estese. Questo promuove lo sprawl anziché uno sviluppo compatto.
La Rule 9J-5.006(5) Norme sullo Sprawl Urbano. Questa normativa del Department of Community Affairs è un potente strumento da utilizzare contro decisioni di uso del suolo che favoriscano lo sprawl. Comprende la richiesta che i piani generali delle amministrazioni locali contengano indicazioni per “scoraggiare la proliferazione dello sprawl urbano”, e identifica anche alcuni criteri per definire cosa esattamente costituisca sprawl.
Altre considerazioni
L’Associazione 1000 Friends of Florida ha alcune riserve riguardo al Bert J. Harris, Jr., Private Property Rights Protection Act, diventato legge nel 1996. Era inteso, in parte, a limitare i poteri pubblici di regolazione della proprietà privata. La legge si applica a norme e regolamenti successivi all’11 maggio 1995, che “carichino eccessivamente, restringano o limitino i diritti di proprietà privata”. In alcuni casi ha reso i governi locali più cauti nell’effettuare scelte di modifica ai propri piani regolatori generali o regolamenti edilizi.
L’Associazione 1000 Friends of Florida è intervenuta in numerose importanti cause per assicurare un giusto equilibrio fra i diritti di proprietà privata e la pianificazione urbanistica. Uno dei nostri risultati principali è stato quello di sostenere risolutamente il diritto dei cittadini a partecipare in pieno alla pianificazione della crescita e costruzione futura delle proprie comunità.
Una città può anche avere un magnifico piano regolatore generale, ma esso può risultare efficace solo se attuato coerentemente. È compito nostro, in quanto cittadini della Florida, verificare che l’amministrazione locale segua il suo piano.
Per maggiori informazioni di carattere legale, facciamo riferimento al Citizen Enforcement of the Growth Management Act, disponibile online al nostro indirizzo.
Altri programmi statali che promuovono una migliore pianificazione
Numerosi programmi statali riconosciuti a livello nazionale si affiancano al Florida Growth Management Act. Promuovono l’acquisizione di aree ambientalmente sensibili, la costituzione di un sistema nazionale di greenways, la realizzazione di case popolari, la tutela degli elementi storici, lo sviluppo di città sostenibili.
Acquisizione di aree ambientalmente sensibili. A partire dal 1990 sono stati salvati più di 500.000 ettari di superficie col programma Preservation 2000 (P2000). Questo programma genera risorse attraverso emissioni di titoli statali sostenuti da una tassa sulla vendita di immobili. P2000 ha fornito le risorse per progetti come Save Our Rivers, Conservation and Recreation Lands, e il Florida Communities Trust, che affianca i fondi delle amministrazioni municipali con risorse dal P2000 per acquistare terreni localmente.
Nel novembre 1998 a stragrande maggioranza (72%) gli elettori della Florida hanno confermato una modifica alla costituzione statale per proseguire con queste acquisizioni. L’Associazione 1000 Friends of Florida sostiene P2000 e gli atti successivi, come importante complemento del governo statale della crescita.
Costruzione di una rete statale di Greenways. 1000 Friends of Florida ha avuto un ruolo centrale nel programma Florida Greenways, che ha lo scopo di creare una rete di zone naturali protette ad offrire corridoi per la fauna e il tempo libero a scala dell’intero stato. A seguito dell’identificazione a livello locale di greenways potenziali, insieme ai finanziamenti della Florida per l’acquisizione di aree di pregio ambientale, la nostra “collana di smeraldi” [termine ripreso dallo Emerald Necklace bostoniano ottocentesco di F.L.Olmsted, n.d.T.] verde continua a crescere. Nel 1996 il programma è stato trasferito da 1000 Friends al Florida Department of Environmental Protection.
Realizzazione di case popolari. La forte dipendenza della Florida dall’economia dei servizi, agricoltura, commercio e pubblico impiego, lascia molte famiglie prive di mezzi sufficienti a permettersi abitazioni adeguate, sane e sicure. Con il William E. Sadowski Act, la Florida si è dotata del maggior fondo a livello nazionale destinato alle case popolari. A partire dal 1992 questa legge ha aiutato più di 58.500 famiglie nell’acquisto di una casa o nell’affitto, e si è affiancata ad altri 266 miliardi in sostegni federali. Le risorse del Sadowski sono state utilizzate per i problemi di emergenza generati da disastri come l’uragano Opal, e per fornire assistenza tecnica. La legge ha generato migliaia di posti di lavoro nell’industria delle costruzioni. L’Associazione 1000 Friends of Florida ha lanciato a questo proposito una Sadowski Act Coalition per verificare il consolidamento di questo importante programma, e ha giocato un ruolo chiave nel perfezionarlo.
Conservazione delle risorse storiche.Il Florida Department of State ha reso disponibili fondi per la tutela di siti archeologici significativi, catalogazione del patrimonio storico, restauro degli edifici di valore, sviluppo di piani locali di conservazione storica, programmi educativi, promozione del turismo verso le zone storiche, e si è impegnata in altri progetti che sostengono la conservazione e valorizzazione del ricco patrimonio della Florida. A partire dal 1982 la Department’s Division of Historical Resources ha distribuito oltre 140 milioni di prestiti federali e statali, consentendo il ripristino di quasi 1.200 edifici, la catalogazione di oltre 80.000 elementi storici, e numerose altre attività di conservazione.
Sviluppo di città sostenibili. Poco più di dieci anni fa, il concetto di sviluppo sostenibile fu introdotto alla platea mondiale. Una definizione condivisa di sostenibilità, proposta dalla Commissione Bruntland, è “...ciò che risponde ai bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di rispondere ai propri”. Per aiutare la Florida ad avvicinarsi ad un’idea di sostenibilità, il parlamento statale nel 1996 ha varato il Sustainable Communities Demonstration Project, autorizzando il Department of Community Affairs a identificare città pilota da servire come modello per la sostenibilità in Florida.
Queste città stanno sviluppando attività innovative pubbliche e private, e incentivi per ripristinare ecosistemi chiave, raggiungere un livello di ambiente più pulito e sano, limitare lo sprawl, proteggere la fauna selvatica e le zone naturali, incrementare un uso efficiente dei suoli e creare spazi e posti di lavoro ad alta qualità. Per la partecipazione al programma, queste amministrazioni ottengono deroghe alle varianti di piano regolatore generale e nuovi insediamenti di scala regionale, e hanno priorità nell’ambito di altri programmi e progetti statali.
Boca Raton, Hillsborough County e Tampa in collaborazione, e poi Orlando, Ocala, e la Martin County partecipano ora a questo programma, e molte altre città nello stato stanno lavorando attivamente per incrementare significativamente il proprio livello di sostenibilità. Per maggiori informazioni si faccia riferimento al Sustainable Communities Network.
Nota: come unico elemento aggiuntivo a questi già ampi commenti dell’Associazione, un link al sito dei 1000 Citizens for Florida, e alle leggi urbanistiche sul sito statale (f.b.)
State of California, Governor’s Office of Planning and Research, A Citizen’s Guide to Planning – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
INTRODUZIONE
Questa è una guida alla pianificazione urbanistica per il cittadino della California. Il suo scopo è di spiegare, in termini generali, come le comunità locali regolano l’uso del suolo, e definire alcuni termini urbanistici di uso comune. La guida riguarda i seguenti temi: Legge statale e urbanistica locale; Il Piano Regolatore Generale; Zoning; Lottizzazioni; Altre ordinanze e regolamenti; Annessioni e circoscrizioni amministrative; Il California Environmental Quality Act [...]
Città e contee “pianificano” allo scopo di identificare questioni urbane di una certa importanza collettiva (come l’espansione, il bisogno di case, la tutela dell’ambiente), anticipare una potenziale carenza futura di servizi (come fogne sovraccariche o strade congestionate), stabilire obiettivi e politiche per orientare e governare la crescita. I governi locali utilizzano vari strumenti durante il processo di pianificazione, che comprendono il piano generale, altri piani più circoscritti, lo zoning, le ordinanze di lottizzazione.
Gli esempi presentati qui rappresentano procedure o metodi piuttosto comuni, ma non sono in alcun modo l’unico modo di operare. Le leggi statali rappresentano una cornice per le procedure locali, ma città e contee stabiliscono le proprie particolari risposte ai problemi che affrontano.[...]
LEGGE STATALE E PIANIFICAZIONE LOCALE
La legge statale rappresenta il fondamento della pianificazione urbanistica della California. Il California Government Code (sezioni 65000 e seguenti) contiene molte norme riguardo alla regolamentazione degli usi del suolo da parte dei governi locali, attraverso: i piani regolatori generali; i piani di carattere specifico; le lottizzazioni; lo zoning.
Ma lo Stato è raramente un soggetto attivo negli usi del suolo a carattere locale e nelle decisioni insediative; tutti questi aspetti sono delegati ai consigli municipali e ai comitati di controllo delle singole città e contee. I responsabili locali adottano un proprio insieme di politiche e regole urbanistiche, basandosi sulle leggi statali.
Piano e Ordinanze
Al momento attuale in California ci sono 533 amministrazioni municipali e di contea. La legge statale richiede che ciascuna circoscrizione adotti “un piano generale di lungo termine comprensivo per il proprio sviluppo fisico”. Questo piano generale rappresenta la politica ufficiale di città o contea riguardo alla localizzazione di edilizia residenziale, commerciale, industriale, alle strade, ai parchi e ad altri usi dello spazio, alla tutela dei cittadini dai rumori e da altri rischi ambientali, alla conservazione delle risorse naturali. Il corpo eletto di ciascuna città (consiglio municipale) e contea (comitato di contea) adotta ordinanze di zoning, lottizzazione ecc. allo scopo di attuare le direttive generali del piano.
Non si richiede alle città o contee confinanti di avere piani e ordinanze identici, e nemmeno simili. Città e contee sono tutte entità politiche distinte e indipendenti. Ciascuna municipalità attraverso il suo consiglio, e ciascuna contea attraverso il suo comitato, adotta il proprio piano generale e regolamento edilizio. Contemporaneamente, ciascun governo locale è responsabile delle decisioni urbanistiche sul suo territorio.
Corpi consultivi
Nella maggior parte delle comunità, il consiglio o comitato nomina uno o più corpi consultivi per assisterlo nelle questioni urbanistiche. Denominazioni e responsabilità specifiche di questi gruppi variano da caso a caso, quindi conviene ogni volta verificare all’ufficio urbanistica locale quali sono le regole per l’area. Di seguito si riportano alcuni dei tipi più comuni di corpi consultivi, e corrispondenti responsabilità:
La commissione urbanistica [Planning Commission]: esamina le varianti al piano regolatore generale e ai piani specifici, i cambi di destinazione di zona, le principali lottizzazioni.
Il comitato di controllo per lo zoning [Zoning Adjustment Board]: esamina le autorizzazioni condizionali, le varianti e altre autorizzazioni minori.
Il comitato di controllo edilizio o di progetto [Architectural Review or Design Review Board]: esamina i progetti per verificarne l’adeguatezza ai criteri condivisi di tipo estetico.
In alcune città e contee, questi organismi informano semplicemente i corpi eletti sulle varie proposte presentate, lasciando poi a consiglio municipale o comitato di contea l’onere dell’approvazione vera e propria. Più comunemente, questi organismi hanno potere di approvazione, soggetto a ricorso a consiglio o comitato eletto. Questi corpi consultivi, ad ogni modo, non hanno la parola finale su alcuni temi come i cambi di destinazione di zona o le varianti a piani generali e specifici.
Presentazioni
La legge statale richiede che i governi locali tengano presentazioni pubbliche preliminarmente alla maggior parte delle azioni di piano. Nel corso della presentazione, il consiglio, comitato o organismo consultivo espone la proposta, che è considerata alla luce dei regolamenti locali e degli effetti ambientali, e ascolta le testimonianze delle parti interessate. Il consiglio, comitato o commissione, vota sulla proposta alla fine della presentazione.
A seconda degli specifici regolamenti di ciascuna amministrazione, non sempre sono necessarie queste udienze pubbliche anche nel caso di piccole lottizzazioni, modifiche architettoniche o progettuali, interpretazione di alcuni aspetti delle norme. I metodi di pubblicizzazione possono pure variare. Come minimo, città e contee devono dare notizia di adozione del piano generale o variante sulla stampa. L’avviso di una proposta variante al piano generale che riguardi gli usi consentiti del suolo, cambiamenti nelle destinazioni di zona, permessi condizionali, modifiche dei progetti, particolari lottizzazioni, è pubblicato sulla stampa e inviato per posta ai proprietari dell’area adiacente.
Il PIANO GENERALE
Il Progetto
Il piano regolatore generale può essere descritto come il “progetto” della città o contea per lo sviluppo futuro. Rappresenta l’immagine del futuro della comunità; l’insieme degli obiettivi e delle politiche su cui il consiglio municipale o comitato di contea, e la commissione urbanistica baseranno in futuro le proprie decisioni. Tutti i quartieri, opere pubbliche, decisioni di zoning (salvo che in alcune città a statuto speciale) devono essere coerenti col piano generale. Se non lo sono, non possono essere approvate.
Enfasi sui tempi lunghi
Il piano generale è qualcosa di diverso dalla divisione in zone omogenee. Nonostante entrambe le operazioni indichino come possa essere organizzato lo spazio, lo fanno in modo differente. Il piano generale e i suoi allegati hanno un punto di vista di lungo periodo, identificano i tipi di edificazione consentiti, le correlazioni spaziali fra i vari usi del suolo, lo schema generale dello sviluppo futuro. Lo zoning regola l’edificazione attraverso standards specifici come la dimensione dei lotti, gli arretramenti dell’edificato, e una serie di usi consentiti. Nelle contee e città a statuto ordinario, gli usi del suolo che appaiono nelle tavole di piano generale di solito si riflettono anche nelle mappe dello zoning. L’edificazione deve non solo adeguarsi ad alcuni requisiti dell’ordinanza di zoning, ma anche a obiettivi più ampi che sono quelli contenuti nel piano generale.
Contenuti
La legge statale richiede che ogni città e ogni contea adottino un piano generale contenente i seguenti sette componenti, o “capitoli”: uso del suolo; circolazione; abitazioni; conservazione; spazi aperti; rumori; sicurezza (Government Code, sezioni 65300 e seguenti). Contemporaneamente, ciascun governo locale è libero di adottare un’ampia varietà di elementi addizionali, a coprire questioni di particolare intreresse per l’area, come il tempo libero, il disegno urbano, i servizi pubblici.
La maggior parte dei piani generali consiste di: (1) un testo scritto che sviluppa ragioni e obiettivi della comunità, le sue politiche e programmi per la distribuzione degli usi del suolo; (2) una o più tavole e mappe che illustrano in generale la localizzazione delle funzioni esistenti e future.
Ciascun governo locale sceglie le modalità del proprio piano generale. Il documento può essere breve o lungo, un volume o dieci volumi, a seconda delle necessità locali. Alcune comunità come San Jose, hanno composto i capitoli richiesti in un solo documento, altre li hanno articolati in qualche modo.
La legge statale richiede che le amministrazioni facciano copie dei propri piani disponibili per la consultazione del pubblico. Le copie possono essere messe in vendita al solo costo di riproduzione.
I temi del Piano
Nonostante la legge statale stabilisca un insieme di questioni base da considerarsi nel piani regolatori generali, ciascuna città o contea determina l’importanza relativa di ciascuna questione nel contesto locale, e decide come debba essere affrontata nel documento generale. Di conseguenza, non esistono due città o contee che abbiano piani identici nella forma o nel contenuto. Qui di seguito riportiamo un sommario delle questioni base, capitolo per capitolo:
Il capitolo uso del suolo definisce l’organizzazione generale e densità della residenza, uffici e commercio, industria, spazi aperti, scuole, edifici e spazi pubblici strutture per il trattamento dei rifiuti e altre funzioni.
Il capitolo circolazione definisce l’organizzazione generale e dimensione delle principali strade esistenti e di progetto, delle linee di trasporto, terminali, servizi e infrastrutture pubbliche. Deve essere coordinato al capitolo sull’uso del suolo.
Il capitolo abitazioni è una valutazione complessiva dei bisogni correnti e previsti di case per i vari segmenti di reddito della comunità. Delinea politiche per l’abitazione e programmi per metterle in pratica.
Il capitolo conservazione riguarda tutele, sviluppo, uso delle risorse naturali come l’acqua, le foreste, i suoli, i fiumi e torrenti, depositi minerali.
Il capitolo spazi aperti contiene piani e proposte per conservare zone naturali, la riproduzione vegetale e animale, aree per il tempo libero, la salute e il benessere, e identifica le zone agricole.
Il capitolo rumoriidentifica e valuta i problemi del rumore in città e rappresenta la base per organizzare un sistema di usi del suolo anche in base alla questione del rumore.
Il capitolo sicurezza fissa politiche e programmi per proteggere la comunità dai pericoli associati al rischio sismico, frane, alluvioni, incendi boschivi.
Approvazione del Piano
Il processo di adozione o variante richiede la partecipazione collettiva. Città e contee devono tenere udienze pubbliche sul piano regolatore. Se ne devono pubblicizzare in anticipo su quotidiani a attraverso la posta data e ora, in particolare nei pressi dell’eventuale zona interessata. Prima dell’approvazione, verranno tenute udienze con organismi come la commissione urbanistica. Il piano regolatore deve essere adottato con delibera del consiglio eletto di città o contea.
Piani urbani e piani specifici
Si utilizzano da parte delle città e contee sia piani “urbani” che piani “specifici” per il futuro di una particolare zona, ad un livello di maggior dettaglio di quanto previsto dallo schema generale. Un piano urbano è una porzione del piano generale che si concentra sulle questioni di una zona o nucleo interno alla città o contea. Affianca le politiche del piano regolatore generale.
I piani specifici definiscono gli usi del suolo possibili, gli spazi aperti, studiano in dettaglio la disponibilità di servizi e i meccanismi di finanziamento per una parte di città. I piani specifici devono essere coerenti al piano generale. Un piano specifico attua quello generale, ma tecnicamente non ne fa parte. In alcune amministrazioni, i piani specifici sostituiscono lo zoning. Anche zoning, lottizzazioni e opere pubbliche devono essere coerenti coll’eventuale piano specifico approvato.
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ZONING
Il piano generale è un documento di politiche di largo respiro, che guarda al futuro della comunità. Un’ordinanza di zoning è la norma locale, che definisce gli usi del suolo immediati e disponibili per ciascuna area della città. In tutte le contee, le città a statuto ordinario, e la City of Los Angeles, l’azzonamento deve essere coerente al piano generale. Questa regola non vale per le città a statuto speciale.
Scopo dello zoning è di applicare le politiche del piano generale.
Le zone
Secondo il concetto di zoning, vengono raggruppati entro categorie generali denominate “zone” vari tipi di uso del suolo, come residenza a case unifamiliari, o multifamiliari, aree commerciali di quartiere, industria leggera, agricoltura , ecc. Un’ordinanza di zoning tipica comprende 20 o più classi di zone differenti, da applicarsi ai terreni entro la circoscrizione. A ciascuna porzione di terreno della città è assegnato un tipo di zona, con l’elenco degli usi consentiti, e una serie di caratteristiche come le dimensioni minime del lotto, l’altezza massima degli edifici, la profondità minima dell’arretramento anteriore. La distribuzione delle varie zone residenziali, commerciali, industriali e altro si basa sullo schema stabilito dal piano generale della città. Vengono utilizzate mappe, per evidenziare le destinazioni di ciascuna proprietà.
Lo zoning è adottato tramite ordinanza, ed è legittimato dalle norme locali. Il suolo può essere destinato solo alle funzioni consentite dalla classificazione approvata. Ad esempio, se in un’area commerciale non sono consentiti palazzi per uffici di cinque piani, non si possono costruire edifici del genere in nessuna delle zone così classificate. Un’ordinanza di zoning si compone di due parti: (1) una mappa o più mappe dettagliate che illustrano la distribuzione delle zone nella città; (2) un testo che definisce gli usi specifici del suolo e le caratteristiche edilizie consentite in ciascuna zona.
Riazzonamento
Una particolare classificazione di zona determina gli usi a cui può essere destinato il suolo. Se gli intenti del proprietario sono diversi da quelli consentiti, la città o contea possono eventualmente approvare un ri-azzonamento (cambio delle destinazioni di zona) per consentire quell’intervento. La commissione urbanistica locale e il consiglio municipale o comitato di contea, devono tenere udienza pubblica, perché una proprietà possa essere ri-azzonata. La riunione deve essere pubblicizzata con anticipo, e ne deve essere data notizia direttamente tramite posta ai proprietari confinanti. Il consiglio o comitato non è tenuto ad approvare la richiesta di ri-azzonamento e, con l’eccezione delle città a statuto speciale, deve respingerla quando entra in conflitto col piano generale.
Zone di “sovrapposizione”
In aggiunta allo zoning a cui è sottoposto il territorio della città o contea, molte amministrazioni utilizzano lo strumento delle zone di “sovrapposizione” [ overlay zones] per regolamentare in modo più approfondito aree di particolare importanza. Lo spazio nelle aree storiche, o nel centro terziario, le pianure alluvionali, le aree nei pressi di frane o pendii, spesso sono soggette a regole “sovrapposte” a quelle dello zoning di base. Per esempio, un terreno in un’area residenziale unifamiliare e contemporaneamente in un’area di pendio, deve sottostare ai requisiti e vincoli di entrambe le categorie.
Pre-zoning
Le amministrazioni cittadine possono “pre-zonizzare” terreni localizzati nella contea circostante [e non appartenenti alla municipalità] nello stesso modo in cui classificano quelli urbani. Il pre- zoning si effettua in previsione di un ampliamento dei confini e annessione di quella parte di territorio, per facilitare la transizione a zona urbana. Il pre- zoning non cambia le possibilità d’uso dei terreni e gli standards edilizi, finché essi non sono ufficialmente annessi alla città. I terreni continuano sino a quel momento ad essere sottoposti alle regolamentazioni dello zoning di contea.
Modifica[Variance]
Una modifica è una deroga limitata agli standards edilizi, nell’ambito di un uso comunque consentito in zona. La municipalità o contea può concedere una modifica in casi particolari, e solo quando: (1) l’applicazione letterale delle regole di zoning impedisce caratteristiche godute in aree adiacenti ad azzonamento simile; (2) siano state stabiliti limiti a garantire che la modifica non si configuri come particolare privilegio. La città o contea non può concedere tramite procedura di modifica usi altrimenti non permessi in zona (ad esempio una funzione commerciale in zona residenziale). Tipicamente, le modifiche si applicano quando le caratteristiche fisiche delle proprietà le rendono difficili da edificare. Per esempio, si può approvare una modifica nel caso di un terreno la cui metà posteriore è in ripida pendenza, per consentire all’edificio di essere costruito più vicino alla strada di quanto consentito dalle norme correnti. Le domande di modifica richiedono un’udienza pubblica, e ai proprietari confinanti è data possibilità di essere sentiti. L’organismo consultivo locale decide poi se concedere o negare la modifica richiesta.
Funzioni speciali [Conditional Use Permits]
La maggior parte delle ordinanze di zoning individuano alcune funzioni che non si adattano esattamente alla zona, ma che possono essere consentite approvando una “funzione speciale” [ Conditional Use Permit/CUP]. Queste possono comprendere servizi urbani (come ospedali o scuole), edifici o spazi pubblici (caserme dei pompieri o parchi), usi temporanei o di difficile classificazione (l’albero per Natale, o un’officina di riparazioni particolari), o usi del suolo con potenziali significativi impatti ambientali (depositi di sostanze chimiche pericolose, o una casa in area di esondazione). L’ordinanza locale di zoning specifica gli usi per cui è possibie chiedere una “funzione speciale”, quali sono le aree in cui ciò è consentito, e le procedure di approvazione.
Come nel caso del re- zoning e delle modifiche, per esaminare una richiesta di CUP deve essere tenuta udienza pubblica. Se la commissione urbanistica o comitato per lo zoning approva, lo deve fare a determinate condizioni. Oppure, può respingere la richiesta se non si conforma alle regole prestabilite.
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LOTTIZZAZIONI
In genere, in California la terra non può essere suddivisa senza approvazione pubblica. La lottizzazione per la vendita, l’affitto, scopi finanziari, è regolamentata localmente, sulla base dello State Subdivision Map Act (a partire da Government Code, sezione 66410). Il piano generale locale, lo zoning, le norme per la lottizzazione, governano il progetto dell’insediamento, la dimensione dei lotti, i vari tipi di intervento (costruzione di strade, fogne, drenaggio ecc.). In più, la municipalità o contea può richiedere una serie di pagamenti relativi alle lottizzazioni, a seconda delle necessità locali e regionali, come oneri per le scuole, i parcheggi, ecc. Per i particolari regolamenti di ciascuna amministrazione va contattato l’ufficio urbanistica.
Tipi di lottizzazione
Ci sono fondamentalmente due tipi di documenti lottizzazione: parcel maps, per le lottizzazioni fino a cinque unità (più alcune eccezioni); subdivision maps (dette anche tract maps), oltre le cinque unità. Le richieste per entrambi i tipi vanno inoltrate all’amministrazione locale per l’esame, secondo le procedure dell’ordinanza locale sulle lottizzazioni e il Subdivision Map Act.
Iter
L’ufficio competente di città o contea che riceve una richiesta di lottizzazione di tipo subdivision map, esamina il progetto per verificarne i requisiti in rapporto al piano generale, all’ordinanza di zoning, al regolamento locale sulle lottizzazioni. Si deve tenere un’udienza pubblica per approvare il progetto. Nei casi di parcel map, con meno di cinque unità, l’esame in udienza pubblica dipende dal regolamento locale.
Approvazione definitiva
L’approvazione di un progetto per cinque lotti o più, significa che il lottizzante si fa carico della realizzazione di strade, fogne, scarichi a servizio dell’insediamento. Queste opere devono essere realizzate, o finanziate, prima che la municipalità o contea possa approvare il documento di subdivision map e registrarlo negli uffici competenti. I lotti non possono essere venduti sin quando la mappa non è stata registrata. Il lottizzante ha a disposizione un periodo minimo di due anni (a seconda dell’ordinanza locale: di solito di più) per realizzare le opere richieste, ed ottenere così l’approvazione finale. Le procedure per le parcel maps, con meno di cinque lotti, possono variare da amministrazione a amministrazione.
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ALTRE ORDINANZE E REGOLAMENTI
Città e contee spesso adottano altre ordinanze oltre a quelle di zoning e lottizzazione per tutelare la salute collettiva, la sicurezza e il benessere degli abitanti. Per le particolarità locali, occorre consultare gli uffici competenti dell’area. I tipi più comuni comprendono: protezione dalle inondazioni; tutela storica; verifiche progettuali; edificazione in zone collinari; governo della crescita; contributo di impatto ambientale; gestione del traffico; segnaletica e insegne.
Le ordinanze locali possono anche essere adottate su indicazione statale. Esempi di norme del genere sono: i programmi locali per le aree costiere (secondo il California Coastal Act); i regolamenti per le estrazioni minerarie superficiali (secondo il Surface Mining and Reclamation Act); gli standards di sicurezza sismica (secondo l’Alquist-Priolo Special Studies Zone Act); i requisiti per il rischio di dispersione sostanze nocive. Questi regolamenti in genere sono basati sulle norme statali.
ANNESSIONI E NUOVE CIRCOSCRIZIONI
La LAFCO
Il processo di annessione (aggiunta di territori a una città esistente) e di incorporation (creazione di una nuova municipalità) è controllato dalla Local Agency Formation Commission (LAFCO) responsabile per ciascuna contea, nominata dallo stato, in base al Cortese-Knox-Hertzberg Act (a partire da Government Code sezione 56000). La commissione è composta da membri eletti nei consigli municipali, comitati di contea, e in alcuni casi distretti speciali. Compiti della LAFCO sono: fissare la “sfera di influenza” che definisce le aree servite dalle città e distretti speciali; esaminare e approvare le richieste di annessione; esaminare e approvare le richieste di nuove municipalità. Di seguito, una breve esposizione delle procedure di annessione e nuova creazione [ incorporation]. Per informazioni più dettagliate rivolgersi alla LAFCO locale.
Annessione
Quando la LAFCO riceve una richiesta di annessione, indice un’udienza per determinare il valore della proposta, e può respingere o approvare condizionatamente una richiesta in base alle proprie politiche e alla legge statale. Le richieste di annessione che ottengono l’approvazione preliminare della LAFCO sono inviate alla municipalità interessata perché vengano tenute udienze a questo proposito e, se necessario, una consultazione elettorale. Le annessioni approvate con voto dei residenti, o che non siano state comunque affossate da proteste (nei casi in cui non è prevista una consultazione elettorale) devono essere poi certificate dalla LAFCO perché si verifichino tutte le condizioni, prima dell’approvazione definitiva. È la LAFCO, non la città, ad avere la responsabilità finale del processo di annessione.
Nuove municipalità [incorporation]
Quando è proposta la formazione di una nuova città, la LAFCO ne studia la fattibilità economica, il suo impatto sul territorio della contea di appartenenza e i distretti speciali, la capacità di provvedere ai servizi pubblici. Una nuova città deve essere a “entrate neutre” riguardo al gettito fiscale perso dalla contea in seguito alla incorporation e al costo dei servizi correnti della proposta municipalità. Se non si riesce a dimostrare la fattibilità della nuova amministrazione proposta, la LAFCO può interrompere la procedura. Se la municipalità proposta appare fattibile, la LAFCO invia il progetto al comitato eletto di contea perché la discuta in udienza, insieme ad una serie di condizioni da rispettare. Se il comitato di contea non riceve proteste da parte della maggioranza degli elettori interessati, si tiene una consultazione elettorale fra quella parte di elettori che si trova entro i confini della nuova municipalità proposta. Nel corso della stessa consultazione, viene eletto anche il primo consiglio comunale.
IL CALIFORNIA ENVIRONMENTAL QUALITY ACT (CEQA)
Il California Environmental Quality Act (a partire da Public Resources Code sezione 21000) chiede che il governo statale e le amministrazioni locali prendano in considerazione i potenziali effetti ambientali di un progetto, prima di approvarlo. Lo scopo del CEQA è quello di individuare questi impatti potenziali, suggerire modi di minimizzarli, discutere alternative in modo tale che i decisori abbiano informazioni complete su cui basare la valutazione. Il termine “progetto” è proposto in modo ampio all’interno del CEQA. Comprende tutte le azioni presentate qui: dall’annessione allo zoning.
CEQA è una legge complessa, con molte sottigliezze e varianti locali. La presentazione che segue qui è molto generica. Le principali responsabilità e linee amministrative dei governi locali in applicazione del CEQA sono descritte nel documento California Environmental Quality Act: Statutes and Guidelines. Per maggior informazioni rivolgersi all’ufficio urbanistico locale.
Ufficio Guida [lead agency]
La lead agency è responsabile riguardo all’esame ambientale dei progetti secondo le linee stabilite dal CEQA, nonché di stabilire quando questo esame sia necessario. L’ufficio principale per il rilascio di autorizzazioni (o per l’attuazione dei progetti) è destinato a diventare la lead agency. In quanto ufficio guida, può predisporre al suo interno le analisi ambientali, o affidarle ad altri sotto la propria direzione. Praticamente, in tutte le questioni urbanistiche locali (re-zoning, autorizzazioni condizionali, piani specifici) l’ufficio urbanistica è la lead agency.
Esame preliminare
L’analisi degli impatti ambientali potenziali di un progetto è un processo a molti passaggi. Molti progetti di piccola entità sono esenti dalla procedura CEQA. Tipicamente, si tratta delle case unifamiliari, ristrutturazioni, strutture accessorie, lottizzazioni minori (per una lista completa dei tipi di progetto esenti si veda California Environmental Quality Act: Statutes and Guidelines). Non occorre alcuna analisi ambientale nel caso di progetti a esenzione CEQA.
Nel caso in cui l’analisi sia necessaria, l’ufficio guida predispone uno “studio iniziale” per verificare i potenziali impatti fisici negativi della proposta.
Dichiarazioni Negative e EIR
Se lo studio iniziale mostra che il progetto non comporterà impatti “significativi” sull’ambiente, o nel caso in cui è stato già provveduto ad eliminare questi impatti, viene predisposta una “dichiarazione negativa”. Questa dichiarazione descrive perché il progetto non avrà significativi impatti, e può prescrivere che vengano inserite alcune misure (dette di “mitigazione”) per assicurare che questi impatti non si verifichino.
Se sono identificati effetti ambientali significativi, si deve redigere un Environmental Impact Report (EIR) prima dell’esame del progetto da parte degli organi di approvazione. Un EIR esamina il progetto proposto, il suo contesto ambientale, i probabili impatti, le possibilità reali di eliminarli, gli effetti cumulativi, le possibili alternative a quel progetto. Il CEQA prescrive che le bozze di Dichiarazione Negativa e di EIR siano rese disponibili per la visione pubblica e da parte di altri uffici, prima che il progetto venga preso in considerazione. Il periodo di visione consente a cittadini e enti interessati di esprimere valutazioni sulla completezza e adeguatezza dell’esame ambientale, prima di completare l’iter.
Quando l’ufficio competente (consiglio municipale, comitato di contea, o altri consigli o commissioni) approva un progetto, deve certificare l’adeguamento ai criteri ambientali. Se la decisione di approvare un progetto avrà inevitabili e significativi impatti, l’organo deliberante deve non solo certificare lo Environment Impact Report, ma anche mettere per iscritto le superiori ragioni che determinano comunque l’approvazione, e come si intende provvedere agli impatti.
La Dichiarazione Negativa o l’EIR sono documenti informativi. Di per sé, non approvano o respingono un progetto. Lo studio ambientale deve essere condotto il prima possibile nell’iter di esame di un progetto, e lo deve riguardare nel suo insieme. Ci sono parecchi differenti tipi di EIR che possono essere predisposti, a seconda del tipo di progetto. Sono descritti nelle California Environmental Quality Act: Statutes and Guidelines. [...]
Nota: per chi fosse interessato, allego di seguito (ahimè non tradotte: non si può avere tutto) le circa 300 pagine delle leggi urbanistiche della California, aggiornate al 2001. Per gli aggiornamenti e la versione integrale e originale di questo testo (che comprende anche un utile Glossario), qui il link al Governor’s Office of Planning and Research della California (f.b.)
City of Santa Rosa, General Plan 2020: cap. 7, Open Space and Conservation; cap. 8, Growth Management– Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini (per orientarsi meglio, è disponibile una mappa di grande formato JPG scaricabile in fondo al testo)
[Gli spazi aperti]
Questo capitolo propone una rassegna dei temi di tutela dello spazio aperto delle risorse naturali così come affrontati dalla municipalità di Santa Rosa. Vengono discusse la conservazione degli spazi aperti, delle zone agricole, delle risorse biologiche e dell’habitat, della qualità dell’aria, dell’energia, e definite politiche che assicurino continuità a questi processi.
VISIONE
Nell’anno 2020, la conservazione degli spazi aperti e delle risorse naturali contribuisce a rendere invidiabile la qualità della vita a Santa Rosa. Gli elementi naturali – che comprendono torrenti, zone umide, alberi secolari, crinali, formazioni rocciose e spazi aperti – sono conservati e inseriti nella progettazione dei nuovi insediamenti. Sentieri multiuso offrono accessibilità a zone aperte per la città e la regione, e le visuali sugli spazi aperti sono tutelate anche all’interno dellos pazio urbano. La Prince Memorial Greenway è stata completata, e risistemato il Santa Rosa Creek, offrendo un corridoio ecologico ripario a residenti e altri visitatori. Le caratteristiche naturali di molti altri corsi d’acqua sono ripristinate ed enfatizzate, con l’aggiunta di sentieri e di funzioni ricreative a basso impatto. Gli usi agricoli – che comprendono coltivazioni, allevamento di polli, allevamento di bestiame per latte e carne, vigneti – circondano lungo i margini fissati di crescita [urban growth boundaries UGB]. La qualità dell’aria è di alto livello perché si utilizzano combustibili più puliti, si è ridotta la dipendenza dall’automobile, e si usa di più il trasporto pubblico.
SPAZI APERTI
Gli spazi aperti offrono molti benefici, il godimento delle visuali, la conservazione delle risorse naturali (ad esempio gli habitat della flora e fauna, i corridoi definiti dai torrenti, i versanti delle colline, la qualità dei suoli), la tutela dei bacini idrici, gli usi per il tempo libero, la riduzione dei rischi naturali. Le zone di spazi aperti entro l’UGB generalmente comprendono aree non edificate contenenti habitat significativi o risorse naturali. L’UGB comprende circa 90 ettari di terreni destinati a spazio aperto. Le zone aperte al di fuori dello UGB comprendono anche la Taylor Mountain e altre aree collinari e di crinale.
Fasce di interposizione sono rappresentate dalle zone greenbelt definite dal Sonoma County General Plan per assicurare la tutela di spazi aperti, e prevenire l’espansione urbana fra i nuclei esistenti. Questi separatori sono intesi a tutelare il carattere rurale della contea, conservando corridoi aperti fra le città.
Il Sonoma County Agricultural Preservation and Open Space District (SCAPOSD) ha pubblicato di recente il suo Acquisition Plan 2000, per l’acquisizione e tutela di spazi aperti nella contea. Nell’area di Santa Rosa vengono individuate quattro tipologie di spazio aperto: agricolo, greenbelts (separatori di insediamenti), risorse naturali, zone per il tempo libero. La conservazione di ciascuno di questi ambiti è importante per la qualità della vita e il carattere rurale, apprezzati dai residenti. Le scelte del General Plan si orientano all’accessibilità pubblica di queste zone, e all’ampliamento delle reti di spazi aperti a scala regionale. Un sistema continuo di questi spazi aperti è di maggiore beneficio per fornire habitat a flora e fauna, di quanto non siano spazi discontinui.
Risorse per l’agricoltura
Le aree agricole entro la Santa Rosa Planning Area offrono ai residenti un carattere rurale, e la disponibilità di prodotti freschi. Le risorse agricole (campi e vigneti, pascoli, fattorie e altre strutture) esterne all’UGB ma entro la Planning Area comprendono circa 9.000 ettari di terre, secondo i calcoli del programma statale Farmland Mapping and Monitoring.La collaborazione al programma di contea per la tutela agricola e degli spazi aperti esterni allo UGB, che comprendono suoli altamente produttivi per le colture, e che sono adatti a numerose attività (piccole aziende, avicoltura) aiuterà a mantenere il carattere rurale nell’area ampia di Santa Rosa. La prosecuzione delle attività agricole contribuirà anche alla vitalità economica della regione.
RISORSE BIOLOGICHE E CORSI D’ACQUA
Le risorse biologiche di Santa Rosa comprendono varie piante, specie animali, torrenti e zone umide, stagni utilizzati dagli uccelli migratori. Il Santa Rosa Creek, che nasce dalle sorgenti del Mount Hood, scorre da est a ovest attraverso la città, e più oltre fino alla Laguna de Santa Rosa. Altri corsi d’acqua, inclusa la parte bassa del Matanzas Creek, passano nei pressi della città lungo prima di confluire nel Santa Rosa Creek. La municipalità riconosce l’importanza delle proprie risorse d’acqua, e ha approvato il Santa Rosa Waterways Plan (1996) e il Santa Rosa Creek Master Plan (1993) per assicurare tutela e ripristino.
Le risorse biologiche nella zona di Santa Rosa possono essere divise grosso modo fra quelle che si collocano nella pianura occidentale, e quelle dell’altopiano orientale, connesse dal corsi dei torrenti. Fra gli elementi sensibili nella zona di pianura bassa ci sono numerosi stagni, e le relative associazioni vegetali e di fauna, mentre l’altopiano orientale comprende versanti di colline, zone aperte e boschi.
Vegetazione
Entro lo UGB di Santa Rosa esistono molte specie vegetali, di prateria, bosco, riparie, di stagno. Alcune, come nei pascoli che ora contengono soprattutto specie esotiche annuali, hanno subito un’alterazione rispetto allo stato naturale. Altre, come negli stagni, rimangono o allo stato naturale (in termini di composizione delle specie e funzione ecologica) o sono stati solo lievemente alterati.
Le zone di habitat più piccole, come le aree degli stagni, sostengono le proprie specie caratteristiche. In queste zone di dimensione limitata, la popolazione delle varie specie può essere piccola e sensibile ai disturbi. Riconoscendo l’importanza ecologica degli stagni, è stato redatto nel 1995 il Santa Rosa Plain Vernal Pool Ecosystem Preservation Plan.
Fauna selvatica
I vari ambienti vegetali entro lo UGB offrono vari habitats per la fauna, e la distribuzione di habitats diversi è di vantaggio per le specie che utilizzano i margini fra di essi. Le zone di spazi aperti ospitano le specie più piccole, come passeracei, piccoli roditori, e una varietà di invertebrati. Esse offrono anche habitat a numerose specie sensibili, come i rapaci. I corsi d’acqua che attraversano la città rappresentano un habitat acquatico e ripario. Quello ripario contiene una specifica comunità di piante e animali che comprende anche gli anfibi, e può costituire un corridoio di mobilità che consente ad altri animali di spostarsi da un ambiente adatto all’altro, che altrimenti sarebbero resi separati dall’urbanizzazione. L’habitat acquatico è pure importante, si trovano trote a Santa Rosa, e si riproducono nelle zone dell’altopiano. Entrambi questi ambienti sostengono varie specie animali, dagli invertebrati sul fondali ai pesci più grossi e altri animali come aironi grigi e bianchi che si nutrono di pesci. La protezione dell’habitat animale e il ripristino dei corridoi ripari assicura che la fauna sia tutelata, e allo stesso tempo offre spazi aperti tranquilli entro il paesaggio urbano.
QUALITÀ DELL’ARIA
La riduzione degli inquinanti atmosferici contribuisce alla qualità della vita a Santa Rosa migliorando la salute dei residenti e di chi ci lavora. La municipalità fa parte del Bay Area Air Quality Management District (BAAQMD) che ha lo scopo di migliorare la qualità dell’aria.Il clima della Sonoma County è determinato dalla presenza dell’Oceano Pacifico. Durante l’estate, nelle ore pomeridiane soffiano venti da nordovest che spingono gli inquinanti verso sul in direzione di San Francisco. Durante l’inverno, esistono periodi di aria stagnante, in particolare dopo i temporali.
Santa Rosa al momento possiede una stazione di monitoraggio che misura le sostanze inquinanti di riferimento, ovvero ozono, monossido di carbonio, biossido di azoto, piombo, solfati, polveri fino a 10 micron (PM10). La qualità dell’aria a Santa Rosa è migliorata in generale, perché i veicoli a motore sono diventati più puliti, la combustione per agricoltura e riscaldamento è stata contenuta, e i prodotti di consumo sono stati riformulati o sostituiti. I rilievi degli ultimi tre anni indicano che nell’area di Santa Rosa sono stati superati i limiti di inquinamento statali solo una volta per l’ozono, nel 1999.
Per quanto riguarda il particolato, si tratta di un problema contenuto, con due soli superamenti nel 1998 e 1999, ma nessuno nel 2000. Il monossido di carbonio, prodotto della combustione incompleta, era un problema in città, ma con migliori motori e combustibili ora Santa Rosa rientra ampiamente negli standards statali e federali.
Mantenere e migliorare la qualità dell’arie contribuisce ala buona salute di tutti gli abitanti di Santa Rosa. Le politiche di uso del suolo, i rapporti fra le varie funzioni insediate, l’uso delle fonti energetiche, i modi di trasporto alternativi all’auto, la tutela degli spazi aperti, l’abbattimento delle polveri, tutto contribuisce alla riduzione degli inquinanti nell’area di Santa Rosa.
ENERGIA
La Città di Santa Rosa dipende dalla disponibilità energetica per mantenere un’economia vitale e uno stile di vita adeguato. Utilizza l’elettricità e il gas naturale per illuminare, riscaldare, rinfrescare gli edifici e far funzionare gli uffici, le macchine nelle fabbriche, i servizi pubblici e le abitazioni. La città utilizza anche prodotti petroliferi per la mobilità di persone e cose lungo i corridoi di trasporto. L’energie è vitale per o svolgimento delle attività di residenza, del lavoro, dei trasporti, dei servizi e infrastrutture di Santa Rosa.
Ridurre il consumo energetico nelle case, nei negozi, negli uffici pubblici e nei mezzi di trasporto aiuta a mantenere la vitalità economica locale e a ridurre il bisogno di nuovi impianti di produzione di energia per la città. Un migliore uso di materiali, isolanti, un aumento dell’uso di energia solare nella progettazione degli edifici può ridurre la domanda di gas e altri prodotti per il riscaldamento. Le scelte di trasporto che facilitano gli spostamenti a piedi o in bicicletta riducono la dipendenza dal petrolio. Insieme, queste misure portano ad un futuro energetico più affidabile, sostenibile, economico.
Massimizzare i benefici dello spazio aperto
Cooperare con le varie entità pubbliche e private per creare nuovi percorsi e accessi ai parchi, zone aperte, fasce dei corsi d’acqua entro la città, e definire un sistema di sentieri all’esterno dello UGB. Per quanto riguarda la zona esterna, le priorità per i percorsi saranno date ai seguenti: Joe Rodota Trail (da Santa Rosa a Sebastopol); Bay Area Ridge Trail; Santa Rosa Creek Trail; Laguna Trail; Roseland Creek Trail; Colgan Creek Trail; Paulin Creek Trail.
Collaborare con altri enti e proprietari privati per costituire collegamenti fra aree aperte non accessibili, dove questi collegamenti possano essere di beneficio a particolari ambienti e sistemi ecologici, come le zone umide, associazioni vegetali, habitat e corridoi di mobilità per la fauna.
Cooperare con la County of Sonoma nella conservazione e dove necessario acquisizione di spazi aperti al di fuori dello UGB, sia per il governo dello sviluppo edilizio che per scopi connessi alle zone aperte.
Fornire il Sonoma County Agricultural Preservation and Open Space District di risorse adeguate per l’acquisizione di aree libere entro e attorno la città di Santa Rosa. Le priorità di acquisizione sono le seguenti: Fascia di interposizione fra Santa Rosa e il Rohnert Park; Taylor Mountain; Aree a nord e ovest dello UGB; Corridoio del Santa Rosa Creek.
Monitorare i progressi del Sonoma County Agricultural Preservation and Open Space District nell’acquisizione delle aree prioritarie.
Proteggere i parchi regionali di Annadel e Spring Lake dall’inserimento di funzioni improprie. Conservare i biosistemi di questi parchi.
Incoraggiare la conservazione degli spazi aperti per le fasce di interposizione [community separators] fra Santa Rosa e le città vicine. Collaborare con le agenzie regionali per assicurare il mantenimento delle fasce di separazione a zone aperte.
Coordinare soggetti pubblici e privati per realizzare un sistema a rete di percorsi e sentieri, comprese le strade di proprietà della Sonoma County Water Agency e il Bay Area Ridge Trail.
Proibire l’edificazione sui versanti delle colline e le linee di crinale, ove le strutture edilizie interrompano lo skyline.
Ridurre al minimo le alterazioni della topografia, del sistema delle acque e della vegetazione nei terreni con pendenze superiori al 10%. Proibire qualunque trasformazione nelle pendenze superiori al 25%.
Chiedere che nuovi insediamenti, edifici multifamiliari e non residenziali affacciati su corridoi di corso d’acqua, siano progettati adeguatamente rispetto al torrente. L’edificazione può essere rivolta al torrente in quanto elemento paesistico, ma dovranno utilizzarsi adeguati arretramenti per la protezione dell’habitat ripario.
Imporre che le aree in pendenza nei nuovi insediamenti siano ripiantumate.
Richiedere come parte dell’autorizzazione urbanistica uno speciale Hillside Development Permit per ogni nuovo insediamento, per la parte con eventuale pendenza superiore al 10%.
RISORSE DELL’AGRICOLTURA
Sostenere l’azione del Sonoma County Agricultural Preservation and Open Space District per tutelare e acquisire terreni di alta qualità agricola al di fuori dello Urban Growth Boundary.
Attraverso la revisione periodica del Sonoma County General Plan, incoraggiare la conservazione delle zone non appartenenti alla municipalità nei pressi dei margini di urbanizzazione (UGB) di Santa Rosa, in quanto valide risorse agricole.
Tutelare e ampliare l’attività agricola entro la Planning Area, come componente dell’economia e della qualità ambientale di Santa Rosa.
Collaborare con la County of Sonoma per sostenere la conservazione delle risorse minerali e la tutela dell’accesso a tali risorse.
RISORSE BIOLOGICHE E CORSI D’ACQUA
Conservare le zone umide, gli stagni, gli ecosistemi della fauna selvatica, gli ambienti delle specie rare e le vie d’acqua
Utilizzare procedure e norme esistenti, che comprendono le linee guida di progetto per nuovi insediamenti, le ordinanze di zoning, l’iter di approvazione dei progetti, per tutelare zone umide e specie rare. Adeguarsi alla politica federale di evitare una perdita netta di zone umide utilizzando strumenti come: evitare le trasformazioni nei pressi di zone sensibili; urbanizzare per aree compatte [cluster development]; utilizzare il trasferimento dei diritti edificatori; utilizzare misure di mitigazione come il rispristino o la creazione di nuovi spazi naturali.
Proteggere le zone umide di alta qualità e gli stagni dall’edificazione o da altre attività, così come stabilito dal Vernal Pool Ecosystem Preservation Plan.
Tutelare a mantenere gli elementi di habitat e i corridoi per la fauna selvatica in tutta l’area di piano.
Proseguire i rapporti con il California Department of Fish and Game per individuare ambienti significativi. Stabilire le priorità per l’acquisizione o mantenimento di spazi aperti sulla base di criteri biologici ed ecologici, e sviluppare una strategia generale che conservi le zone di interesse per la poplazione animale e vegetale attualmente presente entro lo Urban Growth Boundary.
Consultare le competenze del North Coast Regional Water Quality Control Board nell’iter di approvazione di nuovi progetti di insediamento, per identificare habitat di zone umide e stagni passibili di tutela e/o ripristino sulla base di usi attuali o potenziali, e determinare le modalità e localizzazioni degli interventi di mitigazione.
Tutelare i corsi d’acqua informando gli abitanti sugli effetti ambientali degli scarichi solidi o di altro tipo (come rovesciare l’olio da motore in un tombino) nei torrenti.
Ripristinare allo stato naturale i corsi d’acqua attualmente canalizzati, quando possibile, rimuovendo le sponde in cemento e consentendo un collegamento fra le acque e il fondo naturale. Evitare nuove canalizzazioni, tranne quando non esista alternativa per proteggere la salute e il benessere degli abitanti.
Ripristinare i corsi d’acqua canalizzati ad una condizione più naturale che consenta un migliore funzionamento idraulico, sviluppando curve, slarghi, salti, e altri elementi tipici dei ruscelli. Questi interventi di restauro devono anche consentire la crescita di vegetazione riparia che possa efficacemente rendere più stabili le rive, filtrare gli inquinanti da acqua piovana prima che entrino nel canale, aumentare il numero dei pesci, offrire altre opportunità per la formazione di un habitat più naturale.
Verificare che l’edificazione nei pressi dei corsi d’acqua canalizzati sia adeguata all’ambiente circostante. Assicurarsi che la topografia naturale e la vegetazione siano conservate, e che le attività edilizie non danneggino o inquinino il corso d’acqua.
Orientare l’edificato verso i torrenti, provvedendo contemporaneamente alla privacy, alla sicurezza e al libero passaggio fra le zone aperte pubbliche e quelle private.
I nuovi insediamenti lungo corsi d’acqua canalizzati devono consentire una fascia di interposizione ecologica fra l’edificato e l’acqua. Questa fascia di separazione dovrà anche offrire la possibilità di usi per il tempo libero e percorsi pedonali.
Il nuovo edificato dovrà mantenere un adeguato arretramento rispetto al corso d’acqua canalizzato, rispettando l’elevazione della fascia di esondazione, e consentendo il ripristino di un corridoio di corso d’acqua. Gli arretramenti previsti dalle norme di zoning possono servire come requisiti minimi. Arretramenti superiori possono essere incoraggiati sulla base dei Restoration Concept Plans, per scopi specifici di ripristino e miglioramento ambientale.
Sviluppare un Piano regolatore generale dei Torrenti che identifichi le possibilità di restituzione allo stato naturale, aumento dei pesci, tutela della salute e dell’ambiente lungo i corsi canalizzati, conservazione degli spazi aperti, realizzazione di corridoi di mobilità alternativi e aree per il tempo libero. Questo Piano consisterà di un testo e di una mappa di tutti i torrenti urbani, con definiti i principi generali di ripristino, le descrizioni dei singoli corsi d’acqua, e in alcuni casi proposte specifiche. Il Waterways Advisory Committee stabilirà le fasi temporali del piano per una tutela più efficace delle risorse esistenti.
Tutelare alberi e altri tipi di vegetazione, compresi i fiori, sia come singoli esemplari, sia come parte di più ampie associazioni vegetali.
Conservare e rigenerare la quercia locale.
Tutelare il percorso paesistico della Highway 12 a est di Santa Rosa, compreso il viale delle querce. Chiedere all’ente statale per le strade CalTrans di conservare gli alberi di quercia dove possibile, e di sostituire quelli scomparsi.
Chiedere l’inserimento di specie autoctone nei progetti di arredo a verde dei nuovi insediamenti, dove fattibile e appropriato, in particolare nelle zone adiacenti a spazi aperti e lungo corsi d’acqua.
CONSERVAZIONE E QUALITÀ DELLE ACQUE
Mantenere alti livelli di qualità dell’acqua per l’uso umano e per altri esseri viventi nella regione monitorando in modo continuo le acque.
Richiedere per l’approvazione di nuovi progetti di insediamenti non residenziali la presentazione di un piano del verde efficiente per quanto riguarda le acque, coerente alla City’s Water Efficient Landscape Policy.
Promuovere la conservazione delle acque attraverso l’educazione del pubblico, attraverso materiali informativi anche sulle condutture a basso contenuto di piombo e sistemi di individuazione delle perdite.
Inserire i criteri di conservazione delle acque fra quelli di approvazione dei nuovi insediamenti residenziali.
QUALITÀ DELL’ARIA
Intraprendere azioni appropriate per aiutare la città di Santa Rosa e la regione della Baia a raggiungere e mantenere alti livelli di qualità dell’aria
Esaminare tutti i progetti di nuove costruzioni e richiedere forme di abbattimento delle polveri, così come stabilito nel manuale sulla qualità dell’ambiente per il Bay Area Air Quality Management District.
Inserire nel bilancio cittadino per veicoli e carburanti investimenti di lungo periodo per rimpiazzare e migliorare il parco veicoli a benzina e gasolio. Cominciare una politica per rendere questo parco veicoli uno dei più puliti dell’area della Baia, attraverso: Acquisto di veicoli elettrici quando possibile, in particolare per spostamenti di piccola entità come quello per i controlli dei parchimetri; Acquisto di veicoli elettrici o ibridi per uso da parte dei dipendenti, in particolare per gli ispettori del settore edilizia e altri che si muovono soprattutto all’interno della città; Acquisto di veicoli a carburanti alternativi, come il gas naturale, che sostituiscano via via gli attuali diesel. Come alternativa, possono essere acquistati veicoli diesel solo se abbiano emissioni pari o inferiori a quelle dei motori a gas disponibili. Aquistare carburanti bio-diesel per il parco autocarri comunale; Quando possibile, utilizzare additivi anticombustione a basso NOx, come il Purinox, in tutti i veicoli diesel.
Sviluppare un programma di riduzione dell’emissione di particolato da apparecchi a combustione di legno.
ENERGIA
Ridurre il consumo energetico nelle nuove strutture commerciali, industriali e negli uffici pubblici
Promuovere l’uso di tecniche di progettazione, orientamento solare, sistemi di copertura, arredo a verde, per diminuire i bisogni di condizionamento d’aria a riscaldamento invernale e raffreddamento estivo. Incoraggiare l’uso di materiali da costruzione che comprendano riciclati.
Identificare le opportunità di diminuire il consumo energetico attraverso l’installazione di apparecchi ad alta efficienza, strutture ridotte di termoregolazione, eliminazione delle fonti di luce non necessarie nelle strutture pubbliche.
Individuare ed attuare misure di conservazione energetica adatte agli edifici pubblici. Mettere in pratica strumenti che siano efficaci almeno quanto quelli delle norme per le strutture commerciali e ad uffici privati.
Incoraggiare lo sviluppo di fonti alternative di produzione e distribuzione elettrica.
Riesaminare norme e politiche che limitino o vietino l’installazione di forme ambientalmente accettabili di produzione elettrica diffusa. (La produzione eletrica diffusa è costituita da generatori di piccola scala quali microturbine, fuel cells, pannelli fotovoltaici e altre fonti di energia elettrica che possano essere efficacemente collocate in strutture industriali, per uffici, ed altri edifici che la consumano).
Partecipare agli sforzi statali e locali per sviluppare appropriate politiche e procedure di installazione degli impianti fotovoltaici e altre forme ambientalmente accettabili di produzione elettrica diffusa.
[Governare la Crescita]
Il growth management è stato inserito nel Santa Rosa General Plan nel 1991 come elemento separato e opzionale, come risposta alla crescita eccezionale della metà anni ’80, e alle conseguenti preoccupazioni per offrire adeguati servizi urbani. Scopo del growth management è quello di equilibrare l’espansione urbana con:
Questo capitolo propone un panorama generale del programma di governo della crescita. Gli argomenti trattati comprendono lo sviluppo edilizio compatto e ordinato entro i margini di urbanizzazione (UGB), la densità di questo sviluppo, e i ritmi dell’incremento demografico.
VISIONE
Nell’anno 2020, Santa Rosa è una città equilibrata che propone una miscela di funzioni residenziali, commerciali, terziarie, industriali, pubbliche e per il tempo libero all’interno del suo Urban Growth Boundary. Santa Rosa è un centro quasi completamente edificato con margini definiti, circondato da spazi aperti e zone agricole.
L’edilizia residenziale si è sviluppata ad un passo costante nei vent’anni precedenti, attraverso nuove unità abitative e mantenendo un ambiente aperto tramite insediamenti più sparsi. L’offerta di lavoro è cresciuta parallelamente, mantenendo la posizione di Santa Rosa di centro della contea, degli affari e del commercio per la zone di Sonoma. Sono disponibili servizi pubblici e infrastrutture, che sono stati ampliati per stare al passo coi nuovi sviluppi.
URBAN GROWTH BOUNDARY
Gli elettori di Santa Rosa hanno approvato nel 199o un margine di sviluppo urbano (UGB) quinquennale, e nel 1996 un programma ventennale, con l’assicurazione che lo UGB corrente non subirà trasformazioni significative almeno fino al 2016. All’interno dei margini di sviluppo urbano è contenuta una superficie di circa 14.000 ettari, che comprende sia terreni interni alla circoscrizione comunale, sia superfici che saranno annesse e servite dalla città in futuro. La City’s Planning Area si estende oltre lo UGB in tutte le direzioni, e comprende il Charles M. Schulz-Sonoma County Airport a nord-ovest, e l’Annadel State Park a sud-est. L’area di piano copre circa 36.000 ettari.
Il General Plan assume che tutto lo sviluppo urbano fino all’anno 2020 sarà contenuto entro i margini UGB. Tutte le classificazioni delle superfici esterne ai margini proposte da piano rispecchiano quelle del Sonoma County General Plan: in primo luogo, funzioni residenziali di tipo rurale, e funzioni agricole. L’edificazione esterna allo è scoraggiata per promuovere spazi aperti attorno alla città, e segnare un confine chiaro alla città.
GROWTH MANAGEMENT
La crescita continua ad essere una delle questioni più importanti per gli abitanti di Santa Rosa. Nel 1992 fu adottata la Growth Management Ordinance per attuare politiche di crescita. Questa ordinanza, ancora efficace, limita il numero di nuove unità residenziali che possono essere approvate ogni anno. A seguito dell’approvazione municipale, un progetto riceve una “concessione” che può essere utilizzata per ottenere un permesso a edificare. A causa di un sovrappiù dagli anni precedenti, il numero di permessi rilasciati ogni anno può essere superiore al massimo concesso.
Il Growth Management Element limita le autorizzazioni a 17.500 nei prossimi vent0anni. Il General Plan prevede che ci saranno circa 1.750 unità residenziali potenziali al di fuori dell’ordinanza. Se si utilizzano tutti i permessi e le esenzioni, al 2020 ci sarà una popolazione di circa 195.300 persone residente entro lo Urban Growth Boundary.
OBIETTIVI E POLITICHE
Prevenire lo sprawl concentrando la crescita all’interno dello Urban Growth Boundary.
Contenere lo sviluppo urbano dell’area di Santa Rosa entro i limiti delle linee di UGB fissate.
( L’attuale Urban Growth Boundary approvato dagli elettori scadrà nel 2016. Anche se è probabile che il General Plan verrà aggiornato prima di allora, le previsioni indicano che c’è terreno disponibile entro lo UGB per contenere i bisogni della crescita oltre il 2020).
Charire ai richiedenti di autorizzazione a edificare che le designazioni a “bassa intensità” del piano non sono a scadenza, e che il loro intento è di realizzare vari tipi edilizi entro i confini piuttosto che risevare aree per l’urbanizzazione futura.
( Questo vale in modo particolare per le zone rurali classificate Very Low Density Residential , ambiti a carattere effettivamente rurale che servono come sacche di differenziazione).
Programmare lo sviluppo infrastrutturale per tenere il passo con la crescita residenziale, e provvedere che questa crescita comprenda case a prezzi accessibili, e sia controbilanciata dalla conservazione dell’ambiente
Verificare che la City’s Growth Management Ordinance continui ad essere un meccanismo per conseguire gli obiettivi cittadini di sviluppo residenziale.
Incoraggiare decisamente la realizzazione di opere di miglioramento territoriale anche al di fuori degli ambiti di trasformazione urbanistica, attraverso l’uso di contratti e convenzioni. La municipalità identifica le zone dove la carenza di infrastrutture sta creando effetti negativi a scala urbana, per provvedere a interventi prioritari.
Orientare la crescita verso zone dove sia possibile provvedere in modo efficiente a servizi e infrastrutture.
NOTA: QUI LA MAPPA ESTRATTA DAL SONOMA COUNTY PLAN (f.b.)
Titolo originale: Changing the Culture of “No”. A performance audit is one way to do it – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Avete visto quell’adesivo che dice “fate diventare l’assistenza difficile da ottenere: come una licenza edilizia”?
I dipendenti delle amministrazioni locali che lavorano allo sportello dei permessi possono anche trovarlo poco divertente, ma c’è del vero. La gente che viene a chiedere un’autorizzazione urbanistica o edilizia è abituata a sentirsi dire: “No, non puoi farlo”.
Negli ultimi dieci anni, dopo la pubblicazione di libri come Reinventing Government, parecchi governi locali si sono sforzati di diventare più amichevoli verso l’utenza, e di lavorare in modo simile a quello dell’impresa privata. Ma la maggior parte ha ottenuto scarsi risultati.
Questo forse perché molti uffici pubblici hanno una clientela diversificata, e devono equilibrare i vari interessi. Ci sono le associazioni di quartiere, i gruppi ambientalisti, e i contribuenti, che vogliono essere sicuri che i costruttori seguano alla lettera la legge.
Quella che segue è la storia di un ufficio pubblico che è riuscito a reinventarsi usando uno strumento chiamato valutazione di efficienza.
Choc culturale
La Clark County, nello stato di Washington, fa parte dell’area metropolitana di Portland-Vancouver (2,4 milioni di abitanti complessivi). La regione (e gli stati dell’Oregon e di Washington) è fisicamente e politicamente divisa dal fiume Columbia. Il censimento del 2000 mostra che la Clark County è la contea con crescita più rapida di tutto lo stato. Oggi ha una popolazione di 534.191 persone, a cui se ne aggiungono 28 ogni giorno. Questo significa che 10 nuove famiglie ogni giorno hanno bisogno di case, scuole, uffici, negozi.
I 150 dipendenti dell’ufficio responsabile per il territorio, l’urbanistica, le opere pubbliche, l’edilizia, esaminano progetti di nuove costruzioni per 500 milioni di dollari ogni anno. Quando sono diventato direttore di questo planning department nel gennaio 1999, il consiglio dei commissari mi ha informato che la mia priorità assoluta era quella di “cambiare la cultura” dell’ufficio.
La percezione del pubblico era che il nostro settore fosse inefficiente, indifferente, poco sensibile ai bisogni dell’utenza. E non era davvero importante, se questa percezione corrispondesse al vero, oppure no.
Ma cos’è la cultura dell’organizzazione, e come si fa a cambiarla? Gli autori del libro Improvement Driven Government, nel 1996 definiscono la cultura dell’organizzazione come “insieme di nozioni, norme e valori, formali e informali, che sottostanno ai modi in cui gli appartenenti all’organizzazione si comportano e reagiscono ai cambiamenti”. Gli autori proseguono poi dicendo che il cambiamento può avvenire quando si definiscono gli obiettivi e si comprendono le variabili che è possibile trasformare per conseguirli.
Sapevo di dover realizzare cambiamenti concreti nel modo in cui il dipartimento svolgeva le sue attività: ma quali passi dovevo fare? Nel loro lavoro classico sul management, In Search of Excellence, Tom Peters e Robert Waterman notano che “alcune delle azioni più rischiose che compiamo riguardano l’alterazione delle strutture organizzative. Le emozioni scorrono spontanee, e quasi tutti si sentono minacciati”. Sapevo di non poter semplicemente emanare un editto, che imponeva allo staff di cambiare. Questo mi avrebbe reso il cattivo, indifferente ai bisogni (e ai problemi) dei miei dipendenti.
Per prima cosa dovevo capire bene la situazione, e il miglior modo di farlo era con una valutazione di efficienza, ovvero un esame oggettivo e sistematico delle strutture amministrative, dei loro programmi, delle loro attività. Una valutazione tipicamente si utilizza quando un ufficio pubblico ha difficoltà a svolgere le proprie funzioni, ma serve anche a perfezionare operazioni in corso.
Per iniziare, decisi di coinvolgere una terza parte neutrale. La prima persona della lista era Greg Kimsey, nominato valutatore di contea nel 1999 nel quadro di una verifica di efficienza. Ero già stato coinvolto in due operazioni simili e le ritenevo un importante strumento di gestione. Per questo motivo fermai Kimsey per strada, mi presentai, e gli chiesi di valutare il mio ufficio.
Sono sicuro che mi prese per un tipo strano. Ma avevo tre buone ragioni per la mia richiesta. In primo luogo sarebbe stato merito mio se avessi chiesto da subito una valutazione prestazionale nel mio ambito (e un demerito se me ne fosse stata imposta una più tardi). In secondo luogo, ritenevo che il nuovo valutatore di contea volesse che il suo primo incarico si concludesse con un clamoroso successo. Sarebbe stato il solo modo per dimostrare agli altri uffici che le valutazioni di efficienza erano una buona cosa. Terzo, credevo che la valutazione fosse il miglior veicolo per realizzare una vera trasformazione culturale.
Avevo alcune idee chiare su come trasformare la verifica in un successo per tutti. Convinsi delle mie proposte l’amministratore, i commissari e il valutatore, dicendo che avremmo ingaggiato un gruppo di lavoro di esperti esterno, che i funzionari avrebbero accettato a e considerato alla pari.
Lo schieramento delle forze
Nel febbraio 1999, la contea incaricò la Citygate Associates di Folsom, California. I suoi responsabili erano ex dipendenti di amministrazioni locali. Uno dei membri del gruppo di lavoro era Bruce McClendon, direttore del Community and Environmental Services Department della Orange County, Florida, ed ex presidente della American Planning Association. Il livello della squadra di consulenza si impose immediatamente all’attenzione dell’ufficio.
Si sarebbe trattato di uno dei processi di valutazione di efficienza più approfonditi mai condotti da un gruppo del genere negli USA. La contea stanziò un bilancio di 240.000 dollari per esso. Sembrano parecchi soldi, ma va considerato che il mio bilancio totale è di 12 milioni di dollari l’anno. La valutazione costava solo il 2% del bilancio totale, e le sue raccomandazioni potevano cambiare il dipartimento per anni a venire.
Tutti sapevamo che la cosa comportava dei rischi. Se una consulenza di così alto profilo e dispendiosa avesse mancato di produrre risultati tangibili, ci sarebbero state serie ripercussioni politiche. In altre parole, avrei potuto perdere il mio lavoro.
All’inizio, fummo tutti d’accordo sul fatto che la valutazione non sarebbe stata una caccia alle streghe, ma un lavoro di squadra in positivo. Questo accordo di base diventò la chiave del successo di tutta l’operazione. Era un fattore critico, l’eliminare le paure implicite in un’operazione del genere. Progressivamente, tutti iniziarono a lavorare insieme per identificare miglioramenti sostanziali e verificabili.
Nel dicembre, la Citygate consegnò il suo rapporto finale, con 44 raccomandazioni. Alcune di esse concernevano problemi basilari nel rapporto con l’utenza:
Nessuno mi richiama. Ciascuna persona dell’ufficio, me compreso, iniziò a tenere diari telefonici. Stabilimmo obiettivi, e realizzammo una percentuale di richiamate entro le 24 ore del 95%
Hai perso la mia pratica. Organizzammo un sistema di controllo della documentazione chiudendo le aree non-pubbliche dell’edificio in modo che tutti i documenti arrivassero allo sportello e potessero essere rintracciati. Facemmo capire ai dipendenti che lo smarrimento dei documenti era grave quanto l’assenteismo cronico. Cominciammo anche a digitalizzare tutta la documentazione, così che potesse essere connessa attraverso il sistema computerizzato delle autorizzazioni. Ora c’era meno carta da poter smarrire, e meno tempo dei funzionari passato negli archivi.
Cosa sta succedendo alla mia domanda? Incaricammo a tempo pieno un ombudsman (a dire il vero è una ombudswoman) che fungesse da difensore dell’utenza. Ha lo stesso livello funzionale di un direttore di divisione e riferisce direttamente al sottoscritto. Se qualcuno è costretto ad aspettare un permesso a lungo senza motivo, ha il potere di accelerare la pratica. Iniziammo anche a mettere sul sito web tutti gli aggiornamenti, così che l’utenza non dovesse per forza chiamarci per conoscere lo stato delle pratiche.
Avere autorizzazioni è scomodo. Il nostro nuovo motto è “Non fare la fila: vai in rete” [ Don’t stand in line. Go online]. Stiamo lavorando per consentire transazioni economiche elettroniche, così che sia possibile ottenere alcuni permessi direttamente tramite internet.
Voi non capite i problemi dell’impresa privata!Abbiamo invitato banchieri, funzionari di agenzie di cambio, investitori immobiliari, mediatori, costruttori, avvocati del settore urbanistico e altri a parlare ai dipendenti dell’ufficio dei loro problemi.
Le altre raccomandazioni del rapporto Citygate riguardavano:
Sviluppare metodi di misurazione dell’efficienza.
Creare una procedura “tutto compreso” meno onerosa.
Istituire un case management system per le pratiche di autorizzazione.
Fare del servizio all’utenza una realtà.
Aumentare le procedure che non richiedono approvazione consiliare, ma solo quella dei funzionari.
Ridurre i tempi di esame tecnico ad un massimo di tre fasi, o organizzarlo per gruppi.
Riscrivere le regole edilizie della contea.
Aumentare i funzionari ispettivi per migliorare la qualità del servizio.
Investire in nuove tecnologie per le ispezioni edilizie, antincendio, strutturali.
Migliorare le valutazioni di costo in modo che chiunque sappia quanto viene a costare un’autorizzazione.
La definizione di un sistema
Indipendentemente dalla valutazione di efficienza, riorganizzai l’ufficio per ottenere un matrix management. Si tratta di una tecnica di gestione ampiamente utilizzata nelle imprese di costruzione, sanitarie, di ricerca. Gli ingredienti chiave sono partecipazione, una buona comunicazione interna, fiducia reciproca.
La maggior parte degli uffici pubblici si basa su un sistema di autorità verticale. Ciò è particolarmente vero per le strutture esecutive di un ufficio dello sceriffo di contea, o un carcere, o una caserma dei pompieri. Con il matrix management, la comunicazione viaggia in entrambe le direzioni. Un sistema del genere funziona molto bene per un ufficio come il mio, dove già esiste un modello collaborativo.
Il risultato fu l’articolazione per responsabili di divisione (programmazione urbanistica, pianificazione esecutiva, opere pubbliche, edilizia, servizi antincendio, ispezioni e verifiche) e per responsabili di funzioni estese a tutto il dipartimento (bilancio, risolse umane, controllo di qualità, pianificazione strategica). Questa trasformazione aumentò la nostra capacità di capire e gestire un ufficio così ampio. I due gruppi di managers costruirono anche un interessante schema di controlli ed equilibrio. In altre parole, cominciai a recepire contemporaneamente due punti di vista su qualunque questione organizzativa.
Esiste una tendenza dei managers di programma a dire al proprio direttore che va tutto bene, anche quando non è vero. I managers esecutivi possono evitarlo, identificando le aree di problemi potenziali riguardo al personale, l’efficienza, le finanze.
Risultati
Nell’aprile 2001, il consiglio dei commissari di contea approvò il primo piano strategico quinquennale dell’ufficio, prodotto collaterale della verifica di efficienza. La delibera è incorniciata e sta appesa fuori dalla mia porta.
Uno dei risultati immediati fu la promessa, da parte del consiglio, che avrebbe preso in considerazione la possibilità di incrementare le nostre tariffe e risorse, se avessimo seguito le nostre stesse raccomandazioni. Lo facemmo, e le lamentele rivolte all’ufficio crollarono di colpo. Questo fu l’indicatore di successo più importante. Dopo un breve periodo, il consiglio accettò di lasciarci applicare tariffe sufficienti a recuperare l’intero costo delle procedure.
Lo scorso gennaio il principale giornale locale, il Columbian, ha pubblicato a proposito un editoriale molto positivo, e un articolo intitolato “ L’Ufficio del NO sta cambiando”. L’articolo usciva proprio mentre il verificatore di contea stava terminando un esame dei nostri sforzi per attuare le raccomandazioni di efficienza. Nell’articolo si citavano parecchi legali in campo urbanistico, costruttori, ambientalisti e attivisti di quartiere, i quali testimoniavano di aver notato significativi mutamenti culturali all’interno dell’ufficio.
Ma ci vuole più di una verifica di efficienza per cambiare una cultura. Questo tipo di trasformazioni riguarda le persone, i loro valori. Come disse uno dei miei collaboratori all’inizio della verifica: “Si può salire sul treno, o scendere dal treno”. Negli ultimi cinque anni, ho visto un ricambio del 50% nel gruppo dei dirigenti. Ci sono state parecchie sostituzioni anche fra i quadri esecutivi. Ora stiamo molto attenti nelle assunzioni, e il personale esecutivo è diventato la fonte principale di innovazione e trasformazione.
Ricordo sempre ai miei collaboratori di non dire mai “MAI”. Invece, di dire agli utenti che c’è sempre una possibilità: un’autorizzazione con qualche vincolo, una variante parziale, una al piano generale o a un comma delle norme. Scelte del genere possono comportare un voto di consiglio, la commissione urbanistica o anche quella di contea: ma il messaggio deve essere che il richiedente ha opzioni concrete.
Adottiamo sempre l’idea di miglioramento continuo. A dire il vero, abbiamo appena terminato il periodo di prova di una nuova procedura denominata express permitting. Lo scopo è quello di esaminare i principali progetti di trasformazione, dalla fase di approvazione a quella di apertura dei cantieri, entro 90 giorni, o meno.
Per ironia, la maggior parte delle lamentele che mi arrivano ora da costruttori e cittadini riguardano il fatto che stiamo cambiando troppo in fretta. Siamo passati dall’essere una burocrazia inflessibile ad un modello fin troppo flessibile. Beh: questa è una lamentela che posso accettare.
Nota: qui il link al testo originale sul numero di Planning del dicembre 2004: a semplice titolo di esempio di quanto riferito nel testo, allego qui di seguito un file PDF che elenca per il 2004 gli strumenti di comunicazione pubblica messi in campo dalla stessa Clark County/Planning Department per quanto riguarda il piano generale. Ulteriori informazioni sono ovviamente disponibili direttamente al sito di Contea (f.b.)
Dal documento elaborato per la campagna elettorale 2004: La visione di Kerry e Edwards per un ambiente più pulito, un’economia più forte e comunità più sane – Estratti e traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
“Non c’è un ambito con maggior bisogno di una nuova visione di quello relativo alle decisioni in materia di salute e ambiente. Intuiamo che l’America è tanto sana quanto l’acqua che bevono i nostri bambini, l’aria che respirano, i prati e i parchi dove giocano e ridono, le città dove vivono. La domanda è se, sapendolo, la nostra generazione lascerà a i nostri nipoti e pronipoti una terra più pulita, non più degradata; più bella, non più inquinata; più sana e sicura per i bambini e gli altri esseri viventi di quanto non sia il mondo che abbiamo ereditato da nostri genitori e nonni”.
John Kerry, 9 febbraio 2003
PER IL SUO IMPEGNO DI OLTRE TRENT’ANNI A FAVORE DELL’AMBIENTE, JOHN KERRY È STATO DEFINITO True Environmental Hero, il maggior sostenitore dell’ambiente in Senato, e si è guadagnato il sostegno della League of Conservation Voters, delSierra Club, dei Friends of the Earth Action, e dei Defenders of Wildlife Action Fund
John Kerry e John Edwards credono che tutti gli Americani condividano alcuni fondamentali “diritti” ambientali:
Insieme a questi diritti, ci sono le responsabilità di assicurare queste benedizioni alle generazioni future. L’amministrazione Bush-Cheney non ha fatto nulla per proteggere questi diritti, e pensa invece che la protezione dell’ambiente significhi perdita di posti di lavoro. Si sbagliano. La nostra forza economica come nazione (e l’amore e il rispetto profondamente radicati negli americani per la loro magnifica terra) dipende dal nostro impegno per l’aria pulita, l’acqua, i parchi e gli spazi aperti.
Nel corso di tutta la sua carriera, John Kerry è stato un leader ambientalista, e ha lottato per risanare le discariche inquinate, mantenere pulite l’aria e l’acqua, proteggere lo Arctic National Wildlife Refuge e altre grandi aree di interesse naturale. La League of Conservation Voters ha definito Kerry un “campione dell’ambiente”. Oltre a sostenere importanti iniziative, John Kerry ci ha indicato l’inaccettabile arretramento dell’amministrazione Bush sulle norme ambientali guadagnate con fatica, la sua concezione superata di acque a aria pulita, i nostri tesori nazionali sacrificati nel nome del profitto di breve termine.
Da presidente, John Kerry fisserà nuovi standards di eccellenza ambientale per l’America. Seguirà in modo deciso un programma che faccia onore ai suoi tesori, e paghi un tributo alla sua storia, rinnovando la promessa di aria e acqua pulita e di un paesaggio ricco e per tutti. John Kerry e John Edwards riconoscono che questo dobbiamo alle nostre famiglie, alle nostre comunità e al nostro pianeta: raggiungere i nostri scopi ambientali. Per farlo, John Kerry e John Edwards hanno delineato un piano in quattro punti per rafforzare i valori ambientali d’America, rendendo più forte la nostra economia:
1) Un rinnovato e costante impegno per “Comunità pulite e nel verde”.
2) Un nuovo “Patto di Tutela” con l’America per proteggere e rivalutare i Parchi Nazionali, le terre e altri tesori per il beneficio delle generazioni future.
3) Proteggere la salute riducendo le emissioni inquinanti pericolose.
4) Una nuova campagna per “Ripulire le acque d’America”.
IL PIANO D’AZIONE KERRY-EDWARDS
1. Un rinnovato e costante impegno per “Comunità pulite e nel verde”
John Kerry e John Edwards cedono sia necessario sostenere con forza un programma “Comunità pulite e nel verde” che porti miglioramenti ambientali negli spazi di città e piccoli centri. Per aiutare a fare di ogni comunità una comunità vede e pulita, John Kerry e John Edwards lavorano per:
• Bonificare i siti contaminati e rivitalizzare le zone industriali d’America; creare Zone di priorità ambientale.
Il programma Superfund (che per vent’anni è stato la spina dorsale dell’impegno nazionale di bonifica dei siti contaminati) ha rallentato sin quasi a fermarsi sotto l’amministrazione Bush. L’Agenzia Federale dell’Ambiente dell’era Bush-Cheney ha assistito passiva mentre le risorse finanziarie del Superfund Trust Fund sono drasticamente diminuite, prosciugate dalla scadenza della “tassa sull’inquinamento” applicata a prodotti chimici e petroliferi. L’amministrazione ora sta tentando di finanziare le bonifiche con la fiscalità generale, su base “paga volta per volta”, minando la priorità tradizionalmente accordata alla pulizia dei siti contaminati, e girando le spalle al principio secondo cui “gli inquinatori pagano”.
John Kerry è stato un forte sostenitore del programma Superfund sin dall’inizio. Nel quadro del suo piano “Città verdi e pulite”, Kerry intende rivitalizzare questa iniziativa chiave. Fornirà al programma Superfund una solida base finanziaria lavora ndo in collaborazione col Congresso per ripristinare la “tassa sull’inquinamento” per prodotti chimici e petroliferi.
Promuovere la Giustizia Ambientale
John Kerry utilizzerà i fondi del Superfund anche per promuovere la Giustizia Ambientale, sostenendo le comunità che subiscono impatti sproporzionati da siti contaminati, aumentando l’attenzione del programma sugli ex siti industriali che degradano le città e ne bloccano lo sviluppo economico, creando Zone di Priorità Ambientale [ Environmental Empowerment Zones] su cui orientare in modo particolare le risorse federali. Kerry campisce che è possibile innescare la rivitalizzazione delle città investendo nella binifica dei siti industriali abbandonati. L’investimento in ambiente è tutt’uno con lo sviluppo economico.
• Mettere i veleni fuori dalle nostre comunità
I siti a cui si rivolge il programma Superfund non rappresentano i soli rischi ambientali delle nostre comunità. I veleni stanno tutto intorno a noi. Le vernici a base di piombo continuano ad essere un significativo rischio per i bambini in alcune città, e ora sappiamo che anche molti dei nostri arredi in legno dei campi gioco sono rifiniti con arsenico; residui di sostanze chimiche anti-combustione e altri elementi presenti ovunque si stanno rendendo evidenti nei tessuti umani, e anche nel latte materno.
L’amministrazione Bush ha ignorato queste nuove prove dell’invadenza dei veleni. Di fronte alle decisioni critiche da prendersi per proteggere abitanti e consumatori, l’amministrazione Bush non ha usato i poteri conferiti dal leggi come il Toxic Substances Control Act, il Food Quality Protection Act, il Safe Drinking Water Act, e alte norme pensate per proteggere il cittadino. John Kerry e John Edwards sono profondamente preoccupati per le nuove prove di quanto siamo tutti esposti ai veleni nelle nostre comunità, e di quanto alcune sostanze tossiche si stiano accumulando come tare nei nostri tessuti e nel nostro sangue.
Prevenire l’esposizione ai veleni
L’amministrazione Kerry-Edwards istituirà una Toxics Task Force presso l’Agenzia dell’Ambiente allo scopo di identificare, valutare e prevenire l’esposizione ai veleni, che minacciano la sanità pubblica, e quella dei cittadini più vulnerabili: anziani e bambini.
• Garantire che i nostri figli abbiano accesso a campi da gioco e parchi
John Kerry e John Edwards credono che esista un rapporto diretto fra investire nell’ambiente e migliorare la qualità della vita. Tutti ci ricordiamo di quando, da ragazzi, ci divertivamo a stare con familiari e amici nel parchi locali, o a esplorare sentieri nei boschi, o giocare a palla nei prati vicino a casa.
OGNI BAMBINO D’AMERICA DOVRÀ AVER ACCESSO A UN PARCO COMODO, ADATTO, PULITO E SICURO
L’impegno di Kerry e Edwards per “Città verdi e pulite” significa che ogni bambino in America dovrà aver accesso a un parco o campo da gioco comodo, sicuro, pulito. L’amministrazione Kerry- Edwards onorerà questo impegno e rivitalizzerà e amplierà di nostri parchi e zone per il tempo libero, finanziando lo Urban Park and Recreation Recovery Program (UPARR) con risorse del Land and Water Conservation Fund. La riuscita di questo programma sarà misurata da una semplice verifica: i bambini possono o no, accedere a campi da gioco e parchi puliti e sicuri?
• Affrontare la congestione e lo sprawl
Gli americani sono molto fieri del fatto che le nostre comunità stiano crescendo e prosperando. In assenza di governo su come stiamo crescendo, senza adeguate risorse (come l’acqua) e infrastrutture, scopriamo però che molti dei nostri centri città sono in crisi, mentre i suburbi soffocano di traffico. La nostra qualità della vita soffre del fatto che bruciamo più carburante in traffico e pendolarismo, verso destinazioni sempre più lontane.
John Kerry e John Edwards riconoscono che le comunità locali si stanno misurando sui modi per affrontare i problemi della congestione da traffico e dello sprawl. Il ruolo del governo federale rispetto a questi problemi è limitato; sono gli stati e le amministrazioni locali gli enti nella posizione migliore per promuovere un’edificazione in aree già urbanizzate [ in-fill development], coordinare i programmi di crescita alla disponibilità di acqua e altri servizi municipali, affrontare la pianificazione dei trasporti a lungo raggio. Nondimeno, traffico e sprawl pongono seri problemi ambientali, e condizionano la qualità della vita nelle nostre comunità.
Schierare tutte le possibili risorse per ridurre lo sprawl
John Kerry e John Edwards metteranno in campo tutti gli opportuni strumenti federali per assistere i governi statali e le amministrazioni locali a misurarsi con questo difficile problema. Le politiche federali sui trasporti, gli incentivi per la casa, l’uso di fondi federali per l’occupazione o per acquisire parchi e spazi aperti: tutto sarà coordinato in modo da concentrarsi sulla congestione da traffico e combattere lo sprawl distruttivo, per “Città verdi e pulite” in tutta l’America.
2. Un nuovo “Patto di Tutela” con l’America per proteggere e rivalutare i Parchi Nazionali, le terre e altri tesori a beneficio delle generazioni future
L’amministrazione Bush ha camminato con stivali chiodati sui tesori d’America. Nello zelo per far ricavare profitti ai suoi amici del settore estrattivo, questa amministrazione corre ad aprire le porte di terreni vergini pubblici alle trivellazioni, creando un boom pericoloso di stampo moderno come non se ne sono visti prima, e che da’ pochissimo peso al valore dei luoghi selvaggi e remoti d’America. Le continue pressioni per aprire il Arctic National Wildlife Refuge alle trivellazioni sono solo il più famigerato esempio della volontà di sacrificare i tesori naturali che dovremmo tenere in serbo al beneficio delle future generazioni. Contemporaneamente, dopo aver promesso di attivare un programma di manutenzione di lungo periodo per i Parchi Nazionali, l’amministrazione Bush non ha mantenuto i suoi impegni, premendo per “privatizzare” i servizi pubblici offerti dai Parchi.
John Kerry è stato un vigoroso sostenitore dei nostri tesori nazionali. Ha guidato la battaglia contro la riaperura dello Arctic National Wildlife Refuge alle trivellazioni petrolifere e ha lottato per conservare e ampliare le zone naturali e le aree protette. John Kerry riconosce che le terre pubbliche ci hanno dato risorse prezione di legname, minerali ed energetiche negli anni, ma non consentirà che interessi particolari scavalchino la nostra responsabilità di essere guardiani delle nostre risorse per le generazioni future. Si oppone con forza alla tendenza dell’amministrazione Bush allo sfruttamento a breve termine delle terre pubbliche. John Kerry e John Edwards stabiliranno un “Patto di tutela” [ Conservation Covenant] col popolo americano, per trattare con cura le nostre terre pubbliche e conservare i tesori d’America per i nostri figli, e i loro figli. Per attuare il Patto di tutela, John Kerry e John Edwards si impegnano a:
• Reinvestire le royalties delle estrazioni da terre pubbliche nella protezione di aree pubbliche e zone speciali protette
Quando le terre pubbliche cominciarono a pagare dividendi al popolo americano sotto forma di royalties dalle vendite di gas e petrolio, il presidente Lyndon Johnson fu pioniere nell’approvazione del Land and Water Conservation Fund, che destina i fondi guadagnati dallo sfruttamento delle risorse pubbliche d’America alla conservazione delle nostre terre. John Kerry si è battuto per finanziare adeguatamente il Land and Water Conservation Fund, e terrà fede al suo “Patto di tutela” assicurandosi che siano rese disponibili ampie risorse finanziarie per proteggere le aree e acque minacciate, investire in parchi urbani, offrire opportunità per il tempo libero a tutti gli americani. L’amministrazione Bush non ha mantenuto la promessa di finanziare adeguatamente il Land and Water Conservation Fund. John Kerry lavorerà insieme al Congresso per consolidare questo finanziamento, in modo tale che l’America possa contare sulla disponibilità costante di risorse da investire nella conservazione, senza doversi appoggiare alle incertezze di un bilancio annuale.
• Chiedere che il governo federale valuti i costi economici ed ambientali di lungo termine connessi allo sfruttamento delle aree naturali remote, prima che esse vengano aperte ad operazioni economiche
L’amministrazione Bush spaccia dati statistici sulla “fattibilità tecnica” delle trivellazioni per gas naturale e petrolio su parecchie delle nostre più incontaminate e remote terre pubbliche. Sostiene che l’estremismo ambientalista è un ostacolo ad uno sviluppo energeticamente responsabile delle terre pubbliche. John Kerry e John Edwards sostengono lo sviluppo energetico su terre pubbliche là dove tale sviluppo può avvenire su solide basi economiche, e senza impatti ambientali negativi. Come ha sottolineato recentemente un centro studi non di parte (la Rand Corporation), il goveno federale al momento non analizza le proprie terre per determinare quali possano offrire un ritorno economico a investimenti nel campo del gas e petrolio, né quali siano ambientalmente sensibili.
Nell’ambito del “Patto di tutela” John Kerry intende cambiare l’approccio casuale attuale alla concessione allo sfruttamento di terre pubbliche, e disciplinare ogni futuro uso energetico ad analisi economiche e ambientali. La posta in gioco, e le nostre responsabilità verso le generazioni, sono troppo alte, per continuare a prendere scorciatoie.
• Rafforzare le garanzie che imprese e privati concessionari di terre pubbliche le restituiscano allo stato originario dopo aver completato lo sfruttamento energetico, a pascolo, o a legname
Le imprese U.S.A. o straniere che scavano, trivellano o ricavano legname sulle terre pubbliche hanno poche responsabilità riguardo alla loro restituzione allo stato originario dopo aver tratto profitti dalla proprietà pubblica. I requisiti di ripristino e bonifica cambiano da caso a caso, e sono pieni di scappatoie che ci lasciano paesaggi deturpati e macchinari ad arrugginire sulle terre pubbliche per i futuri decenni.
Eliminare le scappatoie che danneggiano le terre pubbliche
Il “Patto di tutela” di Kerry e Edwards eliminerà tutte le scappatoie, per governare le terre pubbliche per quello che sono, come fareste voi stessi. John Kerry e John Edwards lavoreranno con il Congresso e le agenzie federali per accertarsi che nessuno possa usare terre pubbliche e poi andarsene senza prendersi la responsabilità piena di restituirle alle condizioni originarie.
• Ripristinare la tutele delle Roadless Areas nelle foreste pubbliche, e proibire lo sfruttamento a legname nelle zone a foresta antica e specie rare
L’amministrazione Bush ha abbandonato il sistema di protezione varato da quella Clinton per roadless areas nelle foreste nazionali, nonostante il vasto consenso pubblico per la tutela di queste risorse uniche, che salvaguardano i nostri bacini idrici e la fauna selvatica, offrono spazi per il tempo libero e saranno di beneficio alle generazioni future. John Kerry ha sostenuto queste politiche della presidenza Clinton, come milioni di altri americani, per proteggere le roadless areas da pratiche di sfruttamento a legname distruttive (e spesso diseconomiche). Se eletto, John Kerry rivedrà le leggi su questoa rgomento.
Proteggere le nostre foreste
In più, il “Patto di tutela” Kerry-Edwards porrà fine allo sfruttamento a legname delel specie rare sulle terre pubbliche. Queste risorse saranno tutelate, nell’amministrazione Kerry- Edwards.
• Rispettare la solitudine e bellezza delle zone naturali e dei parchi nazionali vietando l’uso di snowmobiles e Jet-Ski a Yellowstone e in altre zone sensibili, e informando chiaramente gli utenti dei parchi sui problemi della flora e della fauna
John Kerry ripristinerà il divieto posto dall’amministrazione Clinton ai mezzi rumorosi e inquinanti, che hanno percorso alcune delle più preziose aree naturali, come lo Yellowstone National Park e il Grand Teton National Park. Le snowmobiles, i jet-ski e altri mezzi per spostamenti fuori strada hanno altri spazi, e non sono adeguati alle aree sensibili naturali, ai più preziosi tesori allo stato selvaggio.
John Kerry farà quello che l’amministrazione Bush ha solo promesso (ma completamente mancato di realizzare): dare una solida base finanziaria ai parchi, venendo incontro alle necessità della manutenzione sinora rinviate, a quelle dei servizi ai visitatori, a quelle della tutela delle risorse sensibili.
• Promuovere il tema della Biodiversità a livello nazionale, e attuare lo Endangered Species Act in forme cooperative, che estendano i benefici della protezione degli habitat naturali alle altre zone di proprietà pubblica e privata
L’amministrazione Bush è saltata sul carro dei conservatori di destra nel criticare lo Endangered Species Act come inattuabile, una legge ambientalmente estremista che calpestava i diritti della proprietà privata. Senza alcuna base scientifica, si è spinto il Congresso a esentare i militari da una adeguata tutela delle aree sensibili terrestri e marine. L’amministrazione Bush vuole che questa legge (pietra miliare dello sforzo nazionale per proteggere la natura e la biodiversità) fallisca.
John Kerry e John Edwards si impegnano ad attuare la legge in modo da favorire sia la natura che i proprietari. L’amministrazione Kerry-Edwards siglerà accordi di cooperazione coi privati per proteggere le specie in pericolo, garantendo parallelamente diritti a chi sviluppa attività entro le proprie terre, senza rischio di contestazioni. Per facilitare l’attuazione della legge, John Kerry unificherà il lavoro (ora svolto in parallelo) delle due agenzie federali che si occupano dello Endangered Species Act (il Fish and Wildlife Service, e il National Marine Fisheries Service), e richiederà adeguati finanziamenti al Congresso per consentire ai funzionari pubblici di mettere in pratica la legge secondo le migliori conoscenze scientifiche disponibili.
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Nota: il materiale è tratto da un sito della campagna elettorale di John F. Kerry e John Edwards (fb)
Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini [testo datato al settembre 2001, ma inserito in un complesso documentale e processuale di piano aggiornato al dicembre 2004]
Capitolo 3, Tecniche e strumenti, parte C: Strumenti di iniziativa pubblica non utilizzati correntemente a livello di città o contea
Greenway-Corridor Plan
Una greenway è una striscia si territorio non edificato che in genere si estende lungo un elemento definito, come un corso d’acqua, un crinale, una linea ferroviaria in disuso. La pianificazione delle greenways parte dal tentativo di identificare questi corridoi, e successivamente creare uno schema di collegamenti a connetterli. Nella Montgomery County, il lavoro di realizzazione dello Huckleberry Trail (un parco lineare a collegare Blacksburg con Christiansburg) costruisce un corridoio- greenway organizzato attorno alla striscia di pertinenza di una linea ferroviaria abbandonata.
Questo tipo di piani è diventato sempre più importante fra gli strumenti di area vasta in molte zone degli Stati Uniti, come mezzo per:
incrementare i percorsi di mobilità non motorizzata, che forniscono un’alternativa di trasporto non inquinante;
offrire una struttura per le attività di tempo libero;
conservare un habitat per la fauna selvatica locale e migratoria;
stabilire aree verdi di interposizione lungo corridoi naturali fragili;
stabilire aree verdi di interposizione fra diversi usi del suolo;
offrire una rete di collegamento fra varie aree per il tempo libero.
La città di Blacksburg ha iniziato un sistema di percorsi pedonali e ciclabili negli anni ’70 per aiutare l’accessibilità del Virginia Tech a studenti e docenti, e alleviare i problemi di parcheggio urbano. Questi corridoi di mobilità non motorizzata sono diventati la componente base di un piano di greenways per l’intera città. Progetti recenti hanno individuato un’altra greenway nell’area di South Main Street. Questi progetti e lo Huckleberry Trail mostrano come nella Montgomery County stia prendendo piede una strategia complessiva di greenways.
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Azzonamento per lotti di grandi dimensioni
Il large-lot zoning, conosciuto anche come low-residential zoning, è stato un tipo di azzonamento molto usato in tutto lo Stato. Le dimensioni dei lotti abitualmente variavano da due a dieci ettari per ogni abitazione. L’utilità percepita del large-lot zoning si basa sulla teoria secondo cui limitando la densità dell’edificato si possono tutelare meglio gli spazi aperti e il carattere rurale di un’area.
Né la Montgomery County né Blacksburg hanno mai emesso ordinanze di zoning di questo tipo. Alcune aree della Virginia le hanno invece adottate, come a Fauquier County, Fairfax County, e Rappahannock County.
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Il performance zoning è una tecnica relativamente nuova, pensata per valutare l’urbanizzazione secondo un criterio del “caso per caso”. Il processo comporta la predisposizione di un’analisi dettagliata delle condizioni esistenti nell’area, e di stime relative ai possibili impatti sui servizi urbani, l’ambiente, il sistema socioeconomico locale, e altri elementi individuati dall’amministrazione. Sulla base di queste analisi, vengono assegnati dei punteggi ai progetti, per ciascuno degli standards fissati in precedenza. Sulla base dei punteggi, il progetto è approvato o respinto. Uno degli scopi del performance zoning è che il costruttore deve dimostrare alla città che il progetto non costerà più di quanto è in grado di produrre in termini fiscali e di reddito.
Il performance zoning non è utilizzato in Virginia, ma alcune città degli stati di New York, New Jersey, e Pennsylvania l’anno sperimentato con vario successo. In Virginia, la Bedford County utilizza una tecnica chiamata Land Use Guidance System (LUGS). Simile al performance zoning, il LUGS utilizza un sistema a punteggio per classificare i progetti, e non vengono definite aree omogenee. Il LUGS rappresenta un adattamento modificato del performance zoning e si basa ampiamente su laboratori di progettazione partecipata per stabilire i punteggi dei progetti presentati.
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Le norme sul right-to-farm sono intese a conservare, proteggere e incoraggiare l’agricoltura e la forestazione a livello statale e locale. Queste leggi o ordinanze tutelano i proprietari di campagne e boschi da alcune azioni legali contro gli impatti delle loro attività, come gli odori, il rumore, gli insetti, la polvere e altre esternalità associate a questi tipi di produzioni. Quarantasette stati, compresa la Virginia, hanno emanato leggi right-to-farm. Il Virginia Right to Farm Act (Code of Virginia Title 3.1, Chapter 4.5) tutela le attività di coltivazione e forestazione stabilite da oltre un anno, da azioni legali per nocività da parte di proprietari adiacenti. Ma il Virginia non impedisce del tutto azioni contro i disturbi contro agricoltura e forestazione. Perché la denuncia sia presa in considerazione, il Right to Farm Act chiede al querelante di fornire prove di negligenza o azioni improprie da parte del coltivatore. I proprietari vicini possono anche querelare le attività che cambino significativamente le proprie modalità operative.
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Fasce verdi di interposizione e arretramenti
Sia i buffers che i setbacks sono strumenti di pianificazione comuni, utilizzati per vari obiettivi, alcuni dei quali connessi alla tutela ambientale. Fasce di interposizione e arretramenti possono essere usati per migliorare le visuali, proteggre le attività agricole da usi adiacenti non coerenti, separare i corsi d’acqua dall’inquinamento diffuso. Arretrare significa che le strutture devono essere poste ad una specifica distanza da un elemento. L’arretramento può essere una distanza fissa (es. quindici metri da un corso d’acqua), o variabile a seconda del tipo di elemento e delle caratteristiche del contesto (arretramento rispetto a un corso d’acqua determinato dalla pendenza del terreno, dal tipo di suoli, dalla dimensione del corso d’acqua). Le fasce di interposizione sono un concetto diverso. Il termine “ buffer” indica il fatto che qualcosa (tipicamente, vegetazione) deve stare all’interno dell’area per proteggere fisicamente l’elemento ambientale (es. piante a filtrare l’inquinamento diffuso). La quantità di protezione offerta dai buffers e dai setbacks dipende dagli usi consentiti, e dalle restrizioni imposte nell’area interessata.
Sia Blacksburg che la Montgomery County utilizzano lo strumento dell’arretramento nelle proprie ordinanze di zoning. Nessuna amministrazione si è dotata di specifici strumenti di arretramento o fasce di interposizione per proteggere elementi ambientali e/o spazi aperti. In molte località della Virginia esistono norme restrittive di arretramento o fascia di interposizione orientate alla tutela di elementi ambientali. Per esempio, la Albemarle County richiede che gli edifici e i pozzi perdenti nei pressi di corsi d’acqua siano arretrati di 60 metri dal margine dell’alveo principale, e di 30 metri da quello dei corsi d’acqua secondari.
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Zoning “a scalare”
L’azzonamento cosiddetto “ sliding-scale” spesso è utilizzato per proteggere il carattere rurale, le zone critiche, i terreni agricoli. Questo tipo di approccio diminuisce le densità edilizie consentite man mano aumenta la dimensione dei terreni edificabili. Per esempio, un terreno di 10 ettari con lo sliding-scale zoning può essere suddiviso in 2 lotti, ma se l’appezzamento è di 50 ettari i lotti diventano solo 4, e se gli ettari diventano 250 i lotti si limitano a 10. Nella maggior parte dei casi, le densità permesse con questo sistema a scalare si basano su alcune caratteristiche fisiche ed ecologiche. Tipicamente, la densità consentita è fissata dal grado di importanza conferito dalla comunità alla zona da tutelare (in base a fattori come la qualità dei terreni agricoli, le pendenze, la distanza da acqua superficiali, presenza di zone umide). Maggiore questa importanza, minore la densità su una scala decrescente. L’efficacia di questa tecnica dipende dall’assegnare le basse densità adeguate alle zone di tutela degli spazi aperti.
Lo sliding-scale zoning si attua tramite la convenzionale ordinanza. È necessaria una modifica addizionale delle norme per verificare che le densità vengano calcolate in base alle corrette caratteristiche fisiche (e per accertare presenza o assenza di queste caratteristiche in un determinato ambito).
Al momento la Montgomery County e Blacksburg non applicano lo sliding-scale zoning. Nel 1981, la Highland County, Virginia, ha adottato un approccio del genere negli insediamenti di case unifamiliari in distretto agricolo (zona A-1). Scopo dichiarato di queste aree era quello di “mantenere e promuovere i caratteri di spazio aperto, rurale, agricolo, forestale della zona A-1”. Lo sliding-scale zoning della Highland County limita il numero delle case unifamiliari a una ogni 7 ettari per terreni di questa dimensione, e sono consentite solo 11 unità per appezzamenti di 200 ettari e oltre.
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Norme per le aree di forte pendenza
L’edificazione sulle pendenze ripide (superiori al 25%) può essere causa di grave erosione del suolo, sedimentazione, inquinamento idrico, impatti negativi sulle visuali di crinale, problemi di smaltimento delle acque luride. Comunque l’esistenza di forti pendenze non preclude l’edificazione. Nel determinare le densità edilizie su pendenze superiori al 25%, giocano un ruolo determinante fattori quali il tipo di suolo, le caratteristiche geologiche, i caratteri della vegetazione di copertura. Le amministrazioni che contengono entro i propri pendenze ripide e “sensibili” rispetto all’edificazione, talvolta adottano misure di protezione. Una protezione che può essere attuata attraverso distretti omogenei, norme di azzonamento, regole di lottizzazione. Alcune amministrazioni adottano il divieto di edificare su tutte le pendenze superiori al 25%; altre limitano la quantità di aree in cui è consentita qualche trasformazione. Altre ancora limitano le quantità edilizie su pendenze ripide in base a fattori quali il tipo di suolo, i caratteri geologici, la vegetazione di copertura.
La Montgomery County e Blacksburg non hanno norme per le zone ripide in nessuno dei propri strumenti urbanistici.
La Albemarle County, Virginia, ha un’ordinanza di questo tipo che consente l’edificazione ma proibisce edifici e pozzi perdenti sulle parti del lotto che superano il 25% di pendenza.
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Standards di governo delle acque reflue
La gestione delle acque reflue riguarda la quantità e qualità del run-off da ciascun insediamento. Il Code of Virginia (Title 10.1, Chapter 6, Article 1.1) offre alle amministrazioni un programma opzionale di gestione nell’ambito delle State Stormwater Regulations. Questo stormwater-management program è obbligatorio per le città con popolazione superiore a 100.000 abitanti, e istituzioni come il Virginia Tech. Le caratteristiche di tale programma comprendono: il deflusso di acque dopo l’edificazione deve essere mantenuto a livelli uguali o inferiori a quelli precedenti; i permessi di edificazione non possono essere rilasciati fino a quando non è stato approvato il relativo piano di stormwater-management; si devono effettuare preliminarmente analisi tecniche quali il calcolo del volume di run-off attuale e di progetto, le velocità, gli effetti finali sui corsi d’acqua. In più, le amministrazioni locali possono applicare programmi più restrittivi di quelli dello Stato. Uno dei metodi di governo del sistema di deflusso delle acque è quello di realizzare bacini di ritenzione o detenzione per le acque. Questi bacini o vasche possono essere progettati per offrire anche strutture per il tempo libero, allo stesso tempo proteggendo la qualità delle acque, rallentando il deflusso e riducendo il livello degli inquinanti.
Nonostante ci siano elementi riguardanti la gestione delle acque reflue all’interno della ordinanza sui sedimenti e le erosioni di Blacksburg e della Montgomery County, nessuna delle due amministrazioni ha adottato l’ordinanza opzionale di gestione offerta dallo Stato. Ad ogni modo, alcuni dei progetti in corso di realizzazione nelle due circoscrizioni stanno utilizzando le parti relative alle acque reflue dell’ordinanza su erosioni e sedimenti, per creare zone di spazi aperti. Amministrazioni più grandi in Virginia stanno iniziando a interessansi delle quantità e qualità delle acque reflue a causa delle regole EPA, e molte di loro probabilmente metteranno in relazione le proprie norme a quelle per gli spazi aperti.
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Trasferimento dei diritti edificatori (TDR)
Il TDR è uno strumento di pianificazione relativamente recente, pensato per proteggere le aree sensibili dall’edificazione consentendo o richiedendo il trasferimento dei diritti edificatori da una località considerata inadatta ad un’altra più appropriata. I TDR possono essere fissati come obbligatori o volontari. In entrambi i casi, si indicano zone mittenti dove l’edificazione è scoraggiata, e zone destinatarie dove si incoraggia e ospita una crescita ad alta densità. I proprietari delle zone mittente possono cedere i propri diritti edificatori a quelli delle zone destinatarie. Acquistando i diritti, i proprietari delle zone destinatarie possono edificare a densità maggiori di quelle consentite normalmente dalle regole di zoning. In un sistema TDR di tipo obbligatorio, i proprietari nelle aree mittente hanno forti limitazioni edilizie imposte sulle proprie zone. Tali limitazioni, sono superate dalla possibilità di vendere i diritti edificatori ai proprietari delle aree destinatarie che desiderano costruire a densità più elevate.
Il TDR al momento non è consentito in Virginia, ma alcune amministrazioni locali in stati come Maryland e New Jersey hanno sperimentato programmi TDR con vario successo. Si tratta di un concetto ancora in corso di evoluzione, che sembra funzionare quando esiste adeguata preparazione e coinvolgimento pubblico.
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Confini di sviluppo urbano (urban growth boundaries , UGB)
La versione più semplice di uno UGB consta di un perimetro “disegnato” attornoa un’area urbanizzata, all’interno del quale è fortemente incoraggiato lo sviluppo urbano, e all’esterno del quale l’edificazione è limitata. Entro i margini dell’area urbana, si realizzano i servizi e le infrastrutture per accogliere una crescita futura calcolata sui 10-20 anni. Gli UGBs sono utilizzati a due scopi: (1) promuovere schemi insediativi compatti e continui che possano essere efficacemente serviti dalle attrezzature pubbliche; (2) conservare gli spazi aperti, le terre agricole, le zone ambientalmente sensibili, poco adatte ad uno sviluppo di tipo urbano.
AL momento, l’Oregon ha strette norme di UGB, che consentono alle amministrazioni locali di prevenire quasi qualunque tipo di sviluppo al di fuori delle designate urban-growth areas. La maggior parte delle amministrazioni locali della Virginia fissano alcuni distretti di crescita urbana, ma l’attuazione di queste linee di piano non è rigida come nel caso dell’Oregon. Gli urban-growth districts della Virginia sono aree dove sono particolarmente focalizzati i controlli sull’uso del suolo a gli investimenti in infrastrutture.
Un esempio di UGB in senso stretto in Virginia è la “ green line” di Virginia Beach, che limita le infrastrutture e le quantità edilizie nella parte meridionale della città. La parte settentrionale è designata area di crescita e provvista di tutte le necessarie infrastrutture. La “ green line” è tuttora attiva a Virginia Beach, ma a causa di manipolazioni politiche a seguito delle proteste di proprietari confinanti, è stata cambiata la disposizione della linea. Il fatto di spostare la “ green line” su pressione dei proprietari fa pensare che l’amministrazione locale di Virginia Beach abbia fissato un precedente tale da indebolire, almeno in sede locale, lo stesso concetto di UGB.
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La designazione a paesaggio fluviale di interesse statale
Lo Scenic Rivers Act è stato approvato dalla Virginia General Assembly nel 1970. Questa legge autorizza la costituzione di un sistema paesistico fluviale allo scopo di identificare, proteggere e conservare alcuni fiumi, o parti di essi, dotati di bellezza naturale o bucolica. La designazione comporta alcune tutele per questi fiumi e conferisce ai proprietari di terre rivierasche e ad altri abitanti locali un maggior potere nelle scelte pubbliche che possano agire negativamente sul loro fiume. Sono stati sinora designati come paesaggio di interesse statale 17 tratti di fiume (per un totale di oltre 500 km).
Sezioni del New e del Little River che scorrono attraverso la Montgomery County, sono state studiate e ritenute adatte per richiedere la designazione di Scenic-River (vedi il Virginia Outdoors Plan del 1989). Quando è stata proposta questa designazione al Montgomery County Board of Supervisors nella primavera del 1992, l’idea non è stata sostenuta a causa dell’opposizione dei cittadini.
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Nota: l’intera documentazione relativa allo Open Space Plan, e relativi links ad altri siti istituzionali (per normativa di riferimento ecc.) è disponibile sul sito della Montgomery County, Virginia (fb)
Titolo originale: Transfer of Development Rights - Smart Growth Recommendations – Estratti e traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Perché abbiamo bisogno del TDR[ Transfer of Development Rights n.d.T.]
Le municipalità del New Jersey hanno acquisito un nuovo strumento di crescita sostenibile nel marzo 2004, quando il governatore James E. McGreevey ha firmato lo State Transfer of Development Rights Act (TDR). La legge diventerà efficace dal settembre 2004.
Il TDR offre alle città un metodo importante di conservazione degli spazi aperti e di crescita, senza dover acquisire i terreni. Questo è di particolare importanza, dato che non c’è denaro sufficiente pubblico o privato per comperare tutti gli spazi naturali, agricoli o a parco del New Jersey che necessitano di tutela. Contemporaneamente, il prezzo dei terreni sta crescendo in modo rapido, e gli spazi disponibili si stanno restringendo.
Il costo medio per ettaro dei terreni tutelati a spazi aperti secondo il programma statale Green Acres è salito dell’87% fra il 1998 e il 2003. La media dei costi dei terreni agricoli protetti dai programmai statali nello stesso periodo si è incrementata del 68%. Le acquisizioni sono finanziate dal denaro dei contribuenti.
Nel frattempo, nonostante i nostri sforzi di conservazione, stiamo cedendo circa 5.000 ettari di terra agricola e 4.000 di altri spazi aperti l’anno all’edificazione: si perdono annualmente e complessivamente 9.000 ettari.
Oltre che con l’acquisizione dei terreni, è possibile salvaguardare gli spazi aperti governare lo sprawl anche attraverso incentivi orientati al mercato immobiliare. Il trasferimento dei diritti edificatori, o TDR, ci dà esattamente uno strumento di questo tipo. Inserendo la possibilità di TDR negli strumenti di pianificazione, le municipalità possono consentire il trasferimento dei diritti da aree storiche, rurali, naturali, verso altre aree dove si intende edificare. I proprietari di terreni destinati alla conservazione possono vendere i propri diritti ai costruttori, accettando la convenzione restrittiva che tutela in modo perpetuo dall’edificazione le loro proprietà.
Coi TDR, le città conservano i propri spazi aperti ad un costo molto inferiore a quello dell’acquisizione. Lo sviluppo è diretto verso località in cui potrà contribuire alla crescita locale e regionale. TDR sono stati impiegati con successo nelle New Jersey Pinelands e in alcuni centri della Burlington County (oltre che in molte aree e centri di altri Stati). Ma sino ad ora le altre città del New Jersey non erano autorizzate ad utilizzare questo importante strumento di smart growth al massimo delle sue potenzialità. Ora, i TDR si rendono disponibili per aiutare qualunque amministrazione a governare meglio le spinte allo sviluppo.
Come funzionano i TDR
Il trasferimento dei diritti edificatori inizia con un piano urbanistico che identifica aree di crescita e aree di conservazione. Le zone di crescita devono essere attrezzate (o destinate ad esserlo) con infrastrutture quali fogne o trasporti pubblici. Le aree di conservazione possono essere agricole, distretti storici, o ambiti a sensibilità ambientale. I programmi di TDR possono essere sia di scala regionale che gestiti da una singola amministrazione municipale.
Il trasferimento dei diritti edificatori riconosce ai proprietari un “pacco” di diritti, tra cui ci può essere quello di coltivazione, estrazione, edificazione, cessione a terzi, e via dicendo. Alcuni, o tutti, questi diritti possono essere trasferiti o venduti ad un altro soggetto. I programmi di TDR consentono ai proprietari di terreni destinati alla conservazione di vendere i propri diritti edificatori sulla area “mittente” a un costruttore sull’area di crescita, o “destinataria”. Quando i diritti sono trasferiti dall’area mittente a quella destinataria, la prima è vincolata tramite convenzione restrittiva. Acquisendo diritti, un costruttore dell’area destinataria può edificare a densità maggiori di quelle consentite dallo zoning di base.
I programmi di Transfer of Development Rights consentono transazioni di mercato, in cui proprietari e costruttori comprano e vendono diritti edificatori. Una “banca” diq uesti diritti può aiutare creare questo mercato, acquisenso i diritti dai proprietari nelle aree di conservazione, e cedendoli più tardi a costruttori in aree di crescita che desiderano realizzare densità più alte. Il capitale della banca opera come credito rotativo, colmato dai costruttori che acquistano i diritti. Le banche TDR possono essere gestite dallo stato, dalla regione o dall’ente locale.
In New Jersey, una norma del 1993 (N.J.S.A. 4:1C-49 e seguenti) istituisce una banca del genere, con capitale 20 milioni di dollari. La banca TDR offre:
1) Finanziamenti per acquistare diritti edificatori nelle aree mittenti;
2) Una copertura del 50% alle municipalità per le spese di pianificazione;
3) Assistenza tecnica.
La disponibilità sul mercato dei diritti è un fattore critico per il successo dei piani di TDR. Le città devono pianificare accuratamente per stabilire nelle zone destinatarie destinazioni d’uso e infrastrutture adatte alla gestione di tutti i diritti trasferibili dalle zone mittente.
TDR rappresenta l’estensione di un concetto già in uso a livello municipale, noto come “ clustering.” Il clustering riconosce che alcuni luoghi sono più adatti di altri all’edificazione. Questa idea è applicabile ad una singola località, a un centro urbano, o a un’intera regione. Nella comune strategia di piano del cluster development, l’edificato si colloca nelle aree più adatte di una specifica zona, mentre il resto è destinato a spazi aperti. Il cluster development è autorizzato dalla New Jersey Municipal Land Use Law. (anche se questa legge — N.J.S.A. 40:55D-1 e seguenti — non è chiara se le municipalità abbiano autorità per richiedere di applicare cluster development su specifiche proprietà. Alcune amministrazioni hanno interpretato la legge come se lo consentisse, altre no).
Alcune città hanno utilizzato alcuen norme che consentono il cluster development su lotti non contigui (N.J.S.A. 40:55D-65(c)). Anche se si tratta di una pratica simile al TDR, le municipalità che la utilizzano non possono accedere alla banca statale TDR, che consentirebbe loro di gestire i diritti edificatori nel modo richiesto.
Un maggiore uso delle pratiche di clustering muoverebbe il New Jersey verso quelle di TDR. Tuttavia, senza la pianificazione generale cittadina richiesta dai programmi di trasferimento dei diritti edificatori, le pratiche di clustering non conseguiranno tutti i benefici dello sviluppo sostenibile.
Raccomandazioni per un efficace programma TDR
Lo State Transfer of Development Rights Act autorizza le municipalità di tutto il New Jersey, singole o riunite in gruppi, a stabilire un programma di trasferimento dei diritti edificatori, posto che sia stata approvata dalla State Planning Commission la loro domanda di Plan Endorsement. Plan Endorsement verifica che la pianificazione locale sia coerente agli obiettivi di sviluppo statali fissati nello State Development and Redevelopment Plan. Lo TDR Act (C.40:55D-137 e seguenti) si può consultare al sito web ufficiale http://www.njleg.state.nj.us, alla voce “ Statutes”.
Le norme sul trasferimento dei diritti edificatori consentono alle amministrazioni una certa flessibilità nell’applicarle. Il processo inizia con tre aggiunte al piano regolatore cittadino:
È necessaria anche un’analisi del mercato immobiliare condotta da un consulente abilitato, che rappresenta un “ reality check” per stabilire se i diritti edificatori che ci si attende di generare nelle zone mittente corrispondono a una domanda dei costruttori nelle zone destinatarie. I regolamenti per la redazione dell’analisi di mercato saranno emanati dal Department of Communities Affairs entro la fine di settembre 2004.
Una volta concluse queste fasi, la municipalità è pronta a stendere l’ordinanza di attuazione del programma. Prima di adottarla, questa deve essere esaminata e approvata dall’ufficio urbanistico della contea, dal punto di vista della coerenza rispetto alle prospettive regionali.
Le opzioni per la banca TDR
Per facilitare lo scambio di diritti edificatori, la legge consente alle municipalità e contee di creare una propria banca TDR, o di utilizzare quella statale. Le banche locali possono rivolgersi a quella statale o al programma di conservazione rurale, per le risorse destinate ad acquisire i diritti.
Sono disponibili forme di sostegno per i governi locali interessati al TDR sotto forma di:
Casi di applicazione con successo deiTDR
Chesterfield Township, New Jersey
Il piano regolatore cittadino orienta la crescita futura verso un nuovo centro urbano, dimensionato e organizzato per contenere tutte le potenzialità edificatorie residue, con una certa articolazione di tipi residenziali (comprese le case per ceti a basso reddito), negozi, servizi, una scuola e altri usi. I costruttori hanno forti incentivi all’acquisizione dei diritti edificatori dai proprietari in aree rurali circostanti il nuovo previsto villaggio, e conservare i caratteri rurali della zona.
Warwick, Pennsylvania
Quando questa municipalità della Lancaster County acquisisce diritti su aree rurali, può cederli a costruttori che vogliono incrementare la copertura dei lotti nell’area industriale cittadina. Per attivare il programma, l’amministrazione ha realizzato le infrastrutture nell’area destinataria, e si è associata con il Lancaster Farmland Trust e l’ufficio agricoltura di contea, che funge da broker (o banca TDR) per i diritti edificatori.
Montgomery County, Maryland
È il più vasto programma TDR a livello nazionale, e ha conservato più di 20.000 ettari di zone agricole attraverso transazioni private in un contesto suburbano ad alto reddito a nord est di Washington, D.C. Il programma è stato attivato per compensare i proprietari quando è stata istituita una vasta (45.000 ettari) riserva agricola. Ai proprietari sono stati assegnati diritti edificatori sulla base delle potenzialità già previste dall’azzonamento esistente. Per accogliere lo sviluppo edilizio futuro, sono stati accantonati 15.000 ettari di terre agricole. Al programma TDR se ne affianca un altro, più tradizionale, di PDR (Purchase of Development Rights) complementare, che offre ai proprietari una fonte alternativa di compensazione.
Nota: per confronto si vedano anche gli altri articoli proposti da Eddyburg sul tema TDR/USA, ancora nel caso del New Yersey, dal New York Times, e in quello della Georgia, da USA Today. Si allega di seguito il file PDF di questa traduzione (fb)
Transect Codeware Company [Studio DPZ, Andrés Duany, Elizabeth Plater-Zyberk, Miami, http://www.dpz.com ]
SmartCode per la città di Fort Myers, Florida
Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
Introduzione
1. Note sullo SmartCode
Le norme che seguono sono basate sul concetto del Transect. Sono uno strumento per la messa in pratica dei principi della Smart Growth.
• il documento consente di realizzare e riqualificare tessuti insediativi che comprendano Addensamenti, Quartieri Tradizionali, spazi orientati al Trasporto Pubblico nel quadro di un sistema regionale di Collegamenti;
• integra gli obiettivi di piano dalla scala regionale a quella del singolo edificio;
• integra i quadri ecologici dall’ambiente naturale a quello del centro città;
• incorpora informazioni GIS attraverso procedure standardizzate;
• integra metodi e standards di protezione ambientale e conservazione degli spazi aperti;
• integra il Trasferimento di Diritti Edificatori al fine di tutelare gli spazi aperti;
• individua categorie di azzonamento comuni alle aree non urbanizzate e a quelle di densificazione urbana;
• integra le abituali norme di zoning con altre relative alle architetture, al paesaggio, alla segnaletica;
• favorisce una gestione di tipo amministrativo anziché attraverso deliberazioni consiliari;
• specifica in modo parametrico standards numerici, a minimizzare il bisogno di varianti di piccola entità;
• incoraggia la formazione di alcuni schemi insediativi attraverso gli incentivi anziché le proibizioni;
• stabilisce parità, fra nuove urbanizzazioni su aree libere, e interventi di densificazione;
• integra le istruzioni per la redazione dei piani;
• e in generale incrementa la gamma di opzioni rispetto a quanto consentito dai tipi di norme tradizionali.
2. Gli obiettivi della Smart Growth
La Smart Growth incoraggia:
• uno sviluppo urbano innovativo, compatto, orientato alla mobilità pedonale;
• la tutela degli elementi di valore ambientale e culturale;
• l’unità di quartiere complessa come elemento base della città;
• la dimensione di quartiere fissata a partire da bacini pedonali in cui il centro è facilmente raggiungibile dalla maggior parte dei residenti;
• servizi commerciali per i bisogni domestici quotidiani reperibili entro il quartiere;
• posti di lavoro, inclusi quelli fisicamente integrati con gli alloggi, disponibili entro o a breve distanza dal quartiere;
• integrazione fra diverse tipologie residenziali, adatte a persone giovani e anziane, a chi abita solo e alle famiglie;
• investimenti equilibrati nei trasporti e infrastrutture urbane, mirati alla realizzazione di spazi ed edifici pubblici;
• scuole dell’obbligo disponibili nelle vicinanze della maggior parte degli alloggi;
• possibilità di trasporto che comprendano l’automobile, i mezzi pubblici e la bicicletta;
• una rete articolata di arterie stradali che disperdano il traffico e si connettano al sistema regionale;
• strade concepite allo stesso modo per pedoni, ciclisti, automobilisti;
• fronti stradali che nascondano i parcheggi e favoriscano le attività pedonali.
3. Il sistema del Transect (vedi illustrazione)
• il Transect è una tassonomia a base ambientale che si estende dalle zone naturali a quelle centrali urbane.
• il suo continuum, quando suddiviso in sezioni, si presta alla creazione di categorie di azzonamento.
• le zone di Transect si specificano per elementi coerenti, a favorire habitat immersi negli ambienti naturali, e/o insediamenti adatti alla vita urbana.
• le specifiche norme sono di tipo parametrico, a riflettere gli eco-toni autentici degli ambienti naturali e urbani.
• la complessità governata delle zone di Transect assicura un tipo di diversità simile a quello degli ambienti evoluti organicamente.
• il Transect integra metodologie di zoning e ambientali, in modo tale da eliminare i confini professionali degli approcci ecologico e sociale, consentendo agli ambientalisti di valutare il progetto dell’habitat umano, e agli urbanisti di favorire la vitalità di quello naturale.
4. Condizioni d’uso
• In assenza di altri accordi con la Duany Plater- Zyberk & Company (DPZ), tutti i diritti intellettuali associati a testi e diagrammi che appaio no in questo documento, con l’eccezione dell’idea di Transect, appartengono in esclusiva alla DPZ. Il possesso di questo documento in qualunque forma costituisce accettazione di tali condizioni.
• La DPZ ciò premesso dà licenza per queste norme alla città di Fort Myers. Sono autorizzati uso e modifica delle norme a sua discrezione, inteso che tali azioni in nessun modo mettano in discussione la proprietà intellettuale della DPZ
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Capitolo 1. Procedure
1.1 Descrizione
1.1.1 queste norme operano a scala di Site Plan per l’edificazione (vedi Capitolo 2). Per una scheda diagrammatica, vedi punto 3.7.
1.1.2 il piano per le aree centrali di Fort Meyers è stato predisposto dalla Downtown Redevelopment Agency.
1.1.3 i Site Plans sono di solito predisposti da un costruttore privato, o dal proprietario dell’area.
1.1.4 il Capitolo 2 contiene le istruzioni per predisporre un site plan e gli elementi da introdurre in esso.
1.1.5 il Capitolo 3 contiene i diagrammi e tabelle allegate alle prescrizioni tecniche di questo testo.
1.1.6 il Capitolo 4 contiene termini e definizioni afferenti a queste norme.
1.2 Applicabilità
1.2.1 le previsioni di queste norme, se in conflitto, prevalgono su altre norme, regolamenti, ordinanze, standards, con l’eccezione di quelli elencati al punto 1.6, che rimangono efficaci. Il Fort Myers Growth Management Code continua ad essere valido solo per le questioni non contemplate dalle presenti norme, eccetto dove si entri in contraddizione con esse (vedi Introduzione), nel qual caso il conflitto sarà risolto tramite procedura di Variante, descritta al punto 1.5.
1.2.2 le previsioni di queste norme si attivano con un “dovrà” [ shall] in caso di obbligatorietà; con “dovrebbe” [ should] in caso di raccomandazione; e con un “può” [ may] quando facoltative.
1.2.3 i termini utilizzati in queste norme dovranno essere considerati secondo il significato definito nel Capitolo 4. Le definizioni del Capitolo 4 possono contenere linguaggio regolativo che appartiene a queste norme. Nel caso di conflitto fra le presenti norme e le indicazioni del Fort Myers Growth Management Code, prevalgono Termini e Definitions delle Norme.
1.3 Incentivi
Per incoraggiare l’uso di queste Norme, nei limiti di quanto concesso dalla legge statale, la città di Fort Myers può offrire i seguenti incentivi:
1.3.1 le autorizzazioni edilizie possono seguire la via amministrativa anziché quella della discussione consiliare.
1.3.2 le domande possono essere esaminate con priorità rispetto ad altre relative a pratiche precedenti.
1.3.3 i contributi di revisione delle pratiche possono non essere richiesti.
1.3.4 le densità possono essere aumentate, a discrezione dell’amministrazione cittadina.
1.3.5 è possibile non richiedere una valutazione di impatto del traffico.
1.3.6 la municipalità può realizzare e mantenere le strade di connessione fra insediamenti adiacenti.
1.4 Iter
1.4.1 l’amministrazione di Fort Myers può istituire uno Urban Design Center (UDC).
1.4.2 lo UDC può essere incaricato dalla Downtown Redevlopment Agency di riferire sull’uso delle presenti norme, collaborare alla progettazione dei quartieri ed edifici basati su esse, e fungere da interfaccia unica fra costruttori e municipalità.
1.4.3 la Downtown Redevlopment Agency dovrà costituire uno Staff Action Committee (SAC) composto da rappresentanti di ciascuna delle varie agenzie di controllo con responsabilità nel rilasciare permessi di trasformazione. Lo SAC si riunirà per coordinare un rapido svolgimento delle pratiche di autorizzazione.
1.4.4 Domande che richiedano esclusivamente Warranted Variances saranno considerate dallo SAC come già esaminate e approvate dal punto di vista amministrativo.
1.5 Varianti e Violazioni
1.5.1 per accelerare le pratiche e lasciare all’amministrazione cittadina solo le questioni di maggior importanza, ci saranno due tipi di variante: variante ordinaria [ warrant] e variante straordinaria [ exception].
1.5.2 le varianti ordinarie consentono azioni non comprese nelle presenti norme, ma che sono giustificate da bisogno o necessità. Tali varianti possono trovare garanzia amministrativa attraverso il SAC. Le azioni seguenti sono escluse dalla variante ordinaria:
a. vicoli di servizio e nuove corsie stradali.
b. densità residenziali minime.
c. permessi per alloggi di complemento [ ancillary apartments].
d. localizzazione dei parcheggi.
1.5.3 le varianti straordinarie consentono azioni non inerenti i principi della Smart Growth, così come delineati nell’Introduzione. Queste varianti possono essere autorizzate tramite udienza pubblica da parte del Planning Board.
1.5.4 la richiesta di una variante straordinaria non sarà soggetta alla procedura completa di udienza pubblica, ma solo a quella parte necessaria a deliberare le questioni in oggetto.
1.5.5 il costruttore può presentare appello al Planning Board riguardo a decisioni prese dal SAC, o dalla Downtown Redevelopment Agency.
1.5.6 la varianti, ordinarie e straordinarie, saranno considerate casi a sé, e non costituiranno precedenti per altre decisioni.
1.5.7 nel caso in cui si verificasse una violazione del piano durante la costruzione, la Downtown Redevelopment Agency ha il diritto di richiedere al costruttore di interrompere, rimuovere, e/o modificare l’alterazione, o di chiedere al costruttore una procedura di variante straordinaria per integrare la violazione.
1.6 Prevalenze
1.6.1.1 le previsioni delle norme, ordinanze e standards seguenti, prevalgono sulle norme presenti.
1.6.1.1 limiti di localizzazione per funzioni dedicate agli adulti.
1.6.1.2 limiti di localizzazione per spacci di bevande alcoliche.
1.6.1.3 norme sui rumori.
1.6.1.4 norme sui rischi di inondazione.
1.6.1.5 norme sulla tutela storica.
1.6.1.6 standards di accessibilità.
1.6.1.7 standards di salubrità e sicurezza.
Capitolo 2. Site Plans
2.1 Istruzioni
2.1.1 lotti e edifici collocati entro ciascuna delle sei zone di Transect specificate dal Fort Myers Downtown Master Plan saranno soggetti ai seguenti requisiti.
2.1.2 il costruttore, o la Downtown Redevelopment Agency, dovrà predisporre un Site Plan per ciascun lotto o edificio seguendo le prescrizioni seguenti. I Site Plans predisposti dalla Downtown Redevelopment Agency richiedono solo approvazione amministrativa.
2.1.3 le caratteristiche di ciascuna delle zone di Transect descritte ai punti da 2.2 fino a 2.6 dovranno definire il progetto di lotti ed edifici riguardo alla disposizione, funzioni e configurazione, nonché agli standards architettonici, di paesaggio, parcheggi e segnaletica.
2.2 Norme applicabili a tutte le Zone
2.2.1 Organizzazione generale dell’edificato.
2.2.1.1 i lotti avranno le dimensioni mostrate nella sezione 3.7.1 tranne quando siano stati definiti precedentemente, nel qual caso possono essere ri-definiti per adeguarsi alle caratteristiche richieste.
2.2.1.2 la copertura dei lotti da parte dell’edificio sarà quella mostrata nella sezione 3.7.1.
2.2.1.3 su ciascun lotto è possibile realizzare un edificio principale sul fronte e uno secondario sul retro.
2.2.1.4 le facciate saranno costruite parallelamente alla linea del fronte principale o, se curve o spezzate, secondo una linea ad esso tangente.
2.2.1.5 gli arretramenti saranno quelli mostrati alla sezione 3.7.2. Nel caso di un lotto ad incremento di densità [ infill] l’arretramento sarà quello dei lotti adiacenti, oppure sarà stabilito attraverso variante ordinaria (vedi punto 1.5).
2.2.1.6 portici aperti, verande, balconate, parasole, bow-windows, possono occupare parte dell’arretramento stabilito. Gli arretramenti sul retro per gli edifici secondari dovranno essere di un minimo di 3,7 m dalla mezzeria della strada o vicolo. In assenza di strada, l’arretramento minimo sarà di 0 m.
2.2.1.7 i portici aperti possono sovrapporsi fino al 50% di profondità dell’arretramento.
2.7.1.8 sono vietati spazi di carico-scarico e aree di servizio sui fronti.
2.2.1.9 gli edifici nelle zone contrassegnate Secondary Grid ( B Street) sono esentati dai requisiti di queste norme.
2.2.1.10 i lotti d’angolo avranno un solo lato del fronte determinato dalla Downtown Redevelopment Agency. I requisiti di adeguamento alle varie disposizioni saranno definiti tramite variante ordinaria.
2.2.2 Configurazione generale dell’edificato.
2.2.2.1 i tipi edilizi saranno disposti come mostrato in sezione 3.7.3 e illustrato in sezione 3.1.
2.2.2.2 i tipi edilizi sui fronti saranno disposti come mostrato in sezione 3.7.4 e illustrato in sezione 3.2.
2.2.2.3 le altezze degli edifici saranno quelle mostrate in sezione 3.7.5 e illustrate in sezione 3.3.
2.2.3 Funzioni generali degli edifici.
2.2.3.1 l’uso a cui può essere destinato un edificio è quello mostrato in sezione 3.7.6 e definito in sezione 3.4.
2.2.3.2 le aree terziarie e commerciali saranno calcolate come equivalenti delle densità residenziali, con un rapporto di conversione di 46 mq per ciascun alloggio. Gli standards di parcheggio saranno quelli delle unità residenziali equivalenti.
2.2.3.3 l e funzioni degli edifici non espressamente consentite in sezione 3.7.6 e descritte in sezione 3.4, o che possano creare impatti negativi, richiedono approvazione tramite Variante. Gli impatti negativi comprendono anche (ma non solo) funzioni quali:
• commercio, servizi, riparazioni di automezzi
• negozi con parcheggi sul fronte stradale
• torri per ripetitori di telefonia cellulare
• canili e allevamenti animali
• depositi con grandi dimensioni o quantità di movimento merci
• segnaletica e tabelloni
• strutture commerciali drive-through, eccetto quelle del prestito bibliotecario
• stazioni di servizio
• campi da golf e vivai
• uffici di reclutamento, locande, cucine
• discariche
• zone di estrazione mineraria
• prigioni, eccetto quelle annesse a stazioni di polizia
• spazi per il deposito e trattamento di materiali di scarto, eccetto quelli per il riciclaggio
• terminali di trasporto, eccetto depositi di autobus, stazioni ferroviarie, attracchi di traghetti.
2.2.3.4 l’organizzazione delle densità nell’edificato sarà quella mostrata in sezione 3.7.7.
2.2.4 Standards generali di parcheggio.
2.2.4.1 i parcheggi saranno accessibili da vicoli o corsie di servizio sul retro, così come specificato.
2.2.4.2 nella cosiddetta Downtown Parking-Exempt Zone, il parcheggio resterà non regolamentato per quanto riguarda il numero di spazi richiesti. In tutte le altre zone, i parcheggi saranno come descritto nelle relative Tabelle (sezione 3.5) e in quelle dei parcheggi in condivisione (sezione 3.6). Le quantità di parcheggio possono essere soddisfatte da spazi collocati sino a 300 metri dalla proprietà interessata. Si dovrà realizzare un parcheggio per biciclette ogni quindici spazi per automobili in sede non stradale.
2.2.4.3 gli spazi a parcheggio in sede stradale lungo i fronti di ciascun lotto saranno conteggiati entro le quantità richieste.
2.2.4.4 i piazzali a parcheggio saranno collocati secondo Fasce, come descritto più avanti.
2.2.4.5 i piazzali a parcheggio saranno posti nella fascia specificata più avanti, e schermati rispetto al fronte da un edificio, una parete e/o una siepe lungo la strada. Gli edifici di separazione non devono avere parcheggi di pertinenza.
2.2.4.6 la larghezza dell’ingresso di un garage sul fronte, non deve superare quella di due corsie.
2.2.5 Standards architettonici generali.
I materiali nelle parti esterne saranno quelli specificati per le particolari Zone. In tutte le configurazioni, come alternativa al legno può essere utilizzato può Hardi-plank.
2.2.5.1 i materiali per le pareti possono essere combinati in facciata solo orizzontalmente, con i più pesanti sotto i più leggeri.
2.2.5.2 le finestre devono essere di vetro trasparente.
2.2.5.3 i tetti a falde molto inclinate, quando consentiti, dovranno essere simmetrici, con un angolo non inferiore a 4:12, eccetto per i portici, che possono avere coperture con pendenze non inferiori a 2:12.
2.2.5.4 i tetti piatti saranno delimitati da parapetti con altezza minima di 105 cm, o quanto necessario a nascondere impianti elettrici, secondo le richieste della SAC.
2.2.5.5 le aperture su facciate sopra il piano terreno non supereranno il 50% della superficie totale, con ciascun piano calcolato separatamente.
2.2.5.6 le facciate del pianterreno sui fronti commerciali a livello marciapiede saranno trattate e utilizzate a vetrine per non meno del 70% del fronte, lasciando una visuale minima di 6 metri verso l’interno.
2.2.5.7 portici aperti, verande, balconate, parasole, bow-windows, possono sovrapporsi a qualunque arretramento.
2.2.5.8 le aperture, portici, gallerie, arcate, finestre, devono essere quadrate, o a proporzioni verticali.
2.2.5.9 sono proibite porte e finestre scorrevoli lungo i fronti.
2.2.5.10 le recinzioni lungo i fronti dovranno essere in legno dipinto, o pali in Hardi-plank, o metallo con aspetto da “ferro battuto”. Le recinzioni sugli altri lati di delimitazione del lotto possono essere in legno dipinto o pali in Hardi-plank, metallo con aspetto da “ferro battuto”, tavole in legno o Hardi-plank, catene, muratura, alluminio o PVC.
2.2.6 Standards generali per l’arredo a verde.
2.2.6.1 si dovranno piantare al minimo un albero in corrispondenza di ciascun albero sulla strada, per ogni 7,5 metri di fronte, nella prima fascia di ciascun lotto, salvo diverse specificazioni.
2.2.6.2 le superfici scoperte saranno piantate e mantenute in corrispondenza della prima fascia di ciascun lotto, salvo diverse specificazioni.
2.2.7 Standards generali per la segnaletica.
2.2.7.1 i numeri civici saranno apposti all’edificio che identificano in prossimità dell’entrata principale, o della cassetta postale, con dimensioni verticali non superiori ai 30-60 cm.
2.2.7.2 per gli usi commerciali, può essere installata in modo permanente da ciascun esercizio un’insegna piatta perpendicolare alla facciata. Tale segnale non supererà gli 0,5 mq in totale, salvo diverse specificazioni per particolari zone.
2.2.7.3 la segnaletica può essere illuminata esternamente con qualunque colore, salvo specifiche di zona.
2.3 Norme per l’Area Urbana (T4)
2.3.1 (T4) Disposizioni per gli edifici (vedi sezione 3.7.1)
2.3.1.1 gli edifici dovranno avere le entrate principali affacciate sulla strada.
2.3.2 (T4) Configurazione degli edifici (vedi sezioni 3.7.4 e 3.7.5)
2.3.2.1 non ci sono requisiti aggiuntivi rispetto a quelli generali esposti in sezione 2.2.2.
2.3.3 (T4) Funzioni degli edifici (vedi sezione 3.7.6)
2.3.3.1 gli usi consentiti sono Residenza Limitata, Uffici e Alloggi temporanei [alberghi]. Il Commercio è limitato ai lotti d’angolo, non più di uno per isolato.
2.3.3.2 usi accessori di Alloggi temporanei Limitati, o Uffici Limitati sono permessi negli edifici accessori sul retro.
2.3.4 (T4) Standards di parcheggio (vedi sezioni 3.5 e 3.6)
2.3.4.1 tutte le zone a parcheggio saranno collocate nella Terza fascia del lotto, schermate da una parete o edificio di separazione. Le zone a parcheggi coperti si collocano nella Terza Fascia.
2.3.4.2 è possibile accedere ai parcheggi dal fronte strada tramite una corsia dedicata.
2.3.5 (T4) Standards architettonici.
2.3.5.1 i materiali per le finiture esterne su tutte le facciate sono limitati a: mattoni, tavole in legno, intonaco.
2.3.5.2 portici e balconate dovranno essere in legno dipinto.
2.3.5.3 gli edifici avranno tetti a falde.
2.3.5.4 le recinzioni sulla Prima Fascia del lotto saranno in legno dipinto, o pali in Hardi-plank o muro da giardino. Le recinzioni sulle altre Fasce potranno essere in legno dipinto, o pali in Hardi-plank o tavole in legno, catene, muratura o PVC.
2.3.6 (T4) Standards per l’arredo a verde.
2.3.6.1 non ci sono richieste aggiunte rispetto alle specificazioni generali (sezione 2.2.6).
2.3.7 (T4) Standards per la segnaletica.
2.3.7.1 i numeri civici dovranno essere apposti sugli edifici.
2.3.7.2 nel caso di uso a Uffici o Alloggi temporanei è possibile installare permanentemente un’insegna perpendicolare alla facciata. Questa insegna non avrà superficie maggiore a 0,5 mq.
2.3.7.3 le insegne saranno illuminate esternamente da lampadine.
2.4 Norme per le zone del Centro Urbano (T5)
2.4.1 (T5) Disposizioni per gli edifici (vedi sezione 3.7.1)
2.4.1.1 gli edifici dovranno avere l’entrata principale pedonale su una linea di fronte.
2.4.1.2 le facciate dovranno essere parallele alla linea di fronte principale per un minimo del 70 % del suo sviluppo, con arretramento da 0 a 3 metri rispetto a tale linea. In assenza di edifici lungo il resto della linea, si costruirà un muro stradale complanare alla facciata.
2.4.2 (T5) Configurazione degli edifici (vedi sezioni 3.7.4 e 3.7.5)
2.4.2.1 non ci sono requisiti addizionali rispetto a quelli generali della sezione 2.2.2.
2.4.2.2 gli edifici con uso residenziale dei piani terreni saranno sollevati al minimo di 60 cm rispetto al livello medio del marciapiede.
2.4.3 (T5) Funzioni degli edifici (vedi sezione 3.7.6)
2.4.3.1 gli usi consentiti sono Residenza senza limitazioni, Uffici, Commercio, Alloggi temporanei, Attività di manifattura leggera a basso impatto. Le funzioni commerciali ai pianterreni saranno consentite ovunque, e richieste sui fronti specificamente commerciali.
2.43.2 le attività manifatturiere al pianterreno saranno consentite con procedura di variante straordinaria.
2.4.4 (T5) Standards per i parcheggi (vedi sezioni 3.5 e 3.6)
2.4.4.1 tutte le zone a parcheggio saranno localizzate sulla Terza Fascia, e schermate da muri stradali o edifici di delimitazione.
2.4.4.2 i parcheggi saranno accessibili da una strada di servizio sul retro.
2.4.4.3 la quantità richiesta di parcheggi può essere realizzata in altro luogo interno al medesimo Bacino Pedonale, tramite procedura di variante ordinaria.
2.4.4.4 gli accessi pedonali a tutti i piazzali a parcheggio e strutture a parcheggio saranno diretti, dalla linea di fronte. Solo ai parcheggi sotterranei i pedoni potranno entrare direttamente dagli edifici.
2.4.4.5 l’ingresso carrabile sul fronte ai parcheggi o garages non dovrà essere più largo di 9 m.
2.4.5 (T5) Standards architettonici.
2.4.5.1 i materiali delle finiture esterne su tutte le facciate sono limitati a: pietra, mattoni, intonaco.
2.4.5.2 balconate, gallerie, arcate saranno di cemento, legno dipinto, o metallo.
2.4.5.3 gli edifici avranno tetti piatti, delimitati da parapetti, o coperture a falde.
2.4.5.4 sulla Prima Fascia saranno collocate pareti stradali lungo la linea di lotto.
2.4.5.5 le aperture, incluse finestre, portici, arcate, saranno quadrate o di proporzioni verticali.
2.4.6 (T5) Standards di arredo a verde.
2.4.6.1 la Prima Fascia sarà piantumata o pavimentata, corrispondentemente allo spazio stradale antistante.
2.4.7 (T5) Standards per la segnaletica.
2.4.7.1 è possibile applicare una striscia segnaletica alla facciata di ciascun edificio, senza limiti di lunghezza ma senza superare i 90 cm in altezza.
2.4.7.2 insegne piatte di superficie non superiore a 0,5 mq possono essere applicate perpendicolarmente alla facciata in corrispondenza dell’entrata di ciascuna attività.
2.4.7.3 la segnaletica sarà illuminata dall’esterno, salvo quella interna agli esercizi, che può essere al neon.
2.5 Norme per le aree del Nucleo Centrale (T6)
2.5.1 (T6) Disposizioni per gli edifici (vedi sezione 3.7.1)
2.5.1.1 è possibile realizzare un edificio principale su ogni lotto
2.5.1.2 le facciate saranno realizzate sulle linee principali di fronte, al minimo per l’80% della lunghezza, con un arretramento massimo consentito di 1,8 m. In assenza di facciata lungo il resto del fronte, si costruirà una parete stradale complanare alla facciata esistente.
2.5.1.3 gli edifici devono avere l’ingresso pedonale principale lungo una linea di fronte.
2.5.2 (T6) Configurazione degli edifici (vedi sezioni 3.7.4 e 3.7.5)
2.5.2.1 l’altezza degli edifici sarà al minimo di 2 piani e al massimo di 18 piani.
2.5.2.2 i piani a livello marciapiede non potranno avere altezza inferiore a 3,6 m da pavimento a soffitto. Gli edifici con il pianterreno a uso residenziale saranno sollevati dal livello medio del marciapiede di un minimo di 60 cm.
2.5.3 (T6) Funzioni degli edifici (vedi sezione 3.7.6)
2.5.3.1 i tipi di uso consentiti saranno Residential senza limiti, Uffici, Commercio, Alloggi temporanei e attività di Manifattura. Il commercio ai piani terreni è consentito in tutta la zona, ed è prescritto sui fronti specificamente commerciali
2.5.3.2 Le attività di Manifattura al pianterreno sono consentite tramite procedura di variante straordinaria.
2.5.4 (T6) Standards di parcheggio (vedi sezioni 3.5 e 3.6)
2.5.4.1 tutte le zone a parcheggio devono collocarsi in Terza Fascia, schermate da muri stradali o edifici di separazione.
2.5.4.2 gli accessi ai parcheggi avvengono attraverso una strada di servizio sul retro.
2.5.4.3 la quantità di parcheggi richiesta può essere realizzata in luoghi diversi, entro il medesimo Bacino Pedonale, tramite procedura di variante semplice.
2.5.4.4 gli ingressi pedonali a tutti i parcheggi e strutture per il parcheggio saranno diretti, dalla linea di affaccio. Solo i parcheggi sotterranei potranno avere ingressi pedonali direttamente dagli edifici.
2.5.4.5 l’ingresso carrabile a un parcheggio o garage su un fronte non avrà ampiezza superiore ai 9 me.
2.5.5 (T6) Standards architettonici.
2.5.5.1 i materiali per le finiture esterne di tutte le facciate si limitano a: pietra, mattoni, intonaco.
2.5.5.2 balconate, gallerie e arcate saranno realizzate in metallo o cemento.
2.5.5.3 gli edifici avranno tetti piatti o a falde.
2.5.5.4 nella Prima Fascia, lungo la linea di fronte dell’edificio si collocheranno pareti stradali.
2.5.6 (T6) Standards di arredo a verde.
2.5.6.1 la Prima Fascia sarà arredata a verde o pavimentata secondo l’organizzazione della strada antistante.
2.5.7 (T6) Standards per la segnaletica.
2.5.7.1 può essere applicata alla facciata di ciascun edificio un’insegna esterna a banda, purchè con qualsiasi lunghezza non si superi l’altezza di 90 cm.
2.5.7.2 insegne piatte, con superficie con superiore a 0,5 mq ciascuna, possono essere apposte perpendicolarmente alla facciata in corrispondenza di ciascun esercizio.
2.5.7.3 l la segnaletica può essere illuminata dall’interno, e quella delle vetrine dei singoli negozi può essere illuminata al neon.
2.6 Norme per i Distretti Speciali
2.6.1 Funzioni, disposizioni generali , configurazione, parcheggi, architetture, arredo a verde e segnaletica, saranno determinati nell’ambito delle varianti Ordinarie o Straordinarie di istituzione.
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Nota: qui il link alle mie osservazioni sulle norme californiane, già trattate da Eddyburg (e relativi links). Allego di seguito agli estratti su Fort Myers il corrispondente file PDF che ho predisposto a parte, e in cui forse le tabelle risultano più leggibili che a schermo o su stampato (fb)
TranSect, norme Fort Myers
Prima che l’alto dibattito in corso tra i riformisti nostrani arruoli anche George Dabliù fra le costole della sinistra, mi sia consentito spezzare una lancia a favore almeno di una costoletta: Terminator Schwarzenegger, che nelle scorse settimane ne ha fatta una buona.
Lo Stato della California ha infatti emendato la propria legge urbanistica, accogliendo le proposte stese in uno "White Paper" a cura del new urbanism. Evidentemente, anche a livello istituzionale e anche in una maggioranza repubblicana le meraviglie dello sprawl stanno smettendo di essere considerate tali, e il paesaggio di freeways, centri commerciali e villette, tutti rigidamente separati e connessi dalla sola automobile, diventa insostenibile.
L'insediamento diffuso nelle sue forme estreme non è però solo il frutto dell'intreccio fra le perversioni del mercato e l'inerzia progettuale, ma anche figlio della tradizione normativa americana, basata sullo zoning.
E la maggior parte delle ordinanze di zoning sono basate solo e rigidamente sulle destinazioni d’uso: la principale preoccupazione è di riunire usi dello spazio simili e correlati, separandoli da altri considerati incompatibili. Queste regole rendono impossibile realizzare qualcosa di simile agli spazi di alta qualità urbana che caratterizzano le parti storiche consolidate delle città. Edifici come quelli tradizionali coi portici o coi negozi sul fronte sono di fatto illegali, e i parcheggi davanti alle case sono non solo consentiti, ma in pratica obbligatori. In alcune zone degli Stati Uniti si sono sviluppati negli ultimi anni regolamenti basati sulla forma anziché sull’ uso. Si tratta di un approccio multidisciplinare che lega la rete della circolazione e degli spazi pubblici alle forme degli edifici e dei lotti edificabili, cercando esattamente quello stretto e virtuoso rapporto fra ambito pubblico e spazio privato che è la caratteristica peculiare delle città, e che manca totalmente nell’insediamento suburbano. Il codice basato sulla forma è stato definito nel documento preliminare redatto dal gruppo di new urbanists: “una scatola di montaggio dotata di istruzioni ... una ricetta per realizzare interi quartieri che comprendano ogni tipo di abitazione, e insieme i necessari usi commerciali per i suoi bisogni”. Ovvero, l’esatto contrario della segregazione funzionale che caratterizza lo sprawl, che è anche il frutto di una pianificazione frammentata fra i vari approcci dell’ambientalista, dell’ingegnere stradale, dei progettisti edilizi e di quelli dell’arredo a verde.
Finalmente, "Terminator" ha davvero terminato qualcosa, e la legge urbanistica californiana, nella sezione 65302(a) ha avuto inserito:
Testi e diagrammi sull’uso dello spazio, la localizzazione e dimensioni dei vari usi del suolo, le regole di azzonamento urbano attuative, possono anche esprimere le intenzioni della comunità riguardo al progetto delle forme urbane. Possono differenziare quartieri, distretti, corridoi, prescrivendo I vari usi misti e tipi residenziali, e regolare le correlazioni fra edifici e tra essi e lo spazio pubblico della strada.
In altre parole, le città se vogliono possono suggerire “schede progettuali” nei propri strumenti urbanistici, e nessuno può fare ricorso dicendo che così si va contro i valori dell’Occidente, la libertà di libero arbitrio, eccetera.
Scherzi a parte, e precisando per chi non l’avesse capito che non intendo arruolare nessuno: una buona cosa, pragmatica, e che delega alle comunità locali la scelta sulla qualità del proprio spazio.
Il che non c’entra nulla con destra e sinistra, né coi “valori” di cui tanto si parla in terra di Vanvera. Ma vallo a spiegare ai mozzi che si improvvisano grandi timonieri.
Nota: Sul sito della American Planning Association il dibattito della scorsa primavera sul tema. I particolari (e il documento tecnico preliminare redatto da Andrés Duany e altri del Congress for the New Urbanism) di questo emendamento californiano si raggiungono da un testo introduttivo del sito Planetizen (fb)
Ormai era chiaro: l’affare Eleforco era diventato talmente ingarbugliato e complesso che nessuno era più in grado di governarlo. Tuttavia sull’utilità dell’Eleforco – sulla sua necessità bisognerebbe dire – nessuno nutriva più il minimo dubbio.
Quando per la prima volta il conte Ottone s’era trovato nella necessità di decidere aveva convocato i maggiorenti al castello, s’era messo gli abiti più sontuosi che aveva – e soprattutto aveva evitato quelli rammendati –, aveva messo sotto pressione cuochi e cantinieri e servitori per preparare un gran pranzo con succulente portate e il vino migliore, aveva illuminato le sale con tutte le candele che possedeva e aveva fatto disporre anche molte torce che illuminassero a giorno la salita al castello – s’era all’inizio dell’inverno e, si sa, le giornate sono molto brevi tra quegli stretti fianchi dei monti – e negli interni aveva apprestato focolari supplementari ad integrazione dei camini, aveva esposto il problema per come lo conosceva lui e, infine, quando ormai tutti erano ben zavorrati di cibo, un poco brilli, ben riscaldati dai fuochi e molto allegri aveva comunicato la sua decisione: “Avremo l’Eleforco e lo metteremo nel paese più in basso, a Mezzoponte”.
Un generale “… ah, si …” aveva accolto la sua decisione ma nessuno aveva detto nulla: un po’ perché non tutti avevano sentito – qualcuno s’era ormai addormentato sotto il tavolo, qualcuno era talmente ubriaco che non aveva capito niente del gran discorso che il conte aveva fatto e qualcun altro stava correndo dietro alle servotte del conte o s’era rifugiato negli anfratti del castello a bere ancora qualcosa e uno s’era talmente perso tra scalette e corridoi che lo trovarono solo per caso il giorno dopo – e un po’ perché quelli che avevano sentito – pochi per la verità – o non sapevano proprio cosa dire o la cosa li lasciava del tutto indifferenti, anzi quella dell’Ottone era proprio stessa la decisione che avrebbero preso anch’essi.
E così il conte, sospettosamente, aspettò qualche tempo per mettere la decisione in atto.
La contea è un piccolo territorio di montagna. Tre soli paesi: Mezzoponte in basso quasi al confine con il marchesato – uno stato assai ricco che copre tutta la pianura ed ha un paio di paesi all’inizio della valle, tradizionale nemico che tiene ben stretti i passaggi verso la pianura nel timore che i sudditi del conte vengano giù a razziare campi e bestie visto che là in alto fanno una vita grama, sempre un gran freddo che arriva dai ghiacciai e che tanto coltivare i campi non gli riesce molto bene perché sono scoscesi e sassosi come tutte le terre di montagna –; Castello che come dice il nome stesso è dove abita da sempre nel castello la famiglia del conte Ottone che è un po’ il centro della contea – dove si fa il mercato e dove risiede oltre al maggior numero di abitanti anche un giudice il corpo di guardia ed il barbiere che all’occasione si occupa anche dei malati – e Làsopra, che non sembra proprio un nome, ma è il paese più in alto dove abitano una trentina di famiglie che vivono dei trasporti coi muli da una parte all’altra delle montagne – e che soprattutto l’inverno, quando la neve è alta e ci sono terribili tormente, fanno una vita durissima tra freddo valanghe e buio costante tra le gole più alte, una vita più difficile ancora di quella dei poveri contadini di Castello e di Mezzoponte. Làsopra ha una trentina di case strette una all’altra per via del freddo dell’inverno, ma così strette che i tettidi paglia si sormontano uno all’altro tanto che la neve non riesce neanche a toccare terra tra quei vicoli che sono molto stretti. E le case sono a due piani: sotto la stalla dei muli con certe porte strette con una smussatura quasi circolare a metà per far entrare le bestie con il loro basto, e sopra la famiglia – che tra l’altro si riscalda anche con il calore degli animali, attraverso il pavimento fatto solo di assi.
E il colle che sta in alto è il confine con una altro ricco regno al di là dei monti che è invece da tempo protettore della contea perché un’accorta politica matrimoniale degli antenati di Ottone ha certamente portato ad un imbruttimento delle fattezze familiari – e qualche cretino in più del giusto – ma ha garantito alla contea stabilità territoriale e quando necessita un difensore potente e con un grosso esercito che si confronti con le pur misere truppe del marchesato di pianura.
E non ci sono case isolate o piccoli villaggi perché nessuno si fida a vivere fuori dei tre paesi – che sono comunque rinchiusi entro un giro di mura, le stesse mura delle case con all’esterno piccole finestre solo in alto, con porte che hanno un portone di legno che la notte viene chiuso – perché gruppi di ladri e banditi e grassatori percorrono sovente questa valle da cima a fondo terrorizzando gli abitanti, imponendo pedaggi ai passeggeri e bruciando tutto quello che trovano di facilmente combustibile – campi di segale, foreste, ponti di legno, tetti delle case e cristiani se tra le mani gliene capita qualcuno –; ed una volta qualche tempo fa è arrivata persino una squadraccia di pirati berberi dal mare che è pur distante molte miglia, ed è al fondo di valli altrettanto inospitali e selvagge come questa, ed ha messo a ferro e fuoco i paesi ed ha distrutto le chiese ed il convento.
Nel giro di qualche giorno gli abitanti di Mezzoponte presero coscienza che l’Eleforco avrebbe dovuto essere collocato nel loro paese e non si dimostrarono per nulla entusiasti. Un mattino vicino alla porta verso monte comparve una scritta nera tracciata con un pennello sul muro “non lo voliamo l'eleforco”.
Il conte mandò due armigeri ad indagare prudentemente: che non arrestassero nessuno ma che cercassero di capire chi era l’autore della scritta e cosa c’era dietro – ispiratori, consenso popolare all’iniziativa, opinioni del paese, insomma tutte quelle cose che in un indagine ben fatta devono saltare fuori –. E poi, che senso aveva scrivere qualcosa sul muro in un paese in cui forse solo un paio persone potevano leggere? Era un messaggio per il duca?
Questo aveva detto l’Ottone agli armigeri e che andassero vestiti in borghese e soprattutto senza armi: “Una cosa riservata, prudente, mi raccomando …! Non fate la solita gazzarra”.
Fu subito chiaro che chi aveva scritto sul muro non era un letterato; lui aveva solo copiato in grande qualcosa che gli era stato dato da copiare. Esecutore materiale. Lui, chi? All’osteria con il prezioso aiuto di qualche bicchiere di vino il nome saltò fuori in fretta: era stato Matteo di Giovanni, quello che andava in giro a dipingere madonne e santi sulle case per un po’ di pane e un pezzo di formaggio.
Chi avesse composto la frase da copiare era più difficile da scoprire anche se peraltro il campo dei mandanti doveva essere ristretto a sole quattro persone, cioè quelli che a Mezzoponte sapevano leggere e scrivere: il prevosto – il prete Giovanni, un vecchio che era già vecchio quando era stato nominato dal vescovo prevosto per volere del conte stesso e per questo gli era molto riconoscente, e che era stato anche il maestro di tutti quelli che nel paese sapevano leggere –, Bertoldo degli Agnelli – che essendo un commerciante di lana che doveva trattare con certi mercanti veneziani che arrivavano fin lì per acquistarle era stato costretto ad imparare a leggere e scrivere ed anche a fare i conti per poter fare contratti con gli acquirenti e poi pagare i pastori e per trattenere il suo guadagno, con il quale peraltro era nel tempo diventato il banchiere del conte, ed anche per questo era costretto a tenere dei libri con su due colonne quello che gli aveva dato e quello che aveva ricevuto in segale, farina e zoccoli di legno che poi rivendeva a caro prezzo per aumentare il capitale e quindi poter imprestare sempre di più al conte –, il comandante delle guardie – che anche lui era stato costretto ad imparare a leggere e scrivere, ma scriveva male, perché doveva soltanto controllare le lettere degli stranieri che passavano il confine e le grida del conte ad uso degli abitanti di Mezzoponte – ed il piccolo Sebastiano – che, essendo devoto, il prete Giovanni sperava andasse a farsi prete e quindi lo seguiva nei suoi tentativi di lettura e scrittura che peraltro gli riuscivano assai bene –.
Chi poteva essere stato? scartato il bambino, che le guardie non osavano pensarlo, restavano in tre tutti in qualche maniera legati al conte chi per riconoscenza chi per interesse e chi perché era il di lui ufficiale rappresentante, ed è proprio per questa ragione che l’Ottone aveva mandato ad indagare due guardie di Castello, e per di più in borghese ed una che sapeva leggere. Le quali guardie non vennero però a capo di nulla e dopo qualche giorno di frequentazione intensa dell’osteria se ne tornarono a casa non senza aver notato che una seconda scritta era apparsa alla porta di valle del paese, tracciata da una seconda mano che aveva maldestramente ricopiato la prima scritta, e quindi era ancor più incerta con le lettere ancor più sghembe e un numero maggiore di errori d’ortografia.
Una seconda scritta! Ed ora toccava che lo dicessero al conte! Che paura.
Il conte decise allora di nominare una commissione di saggi – uno per ciascuno dei tre paesi – che risolvesse le questione di dove sistemare l’Eleforco.
Era composta dal già noto Bertoldo degli Agnelli, dal giudice Edoardo che stava a Castello e da Pierino, il maniscalco di Làsopra. L’aveva composta così perché gli pareva che potesse essere una commissione autorevole di tecnici – di scienziati – per via del fatto che c’era chi sapeva di economia chi di questioni legali e chi di medicina – perché la funzione del maniscalco era anche quella di cavare i denti quando facevano male e di propinare agli ammalati certi impiastri di erbe curative, che solo lui sapeva e che raccoglieva sui monti di nascosto –. Dopo molte riunioni la commissione andò dal conte a dirgli che non era stata in grado di trovare una mediazione accettabile su dove collocare l’Eleforco, ma gli consigliò di costituire una commissione popolare composta da due abitanti per paese che prendesse quella benedetta decisione.
Così si tolse dagli impicci la commissione scientifica ribaltando su altri l’onere di una sofferta decisione.
E scritte sul muro sempre meno comprensibili, perché copiate come si copia un disegno da scritte che erano già trascrizioni fatte da altri illetterati, comparvero prima a Castello – e questo al conte fece venire una gran rabbia, anche se anche lui era dell’opinione che l’Eleforco a Castello non ci dovesse proprio stare, c’era già lui – e poi a Làsopra, e pure al colle dove la fecero con grandi sassi bianchi portati dal vicino torrente e ben disposti su un prato verde ed in vista per chi saliva dalla valle del regno al di là dei monti.
Sebbene le scritte fossero sempre meno leggibili ebbero un grande impatto sulla popolazione delle contea che comunque non sapeva leggerle ma non parlava più d’altro; erano il segno che l’affare Eleforco era diventato scottante e complicato e che la scelta di dove metterlo coinvolgeva dividendola tutta la piccola contea. Ormai anche negli stati vicini si sapeva che in nessuno dei tre paesi l’Eleforco era desiderato e questo faceva molto male a Ottone che in fondo, pur conte di una piccola e povera contea di montagna, godeva presso i colleghi degli stati vicini di una certa autorità: che invece i suoi stessi devoti sudditi così apertamente gli contestavano.
Perché l’Eleforco era un animale che creava dei problemi.
Questo si sapeva di lui – ed era stato un grasso frate inglese che era transitato un giorno per il colle e che s’era fermato a Castello un po’ di tempo invaghito del leggero vinello di montagna (e qualcuno dice anche della serva dell’osteria, ma prove concrete non se ne trovarono mai) a raccontare le sue straordinarie caratteristiche al conte che l’aveva ospitato nel castello per qualche notte. Straordinarie caratteristiche che erano state confusamente confermate da qualche altro successivo viandante di passaggio –: delle dimensioni di un elefante e quindi molto alto e molto grosso, con un lunghissimo naso che arriva a terra e quattro gambe a forma e delle dimensione delle colonne del portico della chiesa di Castello; ma di fatto è un porco, e cioè mangia tutto quello che trova in terra non importa se verdure andate a male o pezzi di animale – lepri conigli cervi merli – anche carogne o pezzi di scodelle di terraglia o cose di legno rotte a patto che siano abbastanza piccole o stoffa anche se intessuta di fili di metallo; mangia e digerisce tutto e fa certi stronzi regolari lunghi un piede e larghi mezzo e secchi che messi nel camino bruciano molto lentamente facendo un gran calore e durano, uno stronzo, tutta la notte; e le sue carni quando non serve più, anche se è diventato molto vecchio, possono essere mangiate – come il porco – e tanto è grande e grosso che ci si può mangiare un anno in oltre cento persone. E poi la pelle e i denti e le ossa – tutte cose molto robuste – possono essere utilizzate per fabbricare armi collane tamburi e tante altre cose.
Grandi qualità complessivamente che lo rendevano utilissimo per tenere puliti tutti i tre paesi della contea, che bastava portarlo in giro per le strade e lui con il suo lungo naso avrebbe raccolto tutte le porcherie – anche il contenuto dei pitali che la mattina i bravi cittadini normalmente rovesciavano dalla finestra per le strade –.
Unico inconveniente, era stato detto, è che quando ha digerito dal suo lungo naso che tiene eretto verso il cielo e che sembra la gran canna del camino dell’officina del fabbro esce una puzza orrenda, ma soprattutto fa un terribile peto col di dietro che è come il suono di mille corni insieme – che uno una volta che era troppo vicino n’è addirittura morto – e l’aria che fa dal di dietro è in grado di distruggere tutto nel raggio di almeno cinquecento piedi – e cioè trancia di netto gli alberi grandi alla radice, abbatte muri anche quelli spessi tre o quattro piedi, sconquassa tutto sposta i sassi più grandi che partono come proiettili ma soprattutto, cosa che inquietava particolarmente qui tra queste pareti montuose sovente coperte di neve, può provocare le valanghe. E ci vuol poco; perché tra la neve che è sempre tanta e i fianchi scoscesi dei monti anche il suono di un solo corno è capace di far cadere le valanghe – figuriamoci un peto che è come mille.
E questa era soprattutto la ragione del timore generale che incuteva l’arrivo dell’Eleforco nella contea perché occorreva tenerlo all’interno di uno dei paesi – questo è evidente, un simile tesoro tenuto fuori, all’aperto per esempio, avrebbe troppo facilmente potuto essere rubato dalla soldataglia del marchese –: ma per i suoi terribili mortali distruttivi e rumorosi peti nessuno dei tre paesi voleva essere costretto ad ospitarlo, come con troppa chiarezza testimoniavano le scritte sui muri. E poi nessuno sapeva bene quanto fosse grosso e grande e c’era timore che per le stradine strette dei paesi non passasse, perché di elefanti da quelle parti non se n’erano visti mai e le notizie che arrivavano erano diverse confuse e disorientanti.
Non si conosceva neppure il colore della pelle.
Il frate aveva anche lasciato al conte un disegno dell’Eleforco che disse di aver fatto lui stesso in una gran città dove l’aveva visto all’opera; un disegno con certe scritte che però nessuno finora era riuscito a leggere, nessuno anche dei viaggiatori o dei pellegrini che sapevano leggere e transitavano per il colle e che venivano da nazioni anche molto lontane e parlavano lingue diverse e mai sentite.
Bertoldo degli Agnelli che aveva da subito capito che il possederlo avrebbe potuto essere un buon investimento – la sua idea era di comprarlo e di organizzare a pagamento per il conte un servizio di pulizia dei paesi, riservandosi invece di vendere in proprio il combustibile e, defunto l’animale, la sua carne – chiese ai mercanti veneziani con i quali era in contatto, con gran circospezione ed un po’ di mistero se l’avessero.
“L’avevamo ma ora l’abbiamo terminato. Ma a comprarlo al mercato di Marsiglia non costa molto che quasi si regala rispetto all’utile che può dare con il solo combustibile che serve le famiglie”, avevano risposto.
Segretamente mandò a Marsiglia un suo impiegato che, tornato, a precise domande di Bertoldo confermò ogni cosa; si seppe in seguito però che, passato il colle per scendere a Marsiglia, s’era intampato in una ospitale osteria dove aveva consumato tutti i soldi che il padrone gli aveva dato tra vino e donne e il mare il porto la città verso la quale era diretto se li era fatti descrivere da qualche altro ospite della stessa osteria.
Nel frattempo – s’era quasi all’inizio dell’inverno quando i traffici attraverso il colle s’intensificano perché dopo qualche tempo con l’arrivo delle nevi le bestie potranno trasportare meno bagaglio, ma allo stesso prezzo – successe un altro episodio poco apprezzato dall’Ottavio.
Tra Làsopra e Castello ad un certo punto la valle si restringe molto in un posto che infatti si chiama l’Orrido. I due fianchi della vallata distano tra loro di una trentina di piedi e sono quasi perpendicolari e tra torrente, che in quel punto è molto rovinoso e rumoreggiante e salta allegramente tra grossi pietroni lucidi, e mulattiera, anch’essa ridotta al passaggio di una sola soma con il conducente in una sola direzione – ed infatti prima e dopo quei circa duecento piedi che costituiscono L’Orrido ci sono piazzole per l’attesa delle bestie e ricoveri per i conducenti e da una parte addirittura quando il traffico è maggiore ci vanno i contadini a vendere le mele –, non c’è altro spazio. Torrente e mulattiera riempiono tutto lo spazio tra i due fianchi precipiti della valle. E quando piove dal monte crollano sassi in gran quantità.
Ottimo posto per bloccare i nemici con quattro arcieri ben sistemati in alto che facciano cadere sulla strada anche qualche masso, ed infatti qui fu bloccata qualche tempo prima l’armata del marchese di pianura che s’era preso il gusto di andare a dar fastidio al regno al di là dei monti e dopo alcuni giorni se ne dovette tornare indietro, ed il padre del conte Ottavio acquisì con poca spesa ulteriori meriti presso il tradizionale alleato.
Ma anche posto che se capita a qualcuno – pur fortemente sconsigliato – di attraversarlo in una notte di tempesta, tra rumore dei tuoni e scroscio del torrente – amplificati dall’eco – e violente repentine illuminazioni dei lampi che creano cupe ombre di fantasmi sulla strada, se lo ricorderà per sempre come un incubo e lo sognerà nelle notti travagliate dai peggiori incubi.
Ebbene una notte la mulattiera dell’Orrido fu interrotta con due pini tagliati dal fianco opposto della montagna e bastarono alcuni grossi massi fatti cadere sui volonterosi che si apprestavano a liberare la strada dai due tronchi a sconsigliare a tutti di attraversarlo. E sui pini era stato messi un cartello contro l’Eleforco. Anche in questo caso non fu chiaro se fossero stati quelli di Castello o quelli di Làsopra a provocare il blocco – altre indagini discrete non portarono a nulla –, ma il blocco durò quasi tre settimane con grave danno dell’economia della contea che sui trasporti basava la sua ricchezza e soprattutto che ad essi affidava la possibilità di vedere qualche moneta.
Il conte decise allora di nominare la commissione popolare e s’inventò che in ciascuno dei paesi fossero gli stessi abitanti a scegliere i loro rappresentanti, in numero di due per Mezzoponte e Làsopra come saggiamente aveva consigliato la commissione tecnica e tre per Castello che era il centro più importante. E pi è sempre bene che se si deve votare il numero dei votanti sia dispari – questo aveva detto il giudice –.
E stabilì il sistema spiegandolo in una grida che i tre capi delle guardie lessero alle tre comunità tra rulli di tamburi e suoni di trombe. La prima domenica di marzo – quando non c’era più pericolo che le nevi rendessero difficile la consultazione – tutti i capofamiglia si sarebbero trovati dopo la messa in piazza sotto l’olmo ed avrebbero scelto i loro rappresentanti tra tutti quelli che avessero preventivamente dichiarato che erano disponibili ad essere scelti per la commissione; ciascuno di loro doveva girare per le case e le osterie a spiegare il suo programma, cioè le sue intenzioni circa l’Eleforco. I sette rappresentanti scelti si sarebbero riuniti in una sala del castello che sarebbe stata sorvegliata dalle guardie e da lì non sarebbero più potuti uscire fino a che avessero raggiunto un accordo. E l’accordo avrebbe dovuto essere rispettato da tutti i cittadini della contea, piacesse o non piacesse. E, per grazia di Dio, amen. Questo era l’editto del duca.
E così fu fatto.
In ciascun paese alla presenza delle guardie e di un rappresentante del duca in grado di scrivere tutto per bene su un grande foglio, dopo la messa grande della prima domenica di marzo – che per fortuna c’era sole e un clima tiepido e le primule sui prati nella parti della valle più esposte al sole, ed in un clima di gran festa con tutti gli abitanti in piazza e i bambini che correvano e urlavano e facevano la solita cagnara di quando si ritrovano insieme e con qualcuno che s’era industriato a vendere frittelle ed un bicchiere di vino – i capifamiglia seduti sotto l’olmo chi su panchetti portati da casa chi su tronchi messi apposta o in piedi, abbigliati nei loro vestiti migliori che erano quelli sdruciti e laceri e sporchi di tutti i giorni arricchiti però di nastri colorati dopo la chiamata su un palchetto di quelli che avevano dichiarato di essere disposti scelsero i loro rappresentanti nella commissione popolare alzando la mano quando il rappresentante del conte li indicava.
A Castello ci fu un po’ di animazione perché Maria dell’Albergo, la vecchia ostessa, avrebbe voluto essere scelta e s’era fatta una gran propaganda da dietro il banco dell’osteria e ne aveva convinti molti a votarla. Il conte subito consultato fece sapere che non s’era mai visto che le donne potessero far parte di rappresentanze popolari e che perfino per la religione non era stato ancora sicuramente accertato che le donne fossero dotate di anima – e su questa questione aveva anche espressamente consultato il prevosto – e quindi tanto meno dovevano avere un cervello per fare scelte così importanti come quelle dell’Eleforco. In tal modo chiuse la faccenda con grande soddisfazione di tutti i candidati maschi.
Per Mezzoponte vennero scelti Bertoldo degli Agnelli –il conte ne fu dispiaciuto ma s’era dimenticato, ammise, di scrivere nella grida che chi aveva già fatto parte della commissione scientifica non poteva più essere scelto per quella popolare – e Dalmazzo il poeta.
Bertoldo ebbe tutti i voti meno uno, che s’era fatto una gran propaganda – e i maligni dicevano che avesse anche dato dei soldi ad ogni famiglia per essere scelto – promettendo che non avrebbe permesso che l’Eleforco fosse piazzato nel loro paese; in cuor suo, ma questo non lo disse a nessuno, se la bestia fosse rimasta a Mezzoponte lui aveva già i suoi bei progetti per come farla fruttare dal punto di vista di un suo ulteriore arricchimento.
Dalmazzo invece era un giovane che sapeva tirare fuori dagli zufoli di canna in cui faceva sapienti buchi suoni bellissimi che innamoravano tutte le ragazze e cantava. Non aveva un mestiere ben preciso ed era spesso invitato anche in altri paesi e in altri stati ai matrimoni dove suonava e cantava con la sua bellissima voce certe canzoni che faceva lui – per questo lo chiamavano il poeta – e se ne tornava a casa con qualche formaggetta un pezzo di capretto un fiasco di vino, tutte cose di cui riusciva a vivere. Sulla questione dell’Eleforco era anche lui contrario al fatto che venisse messo a Mezzoponte, ma l’unico voto che ottenne fu quello di suo nonno, capofamiglia, che glielo aveva promesso in un momento di debolezza, perché nessuno si fidava di un poeta; comunque gli bastò per diventare uno dei due rappresentanti di Mezzoponte.
A Castello furono scelti un pastore, Antonio Pecoraro, grande e grosso e normalmente molto silenzioso – che si diceva che volesse essere scelto perché il conte aveva promesso di dare a ciascun rappresentante una pecora come retribuzione per il servizio pubblico cui sarebbero stati chiamati –, Celebrino della Penna, che sapeva scrivere e che di mestiere teneva i registri del conte sulle cose che ciascun cittadino doveva versargli come tasse e sui debiti che questi contraeva con Bertoldo degli Agnelli, di cui era amico – ed anche in questo caso le malelingue dicevano che trovasse qualche tornaconto personale nel segnare somme che mai l’altro aveva dato al conte –, e Matteo, un bravo contadino che a destra e a manca aveva fatto sapere che lui era contrario all’Eleforco a Castello e che per ottenerlo si impegnava anche se avrebbe perso il raccolto dei campi, se le cosefossero durate troppo a lungo e forse la sua famiglia avrebbe fatto la fame l’inverno successivo – un idealista, insomma –.
A Làsopra vennero scelti due gemelli, Pietro di Pietro e Pantaleone di Pietro. Il loro bisnonno, il primo Pietro della famiglia, aveva deciso di chiamare tutti i figli maschi con un nome che incominciasse per P, e così avvenne nella famiglia di mulattieri per le generazioni a venire. E la ragione era che non sapendo leggere e scrivere avevano imparato a distinguere un PdP segnato su finimenti selle bestie e qualunque altra cosa che c’era in casa perché gli altri mulattieri non se le portassero via. Quel PdP, che per lui e per tutti i discendenti era solo un disegno, era il marchio della loro azienda familiare e delle proprietà ed era una cosa comoda perché quando uno dei di Pietro lo vedeva a casa d’altri o sulle altrui bestie qualcosa con quel segno se ne impossessava subito, non importava che poi non fosse suo o di suo cugino Pancrazio, con il quale avrebbe litigato poi, a casa. Lo scomodo era trovare tanti nomi diversi che incominciassero per P e nella famiglia c’erano quindi i Pietri, i Pantaleoni, i Paoli, i Pieri, i Pierini, i Pancrazi, i Placidi, i Polisenni e persino dei Palissandri – che un giorno era arrivato uno che aveva detto che quello era il nome di un antico e famoso re di Grecia, e tutti i Palissandri si portavano in giro quel loro ligneo nome con un’aria tronfia, di grande importanza –.
Pietro e Pantaleone furono scelti tutti e due con il massimo delle mani alzate perché erano un po’ diversi se visti uno a fianco all’altro, ma visti da soli erano proprio identici: quando il banditore chiamò Pietro perché si facesse vedere sul palchetto tutti alzarono la mano, e quando chiamò Pantaleone anche, perché quelli che dovevano alzare la mano pensarono che si trattasse delle stessa persona e non vollero rinnegare il voto già dato e così sbaragliarono tutti gli altri concorrenti.
La domenica successiva da ciascun paese arrivarono al castello del conte i rappresentanti popolari seguiti da una folla festante di famigliari e perdigiorno vari.
In una sala erano stati portati sette sacchi di foglie e coperte per dormire, sedie e scranni per sedere, il tavolo bracieri torce una damigiana di vino ed una botte d’acqua buona per bere e per lavarsi se lo avessero voluto. E dentro entrati arrivò anche il conte Ottone che fece un gran discorso sulla responsabilità che avevano di una scelta così importante, sottolineando anche l’indiscussa utilità dell’Eleforco ed il valore della condivisione delle scelte; e uno scrivano stese scrivendo con svolazzi ampi il verbale dell’insediamento della commissione. Fatte queste cose la porta venne chiusa, i tre cortei se ne tornarono ai rispettivi paesi con qualche persona in meno e alcune pecore in più, e due armati vennero piazzati avanti alla porta sull’esterno a controllare che dall’interno non si uscisse per niente se non per fare i propri bisogni sulla ripa del canale che era attorno al castello.
I sette, solo loro, erano ormai riuniti da più di due settimane e non erano ancora arrivati ad una conclusione soddisfacente che mettesse insieme le promesse che ciascuno aveva fatto ai suoi elettori con l’evidenza che l’Eleforco era una grandissima opportunità per tutta la contea.
Dalmazzo era contrario al suo acquisto perché temeva che potesse diventare uno strumento di guerra contro i vicini per la questione dei terrificanti peti, che il conte avrebbe potuto portarlo vicino ai paesi del marchese ed aspettare che digerisse; si sarebbe incatenato all’olmo di Castello se il conte l’avesse veramente comprato. Anche Bertoldo degli Agnelli era contrario all’acquisto da parte del conte, ma per ragioni opposte a quelle di Dalmazzo, ma la bestia la voleva nel paese nonostante le promesse fatte agli elettori.
Pietro e Pantaleone gettarono sconcerto nella piccola assemblea perché il primo sosteneva l’utilità che l’Eleforco venisse messo a Làsopra ed il secondo no, ma essendo così uguali e diversi insieme, gli altri non riuscivano mai a capire quale era in realtà l’opinione prevalente dei làsoprani e quindi quale fosse in quel momento la decisione ultima, almeno in ordine di tempo, dell’assemblea popolare.
I castellani erano invece uniti e compatti nel difendere il loro paese dalla presenza dell’Eleforco e s’erano sentite urla, discussioni, qualche piatto rotto contro i muri – il mangiare arrivava regolarmente dalla cucine del castello agli orari stabiliti – lunghi silenzi – i momenti, forse, in cui si cercava di costruire alleanze trasversali – ed il conte incominciava a disperare di ottenere mai una decisione condivisa – e tra l’altro tutta l’operazione incominciava a costargli perché quelli là dentro pretendevano di mangiare bene ed abbondantemente e la prima damigiana di vino era già stata sostituita dalla seconda che stava peraltro ormai finendo.
Un giorno sul colle transitò un pellegrino: abito di cotonaccio marrone con cappuccio, bastone da viandante con zucca per l’acqua, gran cappello di paglia per ripararsi dalla pioggia, sulle spalle un sacco con qualche tozzo di pane ed un formaggio e un’aria fosca e cupa che il gran barbone scuro rendeva ancor più tenebrosa. Fu portato dal duca perché la lingua che parlava non la capiva nessuno così come nessuno era in grado di leggere le lettere di transito che esibiva.
Finalmente il prete del castello riuscì a farsi capire un poco per mezzo del latino – molto sovente solo col latino ci si poteva intendere con certi pellegrini –: veniva da una città fiamminga e stava andando a Roma per un voto. Gli chiesero se era in grado di leggere le scritte che stavano sul disegno dell’Eleforco.
Lesse: “Disegni di animali fantastici inventati e dipinti dal pittore magister Hieronimus Puch per la gran sala del Podestà dell’illustrissima città di Gand: l’Eleforco”.
Titolo originale: Creating Great Neighborhoods: Density in Your Community, 2003 – Testo elaborato da molti autori, in collaborazione tra l’altro con la Agenzia Federale per l’Ambiente (EPA) e la Associazione operatori Immobiliari (progetto smart growth) - Estratti e traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Cos’è la densità? In genere si definisce densità la quantità di edificazione residenziale consentita su una data estensione di territorio. La si misura solitamente in unità residenziali per unità di superficie. Maggiore la quantità di unità residenziali consentite per unità di superficie, maggiore la densità.
Densità lorda = Totale delle unità residenziali/Totale dell’area urbanizzata
Densità netta = Totale delle unità residenziali/Totale della zona residenziale (escluse strade e altri usi)
Introduzione
L’incremento della congestione da traffico, la perdita di spazi aperti, i costi delle infrastrutture, e un desiderio di maggiori opzioni di scelta del tipo di abitazione, hanno fatto della smart growth un strategia sempre più valida per la realizzazione e rivitalizzazione di comunità, per catalizzare lo sviluppo economico, per proteggere l’ambiente. Ci sono prove evidenti di questa tendenza ovunque. Delle 189 iniziative proposte al voto degli elettori nel 2002 riguardo alla conservazione ambientale su scala statale o locale, 141 sono state approvate. Eletti nel 2002, il governatore repubblicano del Massachusetts Mitt Romney, quelli democratici del Michigan Jennifer Granholm e della Pennsylvania Ed Rendellare, hanno stabilito di fare delle azioni smart growth una delle priorità. Si stanno realizzando in gran numero progetti di questo tipo, proseguendo una tendenza che dura da cinque anni, come riferisce il periodico specializzato New Urban News, che segue questi sviluppi. Le città e centri minori di tutto il paese stanno revisionando e modificando i propri piani regolatori, ordinanze di zoning e altri regolamenti connessi alle costruzioni, per rendere possibile la smart growth. Molti stati e amministrazioni locali stanno realizzando quartieri che offrono una varietà di opzioni di trasporto, accesso ai parchi e alle strutture per il tempo libero, ampia scelta di tipi residenziali, opportunità di investimento, strade vivaci, spazi per abitare tranquilli. Per ironia, molte città che inseguono questi stessi obiettivi spesso ne impediscono inconsapevolmente la realizzazione. Come? Opponendosi a qualcuno degli elementi chiave della smart growth, la densità. Spesso si da’ la colpa alla densità per il traffico, la criminalità, il problema dei parcheggi e le butte architetture, ed essa genera una diffusa opposizione. Un’opposizione che non è del tutto priva di fondamento. La densità mal progettata alimenta la frustrazione pubblica. I centri di uffici senza accessibilità coi mezzi pubblici o senza marciapiedi che mettano in comunicazione con le residenze e obbligano a guidare di più, i quartieri sviluppati in altezza senza attività commerciali sulle strade, insediamenti ad alta densità senza parchi e con poche strutture per il tempo libero, le residenze mal progettate che non consentono alcuna privacy. La risposta comune a questo stato di cose è un’opposizione a qualunque tipo di densità.
Questo esaspera i problemi di qualità della vita. Le amministrazioni che proibiscono insediamenti densi creano un ambiente dove il quartiere a bassa densità è l’unica scelta possibile, gli spazi aperti sono consumati a ritmi allarmanti, la congestione da traffico aumenta perché le persone si muovono in auto su distanze maggiori fra casa e lavoro, e le lottizzazioni crescono senza alcun centro di tipo urbano, nessun negozio all’angolo, nessun senso comunitario. Quando le città iniziano a confrontare le reciproche conseguenze dell’insediamento a bassa densità, comincia ad emergere una prospettiva di maggiore equilibrio. Le persone iniziano a comprendere che nodi di insediamento più denso possono contribuire allo sviluppo economico e offrire più scelte per la residenza, facilità di spostamenti a piedi, proteggere la qualità dell’aria, delle acque, dello spazio. Questo equilibrio crea senso del luogo, un luogo dove si può camminare, conversare coi vicini, sapere che i figli possono camminare sicuri fino alla scuola.Per creare questi luoghi di alta qualità, le città stanno destinando alcune zone a densità più elevate e a insediamenti misti di residenza, verde, scuole, negozi.
Questa prospettiva più equilibrata sposta i termini della discussione, da “Dobbiamo averla, la densità?”, a “Come si deve realizzare una maggiore densità?”La discussione invita i cittadini a riflettere su come progettare luoghi attraenti, anziché pensare solo alla densità. È la lezione che si è imparata in tutto il paese: per creare belle città, i quartieri devono combinare alta densità e alta qualità della progettazione. La Arlington County, Virginia, offre un primo esempio di positiva integrazione fra alte densità insediative e il tessuto preesistente. A partire dagli anni ‘70, la contea si è concentrata lungo i suoi due corridoi di mobilità su ferro. Questo processo ha condotto ad un insediamento con più opzioni di trasporto e di tipi residenziali, ad una economia più forte, a meno tasse immobiliari, ad una certa varietà di quartieri tutti molto vivibili. L’aumentata densità ha dato ai residenti la possibilità di vivere in quartieri che corrispondono alle loro preferenze in termini di stili di vita e possibilità economiche. Gli abitanti possono scegliere di risiedere in parecchi quartieri diversi ricchi di spazi aperti, ad una breve distanza a piedi o in bicicletta dai negozi, dai parchi, scuole, ristoranti, o prendere la metropolitana o l’auto per andare a lavorare verso destinazioni più lontane nella regione. Nonostante sia meno del 7%, l’area della contea destinata all’insediamento ad alta densità, essa genera il 33% di tutto il gettito fiscale sugli immobili, consentendo all’amministrazione di imporre le tasse più basse della regione. Concentrare le maggiori densità entro un’area definita, consente alla contea di offrire un modello di vita urbano ad alcuni, e tutelare il vivere suburbano per altri, aumentando contemporaneamente i valori delle proprietà a conservando le caratteristiche locali.
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Nuovo centro per un sobborgo texano
Addison Circle è un nucleo centrale di tipo urbano a funzioni miste nei sobborghi di Dallas, Texas. Realizzato su una superficie di circa 35 ettari, il complesso si colloca adiacente alla “vecchia città” di Addison, e contiene uffici, commercio, varie attività per il tempo libero, un centro congressi ed esposizioni, e esiste anche in progetto una fermata della metropolitana leggera. Addison Circle ha incrementato le possibilità di scelta di tipi residenziali, reso più stabile la base fiscale del sobborgo, e fornito un luogo centrale fisico. È una piccola città di “vita, lavoro, divertimento e residenza”. L’idea di Addison Circle emerge nel 1991, nel corso di una revisione del piano regolatore cittadino. Di fronte all’accresciuta concorrenza commerciale delle circoscrizioni confinanti, l’amministrazione cercava di sostenere i negozi locali aumentando la quota di popolazione residente, a creando un polo di attrazione per andare al ristorante, fare shopping, lavorare, destinato sia agli abitanti che a visitatori. Stanchi di case “ garden-style”, gli abitanti optarono per uno sviluppo residenziale che sapesse creare senso di appartenenza e identità spaziale. Esisteva un tipo di domanda chiaramente identificabile: coppie senza figli e con doppio reddito, e giovani professionisti, che desideravano un quartiere vivo sulle 24 ore, ma non potevano trovarne uno fuori Dallas.
La costruzione di Addison Circle comincia nel 1995, dopo gli sforzi congiunti del costruttore, dell’amministrazione e dei residenti per raggiungere consenso generale sui principi base da seguire nella progettazione. Ci sono due distinte sub-aree. Una interna a funzioni miste che comprende un quartiere residenziale con edifici di media altezza, negozi a funzione locale, verde e servizi. Attorno a questa zona interna c’è il distretto a predominanza commerciale sul fronte stradale della North Dallas Tollway, con uffici, commercio e residenze ad alta densità. Una volta completato, Addison Circle avrà una densità lorda di circa 120 alloggi/ettaro (circa 220 la densità netta), ovvero il triplo delle altre zone residenziali di Addison. Offirà 2.800 unità abitative da 57 metri quadrati ai loft da oltre 300 mq. Comprenderà anche centomila metri quadri di uffici e 25.000 di negozi, oltre al centro civico, e più di cinque ettari di parco pubblico, creando circa 10.000 posti di lavoro. Addison Circle è pensato sia come luogo di incontro che polo metropolitano per uffici e divertimento. È un equilibrio delicato di funzioni, conseguito attraverso una progettazione che enfatizza la scala umana dell’insediamento, la mobilità pedonale, la sicurezza, l’interazione sociale. Gli edifici sono collocati vicini agli spazi pubblici e ingressi e finestre si aprono su viste di questi spazi, aumentano visibilità pubblica, consapevolezza, “vigilanza naturale” sulle varie attività. La sistemazione dei negozi al livello stradale, con le vetrine pure orientate verso gli spazi pubblici, aumenta l’effetto di sicurezza spontaneo, rendendo la passeggiata più interessante per i pedoni.
Marciapiedi di dimensioni generose: 3,6 metri nelle strade residenziali, 4,8 sui viali, comprendono arredi urbani, parcheggi attrezzati per biciclette, panchine, cestini, e alberi ogni nove metri. Per equilibrare l’intensità del costruito e offrire spazi di interazione, i progettisti hanno inserito molti spazi a verde nel quartiere. Un tradizionale town green a est della rotatoria di traffico vede allineati negozi, residenze e uffici. Una serie di piccoli parchi sono diffusi per tutta l’area, insieme a percorsi ciclabili e per lo jogging. Il quartiere di Addison Circle è vivo, di residenti, persone che lavorano negli uffici, clienti dei negozi che sfruttano i vantaggi della qualità dello spazio. Tutto lo sforzo di progettazione e ricerca del consenso per la sua realizzazione sono stati ampiamente ripagati. Con un’iniezione di nuovi abitanti e frequentatori dei negozi, il quartiere ha reso più stabile la base fiscale della comunità, e dotato Addison del centro e dell’identità che desiderava.
Scheda del progetto
Tipologia: Suburban Town Center
Superficie totale: 36 ettari
Sistema mixed-use: 2.800 unità residenziali; 500.000 mq commerciali e 5 ettari di spazi aperti a realizzazione completa
Densità residenziale lorda: 120 alloggi/ettaro
Parcheggi: 1 posto per ciascuna stanza da letto
Fasi di realizzazione 1-2: 1995-2000; Fase 3 in corso
Costruttori: Post Properties, Inc.
Progettisti: RTKL Associates, Inc.
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Recupero di un sito industriale in centro
Situati nel distretto dei grandi depositi di Minneapolis, Minnesota, gli interventi Heritage Landing e RiverStation sono due progetti adiacenti a funzioni miste e con aumento della densità locale. Coerentemente con gli obiettivi dell’amministrazione, di creare un cento vivo sulle 24 ore, questi quartieri portano per la prima volta abitazioni nel distretto del magazzini. Gli interventi coprono insieme circa 4,5 ettari, ad una distanza di circa 800 metri da downtown. Esisteva un ex parco ferroviario abbandonato e inutilizzato da parecchi decenni, quando la Minneapolis Community Development Agency acquistò e ricedette il terreno in due parti, a scopo di insediamento residenziale. I progetti presentati furono sottoposti a revisione pubblica, principalmente attraverso la Downtown Residents Association. Tutto il distretto partecipò a charrettes progettuali per decidere pubblicamente le caratteristiche urbanistiche. Nonostante ci siano state alcune reazioni negative all’aumento di densità, in alte zone della città, le associazioni di quartiere e degli operatori economici non hanno opposto decisa resistenza al progetto.
All’epoca esistevano poche proprietà residenziali nelle vicinanze. La zona di Heritage Landing, completata nel 2000, comprende 229 appartamenti in affitto, con dimensioni che vanno da 75 a oltre 300 metri quadrati. Il progetto incorpora alcuni degli elementi storici del sito, compresa una malridotta parete di pietra del XIX secolo che collega l’edificio al quartiere. Landing si distingue per alcuni dettagli architettonici: le coperture tipiche dei vecchi edifici a magazzino, travi d’acciaio, tetti mansardati in metallo e finestre ad arco che addolciscono l’aspetto e la massa dell’edificio. Il venti per centro delle abitazioni sono a basso costo, destinate a famiglie con un reddito al 50% di quello medio (76.700 dollari nel 2002); queste case con una sola stanza da letto vengono affittate a 705 dollari al mese. Per fare un paragone, gli appartamenti a prezzo di mercato di Heritage Landing vanno da 1.000 a 1.900 dollari. I negozi al pianterreno (drogherie/gastronomia, fiorista e lavasecco) e i posti a sedere all’esterno per i ristoranti contribuiscono a definire l’ambiente stradale e il tipo di attività. RiverStation (con conclusione del progetto prevista nel 2003) offre in vendita 347 appartamenti in condominio a prezzo di mercato. Questi alloggi sono di dimensioni da 85 a 150 metri quadrati e si vendono a circa 2.100 dollari al metro (180.000-315.000). L’insediamento si realizza su un ex sito industriale e comprende elementi di progetto con caratteristiche ambientali avanzate. C’è un parcheggio sotterraneo, un sistema unico di impianto per il trattamento delle acque piovane, uno spazio aperto comune tra gli edifici adiacenti. La vicinanza di entrambi gli interventi alla downtown di Minneapolis, col facile accesso a molte importanti linee di autobus, rende possibili gli spostamenti verso al regione anche senza usare l’auto. I percorsi per il tempo libero lungo il Mississippi sono solo a qualche isolato di distanza, e offrono collegamento a chilometri di percorsi fluviali e varie opportunità di svago come il canottaggio, il kayak, le barche a remi.
Entrambi i progetti utilizzano soprattutto parcheggi sotterranei, il che offre un ambiente stradale più piacevole. Per ciascuna delle quattro sezioni di RiverStation (circa 88 alloggi l’una) ci sono a disposizione 12 spazi a parcheggio in superficie, e 117 interrati, 18 dei quali condivisi da due veicoli, uno dietro l’altro. A Heritage Landing ci sono 380 posti sotterranei: 280 per i residenti, 100 per visitatori e clienti dei negozi. Heritage Landing offre anche 30 spazi di superficie per visitatori in un cortile interno. L’accesso al parcheggio è vigilato per impedire che venga usato dai pendolari. Al tempo in cui fu proposto, RiverStation era il più grosso progetto residenziale delle “Twin Cities” con proprietà individuali, e Heritage Landing aggiungeva alloggi in affitto e spazi commerciali. Entrambi i quartieri hanno venduto e affittato in fretta. Gli alloggi a RiverStation si sono venduti a un ritmo di due alla settimana per quattro anni. La percentuale di occupazione a Heritage Landing è attualmente del 98%. Il risultato è un nuovo quartiere residenziale per lavoratori e studenti del centro, con negozi e ristoranti di facile accessibilità. L’area intorno a RiverStation e Heritage Landing si è sviluppata rapidamente negli ultimi anni. Si sono localizzati in zona molti ristoranti, bar, negozi, portando nuove energie al quartiere e avvicinando la città al suo obiettivo di creare un centro vivo 24 ore al giorno.
Scheda del progetto
Tipologia: Urban infill
Superficie: 4,5 ettari; RiverStation (347 alloggi in vendita); Heritage Landing (229 alloggi in affitto).
Densità residenziale lorda: 130 unità/ettaro
Parcheggi per alloggio: 1,5 (RiverStation); 1,2 Heritage Landing)
Fasi di realizzazione: Heritage Landing terminato nel 2000; RiverStation sarà terminato nel 2003
Costruttori: HuntGregory Group
Progettisti: J. Buxell Architecture, Ltd. (RiverStation); Boarman Kross Pfister Vogel & Associates (Heritage Landing)
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Cosa abbiamo imparato: spazi multifunzionali
La miscela delle funzioni trasforma la sola densità in un luogo centrale e aiuta a creare una comunità al posto di un mare di case. Con tipi diversi di uso entro un’area percorribile a piedi, la densità realizza quartieri vivaci dove un bambino può comminare fino a scuola, un abitante può uscire di casa a comprarsi mezzo litro di latte al negozio dell’angolo, o i vicini possono trovarsi al chiosco per un picnic. Senza questi luoghi raggiungibili a piedi un nuovo quartiere diventa come qualunque altro posto, dove la gente deve per forza salire in macchina e guidare, per comprarsi quel latte. Mescolare le funzioni consente più opportunità di scelta e migliora la qualità della vita lasciando decidere alla gente se vuole vivere vicino al posto di lavoro, andare a piedi ai negozi locali, o in bici alla biblioteca di quartiere insieme ai bambini. La tecnica del mixed-use usata in un quartiere residenziale per sistemare persona a una distanza di 5-10 minuti a piedi da un centro, può sostenere economicamente servizi come una caffetteria o un negozio di ferramenta e casalinghi. Senza una massa critica di persone vicine, questi negozi non potrebbero sopravvivere. La stessa cosa vale per il trasporto pubblico. Collocando più spazi residenziali commerciali e per uffici nei pressi di una stazione del trasporto pubblico costituisce la base per un uso esteso a tutte le ore del giorno del mezzo, treno o autobus che sia. La miscela funzionale può realizzarsi in molti modi. Può essere un negozio all’angolo per ogni quartiere. Può essere un complesso che offre lavoro a persone che durante la settimana praticano il telecommuting. Gli usi misti possono aggiungere posti di lavoro o case in un’area, migliorando l’equilibrio fra le due funzioni. Questo equilibrio è benefico per la comunità, perché le persone si trasferiscono nel quartiere per poter andare a lavorare a piedi. Usi misti può anche significare riprogettazione di un quartiere per inserire elementi pubblici come uno spazio ricreativo, il palco per gli spettacoli musicali, una biblioteca, una scuola che stia a un quarto d’ora a piedi da tutte le abitazioni. Può anche voler dire distribuire i parchi su tutta la superficie dell’area, così che ciascuna abitazione sia a 2-3 minuti a piedi da un piccolo parco. Che sia del tipo town center nei sobborghi, o del genere infill development nei distretti centrali, la progettazione a usi misti può realizzarsi anche all’interno di ciascun edificio. Si possono offrire uffici o appartamenti sopra negozi allineati sulla piazza del centro di sobborgo, o un albergo sopra negozi nei distretti centrali. Mescolare le funzioni nello stesso edificio o in unità adiacenti funziona meglio quando le linee guida del progetto garantiscono che sarà di una certa consistenza riguardo alle dimensioni e altezza, indipendentemente dagli usi.
Domande da porsi sugli spazi multifunzionali
Quali usi si integreranno nel quartiere?
I servizi locali saranno forniti all’interno del progetto?
Ci sono, già esistenti, funzioni commerciali, uffici o servizi pubblici che saranno accessibili dal nuovo intervento?
In che modo l’inserimento di funzioni miste interne o esterne all’intervento aiuterà a migliorare gli accessi ai servizi dei residenti?
Nota: per completezza di informazione, come d’abitudine allego di seguito il documento PDF integrale originale, che contiene sia altri casi studio (soprattutto nell’area della West Coast) che altre parti di osservazioni generali (fb)
New Urbanism (Discussion Paper, documento preliminare alla revisione dell’ordinanza di zoning di Palo Alto, California), gennaio 2002 – L'Autore è consulente legale della città - Estratti e traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Scopi del presente documento
Il “ new urbanism” è un movimento culturale nell’ambito della progettazione architettonica e urbana che sta gradualmente trasformando le pratiche di pianificazione negli Stati Uniti e nel mondo. Scopo del presente documento è quello di esaminare come il new urbanism possa essere applicato alla città di Palo Alto.
Il Comprehensive Plan della città recepisce molti principi connessi al new urbanism, anche se non usa esplicitamente il termine. Ci sono molte parole usate in modo quasi indifferente, come urbanistica “neotradizionale”, smart growth, o “progettazione del quartiere tradizionale”. Per gli scopi del presente documento, si userà il termine “ new urbanism”, in gran parte perché è stato precisamente definito nella Carta del New Urbanism [...].Il Comprehensive Plan di Palo Alto suggerisce che la città prenda in considerazione di usare i cosiddetti form-codes, un tipo di regole di zoning basato sulle tipologie edilizie e le loro aggregazioni anziché sulle destinazioni d’uso, e che è possibile usare per mettere in pratica i principi del new urbanism.
Questo nuovo urbanesimo si evolve a partire dalla coscienza che i vari modi di pianificazione usati nel corso della storia (fino alla metà del ventesimo secolo) hanno creato spazi di gran lunga più notevoli e attraenti della maggior parte di quanto costruito negli ultimi cinquant’anni. Molti dei principi del new urbanism non sono affatto nuovi; rappresentano piuttosto un ritorno a tradizioni urbanistiche un tempo apprezzate, abbandonate nel corso del ventesimo secolo per rispondere alla necessità di progettare spazi adatti alle automobili, contemporaneamente separando le varie funzioni attraverso l’uso di distretti a destinazione monofunzionale. La separazione degli usi è parte dell’eredità industriale, che in un primo tempo rendeva questa pratica necessaria a dividere gli ambienti residenziali da quelli industriali nocivi, ma che alla fine è stata portata alle estreme conseguenze dalle pratiche moderne.
L’insoddisfazione per il degrado dell’ambiente e la diffusione dello “ sprawl senza luoghi” negli ultimi anni di urbanistica del ventesimo secolo, ha condotto alla riscoperta delle forme classiche di progettazione urbana. Questo approccio progettuale integra le funzioni creando contemporaneamente spazi pubblici che portano alla mobilità pedonale e all’interazione sociale. Visto che l’automobile è diventata parte indispensabile della nostra vita, il new urbanism è “nuovo” principalmente per l’aver incorporato l’auto entro le tecniche classiche di progettazione urbana evolute durante i secoli e i millenni, prima dell’invenzione e ampia diffusione dell’automobile. Il new urbanism mira a raggiungere un equilibrio fra auto e pedone, che accetta l’uso del mezzo meccanico senza degradare l’esperienza dello spostamento a piedi.
Questo documento:
a) Spiega il new urbanism come insieme di principi urbanistici e di progettazione. Questi principi sono delineati nella Carta del New Urbanism, uno statuto adottato come guida dal Congress for the New Urbanism, un’organizzazione nazionale di professionisti con base a San Francisco. [...]
b) Identifica potenziali applicazioni del new urbanism a Palo Alto, con attenzione particolare per quanto riguarda la revisione della ordinanza di zoning cittadina, nonostante ne vengano proposte altre forme di applicazione come raccomandabili.
Le idee esposte nel documento sono intese come considerazioni indirizzate all’amministrazione municipale per l’aggiornamento dell’ordinanza di zoning, e si intende che alcune possano essere di maggior rilevanza e utilità pratica di altre.
Palo Alto si distingue per la quantità di presenze, all’interno del proprio tessuto insediativo, dei principi new urbanist. I due centri principali della città e molti dei quartieri residenziali più vecchi mostrano molti, se non la maggior parte, dei principi del nuovo urbanesimo. Queste aree possono servire da modello per altre parti della città, se l’amministrazione sceglierà di inserire i principi new urbanist nella sua pianificazione e negli interventi edilizi. Le aree della città urbanizzate dopo il 1950 come zone monouso commerciali, terziarie o residenziali, sono tipicamente prive di caratteristiche new urbanist.
Dato che Palo Alto è sostanzialmente una città “satura”, ci sono poche o nulle opportunità di urbanizzazione su terreni vergini, secondo quanto è stato chiamato “ greenfield development”. Il new urbanism da molti è stato interpretato erroneamente come applicabile soprattutto a questi nuovi insediamenti in aree vuote. È un equivoco. La Carta del New Urbanism sottolinea l’importanza di edificare in zone già urbanizzate anziché espandersi in aree agricole o comunque aperte. Palo Alto possiede parecchie stimolanti possibilità di urbanizzazione “ infill”.
I principi del New Urbanism
Il new urbanism e noto come insieme di principi per la pianificazione, organizzazione e progetto di intere regioni, grandi città, centri minori, quartieri, strade, isolati, e singoli edifici. La Carta del New Urbanism comprende una lista di 27 principi. Il quarto paragrafo del suo Preamble, elenca i seguenti quattro principi fondamentali:
Nella discussione sui principi new urbanist che segue, è importante tener presente che alcuni dei migliori esempi che li illustrano si trovano nelle città più vecchie, come Palo Alto o San Francisco. In effetti, quanto più antica è una località, tanto più è probabile esprima questi principi. Anche se esiste accordo generale sui principi base del new urbanism, molti professionisti dissentono fra loro su alcune questioni particolari e dettagli, o sulla più appropriata terminologia da utilizzare. Questo scritto tenterà di identificare quei punti che godono di ampio consenso, e di ridurre al minimo l’uso di termini tecnici e gergali.
A. il “Transect”
Sin dall’adozione della Carta nel 1996, Andres Duany, uno dei fondatori e principali portavoce del New Urbanism, ha suggerito un principio fondamentale organizzativo chiamato il “ transect”. Si tratta di un metodo per classificare l’ambiente natura o edificato come transizione continua fra sei condizioni, che vanno dal rurale all’urbano, e con ciascun punto del continuum caratterizzato da particolari caratteristiche unificanti che si riflettono nello schema stradale e aspetto delle singole vie, nelle forme edilizie, nel disegno urbano, nelle correlazioni con l’ambito naturale e nelle infrastrutture pubbliche. [...] Il valore del transect è quello di servire a localizzare un dato luogo in un dato contesto entro il quale tutte le parti si adattano l’una con l’altra armoniosamente. Così, per esempio, una strada rurale tipo non ha margini in pietra o marciapiedi e gli edifici hanno forma di fattorie o fienili. Una strada urbana, a seconda del livello di urbanizzazione dell’area, può avere margini e tombini, alberature regolari, marciapiedi, e forme edilizie come murature comuni, tetti piatti, cornicioni. In città come Palo Alto, esiste un continuum dal nucleo di centro città ai quartieri residenziali a bassa densità, che espone coerenti ma differenti gruppi di caratteristiche delle strade, dei paesaggi, delle forme edilizie, fino agli spazi più rurali vicino alle colline e alle zone aperte a ovest e quelle umide verso la Baia a est.
B. Progettare l’ambito pubblico
Entro il contesto generale del transect, il nuovo urbanesimo concentra l’attenzione sull’estremità urbana dello spettro, e in particolare sul progetto di quanto è noto come “ambito pubblico”, ovvero l’area fra gli edifici visibile o accessibile al pubblico. Elemento primario dell’ambito pubblico è l’ambiente stradale ovvero la strada, il marciapiede, l’illuminazione, le alberature, l’arredo urbano, gli spazi attorno agli edifici e le loro facciate. I new urbanists conferiscono particolare valore alla creazione di “stanze all’aperto” attraenti e confortevoli, racchiudendo lo spazio stradale fra una copertura a verde e facciate continue, regolari e visivamente piacevoli. Verande sui fronti, portici, recinzioni e siepi basse creano zone di transizione fra le aree pubbliche della strada e quelle private degli edifici. Se i prati sul fronte e le facciate degli edifici sono di solito di proprietà privata (eccetto nel caso di edifici pubblici e parchi) essi sono comunque parte dell’esperienza visuale dell’ambiente stradale, come il marciapiede. L’ambito pubblico comprende parchi, piazze, slarghi a verde, zone da gioco, corridoi di comunicazione pedonale, e altri spazi aperti urbani del genere. Include anche aree che normalmente possono non essere considerate pubbliche, come i parcheggi.
Nei tipi di insediamento suburbani convenzionali si presta poca attenzione all’ambito pubblico: e allora le strade sono progettate per la comodità delle automobili e i parcheggi sono pensati per entrarci facilmente anziché pensando agli aspetti visivi. Non esiste un meccanismo efficace di coordinamento fra decisioni pubbliche e private, per progettare consapevolmente un ambito pubblico attraente. Come risultato, ciascun edificio sta da solo sul proprio lotto col suo cortile e spazio per parcheggiare, e ci sono pochi o nessun tentativo di legare gli elementi di ambiente urbano entro un tutto coerente. Gli spazi fra gli edifici non sono progettati: vengono lasciati al caso e definiti dall’arretramento minimo, dalla quantità minima di parcheggio, dalle altezze massime richiesti normalmente dallo zoning. Il noto effetto, sono vaste spianate asfaltate senza forma, punteggiate da verde senza forma, che non danno alcun senso di spazio o agio al pedone.
Anche se molto dell’ambito pubblico è spazio di proprietà collettiva e quindi non influenzato significativamente dallo zoning, porzioni strategiche di esso ai margini dell’ambiente stradale sono soggette alle sue regole. Si tratta degli spazi sul fronte, delle facciate degli edifici, dei parcheggi privati. In più, quando i privati eseguono lavori di miglioramento delle proprietà, le regole di zoning richiedono frequentemente che vengano eseguiti lavori complementari sull’ambito pubblico adiacente (per esempio i marciapiedi, le alberature, l’arredo urbano).
C. Struttura del quartiere
I new urbanists si concentrano sulla strutture del quartiere anziché sui modi d’uso generali dello spazio, come elemento critico dell’urbanistica e del disegno urbano. Una città tipo del nuovo urbanesimo è suddivisa in quartieri dove la maggior parte degli abitanti può spostarsi confortevolmente a piedi (5-10 minuti) verso i negozi, le scuole, gli edifici pubblici, le zone verdi. Ciascun quartiere contiene varie funzioni entro un tessuto a grana fine, anziché usi distinti relegati ciascuno in una propria area specializzata. I quartieri sono di solito più densi e diversificati verso il centro, meno densi alle estremità. Sono orientati al trasporto pubblico perché ciascun nucleo centrale può essere un nodo di transito con sufficiente densità di popolazione per sostenere economicamente le strutture pubbliche. In questo contesto, molti bisogni quotidiani possono essere soddisfatti spostandosi a piedi, in bicicletta, coi mezzi collettivi anziché su auto private. Il new urbanism non vuole eliminare le automobili, ma rendere possibili più scelte di trasporto. Questo tra l’altro offre più mobilità ai giovani, agli anziani, alle persone a basso reddito. Consente più interazione sociale fra persone di condizioni economiche, età, etnie diverse.
All’interno di ciascun quartiere e città, il nucleo centrale contiene funzioni miste. Questo offre una combinazione vitale e sinergica di attività, che vanno dalla residenza, agli affari, alle scuole, ad attività amministrative, benefiche, religiose, per il tempo libero ecc. Il centro di Palo Alto è un buon esempio di queste caratteristiche vivaci delle funzioni miste. I piani terreni di questi nuclei centrali sono destinati principalmente ad attività che generano traffico pedonale, come negozi, ristoranti, servizi alla persona e culturali, anziché uffici o residenza, che non attirano pedoni.
D. La rete stradale
Altro elemento chiave del new urbanism è un sistema stradale ad alta interconnessione. Questo tipo di schema non si configura di solito secondo una griglia rigida, ma secondo una griglia modificata che comprende diagonali, curve, cerchi, e altri elementi che aggiungono varietà e interesse all’aspetto fisico della città. Un sistema stradale interconnesso consente anche una maggior varietà di scelte nei percorsi usati dalle persone per spostarsi da un luogo all’altro. I sistemi stradali new urbanist hanno isolati brevi che creano un’esperienza pedonale varia e interessante, incoraggiando rapporti informali fra passanti. Disperdono il traffico attraverso una rete, anziché concentrarlo in poche arterie intasate.
Una attenta progettazione stradale è più importante, per il new urbanism, della progettazione edilizia, perché la strada è l’arena principale dell’ambito pubblico, mentre per un edificio solo la facciata serve a definire gli spazi pubblici. I parcheggi si collocano lungo la strada, per rallentare il traffico, decentralizzare la sosta, separare i pedoni dal traffico in movimento. Sistemando grandi quantità di parcheggi lungo le strade, è meno necessario destinare a questo scopo grandi piazzali asfaltati, che interrompono il tessuto urbano e frammentano la continuità pedonale. I piazzali a parcheggio sono comunque necessari nelle aree a edificazione intensiva, e non sono in genere aperti sulla strada, ma schermati sul retro degli edifici, a metà isolato in modo da non dominare il paesaggio della strada. Quando la situazione economica lo consente, i parcheggi cono collocati entro apposite strutture, con i pianterreni destinati a commercio o altre funzioni che generano traffico pedonale. Dove possibile, i parcheggi hanno una funzione generale urbana, a servire l’intero isolato o nucleo, anziché seguire la tipica modalità suburbana di un parcheggio per ciascuna funzione sul suo lotto. Alcuni new urbanists ritengono meglio fissare quantità massime, anziché gli abituali minimi, per i parcheggi.
Altra caratteristica del new urbanism è l’ampio uso dei vicoli di servizio, che possono avere parecchie funzioni. Esse comprendono il nascondere i garages dalla strada, ridurre al minimo i tagli nella continuità del bordo marciapiede per gli ingressi carrai, aumentare la quantità di parcheggi lungo la strada (grazie a meno tagli), offrire percorsi alternativi ai pedoni, biciclette, veicoli di servizio e di emergenza, e in genere incrementare la connettività della rete stradale.
Gran parte degli elementi della progettazione stradale di solito non rientrano nelle competenze dello zoning, e il sistema di strade Palo Alto offrirà opportunità limitate di modificazione. Ad ogni modo, un sistema di regole new urbanist che non si misuri con questo aspetto non raggiungerà certamente del tutto i propri obiettivi. Secondo le pratiche di zoning correnti, l’edificazione di ampie superfici di solito comporta un sistema interno di circolazione veicolare. Un approccio new urbanist non lo consentirebbe, e sarebbe invece chiesto, attraverso le regole di zoning, di creare un sistema interno di strade pubbliche. Questo sistema sarebbe progettato come estensione della griglia stradale esistente, se esiste, o ne creerebbe una nuova estendibile verso gli spazi adiacenti. Ovunque si creano nuove strade, le caratteristiche di urbanizzazione giocano un ruolo significativo. Anche se questo non è la stessa cosa dello zoning, di solito i new urbanists considerano tutti gli elementi di uso dello spazio insieme, in modo unificato. Il problema degli schemi stradali e della loro progettazione può sembrare andar oltre gli scopi normali dello zoning. Ma alcuni elementi dell’ambiente stradale, come gli arretramenti, altezze degli edifici, caratteristiche connesse ai pedoni e arredo a verde, possono essere considerate, all’interno della revisione di un’ordinanza di zoning mirata all’inserimento dei principi new urbanist.
E. Architettura e Urbanistica
Sembra esistere un mito, secondo cui il new urbanism si preoccupa soprattutto dello stile architettonico. Si tratta di un equivoco, che deriva dal fatto che molti professionisti leaders del movimento sono architetti, e usano il linguaggio della progettazione, e che in molti progetti new urbanist si usano forme architettoniche tradizionali (anche se in altri non si usano). Il new urbanism concerne soprattutto il “progetto”, non nel senso delle architetture ma in quello del disegno urbano relativo all’ambito pubblico, all’integrazione dei diversi elementi entro un tutto armonioso (concetto a volte chiamato “ urbanism”). I nuovi urbanisti sono spesso equivocati sia dai critici che dal pubblico, come interessati principalmente alle architetture tradizionali anziché a creare città differenti e un ambiente pubblico più nobile. La descrizione caricaturale standard del nuovo urbanesimo parla di abbaini, portici, recinzioni a steccato. Anche se questi tre elementi di progetto possono aiutare a definire un ambito pubblico attraente, sono solo mezzi per un fine più ampio, come quello descritto in questo documento, e non fondamentali per qualunque tipo di progetto new urbanist. Il principio 20 della Carta afferma chiaramente: “I singoli progetti architettonici saranno legati senza continuità al contesto. Questo trascende lo stile”
L’enfasi posta sulle “regole per la forma” [ form-based codes, n.d.T.] nel Comprehensive Plan di Palo Alto, e sul “progetto” (se interpretato come “architettura”) è solo tangenzialmente correlata al new urbanism. Il vero problema è il progetto di quartieri integrati ad alta vivibilità. I disegni, le tipologie, gli schizzi, sono strumenti importanti, non per illustrare le architetture, ma per dare regole alla progettazione urbana. Per questo le ordinanze di zoning del nuovo urbanesimo di solito hanno più contenuti grafici di quelle convenzionali: ma questi contenuti grafici non si concentrano necessariamente sulle architetture.
Le regole per le architetture (o l’assenza di regole) è un campo di formidabili variazioni nella pratica new urbanist. Il problema se Palo Alto voglia o meno dare regole rigorose alle architetture è in qualche modo indipendente dall’inserimento di principi new urbanist. Principi che possono essere incorporati con o senza un’attenzione dettagliata all’architettura.
Andres Duany distingue fra l’architettura e la “sintassi architettonica”, che è il modo in cui le forme costruite si relazionano l’una con l’altra entro un ambiente coerente come quello di una strada, di un isolato, o le facciate su una pubblica piazza. La sintassi architettonica comprende elementi base come le proporzioni delle finestre, forme dei tetti, altezze, ma non concerne lo stile. La sintassi architettonica è centrale per il new urbanism; l’architettura non lo è. La sintassi architettonica è relativamente facile da sottoporre a regole e può produrre significativi miglioramenti nella qualità dell’ambiente urbano. L’architettura è molto difficile da regolamentare in modo sufficientemente oggettivo per sostenere un ricorso legale per interferenza coi diritti individuali e la libertà di espressione.
Dato che i new urbanists si concentrano su funzioni miste, disegno urbano e sintassi architettonica, i tipi di edifici con maggior successo cono quelli costruiti per durare, pensati con flessibilità, con la capacità di evolversi e cambiare funzione nel tempo. I fabbricati classici dei vecchi centri città e quartieri di laboratori sono buoni modelli, coi loro spazi che possono trasformarsi nel tempo, da attività industriali leggere a residenza-lavoro, a commercio, a residenza e viceversa. Gli edifici monofunzionali “usa e getta” di fine ventesimo secolo sono l’antitesi di tutto ciò, anche se per fortuna non dureranno e possano essere rimpiazzati da strutture più flessibili e durature, che valga la pena di conservare. I new urbanists considerano positivamente il mantenimento di una miscela di edifici di diverse età. Questo incoraggia la varietà, dato che gli edifici più vecchi di solito sono più a buon mercato, e aggiungono interesse e complessità all’insieme urbano.
F. Applicare il New Urbanism
Uno dei marchi di fabbrica del new urbanism è l’integrazione di questioni normalmente regolate da sistemi separati e indipendenti. Attuare i principi del new urbanism può significare non osservare le distinzioni convenzionali fra zoning, regole di lottizzazione, convenzioni e vincoli per i privati, regole di progetto per soggetti pubblici e privati, progettazione stradale, e ancora concezione realizzazione e manutenzione in un ampio settore che comprende marciapiedi, piste ciclabili, parchi, altri spazi verdi, piazze, strade, servizi, alberature, sistemi di trasporto, edifici pubblici. Queste distinzioni hanno comunque ancora significato legale, il che aggiunge complessità alla messa in atto dei principi new urbanist nel contesto delle leggi esistenti.
Il new urbanism guarda all’ambiente urbano in una prospettiva olistica, considerando la proprietà pubblica e quella privata insieme, come parti del tutto che rende la città vivibile. Dato che i new urbanists vedono gli ambiti pubblico e privato come tessuto continuo legato da zone di transazione semi-pubbliche, i relativi codici tendono a regolamentare le attività pubbliche e quelle private in modi molto simili. Questo documento si concentra sullo zoning e pone l’accento su quelle questioni, m afa anche riferimento a questioni complementari da affrontare in altre aree normative e di politica municipale, se si vogliono mettere in pratica con successo i principi new urbanist.
Anziche regolamentare le funzioni in modo rigido, le regole new urbanist di solito si concentrano sulle dimensioni degli edifici, i tipi, la sintassi architettonica. Comunque, inevitabilmente c’è qualche regola sulle funzioni, visto che le zone miste più intensamente edificate del centro urbano o di quartiere tipicamente consentono maggior varietà di usi delle aree a predominanza residenziale che le circondano. Queste regole sugli usi hanno contenuto più generale, e dimensioni e modi di progetto sono controllati in modo più rigoroso che non le funzioni. Si regolamentano in modo più puntuale gli elementi costruiti che influenzano l’ambito pubblico. Per esempio, è importante mantenere un margine stradale relativamente continuo formato dalle facciate degli edifici, fissato da una linea “da edificare” (ad esempio una linea parallela al marciapiede lungo la quale devono allinearsi tutte le facciate degli edifici di un isolato).
Questa regola di solito è considerata più importante di quella sulle funzioni contenute negli edifici, che possono variare nel tempo.
Un altro importante principio nella messa in pratica del new urbanism è l’uso di procedure amministrative altamente semplificate per i progetti che si adeguano ai requisiti di disegno urbano del codice. L’obiettivo è di raggiungere il consenso della comunità sulla forma dello spazio, realizzarla attraverso una revisione delle norme chiara e mirata, e facilitare le trasformazioni coerenti con questo piano, tentando di scoraggiare contemporaneamente i progetti che non lo sono. Il new urbanism tiene in alta considerazione il ruolo degli uffici pubblici nell’approvare rapidamente i progetti coerenti con le nuove indicazioni e regole.
[...]
Nota: qui il link al documento originale e integrale (che contiene anche le specifiche tecnico-legali per la città zona per zona) al sito della municipalità di Palo Alto. (fb)
Titolo originale: The Nature of 2040 – The region’s 50 years plan for managing growth – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Un piano a proteggere la natura della regione
Ricco di ricorse naturali, il posto in cui viviamo è stato paragonato al paradiso. “I Cancelli dell’Eden”, come era chiamata la valle del fiume Willamette, offre una qualità di vita, economia e cultura profondamente radicate nell’ambiente. Nello stesso modo in cui onoriamo le generazioni passate per la loro lungimiranza nel tutelare Forest Park, la Columbia Gorge e la costa oceanica, così le generazioni future ci giudicheranno per i nostri sforzi nel proteggere la natura della regione.
Uno dei modi più efficaci di proteggere il nostro ambiente, sia quello costruito che quello naturale che abitiamo, è pianificare per il futuro. Questo è esattamente lo scopo principale del 2040 Growth Concept, la strategia di lungo periodo di Metro per governare lo sviluppo (“2040” nasce dall’idea di pianificare per 50 anni a partire dall’anno 1990). E pianificare il nostro futuro sulla base di cosa è ora importante per noi, assume senso. Gli abitanti di questa regione hanno esplicitamente affermato che le nostre bellezze naturali e il senso comunitario delle nostre città sono importanti.
Il 2040 Growth Concept riflette quanto chi abita qui valuta sopra le altre cose:
Coinvolgendo la comunità in una discussione sulle questioni che abbiamo di fronte, creiamo l’opportunità di prendere decisioni consapevoli su dove ci condurrà la crescita, come saranno protette le aree naturali, come funzioneranno le nostre città.
L’Oregon ha una lunga storia di pianificazione per governare gli effetti della crescita. Le nostre leggi sull’uso dello spazio giocano un ruolo prioritario nel determinare come crescono le città, nel proteggere aree agricole e forestali dall’edificazione, e nel mantenere la vitalità economica.
Quando è iniziata la pianificazione?
Nel1973, il Governatore Tom McCall e i suoi alleati convinsero le camere statali ad adottare il primo gruppo di leggi urbanistiche nazionali. McCall, con l’aiuto di una coalizione senza precedenti di agricoltori e ambientalisti, riuscì a persuadere la Legislatura che il paesaggio e la facile accessibilità alle zone naturali sarebbero andati perduti nell’onda montante dello sprawl urbano. I nuovi obiettivi e linee d’azione richiedevano che ogni città e contea in Oregon si dotassero di un piano di lungo termine per la crescita futura, adeguato a fini sia locali che statali.
In breve, gli obiettivi statali di uso del suolo richiedevano:
Nel 1978, gli elettori delle zone metropolitane comprese entro le contee di Clackamas, Multnomah eWashington, approvano un referendum che fa di Metro il primo governo regionale eletto della nazione. Questo voto conferisce a Metro la responsabilità di coordinare i piani urbanistici della regione nelle sue 27 circoscrizioni, e insieme altri compiti di “scala regionale”. Le leggi urbanistiche statali chiedono che Metro fissi un urban growth boundary (UGB) di scala regionale, e da’ il potere al Metro Council di prendere decisioni vincolanti riguardo all’urbanizzazione entro quel confine.
Responsabilità e procedure di Metro si possono trovare negli Oregon Revised Statutes, Chapter 268.
Lo urban growth boundary di Metro
Lo urban growth boundary segna il confine fra terreni urbani e rurali. Gli UGB devono contenere al proprio interno, secondo la legge statale, una quantità adeguata di terra edificabile, per ospitare la crescita prevista su un periodo di 20 anni. Mettendo a disposizione terreni urbanizzabili all’interno del confine, si possono tutelare le zone rurali da una indesiderata dispersione urbana.
Adottato dal Metro Council nel 1979, lo UGB regionale interessa 24 città e porzioni urbane di tre contee, per una superficie di 106.000 ettari. Compito di Metro è di collaborare coi governi locali per stabilire la crescita dei prossimi 20 anni, e apportare correzioni allo UGB sulla base di questi calcoli
Gli elettori orientano Metro nel governo dello sviluppo regionale
Nel 1992, gli elettori della regione approvano uno statuto che orienta Metro a fare del governo dello sviluppo locale la propria missione principale. Questo documento chiede che sia adottata una Future Vision, un complesso di affermazioni sui valori e le prospettive regionali. Richiede anche un sistema integrato di politiche a scala regionale sull’urbanistica, i trasporti, la qualità delle acque, le aree naturali e altri elementi di “significatività regionale”, denominato Regional Framework Plan. Lo statuto chiede che il framework plan sia adottato entro la fine del 1997.
Definire i valori della regione
All’inizio del 1992, Metro inizia un’intensa attività di relazioni per coinvolgere gli abitanti nel processo decisionale, trovando risposte ad alcune questioni base di qualità della vita. Alla domanda su quali fossero i valori più importanti da proteggere per il futuro, il pubblico risponde con:
Gli abitanti espressero anche una certa preoccupazione che la crescita potesse avere effetti negativi sulla qualità della vita. Avrebbero accettato alcune trasformazioni nei propri quartieri allo scopo di proteggere la regione dalla dispersione urbana, ma erano contrari a grossi incrementi di densità vicino alle proprie case.
Perché abbiamo cambiato il modo di crescere
Lo sviluppo urbano degli anni ’80 e dei primi ’90, in particolare nelle zone esterne della regione, è stato troppo spesso quello che si definisce “ sprawl”. Lo urban growth boundary ha solo contenuto l’urbanizzazione più decentrata, convertendo a usi urbani terreni interni al margine. Proseguire questo modello di sviluppo richiederebbe una gigantesca espansione dei margini.
Sofisticati modelli elaborati al computer hanno rivelato che sarebbero necessari più di 54.000 ettari di suoli aggiuntivi per assorbire la crescita interna al boundary fino al 2040, se le tendenze di sviluppo demografico e urbano continueranno in questo modo.
Il costo di estendere i servizi pubblici dalle città attuali, contee e distretti speciali, sino a queste nuove aree, sarebbe estremamente elevato. La collocazione in zone rurali e naturali non-urbane di altri 54.000 ettari avrebbe effetti sulle città circostanti, sulle economie rurali, e naturalmente sull’ambiente. In più, anche con una massiccia costruzione di strade, si creerebbe una inaccettabile congestione.
Era tempo di fare delle scelte. La regione poteva espandere il boundary per consentire il proseguimento della crescita attuale, o cambiare i modi d’uso dello spazio, per proteggere quelle caratteristiche comuni a cui tutti diamo valore.
L’esplicitazione delle scelte
Dal 1992 al 1994, Metro ha usato strumenti di analisi dello sviluppo urbani e tecniche di previsione, per studiare le varie possibili strategie di governo della crescita. È stato identificato a analizzato un vasto raggio di possibili approcci ai centri abitati, ai sistemi di trasporto, alle risorse naturali e ai servizi urbani chiave. Questo analisi intensiva, originariamente chiamata Region 2040, ha consentito a Metro di concentrarsi su alcune opzioni, e di proporle ai governi locali e al pubblico. Ne sono infine usciti quattro diversi scenari per la crescita regionale.
Ciascuna opzione è stata analizzata per gli effetti su:
Le quattro opzioni, chiamate “ growth concepts”, presentavano diverse filosofie su come la regione avrebbe dovuto governare attivamente la crescita.
Concept A - Espansione
Significativa espansione degli UGB; nuova crescita sui margini urbani soprattutto per la residenza.
128.000 ettari entro gli UGB (23.000 ettari aggiunti)
Concept B – Aumento della densità
Nessuna espansione degli UGB; crescita gestita attraverso urbanizzazione dei terreni entro i margini urbanizzati attuali.
105.000 ettari entro gli UGB
Concept C – Crescita per poli
Moderata espansione degli UGB; crescita focalizzata sui centri, corridoi di mobilità e centri minori.
115.000 ettari entro gli UGB (9.900 ettari aggiunti)
La discussione pubblica da’ forma alle strategie
Nella primavera 1994, Metro porta avanti un’intensa campagna pubblica per capire cosa la gente pensa di queste quattro opzioni di sviluppo. Viene inviato un questionario ad ogni famiglia (più di 500.000 nuclei) della regione. Più di 17.000 vengono restituiti con 12.000 osservazioni scritte aggiunte.
Questo il risultato:
Offrire ampie possibilità di coinvolgimento pubblico
Sin dal lancio di Region 2040 nel 1992, il processo di coinvolgimento pubblico attivato da Metro ha aiutato i cittadini a divenire consapevoli degli effetti della crescita, offrendo loro opportunità per definire, discutere e contribuire al processo decisionale. Gli strumenti di comunicazione comprendevano:
Trovare l’equilibrio: emerge il 2040 Growth Concept
Nel settembre 1994 si afferma una nuova idea. Traendo spunto dagli elementi migliori dei vari approcci, il 2040 Growth Concept trova il sostegno unanime dei governi locali che partecipano al Metro Policy Advisory Committee. Il Metro Council adotta il piano nel 1995.
Le decisioni di uso dello spazio sono orientate a:
L’alternativa raccomandata da 2040
Si incoraggia la crescita entro i centri e corridoi, con particolare enfasi riguardo alla riurbanizzazione all’interno dello urban growth boundary.
Questo significa da 112.000 a 114.000 ettari entro lo UGB (da 6.750 a 8.750 ettari aggiunti entro lo UGB in 50 anni)
[...]
Cosa accade nel 2040 agli insediamenti esistenti?
Se abitate in un centro consolidato, che stia nel cuore di Portland o a Gresham o a Beaverton, il vostro quartiere continuerà ad essere e funzionare come fa oggi.
La tutela dei quartieri esistenti è uno degli aspetti principali del 2040 Growth Concept. Le caratteristiche del vostro quartiere dovrebbero restare fondamentalmente le stesse, anche se vicino a voi potranno comparire case a schiera, o nuovi insediamenti vicino a strade trafficate su lotti che erano vuoti. Le trasformazini avverranno gradualmente, lungo il corso di parecchi anni. Un altro obiettivo principale dello sforzo di Metro per il governo dello sviluppo è di offrire un ventaglio di opzioni residenziali, che includono appartamenti a prezzi accessibili sopra i negozi, case a schiera e edifici ad appartamenti, insieme a case unifamiliari, per tutti gli abitanti della regione: ora e per il futuro.
Quello che va bene per una famiglia con bambini può non essere adatto per un adulto single o per una coppia di pensionati con figli cresciuti.
Se abitate lungo linee di metropolitana leggera esistenti o in progetto, vicino a linee di autobus o centri commerciali, potete aspettarvi di vedere more trasformazioni più vistose. Possono iniziare a comparire, lungo questi percorsi, case ad appartamenti, a schiera, condomini. Si potranno vedere anche insediamenti a usi misti con commercio e terziario al pianterreno e unità residenziali a quelli superiori. La riurbanizzazione può trasformare gli angoli di degrado del quartiere in luoghi di riferimento per la comunità. Probabilmente si trasferiranno nella zona attività e servizi destinati a chi abita nelle vicinanze.
Se abitate in una zona non urbanizzata all’interno dello urban growth boundary regionale, che non è tutelata da norme ambientali o di altro genere, potreste già vedere trasformazioni significative attorno a voi. Alcuni di questi cambiamenti avverranno in cambio della protezione di zone agricole dallo sprawl.
Se l’edificazione è gestita correttamente, può significare maggiori opportunità per tipologia residenziali innovative, un maggior senso di quartiere e comunità, legami più solidi fra residenza e posti di lavoro, e accesso più comodo al servizio di trasporto pubblico.
Leggere la mappa del 2040 Growth Concept
La mappa del 2040 Growth Concept mostra diversi elementi di progetto. Questi tipi, descritti di seguito, sono i “mattoni” della strategia regionale di governo dello sviluppo.
Città Centrale
Il centro di Portland serve da hub per le attività economiche e culturali della regione. Ha la forma di insediamento più intensiva sia per quanto riguarda la residenza che le attività economiche, con gli edifici sviluppati in altezza caratteristici di un central business district. Il centro di Portland continuerà a fungere da fulcro della finanza, commercio, amministrazione, turismo e attività culturali per tutta la regione.
Centri Regionali
I centri regionali diventano il fuoco delle trasformazioni nel trasporto pubblico e nelle strade, in quanto luoghi di riferimento per centinaia di migliaia di persone. Si caratterizzano per un’edificazione da due a quattro piani, con insediamenti compatti residenziali e per attività economiche, serviti da trasporti di alta qualità. Nel piano esistono otto centri di questo tipo: Gateway per l’area centrale della Multnomah County; Hillsboro per la porzione occidentale di Washington County; Beaverton e Washington Square servono la Washington County orientale; il centro di Oregon City e Clackamas Town Center servono la Clackamas County; Gresham funge da centro per la Multnomah County orientale; e il centro diVancouver, stato di Washington, serve la Clark County.
Centri Minori
I centri minori provvedono servizi puntuali a decine di migliaia di persone entro un raggio di 3-5 chilometri. Esempi di questo tipo sono le zone centrali di cittadine come Lake Oswego, Tualatin, West Linn, Forest Grove e Milwaukie, oppure nuclei di grossi quartieri come Hillsdale, St. Johns, Cedar Mill e Aloha. Gli edifici a tre piani per residenza o uffici di Oneto sono caratteristici. I centri minori possiedono un forte senso identitario, e sono ben serviti dal trasporto pubblico.
Arterie commerciali urbane
In modo simile ai centri minori, le main streets hanno tradizionalmente un’identità commerciale, ma su scala più ristretta e con riferimento alle immediate vicinanze. Esempi di questo tipo comprendono la Southeast Hawthorne a Portland, l’area di Lake Grove a Lake Oswego, e la via principale di Cornelius. Anche le arterie commerciali hanno un buon accesso ai mezzi pubblici.
Corridoi
I corridoi sono strade importanti che fungono da percorsi chiave per lo spostamento di persone e cose. Esempi di corridoio sono la Tualatin Valley Highway e la 185° Avenue nella Washington County, il Powell Boulevard a Portland e Gresham, o McLoughlin Boulevard nella Clackamas County. I corridoi sono serviti estensivamente dal trasporto pubblico.
Centri di Stazione
Sono zone di sviluppo centrato attorno una stazione del trasporto pubblico metropolitano o ad alta capacità, con strutture commerciali e di servizio accessibili a ciclisti, pedoni, utenti del trasporto pubblico e automobilisti.
Quartieri
Secondo il 2040 Growth Concept, la maggior parte dei quartieri esistenti resterà in gran parte identica. Possono verificarsi alcune riurbanizzazioni per usare terreni disponibili o sottoutilizzati. I nuovi quartieri si caratterizzeranno per lotti da abitazioni unifamiliari più piccoli, usi misti e una miscela di tipi residenziali come case a schiera o alloggi accessori. Il piano distingue fra quartieri a edificazione leggermente più compatta, e altre zone con lotti leggermente più grandi e meno connessioni stradali.
Centri Satellite/Corridoi verdi
Centri come Sandy, Canby, Newberg o North Plains, hanno un numero significativo di residenti che lavorano o fanno acquisti nell’area metropolitana. La cooperazione fra Metro e queste comunità è critica per le questioni comuni del trasporto e dell’uso del suolo. Questi centri satellite sono connessi al nucleo centrale da corridoi verdi di mobilità.
Zone rurali/Spazi aperti
Una componente importante del growth concept è la disponibilità e destinazione di aree che resteranno inedificate, sia entro che fuori lo urban growth boundary. Le zone a riserva rurale sono terreni esterni allo UGB che forniscono separazione fisica e visiva fra zona urbana e terre agricole e a boschi. Gli spazi aperti comprendono parchi, corsi d’acqua e sentieri, zone umide e pianure alluvionali.
Aree Industriali e Terminali di trasporto merci
Servendo da fulcro per il commercio regionale, le zone industriali e strutture per movimentazione merci (su gomma, ferro, nave, aereo) danno la possibilità di spostare i beni dentro e fuori la regione. L’accesso a queste aree è centrato sulla ferrovia, sul sistema autostradale regionale, e sugli incroci chiave con il resto della viabilità.
Il mantenimento di queste forti interconnessioni è critico per la salute dell’economia regionale.
Trasformare in realtà il piano 2040
Quando Metro adottò il 2040 Growth Concept, molti sia all’interno del governo regionale che nelle amministrazioni locali videro l’impellente necessità di applicarne i principi il più rapidamente possibile. Dal 1992 al 1997 erano arrivati più di 131.000 nuovi residenti, e questo tasso di crescita stava producendo tensioni nelle città e contee della regione.
Lo Urban Growth Management Functional Plan
Rappresentanti politici e funzionari di Metro e delle autorità dell’area iniziarono a lavorare su un piano funzionale di governo della crescita, che fissasse specifici requisiti e strumenti attraverso cui i governi locali potessero cooperare con quello regionale a conseguire gli obiettivi fissati nel 2040 Growth Concept. Lavorando in stretta collaborazione con comitati locali di consulenza, Metro sviluppò politiche sulle questioni chiave della crescita, come:
Il piano funzionale considera anche i modi per assicurare a città e contee i medesimi standards qualitativi. Per determinare l’avanzamento verso gli obiettivi prefissati, vengono sviluppati criteri di misura fissati su alcuni elementi chiave da esaminarsi ogni due anni.
Nel novembre 1996, dopo approvazione unanime da parte dei comitati consultivi locali, Metro Council adotta il piano funzionale, che diviene efficace nel febbraio 1997. I governi locali continuano nel loro lavoro comune insieme a Metro, per verificare i piani regolatori e ordinanze di zoning.
Il Piano Strutturale Regionale
Col piano funzionale a predisporre gli obiettivi per città e contee, Metro è passata alla creazione di un sistema integrato di politiche per governare gli impatti della crescita. Il Piano Strutturale Regionale [ Framework Plan n.d.T.] comprende uso del suolo, trasporti, parchi, spazi verdi, qualità dell’aria e delle acque, pianificazione e gestione riguardo ai rischi naturali, strumenti attuativi. Il piano intende anche coordinare tutte queste politiche con la Clark County, nello stato di Washington. Metro è riuscita a rientrare nei tempi previsti dal documento originale per il completamento del piano, adottandolo l’11 dicembre 1997.
2040 e il Piano Regionale dei Trasporti
Il Regional Transportation Plan (RTP) è un quadro generale per migliorare il sistema di trasporti regionale nei prossimi vent’anni. Recepisce gli obiettivi del 2040 Growth Concept all’interno di strategie muovere persone e merci all’interno della regione.
RTP fissa politiche di trasporto riguardo a tutte le forme di spostamento: automobili, autobus, metropolitane leggere, pedoni, biciclette e trasporto merci. Stabilisce un nuovo orientamento per il futuro, collegando forme dell’insediamento e investimenti in infrastrutture di trasporto.
La pianificazione, che coinvolge tutti gli organismi di governo della regione, sarà guidata dalle seguenti strategie:
2040 e le stragtegie di protezione della natura
Lo statuto di Metro identifica tra i suoi scopi principali “pianificazione e politiche per preservare e aumentare la qualità della vita e dell’ambiente”.
Il documento rifletteva la forte convinzione degli abitanti della stretta connessione fra efficace gestione delle risorse naturali e città vivibili.
Nell’adottare sia il Regional Framework Plan che lo Urban Growth Management Functional Plan, Metro ha fissato orientamenti di politica regionale per la conservazione, tutela ed estensione di parchi, aree naturali, corridoi verdi, acque di buona qualità, habitat per la fauna.
In stretto coordinamento con abitanti e amministrazioni locali, Metro prosegue il suo lavoro sulle strategie di protezione naturale rivolte ad alcuni bisogni impellenti della regione. Sono stati o saranno adottati alcuni specifici standards al fine di:
Qual’è ora l’immagine di 2040?
La visione inizia a focalizzarsi
Nel 1994, Metro si attivò per evidenziare insieme agli abitanti quello che sarebbe stato 2040. Furono scelti otto siti, all’interno o immediatamente all’esterno dello urban growth boundary per rappresentare le condizioni future della regione. Si andava da terreni liberi nelle vicinanze dei corridoi di metropolitana leggera (Orenco, a Hillsboro) e fasce commerciali suburbane (Hillsdale, a Portland) fino a centri città storici (Gresham). Ciascuno dei progetti, predisposti dallo studio di architettura e urbanistica Calthorpe Associates, applicava i principi del 2040 Growth Concept e recepiva idee e preferenze dei residenti così come emerse da pubbliche assemblee e laboratori con la partecipazione dei soggetti interessati.
Ad appena pochi anni dall’adozione del 2040 Growth Concept, possiamo già vedere le trasformazioni che riflettono gli obiettivi del piano, e indicano come la visione stia diventando realtà.
2040 vuol dire anche business
Il piano di Metro per il 2040 è concepito per aiutare le comunità a trovare modi migliori per fornire servizi a costi minori. Orientare la crescita e la riurbanizzazione all’interno (anziché all’esterno dell’area urbana, dove i servizi sono più costosi) è anche un buon affare.
Nel 1998 in un rapporto di previsione sul settore immobiliare della ERE Yarmouth, EmergingTrends in Real Estate, l’area regionale era classificata come una delle più attrattive del paese per gli investimenti. Con riferimento alla strategia di governo dello sviluppo regionale il rapporto definiva l’area un “mercato più stabile per gli investimenti”. Secondo gli esperti immobiliari non esiste “rischio maggiore per gli investimenti, dell’edificazione incontrollata”.
Il 2040 Growth Concept:
I leaders delle organizzazioni imprenditoriali dichiarano il proprio sostegno
Uno studio a scala nazionale del giugno 1999, Profiles of Business Leadership on Smart Growth: New Partnerships Demonstrate the Economic Benefits of Reducing Sprawl, riconosce ai business leaders di Portland di aver sostenuto attivamente gli sforzi di governo dello sviluppo, perché aiutavano a mantenere un’alta qualità della vita nell’area.
“Gli investimenti rendono dove ci sono regole certe” dice Clayton Hering, presidente della Norris, Beggs & Simpson, impresa di servizi immobiliari. “Quando si costruisce a Portland, si può essere certi che tutti dovranno seguire le medesime regole. La stabilità offerta dallo urban growth boundary rende la città attrattiva per gli investimenti”.
Non c’è un punto d’arrivo finale
Gli abitanti dell’Oregon ereditano un pensiero e una visione per il futuro. Siamo stati attenti custodi della terra e continuiamo a lavorare per proteggere le nostre risorse naturali contro lo sprawl urbano che affligge quasi tutte le aree metropolitane del paese. Migliaia di abitanti, amministrazioni locali, quartieri, imprese e gruppi di interesse si sono impegnati nello sforzo di programmazione di Metro.
Il nostro lavoro per mantenere la vivibilità della regione non finisce con l’adozione di documenti di piano di lungo periodo come il 2040 Growth Concept, il Regional Framework Plan o il Regional Transportation Plan. Il lavoro più difficile e controverso è quello che ci sta ancora davanti. Abbiamo bisogno del vostro aiuto per rivolgerci ai bisogni della regione.
Le possibilità di partecipazione possono essere:
Nota: scaricabili direttamente da Eddyburg, sono allegati di seguito due files PDF, uno con la versione originale e integrale del testo tradotto sopra (con tabelle, cronologia ecc.), uno forse più importante con la MAPPA generale del piano regionale, a cui si riferiscono i paragrafi sui Centri, i Corridoi ecc. Per il link al sito di Metro Portland, dove si trovano tutti i dati disponibili su “2040”, faccio riferimento a quello riportato alla fine del testo di critica del Thoreau Institute già tradotto per Eddyburg, che indicava nella esperienza di Portland nientemeno che un “ socialismo strisciante” (fb)
Estratto da: California Center for Land Recycling, Brownfield Redevelopment. Case Studies, 2000 – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Caso: Venice Beach
Progetto: Sito della Damson Oil Company
Luogo: Venice Beach, California
Protagonista: Los Angeles Department of Recreation and Parks
Soggetti principali:
Premesse
Venice Beach a Los Angeles, California, è una delle aree urbane a parco più frequentate dell’area. Attira più di 150.000 visitatori al giorno in alta stagione, ed è seconda solo a Disneyland fra i luoghi più frequentati nella regione metropolitana di Los Angeles. Residenti e turisti ci vanno a godere la leggendaria di splendida spiaggia oceanica della California meridionale, e insieme l’atmosfera artistica eclettica e libera della vita di strada.
Negli anni la zona e il suo famoso “boardwalk” (una passeggiata di cemento sul fronte oceano perfetta per pattinare) si è degradata. Nel 1992 la City of Los Angeles ha approvato uno stanziamento di 10 milioni di dollari per rivitalizzare circa 2 chilometri del Venice Beach Ocean Front Walk. Adiacente al boardwalk, su circa mezzo ettaro di spiaggia in posizione strategica, c’era un impianto di estrazione petrolifero abbandonato, circondato da un muro di cemento. L’impianto era una bruttura, con significativo inquinamento ambientale che costituiva potenziale rischio per la salute. Dato che l’area occupava uno spazio di alta qualità sullo Ocean Front Walk, si trattava di un intervento prioritario per il riuso a scopi di tempo libero.
Il sito della Damson Oil ha una storia di estrazione petrolifera lunga 22 anni. La Damson Oil Corporation aveva affittato lo spazio dalla municipalità nel 1976. Le clausole del contratto richiedevano lo smantellamento di tute le strutture e la restituzione della spiaggia alle condizioni originali, alla cessazione delle attività. L’estrazione di petrolio finì nel 1989 e la Damson iniziò lo smantellamento dell’impianto nel 1991. Ma, dopo la rimozione di tutti i macchinari utilizzabili e il sigillo dei pozzi, l’impresa dichiarò fallimento e abbandonò il sito. Furono lasciati terreni superficiali con ampie contaminazioni da idrocarburi, bacini di pompaggio contenenti petrolio, insieme ad acque e fanghi potenzialmente contaminati dai processi di estrazione, coperture di pozzo, cinque chilometri di oleodotto che andava fino a un altro impianto in altra zona. La municipalità face causa alla Damson per recuperare 1,8 milioni attraverso le procedure di fallimento, al fine di completare la bonifica, ma ne ottenne solo 800.000. Il sito inquinato ha subito ulteriore degrado negli ultimi otto anni a causa dello scarico abusivo di materiali.
La responsabilità di recupero dell’Ocean Front Walk, e della bonifica e riuso del sito Damson, venne assunta dal Los Angeles Department of Recreation and Parks (DRP). Il DRP è l’agenzia responsabile per l’acquisizione, sviluppo e manutenzione dei parchi in proprietà, e l’amministrazione di quelli in affitto. Il personale DRP comprende managers, urbanisti e architetti con vasta esperienza nella realizzazione e manutenzione di aree a parco, ma, nessuno con esperienze nel campo specifico della bonifica e ripristino dei siti contaminati.
Il DRP aveva dato incarico nel 1992 a un consulente ambientale per effettuare una valutazione preliminare delle condizioni del sito e delle possibilità di recupero, sperando di poterlo riportare alle condizioni originali, come parte della spiaggia. L’indagine si conclude con una valutazione delle spese per demolizione, scavi, bonifiche, che superava di molto le somme recuperate dalla Damson. Le sole stime delle spese di bonifica erano da 1,3 a 2,2 milioni. Questa valutazione non era stata aggiornata dal 1992, né verificata da consulenti esterni. Quando iniziò la stesura del piano per lo Ocean Front Walk, bonifica a riuso del sito Damson Oil erano considerati “spesa non quantificabile” a causa della presenza di contaminanti velenosi. Erano specificamente esclusi dal piano di recupero, e il DRP iniziò le sue procedure di partecipazione della cittadinanza, acquisizioni, autorizzazioni sull’area progetto.
Nel 1995, DRP incaricò lo RRM Design Group di redigere il piano di trasformazione per lo Ocean Front Walk. DRP e RRM svilupparono un processo di partecipazione pubblica nel corso di un anno, che comprendeva interviste con gli abitanti e quattro laboratori di progettazione molto frequentati. Attraverso questo processo i cittadini esprimevano le proprie idee per la zona e si confrontavano con alcuni progetti economicamente fattibili che riflettevano queste opzioni. C’era il rischio di una gentrification dell’area, e ci fu generale consenso sul fatto che il piano dovesse mantenere le caratteristiche sociali di Venice Beach: “un posto inconfondibile, creativo, artistico, libero ... sicuro, divertente, per le famiglie”.
Lo studio RRM aveva pensato anche a potenziali usi del sito Damson Oil nelle proprie presentazioni. Le prime scelte della cittadinanza furono di ripristinare l’area a spiaggia. Ma a causa delle dimensioni del preventivo 1992, e ritenendo fosse una stima valida, questa opzione fu esclusa. Ma ci fu forte sostegno pubblico per la seconda opzione: una struttura per il pattinaggio all’ultimo grido. Un attivista locale aveva organizzato un programma per raccogliere giovani di varie estrazioni sociali, a imparare e gareggiare sui rollerblades in un ambiente controllato. Sul sito Damson Oil si poteva creare un rollerblade park: ricoprendolo di cemento e combinando i costi con le trasformazioni, la struttura sarebbe stata fattibile.
Con questo piano, il riuso del sito Damson Oil poteva rientrare come parte del piano generale. Ma restava un altro ostacolo. Il gruppo di lavoro DRP era già sovraccarico, e non possedeva al suo interno le competenze per gestire la trasformazione di un sito contaminato. La RRM riconosceva che si sarebbero potuti realizzare significativi risparmi se il sito Damsono fosse stato recuperato parallelamente alla trasformazione dell’Ocean Front Walk. DRP e RRM decisero di aver bisogno di assistenza per la ricerca, pianificazione e attuazione relative al recupero entro tempi e costi limitati.
Su richiesta di RRM, nell’estate del 1998 il DRP richiese assistenza al California Center for Land Recycling (CCLR) ne lquadro del suo Project Learning Program. L’obiettivo era di stabilire rapidamente cosa si potesse fare con quel sito in tempi e costi limitati.
Strategie e Attuazione
Nell’agosto del 1998, il CCLR e il DRP si incontrarono per discutere il progetto, gli obiettivi, le difficoltà. Il gruppo di lavoro CCLR ne concluse che era necessaria una completa ri-valutazione dell’analisi del 1992 sui livelli di inquinamento e le opzioni di bonifica. La CCLR incaricò un membro del suo gruppo strategico, Erler and Kalinowski, Inc. (EKI), di revisionare tutta la documentazione disponibile sul sito, ed effettuare una verifica sul posto delle condizioni attuali. EKI giudicò che non ci fossero elementi sufficienti a sostenere l’entità dei costi di recupero calcolati nello studio del 1992. In più, l’ispezione sul posto suggerì che, viste le linee di progetto attuali e le caratteristiche del sito, i costi di bonifica e recupero potevano rientrare entro il bilancio a disposizione del DRP, anche con l’opzione “ritorno alla spiaggia”.
Entro la metà di ottobre, CCLR e il suo gruppo strategico di collaborazione avevano sviluppato un piano di azione in cinque fasi, con l’obiettivo di far partire i lavori sul sito Damson entro la fine del 1999. Sarebbero state comprese sia la bonifica degli inquinamenti che la costruzione delle strutture per il tempo libero, lavorando entro il bilancio di 800.000 dollari disponibile dalla sentenza fallimentare del 1994.
Gli elementi componenti il piano erano:
CCLR ha lavorato col personale DRP per guidarlo nel difficile processo di identificazione e rapporti con le competenti agenzie di governo, e definire le responsabilità per il piano di recupero. In questo caso l’agenzia competente era il Regional Board a causa della possibile contaminazione del sito: qualunque piano averbbe dovuto essere approvato dal Regional Board. Al termine del processo di stesura regolare di questo tipo di piani, l’ufficio rilascia una “No Further Action Letter”, che certifica come la bonifica sia completa, e come ciò ponga termine all’interessamento statale per il sito. La seconda agenzia coinvolta era il California Department of Oil and Gas (DOG), responsabile della corretta dismissione dei pozzi petroliferi. Il DOG rilascia permessi per attuare la chiusura dei pozzi, e certificati di corretto e completo abbandono di strutture produttive. Se si fosse trattato di un progetto di iniziativa privata, sarebbe stato necessario avere entrambi i certificati, prima di ottenere qualunque finanziamento.
Meno di due mesi dopo l’incarico del DRP al CCLR, fu tenuto un incontro col Regional Board per negoziare un accordo di supervisione del lavoro ambientale. Il gruppo di lavoro CCLR si coordinò anche col DOG per verificare lo stato dei pozzi petroliferi e precisare le azioni da intraprendere per una corretta chiusura del sito. A questo punto le procedure di regolazione pubblica erano attivate, e si poteva procedere col lavoro sul progetto. Furono anche attivati i supporti tecnici necessari, quando il DRP incaricò EKI come proprio riferimento per le questioni ambientali e le demolizioni. Il lavoro del CCLR per rimuovere gli ostacoli al recupero del sito era completo.
Risultati
Conclusioni
La situazione del Los Angeles Department of Recreation and Parks è quella di tutto il paese. I progetti che hanno benefici sociali ed economici, il recupero di siti contaminati, sono fermi, abbandonati, o nemmeno iniziati a causa dei timori e delle carenze conoscitive sul ripristino ambientale di queste situazioni. La maggior parte delle agenzie pubbliche locali, quelle per il recupero, e anche i gruppi non-profit interessati alle abitazioni, hanno poche o nessuna esperienza in questo campo. Incredibili storie apocrife circolanti, e l’ancora complesso ambiente di regolazione e di garanzia, li allontanano dai siti contaminati, verso occasioni più familiari.
Il caso Damson indica che ai siti industriali ci si può avvicinare come a qualunque altro caso di recupero. Essi, semplicemente, richiedono capacità aggiuntive da inserire nel gruppo di lavoro. Se vogliamo reinvestire nei centri urbani, limitare lo sprawl, conseguire gli obiettivi della smart growth, dobbiamo considerare i siti contaminati come opportunità, anziché tare. Questo richiederà studio dei potenziali di questi siti, e la messa a disposizione dei soggetti interessati ad azioni socialmente orientate, delle risorse tecniche e finanziarie necessarie a misurarsi con le particolari questioni dei siti contaminati.
Nota: è disponibile direttamente da Eddyburg il file PDF in originale dove, insieme al caso di Venice, si trovano la "filosofia" del Center for Land Recycling, e altre descizioni di progetti simili (fb)
Dal sito: iPlan – Community Engagement in the NSW Planning System(New South Wales, Australia) - Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Charette
Descrizione
Charette, o laboratorio di “inchiesta attraverso il progetto” è un processo di lavoro intensivo in cui i vari soggetti sono posti insieme a cercare soluzioni a questioni di piano complesse. Tali soluzioni comprendono l’obiettivo di un equilibrio fra i fattori urbanistici, economici e sociali, insieme a considerazioni di progettazione urbana e sostenibilità. Nella charette devono essere inclusi rappresentanti dei gruppi di interesse, anche se essa non deve essere limitata a questi soggetti. Implica rapidi e dinamici scambi di idee fra professionisti dell’urbanistica, soggetti portatori di interessi, e la comunità in generale. Con un ampio e ben concertato coinvolgimento della comunità, vengono prodotti rapidamente risultati concreti. Si tratta di uno strumento efficiente, rispetto ai costi, per mettere in evidenza alcuni risultati sin dai primi stadi, e di valutare le proposte di progetto nelle fasi finali. È importante che sia l’autorità garante che i partecipanti alla charette capiscano il proprio rulo nella formazione delle decisioni.
Indicazioni per charettes
Si può utilizzare una charette quando si rende desiderabile qualche tipo di consultazione pubblica per un piano da stendere in breve tempo, per un’area di dimensioni piccole o grandi. Si possono utilizzare nuove tecnologie di sostegno, per presentare schizzi o altri materiali. Per la riuscita della charette, è necessario che la comunità concordi sul fatto che è necessario fare qualcosa.
I vantaggi comprendono:
Gli svantaggi includono:
Verifiche
Descrivere chiaramente gli scopi della charette, e le questioni da considerare.
Descrivere dove si colloca la charette all’interno del processo complessivo di decisione. Essere particolarmente chiari riguardo al peso che i risultati della charette avranno nell’influenzare l’intero processo.
Pubblicizzare ampiamente i problemi da discutere.
Procurarsi ampi spazi per incontri pubblici.
Un processo di charette può articolarsi:
Prima giornata
Proporre alcune questioni preliminari di discussione.
Tenere un incontro pubblico serale per consentire alla comunità allargata di identificare le opzioni e i possibili risultati del processo di piano, attraverso la discussione collettiva, e in modo guidato in gruppi più piccoli.
Seconda giornata
Incontri con i gruppi di interesse, che comprendono proprietari immobiliari, costruttori, e altri con interessi in zona, come gli ambientalisti. Questo consente di inserire dati da “competenti” nelle opzioni di piano in formazione.
Terza giornata
Compilare una lista di opzioni utilizzando in modo combinato i risultati delle preoccupazioni della comunità, e i risultati della consultazione dei gruppi di interesse. Questa lista di opzioni deve essere in un formato aperto alla visione pubblica, sia della comunità che dei gruppi di interesse coinvolti. Se i partecipanti ritengono che qualcuna delle opzioni proposte non sia adatta, o entri in conflitto con valori condivisi, è possibile inserire anche questo dato. Si terranno riunioni particolari su questi temi, coi gruppi e i cittadini interessati.
Quarta giornata
Tenere un laboratorio di lavoro intensivo e dettagliato per formulare le proposte emerse dal giorno precedente, secondo la forma di progetti di piano.
Quinta giornata
Completare il processo, se possibile includendo la preparazione di schizzi e altri materiali di presentazione.
Tenere un altro incontro pubblico serale per presentare le proposte alla comunità allargata. Se esiste una forte opposizione pubblica a queste proposte, può essere necessaria una ulteriore giornata per rispondere alle critiche.
Le charettes possono essere sia suddivise su due fine settimana, o tenute per giornate consecutive. Il numero effettivo di giornate può variare. Nota: qui il testo originale al sito New South Wales, con molti altri testi links e documenti sul tema; è anche possibile scaricare direttamente qui da Eddyburg un documento metodologico sul Community Involvement, in PDF (fb).
La pratica del community planning si colloca tra urbanistica e politiche sociali: se da un lato la comunità è l’esperto in grado di fornire indicazioni ai progettisti per sviluppare soluzioni complessivamente più rispondenti ai bisogni reali, dall’altro il consolidamento della comunità in quanto tale è uno degli scopi del processo di piano. In tal senso infatti si parla di community building, individuando nel processo di formazione dei piani l’occasione per favorire il miglioramento della coesione interna delle comunità locali e i rapporti di vicinato.
Municipal Art Society, New York
Indagare il rapporto tra urbanistica e comunità nella metropoli contemporanea significa avventurarsi in una ricerca difficile e complessa, che necessita di alcune precisazioni. La scelta della comunità come oggetto di indagine può sollevare alcune perplessità, dato che si tratta di una categoria dai contorni non ben definiti e non proprio rappresentativa degli abitanti della New York contemporanea. Il tema è ambiguo anche perché lascia intendere che l’urbanistica – o una sua componente – abbia uno stretto rapporto con le comunità, e questo accade solo in particolari circostanze.
Numerosi studi sociologici ci dicono che la comunità è un’entità sempre più vaga e indeterminata, e che la sua perdita di significato rimanda alla perdita del senso di identità e di coesione sociale che caratterizzano la vita urbana contemporanea. Lo sappiamo grazie agli studi, e molti di noi lo sperimentano personalmente nella vita quotidiana. Eppure nella letteratura che ho esaminato, nei meeting e nelle lezioni a cui ho partecipato a New York, il termine community ricorreva con una certa frequenza. È probabile che il significato attribuito al termine non sia lo stesso che gli si attribuisce in Italia e nella tradizione europea, dove è riferito a comunità storiche nelle quali i legami sociali sono alimentati da un rapporto stabile con un dato gruppo e un dato territorio. Personalmente, ho maturato l’idea che a New York la parola community rimandi ad un modello ideale di organizzazione sociale a cui fare riferimento: la comunità è solidale, coesa, sicura, protettiva. Un’idea alla quale tendere, un modello da seguire per chi si pone il problema di come orientare le politiche e l’azione sociale. Tra le definizioni usate dagli studiosi e dai planners newyorchesi mi sembra che prevalga, con una certa approssimazione, la descrizione della comunità come un insieme di abitanti e di operatori economici che vivono o lavorano abitualmente in una data porzione di città, e che condividono anzitutto un determinato spazio urbano. In questo caso si tenderebbe a superare la definizione classica che rimanda alla società preindustriale, per riferirsi piuttosto a nuove comunità improprie che presentano solo alcune caratteristiche del modello storico. Si tratta di una definizione minima ma funzionale allo scopo del community-based planning che, non solo riconosce la comunità locale come interlocutore, ma che vi si affida per dialogare con gli abitanti di un quartiere, per affrontare i problemi comuni e favorire la partecipazione alla formazione delle decisioni.
Si potrebbe osservare che di comunità in realtà non ne esiste una sola in un dato territorio, e che casomai ne esistono tante, che hanno caratteri poco definiti, instabili e mutevoli, che sono fondate su occasionali interessi condivisi piuttosto che basate su durevoli legami territoriali. Dunque la community cui continuano ad alludere politici, funzionari e urbanisti nei loro interventi pubblici non sarebbe un soggetto di riferimento appropriato.
Tuttavia, come affermano alcuni sociologi, l’idea – o meglio il desiderio – di comunità persiste. Pur nella sua indeterminatezza fisica e temporale, la comunità può trovare la sua ragione d’essere in un dato momento e in un dato luogo, quando un gruppo di persone si riunisce per discutere del futuro del territorio che, almeno temporaneamente, condivide. Perciò questa “ricerca della comunità perduta”, condotta attraverso l’esame delle pratiche urbanistiche e delle analisi socioeconomiche dalle quali le pratiche traggono ispirazione, può essere intesa anche come una sfida, come una provocazione. Andiamo a vedere di cosa si occupano i community planners, chi sono i community leaders, cosa significa community building e, per differenza, di cosa si occupano i poteri politici, economici, istituzionali e i planners più convenzionali.
Il lavoro descrive le trasformazioni urbanistiche e sociali che hanno accompagnato la transizione di New York verso l’economia post industriale e che stanno plasmando la metropoli contemporanea, tentando di evidenziare le sfide che l’urbanistica si trova ad affrontare. La ricerca utilizza due chiavi di lettura privilegiate: 1) gli studi sociologici che si occupano (e si preoccupano) della giustizia sociale, della democrazia e della qualità dell’abitare; 2) quella particolare pratica urbanistica conosciuta come community-based planning.
Attraverso l’esame delle dinamiche sociali, delle scelte politiche e urbanistiche che regolano le trasformazioni urbane, rileggiamo la storia recente ed i problemi quotidiani della città e dei suoi abitanti. Quando l’attenzione si sofferma sulle vicende più note, a fianco della storia “ufficiale” vengono considerate anche letture critiche, che interpretano i fatti ed i loro effetti in un più ampio quadro di interesse generale. Anche se questo esercizio può essere considerato poco interessante per il giornalismo e per le cronache di costume più attenti agli eventi spettacolari (ma spesso anche per la letteratura dell’architettura e dell’urbanistica), può esserlo per chi si occupa degli aspetti sociali dell’intera città. Per chi osserva come si vive la quotidianità nella metropoli più importante al mondo, come questa si trasforma e che rapporto hanno i suoi abitanti con il governo delle trasformazioni. L’esercizio può anche stimolare la riflessione su quanto l’urbanistica serva ai cittadini e al buon governo del territorio, quali interessi asseconda e quali trascura.
Il punto di vista utilizzato per osservare le trasformazioni urbane e i relativi piani non riscuote i consensi e l’interesse delle maggioranze. Infatti, l’urbanistica con le comunità è considerata una pratica relativamente marginale, sia per l’entità del fenomeno sia per l’area sociale cui in prevalenza si rivolge. Non ultimo, per il ridotto peso politico e per la scarsa incidenza sui processi reali di trasformazione delle città, che sono concentrati nelle mani dei cosiddetti poteri forti: politico, finanziario e immobiliare sopra a tutti. [1] Ma la “lente” sociale, messa a fuoco sulla vita quotidiana dei quartieri (delle comunità), consente di vedere in maniera più complessa e più approfondita gli effetti delle politiche e delle azioni di trasformazione urbana. Gli effetti di quelle esternalità, che non sono considerate nella valutazione delle politiche urbane, dei piani di trasformazione fisica, pubblici e privati che si occupano prevalentemente degli aspetti economici e funzionali.
Con lo sguardo rivolto agli abitanti più che agli edifici, questo lavoro cerca di descrivere le “regole del gioco” dell’urbanistica di New York degli ultimi decenni, lasciandole sullo sfondo. Si sofferma, invece, sui piani con le comunità, che raccontano una sorta di “controstoria” delle vicende urbanistiche più conosciute. Il community-based planning è una pratica che affonda le sue radici nella cultura statunitense fin dalle sue origini, nella spiccata attitudine degli “americani” ad associarsi spontaneamente per affrontare le più disparate questioni ritenute di interesse comune. Questa attitudine, che nei secoli ha generato un complesso universo di associazioni non-profit e gruppi di interesse, ha costituito la base della lunga stagione di lotte per i diritti civili, per la pace, contro le ingiustizie sociali e la segregazione razziale iniziate negli anni sessanta e settanta.
In quegli anni nasceva l’ advocacy planning, una particolare forma di urbanistica con finalità sociali che si batteva per una maggiore giustizia sociale, coinvolgendo i cittadini nei processi decisionali e assistendo i più deboli nella difesa dei propri quartieri, nel tentativo di migliorare le loro condizioni di vita. Il community planning americano ha pertanto una precisa connotazione culturale e storica, ma anche geografica: è un fenomeno tipicamente urbano, che nasce e trova alimento nelle città, dove i problemi sociali sono più evidenti e le lotte più accese. E, particolare non trascurabile per gli Stati Uniti, una maggiore densità abitativa. Nelle città lo spazio urbano non è rarefatto, la prossimità ha un significato diverso rispetto ai suburbs, il rapporto con ciò che accade nei pressi è più immediato, nel bene e nel male.
È bene analizzare in profondità le condizioni nelle quali si sviluppa il fenomeno dell’urbanistica con le comunità, comprenderne la sua effettiva utilità sociale. Si eviterà così di banalizzarlo relegandolo ad una pratica ideologica che ha caratterizzato una fase politica ormai trascorsa, o di elevarlo impropriamente a strumento tecnico buono per ogni occasione e in ogni parte del mondo. Quella del community planning è soprattutto una storia di lotte per la difesa dei quartieri da discutibili operazioni di rinnovo urbano, una storia di rivendicazioni per case più umane, meno costose e più vivibili. È una storia di successi e di insuccessi, di un cammino difficile e incerto verso una maggiore equità sociale, verso una partecipazione effettiva alla vita democratica. Un elemento costante di questa storia, come si evince dal nome che porta, è la comunità: quella rete di relazioni, quella sorta di assicurazione sociale di cui hanno bisogno soprattutto coloro che devono unire le forze per difendere i propri diritti in assenza di potere e rappresentatività politica adeguati.
La prima parte del lavoro descrive le “condizioni al contorno” dell’urbanistica newyorchese, raccontando la storia delle trasformazioni urbane della città e delle regole che hanno cercato di governarla. I primi due capitoli prendono largamente a prestito le analisi e le opinioni che urbanisti, storici, sociologi ed economisti hanno sviluppato sulla città. Sono fonti di seconda mano, ma in questo caso mi sono parse necessarie per inquadrare criticamente fenomeni complessi. Una ricostruzione del genere può presentare alcuni limiti, perché pur servendosi di testi collaudati, scritti da autori noti e rigorosi, esprime comunque letture parziali e incomplete del fenomeno osservato. Tuttavia il ricorso a queste letture mi sembra raggiunga lo scopo prefisso: dare un’idea della complessità dei fenomeni, collegare fatti, persone e cose in un modo che sarebbe difficile per un osservatore esterno che attinga prevalentemente alle fonti di prima mano come i dati, le normative e i comunicati ufficiali.
Il secondo capitolo, dedicato a comprendere il contesto economico e sociale, si chiude con una domanda che si è fatta progressivamente avanti osservando le diverse anime dell’urbanistica newyorchese, e che ha trovato qualche conferma nelle analisi socioeconomiche sulla New York degli anni ottanta: esiste una doppia urbanistica così come esiste una città duale? Emerge il ritratto di una città sempre più polarizzata nella sua composizione sociale: da una parte un’élite ricca e potente, ben connessa e consapevole dei propri interessi, e tutto il resto dall’altra parte, una miriade di minoranze che rappresentano la stragrande maggioranza, un magma estremamente dinamico che ha in comune soprattutto la frammentazione sociale. La mia impressione è che a questo quadro sociale facciano da specchio le diverse anime della pianificazione urbanistica: queste, pur non potendo essere ridotte ad una banale dicotomia – come del resto anche la società nel suo insieme – sembrano descrivere un’urbanistica del potere e un’altra, eterogenea, che nasce dalle esigenze delle comunità e ritorna alle comunità. Queste ultime, debolmente e faticosamente, cercano di reclamare pari opportunità e pari considerazione rispetto alle élites, di ridurre le sperequazioni nelle scelte urbanistiche e nelle scelte politiche che riguardano l’intera vita sociale della città.
La seconda parte è dedicata agli approfondimenti, e indaga le condizioni sociali e politiche nelle quali si manifesta la partecipazione. Si inizia con i soggetti protagonisti della partecipazione: le comunità e le associazioni. È l’occasione per riflettere sul concetto di comunità e sul ruolo peculiare che hanno le associazioni nella società americana. L’attenzione si sposta poi sulle pratiche della partecipazione, ripercorrendo le origini e le motivazioni dell’ advocacyplanning. Chiude il capitolo un esame sulle forme che la partecipazione può assumere, indagando la relazione che intercorre tra pianificazione e potere. Anche questo capitolo fa ampio ricorso ad interpretazioni fornite da altri autori, attraversa i confini disciplinari dell’urbanistica per approdare nel più ampio campo delle scienze sociali, dove sembra trovare un significato più ampio e correlarsi al più esteso insieme delle politiche urbane e, con azioni complementari, perseguire obiettivi comuni.
La terza parte affronta l’argomento centrale del lavoro: come si manifesta l’urbanistica con le comunità nella città di New York? Dopo un breve richiamo alle origini del community planning negli USA l’indagine si sviluppa descrivendo le caratteristiche specifiche del planning newyorchese, le sue leggi, la sua storia e le sue applicazioni. Perché si fanno piani comunitari, a chi sono rivolti e chi coinvolgono, come si manifestano e quali sono i loro effetti concreti. Il capitolo si conclude esaminando le relazioni che intercorrono tra l’urbanistica e la programmazione economica, con una riflessione sulla spesa pubblica cittadina.
La quarta parte esamina alcuni esempi: si tratta di esperienze accomunate dalla partecipazione, ma che nascono e si sviluppano in contesti e con modalità anche piuttosto diversi tra loro. Il caso di Greenpoint a Brooklyn esamina un piano della “partecipazione ufficiale”, realizzato secondo le disposizioni della normativa comunale, interessante anche per la complessità dei temi trattati. Il piano di Melrose Commons, nel Bronx, descrive un’esperienza riuscita di opposizione ad un piano di rinnovo urbano progettato per la comunità – ma che l’avrebbe notevolmente danneggiata – e sostituito da un nuovo piano costruito con la comunità e con tutti (o quasi) i soggetti pubblici che a vari livelli rappresentano il quartiere, dalle associazioni ai politici. La proposta di piano per Hell’s Kitchen, a Manhattan, descrive un’esperienza relativamente più giovane e immatura, ancora in corso, e perciò più difficile da valutare. Ma è interessante per lo svolgimento del processo e per la collocazione dell’area: si tratta infatti della parte più ad ovest di Midtown, un’area dove è in atto un conflitto tra una comunità coesa ma debolmente rappresentata e gli enormi interessi immobiliari dei developers e dei proprietari fondiari che vorrebbero espandere nel quartiere il cuore finanziario della città. Il contrasto è accentuato dalle ipotesi di localizzazione nella stessa area di strutture sportive che ospiterebbero parte dei Giochi Olimpici del 2012 in caso di assegnazione alla città di New York.
Non c’è nulla che non possa essere cambiato da una consapevole e informata azione sociale, provvista di scopo e dotata di legittimità. Se la gente è informata e attiva e può comunicare da una parte all’altra del mondo; se l’impresa si assume le sue responsabilità sociali; se i media diventano i messaggeri piuttosto che il messaggio; se gli attori politici reagiscono al cinismo e ripristinano la fiducia nella democrazia; se la cultura viene ricostruita a partire dall’esperienza; se l’umanità avverte la solidarietà intergenerazionale vivendo in armonia con la natura; se ci avventuriamo nell’esplorazione del nostro io profondo, avendo fatto pace fra di noi; ebbene, se tutto ciò si verificherà, finché c’è ancora il tempo, grazie alle nostre decisioni informate, consapevoli e condivise, allora forse riusciremo finalmente a vivere e a lasciar vivere, ad amare ed essere amati.
Manuel Castells, Volgere di millennio
In questo lavoro abbiamo assunto la città di New York come un osservatorio privilegiato per comprendere le trasformazioni fisiche e sociali della città contemporanea. Qui si possono osservare in modo più evidente che altrove i fenomeni che caratterizzano il passaggio dalla società industriale a quella dell’informazione e dell’economia globalizzata. Attraverso la ricca letteratura disponibile abbiamo analizzato le principali trasformazioni urbane e i corrispondenti mutamenti economici e sociali, cercando di comprendere il ruolo che l’urbanistica ha avuto in questa vicenda.
Abbiamo così appreso come l’urbanistica pubblica e il mercato immobiliare siano state spesso alleate, e come un’ “altra urbanistica” abbia tentato di rappresentare le ragioni dei cittadini comuni, di promuovere percorsi di pianificazione più rappresentativi degli interessi della città e dei suoi abitanti. Abbiamo potuto constatare come l’urbanistica con le comunità proponga oggi un approccio alla pianificazione molto attuale rispetto alle questioni da affrontare, per molti aspetti anche più attuale di quando, negli anni sessanta, nacque l’advocacy planning. Se allora la sfida del community planning rientrava nei più ampi social movements per l’estensione dei diritti civili, ora la stessa sfida si fa più impegnativa, perché l’urbanistica partecipata è chiamata a contribuire al rafforzamento complessivo delle condizioni che favoriscono la coesione sociale, siano esse fisiche o relazionali.
Tuttavia, porre questioni attuali, evidentemente, non basta. Le trasformazioni socioeconomiche degli ultimi decenni non solo hanno favorito l’accentuazione delle disuguaglianze, ma hanno visto anche un progressivo indebolimento dell’attivismo sociale e politico, e dunque dell’elemento su cui principalmente si basa l’urbanistica con le comunità. Ci troviamo così di fronte ad una situazione paradossale: in un’epoca che registra la progressiva disgregazione dei legami sociali e la caduta dell’interesse per le questioni di pubblico dominio diviene maggiore la responsabilità delle istituzioni (pubbliche e private) che hanno finalità sociali. A maggiore responsabilità, però, non corrispondono adeguati strumenti.
Dalla lettura delle trasformazioni urbane degli ultimi quarant’anni, si osserva come città si è dovuta misurare con un processo di crescita e di trasformazione continuo e imponente, a causa del forte dinamismo economico e demografico seguendo, invece di organizzare preventivamente, il proprio sviluppo urbano. New York è allo stesso tempo l’immagine del liberalismo e dell’accumulazione dei capitali come dei suoi effetti secondari: forti disuguaglianze, situazioni di marginalità e di degrado, fanno da contraltare alla ricca città del commercio e della finanza. La forza economica del mercato immobiliare appare evidente ma, inaspettatamente, emerge un’importante componente pubblica nelle vicende di trasformazione urbana più importanti degli ultimi decenni. Ingenti finanziamenti pubblici hanno infatti sostenuto molte delle principali operazioni immobiliari private che hanno cambiato il volto della città, contribuendo ad accelerare la transizione verso la città della finanza e dell’informazione. Chi critica il sostegno pubblico a queste operazioni lo fa segnalando la contraddizione del sostegno al mercato più redditizio (degli uffici e delle residenze di lusso) a danno delle politiche di sostegno ai ceti più deboli (Fitch 1983). Questi ultimi risultano danneggiati sia direttamente dagli interventi realizzati, sia indirettamente, a causa della riduzione dei fondi per interventi di rigenerazione urbana delle aree più svantaggiate.
Gli abitanti di New York hanno talvolta contrastato le operazioni di rinnovo urbano, e dalle proteste spontanee si è sviluppato il community planning (Jacobs 1961, Angotti 2002). Emerge anche il contrasto tra due modi opposti di intendere l’amministrazione del potere: da una parte il verticismo decisionista e autoritario che ha visto uniti i poteri economici più forti (la FIRE Industry) e il potere pubblico, quest’ultimo abilmente condizionato dai primi attraverso strumenti di pressione come le fondazioni private (Fitch 1983). Dall’altra parte invece, una concezione della democrazia estesa, protesa verso l’estensione della rappresentatività, dell’inclusione di tutti i gruppi sociali (Davidoff 1965).
Uno sguardo sulla New York degli anni novanta evidenzia i fenomeni della polarizzazione sociale, economica e territoriale: le tendenze dei decenni precedenti si sono accentuate (Sassen 1997, Mollenkopf-Castells 1991). Nel multiverso economico e sociale della metropoli globale si riconoscono sempre più distintamente una élite economica ben organizzata che plasma i centri principali della città a sua misura ed immagine, così come si dota di nuove politiche e di nuovi strumenti funzionali al mantenimento dello stato delle cose. Basti pensare ai casi in cui, nei decenni trascorsi, a fronte di un disagio crescente nel fabbisogno della casa, venivano tagliati i fondi per l’housing e la rigenerazione di aree degradate mentre venivano finanziati quartieri per uffici e residenze di lusso nel nome dello sviluppo.
Alle scelte politiche degli ultimi decenni, che hanno guidato la transizione post industriale verso la global city e favorito lo sviluppo di una “città duale” (Mollenkopf-Castells 1991), fanno da specchio anche due diversi modi di intendere l’urbanistica: dalla parte del potere e dalla parte delle comunità.
Il fenomeno dell’advocacy planning, dell’urbanistica radicale schierata alla difesa degli interessi più deboli, ha radici antiche, che affondano nella stessa struttura sociale e politica degli Stati Uniti. Già Alexis De Tocqueville (1835) osservava come gli americani si distinguessero per la spiccata attitudine a formare associazioni della più varia natura, per affrontare problemi comuni. Egli rilevava come la proliferazione delle associazioni fosse anche una risorsa per la nascente e fragile democrazia americana, perché una solida e articolata pluralità di interessi, una solida società civile, avrebbero frenato gli abusi di potere da parte dei partiti o “del principe”. La forte concentrazione di interessi e di potere a cui assistiamo oggi smentisce in parte Tocqueville, ma non vanifica le sue analisi: la società civile ha tentato e tenta tuttora di opporsi alla “tirannide economica e politica”, e da essa nascono i movimenti per i diritti civili e il community planning.
Analizzando più in profondità la società civile emergono due soggetti di riferimento: la comunità e le associazioni. La comunità, oggetto dai contorni mutevoli e dai legami instabili, si pone come riferimento perché incarna l’idea di “bene comune”, di “locale”, di qualcosa che è più vicino ai cittadini di un generico interesse pubblico dato in delega ad altri (Etzioni 2000, Bauman 2001). La comunità tutela gli esclusi e chi non è rappresentato, è il riferimento di un pluralismo più esteso e più rappresentativo. La comunità richiama anche l’idea di coesione sociale, un patrimonio immateriale che è riconosciuto come elemento fondamentale per una società sana, aperta, fiduciosa, solidale, capace di prosperità economica (Fukujama 1996, Bagnasco 1999). Senza coesione sociale il prezzo da pagare è la disgregazione della città, la marginalità di ampie fasce di popolazione, l’indebolimento della fiducia reciproca necessaria per lo sviluppo economico.
Le associazioni, soprattutto quelle di tipo comunitario e del settore non-profit, sono a loro volta riconosciute come un fondamentale collante sociale (Dockerty, Goodland, Paddison). La loro inclusione nei processi decisionali e nelle politiche istituzionali è considerata altrettanto importante per l’attuazione di politiche di governance giuste ed efficaci. Molti studi affermano che le politiche e i piani di rigenerazione urbana che non considerano adeguatamente i soggetti destinatari e che non adottano processi partecipati rischiano di fallire i loro obiettivi (Dockerty, Goodland, Paddison). La seconda parte del lavoro ci suggerisce dunque che l’urbanistica con le comunità, se inserita nel contesto più ampio delle politiche urbane rivolte alla rigenerazione urbana assume un rilievo strategico, superando i confini angusti della gestione e ricomposizione dei conflitti sociali e della protesta.
La riflessione si conclude con qualche avvertenza circa il rapporto tra pianificazione e potere e circa le possibili mistificazioni del principio della partecipazione. Non è sufficiente che le istituzioni garantiscano la riproduzione della struttura sociale nei processi decisionali, poiché ciò significherebbe soltanto riprodurre gli squilibri di potere esistenti, senza garantire una effettiva influenza dei meno rappresentati. Inoltre, i decisori pubblici hanno la possibilità di favorire o di scoraggiare la partecipazione democratica, di informare o disinformare, di essere trasparenti o di manipolare le informazioni, condizionando l’andamento dei processi (Forester 1989). Per queste ragioni la partecipazione richiede la presenza costante e vigile delle associazioni che rappresentano i diversi gruppi sociali: la democrazia è “un meeting senza fine” (Polletta 2002).
La terza parte analizza le forme e i contenuti dei piani comunitari realizzati a New York. La maggior parte dei piani ha dimensione locale, prevalentemente alla scala del community district, il livello amministrativo locale più vicino ai cittadini. Possono essere settoriali o generali, promossi dalle comunità in autonomia o in associazione ad agenzie pubbliche. Si occupano di sviluppo economico, di rigenerazione urbana, di trasporti, di housing, di questioni ambientali, di zonizzazione e di funzioni urbane. Molti di essi hanno carattere informale, non codificato da una norma di legge; i più importanti fanno riferimento all’articolo 197-a dello Statuto comunale, che stabilisce il principio fondamentale per il quale associazioni di cittadini, attraverso i diversi organi amministrativi, possono promuovere piani partecipati.
A New York la lunga esperienza sviluppata dalle comunità con il sostegno di tecnici e università ha portato ad una naturale maturazione degli strumenti. I limiti alla loro efficacia e perciò alla loro diffusione sono da ricercare soprattutto nel debole sostegno da parte delle amministrazioni locali, nell’eccesso di burocrazia, nella difficoltà di legare i piani alla programmazione economica e al bilancio comunale. Ciò nonostante i piani comunitari hanno fornito l’opportunità di estendere la partecipazione civica nel governo locale e avvicinato i cittadini ai problemi del loro territorio.
Molto rimane da fare. Per la dimensione dei problemi di New York l’impegno di risorse economiche e umane dovrebbe crescere sensibilmente. Un aspetto strettamente correlato all’attuazione dei piani riguarda la programmazione economica e la gestione della spesa pubblica. I piani 197-a incontrano difficoltà sia nel reperire fondi per la loro formazione sia per il loro sviluppo operativo. Anche nel caso che siano utilizzati dalle amministrazioni locali per il loro scopo, come linee guida per l’attuazione di politiche e programmi di varia natura, spesso mancano fondi per l’attuazione dei programmi, fondi che provengono in buona parte dal bilancio comunale. Nei periodi di crisi finanziaria della città come quello attuale i tagli si abbattono soprattutto sul welfare, mentre la pressione fiscale privilegia le imprese rispetto ai cittadini. Gli osservatori più critici sostengono invece che il sistema fiscale e di spesa pubblica dovrebbe essere rivisto, alleggerendo la pressione sui ceti medi e accrescendo la spesa per il miglioramento dei servizi. In tal modo sarebbero poste le premesse per uno sviluppo più equilibrato e duraturo.
I tre casi esaminati nella quarta parte rappresentano altrettante diverse declinazioni dell’urbanistica con le comunità. Diversi per scale di intervento, per situazioni ambientali, per la natura degli strumenti utilizzati, questi piani hanno in comune l’approccio metodologico e le finalità generali. Si tratta naturalmente di piani che affrontano il tema della rigenerazione urbana con un approccio “dal basso”, vicino alle esigenze degli abitanti. Il principio guida è il coinvolgimento di tutti i gruppi sociali e portatori di interessi nel processo di pianificazione e di formazione delle decisioni. Il caso di Melrose Commons, nel Bronx, è quasi esemplare nel testimoniare come una progettazione che coinvolge attivamente i cittadini, gli operatori economici locali, i livelli istituzionali in un processo aperto e ben coordinato da una agenzia di sviluppo locale, può produrre risultati sensibilmente migliori sul piano della qualità progettuale e della adeguatezza delle soluzioni al contesto specifico. In questo caso poi, l’iniziativa è riuscita a trovare finanziamenti anche per sperimentazioni d’avanguardia nel campo della tecnica costruttiva e della sostenibilità ambientale. A proposito della sostenibilità sociale l’esito del confronto con le esperienze di rinnovo urbano precedenti è ancora più netto: se la storia parla di vere “diaspore” in seguito alla demolizione e ricostruzione di interi quartieri, qui al contrario, il processo di rinnovo è stato studiato accuratamente per evitare la dispersione, sulla base delle necessità degli abitanti.
Il piano 197-a di Greenpoint è interessante per i contenuti, per certi aspetti assimilabili a piani di indirizzo strategico o alle agende XXI, nel porsi come documento di riferimento per le politiche di sviluppo del distretto. Dato che i piani 197-a hanno carattere programmatico e non prescrittivo, il piano di Greenpoint è affiancato da proposte attuative coerenti che fanno riferimento ad altri strumenti tecnici e finanziari: dalle modifiche alla zonizzazione di piano ai programmi per la riconversione di aree industriali, ai programmi di housing pubblico.
Il piano per Hell’s Kitchen, difficile da valutare perché l’iter decisionale è ancora in corso, pone in evidenza due aspetti particolarmente interessanti: la proposta di piano partecipato del community board, prodotta con un processo durato anni, si contrappone ad un piano del Dipartimento di Planning cittadino. Dal confronto dei due scenari e delle loro argomentazioni il primo appare più sensibile alla difesa del tessuto sociale ed economico esistente e allo sviluppo di una città più articolata, con una maggiore attenzione alla vivibilità degli spazi pubblici. L’altro aspetto da rilevare è che qui si confrontano due modelli di sviluppo piuttosto diversi: le macrostrutture finanziarie e della grande distribuzione da un lato e il quartiere “a misura d’uomo” dall’altra. La sostituzione radicale del tessuto edilizio e sociale esistente si contrappone alla conservazione delle strutture e delle relazioni consolidate nel tempo e considerate patrimonio da difendere. Qui si confrontano, più che altrove, le due opposte espressioni della “città duale”.
Che senso ha, dunque, parlare di urbanistica con la comunità oggi a New York? Ha senso anzitutto come testimonianza di una precisa idea di governo e di democrazia: pluralista, trasparente, inclusiva di tutti i gruppi sociali. Un approccio nel quale al centro è la comunità, l’immagine di un più complesso orizzonte a cui guardare: la difesa della coesione sociale, la valorizzazione delle differenze, l’attivazione di politiche a sostegno dei gruppi sociali e delle aree più deboli, il riconoscimento del valore degli spazi pubblici come elementi essenziali per la vita della città. In sintesi, un approccio all’urbanistica che cerca il dialogo con la società urbana per difenderne i suoi stessi caratteri costitutivi e la sua straordinaria complessità.
La trasformazione economica e sociale di New York, come delle principali aree urbane dei paesi economicamente avanzati, segnala una tendenza opposta anche nelle pratiche prevalenti in campo urbanistico, come è illustrato nel secondo capitolo. La tendenza alla disgregazione del tessuto sociale nella forma in cui lo conosciamo e l’aumento delle differenze economiche pongono seri interrogativi ai quali non può certamente rispondere l’urbanistica né tantomeno una sua parte come il community planning, che conta su risorse modeste e si misura con una società sempre meno propensa a farsi carico delle questioni di interesse comune. Tuttavia le istituzioni non possono assistere passivamente: le scienze sociali individuano uno stretto percorso sul quale possono incontrarsi lo Stato, la società civile e le associazioni, anche nell’interesse del mercato.
La zona viva, all’interno della quale ricercare soluzioni che compensino sia la debolezza del welfare statale e dell’urbanistica pubblica che gli eccessi del mercato è forse la zona nella quale si identificano la comunità, il quartiere, il locale. Il luogo dal quale partire per cercare di ricucire nuove reti sociali e riprodurre il capitale sociale.
Il tratto emergente dell’urbanistica con le comunità consiste nell’aver raccolto e organizzato le reazioni dei cittadini nei confronti di trasformazioni urbane considerate inique o sbagliate, nell’aver dato voce ai bisogni di una parte della popolazione, generalmente la più povera e meno rappresentata.
L’osservazione delle interazioni tra istituzioni e comunità può essere molto utile per comprendere i fenomeni sui quali si interviene con le politiche e con i piani. Può anche essere utile agli estensori delle politiche pubbliche e dei piani urbanistici per valutare gli effetti sociali delle loro scelte, così come gli effetti economici indotti, non limitati all’intervento previsto. Può essere utile ai decisori – strumentalmente – per manipolare il consenso senza condividere realmente le decisioni e il potere, contrabbandando la partecipazione formale per una pratica di democrazia. Guardando gli effetti diretti delle esperienze di community planning è sufficiente analizzare l’ormai ricca letteratura prodotta dagli attori sociali (planners, comitati, associazioni, ecc.) o dagli studiosi per registrare i benefici – o almeno le aspettative – che questo tipo di pianificazione genera nel tessuto sociale della città. Con le avvertenze di considerarne anche i limiti: la debolezza intrinseca di questi processi, il rischio di cadere nell’ideologia e nel radicalismo, nell’illusione e nella disillusione, nella dispersione inutile di tempo, denaro e risorse umane.
In conclusione, sembra possibile descrivere almeno due distinte modalità di approccio al rapporto tra urbanistica e comunità: l’urbanistica con le comunità, ma anche l’urbanistica per le comunità. Intervistando Eva Hanhardt, già vice direttore dell’Urban Center della Municipal Art Society, le sottoposi un titolo possibile per la mia ricerca: Planning for communities, intendendo comprendere in quel titolo tutte le attività pianificatorie che considerano centrale la valutazione degli effetti sociali, e non si limitano agli aspetti strettamente tecnici o economici. Lei mi chiese se in italiano per avesse lo stesso significato del termine inglese for, e poi mi corresse: with communities, not for. La differenza era per lei sostanziale: per le comunità è l’urbanistica top-down; con le comunità è l’urbanistica bottom-up. La prima è quella dei cosiddetti poteri forti, inclusi gli enti pubblici, che pianificano in nome dell’interesse pubblico e dei cittadini ma non sempre tengono conto realmente delle loro esigenze e delle loro opinioni. La seconda, che spesso si contrappone alla prima ma che dovrebbe essere almeno complementare, è l’urbanistica che nasce nelle comunità, tra i cittadini che vogliono partecipare alle decisioni che riguardano il proprio quartiere e la propria città.
[1] È di uso comune definire con una sigla questo potere: FIRE, Finance, Insurance and Real Estate industry, (l’industria della finanza, delle assicurazioni e del settore immobiliare), forze trainanti dell’economia post industriale di New York.
Parlare di fotografia aerea e delle vie antiche parrebbe, inizialmente, un assurdo. La via antica è tracciata sul terreno e, con eccezione delle vie romane, raramente si potrebbe seguire un suo tratto conservato fino ai nostri giorni. Eppure, gran parte delle vie dell'Africa romana e del mondo etrusco sono state ricostruite grazie all'impiego dei rilevamenti aerei.
Chi ha seguito i recenti studi della Scuola Britannica di Roma dedicati alla viabilità nell'Ager Veientanus e nell'Ager Faliscus 1 avrà osservato l'uso che gli autori hanno fatto della fotografia aerea e delle ricognizioni sul terreno. La visione d'insieme della rete stradale e, spesse volte, dei piccoli tratti, difficilmente riconoscibili sul terreno ormai sconvolto dai lavori agricoli con mezzi meccanici potenti, sono stati evidenziati soltanto dalla fotografia aerea, di preferenza anteriore alle trasformazioni avvenute negli ultimi quindici-vent'anni [2]. Riportati sulla carta topografica tutti i punti in cui si era scavato in precedenza e tutti quelli che avevano dato luogo a rinvenimenti sporadici, si è cercato di stabilire il tessuto viario che li collegava, usufruendo a tale scopo di ogni copertura aerea di cui si disponeva. Si è arrivati così ad una visione organica di tutta una vasta zona ad occidente del Tevere, la quale, pur studiata minimamente da topografi di prima dell'ultima guerra o nel ventennio del secolo, appariva priva di collegamenti.
La fotografia aerea, grazie a quella vasta visione d'insieme che essa ci mette sotto l'occhio in un solo colpo, permette di scoprire i possibili varchi e guadi mentre lo studio stereoscopico ci immette nei più minuti dettagli del terreno. Una via antica, difficilmente rintracciabile nella ricognizione terrestre, si presenta nella fotografia aerea, sia come una traccia scura, nel caso in cui sull'antico solco si è depositato l'humus recente, sia come una fascia biancastra, nel caso in cui il vecchio tracciato è stato appena ricoperto da uno strato vegetale. Qualche volta, un antico tracciato è riconoscibile, sempre sulla fotografia aerea, come un taglio altrimenti impercettibile a terra, ben riconoscibile invece, per il suo andamento, nella visione dall'alto.
Dovendo chiarire il collegamento di alcuni centri urbani della Sicilia greca, non una sola volta ho constatato che una parte delle vie antiche è stata utilizzata fino a pochi anni addietro come semplici trazzere. Lungo queste trazzere della Sicilia, durante gli ultimi dieci anni, vennero identificate e in parte scavate numerose fattorie di età arcaica e classica. Spesse volte, sul posto di queste fattorie sono stati individuati piccoli villaggi preistorici. Riprendendo la ricostruzione della via antica tra una fattoria greca ed un’altra, è risultato che tra esse si trovano altri piccoli villaggi preistorici, molto più densi quindi di quanto non lo fossero le fattorie. Era chiaro perciò concludere che l'antica via di collegamento tra le fattorie doveva aver servito anche al collegamento tra un villaggio ed un’altro. Per meglio esemplificare, vorrei accennare al gruppo di fattorie greche della zona di Milingiana, ricca anche di villaggi della fase castellucciana e tutti quanti collegati da una serie di piccole arterie che si innestano in una grande che si diparte dalla zona di M. Desusino e si spinge a N fino vicino a Riesi [3].
In conclusione, prima di passare allo studio delle fotografie aeree per rintracciarvi vie antiche, è consigliabile conoscere la distribuzione di tutti i punti in cui sono avvenute scoperte archeologiche e fissarli sui mosaici aerofotografici. È possibile, in questa seconda fase di lavoro, poter scoprire altri centri, sconosciuti finora o appena indiziati da ritrovamenti precedenti. Questo tipo di lavoro si può chiamare di definizione di aree archeologiche per confronto. Se, infatti, si conoscono i caratteri specifici di un tipo di insediamento, ogni qual volta si riscontrano le stesse caratteristiche su un rilevamento aerofotografico si può supporre che si è di fronte ad una nuova scoperta il che arricchisce di più il tessuto degli insediamenti di una zona, mentre tutto può facilitare la ricerca delle vie di collegamento. La fotografia aerea, quindi, è uno dei mezzi di indagine, specialmente nel campo topografico. Ma affinché si possa avere una maggiore certezza di non essere in errore, è augurabile sempre di disporre di quanti più rilevamenti della stessa zona. Se le stesse tracce o anomalie si riscontrano su tutti i rilevamenti aerei, si può avere maggiore certezza di essere sulla buona strada nell'identificazione di un aggregato umano, di una via ecc.
Il materiale aerofotografico a nostra disposizione per la Magna Grecia è formato da una copertura aerea a scala approssimativa 1:35.000, da un rilevamento scala 1:8.000 [4], da altri diversi rilevamenti parziali a scale aggirantesi intorno a 1:25.000 eseguiti dallo S.M.A.M., o da altri enti aerofotogrammetrici. Come ho più volte osservato [5], tra tutti questi rilevamenti, ho preferito quelli più vecchi, eseguiti durante o immediatamente dopo la guerra. La trasformazione della superficie del Tavoliere è ancora oggi in atto ed è facile osservare il grande mutamento già avvenuto in questa zona tra il 1954 e 1958. Le lottizzazioni, i nuovi quartieri delle borgate agricole e, specialmente, l'uso intenso degli aratri meccanici sta trasformando continuamente e profondamente l'aspetto del Tavoliere. È preferibile quindi sfruttare, per la realizzazione di una mappa della distribuzione dei villaggi neolitici, i rilevamenti più vecchi. A questo proposito è da precisare che nessuno dei rilevamenti aerei a disposizione è stato eseguito a scopo archeologico, meno qualcuno destinato a piccoli tratti effettuato con l'elicottero o con l'aereo nel 1961 e 1962 [6]. Mi è mancato, quindi, il miglior rilevamento, quello eseguito appositamente da Bradford e utilizzato per l'illustrazione degli studi da lui già pubblicati [7], rilevamento che avrebbe potuto integrare ottimamente quelli su cui ho lavorato.
Il tipo del villaggio neolitico del Tavoliere è ormai ben noto a tutti. Attentamente studiato dal Bradford [8], esso si presenta con una serie di fossati all'intorno e con una serie di compounds all'interno. In tutti i rilevamenti, questi villaggi sono identificabili grazie ad una serie di tracce scure, resti delle trincee e delle palizzate, ricoperti da humus ricco in azotati utili alla crescita dell'erba (fig. 1). Ove questi villaggi sono stati danneggiati dai lavori agricoli per mezzo di trattori meccanici, essi si rivelano per una vasta macchia nera che si estende senza definizione di linee. Le loro tracce riempiono tutta l'area del Tavoliere, dalla linea di Serracapriola fino all'inizio delle Murge e dalle falde del Gargano e dalla riva dell'Adriatico fino alle prime propagini degli Appennini. Non una sola volta, sullo stesso posto, si sono susseguiti più villaggi, sovrapponendosi, con i loro fossati, l'uno all'altro, creando una serie di tracce scure che si accavallano in maniera del tutto chiara nelle fotografie aeree, di impossibile restituzione cartografica a terra.
A prima vista, questi villaggi lasciano l'impressione di una dispersione irregolare su tutto il Tavoliere. Soltanto dopo aver studiato tutte le coperture, dalle più vecchie alle più recenti, appare evidente invece una loro disposizione in punti ben stabiliti. Il maggior addensamento si verifica sul lato occidentale del Gargano, e precisamente sul lato SO. Tali agglomerati di villaggi continuano poi sempre più a SO, seguendo di preferenza la linea del Cervaro, oppure raggruppandosi in zone in cui si possono notare tracce di fiumi. È indiscutibile che essi non possono essere trovati se non nelle vicinanze di tracce di corsi o vene d'acqua.
È necessario, quindi, prima di affrontare il problema della disposizione dei villaggi preistorici, ricercare i corsi d'acqua ora scomparsi. Ed anche in questo caso, meglio di ogni altra ricognizione sul terreno, è la fotografia aerea che ci permette di rintracciarli. Basta qualche esempio per convincerci che non vi è corso d'acqua, oggi sparito, che non ci venga rivelato dalle aerofotografie. Un primo caso è quello del corso d'acqua che circondava la parte occidentale della città di Herdonia. Come si vede nella fig. 2, la sua traccia è ben evidenziata, mentre nella ricognizione a terra questa traccia è irriconoscibile. Anche altrove nel Foggiano si verifica lo stesso fenomeno: nel rilevamento aereo eseguito dall'IRTA, questi corsi appaiono talmente chiari da non poter minimamente dubitare della ricchezza d'acqua nel periodo preistorico in tutta la zona.
Stabiliti quindi questi corsi d'acqua si potrà passare finalmente allo studio degli aerofotogrammi per la ricerca dei centri preistorici.
Dallo studio comparativo di tutti i rilevamenti a disposizione è apparso evidente che i villaggi si dispongono di solito lungo i grandi corsi d'acqua e specialmente lungo quei fiumi la cui portata d'acqua è maggiore. Il primo grande corso d'acqua che attraversa, da NE a SO, il Tavoliere è il Cervaro. Ebbene, è proprio sul suo corso che noi troviamo un maggiore addensamento di villaggi. Anche quando questi vengono identificati in zone più lontane dal letto attuale del fiume, è chiaro che essi si trovano lungo affluenti minori, oggi completamente scomparsi ma rilevati dalla fotografia aerea.
Vi è anche il caso in cui i villaggi si trovano situati lontano da ogni corso d'acqua ma in questi casi la fotografia aerea ci indica nelle vicinanze le tracce di sorgenti. Qui (fig. 1) è visibile, accanto al villaggio, una lama, come queste sorgenti si chiamano in dialetto locale.
A N del Cervaro è il torrente Gelone il cui corso è disseminato interamente da stazioni preistoriche. Basta citare quelle comprese nel f. 164: Ponte di Lamis, Passo del Corvo, Pezza Grande ecc., per renderci conto della densità di questi centri. In età storica, anche Arpi nasce sul Celone, sul corso medio del fiume e la fisionomia della città, nei rilevamenti aerei, si rassomiglia moltissimo a quelle dei villaggi neolitici (fig. 3).
La stessa densità, e potrei dire maggiore, si verifica lungo il Cervaro. Dalla contrada Giordano, vicino alla Vasca del Tavoliere (f. 164), e fino alla Masseria Ponte Albanito si ha una vera catena di centri sistemati su un tratturo che scende dal Gargano e si prolunga a SO fino alla zona di Castelluccio dei Sauri (f. 175). Ad occidente di questa zona si possono contare due tratturi che accompagnano il Cervaro fino a Savignano di Puglia da dove scende fino alla Stazione di Ariano Irpino (f. 174).
Qualche fotografia aerea evidenzia con straordinaria efficacia i due tracciati. Ben difficile è la ricerca di questi tracciati ad 0 della Stazione di Ariano Irpino: da questo punto in poi il tratturo si disperde nelle numerose vie moderne che si dipartono in tutte le direzioni.
Un altro addensamento di villaggi si può osservare ancora più a 5 e precisamente sul torrente Carapelle. Tra i più importanti villaggi siti sul Carapelle vorrei menzionare quelli della zona di Inacquata (f. 164), quelli della zona La Speranza e Masseria Buonassisa (f. 164). Il tratto in cui meglio si conserva il tratturo lungo il Carapelle è invece quello compreso tra la Contrada Nannarone e Serra Pallino (f. .175), ben riconoscibile su quasi tutti i rilevamenti aerei. Più ad occidente non vi è nessuna possibilità di rintracciarlo ma è probabile che il tratturo si spingesse ancora più in là, a S del complesso di Trevico (f.174).
È evidente però che la prima grande arteria tra le pendici del Gargano e il mare e la zona degli Appennini è quella del Cervaro. Infatti, sia il tratturo del Celone che del Carapelle, non appena arrivati nella zona collinosa degli Appennini, tendono ad unirsi formando un’unica via di spinta da NE a SO. Tentare di creare una mappa dei villaggi e dei tratturi, nella loro totalità, mi pare, in mancanza dei rilevamenti eseguiti dal Bradford, un lavoro di grande impegno ma sempre incompleto. Il giorno in cui, accanto a tutti i rilevamenti di cui disponiamo oggi in Italia, potremo sfruttare anche quelli, si potrà avere un’idea più chiara di ciò che ha rappresentato il neolitico del Foggiano e le grandi vie di movimenti tra una punta e l'altra e cioè tra Gargano e mare da una parte e gli Appennini dall'altra.
Più a sud ancora, là dove iniziano le prime colline delle Murge, scorre l'Ofanto. Studiando l'area a N e a S del fiume, ci risulta che anche questa volta i villaggi si sono insediati nelle vicinanze dei corsi d'acqua, similmente a quanto era avvenuto più a N. È vero, però, che in questa zona non c'imbattiamo più nella densità riscontrata, per esempio, sul Cervaro. I centri appaiono questa volta sempre più diradati ma è altrettanto vero che la loro distribuzione avviene sempre su una linea che va da NE a SO. Seguendo questa linea è visibile la sparizione dei villaggi e quindi dei tratturi nelle vicinanze del Passo di Mirabella Eclano. Ciò che era avvenuto nella zona della Stazione di Ariano Irpino si verifica anche qui: i grandi tratturi, le vie di collegamento tra un villaggio e l'altro, spariscono, disperdendosi nelle attuali vie di comunicazione da est ad ovest. L'imbottigliamento osservato ad Ariano Irpino risulta evidentissimo anche qui e tutti e due quale risultanza della formazione geomorfologica del terreno.
In conclusione, per quanto riguarda il Tavoliere delle Puglie, possiamo dire che oltre ai piccoli tratturi del Gelone e del Carapelle, vi sono due grandi vie di comunicazione preistorica e tutte e due con andamento NE-SO: la prima è quella del Cervaro, la seconda quella dell'Ofanto.
Ben più difficile è il compito di rintracciare le vie preistoriche nelle Murge. Il terreno accidentato, anche se non tormentato come nelle zone montagnose degli Appennini, non permette una identificazione rapida. Anche in questa zona, come nel Foggiano, le riforme agrarie hanno inciso profondamente sulla superficie, sconvolgendo le antiche tracce. Diversamente da quanto è avvenuto nel Tavoliere, dove i fossati, pur distrutti dagli aratri, possono essere facilmente ritracciabili per le loro anomalie sulle aerofotografie, la zona delle Murge si presenta, a prima vista, priva di centri abbastanza densi da richiederci un collegamento. Grazie alle ultime ricerche e agli scavi condotti dal soprintendente Degrassi, anche in questa vasta zona si può avere un filo conduttore nella ricerca. È anzi d'obbligo inoltrarsi, in questo tipo di ricerca, partendo dal conosciuto e tentare una ricostruzione viaria seguendo i ritrovamenti.
Alle nuove scoperte fatte da Degrassi 9 si debbono aggiungere però anche le altre più antiche e così il quadro prende consistenza. 1d è proprio per mettere in collegamento questi centri che il Degrassi propone una via che si diparte dal mare e si spinge verso la Lucania. I centri di Castiglione di Conversano, di M. Sannace, a NE di Gioia del Colle, di Santo Mola, a NO della stessa Gioia del Colle, ed infine della zona di Altamura e Gravina dovevano necessariamente essere collegati tra loro e di questa via antica di collegamento vi è un tratto ben conservato e visibile su ogni copertura aerea tra la Torre Cannoni, ad O di Santeramo (f. 189), e la zona di Trezzella a SO di Altamura. Questa via si può seguire infine ancora più ad occidente fino a Gravina di Puglia e di qui fino al Basentello (f. 188), per toccare infine, a N di M. Verdese (p. 376), la riva del Bradano, per spingersi ancora più ad occidente fino alla Difesa da Piedi (q. 571), a NE di Tolve. Appoggiandosi al torrente Castagna è facile seguirla poi nella sua spinta verso il grande tratturo che prende la direzione NO non appena arrivato tra Pietragalla e la Serra del Vaglio della Basilicata (f. 187). È proprio in questa zona che la via di comunicazione collegante i centri menzionati si incontra con un’altra, proveniente da SE, dalla zona di Metaponto. In questo punto, riunitesi, le due vie proseguono insieme verso Atella e più a N ancora.
Per quanto è stato facile seguirla nel suo tratto occidentale, per tanto difficile è però rintracciarla nel tratto M. Sannace-mare. In questa zona la densità dei centri antichi non è quella riscontrata nel lato occidentale (f. 189-188-187); oltre a M. Sannace, si conosce il centro indigeno di Castiglione di Conversano ed infine, al mare, Egnazia e Polignano, da identificare, probabilmente, con la città di Neapolis. Il Degrassi, partendo da M. Sannace, traccia l'andamento della strada verso NO, in direzione di Castiglione (f. 190), per riportarla poi nella zona di Polignano. Studiando le aerofotografie, questa via dovrebbe proseguire, in direzione E, dalla contrada Canale, a Km 3 a N di M. Sannace, verso Putignano, e dalla contrada Frascina, sovrapponendosi alla comunale Putignano-Alberobello, per un tratto di circa Km. 5, lascerebbe questo andamento in località Papataforo, per raggiungere infine il crocivia di Cuccolicchio, l'unico punto in cui essa potrebbe facilmente incunearsi per spingersi ad oriente, tra i due speroni, e raggiungere infine il mare nella zona a S di Egnazia. È molto probabile però che, nel suo tratto M. Sannace-Putignano, la via presenti un altro diverticolo che parta da Putignano stesso, tocchi la contrada Castiglione di Conversano e di qui si spinga verso Polignano.
A questo punto è necessario fare un’osservazione di carattere cartografico. Per chi desidera ricostruire la viabilità di una zona dell'Italia antica, è consigliabile, come per lo studio aerofotografico della stessa zona, far uso di quelle carte topografiche dell'IGM che risultano le più vecchie. Nelle edizioni più vecchie di queste carte non una sola volta troviamo indicati tratturi che sono completamente sconosciuti alle nuove edizioni. Se si prende in esame, per esempio, il f. 164, comprendente la maggior parte del Tavoliere delle Puglie, o meglio dire, del Foggiano, i tratturi vengono indicati su tutte le carte del 1926, basate sui rilevamenti del 1911, mentre gli stessi non si ritrovano più sulle nuove edizioni apparse dopo il 1950 (fig. 4). Questi tratturi, spesse volte e, specialmente, nelle zone in cui è entrata in atto la riforma agraria, sono stati completamente sconvolti o trasformati in vie moderne di comunicazione. Si potrebbe però obbiettare che tra questi tratturi e le vie «preistoriche» non vi può essere alcun nesso, perchè essi potrebbero corrispondere alle cosidette «trazzere» o a vie di comunicazione moderna.
Se invece si procedesse alla restituzione-posizione dei centri antichi, questi cadono esattamente lungo quei tratturi esistenti sulle carte del 1926 (il cui rilevamento a terra risulta però del 1911!), annullati o completamente spariti sulle ultime edizioni. Ciò significa inoltre, come per tanta parte della topografia moderna, rifarsi a documenti quanto più vecchi. E da queste osservazioni si può arrivare anche ad un’altra conclusione: i tratturi segnati sulle carte della Puglia del 1926, ma rilevati nel 1911, non sono di quell'epoca; essi rimontano nel tempo, rimasto immutato nella Puglia, come in grande parte anche in Sicilia, a quell'epoca in cui si era stabilito quel lungo pendolare di genti tra gli Appennini ed il mare Adriatico o il Gargano. Con i nuovi saggi stratigrafici della Scuola Britannica si vedrà poi se questi villaggi del Foggiano siano soltanto di età neolitica; molto probabilmente, tra loro vi saranno anche villaggi posteriori, come appunto indicano quelli sovrapposti, che potranno ricollegarsi a quelli del Gargano, siti proprio sulle pendici che riguardano il Tavoliere delle Puglie (fig. 5).
Quanto abbiamo detto delle vecchie carte dell'IGM del Foggiano, vale anche per la parte delle Murge; anche qui queste vie sono ben segnate sulle vecchie edizioni mentre mancano completamente su quelle nuove. A questo proposito è interessante studiare l'ultima via che a noi interessa per il periodo preellenico e precisamente quella facilmente identificata tra M. Sannace e la zona di Serra di Vaglio e Pietragalla. In questa zona, tanto la fotografia aerea quanto le vecchie carte evidenziano un tratto di antica via di comunicazione mentre nulla si ritrova negli ultimi rilevamenti e sulle ultime edizioni delle carte dell'IGM.
Riprendendo ora lo studio di queste vie nella zona più meridionale della Magna Grecia, dobbiamo partire da un’osservazione fatta, anni addietro, da G. Schmiedt e R. Chevallier 10 nello studio da essi dedicato alle città di Metaponto e Caulonia. Nell'inquadrare l'area in cui sorse la città di Metaponto, i due studiosi rintracciarono, a NO della città, una via pedimontana che arrivava dalla zona del fiume Sinni e, dopo aver superato il territorio dell'antica città, si spingeva, con un angolo fissato sul N, verso gli attuali centri di Ginosa e Laterza. Per i due studiosi questa via era di origine preistorica, poiché a valle di essa non si trovava alcuna scoperta appartenente a questo periodo.
Questa via, come appare anche nelle figg. 6a, b, invece di seguire la riva marina, così com'essa si presentava nell'VIII secolo a. C., corre nell'interno fino al tempio delle Tavole Palatine dove, oltrepassando il Bradano, dopo aver sorpassato la Masseria Galzi, si dirige a NE, per raggiungere infine la zona di Lama del Pozzo. Questo tratto, così visibile nel rilevamento generale dell'Italia (1954), nel c. d. ‘volo base’, è appena percettibile in altri rilevamenti posteriori, come quello dell'A.M. del 1961. Prendendo in considerazione i due rilevamenti e con l'ausilio di qualcun altro, parziale, è stato possibile prolungare il tratto scoperto da Schmiedt e Chevallier nella direzione menzionata, verso Ginosa e Laterza.
Come è visibile nella fig. 7, questa via si presenta sotto forma di un profondo solco dilavato oppure con un aspetto di frattura nel terreno solido. Da Lama del Pozzo, attraverso la zona della Masseria Maria Pia di Savoia, si spinge nella zona di Follerato dove le ultime ricerche hanno messo in luce un abitato indigeno la cui esistenza è legata alla ricca area circostante (f. 201). A N della Masseria Gaudella è ben visibile un altro taglio del terreno, ormai duro, taglio che si prolunga fino alle vicinanze dell'altro centro indigeno di S. Trinità (q. 412) ad oriente di Laterza (fig. 7). Mentre quest'ultimo tratto è diretto esattamente a NE e SO, un altro tratto, la vera continuazione della via c. d. preistorica di Metaponto, si prolunga sempre in direzione NE per toccare, ad occidente di Massafra, le prime balze delle Murge. Ed è proprio in questa zona che l'antica via si può meglio riconoscere, infossata nella roccia con andamento E-O. Non appena oltrepassata la linea di Massafra, la via si disperde nelle dense arterie moderne che puntano su Metaponto. Un suo probabile sbocco a mare dovrebbe essere fissato nella zona di Brindisi o leggermente più a S. Ma qualsiasi ricerca fatta sui rilevamenti a disposizione non ha portato ad alcuna conclusione certa : il terreno, anche qui, è stato molto tormentato dai recenti lavori di bonifica.
Quest'ultimo tratto di collegamento non può essere attribuito soltanto al periodo preistorico; il suo andamento è visibilmente legato alla vita dei centri menzionati ma fino a questo momento non si hanno quei documenti che ci permettono di farla rimontare nel tempo fino all'età preistorica. Può essere considerata una via di età preistorica ma anche storica, quasi una via di arroccamento alle spalle del golfo di Taranto. Soltanto futuri scavi e ricerche potranno dirci a quale epoca essa può rimontare, ma è proprio questo periodo preistorico che ci manca nella zona a N di Taranto.
Da quanto siamo venuti esponendo è apparsa chiaramente l'importanza che possono avere le scoperte precedenti: fissando sulla carta tutti i centri in cui sono avvenute scoperte archeologiche, si ha immediatamente la possibilità di tentare un collegamento di un punto con l'altro. Nasce così quel primo tessuto che serve alla ricerca della viabilità. Nel caso del Foggiano si ha un’altra situazione; dopo aver riconosciuto come si presentano sulle fotografie aeree i villaggi preistorici si è passati allo studio di tutte le coperture aeree ed in seguito alla loro posizione sulle carte topografiche. Ciò vuol dire che le scoperte sono state fatte, in gran parte, attraverso le fotografie aeree e non soltanto attraverso l'indicazione che poteva venirci dagli scavi. Quanto più ci troviamo di fronte ad una densità di centri antichi ben noti, tanto più è facile procedere al riconoscimento delle strade. Difficilmente si può parlare di vie di collegamento in una zona in cui non si conosce alcun centro. E se questo ragionamento è valido per la preistoria, molto più valido appare nella ricerca della viabilità in età storica, specialmente per il periodo greco. Mentre per il periodo romano si può fare appello ai testi antichi, alle pietre miliarie, per il periodo greco abbiamo soltanto vaghe allusioni letterarie di spostamenti di eserciti, da un punto all'altro, sulle strade. È sicuro infine che nel periodo greco, oltre alle vie marittime, esistevano anche vie terrestri ben note non soltanto agli eserciti, ma anche ai commercianti.
Finora le nostre conoscenze sono molto meglio articolate per la zona costiera dove si è svolta la colonizzazione ellenica. Ben poco e solo recentemente le ricerche hanno preso di mira anche l'interno, vale a dire le zone in cui si è svolta di più la penetrazione ellenica. In confronto a quanto si è fatto in Sicilia, la Magna Grecia ci è meno conosciuta non soltanto nell'ubicazione delle colonie greche ma anche in quella dei centri indigeni dell'interno. Non si conosce con precisione l'area in cui è sorta la colonia di Siris e ancora dubbia è l'ubicazione di Sybaris e di Thourioi. Quanto al lato tirrenico, ci manca finora qualsiasi indicazione sul luogo in cui sorsero molte delle sottocolonie delle città site sullo Ionio. Non sappiamo nulla di Laos e nulla ancora di Skidros, mentre incerto è il perimetro della città di Metataurus. Per quanto riguarda l'interno, oltre al centro di Castiglione delle Paludi, di Serra di Vaglio e Torretta di Pietragalla, si hanno notizie soltanto per-la zona di M. Coppola (f. 213) e Serra Maggiore recentemente studiate dal giovane Quilici. Grazie a vecchi ritrovamenti e alla fotointerpretazione è stato possibile infine aumentare le nostre conoscenze sulla ricca alta valle del fiume Agri, specialmente nelle zone a monte di Grumentum, verso Raja Rotonda (f. 199) e Marsico Nuovo. Ma l'esplorazione di queste zone è soltanto al suo inizio, inizio che già si preannuncia promettente. Un’altra zona, tra le meglio studiate, è il Vallo di Diano con le sue necropoli indigene di Sala Consilina e Padula 11. Anche se molto discussa, la via di collegamento di questo canale tra il meridione ed il settentrione, può trovare, nello studio delle aerofotografie, se non una soluzione, almeno un avviamento per una migliore comprensione. Quanto alla zona campana e specialmente all'area compresa nei fogli 172 e 183-184, questa è stata da me volutamente tralasciata, dato che il collega Johannowski sta lavorando da più anni per chiarire il problema della viabilità. Ho scelto soltanto un piccolo tratto, ad oriente della zona che interessa il collega Johannowski e precisamente la Valle Caudina. Oltre alla viabilità, lo studio delle fotografie aeree della zona, ci immette nel vivo del racconto liviano, offrendoci altri punti di partenza per l'interpretazione del testo.
Ma ciò che più interessava in questa parte dello studio, era il problema dei collegamenti tra le diverse colonie dello Ionio e di queste con i centri dell'interno.
Per una, tra le tante evidenze letterarie sull'esistenza di una via greca costiera, basta citare gli spostamenti di Dionigi di Siracusa nel 390 a. C. con i suoi ippeis, tra Locri e Reggio (Diod. XIV, 101), mentre per l'esistenza di vie interne, da una costa all’altra, si potrebbe citare lo stesso Diodoro (XIV, 101 sg.) nella presentazione della marcia dei Thourioi verso Laos nel 389.
Dato che sarebbe impossibile studiare l'intero andamento della via litoranea, ho scelto qualche caso che più di ogni altra lunga discussione potrebbe indicarci il suo tracciato.
Il primo caso scelto è quello di Caulonia. Oltre alle vecchie indicazioni fornite dall'Orsi, sulla parte topografica della città sono ritornati i due studiosi (Schmiedt-Chevallier), che hanno presentato i risultati delle loro interpretazioni nello studio, più sopra citato, dedicato alla zona di Metaponto. Mentre i due si sono occupati della pianta della città, personalmente ho interrogato le fotografie per vedere se queste possono offrirci una indicazione sulle vie di accesso. Partendo dalla pianta di P. Orsi e dagli assi stradali rilevati dalle aerofotografie (figg. 8-9), possiamo facilmente rintracciare due vie, l'una che penetra sul lato N, visibile su tutti i fotogrammi, ed un’altra sul lato meridionale, la quale, attraversato il Vallone Bernardo, scende lentamente verso la ferrovia Reggio Calabria - Taranto per procedere poi a S, quasi parallela alla detta ferrovia. Nella fig. 9 ho segnato in tratteggio queste due vie mentre è chiaro che il prolungamento verso il cimitero non può essere altro che un’altra via, destinata alla penetrazione nell'interno.
Il secondo caso è quello della via che da N scende nella grande vallata del fiume Crati. Anche se il problema dell'ubicazione di Sybaris non è ancora risolto, penso che anche in questo caso l'aerofotografia può renderci un servizio, indicandoci almeno la zona in cui la città antica deve essere ricercata. Studiando il rilevamento eseguito dalla A.M. e quello della Ditta ETA, appare evidente, sul lato settentrionale della vallata, un sentiero molto infossato che scende dalla zona collinosa in direzione S. Che si tratti di un antico sentiero o antica via, questo si può dedurre dal fatto che non sempre esso separa le proprietà, tagliando appezzamenti di terreno sicuramente formanti la stessa proprietà. Il taglio infossato, conservando le stesse caratteristiche di elemento non divisorio di proprietà, si riscontra anche più a S e precisamente in località Torre di Fregia, località, questa, che presenta l'aspetto di un vero insediamento indigeno. Da questo punto il sentiero, in parte già ricoperto dalle alluvioni, si spinge a SO, per perdersi nella zona ad ovest della stazione di Sibari. È chiaro quindi che la zona in cui debba ritrovarsi la città antica, si dovrà fissare intorno al ponte sul Crati, ad occidente o nelle vicinanze della zona di Stombi.
Quanto all'esistenza di una via litoranea nella zona di Locri, vorrei ricordare che nella città stessa si conosce un dromos antico su cui si innestano due prolungamenti e precisamente da NE a SO. È interessante, a questo proposito, menzionare anche le due arterie che si prolungano dalla costa verso l'interno, sia per indicarci le vie per il Tirreno, sia per le vie del retroterra.
Ed è chiaro anche in questo caso che la via litoranea è molto più spostata nell'interno, come nel caso di Metaponto, e per nulla identificabile con qualche via moderna o medioevale.
Chi studia invece le fotografie aeree relative alla vallata del Bradano e del Basento potrà osservare come lungo questi due fiumi possono essere rintracciati dei tratturi che li accompagnano fino nell'interno della Basilicata, dove, nella zona tra l'Irsina e Tolve, essi si congiungono con quelli già presentati, provenienti dall'E. Lo stesso tratturo continua poi a NO, nella zona a N di Serra di Vaglio e a S di Torretta di Pietragalla. Anche qui l'antichità della via si desume dal suo infossamento nel terreno e dalla sua sparizione nelle divisioni dei campi, come nella fig. 10. Che questo sia un crocevia della massima importanza è già documentato da M. Napoli nella sua relazione al I Convegno della Magna Grecia 12. Nella stessa zona, ricca di insediamenti indigeni, legati certamente con la costa, come dimostra chiaramente la città di Serra del Vaglio, non potevano mancare i collegamenti sia con le colonie dello Ionio sia tra un centro e l'altro.
Una tra le più importanti zone archeologiche meglio conosciute negli ultimi anni si è rivelato il Vallo di Diano, questo enorme passaggio e punto d'incontro. Considerata da tempo e da molti quale normale via di accesso dei prodotti greci dello Ionio verso l'Etruria meridionale, nel senso di zona campana, venne ultimamente scartata, considerandola come un lago senza deflusso, un mondo a sé stante. Se oggi avessimo a disposizione una minuta ricognizione sul terreno, con le indicazioni di tutti i ritrovamenti archeologici, l'affermazione o la negazione di questa strada potrebbe essere più profondamente studiata. Oltre agli scavi di Padula e di Sala Consilina, ben poco conosciamo sui ritrovamenti avvenuti alle due testate della vallata. Se nulla si è trovato più a nord o, per meglio dire, se il poco che è stato messo in luce appare del tutto diverso, tipologicamente, da quanto è stato rinvenuto negli ultimi scavi della vallata stessa, non significa, a mio avviso, che attraverso questo canale non si sia verificato un passaggio di prodotti tra il N e S. Se prendiamo soltanto un esempio dalla Sicilia, quello dei centri di Sabucina e Capodarso e lo riavviciniamo a quanto è stato ravvisato prima per la funzione di passaggio di questa vallata, credo che i termini di paragone possano certamente avere il loro peso nel considerarla sempre una via naturale tra N e S. Che anche in questo caso si abbia una antica via si può desumere, almeno per il tratto Sala Consilina-Padula, da tutta una serie di indicazioni offerte dal rilevamento aereo (fig. 11).
Altrettanto vera è anche la traccia, simile ad un solco, visibile su tutti i rilevamenti aerei, della Valle Caudina. La fotografia aerea però, più che alla scoperta dell'antica via di comunicazione, ci ha riportato davanti agli occhi un testo antico, quello di Livio in cui si parla di una serie di pagi esistenti sulle (colline e le montagne che sovrastano il passaggio dei Romani. La loro esistenza, data la mancanza di ricerche, non fu mai discussa mentre il mosaico (fig. 12) mostra la loro posizione quasi su ogni altura.
Visto sotto questo aspetto, il problema della viabilità nella Magna Grecia si presenta come uno tra i più attraenti terreni. Ma affinché esso possa essere risolto nei dettagli, ha bisogno non solo di continue verifiche ma anche, e soprattutto, di essere inquadrato in un tessuto di centri urbani, tessuto ancora da compiere. Il giorno in cui ogni regione sarà sottoposta ad una accurata ricognizione ed ogni centro abitato verrà fissato sulle carta topografiche, questo problema troverà una più adeguata soluzione. Per ora, anche se i centri abitati scoperti rappresentano piuttosto capisaldi di una vasta rete, la fotografia aerea serve ad indirizzare le ricerche e non ad entrare nei dettagli. I dettagli potranno venire nel momento in cui, accanto alla fotointerpretazione, potrà trovare posto una lunga serie di sondaggi o semplicemente di ricognizioni a terra. La ricognizione a terra, accompagnata, ove sarà necessario, da sondaggi, avrà la parola decisiva.
(Segue il dibattito sulle due relazioni presentate – di Lugli e di Adamesteanu. Il dibattito è lungo e vivace, mi pare interessante riportare la replica finale di Adamesteanu, e segnalare una poesia di Bertold Brecht recitata a sorpresa dall’archeologo polacco prof. Bronislaw Bilinski)
Mi pare di aver capito che qualcuno si sia lamentato che io non abbia studiato questa strada, che non abbia presentato quell'altra strada e che mi sia sfuggito non so quale tratturo. Ripeto quanto ho detto nella mia relazione: non ho voluto ricostruire la rete stradale della Magna Grecia poiché considero giustissimo quanto affermato da Mario Napoli l'anno scorso ed oggi: per conoscere a fondo una parte di una carta 1:100.000 ci vogliono due o tre anni e questa è anche la mia esperienza in Sicilia. L'area presa in considerazione da me è quasi mezza Italia e quindi lontano da me il tentativo di ricostruire la rete stradale di mezza Italia. Gli esempi presi in considerazione sono esempi di metodo, vale a dire che cosa si potrebbe fare con la fotografia aerea, con lo studio delle carte topografiche e specialmente con le mappe in cui fossero segnate tutte le località archeologiche. Ho accennato inoltre al fatto che la rete stradale può essere meglio studiata allorquando si ha a disposizione una mappa archeologica quanto più completa di indicazioni di località. C'è ancora un altro punto a cui ho accennato e su cui desidererei insistere ancora una volta: quando un archeologo ha lavorato per molti anni in una zona ed ha visto che tutti i villaggi preistorici si presentano sotto un certo aspetto, allo stesso archeologo sarà molto più facile rintracciare gli stessi tipi di insediamenti sui rilevamenti aerei anche se questi non siano stati mai scavati. A nessun archeologo, anche con la minima preparazione fotointerpretativa, potrà sfuggire un villaggio neolitico compreso nelle fotografie aeree. Lo stesso dicasi per i centri indigeni di età storica. A chi ha scavato uno o due di questi centri non sfuggirà mai un insediamento come quello di S. Trinità o Monte Sannace mentre studia le fotografie aeree: questi centri, più o meno, sono sempre uguali.
La fotointerpretazione archeologica è qualcosa di insito in ogni archeologo e difficilmente egli potrà confondere una moderna lottizzazione con la centuriazione o una Strada antica con un acquedotto. Se a queste conoscenze topografiche si aggiunge anche quella del problema storico, si può convenire che la possibilità di rintracciare la viabilità di una zona sia piuttosto facile.
Il problema più difficile almeno per l'Italia meridionale è quello della edizione di tutto il materiale da tempo scoperto e giacente ancora nei magazzini dei musei. Quando tutto questo lavoro sarà fatto, il compito di redigere una mappa archeologica ed una rete stradale nell'antichità sarà molto più facile di quanto non lo sia oggi. Ed è certo che se tutto questo materiale fosse oggi già pubblicato, noi potremmo utilizzare la fotografia aerea con un vantaggio molto più grande. Per chiarire questo concetto mi permetto di rammentare un fatto avvenuto alle spalle di Gela: segnando sulle Tavolette 1:25.000 tutti i ritrovamenti vecchi e nuovi avvenuti nella zona di Milingiana e prendendo in studio le fotografie aeree dalle più vecchie alle ultime, è stato possibile rintracciare una serie di tratturi che collegava fra loro le diverse fattorie di età storica, i diversi villaggi castellucciani e nello stesso tempo collegava la costa con l'interno. Spostando il sistema di ricerca in altre zone del retroterra di Gela, è stato possibile renderci conto dell'infinita possibilità di collegamento non soltanto di Gela con i centri di Butera, M. Desusino, M. Bubbonia ecc. ma anche di un centro con l'altro. Lo stesso si può dire per il retroterra di Agrigento e specialmente delle vie di spinta da Agrigento verso NE.
Tengo a precisare però che ogni scoperta fatta con la fotografia aerea non sarà mai una vera scoperta se non sarà verificata sul terreno.
1Papers of the BritishSchool at Rome, XXIII, 1955, p. 44 sgg.; XXV, 1957, . p. 67 sgg.; XXVI, 1958, p. 63 sgg.; XXIX, 1961, p. 1 sgg.; XXX, 1962, p. 116 sgg.
2 Un caso simile si è verificato in Sicilia e specialmente nella Puglia. Cfr. GIOVANNA ALVISI, Problemi di viabilità nell'Apulia settentrionale, in Arch. Class., XIV, 1962, pp. 148-161.
[3]D. ADAMESTEANU, Viabilità antica in Sicilia, in Kokalos, VIII, 1963 (in corso di stampa).
[4] Quest’ultimo rilevamento è stato eseguito dalla Ditta I.R.T.A. (Istituto di rilevamenti terrestri ed aerei) di Milano. Il rilevamento a scala 1:35.000 è della Aeronautica Italiana e va considerato quale volo base dell’Italia.
[5]Vedi la relazione al VI Convegno della Società Italiana di Fotogrammetria e Topografia, in corso di stampa.
[6]Cfr. fig. 1.
[7]Ancient Landscapes, Oxford 1948.
[8]Cfr. nota precedente.
9Negli Atti del I Convegno di studi sulla Magna Grecia, Napoli, 1962, pp. 223-237.
10Caulonia e Metaponto, in Universo, XXXIX, 1959, p. 27
11Mostra della Preistoria e della Protostoria nel Salernitano, Salerno, 1962.
12Negli Atti del I Convegno di studi sulla Magna Grecia, pp. 205-210.
Le immagini che illustrano la relazione sono contenute in questa cartella
Il lavoro di Dinu Adamesteanu che ho scelto è una relazione presentata al Secondo Convegno di Studi sulla Magna Grecia, tenutosi a Taranto dal 14 al 18 ottobre 1962, convegno che ebbe come tema: Vie di Magna Grecia. Gli atti furono raccolti in un testo ugualmente intitolato.
Le ricerche per la tesi mi hanno portato a leggere nella Biblioteca della nostra Sopraintendenza, trentacinque anni dopo la sua stesura, il libro Vie di Magna Grecia (ed a fotocopiarlo, così ho potuto ritrovarlo per Eddyburg, essendo ormai esaurito da parecchio tempo). Per queste ricerche ho studiato, tra l’altro, tutto quello che era stato sino ad allora pubblicato su Locri Epizefirii. Ho conosciuto alcuni tra i più bravi e competenti studiosi nel campo, come il Prof. Arch. Dieter Mertens che mi ha accolto all’Istituto di Archeologia Germanica di Roma, dandomi anche dei rilievi non ancora pubblicati; e come la professoressa Marcella Barra Bagnasco, dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Torino, che scava a Locri Epizefirii (e pubblica regolarmente) fin dal 1967, che mi ha dato informazioni preziose; ed altri ancora.
Il mio relatore mi prendeva un po’ in giro per la cultura archeologica che nella lunga ricerca stavo acquisendo – pericolosa per un architetto, diceva.
Ma questo libro mi ha veramente affascinato. Se permette le racconto lo svolgersi del convegno così come si legge nel testo.
Nel secondo giorno (il primo era stato dedicato al saluto dei politici locali e di governo, con un intervento del ministro ellenico per l’istruzione) l’introduzione, dal titolo Parole e strade della Magna Grecia, fu tenuta dal prof. Giacomo Devoto: narrava di parole nate in Grecia e del viaggio da esse compiuto per raggiungere Roma, del rapporto tra parole e vie, e di come le strade trasportano anche correnti ideali.
Seguiva la relazione del prof. Giuseppe Lugli, allora ordinario di Topografia dell’Italia Antica all’Università di Roma, su Il sistema stradale della Magna Grecia, che partiva dallo studio della rete stradale in epoca romana per trarne conclusioni relative all’epoca greca.
Seconda relazione è stata quella di Dinu Adamesteanu, allora Direttore dell’Aerofototeca del Ministero della Pubblica Istruzione, su La fotografia aerea e le vie della magna grecia, trascritta da me nel documento allegato.
Il giorno successivo furono presentate le relazioni del prof. Georges Vallet, direttore dell’Istituto francese di Napoli, su Les routes maritimes de la Grande Grèce (l’ho poi conosciuto quattro anni fa ad un convegno a Reggio Calabria: gli ricordai il suo intervento di Taranto del ’62 e la risposta un po’ polemica del prof. René Van Compernolle; si mise a ridere); e del prof. Ernst Kirsten, professore di Geografia antica all’Università di Bonn, su Viaggiatori e vie in epoca greca e romana. Al successivo dibattito prese la parola un pediatra presente al convegno, il dott. Pietro Ebner, che rivolse agli archeologi un singolare appello, che trascrivo per intero ed allego in altro documento.
Relazione conclusiva fu quella del prof. Ettore Lepore, Incontri di economie e di civiltà, cui fece seguito un dibattito. Nei giorni del convegno gli interventi si erano alternati a visite al Museo Archeologico di Taranto, a Martina Franca, alle mura di Manduria. L’ultimo giorno ebbe luogo un viaggio in Calabria, con visite agli scavi di Sibari, a Crotone ed al suo Antiquarium.
Qualche considerazione sulle vie greche, che mi interessavano in modo particolare: come aveva precisato nel convegno Bronislaw Bilinski, è noto che la via greca utilizza piuttosto la configurazione naturale del terreno cioè si adatta alle condizioni fisiche impostele dalla natura, mentre la via romana esegue mutamenti del terreno attraverso lavori d'ingegneria. La via romana spezza le difficoltà, è più ardita e anche più corta avendo spesso come scopo principale uno scopo militare. Le vie greche invece nella Magna Grecia hanno avuto le loro origini nel commercio e se per i Romani, nelle epoche posteriori, le vie istmiche furono di poca importanza, per i Greci invece esse avevano un valore talvolta fondamentale nella loro vita economica collegando le singole colonie sulle coste del mar Jonio con le colonie sulle sponde del Tirreno.
Considerando poi che tra le vie della Magna Grecia v’erano sicuramente anche le vie d’acqua, era presente al convegno anche un esperto di idrogeologia storica, che ha chiarito come il regime idrico di molte aree (tra cui quella che io studiavo) fosse molto diverso dall’attuale anche a causa del forte impoverimento della vegetazione boschiva, che ha contribuito a trasformare fiumi navigabili (testimoniati da Plinio) in miseri torrenti.
Nell’intervento di Adamesteanu, tra l’altro, si fa riferimento alle fotografie aeree del Foggiano, fatte dalla RAF nel 1943-1944, che servirono di base allo studio che il Bradford intraprese in quelle zone negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale.
E’ interessante sapere che le prime foto furono scattate dal Bradford nell’ambito delle proprie missioni di guerra, e che egli successivamente, resosi conto dell’importanza dei rilievi aerofotografici nell’ambito delle ricerche archeologiche, tornò in quell’area proprio per compierle: fece infatti tre o quattro campagne di ricognizione in quella zona ed intraprese anche qualche scavo, tutti di modesta entità ma dai risultati chiari e precisi.
Purtroppo poco tempo dopo fu colpito da una malattia che, sempre aggravandosi, gli rese impossibile la pubblicazione di tutto quell’importante materiale ma, su istanza della Society of Antiquaries of London e della signora Bradford, fu nominata una commissione incaricata del relativo studio e della pubblicazione.
Nel decennio successivo a quando Bradford era attivo in questo campo molto del materiale sul quale erano basati i suoi studi purtroppo sparì per sempre, ma la pubblicazione (postuma, mi pare) dello studio di Bradford ha ugualmente recato un utile contributo alla conoscenza della topografia antica del Foggiano.
La costruzione complessa dell’ambiente
Per molte persone l’ambiente viene spesso associato o ad un settore dell’azione pubblica - per il quale vengono attivate politiche specifiche come la realizzazione di parchi, la raccolta differenziata dei rifiuti o altro ancora - o a qualcosa che ci ricorda alcuni dei momenti migliori della nostra vita, a contatto con l’aria aperta e il verde di qualche luogo “incontaminato”.
In aggiunta a questa percezione immediata, l’idea diffusa di ambiente risente anche di fattori maggiormente di lungo periodo derivanti dalla nostra cultura, che è fortemente segnata da un approccio che ha relegato l’ambiente ad una funzione sostanzialmente di cornice rispetto ai fattori fondamentali dello sviluppo. In questo senso, a fronte di alcuni elementi considerati come sintomo di progresso “buono” e che andavano lasciati liberi di espandersi (gli insediamenti, le infrastrutture, ecc.), l’ambiente ha assunto in maniera evidente il ruolo marginale di un elemento che va semplicemente preservato e va tutelato, possibilmente confinandolo ad aree specifiche alle quali affidare il compito ingrato – e, in realtà, impossibile – di compensare i danni progressivamente creati nella altre aree dove la società produce le sue ricchezze.
Non è un caso che, passato il primo periodo di industrializzazione - che si localizzava nei territori fluviali che fornivano la risorsa acqua per produrre vapore – lo sviluppo moderno abbia privilegiato soprattutto i territori che presentavano pochi ostacoli naturali: l’idea del territorio come tabula rasa sul quale collocare grandi estensioni urbane è una metafora della modernità, che si percepisce come processo che libera l’uomo dai legami e dalle costrizioni dell’ambiente per espandersi sull’intero globo, isolando alcune aree nelle quali mantenere degli elementi naturali o da dedicare prevalentemente alla ricreazione o utilizzati al massimo come compensazione e contenimento delle espansioni degli insediamenti.
Questa concezione riduttiva è uno dei tanti frutti di un approccio culturale che percepisce lo sviluppo come un processo sempre in crescita che viene misurato solo in termini di performance economica astratta, che viene prodotta in modo sostanzialmente slegato dai caratteri del luogo e dell’ambiente.
Il ragionamento sotteso è che, quello che conta, è riuscire a produrre sempre di più; costi quello costi, anche – e soprattutto - sotto il profilo ambientale. Questo approccio può anche non risultare particolarmente dannoso se la quantità di produzione è relativamente bassa, ma è evidente che la produzione – e il relativo consumo - non può aumentare all’infinito, se non producendo infiniti rifiuti e consumando quantità sempre maggiori di energia, fino all’esaurimento delle fonti e delle risorse da cui trae origine questo tipo di sviluppo. Quando si parla di critica alla globalizzazione si critica anche questo modello di sviluppo; che è misurato solo in termini di ricchezza economica diretta; che viene descritto da indicatori estremamente semplificati e impropri come il PIL (Prodotto Interno Lordo) e che – in sostanza – non considera i fattori ambientali come elementi in gioco nel processo di costruzione sociale ed economica dell’evoluzione della civiltà.
L’ambiente, più che “semplicemente naturale”, è il frutto di una serie complessa di caratteri naturali che sono essi stessi costantemente in evoluzione e che, sotto l’azione dell’uomo, vengono percepiti e ulteriormente trasformati assumendo conformazioni diverse e sempre in evoluzione. Queste conformazioni dell'ambiente dipendono quindi molto dal modo in cui l’uomo si pone in relazione con esse attraverso la propria organizzazione sociale, economica e istituzionale e per mezzo delle proprie capacità tecnologiche.
L’ambiente che noi viviamo qui ed ora è il frutto dei diversi modi attraverso i quali le generazioni che ci hanno preceduto si sono poste in relazione con esso: coltivandolo, trasformandolo, danneggiandolo o contribuendo alla sua riproduzione. L’ambiente – la sua forma, la sua qualità - dipende da un processo culturale che coinvolge fattori sociali, istituzionali, economici e istituzionali che sono strettamente connessi con i caratteri “naturali” dell’ambiente. E’ questo, sostanzialmente, l’approccio che anima il concetto di sostenibilità: con il quale si mettono in relazione l’ambiente con l’economia e la società che sono ad esso connesse.
Il concetto di sostenibilità - che, con diverse sfumature, è diventato oramai patrimonio comune a livello mondiale - verrà spiegato meglio nei paragrafi successivi anche per considerare i risvolti concreti e operativi che esso produce. Prima di addentrarsi in questa trattazione, è utile però capire perché il tema ambientale è fra i più centrali all’interno della critica al modello di sviluppo che, sinteticamente definiamo globalizzazione e quali possono essere le strategie e gli strumenti di cui possiamo dotarci per costruire modelli diversi di sviluppo.
L’ambiente e la dimensione “locale”
Elaborando quanto è stato detto sopra, risulta abbastanza evidente che l’idea di sviluppo crescente e illimitato che caratterizza la cultura occidentale moderna, contiene in sé i geni di quegli aspetti negativi della globalizzazione che da più parti si cerca di contrastare proponendo approcci diversi. L’elemento che più critichiamo nella “globalizzazione selvaggia” è, appunto, il suo essere indifferente ai caratteri delle culture, delle società e delle economie locali; così come lo sviluppo moderno dell’occidente è stato sostanzialmente indifferente ai caratteri dell’ambiente, come se l’ambiente e il territorio fossero una tabula rasa sulla quale collocare funzioni produttive, abitative e infrastrutturali libere da ostacoli di sorta.
Pensare a modelli di sviluppo diverso, quindi, significa anche pensare a come ricucire il legame tra sviluppo economico sociale e ambientale; verificando luogo per luogo come la combinazione di questi tre elementi possa essere riarticolata a partire dalle caratteristiche dell’economia, della società e dell’ambiente locale.
In quest’ottica, oramai anche i documenti ufficiali di tutti i principali organismi internazionali e sovranazionali, l’ambiente non viene più considerato come un settore specifico delle politiche pubbliche, ma come una dimensione che attraversa tutte le politiche; come un punto di vista a partire dal quale osservare, valutare e orientare l’intero arco delle azioni pubbliche. Una volta assunti questi principi generali, essi vanno però declinati operativamente per capire come modificare quelle regole genetiche dello sviluppo “globale” che inducono la cancellazione delle differenze ambientali, sociali ed economiche. Occorre un'inversione dello sguardo proprio a partire dal territorio e dall’ambiente perchè, da puri supporti di un modello di sviluppo omologato, diventino l’occasione e il motore di una differenziazione locale degli "stili di sviluppo" in grado di generare ricchezza durevole al di là dei semplici parametri del profitto misurati dal PIL. Il primo passo da fare è quello di comprendere se, a fronte dei disastri causati da un globale cieco rispetto ad ogni differenza di cultura e di luogo, la risposta sia un semplice ritorno ad una dimensione locale in cui ci si richiami agli slogan consolatori del “piccolo è bello”. In realtà, più che pensare ad una dimensione locale limitata geograficamente (il paese, la piccola città, la porzione di ambiente-territorio), è molto più fecondo pensare alla metafora della rete, in cui diversi luoghi densi, costruiscono relazioni di scambio non gerarchico. Una rete in cui ogni nodo trova al proprio interno le risorse necessarie per la propria evoluzione, riarticolando il rapporto con gli altri nodi in funzione delle proprie capacità di costruire legami fecondi che valorizzino le proprie peculiarità e, quindi, garantendo nel lungo periodo il mantenimento e la riproduzione delle risorse locali: siano esse di tipo sociali, economiche o ambientali.
Parallelamente a questa riflessione più di tipo culturale e “politico”, il pensiero scientifico ha elaborato il concetto della “chiusura dei cicli”, che indica la necessità di limitare gli impatti delle attività umane cercando di limitare il più possibile a livello locale il consumo delle risorse, in favore di processi che favoriscano e sostengano la loro riproduzione (vedi anche il punto 2.4 relativo all’”impronta ecologica”).
Cambiare l’attuale modello di sviluppo avendo in mente queste prospettive è un’operazione delicata che richiede la collaborazione di tutti: l’approccio dei “locali in rete” è quello per cui si trovano le modalità più opportune di mettere tra loro in relazione soggetti diversi che individuano la possibilità di collaborare insieme, facendo progressivamente germinare relazioni sempre più complesse fino a coinvolgere l’intera società. Così, a partire da alcune delle forme più avanzate e radicali di costruzione di reti locali (i gruppi di acquisto solidali, i commerci equi, l’autogestione di beni e servizi primari, ecc.), può essere progressivamente riconvertita tutta la gamma delle relazioni che muovono le economie e le società senza porsi improbabili obiettivi di rifondazione del mondo e di nuove palingenesi calate dall’alto.
Avere cura dell’ambiente al di là delle sole politiche di tutela implica quindi l’impegno a trovare forme di comunicazione differenziate tra soggetti che si pongono in rete in modo diretto con lo scopo di cambiare le regole genetiche del rapporto tra società, economia e ambiente. Ciò significa anche ripensare all’abitante come produttore di società e di ambiente; come ad un soggetto che dialoga con altri abitanti per trovare alternative all'eterodirezione generata dalla logica del mercato. Significa anche contrastare la dinamica per la quale sono le regole globali a regolare le società, le economie e le istituzioni locali inducendo implicitamente la distruzione non solo dell'ambiente, ma anche del capitale economico e sociale che costituisce fonte delle ricchezze basate sulla qualità della vita, sulla giustizia sociale, sull'identità culturale e sulla relazione armonica con l'ambiente. In questo processo si situa anche il radicale cambiamento di ruolo dei governi locali e dei municipi. Trasformare le regole genetiche del rapporto società-economia-ambiente significa anche sperimentare e dare forma ad istituti intermedi di democrazia, di rappresentanza e di co-decisione. In questi anni, da parte dalle istituzioni di livello superiore (ONU, UE, governi nazionali) si assiste ad una forte promozione dei processi di partecipazione e di progetti di sviluppo locale in cui la costruzione di istituti di concertazione fra attori locali è associata a criteri di verifica ambientale (Valutazione Ambientale Strategica, inserimento di variabili ambientali, ecc.) e costituisce il prerequisito per l’ottenimento di finanziamenti.
Dunque le condizioni di un incontro fra “cantieri» di società locali in costruzione” e istituzioni sono date, anche se l’attivazione di questo tipo di iniziative “dall’alto” non significa necessariamente far crescere società locale, se gli attori che siedono al tavolo della concertazione sono sempre gli stessi - pochi e forti – e se le regole dello sviluppo locale rimangono quelle “globali”. E’ necessario che a questi strumenti di finanziamento e di costruzione di politiche di sviluppo locale possano accedere anche attori differenti; riconoscendo, valorizzando e sostenendo soggetti singoli e collettivi che hanno come obiettivo la trasformazione della società locale e la valorizzazione dei beni pubblici; primi fra tutti quelli connessi con la riproduzione delle risorse territoriali e ambientali.
In questo orizzonte, la società sostenibile richiede processi complessi e integrati, che rendano compatibili e coerenti la sostenibilità culturale (i processi di ridefinizione delle forme di cittadinanza, il municipio, l'autogoverno), economica (la conversione ecologica dell'economia, l'affermazione dell'economia della natura), geografica (le reti non gerarchiche e solidali di città, la democrazia territoriale), ambientale (la coerenza degli insediamenti umani con la riproducibilità dei sistemi ambientali).
Diversamente, l’ insostenibilità della società globale ha il suo orizzonte più drammatico nelle megalopoli del terzo mondo, nelle quali è palese lo sradicamento degli individui dalla società, dall’economia e da un ambiente riproducibile che costituisce realmente una fonte di vita. Per questo è urgente conoscere e utilizzare tutti gli strumenti istituzionali ed extraistituzionali che ci permettono di sperimentare nuove forme di dialogo sociale in cui emergano e si consolidino nuove solidarietà, stili di vita, pratiche e soluzioni tecniche innovative.
Scopo ultimo è quello di costruire patti tra soggetti che si impegnano a giocare ruoli differenti all’interno di un unico quadro concertato e condiviso, tenendo ancora una volta conto che i patti sono tanto più efficaci quanto c’è un impegno a verificarsi reciprocamente. Per questo, ancora una volta, è la dimensione locale a presentarsi come la più adatta a garantire la costruzione e il mantenimento di questi patti, in quanto è a questo livello che le reti di solidarietà e di scambio non mercificato riescono ad essere più efficaci. Il patto locale è costituito dalla serie di impegni che una società locale prende pubblicamente per darsi degli orizzonti condivisi di azione: per ri-costruirsi partendo da un progetto.
In questa direzione, lo strumento più conosciuto a livello mondiale che può essere utilizzato per attivare processi di dialogo e di concertazione locale in stretta connessione con le tematiche ambientali è quello dell’Agenda 21. Come verrà spiegato meglio nei capitoli successivi, si tratta di uno strumento codificato a livello mondiale nel corso della Conferenza ONU tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 che è stato esplicitamente pensato per facilitare il dialogo tra tutte le componenti della società, affinchè trasformino le loro attività e la loro economia considerando l’ambiente come una variabile strutturale delle decisioni e delle azioni.
Agenda 21 pone una forte enfasi sulla dimensione locale della comunicazione e dell’azione, proprio per la possibilità che questa dimensione offre in termine di dialogo, di costruzione di patti condivisi e di verifica del mantenimento e dell’attuazione di questi stessi patti. Se non viene utilizzata come l’ennesimo strumento da applicare con freddezza manualistica – come spesso si verifica osservando diverse delle esperienze in corso - essa può sostenere efficacemente la costruzione di politiche ambientali basate su un progetto locale, cioè sulla capacità di una società di darsi regole autonome e condivise e di sottoscrivere patti e solidarietà nel quadro di un orizzonte comune.
Prima di addentrarci nelle pagine seguenti per conoscere l’Agenda 21 ed altri strumenti di costruzione di politiche per la sostenibilità ambientale, possiamo concludere queste riflessioni iniziali, da un lato, pensando all’ambiente come ad un’occasione per rivedere e trasformare l’economia e la società e, dall’altro, riflettendo sulle implicazioni che le attività umane hanno sull’ambiente e sulle risorse vitali dell’umanità.
Comprendere la nostra “impronta ecologica” sul mondo significa quindi fare un altro passo verso una trasformazione della società e degli stili di vita in senso equo e solidale.
Il tema centrale per il nostro presente e futuro è come riuscire a vivere su questo nostro pianeta con un numero di esseri umani che ha già superato i 6 miliardi e che potrà superare i 10 miliardi in questo secolo, in maniera dignitosa ed equa per tutti senza distruggere irrimediabilmente i sistemi naturali da cui traiamo le risorse per vivere e senza oltrepassare la capacità di questi stessi sistemi di supportare gli scarti ed i rifiuti dovuti alle nostre attività produttive. Non vi è dubbio che questo costituisce il tema centrale per tutte le società umane ormai completamente interconnesse da una globalizzazione evidente ma invece, i politici, gli economisti, gli imprenditori continuano a concentrare la loro attenzione e la loro priorità operativa sul perseguimento di una continua ed inarrestabile crescita economica che, nonostante i perfezionamenti importantissimi della tecnologia, continua ad erodere i sistemi naturali, a distruggerli e ad inquinarli e ad aggravare le differenze sociali ed economiche tra i ricchi ed i poveri del pianeta. Sulla necessità che sia necessario un profondo cambiamento nelle relazioni tra la nostra specie ed i sistemi naturali che ci supportano ormai non vi è più dubbio. Si sono moltiplicati i vertici internazionali, si sta creando una vera e propria normativa sovranazionale di carattere ambientale con convenzioni internazionali, trattati, protocolli e direttive, ma manca ancora, drammaticamente, la consapevolezza, sia teorica che pratica, che questi problemi possono essere risolti solo con una vera e propria “Rivoluzione culturale” rispetto ai nostri modi obsoleti di concepire i sistemi economici, quelli sociali e quelli naturali. Una rivoluzione che dovrebbe avere i connotati delle due grandi precedenti rivoluzioni della storia umana, quella agricola e quella industriale.
Lo sviluppo sostenibile
Oggi abbiamo una sorta di parola d’ordine che, al solo utilizzarla verbalmente, sembra poter fornire la soluzione ai tanti e gravi problemi esistenti nel rapporto tra i sistemi naturali e la nostra specie: si tratta dello “sviluppo sostenibile”. È un’espressione abbondantemente abusata in ogni contesto, soprattutto di tipo politico ed economico. Sembra che parlare di sviluppo sostenibile o applicare il termine sostenibilità al solo livello parlato o scritto, per qualsiasi attività umana nei sistemi naturali, divenga automaticamente una sorta di giustificazione di tutti gli effetti negativi prodotti dalle stesse. È evidente che i sistemi produttivi e di consumo di una società futura, la cui necessità e desiderabilità si impone alla luce dell’oggettiva situazione ambientale, economica e sociale attuale, saranno diversi da quelli che sino ad oggi abbiamo conosciuto. La prospettiva della sostenibilità mette in seria discussione il nostro modello di sviluppo socio-economico. Nei prossimi decenni dovremo essere capaci di passare da una società in cui il benessere e la salute economica sono misurati in termini di crescita della produzione e dei consumi materiali ad una società in cui si sia capaci di vivere meglio consumando molto meno, evitando la dilapidazione dei sistemi naturali e quindi del capitale naturale e sviluppando l’economia riducendone gli attuali input di energia e materie prime.
Il concetto di sostenibilità deriva dal verbo “sostenere” che vuol dire supportare, sopportare, mantenere, mantenere il peso di, dare forza a, ecc. Si tratta di un concetto apparentemente molto chiaro: sembra infatti facile potere pensare al fatto che una nostra determinata azione o attività possa essere sostenuta dalle capacità presenti nel sistema in cui si opera, si agisce, si interviene e ad una prima considerazione, sembra facile poter conoscere o calcolare tale capacità. In realtà ciò che è difficilissimo chiarire, per mancanza di nostre conoscenze e per l’oggettiva complessità dei meccanismi di funzionamento dei sistemi naturali, è proprio la certezza che una nostra attività, una nostra azione, un nostro intervento, possa essere adeguatamente sostenuto dal sistema naturale su cui si interviene. Non siamo in grado di avere alcuna certezza della sua sostenibilità, se non allo stato attuale delle nostre scarse conoscenze. Il termine sostenibilità e, soprattutto, quello di sviluppo sostenibile, si è andato diffondendo nel decennio Ottanta perchè nell’ambito della comunità internazionale, in particolare delle Nazioni Unite, appariva sempre più evidente che il classico concetto di sviluppo cosi’ strettamente legato a quello di crescita (soprattutto crescita economica, intesa come incremento del prodotto pro capite), aveva causato una situazione di profonda insostenibilità dei rapporti con i sistemi naturali. Lo sviluppo economico è insostenibile perchè ha profondamente minato i processi ecologici essenziali, distruggendo di fatto, la base stessa fondamentale per la sopravvivenza della popolazione umana. La crescita economica aveva promesso di creare abbondanza, benessere e rimozione dei fattori di povertà. Purtroppo agendo fortemente sui sistemi naturali e sui servizi offerti dagli ecosistemi alla nostra sopravvivenza, ne ha profondamente minato le basi rigenerative e le capacità assimilative e, soprattutto nei paesi poveri, è diventata sempre più causa di povertà e scarsità.
Lo sviluppo sostenibile da Stoccolma ad oggi
Sin dalla preparazione della prima conferenza internazionale delle Nazioni Unite sull’ “Ambiente umano” di Stoccolma nel giugno 1972 si è iniziato a parlare e a scrivere di “ecosviluppo” e cioè di uno sviluppo sociale ed economico che tenesse finalmente conto dell’importanza basilare della tutela e razionale gestione del “capitale naturale” come base essenziale per lo stesso sviluppo umano.
La “Strategia Mondiale per la Conservazione” prodotta nel 1980 dall’IUCN (World Conservation Union – un’organizzazione costituita da autorità governative dei diversi paesi e da tante organizzazioni non governative -), dal Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP – struttura voluta proprio dalla Conferenza di Stoccolma -) e dal Fondo Mondiale per la Natura (WWF) è stato il primo documento ufficiale internazionale che ha riportato chiaramente nel suo titolo il concetto di sviluppo sostenibile (“World Conservation Strategy of the Living Natural Resources for a Sustainable Development”).
Nel 1987 la Commissione Indipendente sull’Ambiente e lo Sviluppo, nata in ambito ONU e presieduta dall’allora primo ministro norvegese, signora Gro Harlem Brundtland,, pubblica il suo rapporto “Il futuro di noi tutti” (“Our Common Future”) che definisce lo sviluppo sostenibile la soddisfazione dei bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro.
Esistono numerosissimi definizioni di sviluppo sostenibile; tra le tante quella proposta dal rapporto del 1991 “Caring for the Earth, Strategy for a Sustainable Living” (“Prendersi cura della Terra, una Strategia per il vivere sostenibile”), realizzata, ancora una volta, da IUCN, UNEP e WWF, è oggi quella più riconosciuta negli ambienti specializzati, soprattutto dell’economia ecologica, la disciplina più ricca di elaborazione sulla concezione della sostenibilità. La definizione dice che lo sviluppo sostenibile è il miglioramento della qualità della vita pur rimanendo nei limiti della capacità di carico degli ecosistemi che la sostengono.
Nel giugno del 1992 il grande Summit della Terra delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development), ufficializza definitivamente la concezione dello sviluppo sostenibile a livello internazionale, sottoscrivendo un ampio documento definito “Agenda 21” (un Agenda di azioni per il 21° secolo) dove, in 40 capitoli, vengono tratteggiati gli elementi essenziali per far imboccare a tutte le società umane la strada di una sostenibilità del proprio sviluppo economico e sociale (un interessantissimo volume sulla conferenza di Rio è quello curato da Giulio Garaguso e Sergio Marchisio, pubblicato nel 1993 da Franco Angeli con il titolo “Rio 1992: Vertice per la Terra”).
Alla Conferenza partecipano delegazioni di 183 nazioni, dopo due anni e mezzo di lavori preparatori, con la presenza di moltissimi capi di Stato e di Governo e con la simultanea presenza di un Global Forum alternativo predisposto dalle Organizzazioni Non Governative che ha visto la presenza di oltre 2.900 ONG e circa 17.000 persone (gli Atti del Global Forum sono stati pubblicati in italiano da ISEDI nel 1993 con il titolo “La Carta della Terra”).
Lo spirito dell’Agenda 21
L’Agenda 21 è quindi un vasto programma d’azione per tutta la comunità internazionale che però non contiene obblighi giuridici. È un testo di natura programmatica ed operativa che riflette il consenso globale raggiunto nel Summit di Rio (confermato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite).
L’Agenda 21 è ispirata al principio di integrazione delle politiche ambientali con quelle economiche e sociali e tende a tradurli in pratica in più di un centinaio di aree di programma che spaziano dall’atmosfera ai suoli, alle montagne, alle acque del pianeta ed in numerosi altri campi quali la scienza, la tecnologia, l’informazione ecc. È suddivisa in 4 grandi sezioni che inquadrano nel complesso i 40 capitoli particolari, ognuno dedicato ad un insieme di programmi ed iniziative o alla trattazione di un problema intersettoriale (come quelli della popolazione, dei modelli di consumo, delle risorse finanziarie, dei trasferimenti tecnologici, del debito estero, delle spese militari, dei rifiuti, delle foreste ecc.). Di ogni area di programma sono identificati le basi di azione, gli obiettivi da perseguire, le attività da realizzare e gli strumenti di attuazione. Nell’insieme l’Agenda 21 presenta le priorità di sviluppo della comunità internazionale per un periodo che entra nel 21° secolo e costituisce il più importante “master plan” o documento programmatico sinora avutosi nella storia della comunità internazionale,
La Conferenza di Rio ha approvato anche la nascita di un’apposita Commissione per lo Sviluppo Sostenibile in sede Nazioni Unite, costituita dalle delegazioni di numerose nazioni, membri della Commissione a rotazione, che si è riunita regolarmente, ogni anno, a partire dal 1993, e che ha discusso ed ampliato con apposite ricerche ed approfondimenti, l’attuazione e la concretizzazione dei contenuti dell’Agenda 21 in tutto il mondo.
Dal 26 agosto al 4 settembre 2002 a Johannesburg le Nazioni Unite hanno convocato il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (World Summit on Sustainable Development) che vedra’ le delegazioni di tutti i paesi del mondo, i capi di Stato e di Governo, fare il bilancio di cosa e’ stato fatto in questi dieci anni nell’applicazione dell’Agenda 21 e di tutta la normativa internazionale in essere e rilanciare l’azione con ulteriori iniziative da intraprendere.
2. L’Agenda 21 Locale
Il documento Agenda 21 è un ampio catalogo delle politiche-azioni (intese nel senso di un percorso o metodo d’azione ben definito che serve per guidare e determinare le decisioni presenti e future) da mettere in atto in tutti i Paesi per avviarsi sulla strada di uno sviluppo sostenibile.
L’Agenda 21, proprio in considerazione delle peculiarità di ogni situazione locale, invita (nel Cap. 28) le autorità locali di tutto il mondo a dotarsi di una propria Agenda:
“Ogni autorità locale, dovrebbe dialogare con i cittadini, le organizzazioni locali e le impreseprivate ed adottare una propria Agenda 21 locale. Attraverso la consultazione e la costruzione delconsenso, le autorità locali dovrebbero apprendere ed acquisire dalla comunità locale e dal settoreindustriale, le informazioni necessarie per formulare le migliori strategie”. L'Agenda 21 Locale è il processo di partnership attraverso il quale gli Enti Locali (Comuni, Province, Regioni) operano in collaborazione con tutti i settori della comunità locale per definire piani di azione per perseguire la sostenibilità a livello locale.
Perseguire la sostenibilità locale presuppone la definizione di strategie oculate delineate caso per caso. È impossibile infatti adottare politiche identiche in tutte le realtà locali. Ogni realtà è diversa per dimensione, cultura, risorse e deve quindi trovare da sé la propria migliore vocazione ambientale, attingendo alla propria storia e dotandosi di strumenti adeguati a risolvere i problemi specifici del proprio contesto.
L’Agenda 21 Locale è in genere uno strumento difficilmente codificabile, considerata la diversa natura dei problemi affrontati e le differenti priorità che contraddistinguono le autorità locali nella loro articolazione gerarchica e nella loro distribuzione territoriale. Un processo, dunque, e non (solo) un prodotto. Non ha senso pensare ad un’Agenda 21 Locale come un Piano d’azione predisposto da un referente esterno all’Amministrazione, senza un confronto con la comunità locale. Non si tratta neanche di un semplice processo di animazione sociale al cui termine si tratti solo di scrivere una carta o un documento di buone intenzioni, senza aver definito, anche dal punto di vista tecnico, gli strumenti per la sua attuazione.
Non esistono quindi regole fisse, ma esistono requisiti minimi e alcune componenti chiave per poter definire come Agenda 21 Locale un processo di programmazione partecipata, capace di avviare strategie di sviluppo sostenibile, rispondenti alle caratteristiche locali, capaci di guardare al medio- lungo periodo e strutturate in modo integrato. Un percorso che nasce da una scelta volontaria e condivisa tra più attori locali, che deve servire a esplicitare e condividere obiettivi, verificare la loro credibilità e desiderabilità, e, quindi, tradurli in una strategia integrata, a sua volta articolata in linee d’azione concrete, che consentano di conseguire gli obiettivi (di livello globale e locale) assunti con il coinvolgimento attivo e volontario di tutti i soggetti interessati (attori economici e sociali, cittadini singoli, associazioni no profit, ecc.).
Il risultato atteso è l’avvio di un percorso “consapevole” di miglioramento della qualità dell'ambiente e dello sviluppo, dove ad azioni promosse e direttamente attivate dall'autorità locale si affiancano azioni e programmi avviati su base volontaria da attori sociali ed economici, secondo principi di cooperazione e di integrazione.
Che cosa ha di speciale?
L’Agenda 21 Locale è speciale per le seguenti ragioni:
• viene adottata su mandato delle Nazioni Unite e gli Enti locali in tutto il mondo sono impegnati in questo processo;
• riconosce il ruolo chiave degli Enti locali nel perseguimento della sostenibilità;
• mette in risalto la responsabilità globale di ciascuno, sia attraverso la riduzione del proprio impatto ambientale e dei propri effetti sulle comunità più lontane che condividendo idee ed esperienze con altri;
• chiama alla partecipazione tutti i settori della comunità locale e rafforza la democrazia locale;
• è molto più di un “piano verde” perché riguarda l’integrazione degli aspetti ambientali, sociali, economici e culturali nonché la qualità della vita della popolazione locale.
Requisiti minimi e fattori di successo del processo di costruzione di un’Agenda 21 Locale
È di importanza cruciale assicurare che il concetto di sviluppo sostenibile pervada l’intero modo di operare della comunità locale e dell’Ente locale che promuove l’Agenda 21 Locale. L’Agenda 21 Locale deve essere un’iniziativa coerente, volta alla messa in opera dei concetti e dei principi dello sviluppo sostenibile e della qualità della vita; non può essere solo una rassegna di progetti belli ma settoriali.
Non ci sono modi rigidi e prefissati di adozione dell’Agenda 21 Locale così come non esistono regole fisse ma esistono requisiti minimi e alcune componenti chiave del processo. Quelli che seguono costituiscono i “requisiti minimi” e i “fattori di successo” del processo di costruzione di un’Agenda 21 Locale.
Il coinvolgimento dei diversi attori: il processo si avvia effettivamente nel momento in cui si promuove e si raccoglie la disponibilità e l'interesse di tutti gli interessati e i poteri coinvolti a livello locale.
La volontà e motivazione del governo e delle strutture pubbliche locali: la volontà politica del governo locale e la motivazione a collaborare da parte delle agenzie e dei servizi coinvolti rappresenta un requisito fondamentale.
La strutturazione di forme di progettazione partecipata: il Forum (o altre forme di coordinamento di rappresentanti della comunità locale, strutturato e mirato allo scopo) ha il compito di essere soggetto attivo e di orientamento nel processo di elaborazione del Piano d'azione locale. Il Forum serve quindi a definire le risorse che ogni parte può mettere in gioco, individuando anche gli eventuali conflitti tra interessi diversi.
La consultazione permanente: il mantenimento durante tutto il percorso di forme di informazione e consultazione mirata al vasto pubblico dei cittadini ha lo scopo di individuare le domande e le disponibilità e di creare le migliori condizioni per l'attuazione del Piano d'azione locale.
La disponibilità di informazione e l'attività di diagnosi: l'audit e la redazione del Rapporto sullo Stato dell'Ambiente e della sostenibilità, servono a costruire, attraverso indicatori appropriati, la base su cui sviluppare la costruzione delle strategie.
La visione strategica e i Target: la costruzione di un'idea di "sostenibilità locale", il più possibile condivisa, e la definizione di obiettivi, quanto più concreti o addirittura quantificabili, da associare a precise scadenze temporali, sono il passaggio chiave per la predisposizione del Piano d'azione locale.
La costruzione di un Piano d'azione integrato, da attuarsi sulla base del principio disussidiarietà: la capacità di trasformare la visione strategica in un programma di azioni concrete e integrate tra loro, adatte a raggiungere gli obiettivi individuati, da attuarsi da parte del governo locale e del Forum, attraverso una diretta responsabilizzazione dei diversi "attori" che saranno i protagonisti della loro attuazione.
La capacità di attuazione e di monitoraggio: la capacità di sostenere il Piano d'azione locale definendo scadenze e responsabilità, dotandole di risorse finanziarie e strumenti di supporto, integrandolo nel sistema della programmazione locale. La comunicazione verso l'esterno e il mantenimento di procedure di controllo permanente sull'attuazione e sull'efficacia del Piano d'azione locale si possono realizzare mediante la redazione periodica di rapporti che individuino i miglioramenti e i peggioramenti della situazione ambientale e che servono a suggerire eventuali aggiustamenti del Piano d'azione.
Articolazione del processo e fasi funzionali
Il processo di attivazione di un’Agenda 21 locale si costituisce di alcune fasi:
•Attivazione di un Forum: è costituito da istituzioni, soggetti economici, associazioni dicittadini, cioè da tutti quei soggetti rilevanti a livello locale ai fini di una strategia ambientale, che devono essere coordinati all’interno del Forum per orientare il processo di elaborazione dell’Agenda 21, nonché di monitorarne l’applicazione.
•Consultazione permanente: la consultazione della comunità locale ha lo scopo diriconoscerne i bisogni, definire le risorse che ogni parte può mettere in gioco, individuare ed istruire gli eventuali conflitti tra interessi diversi.
•Audit territoriale e redazione di un Rapporto sullo Stato dell’Ambiente: consiste nellaraccolta di tutti i dati di base sull’ambiente fisico, sociale ed economico; un vero audit urbano che serva a costruire, attraverso indicatori ambientali, il Rapporto sullo stato dell’ambiente, su cui si svilupperà la discussione per la redazione dell’Agenda 21 locale con l’aiuto del Forum.
•Obiettivi e priorità (Target): nella costituzione di un’Agenda 21 locale, la definizione diobiettivi (concreti e quantificabili) deve essere integrata con la formulazione di un ordine di priorità. Gli obiettivi generali e le priorità si devono tradurre in programmi indirizzati ad obiettivi specifici associati a precise scadenze temporali.
•Piano di Azione Ambientale: con questa definizione si intende un programma di azioniconcrete necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati, con la definizione degli attori che saranno responsabili dell’attuazione, delle risorse finanziarie e degli strumenti di supporto.
•Monitoraggio, valutazione e aggiornamento del Piano di Azione : devono essere attivateprocedure di controllo sull’attuazione e sull’efficacia del Piano di Azione, con rapporti periodici che individuino i miglioramenti ed i peggioramenti della situazione ambientale.
Lo schema che segue intende fornire un riferimento di ordine generale, desunto dalle esperienze più consolidate all'estero e in Italia, delle principali fasi del processo e delle attività che, nell'ambito di ogni fase, possono essere sviluppate. Dallo schema emerge con evidenza la natura complessa del processo, dove ad attività di ordine conoscitivo ed analitico si affiancano azioni di coinvolgimento e stimolo della partecipazione, scenari di previsione, indirizzi di pianificazione e linee di intervento per il conseguimento degli obiettivi assunti.
Attivazione del processo di Agenda 21 Locale
Iniziative di sensibilizzazione e promozione
Adesione ad accordi e network internazionali
Impegno formale dell’Amministrazione locale
Coinvolgimento dei settori interessati
Individuazione e coinvolgimentodel pubblico
Creazione del gruppo tecnico
Attivazione del Forum civico
Rapporto sullo Stato dell’Ambiente
Predisposizione delquadro diagnostico
Audit della struttura e della gestione
Valutazione delle politiche
Selezione di obiettivi strategici e locali
Individuazione delle prioritàe definizione degli obiettivi
Discussione e validazione degli obiettivi
Definizione delle strategie di intervento
Predisposizione di scenari
Costruzione delPiano d’Azione Locale
Definizione di linee di intervento
Individuazione di strumenti d’azione
Confronto sulla proposta preliminare
Adozione del Piano d’Azione Locale
Individuazione degli attori
Adozione formale e indirizzi per la gestione
Individuazione della struttura e delle procedure
Implementazione, monitoraggio,valutazione e feedback
Attivazione di verifiche periodiche
Aggiornamento e adeguamento del Piano
Schema di riferimento di ordine generale sulle principali fasi del processo e sulle attività che,nell’ambito di ogni fase, possono essere sviluppate (tratto da ANPA, Linee guida per le Agende 21 Locali, 2000)
In Italia molti terreni di intervento locale sono governati attraverso piani e programmi. Il sistema delle competenze locali prevede l’attivazione di piani comunali, provinciali e o regionali per gran parte dei temi di interesse per una Agenda 21 locale. In linea generale, si può ricordare l’esistenza dei vari livelli amministrativi riferibili a:
• la programmazione socio economica e la programmazione finanziariaa livello locale(Piani regionali di Sviluppo, Piani di sviluppo delle Comunità Montane, Documenti di Programmazione economico – finanziaria, Relazioni e bilanci revisionali, etc.)
• la pianificazione territoriale e paesistica (Piani regionali, provinciali, delle Comunita’Montane e Piani regolatori generali, ai sensi delle Leggi urbanistiche regionali e della L 142/90, Piani territoriali paesistici e Piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e Piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali ai sensi L. 431/85, 1497/39 e DLgs 112/98);
• la pianificazione ambientale locale “di settore ” (Piani di bacino e difesa del suolo, Piani diambito per le risorse idriche, Piani dei parchi e delle aree protette, Piani di risanamento atmosferico e acustico, Piani faunistici);
• la pianificazione locale “di settore” che incide su diversi “fattori di pressione” (Piani rifiuti,Piani cave, Piani del Traffico e della viabilità, Piani energetici, Piani di sviluppo rurale, Piani del turismo, etc.).
Altri strumenti di carattere più contingente, ma che negli ultimi anni hanno assunto un ruolo sempre più rilevante (per le risorse mobilitate e le trasformazione indotte) sono quelli riferiti a:
• i Programmi di riqualificazione urbana (PRU, PRIU, PRUSST e Contratti Quartiere);
• la programmazione regionale per la destinazione dei Fondi Strutturali Europei (i cosiddettiDocumenti Unici di Programmazione - DOCUP - con i Programmi Operativi Regionali – POR -);
• la programmazione concernente come definita con Delibera CIPE 21.3.97 (Patti territoriali,Contratti d’area e Accordi di programma).
Per alcuni di questi strumenti e in alcuni contesti regionali, questo sistema di pianificazione locale contiene alcuni elementi di “simmetria” con l’A21L: riferimento al principio di sostenibilità, utilizzo di indagini preliminari o di strumenti di valutazione ambientale, forme di concertazione. Ma nella maggior parte dei casi si tratta di simmetrie molto deboli, più nominali che sostanziali.
Tra le debolezze maggiormente registrate si ritrovano:
• i diversi strumenti mantengono un carattere “settoriale” e parziale e raramente ricercano epraticano le opportunità di integrazione e di potenziamento reciproco;
• le analisi ambientali preliminari sono scarsamente sviluppate e limitate dalle carenze nei datidisponibili;
• gli strumenti metodologici per l’analisi ambientale (gli indicatori, i metodi di elaborazione) eper la valutazione (tecniche previsionali, obiettivi di riferimento) sono poco noti e applicati;
• il coinvolgimento degli uffici e dei servizi incaricati della protezione ambientale è spessomarginale o attuato solo nella fase finale di approvazione dei piani;
• il coinvolgimento di soggetti sociali è limitato ai soggetti più tradizionalmente riconosciuti enon coinvolge in modo allargato il mondo più vasto delle associazioni no-profit e dei comitati locali;
• la partecipazione è praticata più come ricerca di consenso che non come coinvolgimento “allapari”, nella determinazione di obiettivi e nella assunzione di responsabilità;
• i piani hanno speso carattere scarsamente operativo ed è poco sperimentata la pratica dellacostruzione di partenariati e di affidamento a soggetti non istituzionali (no-profit) con procedure basate sul principio di sussidiarietà;
• non è ancora consolidata la capacità di progettare soluzioni innovative e azioni positive,l’ambiente è considerato essenzialmente come vincolo da rispettare e non come opportunità di sviluppo;
• manca tuttora un approccio di lungo termine nella pianificazione.
Queste difficoltà di integrazione della sostenibilità nella pianificazione locale in Italia, possono, almeno in parte, essere affrontate proprio attraverso l’Agenda 21 locale che può cioè cercare di colmare gli spazi ancora vuoti e di innovare questo sistema, interagendo direttamente con esso.
In particolare l’Agenda 21 Locale può essere considerata come:
“Sostitutiva” o “integrativa” della programmazione: Si configura come strumento che colma un vuoto oggettivo di progettazione sostenibile e, grazie al suo modello di progettazione partecipata, può riuscire a mettere in circolazione le migliori risorse locali.
“Starter” della programmazione: Si configura come il percorso attraverso cui si creano le condizioni ottimali per attuare effettivamente il sistema locale (regionale, provinciale, comunale) della programmazione.
“Contenuto ed indirizzo” per la programmazione: Si configura come l’occasione per mettere a punto sistemi di obiettivi e Piani di Azioni in grado di trasformarsi, anche sul piano formale, nei Piani previsti dalle legislazioni nazionali e regionali o comunque in grado di orientare in senso sostenibile i loro contenuti e strumenti.
“Strumento di valutazione” della programmazione: Si configura come il sistema di obiettivi e indicatori da utilizzare a supporto delle procedure di valutazione ambientali dei vari piani.
Connessioni e sinergie tra pianificazione territoriale e urbanistica e processo di Agenda 21 Locale
Le più recenti normative, sia a livello nazionale che regionale, indicano il Piano Territoriale di Coordinamento a livello provinciale (PTCP) e il Piano Strutturale o Regolatore Generale a livello comunale (PSC/PRG) come i quadri di riferimento entro cui stabilire le direttive strategiche per il coordinamento del territorio su tutti i temi di carattere di area vasta e comunale: dall’uso del suolo, alle infrastrutture, ai trasporti, al paesaggi e all’ambiente.
Sia il PTCP che il PSC/PRG si occupano delle principali scelte di medio-lungo termine: quindi non solo quelle relative alla gestione delle risorse naturali e alla tutela dell’ambiente in senso stretto, ma anche quelle relative alla tutela del patrimonio culturale, storico e paesaggistico, oltre alla mobilità, alle infrastrutture e servizi per le imprese e per i poli di sviluppo terziario e residenziale. In definitiva in entrambi convergono le problematiche di medio-lungo termine in campo economico, sociale e ambientale.
Non a caso questi tre campi sono anche quelli che interagiscono l’uno con l’altro nell’Agenda 21 Locale nella ricerca di un difficile ma necessario equilibrio. Equilibrio che prende il nome di “sviluppo sostenibile” e che vede appunto nell’Agenda 21 e nel relativo Piano di Azione Locale, lo strumento cardine per la risoluzione di questa difficile equazione.
Nasce così, più che la possibilità, la necessità di far colloquiare due processi, quello della pianificazione territoriale e urbanistica e energetica ecc. e l’Agenda 21 Locale. Necessità in quanto i due processi non devono e non possono essere vissuti come uno predominante sull’altro ma, al contrario, devono interloquire ed integrarsi. Non solo ma le indicazioni contenute nell’Agenda 21 dovrebbero, in qualche modo, diventare linee guida per TUTTI GLI ALTRI PIANI DI SETTORE, basandosi sull’intersettorialita’ insita nel concetto di sviluppo sostenibile.
Se PTCP e PSC/PRG hanno una valenza normativa forte, che ne fa strumenti cardine di governo del territorio, l’Agenda 21 Locale è uno strumento che basa la sua forza su una capacità di coinvolgimento molto più ampia di strumenti istituzionali come i piani urbanistici e territoriali. L’Agenda 21 può dare un contributo forte sia nel momento formativo che in quello esecutivo degli strumenti attuativi della pianificazione urbanistica e territoriale, potendo contare su un’adesione allargata, volontaria e responsabile, sia di soggetti istituzionali che di associazioni, del mondo imprenditoriale e di altre organizzazioni.
Inoltre l’A21 ha alcune valenze uniche che ne fanno anche strumento di coinvolgimento, di formazione, di conoscenza, di sviluppo tecnologico ed economico, o meglio, di “sviluppo eco- trainato”.
Evidentemente la correlazione PTCP-PSC/PRG e Agenda 21 Locale crea forti sinergie, da utilizzare al fine della buona riuscita di entrambi gli strumenti e processi.
Rispetto ai PTCP-PSC/PRG i punti di convergenza sono vari:
• ci si basa su un sistema di conoscenza che presuppone il riconoscimento delle risorse presenti, del loro valore relativo, dei principali punti di criticità del sistema;
• si assume come obiettivo generale la realizzazione di uno scenario ambientale sostenibile per quanto riguarda la realtà governata ;
• si assume che il processo per il raggiungimento di tale scenario sia di tipo partecipato, ottenuto anche attraverso il confronto con i principali soggetti economici e sociali.
Rispetto ai PTCP-PSC/PRG l’Agenda 21 Locale mostra peraltro le seguenti specificità:
• l’Agenda 21 è un processo volontario, attuabile da amministrazioni di differente livello (Comuni, Province, Regioni) non previsto da leggi specifiche; al contrario del PTCP e del PSC/PRG che invece sono atto obbligatorio a livello provinciale e comunale;
• gli impegni che ne seguiranno (in particolare quelli contenuti nel piano d’azione locale) dovranno utilizzare strumenti giuridici d’altra natura (ad esempio patti territoriali, accordi di programma, ecc.) rispetto al PTCP e al PSC/PRG che invece potranno prevederne di specifici e cogenti;
• ha pertanto un margine di flessibilità operativa maggiore rispetto al PTCP e al PSC/PRG, può scegliersi con libertà i tempi e i modi più efficaci per il raggiungimento degli obiettivi;
• rischia peraltro, se non sono ben definite le modalità di rispetto degli impegni presi dai soggetti che sottoscriveranno il piano d’azione, di non essere sufficientemente garantita nel suo sviluppo futuro.
Appare necessario un coordinamento tra i due processi che ne sfrutti al meglio le caratteristiche complementari. A tal fine è necessario:
• verificare la coerenza degli obiettivi adottati; a tal fine il lavoro del Forum per l’Agenda 21 ha prodotto il Piano d’azione locale che definisce una serie di obiettivi generali e specifici nonché le azioni per raggiungerli per il territorio provinciale; è opportuno che questo lavoro sia assunto dal PTCP-PSC/PRG come base da cui partire per la definizione degli obiettivi strategici e di sostenibilità da considerare nella VALSAT del piano stesso; inoltre si potrebbe pensare ad un ruolo del Forum come soggetto plurale e momento di verifica e consultazione nella fase delle Conferenze di pianificazione;
• verifica che non vi sia incoerenza tra gli scenari di sostenibilità prefigurati dai due processi/strumenti e di conseguenza anche i sistemi di indicatori previsti in entrambi gli strumenti dovranno essere tra loro coordinati. In estrema sintesi, e forse in modo anche un po’ semplificato, si può affermare che il coordinamento tra i due processi/strumenti può portare vantaggi consistenti ad entrambi nei seguenti termini:
• le potenzialità di coinvolgimento dell’Agenda 21 può aiutare l’allargamento del processo diPTCP-PSC/PRG anche a soggetti non strettamente istituzionali e di solito non coinvolti;
• la valenza normativa del PTCP e del PSC/PRG può fornire un appoggio concreto all’attuazionedegli obiettivi di sostenibilità emersi dal Piano d’azione locale di Agenda 21.
Ragionamenti analoghi valgono anche in riferimento al rapporto tra Agenda 21 e tutti gli altri piani di settore previsti dalla normativa vigente.
IL NOSTRO RUOLO DEVE ESSERE PROPRIO QUELLO DI FAR SI’ CHE I PRINCIPI ED I CONTENUTI DELL’AGENDA 21 COSTITUISCANO LA BASE PER L’ELABORAZIONE DI TUTTI GLI ALTRI PIANI DI SETTORE PREVISTI, AFFINCHE’ SI REALIZZINO EFFETTIVAMENTE POLITICHE DI SOSTENIBILITA’.
Da Rio ad oggi è diventata sempre più evidente l’importanza dell’utilizzo degli indicatori che ci consentono di misurare e valutare meglio una determinata situazione e, analizzandone il trend, di misurarne e valutarne l’andamento per capire se vi va verso un progresso o meno. Gli indicatori si dimostrano guide cruciali per prendere decisioni in un’ampia varietà di modi; essi infatti possono tradurre le conoscenze scientifiche in campo fisico e sociale in unità di informazioni gestibili che facilitano i processi di decisione. Possono aiutare a misurare e calibrare i progressi verso obiettivi di sostenibilità. Infatti già nel capitolo 40 dell’Agenda 21 si invitano le varie nazioni, gli organismi internazionali, le organizzazioni non governative, a sviluppare ed identificare indicatori di sviluppo sostenibile per consentire una solida base decisionale ad ogni livello. Un indicatore puo’ essere considerato di sviluppo sostenibile se contempla l’indicazione di un target da raggiungere e di un tempo entro il quale raggiungerlo.
Tra gli altri proprio la Commissione sullo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite ha lavorato a fondo su questa tematica ed ha approvato nel 1995 un programma di lavoro sugli indicatori dello sviluppo sostenibile. In questo ambito, dopo una serie di riunioni tra esperti di livello internazionale (e’ infatti stato coinvolto l’ICSU -International Council for Science-), nel 1996 è stato prodotto dall’ONU un ponderoso volume dal titolo “Indicators of Sustainable Development: Framework and Methodologies” definito il “Libro Blu” (“Blue Book”) , ed inviato a tutti i governi con l’invito ad usare e testare gli indicatori presenti nel testo, per poi diffondere i feedback ed i risultati di queste applicazioni. Il volume contiene schede dettagliate di ben 134 indicatori applicabili ai vari capitoli dell’Agenda 21.
Successivamente sono state selezionate 22 nazioni, su base volontaria, per procedere a processi di test di applicazione di questi indicatori che si sono ufficialmente conclusi alla fine del 1999. Queste nazioni sono, per l’Africa, Ghana, Kenya, Marocco, Sud Africa e Tunisia, per l’Asia e l’area pacifica, Cina, Maldive, Pakistan e Filippine, per l’Europa, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Regno Unito, per le Americhe ed i Caraibi, Barbados, Bolivia, Brasile, Costa Rica, Messico e Venezuela. Contestualmente si è proceduto ad una revisione della lista e dell’efficienza degli indicatori individuati. Si è cosi’ seguito un quadro che, tenendo conto delle quattro dimensioni che, notoriamente, vengono riconosciute allo sviluppo sostenibile e cioè sociale, economica, ambientale ed istituzionale , ha classificato gli indicatori nel modello classico, di indicatori delle cause primarie (driving forces – e cioè le attività umane, i processi, i modelli che impattano sulla sostenibilità dello sviluppo, sia negativamente che positivamente), indicatori di stato ed indicatori di risposta. Il lavoro sugli indicatori è stato seguito in tutte le riunioni annuali della Commissione sullo Sviluppo Sostenibile, oltre ai lavori specifici svolti dai gruppi di esperti che si sono riuniti indipendentemente numerose volte. Infine, come indicato dall’ultimo rapporto sugli indicatori predisposto per la 9° Riunione della Commissione che ha avuto luogo a New York dal 16 al 27 aprile 2001, è stato individuato un set di 57 indicatori che deriva da 15 temi e 38 sottotemi che toccano appunto gli aspetti sociali, ambientali, economici ed istituzionali dello sviluppo sostenibile. Credo sia utile elencare qui gli indicatori individuati perchè si tratta dello sforzo più autorevole svolto su questo fronte a livello internazionale, in sede ONU, e da conto di come il lavoro degli indicatori sia andato avanti in maniera molto significativa e ci può veramente aiutare per cominciare ad affiancare seriamente agli indicatori economici, che oggi dominano completamente la politica internazionale, indicatori di altro tipo modificando la cultura dominante che vede la ricchezza ed il benessere di una popolazione, di una nazione, solo nella crescita economica.
I 57 indicatori proposti sono:
percentuale della popolazione che vive sotto la linea di povertà, - indice di Gini di ineguaglianza del reddito, - tasso di disoccupazione, - rapporto delle paghe femminili rispetto a quelle maschili, - stato nutrizionale dei bambini, - tasso di mortalità sotto i 5 anni di età, - aspettativa di vita alla nascita, - percentuale della popolazione con adeguate facilitazioni di gestione dei rifiuti, - popolazione con accesso ad acqua potabile, - percentuale di popolazione con accesso a facilitazioni per le cure primarie di base, - immunizzazione contro le infezioni delle malattie infantili, - tasso di presenza dei contraccettivi, - rapporto del completamento delle scuole primarie o secondarie, - tasso di alfabetizzazione degli adulti, - area di abitazione disponibile per persona, - numero di crimini registrati per 100.000 persone ,- tasso di crescita della popolazione ,- popolazione vivente in abitazioni urbane formali ed informali, - emissione di gas serra ,- consumo di sostanze dannose alla fascia di ozono, - concentrazione di inquinanti dell’aria nelle zone urbane , - area agricola arabile, - utilizzo di fertilizzanti, - utilizzo di pesticidi in agricoltura , - area forestale come percentuale della superficie di terra, - intensità di sfruttamento del legno , - superficie affetta da desertificazione, - area di insediamenti urbani formali ed informali, - concentrazione di alghe nelle acque costiere, - percentuale della popolazione totale vivente in zone costiere, - cattura delle maggiori specie alieutiche, - sottrazione annuale delle acque sotterranee e di superficie come percentuale sull’acqua totale disponibile, - BOD nei corpi d’acqua, - concentrazione di coliformi fecali nelle acque dolci , - area di ecosistemi chiave , - percentuale di aree protette sulla superficie totale, - abbondanza di specie chiave, - prodotto interno lordo pro capite, - parte di investimento rispetto al prodotto interno lordo, - bilancio del commercio in beni e servizi, - rapporto del debito rispetto al prodotto interno lordo, - totale di assistenza ufficiale allo sviluppo data o ricevuta come percentuale del prodotto interno lordo, - intensità dell’uso dei materiali, - consumo di energia annuale pro capite, - consumo di risorse energetiche rinnovabili, - intensità dell’uso di energia, - generazione di rifiuti solidi industriali ed urbani, - generazione di rifiuti pericolosi, - generazione di rifiuti radioattivi, - riciclaggio e riutilizzo dei rifiuti, - distanza percorsa pro capite per modo di trasporto, - strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, - implementazione della ratifica degli accordi globali, - numero di abbonati internet per 1.000 abitanti, - linee telefoniche per 1.000 abitanti, - spese per ricerca e sviluppo come percentuale del prodotto interno lordo, - perdite economiche ed umane dovute ai disastri naturali.
(la lista è tratta da Commission on Sustainable Development, 2001 “Indicators of Sustainable Development: Framework and Methodologies” Background Paper no.3).
Nell’ampio lavoro svolto dalla Commissione diverse nazioni hanno suggerito altri indicatori (ad esempio, la presenza di spazi urbani verdi, la densità del traffico, la proprietà della terra agricola, il rilascio di organismi geneticamente modificati ecc.). Si tratta di suggerimenti molto utili ma per cercare di dare un quadro generale all’utilizzo degli indicatori sono stati individuati alcuni criteri guida che aiutano la selezione degli indicatori stessi; infatti gli indicatori devono essere, tra l’altro, dipendenti da basi conoscitive di qualità, devono essere il più possibile, chiari, non ambigui e comprensibili, limitati nel numero ma aperti ed adattabili alle necessità future, dovrebbero cercare di coprire i temi dell’Agenda 21 e tutti gli aspetti dello sviluppo sostenibile, e dovrebbero rappresentare il più possibile un consenso internazionale.
Indicatori aggregati: impronta ecologica e flusso totale dei materiali
È utile, infine, menzionare l’utilizzo di due interessantissimi indicatori aggregati: l’impronta ecologica (Ecological Footoprint – EF -) e la richiesta o il flusso totale di materiali (Total Material Requirements – TMR -). Il primo, elaborato da William Rees e Mathis Wackernagel, cerca di rendere conto dell’area necessaria di ecosistemi terrestri ed acquatici richiesta per produrre le risorse che una determinata popolazione consuma e per assimilare i rifiuti che essa produce. L’impronta ecologica viene data dalla somma di sei diverse componenti: la superficie di terra coltivata necessaria per produrre gli alimenti, l’area di pascolo necessaria per fornire i prodotti animali, la superficie di foreste necessaria per produrre legname e carta, la superficie marina necessaria per produrre pesci e frutti di mare, la superficie di terra necessaria per ospitare infrastrutture e la superficie forestale necessaria per assorbire le emissioni di anidride carbonica derivante dal nostro stile di consumo. L’impronta ecologica è misurata in “unità di superficie” che equivale ad un ettaro della produttività media del pianeta. Dal 1961 al 1996 l’impronta ecologica globale è aumentata di circa il 50%. Secondo i dati presentati nel rapporto “Living Planet Report 2000” la crescita dell’impronta ecologica umana intorno alla metà degli anni Settanta è stata tale che l’umanità ha superato il punto in cui viveva entro i limiti della capacità rigenerativa globale degli ambienti del pianeta. L’Italia presenta un’impronta ecologica di 5,51 unità di superficie pro capite a fronte di una sua capacità biologica di 1,92 unità di superficie a persona, il che significa che abbiamo un deficit ecologico di 3,59 unità di superficie a persona (in pratica per mantenere la nostra popolazione agli attuali livelli di consumo ci vogliono altre due Italie). L’impronta ecologica più alta è quella degli Emirati Arabi Uniti di 15,99 unità di superficie, seguiti da Singapore con 12,35 unità di superficie e gli Stati Uniti con 12,22 unità di superficie. Alla fine della lista, ultima, è l’Eritrea con 0,35 unità di superficie, preceduta, nell’ordine, da Afghanistan con 0,58 unità di superficie e Bangladesh con 0,60 unità di superficie.
Il flusso totale dei materiali, sul quale ha lavorato molto il Wuppertal Institut tedesco, è un indicatore aggregato dei flussi dei materiali dell’economia che misura l’uso totale delle risorse naturali richiesto dall’attività economica di un paese o una regione.
Include i consumi diretti di produzione interna o importati, relativamente ai combustibili fossili, metalli, minerali (industriali e da costruzione), materiali e prodotti rinnovabili (agricoli, forestali e animali), prodotti intermedi e finiti (solo come importazione) la cui somma costituisce quello che viene definito Input Diretto di Materiali (Direct Material Input) nonchè i consumi indiretti di materiali (definiti Hidden Material Flows, flussi nascosti dei materiali) costituiti da materiali rimossi dall’ambiente naturale o escavati per la produzione delle materie prime (ad esempio nelle attività minerarie, nell’estrazione e processamento dei combustibili, nella produzione forestale) o per la costruzione di infrastrutture o per effetto di processi di erosione. Questo indicatore aggregato sta diventando un elemento importante di valutazione del peso materiale delle varie economie e, dopo alcuni lavori pionieristici sul flusso dei materiali delle economie statunitense, olandese, tedesca e giapponese, (Adriaanse et al., 1997) sta divenendo un indicatore sempre più studiato. È da segnalare con favore l’attenzione ad esso dedicato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente che recentemente ha inserito il TMR nel proprio rapporto sugli indicatori (EEA, 2000) ed ha elaborato un rapporto per verificare il trend del TMR nell’Unione Europea (Bringezu e Schutz, 2001). Da quest’ultimo rapporto appare che l’estrazione di risorse nell’ambito dei 15 paesi dell’Unione è declinato dal 1985 al 1997 del 13%, ma la richiesta di risorse provenienti dall’estero è incrementata dal 1995 al 1997, in soli tre anni, dell’11% .
È necessario continuare a perfezionare il lavoro sugli indicatori ma è fondamentale che, da subito, tutti i paesi si dotino di contabilità ambientali che affianchino quelle economiche; in questo modo si dovrebbe cominciare a limitare i danni della visione economica dominante basata sulla crescita materiale e quantitativa e sull’ignoranza dei chiari limiti biofisici dei sistemi naturali.
2.5. Cosa non funziona nel processo di Agenda 21 (i punti deboli, le criticità)
Il processo di Agenda 21 Locale è per l’Italia ancora un argomento ancora relativamente nuovo. Sebbene negli ultimi due anni molte amministrazioni si sono interessate all’A21L e vi hanno formalmente aderito, sono ancora poche quelle che sono in una fase avanzate del processo e dalla cui esperienza quindi si possono ricavare elementi utili per capire le criticità e i punti deboli di questo processo. Tuttavia si possono riscontrare una serie di problematiche comuni.
L’A21L è ancora uno strumento settoriale: è necessario passare da strumento ambientale a strumento per la sostenibilità.
Nato a Toporu nel 1913, inizia la carriera archeologica sul Mar Nero, partecipando nel 1935 agli scavi della colonia greca di Histria diretti dal professor Lombrino ed eseguendo ricognizioni e ricerche in tutto il territorio dell’antica Scithia Minor.
Trasferitosi in Italia nel 1939, giunge in Sicilia nel 1949 e viene inviato a collaborare con Bernabò Brea a Siracusa. Qui conduce scavi e ricognizioni fino al 1951 quando Pietro Griffo, allora soprintendente alle Antichità per la Sicilia centro-meridionale lo chiama a Gela dove è in corso lo scavo delle mura greche.
Nel 1955 viene nominato ispettore presso la Soprintendenza di Agrigento.
Negli anni che vanno dal 1951 al 1958 conduce scavi sulla collina di Gela in collaborazione con Pietro Orlandini, dall’acropoli alle mura timoleontee di Caposoprano, a Butera e nei centri indigeni ellenizzati di tutta la Sicilia centro-meridionale.
Nel 1958, lasciata la Sicilia, si trasferisce a Roma dove è stato chiamato a creare e dirigere l’Aerofototeca del Ministero della Pubblica Istruzione.
Nel 1964 fonda e dirige la Soprintendenza Archeologica della Basilicata. Nel 1971 viene chiamato all’Università di Lecce per insegnare prima Etruscologia e Antichità Italiche poi Topografia dell'Italia Antica; nel 1977 viene trasferito a dirigere la Soprintendenza Archeologica della Puglia.
Lasciata la prestigiosa sede di Taranto per raggiunti limiti di età nel 1978, nel 1981 diviene professore ordinario presso l’Università di Lecce, dove dirige per un decennio l’istituto di archeologia e storia antica; dal 1981 il Dipartimento di scienze dell’antichità appena creato.
Vincitore di numerosi premi, tra cui il premio Feltrinelli per l’archeologia nel 1973 e il Premio Basilicata; insignito nel 1982 dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali di medaglia d’oro di benemerito della scuola, della Cultura e dell’Arte.
Muore a Policoro (MT) il 21 gennaio 2004.