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Kangaroo Island Council, Development Plan, 2003 – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

[...] Premesse

Kangaroo Island è una delle più grandi isole della costa australiana. Si compone di un vasto altopiano che termina in alte scogliere verticali a nord, e in una fascia di territorio basso sulla costa meridionale, costituito in gran parte di strati calcarei e dune di sabbia.

Nella parte occidentale dell’isola, caratterizzata da piogge relativamente abbondanti, abbondano gli eucalipti di una certa altezza. La gran parte di questa foresta di sclerofoglie è compresa nel Flinders Chase National Park. Nella parte orientale dell’isola, con livelli di precipitazioni più bassi, la vegetazione dominante sono cespugli di mallee. Il centro principale dell’isola è Kingscote, e altri nuclei comprendono Penneshaw, American River, Parndana, Emu Bay e Vivonne Bay.

L’agricoltura tradizionale, che comprende attività di coltivazione e allevamento, continua a costituire la maggio fonte di reddito e posti di lavoro di Kangaroo Island.

L’economia locale deriva principalmente da lana, ovini e bovini da carne, orticultura, viticoltura, turismo, acquacoltura, pesca, attività forestali, coltivazioni, uova e pollame, attività estrattive. Si allevano anche animali da latte, mucche e pecore, principalmente per latticini. L’allevamento delle pecore ha tradizionalmente costituito circa il 60% della base economica dell’isola, ma le attività intensive sono limitate. Viene prodotto miele, ed esportate api di tipo Ligure (l’unica discendenza pura nota al mondo).

I prezzi dei prodotti agricoli sono ciclici, e soggetti ai mercati mondiali. La dipendenza da prodotti a basso valore aggiunto si traduce in una bassa crescita della domanda e a un margine sempre più ampio fra il prezzo all’origine e quello al consumatore, con un declino del reddito reale delle attività agricole. Se il settore agricolo vuole restare un’attività significativa a Kangaroo Island, nuovi mercati e nuovi tipi di attività devono essere individuati, promossi, adottati dagli operatori e sostenuti attraverso destinazione terreni e offerta di infrastrutture. Ciò sta ora avvenendo per quanto riguarda l’allevamento ovino dell’isola, attraverso il Kangaroo Island Flock Production Group. Le attività agricole devono essere ambientalmente sostenibili.

L’ambiente di Kangaroo Island è caratterizzato da ampie zone di Parco nazionale e di altre riserve, che interessano quasi il 30% dell’isola. Kangaroo Island possiede caratteri spettacolari riguardo alle coste; spiagge di sabbia pulita; torrenti di acqua dolce; ambienti naturali incontaminati; una piccola popolazione stabile; una notevole diversificazione di flora e fauna locale (comprese specie rare e minacciate); una colonia di foche si specie rara; sono assenti volpi o conigli; è relativamente assente anche l’inquinamento. L’isola possiede un paesaggio attraente, con una miscela di ambienti a pascolo e vegetazione naturale.

Kangaroo Island offre una natura australiana incontaminata, fauna selvatica e un’esperienza rurale caratterizzata dal contesto distintivo isolano. La possibilità di vedere la fauna australiana (comprese specie rare) negli habitat naturali, le coste spettacolari, i paesaggi boscosi e l’atmosfera mistica di isolamento, scarsa popolazione, tradizione, fanno di Kangaroo Island una destinazione irresistibile per visitatori locali, nazionali, internazionali.

L’ambiente dell’isola è di qualità estremamente alta perché naturale e incontaminato, e davvero proponibile come “incontaminato” e “naturale”.

Di conseguenza, il turismo è un’attività importante per Kangaroo Island. L’offerta comprende il fatto di essere un’isola, gli ambienti naturali, le coste, boschi, scarsa popolazione, storia. Kangaroo Island è luogo di riposo, contemplazione, divertimento nella scoperta della natura, osservazione della vita selvatica, pesca, immersioni, surf, campeggio e passeggiate nei boschi.

È stato sviluppato per l’isola un modello di gestione del turismo noto come Tourism Optimisation Management Model (TOMM). Si tratta di un modello pensato per l’isola, a monitorare l’attività turistica e le risorse su cui si basa, in modo tale che i vari interessati possano inserire i risultati nel proprio sistema di decisioni sul futuro dell’Isola. TOMM è iniziato nel 1999 ottenendo un notevole sostegno da parte delle imprese e della comunità.

Il turismo ha mostrato una crescita negli anni recenti, e si prevede che il numero dei visitatori aumenterà nel futuro. È di estrema importanza che il turismo a Kangaroo Island sia gestito in modo da assicurare che le esperienze dei visitatori continuino a corrispondere alle loro aspettative e idee.

La pesca, sia amatoriale che commerciale, è un’attività chiave per l’isola, con merlani, tonni, snappers, salmoni e altre varietà che si trovano nelle acque circostanti. Le imprese del settore della pesca esistenti comprendono esportazione di aragoste da scoglio e altri tipi. L’acquacoltura su terra comprende allevamento di varie specie. Quella in mare cozze e ostriche.

Le attività di forestazione di Kangaroo Island sono in genere localizzate all’estremità occidentale, e comprendono parecchie migliaia di ettari a conifere (per legname) e blue gum (per la polpa). Ci sono potenzialità per altre coltivazioni di alberi, nei settori del legname, degli oli di eucalipto, e altri prodotti da biomasse, in particolare nelle aree a maggior precipitazioni.

Il rafforzamento dell’economia di Kangaroo Island attraverso attività a valore aggiunto e orientate a mercati specifici turistici, viene considerato vitale per mantenere una stabile popolazione residente, e un’attività economica vitale.

La comunità dell’isola sinora è stata capace di mantenere una qualità della vita ricca di aspetti naturali e culturali grazie alle caratteristiche uniche di Kangaroo Island. Il benessere sociale dipende comunque dal rafforzamento e miglioramento economico, dall’offerta e ampliamento di servizi e infrastrutture, dalla creazione di opportunità formative e lavorative, in particolare per mantenere l’equilibrio fra le classi di età sull’isola.

Le dimensioni del territorio limitano fortemente un’equa distribuzione dei servizi, con quelli primari concentrati a Kingscote, il principale centro urbano dell’Isola. Qui si trovano tutti i servizi come gli uffici governativi, polizia, ambulanza, ospedale, servizi medici e programmi di sostegno comunitario. Sono disponibili limitatamente alcuni servizi anche a Penneshaw, che insieme all’aeroporto di Kingscote è considerato l’ingresso principale all’isola.

Strutture per lo sport e il tempo libero sono reperibili nei centri urbani di Kingscote, Penneshaw, American River, Emu Bay e Parndana, oltre che in varie località rurali come Wisanger, Western Districts, Birchmore, e Stokes Bay.

La qualità della vita collettiva e il benessere economico sono influenzati dai costi dell’accessibilità a servizi e infrastrutture, costi associati a miglioramento e ampliamento dei servizi. I costi economici e sociali dell’accessibilità da e al continente continuano ad essere un problema per abitanti e imprese. La comunità di Kangaroo Island sarà sempre gravata da costi di trasporto relativamente alti, e quindi l’economia locale necessita di spostarsi verso produzioni di nicchia e ad alto valore aggiunto, e servizi che possano sostenere questi inevitabili alti costi di trasporto.

Per gli scopi di pianificazione, è prudente assumere come popolazione permanente una base di 5.000 abitanti, con un incremento di turisti al picco stagionale sino a 10.000. (Nota: lo i dati del censimento 1996 dell’Australian Bureau of Statistics indicano per Kangaroo Island una popolazione stimata di 4.118 persone).

OBIETTIVI STRATEGICI

Gli obiettivi principali di sviluppo per Kangaroo Island si concentrano sull’economia, l’ambiente, la comunità.

Obiettivo Economico: creare una cornice economica tale da promuovere, sostenere e far crescere un contesto vitale, migliorare le condizioni generali, creare opportunità di occupazione.

Obiettivo ambientale: proteggere, sviluppare, ripristinare, a seconda dei casi, un ambiente naturale unico, le risorse idriche, il contesto marino, la biodiversità, i processi ecologici, assicurando che non si verifichi alcuna perdita netta nelle qualità ambientali dell’Isola.

Obiettivo comunitario: preservare e migliorare la qualità della vita per gli abitanti dell’isola, ampliando ed elevando la qualità dei servizi e delle infrastrutture, e delle occasioni di impiego.

L’ASSETTO FUTURO

Complementare agli Obiettivi strategici per Kangaroo Island, la seguente Dichiarazione di intenti per il futuro [ Vision Statement] definisce gli orientamenti per il medio e lungo periodo.

● Kangaroo Island sarà considerata una delle meraviglie naturali d’Australia, ben conosciuta e rispettata per i suoi vasti parchi di conservazione, flora e fauna unica, la generale consapevolezza locale riguardo all’ambiente e la pacifica coesistenza fra natura e attività agricole.

● Kangaroo Island sarà nota come meta turistica particolare, di livello nazionale e mondiale, che offre al turista esperienze rurali e naturali di grande significato.

● Kangaroo Island avrà una propria nicchia di mercato, rivolgendosi a chi ha consapevolezza ambientale, gode della natura, della flora e fauna selvatica, delle esperienze appartate, che desidera imparare e vivere direttamente culture e ambienti dei luoghi che visita. Le risorse naturali saranno mantenute da un’efficace gestione e interpretazione.

● Il settore agricolo di Kangaroo Island si svilupperà unendo le attività di coltivazione e allevamento tradizionali alla messa in atto di una vasta gamma di nuove colture e tecniche di pesca, come l’orticoltura, l’idroponia, la viticoltura, floricoltura, acquacoltura su terra.

● Kangaroo Island consoliderà le proprie esportazioni di prodotti dell’agricoltura.

● La promozione dell’immagine di Kangaroo Island (per il turismo e per l’esportazione di prodotti) sarà sostenuta dal mantenere l’isola ambientalmente intatta, per la soddisfazione di abitanti e visitatori.

● Kangaroo Island sarà dotata di un sistema stradale sicuro e ben mantenuto, con strade asfaltate a servizio dei centri urbani, delle principali attrazioni turistiche e attività economiche. I servizi saranno concentrati nei poli principali di attività come centri urbani, luoghi di attrazione turistica, zone di produzione e di ritrovo comunitario, in modo da sostenere uno sviluppo edilizio pianificato e coordinato.

● Gli abitanti di Kangaroo Island godranno di un livello di servizi comunitari adeguato a quello di una comunità rurale di 4.200 persone e ai bisogni di un’industria turistica, tenendo presente gli alti costi di erogazione.

OBIETTIVI

Gli obiettivi che seguono riguardano il quadro generale del Development Plan per Kangaroo Island e discendono dagli Obiettivi strategici e Assetto futuro delineati sopra.

Strategie di Sviluppo Economico

Obiettivo 1: Individuare e offrire opportunità di sviluppo economico basate sulle risorse esistenti, mantenendo contemporaneamente la vitalità di tutte le attività; oltre a ricercare occasioni di ulteriore miglioramento.

Obiettivo 2: Incoraggiare un maggior valore aggiunto alle produzioni agricole, naturali, e di altre attività.

Obiettivo 3: Incoraggiare investimenti e sviluppo di nuove imprese che siano complementari all’ambiente e agli obiettivi comunitari di Kangaroo Island.

Obiettivo 4: Realizzare e mantenere un turismo economicamente vitale ed ecologicamente sostenibile sull’isola, promuovendola come una delle destinazioni naturalistiche più importanti dell’Australia.

Strategie di Sviluppo Ambientale

Obiettivo 5: Kangaroo Island deve mirare a:

(a) Gestire l’ambiente naturale in modo da mantenere la biodiversità

(b) Conservare e migliorare gli aspetti di ambiente culturale

(c) Assicurare un uso efficiente e sostenibile delle risorse idriche, e mantenere un’alta qualità delle acque.

(d) Incoraggiare la costruzione di abitazioni energeticamente efficienti che utilizzino una progettazione a risparmio di energia, riducendo il bisogno generale dell’isola.

(e) Assicurare modalità di uso del suolo sostenibili.

(f) Assicurare la costruzione di edifici resistenti al fuoco, in un ambiente a rischio di incendi.

Obiettivo 6: Mantenere gli attuali nuclei di tipo urbano come principali zone di insediamento, e consentire l’edificazione esternamente ad essi solo in zone espressamente destinate, o secondo criteri limitati e controllati.

Obiettivo 7: Sostenere il ripristino, bonifica e monitoraggio di aree degradate o mal utilizzate, e degli habitat delle specie in pericolo.

Obiettivo 8: Incoraggiare, in ordine di importanza, l’evitare di produrre rifiuti, la loro riduzione, riuso e riciclaggio, una gestione e smaltimento sicuri.

Obiettivo 9: Gestire gli impatti dei visitatori, perché non degradino l’ambiente naturale e culturale.

Obiettivo 10: Mantenere e tutelare il paesaggio delle coste, le vedute panoramiche e le zone marine circostanti.

Strategie di Sviluppo Comunitario

Obiettivo 11: Incoraggiare iniziative economiche regionali che accrescano la base occupazionale delle aree rurali e offrano opportunità di impiego.

Obiettivo 12: Creare occasioni di lavoro per la popolazione locale, in particolare per le persone in età post-scolare.

Obiettivo 13: Migliorare i livelli di reddito attraverso lo sviluppo economico.

Obiettivo 14: Mantenere il patrimonio culturale, naturale e di paesaggio goduto da residenti e visitatori.

Obiettivo 15: Modernizzare e ampliare servizi e infrastrutture comunitari, come quelle sanitarie, educative, i trasporti pubblici, sport e tempo libero, arte e cultura.

Obiettivo 16: Facilitare lo sviluppo di strategie sociali di assistenza agli adeguamenti della collettività alle mutevoli circostanze economiche.

Forme dell’insediamento

Obiettivo 17: Un insediamento ordinato ed economico.

Le nuove abitazioni, le strutture per le vacanze e altre strutture urbane connesse all’incremento delle attività turistiche nei vari centri e nuclei, devono essere realizzate in modo contiguo, e rappresentare estensioni delle aree edificate esistenti. Ciò costituirà un’economia nella fornitura di servizi pubblici, e contribuirà alla creazione di un ambiente di vita adeguato, sicuro e piacevole.

Obiettivo 18: Un’adeguata distribuzione e separazione delle attività residenziali, produttive e per il tempo libero, destinando superfici di territorio adatte a tali scopi.

Un’adeguata distribuzione e separazione dell’insediamento residenziale, terziario, commerciale e per il tempo libero è di beneficio alla comunità, e consente ai centri di funzionare in modo più efficiente. L’accessibilità è più comoda e sicura; i valori immobiliari sono più stabili, e sorgono meno difficoltà a causa di strutture incompatibili mescolate nella stessa zona, ad esempio fabbriche e abitazioni. La pubblica amministrazione può progettare e fornire adeguati servizi ad una crescita così pianificata.

Obiettivo 19: Una corretta localizzazione di strutture pubbliche, collettive e per il tempo libero, destinando in anticipo le superfici più adatte allo scopo.

Il bisogno di terreni per aree destinate al tempo libero può essere previsto, e il piano regolatore offre la cornice entro la quale possono essere individuate le migliori localizzazioni. I terreni per scopi pubblici devono essere disponibili nel posto giusto al momento giusto, ed è prudente destinarli a futura acquisizione prima che vengano utilizzati ad altri scopi.

Obiettivo 20: La ristrutturazione urbanistica delle località con un cattivo o insoddisfacente assetto, o con edilizia obsoleta o malsana.

Un’edilizia di qualità insufficiente offre condizioni di vita di basso livello, e deprezza gli immobili circostanti. È socialmente ed economicamente desiderabile che tali zone siano ristrutturate, e a questo scopo si possono rendere necessarie particolari misure normative e finanziarie.

Obiettivo 21: Lo sviluppo edilizio della circoscrizione deve essere coerente al Kangaroo Island Structure Plan.

Il Kangaroo Island Structure Plan indica, in termini generali, gli orientamenti per lo sviluppo futuro dell’isola, in base ai punti seguenti:

(a) proseguimento delle attività primarie;

(b) individuazione delle strade principali, secondarie, panoramiche;

(c) sviluppo urbano attraverso completamento dei lotti inedificati, e ampliamenti compatti dei centri di Kingscote, Penneshaw, Parndana e American River;

(d) tutela delle coste e dei loro aspetti paesistici;

(e) crescita contenuta dell’insediamento di Muston;

(f) valutazione delle risorse minerarie significative;

(g) tutela delle zone umide principali adiacenti a Pelican Lagoon;

(h) analisi delle possibilità di Pennington Bay, Antechamber Bay e Brown’s Beach per attività di tempo libero a bassa intensità.

Obiettivo 22: Sviluppo compatto ed economico dei nuclei di Kingscote, Penneshaw, Parndana e American River come principali centri abitati e di servizio della circoscrizione amministrativa.

Obiettivo 23: Sviluppo commerciale, terziario, industriale, a soddisfare i bisogni dell’isola.

Obiettivo 24: Edificazione dei lotti disponibili nelle aree per case vacanza, ad offrire ambienti alternativi a quelli dei nuclei principali.

Obiettivo 25: Sviluppo separato delle funzioni, ad evitare conflitti fra usi del suolo incompatibili.

PRINCIPI DI REGOLAMENTAZIONE URBANISTICA

1 Lo sviluppo deve avvenire secondo la Carta 1 [allegata con indicazione dei nuclei urbani, n.d.T.] e relative mappe particolareggiate, e secondo i piani generali e particolareggiati per la circoscrizione e le zone di Kingscote, Parndana, Emu Bay, Harriet River, D.Estrees Bay, Nepean Bay, Brownlow KI, American River, Penneshaw, Baudin Beach e Island Beach.

2 L’edificazione deve essere ordinata ed economica.

3 Le nuove abitazioni, case vacanze e altri elementi urbani devono:

(a) costituire un ampliamento compatto e continuo di un’area edificata esistente;

(b) essere localizzate in modo da consentire una fornitura efficiente ed economica dei servizi pubblici;

(c) costituire un ambiente di vita sicuro, comodo, piacevole.

(d) essere progettate in modo da promuovere conservazione di energia e acque.

(e) non provocare eliminazione di vegetazione locale o impatti nelle Aree di Conservazione.

4 L’edificazione che possa essere colpita da allagamenti non deve avvenire dove:

(a) ci sia un significativo rischio di allagamenti, o di aggravamento degli effetti su altre zone;

(b) le misure di prevenzione degli allagamenti, come colmate, elevazioni di livello, possano aumentare il rischio di inondazioni o aggravamento degli effetti in altre zone;

(c) esista qualche probabilità che vite o proprietà possano essere a rischio nell’arco di 100 anni.

Aspetto degli insediamenti e degli edifici

Obiettivo 26: Conservazione dell’aspetto attraente dei nuclei urbani e dei principali accessi stradali.

Obiettivo 27: mantenimento e miglioramento dell’aspetto delle aree urbane tramite un’edilizia adeguata.

Obiettivo 28: La bellezza delle varie località non deve essere contrastata dall’aspetto di aree, edifici, altre strutture.

PRINCIPI DI REGOLAMENTAZIONE EDILIZIA

5 L’aspetto delle aree, edifici e altre strutture non deve andare a detrimento della bellezza della località dove sono situati.

6 Edifici e altre strutture devono essere di alto livello progettuale, con particolare cura per l’aspetto esterno e il collocamento dei fabbricati in modo da introdursi e migliorare i caratteri e l’aspetto della località.

7 Edifici e zone a parcheggio devono essere arretrati rispetto ai confini della proprietà, dalle pubbliche strade e dalle aree di riserva costiera, ed essere collocati in modo da non ostruire o ostacolare vedute significative.

8 Gli edifici devono essere collocati al di sotto dei crinali o cime di alture, ben arretrati rispetto ai corsi d’acqua, localizzati in modo da evitare disboscamenti, e con piantumazioni per ridurre l’impatto visivo. In modo specifico, localizzazione, progetto e realizzazione non devono danneggiare la visuale di punti particolari come il mare, promontori, crinali, percorsi panoramici.

9 L’edificazione deve essere accompagnata da piantumazioni che migliorino l’aspetto degli edifici, schermino gli elementi di servizio, carico e scarico, deposito, forniscano di ombra le aree a parcheggio, e contribuiscano ad un ambiente piacevole e complementare alle caratteristiche della località. Nella realizzazione dell’arredo a verde si deve prestare attenzione alla prevenzione degli incendi. Le piantumazioni non devono essere intensive, in modo da non contrastare le norme per la sicurezza dagli incendi.

10 Piantumazioni e arredi a verde devono utilizzare specie locali e endemiche, anziché di importazione.

11 Edifici e strutture devono essere di alta qualità progettuale per quanto riguarda l’aspetto esterno, i materiali, i colori, la posizione, il verde, la manutenzione futura, in modo da conservare e migliorare aspetto e caratteri della località.

12 Edifici e strutture devono consentire adeguata privacy e soleggiamento ai lotti residenziali circostanti, e il mantenimento della qualità nell’aspetto locale.

13 Gli alloggi singoli, a schiera, multipli, gli edifici ad appartamenti, devono contenere alta qualità architettonica nella scelta dei materiali e collocamento degli edifici. Ogni intervento si deve inserire per dimensioni, forme, altezze e altre caratteristiche con gli edifici circostanti, e deve essere collocato per offrire la massima privacy e tranquillità, anche attraverso arredi a verde e schermature.

14 Per le finiture esterne degli edifici:

(a) si eviti l’uso di colori vivaci e di materiali ed elementi ad alta riflettività;

(b) si usino colori che sottolineano i caratteri della località e non costituiscano invadenza;

(c) siano complementari al paesaggio e alle forme edificate esistenti, sia sulla costa, nelle zone urbane e rurali, a ridurre al minimo qualunque ingerenza visiva.

15 Il fronte delle zone residenziali e l’area di accesso devono essere organizzati a verde. La piantumazione può comprendere un insieme di piante e superfici pavimentate, ma la superficie asfaltata non può eccedere la metà dell’area fra il margine e la linea più avanzata dell’edificio. La larghezza dell’accesso carraio non deve essere superiore al 30% del fronte.

16 L’edificazione su zone che contengono edifici o strutture di importanza storica, o ad esse adiacenti, deve avere caratteristiche progettuali e di aspetto esterno, riguardo a materiali, colori, forme, dimensioni, masse, posizione, arredi a verde, tali da non danneggiare o degradare la qualità del luogo, edificio o struttura.

17 Con l’eccezione delle tettoie domestiche o degli edifici per scopi industriali, commerciali o agricoli, non è possibile realizzare nessun edificio con pareti esterne di materiali diversi da mattoni a vista, pietra, ardesia, legno, mattoni intonacati, a meno che tale edificio non possa contrastare bellezza e caratteri della località.

18 Non è possibile realizzare edifici sospesi su pilastri, o che manchino di una solida base in mattoni, pietra o calcestruzzo lungo il perimetro, a contenere lo spazio fra il pavimento del fabbricato e la superficie del terreno.

19 La costruzione di edifici superiori a un piano di altezza, può essere intrapresa solo quando:

(a) l’edificio sia in armonia visiva con gli altri edifici esistenti nella località;

(b) l’edificio sia progettato e collocato in modo da ridurre al minimo qualunque perdita di privacy o soleggiamento dei fabbricati esistenti;

(c) l’edificio non diminuisca la bellezza della località.

[...]

Centri commerciali e di servizi

OBIETTIVI

Obiettivo 44: L’edilizia commerciale, amministrativa, culturale, comunitaria, per il divertimento, gli insediamenti turistici, per l’istruzione, religiosi e per il tempo libero, devono essere collocati in Centri Integrati.

Obiettivo 45: Centri fissati e sviluppati secondo una gerarchia, in base alle funzioni di ciascuno rispetto alla propria regione.

PRINCIPI DI REGOLAMENTAZIONE URBANISTICA

93 Gli insediamenti commerciali devono essere localizzati come segue:

(a) Un negozio, o gruppo di negozi, con una superficie commerciale lorda superiore ai 450 metri quadrati, deve essere collocato nelle aree classificate Centro di Distretto o Zona Centrale Urbana.

(b) Un negozio, o gruppo di negozi, con una superficie commerciale lorda inferiore ai 450 metri quadrati, collocato esternamente alle aree classificate Centro di Distretto o Zona Centrale Urbana, non deve ostacolare lo sviluppo del Centro di Distretto o Zona Centrale Urbana.

94 Le azioni relative alla mobilità di merci e persone entro i Centro di Distretto e Zone Centrali Urbane devono mirare a:

(a) Il tipo di edificazione non deve causare inconvenienti o traffico poco sicuro per il movimento pedonale, o indurre necessità di spese significative per lavori relativi a traffico e trasporti, o servizi entro o fuori l’area.

(b) L’edificazione deve essere concentrata, per la maggior comodità dei pedoni, e non è consentito sviluppare eccessivamente senza bisogno i fronti stradali (un aumento della profondità costituisce un’alternativa più desiderabile).

(c) È altamente desiderabile all’interno delle zone commerciali la separazione del movimento pedonale da quello veicolare, ad assicurare sicurezza e comodità.

95 Centro di Distretto e Zone Centrali Urbane devono essere altamente accessibili alla popolazione servita, specialmente, dove ciò sia praticabile, tramite trasporto pubblico.

96 Centro di Distretto e Zone Centrali Urbane devono svilupparsi su un lato di una arteria di comunicazione secondaria, o strada principale locale, o sul quadrante definito dall’incrocio di un’arteria secondaria con una strada principale locale. Nei casi in cui le strutture del Centro già si collochino a cavallo di arterie secondarie o strade locali, o all’incrocio di due strade principali, l’edificazione al loro interno deve:

(a) concentrarsi su un lato dell’arteria secondaria o strada locale principale, o su uno dei quadranti dell’incrocio;

(b) ridurre al minimo la necessità di movimento pedonale o veicolare attraverso l’arteria secondaria o strada locale principale, da una parte del Centro all’altra.

97 I Centri devono avere impatti negativi minimi sulle aree residenziali locali.

98 ICentri devono essere localizzati in modo tale da consentire un uso efficace degli investimenti pubblici in infrastrutture, trasporti e altri servizi, e che ogni costo relativo sia superato dai vantaggi alla popolazione servita.

99 L’edificazione dei Centri non deve risultare nel degrado fisico di alcuno di essi.

100 L’edilizia commerciale più adeguata esternamente alla Zona Centro di Distretto è quella di tipo e funzioni non interferente con quella del Centro.[...]

Nota: L’intero documento del Kangaroo Island Development Plan, con le mappe anche dettagliate e le prescrizioni per le singole località, al sito Planning SA, del Department for Transport, Energy and Infrastructure, South Australia, insieme ad una ricchissima raccolta in forma editoriale standard di altri strumenti urbanistici approvati per l’area di Adelaide (f.b.)

Pasolini dell’Onda, Desideria; presidente Italia Nostra

Salzano, Edoardo; urbanista

De Lucia, Vezio; urbanista

Bevilacqua, Piero; storico dell’ambiente

Emiliani, Vittorio; giornalista

Pallottino, Gaia; segretario generale di Italia Nostra

Barbera, Giuseppe; docente di agraria Università di Palermo

Gisotti, Giuseppe; presidente della SIGGEA

Magnaghi, Alberto; docente dell'Università di Firenze

Canestrini, Francesco; consigliere nazionale di Italia Nostra

di Gennaro, Antonio; agronomo

Mazzanti, Raffaele; architetto

Ghio, Mario; urbanista

Corona, Gabriella; direttore de “I frutti di Demetra”

Calzolari, Vittoria, urbanista

Luciani, Domenico, architetto

Stoppiello, Assunta; archeologo

Lugli,Francesca; archeologo

Taschini, Franco; Coord. Uilpd-Bac

Barbera, Mariarosa; archeologo Direttore

Micella, Marisa; Storico Dell’arte

Zapattini, Annalisa; archeologo

Ghini,Giuseppina, Direttore archeologo

Alvino,Giovanna, Direttore archeologo

Mazzanti, Raffaele; architetto

Frisch, Georg Josef; architetto

Scoppetta,Cecilia; architetto

Guccione,Matteo; Paesaggista

Mannocci,Roberto; architetto

Leone, Manfredi; architetto

Foschi, Marina; architetto

Marini, Laura; Insegnante

Mastrangelo, Virna; architetto Paesaggista

Castelli, Piero; architetto

Jesu, Lucio; Chimico

Podestà, Valentino; urbanista

Giannone, Giovanni; Dipendente Comune Palermo

Valiante,Maria Teresa; Pensionata

Botti, Federico; agronomo

Taverna, Domenico; Ingegnere

De Vito, Giuliana; architetto Regione Lazio

Bonetti, Claudio

Foresta, Laura; Funzionario Min. Bb.Cc.

Cesi, AdeleFunzionario Min. Bb.Cc.

Olivieri Massimo,

Di Leo,Raffaella

Di Monaco, Paolo; Libero professionista

Tantillo, Caterina,

Di Brina, Maria Antonietta; Dip. Sovraintendenza Di Roma

Tronca, Pietro; Dip. Mibac

Pizzo, Massimiliano; Studente Architettura

Pirozzolo, Tilde; studentessa architettura

Osio, Arturo

Corsini, Maria Grazia; Docente Architettura

Citti, Sara; architetto

Testana, Carlo; architetto

Marini, Antonella universita’ L’aquila

Scipioni, Angelo; Insegnante

Di Glulio, Alessio, Ilex Sas

Brancucci, Gerardo; prof. universita’

Castellano, Anna Maria; bologa

Maina, Giovanni ; architetto

Riccardi, Luigi; formatore

Furlani, Alessandra; agronomo

Camiz, Alessandro; architetto

Schivazappa, Emiliano, giurista

Priore, Riccardo; giurista del paesaggio

Pivo, Giovanni; agronomo

Agnoletti, Mauro; prof. universita’

Berdini, Paolo, urbanista

Guarrera, Luigi; giornalista

Romeo, Maria; Mipaf

Staccioli,Sara; storico arte Mibac

Amendola, Gianfranco; magistrato

Panaiotti, Maria Letizia; Italia Nostra

Pozzoli, Dante; Italia Nostra

Salvatore, Ciaravino; Italia Nostra

Lo Savio, Giovanni; Italia Nostra

Bettinelli, Rossana; Italia Nostra

Parolini, Cecilia; archeologo

Leone, Giorgia; archeologo

Gianni, Silvia; archeologo

Coccia, Marta; archeologo

Tocci, Michela; Storico dell’arte

Lo Russo,Rosa; Storico dell’arte

Cosentino, Rita; direttore

Dolciotti, Anna Maria; archeologo

Rocco, Giuliana; soprintendente Beni Archeologici

Migliari, Ugo

Cervellati, Pier Luigi; professore ordinario di urbanistica

Russo, Mario; archeologo

Gabriele, Giovanni; Italia Nostra

La Monica, Denise; Lab. int. ricerca, gestione e progettazione per il patrimonio culturale

Grassi, Paolo

Iaccarino, Maria Rosaria

Antonetti, Giancarlo

Antonetti, Renato

Antonetti, Giovanni

Teani, Mauro; Italia Nostra

Quaranta, Gustavo; Ingegnere

Liguori,Teresa; giornalista

Macri’, Salvatore; architetto

Pazzagli, Rossano

Guarino, Giorgia; urbanista

Bambara, Girolamo; Italia Nostra

Villa,Floriano

Rozzi, Renato; urbanista

Ferretti, Piero; architetto

Verlato, Antonio; Italia Nostra

Tesini, Federica; Italia Nostra

Zucconi, Massimo

Valsecchi, Alessio; Impiegato

Malacarne, Andrea; architetto

Fatarella, Stefano; funzionario urbanista pubblico

Gibelli, Maria Cristina; docente universitario

Predonzan, Dario; responsabile settore territorio WWF Friuli Venezia Giulia

Brenna, Sergio; docente di Fondamenti di urbanistica - Politecnico di Milano

Bottini, Fabrizio; studente

Martino, Fausto; architetto (già assessore urbanistica di Salerno)

Lironi , Sergio; architetto

Materazzi, Francesca; architetto

Caserta, Sergio; consigliere della Provincia di Bologna, dirigente d'azienda

Baffoni, Ella (Maria Gabriella); giornalista

Martino, Armando; tutor Laboratorio di analisi delle trasformazioni del paesaggio agrario Politecnico di Milano

Sabelli, Rodolfo ; architetto, (già assessore all’urbanistica Comune di Eboli)

Cecchini, Arnaldo "Bibo"; professore straordinario di Tecniche Urbanistiche, ; Università di Sassari

Berlingò, Irene; presidente Assotecnici

Longo, Luigi; urbanista

Scano, Luigi; segretario generale Polis

Rina, Eduardo; docente di Diritto e economia. consigliere comunale di Conegliano. Membro del comitato direttivo nazionale dell'ANCI- Coordinatore provinciale di Italia dei valori di Treviso

Carlini, Carla Maria; funzionario pubblico

Vettoretto, Luciano; direttore del corso di laurea in Scienze della pianificazione urbanistica e territoriale, ; Università Iuav di Venezia

Samuel, Christian; consulente informatico

Marchetta, Manlio; professore associato di urbanistica; Università di Firenze

Macchi, Silvia; professore associato di urbanistica all’Università di Roma La Sapienza

Scandurra, Enzo; professore ordinario di urbanistica all’Università di Roma La Sapienza

Ciccone, Filippo; professore associato di urbanistica all’Università di Cosenza

Paoletti, Riccardo; avvocato (già ass. all’urbanistica di Imola)

Ravaioli, Carla; giornalista e saggista

Simonetta Melani;

Frasca, Simone; illustratore

Guermandi, Maria Pia; docente all’università di Pavia, dirigente IBC Emilia Romagna

Zambrini, Antonio; farmacista-erborista

Bellucci, Patrizia; professore associato, Università di Firenze resp.laboratorio di linguistica giudiziaria

Roggio, Sandro; architetto

Baioni, Mauro; urbanista

Radicioni, Raffaele; architetto

Bruschi, Carlo; presidente Associazione italiana architettura del paesaggio

Indovina, Francesco; professore ordinario di urbanistica Università IUAV di Venezia

Gambino, Roberto; professore ordinario di urbanistica Politecnico di Torino

Tutino, Alessandro; architetto. già presidente dell’INU

Meneghetti,Lodovico; Politecnico di MilanoChiezzi, Pino; consigliere regionale Piemonte

Poggioli, Fabio; assessore all'urbanistica del Comune di Ravenna

De Biasio Calimani, Luisa; architetto

Schiavo, Flavia; architetto, Università di Palermo

D'Agostino, Roberto; assessore alla Pianificazione strategica e ai progetti Urbani - Venezia

Cannarozzo, Teresa; professore ordinario di urbanistica dell’Università di Palermo

Giura Longo, Tommaso; professore ordinario di progettazione architettonica Università Roma3

Francalanci, Ernesto L.;

Soldi, Gianluca; Quadro direttivo

Cannata, Pietro Giuliano; segretario generale Autorità di bacino Sarno

Iannello, Carlo ; funzionario

Cembalo, Fabrizio; agronomo

di Gennaro, Carlo; musicista

Liotti,Guido ; facilitatore processi di pianificazione partecipata - WWF

Nappi, Raffaeli; architetto pianificazione ambientale

DeStefano, Paolo; architetto

Tatafiore, Marco; architetto

Landolfo, Luca; rappresentante

Escalona, Francesco; architetto

Volpe, Simonetta; architetto

Bellofatto, Fabia; agronomo

Manna, Pietro; agronomo

Calabrese, Alberto; architetto

Travaglini, Laura; architetto

Vingiani, Simona; geologa

Cosenza, Giovanni; architetto

Napoletano, Paola; geologa

Trisorio, Paola; architetto

Lafratta, Rocco; geologo

Benevelli, Rossana; achitetto

Cuomo,Francesco; funzionari servizi culturali Regione Campania e docente universitario

Bertolotto, Luciano; pensionato

Bianchi, Flavia; responsabile urbanistica Legambiente Piemonte

Malacrino Claudio; architetto, socio effettivo INU Piemonte

Paradisi, Maurizio; tecnico infrastrutture

Camagni Roberto, professore ordinario di Economia urbana, PoliMi

Sacerdoti, Michele; membro delle Commissioni Edilizie dei Consigli di Circoscrizione 1,2,3 del Comune di Milano

Fioravanti, Marta; Architetto

Fioravanti, Marta; Architetto

Lazzaroni, Lucia; Funzionario pubblico

Bonomi, Antonio; architetto, consigliere comunale di Calderara di Reno

Raminella, Elisabetta; studentessa

Bazzoli, Maria; pensionata

Folli, Giovanni giornalista

Chiarante, Giuseppe; senatore (già presidente del Comitato nazionale per i beni culturali)

Tamburini, Giulio; docente universitario

Bilotta, Giuliana; architetto (dipendente pubblico)

Giannì, Roberto; dirigente Dipartimento pianificazione urbanistica Comune di Napoli

Dal Piaz, Alessandro; Professore straordinario di urbanistca, Università Federico II di Napoli

Blecic, Ivan; ricercatore universitario

Bettio, Alessandro; Architetto

Milano, Dario

Braccini, Fabrizio

Zentile, Guido

Marrocco, Anna Maria

Fioravanti, Marta; architetto

Attardi, Raffaele; già Sindaco di Sorrento

Tognoni, Elena; architetto

Valecic, Dusana; architetto

Palermo, Giuseppe; architetto

Poschi Meuron, Luca

Bevilacqua, Valeria

Daima, Eleonora Rossella

Panella, Giovanni Emanuele; giornalista

Pierfederici, Graziella; ;Consigliera Provinciale di Livorno gruppo Rifondazione Comunista,

Landsberger, Martina, architetto

Consonni, Giancarlo, ordinario di urbanistica

Tonon, Graziella, straordinario di Urbanistica

Rizzi, Sergio; architetto, consulente WWF per l'Isola d'Elba

Rossari, Augusto; Professore di Storia dell'architettura, Dip. di Progettazione dell'architettura PoliMi

Barban, Paola, architetto

Siniscalchi, Claudio; ambientalista (già Presidente Legambiente Trieste)

Tognoni, Elena; architetto

Palermo, Giuseppe; architetto

Terrasi, Rene’; Impiegato C.I.

Trombi, Celestino; Pensionato

Tomei, Fabio; Ingegnere

Casentino, Giovanna; Universitaria

Crivellari, Roberto; Operaio

Tra Bi, Maxime; Operaio

Ardizio, Claudio; Ingegnere

Vallino, Guido; Urbanista

Carabelli, Anna; Docente Universitaria

Pozzato, Bruno; Sindacalista .

Zocchi, Pier Alfonso Pensionato

Cattani, Osvaldo; Dir Coop Sociale.

Signorelli, ..; Consigliera Quartiere

Callea, Maria Pia; . Operatrice Culturale

Chiarino, Ferruccio; Prom. Finanziario

Pedicone, Lorenzo; Libero Professionista

Ferrarsi, Lucia; Architetto

Colombo, Paolo; Architetto

Raimondi, Angelo; Architetto

Gambini, Laura; Architetto

Pegno, Guido; Architetto

Migliaretti, Marco;

Pacelli, Alberto; Coord. Ass. Idee Di Futuro

Pangaro, Rocco; urbanista,

Mazzette Antonietta; ordinario di Sociologia Urbana, Università di Sassari,

Dino, Giovannini; Docente Universitario

Sembrano, Felicia; architetto Funzionario ufficio urbanistica Provincia di Napoli

Zito, Vincenzo; Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per le Tecnologie della Costruzione - Sezione di Bari

Ferrari, Antonella; architetto

Plata, Marco; architetto, Presidente Ordine Architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori province di Novara

Moraca, Mario; architetto dirigente Dipartimento pianificaz. urbanistica Comune di Napoli

Greppi, Claudio; docente di Geografia, Università di Siena

Russo, Saverio; docente di Storia moderna, Università di Foggia

Barbagli, Massimo; docente di Economia ed estimo territoriale

Cellamare, Carlo; professore associato

Rauszer, Patrice; architecte

Sergas, Paolo; architetto case popolari

Tortolini, Matteo; Assessore Urbanistica del Comune di Piombino

Mura,Gianni; ingegnere libero professionista

Palmieri, Walter; Ricercatore CNR ISSM Napoli

Cau, Francesca; architetto

Di Domenico, Alfonso; studente in Pianificazone

Janni, Leandro A.

Celenza, Michele

Pedri, Silvia

Debernardi, Paolo

Mungo-Buffaut, Liliale

Olivero, Michela

Gandolfi, Claudio

Marranci, Stefano

Iodice, Enzo

Macuzzi, Alessandro

De Marchi, Emilia; Architetto

Cardano, Anna; Insegnante

Gatti, Valentina; Avvocato

Gregis, Paola; Ambientalista

Del Savio, Giovanna; Sindacalista

Pizzo, Renzo; Impiegato

Fiocchi, Massimo Universitario

Rossi Doria, Bernardo; professore ordinario di Urbanistica Università di Palermo

Camerlingo, Elena; urbanista, dirigente Comune di Napoli

Tozzi, Valerio; avvocato, docente Università di Salerno

Bonardo, Vanda; Presidente Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta

Madau, Marcello; archeologo, docente di beni culturali e ambientali (Accademia di Belle Arti di Sassari)

Circolo Ambiente Ilaria Alpi, Como

Boucher, Frédérique; Urbaniste, Bruxelles,

Girardi, Franco ; urbanista

Viviani, Silvia; urbanista

Zanazzo, Marina; archivista storica

Nicoletti, Francesco Paolo; geologo

Serra, Daniela; Ingegnere , funzionario MiBAC

Fumagalli, Roberto; Candidato alle elezioni Regionali della Lombardia nella Circoscrizione di Lecco come indipendente nella lista di Rifondazione Comunista

Bodrato, Carla; architetto

Carpano, Ida; architetto

Lucco Borlera, Pier Giorgio; architetto

Sutto, Riccardo;architetto

Gandolfi, Cinzia; architetto Regione Toscana,

Ferrara, Guido; ordinario di Architettura del paesaggio Universita' di Firenze,

Campioni Ferrara, Giuliana; presidente Federazione associazioni professionali ambiente e paesaggio

De Luca, Giuseppe, professore associato di Urbanistica

Cristiano, Massimo; ingegnere

De Tullio, Gianfranco; ingegnere

Soda, Giovanni; ingegnere

Turroni, Sauro; senatore

Agnesa, Gianni ingegnere

Carfi' Daniela - architetto - patente di guida n. RG2054074K

Agnelli Luca Biologo

Bozzoni Samuela medico

Lucini Gianni giornalista

Colella Garofalo Igino dirigente industria

Costa Cecilia Universitaria

Tait Claudio consulente formazione

Gulli’ Nicola funzionario trenitalia patente

Bossi Ornella grafica

Ginammi Bruna fotografa

Salzano, Francesco; Impiegato

Sanna, Rino consulente

Agazzi, Emilia, Architetto

Boldo. Alessandro, architetto,

Salzano, Maria, Architetto

Porta, Franco ( progettista solare)

Figura, Domenico.

Rossi, Carla; geometra

Scalia, Lorenza; architetto

Cofano, Vita Maria Rosaria Architetto

Ferraresi, Maddalena architetto,

Rinaldini, Antonio Architetto

Clemente, Marino Perito Meccanico, Assistente Tecnico nella Scuola

Pretto, Giuseppe Cicloambientalista

Angiulli, Anna Studente

Bellagamba, Piergiorgio urbanista,

Cabinato, Lorenza Architetto

Steri, Emanuela Impiegata

Merletto, Vittorio

de Crecchio, Michele

Gabriele, Giovanni

Mondello, Antonia

Sgura, Marcella

Rui, Irene

Tomasella, Paola

Mignoni, Severino

Malni, Marta

Grillo, Francesco Paolo

Merletto, Gerardo; Docente di Economia dei trasporti, Politecnico di Milano, Università di Roma - Tor Vergata

Paretti, Marco; Impiegato

Rossini, Elena; architetto

Salvetti, Tiziana; architetto

Valente, Luigi; architetto

Damiani, Piero, libero professionista,

Bonomi, Camilla, impiegata

Balconi, Annamaria, libero professionista,

Abaterusso, Alessandro, architetto

Manconi, Piero assessore ambiente provicia di Lucca

Burani, Stefano, architetto libero professionista,

Cavina, Andrea;

Talone, Antonio;

Giaretta, Gabriella; insegnante;

Puppini, Chiara, insegnante;

Zulian, Annabella; impiegata;

Palazzi, Antonella; bibliotecaria;

Rubini, Carlo; insegnante,

Dussin, Paola; insegnante;

Connolly, Mary; insegnante;

Cavasin, Carolina; impiegata; CI AH 8235949

Di Sopra, Maria Maddalena; grafica;

Di Sopra, Entico,

Bullo, Carlo;

Salvardi, Laura;

Girotto, Renata;

Zago, Nicoletta;

Poropaz, Francesca;

Baruffali, Marina;

Pattaro, Francesca;

Serio, Dario;

Zamboni, Carla;

Crivellari, Cinzia;

Martinello, Luigi;

Cacciari, Paolo; giornalista;

Rizzi, Laura; funzionario PA,

Bandini, Ornella; insegnante;

Ravanne, Fabio; insegnante;

Trevisan, Gianni; pensionato;

Pesci, Teresa; pensionata,

Padovani, Graziella; consulente;

Baroni, Luisa; impiegata;

Della Bella, Giulia; pensionata;

Benedet, Bianca; pensionata;

Vallin, Daniela; traduttrice Unisco;

Scarpa, Cristiana; istr. direttivo PA;

Caramelli, Eliana; consulente;

Memo, Caterina; impiegata;

Scarpa, Silvia; impiegata.

Queensland, Department of Natural Resources and Mines, State Planning Policy 1/92, Protection of Agricultural Land from Urban Development, 2003; idem, Buffer Areas – Minimising Conflict between Agricultural and Residential Areas, 2001 – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

La tutela dei terreni coltivabili dall’edificazione incontrollata è essenziale per mantenere nel futuro produttività ed efficienza alle attività agricole. Il governo del Queensland considera i terreni coltivabili di alta qualità una risorsa limitata che deve essere protetta e gestita sul lungo termine. Come regola generale, devono essere utilizzati i poteri di pianificazione disponibili per tutelare i terreni agricoli dall’edificazione, che conduce ad alienarli dallo scopo primario, o a diminuirne la produttività. La State Planning Policy 1/92, Development and the Conservation of Agricultural Land, fissa i principi generali per la protezione di questa importante risorsa.

La necessità di proteggere i terreni agricoli

La sopravvivenza delle comunità rurali in Australia e la salute dell’economia agricola, dipende dalla disponibilità e stato delle risorse naturali. La tradizionale e diffusa opinione secondo cui la terra è una risorsa quasi illimitata, è un mito. Sia la sua disponibilità che la qualità sono minacciate. La trasformazione del territorio per usi urbani e industriali ha significato la scomparsa di significative superfici di ottimo terreno agricolo; e ora il degrado delle terre è diffusamente considerato una delle principali sfide per il mondo rurale australiano.

L’attività agricola resta uno dei settori più importanti della nostra economia. Queste produzioni, come tutte le altre, sono influenzate dai mercati mondiali e da fattori economici che generano cicli di prosperità intercalati da periodi di difficoltà.

Le difficoltà economiche non devono oscurare il fatto che il terreni produttivi offrono sul lungo periodo la base per un’attività agricola efficiente e flessibile, in grado di rispondere alle mutevoli domande di prodotti, e che genera benessere comune tramite reddito e posti di lavoro.

Tutela dei suoli e edificazione

Continuerà ad essere necessario, urbanizzare terreni agricoli a scopo residenziale o produttivo. Saranno dunque inevitabili alcune perdite di terre, non solo nei pressi delle principali città e centri, ma anche nelle zone rurali. Ad ogni modo, uno sviluppo che non tenga conto dei bisogni dell’attività agricola, e dell’importanza costante dell’agricoltura, è inaccettabile.

Quindi, una diminuzione nei mercati di un particolare prodotto non deve giustificare l’urbanizzazione delle terre tradizionalmente utilizzate per coltivarlo. I mercati cambiano, le terre possono essere coltivate in altro modo, o l’accorpamento dei poderi può superare il problema di diseconomicità dell’azienda produttiva. In modo simile, la proprietà dei terreni e le dimensioni delle aziende non devono essere considerati al di sopra della qualità dei terreni, quando si decide sull’opportunità di destinare una superficie all’edificazione.

La terra agricola migliore e più versatile, ha particolare importanza, e non deve essere edificata a meno che esista un bisogno superiore in termini di pubblico interesse, e nessuna alternativa di localizzazione per quel particolare scopo. La terra è una risorsa economica di valore, che deve essere protetta da trasformazioni irreversibili.

Il ruolo dei piani regolatori

Le amministrazioni locali devono inserire indicazioni a proteggere i terreni agricoli di buona qualità, nella redazione, approvazione, varianti di piano regolatore. Le richieste di modificazione d’uso, edificazione, opere o lottizzazione, devono essere esaminate in questa prospettiva.

I piani regolatori sono particolarmente importanti nel fissare un quadro generale coerente per la tutela dei terreni agricoli di qualità. Nel considerare come lo sviluppo futuro debba entrare nei piani regolatori, devono essere adottati schemi insediativi che minimizzino gli impatti sulle zone coltivate produttive, sia diretti che indiretti. Una volta che il terreno è edificato o lottizzato, un ritorno agli usi agricoli è raramente praticabile.

Si possono verificare occasioni in cui le amministrazioni locali devono considerare proposte di urbanizzazione su terreni agricoli di qualità. In questi casi, un principio “chiave” per giudicare dovrebbe essere la dimostrabilità del beneficio comune di quel progetto in quel particolare luogo.

Anche l’urbanizzazione di zone adiacenti può ostacolare le attività agricole, in particolare quando si tratta di numeri significativi di edifici: per esempio, l’irrorazione con pesticidi o l’incendio di stoppie può causare conflitti con i residenti. Conflitti che devono essere evitati, se possibile, localizzando i nuovi insediamenti lontano da terre agricole, e quando ciò non sia possibile, fissando misure per attenuare i possibili conflitti. L’opuscolo Planning Guidelines - Separating Agricultural and Residential Land Uses [di cui sono riprodotte qui solo alcune immagini, n.d.T.] offre orientamenti per la pianificazione urbanistica e l’uso di zone di interposizione per ridurre al minimo i conflitti nell’uso dello spazio.

Determinare la qualità dei suoli

La valutazione della qualità dei suoli in termini di uso agricolo è chiaramente essenziale se si volgiono attuare politiche di tutela. La pubblicazione Planning Guidelines, The Identification of Good Quality Agricultural Land, definisce i “terreni agricoli di buona qualità” come:

“terreni in grado di sostenere l’uso per coltivazioni o allevamento, con un ragionevole livello di inputs , senza determinare degrado, del suolo o di alte risorse naturali”.

Il Department of Natural Resources and Mines (NR&M) ha predisposto dati informativi per la maggior parte dello Stato, e altre informazioni sono in corso di produzione. Ad ogni modo, queste conoscenze non sono sufficientemente dettagliate per valutare le richieste di edificazione di specifiche località. Dunque si incoraggiano le amministrazioni locali a chiedere agli interessati studi sui suoli nei casi in cui manchino informazioni adeguate. NR&M offre indicazioni su contenuti e modalità di questi studi.

Principi generali

1.La terra agricola di qualità è particolarmente importante, e non deve essere edificata a meno che non esista un superiore bisogno di urbanizzazione nel pubblico interesse, e non sia disponibile una localizzazione alternativa per quel particolare scopo.

2. In seguito allo sviluppo urbano, inevitabilmente si verificherà l’alienazione di terre agricole a scopo di edificazione, ma il Governo Statale non sostiene questo tipo di trasformazione se esistono reali alternative, in particolare nei casi di insediamenti che non abbiano specifiche esigenze localizzative (ad esempio, “residenziale rurale”).

3. Nella stesura, approvazione, varianti di piani regolatori, le amministrazioni locali devono inserire indicazioni per la tutela dei terreni agricoli di qualità, indipendentemente da una loro disponibilità sul mercato a seguito di fluttuazioni economiche.

4. Nella redazione dei piani regolatori, si devono valutare forme alternative di urbanizzazione, e dare importanza particolare alle strategie che riducano al minimo gli impatti sui terreni agricoli di qualità.

5. La tutela dei terreni agricoli di qualità deve essere tenuta in considerazione nell’esame e approvazione di progetti che propongano modificazioni d’uso, edificazione, opere o lottizzazioni.

6. Nel caso in cui un piano regolatore non contenga indicazioni adeguate per la protezione delle terre agricole, il Governo Statale utilizzerà i principi generali qui esposti nel giudicare se un piano regolatore proposto per l’approvazione sia o meno contrario agli interessi statali.

7. L’esistenza di aziende agricole di piccola dimensione giudicate non economicamente produttive, non giustifica in sé un cambio di destinazione d’uso o suddivisione per funzioni non agricole. Le politiche generali devono essere orientate a incoraggiare l’accorpamento delle proprietà, dove ciò aumenti la redditività agricola.

8. i piani regolatori delle amministrazioni locali devono mirare a ridurre al minimo i casi in cui si collocano attività incompatibili nei pressi di funzioni agricole, in modo tale da ostacolare le normali operazioni. Nei casi in cui si verificano tali conflitti, occorre introdurre misure di attenuazione.

[...]

Le zone di interposizione [ buffer areas] sono un metodo efficace per separare usi del suolo confliggenti, ma non eliminano tutti gli impatti delle attività. Il loro uso non limita il diritto dei singoli di intraprendere azioni legali se ritengono che sia limitato il proprio diritto di godere di un ambiente sano e sicuro, e della loro proprietà.

Principi generali di pianificazione urbanistica

1. Nella predisposizione dei piani urbanistici, le amministrazioni locali devono evitare, per quanto possibile, di destinare zone all’edificazione nei pressi di superfici a usi agricoli. Quando ciò non sia possibile, devono essere utilizzati meccanismi come le zone di interposizione a ridurre al minimo i conflitti.

2. Le zone di interposizione devono essere progettate sulla base dell’uso agricolo possibile con il maggiore impatto potenziale sulle zone adiacenti, indipendentemente dall’uso attuale.

3. A proteggere il diritto degli agricoltori a praticare l’attività sulla propria terra, si devono collocare zone di interposizione con gli spazi destinati alla residenza, realizzate e finanziate dal proponente l’insediamento.

4. Nel caso di conflitti già esistenti fra usi agricoli e residenziali, devono essere utilizzati gli strumenti della mediazione, del controllo, dell’informazione.

Obiettivi delle zone di interposizione

1. Proteggere l’attività agricola praticata secondo lo Environmental Code of Practice for Agriculture e le relative linee guida per settori.

2. Ridurre al minimo i conflitti realizzando, ove possibile, un margine ben definito fra aree agricole e residenziali, opposto alla compenetrazione delle due zone.

3. Ridurre al minimo gli impatti dell’insediamento residenziale sulla produzione agricola e le risorse di suolo.

4. Ridurre al minimo le occasioni di reclami da parte delle attività residenziali nei confronti di quelle agricole.

5. Offrire ai residenti condizioni ambientali accettabili in zone abitate adiacenti ad aree di produzione agricola.

Valutazione dei conflitti e progetto delle zone di interposizione

Nel determinare il bisogno di zone di interposizione, devono essere considerati i seguenti fattori:

● L’attività agricola con il potenziale maggiore impatto sulle funzioni residenziali adiacenti, che probabilmente avverrà nel caso specifico

● Gli elementi (diffusione esterna dei pesticidi, cattivi odori, rumori, polveri, sedimenti e scolo delle acque) che possano causare conflitti, e la dimensione specifica dei conflitti

● Dove possibile, quantificare gli elementi in termini di durata delle attività, per determinare gli impatti

● Prendere in considerazione la forma della zona residenziale, la dimensione dei lotti, la profondità delle separazioni, le piantumazioni, le barriere acustiche ecc., per minimizzare i conflitti nell’uso dello spazio

● Stabilire modalità di monitoraggio e mantenimento delle misure progettate.

[...]

Nota: tutti i materiali, integrali (ad esempio, con le indicazioni di calcolo e tabelle per le zone di interposizione a seconda del tipo di impatto) e originali, al sito del NR&M (f.b.)

Tasmania, Resource Planning and Development Commission, State of the Environment Report 2003, [Land Tenure, Land Use and Land Cover] [Urban Growth] – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Il suolo: responsabilità, copertura, usi

Molti problemi ambientali riguardanti sia il contesto acquatico che terrestre della Tasmania sono conseguenze delle trasformazioni indotte dall’uomo nell’uso del suolo. Ricostruire le trasformazioni di questi usi è importante, dato che si tratta di significativi elementi (e indicatori) di mutamento ambientale. Le decisioni che riguardano responsabilità, funzioni, trasformazioni e localizzazioni riguardo al suolo, hanno implicazioni fondamentali di carattere ambientale, sociale ed economico. La responsabilità nell’uso aiuta anche a definire diritti e funzioni riguardo alla gestione del suolo: parchi nazionali e altre riserve, variamente formalizzate, ad esempio, conferiscono un livello superiore di tutela rispetto ai mutamenti nella copertura del suolo e alla perdita di habitat naturali, di quanto non accada con le superfici di proprietà privata.

La copertura del suolo si riferisce allo stato fisico della superficie, e comprende vegetazione, terreni, rocce, acque, strutture realizzate dall’uomo. È la conseguenza cumulativa dei processi ecologici e delle influenze umane in molte migliaia di anni. Le pratiche aborigene di gestione dei suoli hanno fortemente influenzato la copertura di vegetazione: le popolazioni utilizzavano il fuoco per alterare l’habitat e incrementare la disponibilità di cibo, così come per cucinare, riscaldarsi, o altri usi sociali come le segnalazioni o la guerra.

Decisioni di gestione del suolo più recenti, ne hanno modificato la copertura in modo estensivo. Le trasformazioni sono il risultato di decisioni influenzate dalle forze del mercato e dal sistema delle responsabilità. Le definizioni all’interno del sistema di responsabilità sono in continua evoluzione, influenzate dalle leggi e dai valori collettivi. Il disboscamento è una delle forze significative di queste trasformazioni, ed è discusso in dettaglio nel capitolo sulla Biodiversità.

i sistemi naturali si trovano in uno stato di equilibrio dinamico, che ha impiegato molte migliaia di anni per evolversi. Conservare aree in cui i ritmi naturali di trasformazioni possano avvenire è di importanza vitale, in modo tale da poter conoscere meglio il funzionamento del sistema. Le trasformazioni sono significative quando determinano una perdita di biodiversità, una riduzione dei valori paesistici, o un peggioramento dei servizi forniti dall’ecosistema, come un’acqua pulita e potabile. La diminuzione di alberi nella regione Midlands, forse è il miglior esempio in Tasmania di come le trasformazioni possono impiegare anni a manifestarsi come problema ambientale, ma quando ciò avviene possa essere molto difficile e costoso ripristinare le funzioni “naturali” dell’ecosistema.

Com’è possibile determinare se le trasformazioni nella copertura del suolo sono significative? La comparazione con il tipo di vegetazione precedente alla colonizzazione europea offre una prospettiva sui mutamenti nel lungo periodo. Altre prospettive sono offerte dalla comparazione con zone che sono restate sostanzialmente immodificate e che sono soggette ai ritmi di mutamento naturali, o con la copertura del suolo com’era cinque anni prima. La “significatività” delle trasformazioni dipende dal contesto locale entro cui si verificano.[...]

Lo sviluppo urbano

La minaccia più significativa alla diversità naturale è l’eliminazione delle specie vegetali originarie dalle varie zone, e la loro sostituzione con altri elementi, o usi del suolo. In relazione al livello di impatto sulla biodiversità, questi tipi di disboscamento possono essere considerati in serie continua. Ad una estremità c’è, ad esempio, lo sfruttamento selettivo delle foreste dove, concesso un tempo sufficiente, almeno alcuni degli originari valori di biodiversità saranno ripristinati.

Ad ogni modo, maggiore l’intensità, frequenza, superficie del disturbo o rimozione della vegetazione originaria, maggiore la probabilità di estinzione della flora. Le forme di uso e disboscamento più intensivo, generalmente irreversibili, comprendono la piantumazione, l’eliminazione della vegetazione originaria per pascoli e coltivazioni cerealicole, l’allagamento, lo sviluppo urbano. [...]

Con le residenze sempre più disperse nel paesaggio, l’eliminazione dei vegetali per sviluppo urbano ha anche un sempre maggiore e diffuso impatto sui valori della biodiversità. Comunque, anche lo sviluppo urbano può essere in sé considerato, riguardo alla land clearance, come inserito in una serie continua, dove gli impatti dipendono dall’intensità del disturbo, dalla sua frequenza, dal contesto in cui si verifica.

Gli effetti dello sviluppo urbano variano a seconda della superficie dell’edificio rispetto a quella del lotto, alle dimensioni e intensità dell’insediamento in rapporto al resto del territorio che rimane a bosco, a quanto costruttori e proprietari mantengono la vegetazione originaria, e agli approcci rispetto alla riduzione dei rischi di incendio boschivo. Anche topografia e pendenze influenzano l’impatto generale sul paesaggio dello sviluppo urbano. [...]

Esistono senza dubbio molti esempi di case in Tasmania con una superficie coperta minima rispetto al bushland locale, dove i proprietari hanno adottato un approccio gestionale etico rispetto alla conservazione dell’ambiente. Alcuni proprietari terrieri utilizzano convenzioni, e programmi come Land for Wildlife, Private Forests Reserve Program, o Protected Areas on Private Land, offrono sostegno nella protezione dei valori ambientali.

All’altra estremità del continuum di sviluppo urbano, ci sono gli impatti che avvengono indipendentemente dalle migliori intenzioni, ed è improbabile che una lottizzazione “nel bosco” possa essere realizzata con i edilizi metodi correnti e le aspettative dei residenti. Negli insediamenti, tipicamente, la vegetazione originaria va persa in modo irreversibile. In generale, sulla base dell’attuale domanda dei consumatori per le abitazioni, lo sviluppo urbano è fra le forme più irreversibili di land clearance.

Lo sviluppo urbano esercita pressione sulla biodiversità di un’area. La diffusine dell’insediamento nel profondo del bushland causa la distruzione fisica degli habitat naturali, causa inquinamento (compreso l’arricchimento di sostanze nutritive), e introduce predatori come cani e gatti. Questi fattori spingono più in là i confini dell’area naturale, talvolta sino al punto in cui non c’è più spazio sufficiente a sostenere alcuni elementi del biotopo. Ad esempio, i roditori bettong sono sensibili ai disturbi, e non vivono in ambienti frammentati in piccole porzioni.

Il degrado avviene anche attraverso la raccolta di legna da ardere, specialmente attorno ai centri urbani. Anche se si tratta solo di rami secchi caduti, si rimuove l’habitat e fonte di cibo di molte specie (es. funghi, insetti, uccelli).[...]

la zona costiera della Tasmania è stata particolarmente colpita dall’insediamento urbano. Si sono prosciugate molte aree umide, e distrutte paludi salmastre, sia direttamente dall’edificazione, sia attraverso alterazioni e contaminazioni da scarichi. Lo sviluppo a nastro lungo la costa, in particolare ha seriamente frammentato molte zone di transizione terrra-mare ecologicamente importanti, essenziali per molte specie, come i pinguini, i molluschi di battigia, i crostacei.

Fra i vari altri elementi di minaccia, oltre l’eliminazione diretta delle specie originarie, l’invasione delle piante parassitarie e le trasformazioni nel regime degli incendi sono spesso citati come dannosi per la salute delle zone boscose urbane. Molte specie vegetali sono di disturbo, ma alcune hanno anche la possibilità di invadere gli spazi delle altre, sostituendo del tutto quelle native.

È anche importante il degrado del bushland a causa di altri fattori, come la crescita incrementale dei piccoli interventi (ad esempio: un serbatoio per l’acqua qui, una linea elettrica là, ecc.), l’uso dei veicoli fuori strada, le discariche di rifiuti. Anche se gli effetti di ciascuno di questi elementi possono sembrare di piccola entità e poco degni di nota, si tratta di una “morte da mille punture”, che pone un’enorme minaccia cumulativa sulle zone boscose di area urbana nello Stato. Il livello di disturbo da questo tipo di impatti, spesso è proporzionale allo sviluppo longitudinale del margine di bushland esposto alla pressione dell’insediamento urbano, rispetto all’area totale del resto della vegetazione.

Anche se il fuoco fa parte dell’ecosistema generale, intensità e frequenza degli incendi influenzano la composizione e struttura della vegetazione nelle zone urbanizzate. Una frequenza, intensità, localizzazione non appropriate, possono causare:

● impoverimento della flora e fauna indigena

● rafforzamento delle specie locali più tolleranti e adatte al fuoco

● erosione e/o smottamenti nelle zone in pendenza

● colonizzazione dei terreni spogli o delle superfici erose da parte di specie esotiche

[...]

Il valore della biodiversità nell’insediamento urbano

In quanto spazi in cui i processi naturali operano ancora, con interferenze umane minime, le zone boscose urbane possiedono una serie di valori, tra cui:

● un valore intrinseco, “in sé”

● un valore di habitat per piante e animali

● ospitare specie che aggiungono biodiversità all’ambiente urbano

● valore scientifico per la comparazione con eco-tipi simili sottoposti ad un regime differente (ad esempio agricolo, o forestale ecc.)

● valore di sostegno alla vita, ovvero importanza nel mantenere un sistema biologico vitale per la comunità (ad esempio aria e acque pulite, controllo dell’erosione ecc.)

● valore turistico e per il tempo libero, come spazio per attività informali come guardare, camminare, correre, fare osservazioni più scientifiche ecc.

● valore estetico, per il godimento della vista in termini di colori, forme, ecc.

● valore per il “senso del luogo” nella comunità, ovvero contributo anche alla “immagine” della città, e alla considerazione degli abitanti per l’unicità del proprio spazio di residenza.

Molte delle piante più rare della Tasmania sono presenti in alcuni punti delle zone verdi urbane, cimiteri, fasce stradali, parchi. [...]

Effetti dell’urbanizzazione sulla scomparsa di vegetazione in Tasmania

Fra il 1972 e il 1999 in Tasmania sono stati eliminati oltre un quarti di milione di ettari di vegetazione originaria. Le perdite maggiori di tipi si sono verificate negli acquitrini, nelle praterie e zone boscose di prateria, nelle fasce costiere, nei boschi e nelle zone umide. Le comunità vegetali più in pericolo, ora, sono le praterie e boschi di prateria. Quelle meno influenzate, a partire dal 1803, sono le meno produttive dal punto di vista agricolo, come la vegetazione alpina, e le brughiere e boscaglie occidentali.

Anche se l’urbanizzazione non ha generato la quantità di disboscamento di altre attività di uso del suolo su larga scala, le principali zone urbane della Tasmania sono concentrate in aree dove sono stati notevolmente ridotti tipi di associazioni vegetali quali: praterie e boschi di prateria, fasce costiere, foreste asciutte e zone umide [...].

Nota: qui, al sito governativo della Tasmania, si trovano le versioni originali e integrali dei capitoli del Rapporto sullo stato dell’Ambiente: Uso del Suolo, e Sviluppo Urbano, nonché i links ad altri capitoli, mappe, tabelle ecc. In questa stessa sezione di Eddyburg, altri contributi simili, come quello per il West Australia denominato Bush Forever (f.b.)

De plus en plus attractives, les communes rurales d’Île-de-France sont souvent prises entre la nécessité de leur développement et la protection de leur environnement.

Peuvent-elles faire, à la fois, le choix de valoriser le bâti et le foncier, préserver le patrimoine et les paysages tout en soutenant une dynamique de croissance ? Cet exercice difficile suppose la mise au point de toute une série de procédures et d’outils permettant de mieux répondre aux besoins des habitants et de la collectivité. Grâce à un ensemble de solutions variées et propres à chacun, les bourgs et villages d’Île-de-France, qu’ils soient ou non engagés dans une démarche de protection ou soumis à des contraintes environnementales, peuvent, aujourd’hui, opter pour différents modes de développement urbain. Détail des opérations.

Concilier le respect de l’environnement et l’offre urbaine

Le développement modéré des bourgs et des villages a pour objectif de concilier la limitation de la consommation des espaces, naturels ou agricoles, et l’évolution des besoins de la population. Il se traduit par des modes d’urbanisation capables de conjuguer le respect de l’activité agricole et de l’environnement avec une offre urbaine de qualité.

Les préconisations du SDRIF1 de 1994 évaluaient la part du développement modéré dans la consommation régionale d’espaces non urbanisés à 10 %. L’analyse de la période 1990-1999 montre que cette proportion a représenté, en réalité, un quart de l’urbanisation régionale.

Confrontés à la diminution de leur vocation agricole au profit d’une fonction plus résidentielle, de nombreux bourgs et villages de la région recherchent néammoins des solutions innovantes et de nouveaux partenaires pour ne pas céder à l’étalement urbain tout en organisant une nouvelle offre en termes de logements, de services, de commerces et d’équipements. Certains ne peuvent y répondre seuls et sont amenés à intégrer l’échelle intercommunale qui permet la mutualisation et la répartition des contraintes et des besoins.

D’autres bénéficient d’actions qualitatives, en particulier au travers des dispositifs mis en place par les chartes des parcs naturels régionaux qui prennent en compte toutes les problématiques sous l’angle de la qualité urbaine et de l’économie de l’espace.

Un certain nombre d’actions peuvent servir d’exemple. Quelques-unes d’entre elles, choisies à partir d’un mémoire d’étudiants de Paris X-Nanterre dans le cadre d’une convention avec l’Iaurif, sont présentées ici. Il s’agit d’opérations de réhabilitation du bâti existant et d’aménagement de dents creuses ou de lotissements qui, dans leurs formes, leurs fonctions urbaines et leurs montages, contribuent au développement modéré des bourgs et des villages.

Les réhabilitations

Situées plutôt dans les cœurs de bourgs mais aussi dans leurs périphéries, ces opérations préservent ou complètent le cadre bâti existant et peuvent accompagner les constructions neuves (opérations en «dents creuses», lotissements).

Avec généralement du logement collectif ou semi-collectif à caractère social, le plus souvent en locatif, elles participent à la diversification de l’offre de logement. Elles pourraient proposer plus qu’elles ne le font actuellement une mixité des fonctions avec la création d’équipements et de services.

Ces opérations sont aussi l’occasion de redéfinir une politique en matière de patrimoine et de qualité architecturale, car elles soutiennent fortement l’identité du village dans son cadre bâti. Elles nécessitent par contre une politique foncière volontariste et la recherche d’aides financières.

«Les dents creuses»

Situées au centre et à proximité du bourg, ces opérations préservent ou complètent le cadre urbain existant d’un village tant dans sa trame parcellaire que dans sa forme bâtie. Elles valorisent les espaces sous-utilisés amenant de fait une légère densification. Il s’agit généralement de programmes de logements collectifs soit privés et en accession, soit sociaux et locatifs. Ces opérations participent ainsi à la diversification de l’offre de logement, et permettent une plus grande mixité des fonctions que les réhabilitations, du fait de la proximité du centre et de l’utilisation plus aisée des rez-de-chaussée.

Ces opérations sont aussi l’occasion de redéfinir une politique en matière de qualité architecturale, car elles soutiennent fortement l’identité du village dans son cadre bâti. Elles nécessitent par contre, comme les réhabilitations, une politique foncière volontariste et la recherche d’aides financières.

Les lotissements et opérations groupées

Essentiellement situées en périphérie des bourgs, ces opérations permettent de compléter la structure urbaine d’un village et de redéfinir son rapport au paysage et à la campagne, par l’extension de la trame viaire et la modification de l’enveloppe urbaine. Elles peuvent offrir de nouvelles centralités articulées avec le centre ancien du bourg et sont l’occasion de redéfinir une politique urbaine en matière de logements, d’espaces publics, d’équipements et de réseaux de déplacements.

Habituellement orientées vers la maison individuelle et l’acquisition, ces opérations se diversifient de plus en plus dans leur offre, en proposant du locatif social et des programmes complémentaires de logements collectifs, voire d’accompagnement en activités et commerces. Elles nécessitent une attention particulière en matière d’aménagement, du fait de leur poids relatif par rapport à l’échelle du village. Ces projets d’initiative privée, et au départ sans grand investissement pour la collectivité, ont en effet, avec le temps, un impact très important, tant sur le plan financier qu’au niveau démographique pour la commune.

Intérêts des opérations

La diversification de l’offre de logements

Avec une pression foncière et un parc de logements qui ne permet pas de maintenir localement les jeunes et les personnes âgées, la diversification de l’offre est nécessaire. Elle exige une alternative sociale au logement individuel favorisant le logement collectif, en particulier locatif. Cette adaptation aux besoins est d’autant plus efficace qu’elle privilégie la mixité du logement (accession à la propriété, offre locative suffisante et diversifiée) et sa bonne répartition sur l’ensemble de la commune afin d’éviter les effets de concentration. La diversification de l’offre est souvent assurée par les opérations groupées ou les lotissements avec des logements collectifs, des équipements et des services. Elle est optimisée quand elle s’accompagne d’opérations de réhabilitation ou en «dents creuses» qui présentent une mixité à la parcelle.

La création d’équipements et de services

L’installation périurbaine d’une nouvelle population requiert des prestations et un investissement conséquents pour les communes. Il peut s’agir aussi bien d’un équipement privé ou public à vocation technique ou culturelle (équipement communal, gîted’étape, espace d’exposition) que de l’organisation de l’espace public (éclairage, signalétique, sécurité, déplacements) ou de services et de commerces. Face aux nouveaux besoins, les opérations de rénovation, de relocalisation ou de création à envisager sont des opportunités de développement à saisir.

La revitalisation des activités et des commerces de proximité

Avec des actifs travaillant à l’extérieur et une consommation de biens et de services hors de leur territoire, les communes voient leurs commerces de proximité se réduire et même disparaître. Le maintien des activités est d’autant plus difficile que les propositions sont rares et généralement à l’initiative des municipalités. Avec de plus en plus de possibilités et de formes de négociations entre les partenaires publics et privés, les choix programmatiques des opérations dépendent de la volonté politique et des opportunités foncières. Le niveau de desserte, la proximité et la «centralité» des opérations sont des éléments déterminants pour la revitalisation du tissu commercial et des activités.

Le respect de la morphologie urbaine et paysagère

Le développement urbain des communes rurales a connu jusqu’à présent une forte production de logements individuels. Ces extensions ont généré des formes et des programmes peu intégrés aux bourgs existants. Le respect de la morphologie urbaine et paysagère nécessite d’intégrer toutes ses composantes parcellaires (bâti, voirie et paysage), et ceci, de l’espace public à l’espace privé, depuis la forme générale du village jusqu’à l’élément isolé, tel un mur ou un arbre remarquable. Quand la valorisation du patrimoine bâti est efficacement réalisée par les réhabilitations, les opérations groupées et les lotissements, à travers la production d’espaces publics et de trames paysagères appropriés, elle permet aux communes de réaménager le rapport entre le bourg et sa campagne.

Un mode de développement et une configuration adaptés

Les opérations de réhabilitation, constructions en dents creuses et extensions, répondent chacune à des problématiques spécifiques tout en participant de manière complémentaire au développement modéré des bourgs et des villages. Leur mise en cohérence permet de définir et d’harmoniser la structure urbaine et paysagère du village dans ses éléments constitutifs. La taille, la position ainsi que le programme des opérations permettent de définir et d’équilibrer la programmation et la composition urbaine d’un bourg. Ces qualités permettent de mieux maîtriser les mécanismes de renouvellement et d’extension, de mieux équilibrer la répartition des logements, des équipements et des services, voire de prendre en compte la gestion des paysages. Présentées ici à l’échelle d’une commune, elles pourraient s’appliquer à un environnement intercommunal ou plus large encore.

Des aides, des outils et des partenaires

Pour la réussite des projets communaux ou privés, il est primordial de privilégier le qualitatif en amont de toute réalisation, que ce soit dans les documents réglementaires, au niveau des négociations ou lors des partenariats. Le développement d’un bourg ou d’un village, dans son environnement local et parfois extra-communal, s’exprime à travers des documents d’urbanisme et réglementaires d’échelles différentes. Ces derniers peuvent en effet permettre l’équilibre entre le développement de l’espace rural, sa protection et celle des paysages, le maintien de la diversité des fonctions urbaines et de la mixité sociale, et la préconisation d’une utilisation économe et équilibrée des espaces naturels.

Si l’échelle régionale, à travers son schéma directeur, en donne le cadre général, c’est surtout au niveau du PLU et de son PADD associé que se traduisent les propositions actives d’organisation du développement modéré des bourgs et des villages. L’intercommunalité et sa traduction dans les SCOT favorisent la qualité des projets, leurs réalisations et leurs financements par une réflexion plus globale, la prise de risque partagée et le développement des complémentarités et des solidarités.

Le montage d’opérations peut s’avérer complexe, voire lourd à porter dans le cas d’une ZAC. Les petites communes, généralement dépourvues de service d’urbanisme, ont besoin d’appuis extérieurs. Les CAUE, les SA HLM, les bureaux d’études privés et les PACT-ARIM peuvent les aider, depuis la prospection immobilière et foncière jusqu’à la sollicitation d’aides financières, voire le cas échéant, du suivi à la réalisation du projet.

Pour la «qualité» du projet, la tendance est au partenariat public/privé. Certaines municipalités n’hésitent pas à partager le risque avec les promoteurs pour valoriser un projet prévu «tout logement» d’un commerce ou d’un équipement. Cette négociation, dans un programme que le marché au départ ne propose pas, peut faciliter l’engagement des parties dans le projet.

Les politiques en faveur des bourgs et villages s’appuient sur les aides financières de l’État et surtout sur celles des collectivités territoriales (régions et départements). Adaptées aux différents projets, elles permettent le financement des études, l’acquisition de terrains, la réalisation de bâtiments et peuvent garantir les emprunts. Nombreux sont les projets qui ont comme unique objet, soit l’activité et le commerce (FISAC), soit la construction ou la réhabilitation d’habitat social (PLS, PLA-I, PLUS). Les autres portent sur le foncier (FDAF) ou sur le cadre de vie à travers plusieurs types de projets (contrat rural). Certaines de ces aides restent peu sollicitées par les communes. Faut-il y voir un manque d’information, un déficit de projets, ou une absence de volonté de la part des communes ?

Une politique volontariste

Le développement modéré des bourgs et des villages ne se fait pas seul. Avant d’être intégré par les logiques du marché, il doit être accompagné. Cette réalité implique une volonté politique. Il s’agit, pour les petites communes rurales, de se donner les moyens de maîtriser leur environnement au sens large : comprendre les lieux, les sites, la logique des acteurs et les modes d’actions possibles. Les communes doivent maîtriser de plus en plus précisément leurs cycles structurels (évolution démographique, finances publiques…), mais aussi répondre à la conjoncture et aux exigences socio-économiques telles que la pression foncière ou la demande croissante de qualité urbaine (niveau d’équipement, logement social, cadre de vie, patrimoine, etc.). La prise en compte de ces réalités implique une vision à long terme qui ne peut être partagée qu’à travers un projet global.

Ce projet permet aux communes rurales d’affirmer et de mettre en cohérence aussi bien leurs politiques foncières que leurs choix en matière de programmation urbaine ou d’organisation de société. C’est une base que les habitants peuvent s’approprier et faire évoluer. L’information, la concertation et le partage d’objectifs communs permettent d’atténuer les réticences locales, les logiques du «chacun pour soi» conduisant au refus de construire, les peurs de la perte de l’identité villageoise ou du brassage des populations et, inversement, de contrer certaines tendances au développement immodéré. Le projet partagé est un atout certain pour solliciter les acteurs indispensables de l’aménagement, tels que les promoteurs privés et les bailleurs sociaux, afin qu’ils s’impliquent, par exemple, dans la réalisation d’un parc de logements social suffisant et adapté ou dans la création d’équipements ou de services. Pour réussir leur développement modéré, les petites communes rurales doivent donc se donner les moyens nécessaires à toutes les étapes de leur aménagement. Cette démarche volontaire, souvent trop lourde pour une seule commune, engendre la nécessité croissante de contractualiser avec la sphère privée et de s’associer à d’autres collectivités.

Glossario

CAUE : Conseil d’architecture, d’urbanisme et de l’environnement

FDAF : Fond départemental d’action foncière

FISAC : Fond d’intervention pour les services, l’artisanat et le commerce

PACT-ARIM : Protection amélioration transformation de l’habitat – Association de restauration immobilière

PADD : Plan d’aménagement et de développement durable

PCLS : Prêt conventionné locatif social

PLA-I : Prêt locatif aidé – intermédiaire

PLS : Prêt locatif social

PLU : Plan local d’urbanisme

PLUS : Prêt locatif à usage social

SA HLM : Société anonyme d’habitation à loyer modéré

SCI : Société civile immobilière

SCOT : Schéma de cohérence territoriale

SDRIF : Schéma directeur de la région Île-de-France

ZAC : Zone d’aménagement concerté

ZNIEFF : Zone naturelle d’intérêt écologique, floristique et faunistique



Nota: il testo integrale (con le schede illustrate di progetti), insieme alle altre pubblicazioni sul sito dello IAURIF (f.b.)

Materiali scelti e tradotti per Eddyburg dal sito dell’associazione: Futurewise: Building Communities, Protecting the Land – a cura di Fabrizio Bottini

La nostra ragione d’essere

Futurewise è un gruppo di azione pubblica dello stato di Washington, che lavora per evitare che un’eccessiva edificazione sottragga lo spazio delle zone di campagna e rurali, delle foreste, e per rendere le nostre città dei buoni posti in cui vivere.

Siamo l’unico gruppo a livello statale che opera perché i governi locali amministrino lo sviluppo in modo responsabile.

Fondato nel 1990 [lo stesso anno del Growth Management Act statale n.d.T.], Futurewise può vantare una straordinaria serie di iniziative sulle questioni del growth management, e di principale sostenitore a livello statale delle politiche di smart growth.

I programmi di organizzazione, sostegno, legali, di divulgazione e supporto tecnico offerti dal gruppo ad associazioni locali, sono diventati la base per una buona gestione della crescita nello stato di Washington.

Nel 2005, l’associazione ha cambiato nome: da 1000 Friends of Washington a Futurewise per esprimere meglio l’obiettivo che ci poniamo.

Futurewise: 15 anni di risultati

Nel febbraio 2005 1000 Friends of Washington ha cambiato il suo nome in Futurewise. Ma è la stessa organizzazione di sempre, solo con un nome che trasmette in modo più adeguato la nostra attività.

Il successo di Futurewise si basa su: organizzazione di una forte struttura di base per una migliore gestione della crescita; sostegno ad altre iniziative per realizzare coalizioni e formare attivisti; costruzione di un certo potere nel tempo, coltivando i rapporti con alcuni ambiti chiave delle decisioni.

Negli scorsi anni, Futurewise ha conseguito vittorie importanti a livello statale. Abbiamo:

- rafforzato in modo sostanziale la tutela dei fiumi, corsi d’acqua minori e zone umide, fissando alcuni limiti al disboscamento per proteggere la quelità delle acque nelle zone rurali delle contee di King e Pierce.

- triplicato la quantità di zone agricole protette nella Pierce County, sino a quasi 15.000 ettari, e scongiurato più di 10.000 potenziali lotti edificabili riformando la maggior parte delle ordinanze di zoning che consentivano lotti inferiori ai due ettari in zona rurale.

- convinto la Whatcom County a tornare sulla decisione di destinare due aree sensibili lungo la costa della Puget Sound (Point Whitehorn e Birch Point) allo sviluppo urbano.

- protetto più di 350 ettari di zona rurale della Walla Walla County dall’insediamento diffuso.

Futurewise ha avuto dei successi anche con il governo statale. Nel 2002, l’associazione ha redatto e fatto approvare quattro progetti di legge che aiutano a fermare lo sprawl. Nel 2003 e 2004, Futurewise ha bloccato un esplicito attacco alla pianificazione dello sviluppo, fermando più di una dozzina di cattivi progetti di legge già approvati dal Senato. Abbiamo anche collaborato all’approvazione di un progetto che rafforza la tutela delle coste.

Per quanto riguarda iniziative e referendum a livello statale, Futurewise ha collaborato a sconfiggere il progetto R-48 sui diritti di proprietà nel 1994, ed è stato la punta di diamante della campagna contro l’iniziativa 745 nel 2000: la prima sconfitta di Tim Eyman alle urne.

Futurewise ha ottenuto nel 1999 il riconoscimento del Daniel Burnham Award dalla American Planning Association, che viene dato ogni anno su scala nazionale per un efficace lavoro svolto verso città più vivibili.

Uso del Suolo

Le decisioni sull’uso dello spazio – ovvero le risposte alla domanda: “Cosa costruiremo ora, e dove?” – sono al centro dell’impegno di Futurewise e del movimento per la smart growth.

Luogo centrale della questione nello stato di Washington oggi sono gli aggiornamenti dei piani generali di circoscrizione e le ordinanze per le critical areas ai sensi del Growth Management Act.

A nove delle contee occidentali (e alle città in esse) è stato richiesto di adottare nuovi piani generali e ordinanze per le critical areas nel 2004. Altre sei lo faranno entro il 2005, e altre sette nel 2006.

Futurewise ha partecipato al vivo dibattito locale di tutte le contee, convincendo rappresentanti locali a sottrarre decine di migliaia di ettari agricoli all’edificazione e aumentando le tutele per fiumi, corsi d’acqua minori, aree umide e altre zone sensibili.

[...]

Gli spazi urbani

Futurewise è l’unica organizzazione non-profit impegnata esclusivamente ad ottenere una corretta pianificazione territoriale e una programmazione dello sviluppo nello stato di Washington. Ci dedichiamo alla tutela delle risorse naturali e a rendere le nostre città posti migliori in cui vivere. Una componente chiave nel creare comunità migliori è quella di offrire case a prezzi accessibili nelle aree urbane.

Attraverso il programma di densificazione locale urbana [ infill], Futurewise opera per offrire le densità urbane di cui lo stato di Washington ha bisogno. Attualmente:

- partecipiamo alla Better Cities Coalition, un’organizzazione a larga base che unisce interessi ambientalisti, del mondo immobiliare e delle costruzioni;

- promuoviamo l’incremento nell’uso degli alloggi accessori;

- studiamo e proponiamo modifiche alle regole di zoning che limitano senza motivo gli aumenti delle densità locali.

Nota: il testo originale, integrale, e corredato di tutta la documentazione accessoria, al sito Futurewise. Su Eddyburg gli stessi argomenti sono proposti attraverso estratti dal Growth Management Act statale, e dai piani generali della King County, della città di Seattle, della cittadina di Des Moines (f.b.)

Washington State, Growth Management Act, 1990 (RCW 36.70A) – Estratti e traduzione per Eddyburg a Cura di Fabrizio Bottini

[...] Scopi di pianificazione (RCW 36.70A.020)

Vengono adottati i seguenti obiettivi a orientare la redazione e adozione di piani generali [ comprehensive plans] e norme edilizie [ development regulations] nelle contee e città a cui viene richiesto, o che scelgono, di pianificare ai sensi della presente legge. Gli obiettivi seguenti non sono elencati in ordine di priorità, e devono essere intesi al solo scopo di guidare lo sviluppo di piani generali e norme edilizie:

(1) Crescita urbana. Sostenere lo sviluppo urbano nelle aree dove esistono o possono essere realizzati in modo efficiente servizi e strutture adeguate.

(2) Riduzione dello sprawl. Ridurre la trasformazione di aree libere in insediamenti urbani diffusi a bassa densità.

(3) Trasporti. Sostenere un sistema di trasporto efficiente e multimodale, basato su priorità regionali e coordinato coi piani generali di contea e urbani.

(4) Abitazione. Sostenere la disponibilità di abitazioni a prezzi accessibili per tutti i segmenti economici della popolazione dello stato, promuovere varie densità residenziali e tipi edilizi, sostenere la conservazione dello stock abitativo esistente.

(5) Sviluppo economico. Sostenere in tutto il territorio dello stato uno sviluppo economico coerente con i piani generali adottati, promuovere le opportunità economiche per tutti i cittadini dello stato, in particolare disoccupati e persone svantaggiate; incoraggiare la crescita in aree di insufficiente sviluppo economico, il tutto entro le potenzialità dello stato intermini di risorse naturali, servizi pubblici, infrastrutture.

(6) Diritti della proprietà privata. Le proprietà private non saranno acquisite per l’uso pubblico senza giusto indennizzo. I diritti dei proprietari di suoli saranno tutelati da azioni arbitrarie e discriminatrici.

(7) Autorizzazioni. Le richieste per il rilascio di permessi sia statali che locali dovranno essere esaminate in tempi e modalità adeguate, a garantire tempi certi.

(8) Attività legate alle risorse naturali. Conservare e sviluppare le attività che hanno come base le risorse naturali, come quelle del legname, l’agricoltura, la pesca. Sostenere la conservazione delle foreste e terre agricole a scopi produttivi, scoraggiando gli usi incompatibili.

(9) Spazi aperti e per il tempo libero. Sostenere il mantenimento degli spazi aperti e lo sviluppo delle attività per il tempo libero, conservare gli habitat della selvaggina e fauna ittica, aumentare l’accessibilità alle zone e acque naturali, sviluppare i parchi.

(10) Ambiente. Proteggere l’ambiente ed elevare la qualità di vita nello stato, compresa la qualità dell’aria e delle acque, e la disponibilità idrica.

(11) Coordinamento della partecipazione dei cittadini. Incoraggiare il coinvolgimento dei cittadini nei processi di pianificazione, assicurando il coordinamento fra comunità e circoscrizioni amministrative per ricomporre i conflitti.

(12) Servizi e strutture pubbliche. Assicurare adeguati servizi e infrastrutture a sostegno degli insediamenti, nel momento in cui le aree vengono rese disponibili per l’uso, senza abbassare i livelli di servizio al di sotto di standards minimi fissati localmente.

(13) Tutela storica. Individuare e incoraggiare la tutela di aree, luoghi e strutture con significato archeologico o storico.

[...]

Piani generali – Zone di sviluppo urbano (RCW 36.70A.110)

(1) Ciascuna contea alla quale è richiesto o che sceglie di redigere un piano ai sensi della presente legge dovrà individuare una zona di sviluppo urbano entro la quale venga incoraggiata la crescita e all’esterno della quale tale crescita possa avvenire solo se non si tratta di sviluppo urbano. Ciascuna città localizzata entro la contea sarà inclusa in una zona di sviluppo urbano. Una zona di sviluppo urbano può comprendere più di una città. Possono essere inclusi territori localizzati esternamente a una città se questi territori sono già caratterizzati da crescita urbana, che includano o meno un centro urbano, o siano adiacenti a territori già caratterizzati da crescita urbana, oppure destinati a nuovi insediamenti del tipo definito al punto RCW 36.70A.350.

(2) In base alla crescita di popolazione prevista e pianificata per la contea dall’ufficio di gestione finanziaria, contea e città incluse dovranno prevedere zone e densità sufficienti a consentire la crescita programmata per la città o contea nel successivo periodo di vent’anni, eccetto per le zone di sviluppo urbano totalmente incluse entro una riserva storica nazionale.

Ciascuna zona di sviluppo urbano deve consentire densità di tipo urbano, e comprendere aree a fascia verde di interposizione [ greenbelt] e spazi aperti. Nel caso di aree di sviluppo urbano totalmente incluse entro una riserva storica nazionale, la città può ridurre densità, intensità, e forme della crescita, così come stabilito necessario a tutelare l’integrità fisica, culturale, storica della riserva. Una designazione a zona di sviluppo urbano può contenere ragionevoli elementi legati all’offerta di mercato delle aree, e deve consentire una vasta gamma di densità e funzioni urbane. Nel determinare il fattore di mercato, città e contee possono prendere in considerazione le circostanze locali. Città e contee hanno discrezione riguardo alle scelte di sistemazione della crescita urbana entro i propri piani generali.

[...]

(3) Lo sviluppo urbano dovrà essere localizzato: in primo luogo in aree già caratterizzate da crescita urbana con adeguate strutture pubbliche e capacità di servizio commisurate a tale sviluppo; in secondo luogo in aree già caratterizzate da crescita urbana che possono essere servite adeguatamente unendo servizi e strutture pubbliche esistenti e altri servizi e strutture aggiunti con risorse pubbliche o private; in terzo luogo nelle rimanenti porzioni delle zone di sviluppo urbano. La crescita può essere anche collocata entro zone di nuova urbanizzazione così come definite al punto RCW 36.70A.350.

(4) In generale, le città sono gli enti di governo locale più adatti a fornire i servizi pubblici urbani. In genere, non si presume che i servizi pubblici urbani vengano realizzati o ampliati nelle zone rurali, eccetto in quelle limitate circosctanze ove ciò si dimostri necessario a proteggere la sanità pubblica e l’ambiente, e dove tali servizi siano finanziariamente sostenibili alle densità rurali, e non sia consentito uno sviluppo urbano.

[...]

(6) Ogni contea includerà le destinazioni a zone di sviluppo urbano entro il proprio piano generale [comprehensive plan].

(7) Una zona di sviluppo urbano definita secondo i presenti criteri può contenere entro i propri confini aree dei servizi urbani o potenziali aree di annessione a città o cittadine entro la contea.

Nota: il testo completo originale del Growth Management Act è disponibile al sito della Washington State Legislature, in particolare per questi estratti la prima parte sugli Scopi di pianificazione - RCW 36.70A.020); e la seconda parte sulle Zone di sviluppo urbano - RCW 36.70A.110 ; su Eddyburg, un esempio di applicazione pratica della Zona di Sviluppo Urbano alla dimensione di contea, nel piano generale della King County in quello di Seattle e in quello della cittadina di Des Moines; a tutelare e diffondere lo spirito del Growth Management Act, opera dal 1990 l'associazione Futurewise(f.b.)

La cittadina di Des Moines, a sud di Seattle, di cui propongo di seguito alcuni estratti dal piano regolatore, non va confusa con la più grande e importante omonima città dello Iowa. Il nome non è comunque frutto di pura coincidenza: il piccolo centro fra la sponda della Puget Sound a ovest e il tracciato della Interstate 5 a est, è stato fondato proprio da pionieri provenienti da Des Moines, Iowa (f.b.)



City of Des Moines (Wa), Greater Des Moines Comprehensive Plan (adottato il 5 gennaio 2004); Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini - Capitolo 2: Elemento uso del suolo

2-01 OBIETTIVI

2-01-01 – Conservare e migliorare i quartieri residenziali della città e servirli attraverso distretti terziari vitali, spazi aperti, strutture per il tempo libero, e altri usi dello spazio complementari.

2-02 PREMESSE

2-02-01 – La città di Des Moines e l’area di piano della Grande Des Moines sono altamente edificate, con un sistema insediativo consolidato. La maggior parte dello spazio è edificata a funzioni residenziali a case unifamiliari, con i complessi multifamiliari e l’insediamento commerciale nella zona del centro/marina, e lungo la Pacific Highway, Interstate-5, e grandi arterie di traffico urbano come la Kent-Des Moines Road. [..]

2-02-02 – Nell’aprile 1995, il 48% degli alloggi nella città di Des Moines erano case unifamiliari; il 49% fra appartamenti, condomini, case di riposo e altre strutture collettive; il 3% case mobili.

2-02-03 – Le previsioni del piano generale per la Grande Des Moines 1981-1990 erano di un incremento del 34% degli alloggi in appartamenti e condomini, e del 19,5% nelle tipologie unifamiliari entro la città di Des Moines. Di conseguenza il 59% degli alloggi totali avrebbe dovuto essere in appartamenti o condomini, e il 41% unifamiliari. Questo piano prevede che il 52% del totale degli alloggi sia diviso fra appartamenti e condomini, e il 46% in tipi unifamiliari, mentre il totale degli alloggi dovrebbe essere inferiore alle previsioni del piano 1981-1990.

2-02-04 – Il piano del 1981-1990 non era coerente con gli azzonamenti delle amministrazioni confinanti, né con il Growth Management Act, le Countywide Planning Policies della King County, o la Zoning Map di Des Moines. Complessivamente, tutte queste incoerenze hanno motivato la redazione e adozione di un nuovo piano generale per la Grande Des Moines.

2-02-05 – Il piano generale della King County e quello delle strategie di sviluppo regionale per l’area della Puget Sound, Vision 2020, contengono obiettivi e politiche tesi a promuovere uno sviluppo compatto delle aree urbane. La Policy V.B.U-502 nel piano della King County (Ordinanza No. 11575) mira a una densità media di 17/20 alloggi ettaro per i nuovi insediamenti nelle zone “urbane”. La strategia Vision 2020 fissa un minimo di 15/20 alloggi ettaro entro le Zone di Sviluppo Urbano esterne ai centri di attività.

2-02-06 – L’insediamento residenziale nella città di Des Moines ha una densità netta media di 15 alloggi ettaro.

2-02-07 – L’attuazione delle previsioni contenute nel piano 1981-1990 avrebbe dato una densità netta media di 18,8 alloggi per ettaro nella città di Des Moines. Il presente piano generale per la Grande Des Moines mantiene la medesima densità.

2-02-08 – Un sondaggio di pubblica opinione condotto nel 1990 mostrava che i cittadini nell’area di piano della Grande Des Moines avevano le seguenti opinioni riguardo all’uso dello spazio:

(1) La qualità dei quartieri è buona;

(2) L’aumento dei complessi multifamiliari dovrebbe essere contenuto;

(3) I complessi multifamiliari sarebbero più accettabili nelle aree adiacenti la Pacific Highway South, le grandi arterie urbane e freeways, o in zone dove già esistono insediamenti multifamiliari;

(4) Esiste un diffuso interesse riguardo agli effetti della crescita sulla comunità, ed emerge un desiderio di conservare un’atmosfera da piccola città;

(5) La disponibilità di posti di lavoro locali non è una delle preoccupazioni principali.

2-02-09 – Molta parte dell’area edificata con insediamenti di case unifamiliari mescola varie forme di destinazione di zona a questo scopo.

2-02-10 – Le zone destinate a edificazione unifamiliare contengono classificazioni miste prive di un chiaro indirizzo.

[...]

2-03 POLITICHE

2-03-01 – Cercare un’armoniosa fusione fra gli spazi dell’abitazione, del lavoro, dello shopping, del tempo libero e della cultura.

2-03-02 – Conservare dove opportuno gli spazi aperti, per:

(1) Proteggere le aree di sensibilità ambientale;

(2) Offrire una separazione visiva fra i vari usi dello spazio, i quartieri, i limiti cittadini;

(3) Attenuare gli impatti visivi e ambientali dei nuovi insediamenti.

2-03-03 – Contenere l’edificazione futura entro zone dove esistano o possano essere contemporaneamente realizzati adeguati servizi e strutture.

2-03-04 – Conservare l’unitarietà dei quartieri di case unifamiliari esistenti.

2-03-05 – Promuovere modi di uso dello spazio, dimensioni e densità tali da sostenere i servizi di trasporto pubblico e incoraggiare gli abitanti a spostarsi a piedi e in bicicletta, oltre che offrire la possibilità di un uso dell’automobile sicuro e comodo.

2-03-06 – Contenere la quantità di nuovi insediamenti a tipi multifamiliari, per mantenere un equilibrio fra i vari tipi di alloggi e conservare i caratteri dei quartieri.

(1) In futuro l’edificazione multifamiliare dovrà essere limitata ad aree dove è predominante l’insediamento e la destinazione a questi tipi.

(2) Gli alloggi multifamiliari devono essere consentiti anche congiuntamente agli insediamenti commerciali entro il Downtown Business District, posto che tali alloggi siano progettati a offrire un ambiente residenziale ad alta qualità, migliorando aspetto e funzionalità del quartiere commerciale.

(3) Dove siano consentiti alloggi multifamiliari, la densità deve essere limitata. Nella zona ovest del Downtown Business District, la densità non deve superare i 70 alloggi ettaro. Fra il tracciato della Interstate-5 e le fasce commerciali lungo la Pacific Highway South, e nelle zone di alloggi multifamiliari prospicienti le fasce commerciali della Pacific Highway South, la densità non deve superare i 50 alloggi ettaro. Altrove, la densità non deve essere superiore ai 35 alloggi ettaro.

2-03-07 – Devono essere prese in considerazione le tipologie townhouse e duplex [abbinata] in zone che:

(1) Sono intermedie fra le aree ad abitazioni singole e usi a maggiore intensità;

(2) Non contengano una quantità dominante di alloggi unifamiliari in buone condizioni di manutenzione;

(3) Non siano adatte ad un uso futuro ad abitazioni unifamiliari singole;

(4) Siano destinate ad insediamento plurifamiliare.

2-03-08 – Ampliare e migliorare le vitalità economica dei distretti commerciali esistenti, riconoscendo le particolarità di ogni singolo distretto.

(1) Promuovere nuova edificazione e riedificazioni all’interno del Downtown Business District a sottolineare e rafforzare i legami col waterfront, la pedonalità, i il ruolo nello shopping locale e nei servizi.

(2) Consentire alla fascia commerciale della Pacific Highway di sviluppare una vasta gamma di funzioni, a servizio di una clientela locale e regionale e riflettendo l’orientamento automobilistico del quartiere.

2-03-09 – La città deve pianificare l’edificazione futura del quartiere North Central riconoscendo:

(1) L’impatto acustico dei velivoli esistente come riconosciuto dal 1995;

(2) I progetti per un futuro business park e insediamenti commerciali simili a nord del quartiere, nel territorio dell’amministrazione di SeaTac;

(3) L’impatto dei nuovi interventi sugli insediamenti esistenti dentro e fuori il quartiere;

(4) Le necessità in termini di trasporto e infrastrutture dei nuovi interventi;

(5) Le potenzialità dei nuovi interventi rispetto al miglioramento della qualità ambientale o economica della città.

2-03-10 – Entro la fascia della Marina di Des Moines, consentire usi commerciali dipendenti o connessi all’acqua, a servizio degli utenti della marina, o che incoraggino l’accesso pubblico alla riva.

[...]

2-04 STRATEGIE

2-04-01- Predisporre specifici piani di azzonamento per i Quartieri così come delimitati sull’apposita mappa.

2-04-02 – Classificare le superfici della Zoning Map della città di Des Moines in modo coerente con funzioni e densità del piano generale per la Grande Des Moines.

(1) I terreni destinati dalla Land Use Map all’insediamento unifamiliare dovranno avere le classificazioni e densità seguenti:

[ sintesi mia delle Tabelle n.d.T.: Zona Unifamiliare Bassa Densità: max 7 alloggi/ettaro; Zona Unifamiliare Media Densità: max 12 alloggi/ettaro; Zona Unifamiliare Alta Densità: max 15 alloggi/ettaro; Zona Townhouse/Duplex: max 22-30 alloggi/ettaro; Zona Multifamiliare Media Densità: max 44 alloggi/ettaro; Zona Multifamiliare Alta Densità: max 60 alloggi/ettaro; Zona Multifamiliare Massima Densità: 90 alloggi/ettaro ( conversione delle densità acri-ettari con qualche arrotondamento)];

2-04-03 – Le superfici destinate dalla Land Use Map a servizi pubblici devono essere utilizzate per strutture pubbliche e semipubbliche quali uffici dell’amministrazione e del governo, edifici pubblici per distribuzione, magazzini, produzione, manutenzione, marine, scuole, caserme, biblioteche.

2-04-04 – Le regole di zoning urbane devono essere conformate alla Greater Des Moines Comprehensive Plan Land Use Map come segue:

(1) La città deve cominciare a ridestinare le aree in modo conforme al piano dove:

(a) La land use map indica abitazioni unifamiliari, ma il piano vigente consente tipologie multifamiliari o destinazioni commerciali;

(b) La land use map indica alloggi multifamiliari, ma il piano vigente consente destinazioni commerciali;

(c) La land use map indica alloggi designates multifamiliari e il piano vigente classifica Zona RM [ Residential Multifamily], ma sono consentite densità maggiori.

[...]

Nota: Sullo stesso tema, qui su Eddyburg, estratti dal Growth Management Act statale, da piano di Seattle e dal piano generale della King County, la contea che comprende il territorio di Des Moines; La documentazione completa del Comprehensive Plan (che comprende anche aspetti non strettamente urbanistici) al sito del Department of Community Development di Des Moines (f.b.)

Metropolitan King County Council, 2004 King County Comprehensive Plan (adottato il 27 settembre 2004) – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

[...] Usi del suolo urbani

Insediamenti cittadini

La sfida che attende la King County e i suoi abitanti è di costruire comunità urbane che offrano spazi e scelte alle persone, per come desiderano vivere, rispondendo anche alle diverse esigenze culturali ed economiche. Le zone urbane hanno bisogno di più che non delle infrastrutture fisiche. Necessitano anche di una vasta gamma di servizi alle persone e per il tempo libero per renderle luoghi attraenti e sicuri per vivere e lavorare, tutelando l’ambiente e mantenendo l’alta qualità della vita che tutti apprezziamo.

U-101 – L’insediamento entro la Zona di Sviluppo Urbano deve realizzare comunità sicure, sane, diversificate. Queste comunità devono contenere una varietà di abitazioni a prezzi accessibili e opportunità di impiego, scuole e strutture di ricreazione, e devono essere progettate in modo da proteggere l’ambiente naturale e le risorse culturali più significative.

1. La Zona di Sviluppo Urbano

Il Growth Management Act richiede che la contea definisca una Zona di Sviluppo Urbano là dove dovranno trovar posto la maggior parte della crescita ed edificazione previste per la King County. Perimetrando le Zone di Sviluppo Urbano, la King County e le altre contee potranno:

• Limitare l’insediamento diffuso;

• Ridurre i costi sostenendo un’edificazione più concentrata;

• Migliorare l’efficienza dei servizi agli abitanti, delle strutture e dei trasporti;

• Proteggere le zone rurali e aree naturali;

• Aumentare gli spazi aperti.

La Zona di Sviluppo Urbano [Urban Growth Area – UGA] della King County è rappresentata nella Land Use Map ufficiale allegata al presente piano. Le politiche di piano a scala di contea [Countywide Planning Policies – CPP] costituiscono la cornice utilizzata dal Metropolitan King County Council nell’adozione della UGA entro il Comprehensive Plan del 1994.

La Zona di Sviluppo Urbano/UGA comprende tutte le città della contea, incluse quelle nella Zona Rurale, quelle di annessione alle zone urbane, quelle non comprese nelle circoscrizioni municipali [unincorporated] caratterizzate da una crescita di tipo urbano. La UGA comprende anche i Bear Creek Urban Planned Developments a est di Redmond. Si veda il Capitolo 3, Rural Legacy and Natural Resource Lands, per ulteriori linee guida riguardo alla crescita nelle aree rurali di annessione alle città.

La UGA totale nella King County copre 1.200 kmq, meno di un quarto dell’area totale della contea. Sono le città a contenere la maggior parte di questa superficie, con 990 kmq, mentre la quota delle zone esterne ai confini municipali è di circa 200 kmq, secondo l’edizione 2003 del “King County Annual Growth Report”.

U-102 – La Zona di Sviluppo Urbano riportata nella Land Use Map ufficiale comprende terreni sufficienti a contenere la crescita prevista per il periodo 2001-2022. Queste superfici includono solo terreni che rispondono ai seguenti criteri.

a. Sono caratterizzati da insediamento urbano che può essere, a costi convenienti ed efficientemente, servito da strade, reti idriche, fognature nere e bianche, scuole e altri servizi pubblici entro i prossimi vent’anni;

b. Non si estendono oltre confini naturali come spartiacque, che ostacolerebbero la fornitura dei servizi urbani;

c. Rispettano le caratteristiche topografiche che definiscono limiti naturali, come fiumi e linee di crinali;

d. Sono sufficientemente liberi da vincoli ambientali per consentire la crescita di tipo urbano senza grandi impatti, salvo quando le aree sono destinate a elemento di separazione urbano da accordi inter-amministrativi;

e. Sono comprese entro i siti classificati Bear Creek Urban Planned Development (UPD);

f. Non si tratta di zone rurali, o agricole e forestali non comprese in circoscrizione municipale, classificate secondo il Countywide Planning Policies Plan.

U-103 – Le singole zone definite che vengano tagliate dalla linea della Zona di Sviluppo Urbano devono essere riclassificate interamente, o urbane o rurali, salvo quando la divisione non riconosca elementi si sensibilità ambientale, o accordi inter-amministrativi, o altri piani della King County.

Alcune città sui margini della Zona di Sviluppo Urbano gestiscono parchi nella Zona Rurale. Questi parchi possono essere stati acquisiti dalle amministrazioni tramite acquisto diretto, o con accordo di trasferimento con la King County.

Le città possono continuare a gestire i parchi nella Zona Rurale, coerentemente agli standards urbanistici per le aree rurali. In casi specifici, le amministrazioni possono richiedere che i parchi siano riclassificati come urbani, per consentire nel futuro annessione al territorio municipale.

U-104 – Le proprietà rurali nelle immediate adiacenze dei confini di una municipalità, per cui è prevista la destinazione a parco da parte dell’amministrazione cittadina, possono essere riclassificate come urbane se l’amministrazione si impegna a destinare in modo permanente la zona a parco, in modo ritenuto soddisfacente dal King County Council, e:

a. Il terreno ha dimensione non superiore ai 15 ettari ed è stato acquisito dalla città prima del 1994; oppure

b. Il terreno ha dimensione non superiore ai 15 ettari e riceve sostegni dalla contea sotto forma di sovvenzioni per parco o strutture tempo libero, tramite accordo fra la King County e la città; oppure

c. Il terreno è o è stato un parco della King County ed è stato trasferito, o è in via di trasferimento, alla città.

[...]

King County Comprehensive Plan 2004, Legenda

2. La crescita delle città e centri urbani, e la promozione della salute collettiva

Il King County Comprehensive Plan influenza direttamente le decisioni di uso del suolo solo nelle zone della contea non comprese entro amministrazioni municipali. Ma le città contengono la maggior parte della base economica della contea, la maggior parte della popolazione urbana, e offrono servizi di tipo urbano alle adiacenti zone unincorporated. In più, molti servizi che sono vitali per lo sviluppo urbano sono offerti alle zone esterne ai municipi da distretti speciali indipendenti creati a questo scopo. Le Countywide Planning Policies orientano lo sviluppo dei centri urbani, che si trovano localizzati nelle città e devono contenere concentrazioni di residenza e attività economiche. Il ruolo significativo di città e distretti deve quindi essere riconosciuto nei meccanismi decisionali di contea, e nella pianificazione futura.

Focalizzare lo sviluppo nelle zone urbane può avere un effetto positivo sulla salute collettiva. La percentuale di abitanti della King County sovrappeso o obesi è salita rapidamente dalla fine degli anni ‘80. Insieme all’obesità aumentano i rischi di diabete, ipertensione, patologie cardiache. L’evidenza suggerisce una spiegazione alla diffusione dell’obesità, nella mancanza di attività fisica. I modi dello sviluppo nelle aree suburbane, che scoraggiano gli spostamenti a piedi e promuovono la dipendenza dall’uso dell’automobile privata, hanno contribuito a questo problema di salute collettiva.

Le città che offrono usi diversificati dello spazio, densità residenziali maggiori, marciapiedi, collegamenti stradali e servizi a breve distanza, incoraggiano attività fisiche come camminare e andare in bicicletta.

U-106 – La maggior parte dello sviluppo residenziale e delle attività produttive deve localizzarsi nel sistema continuo della Zona di Sviluppo Urbano nell’area ovest della King County, specialmente nelle città e nelle Potential Annexation Areas.

U-107 – La King County sostiene azioni di uso dello spazio e destinazione d’uso che promuovano la salute collettiva aumentando le opportunità per ogni abitante di essere più attivo fisicamente. Tali azioni comprendono: concentrazione della crescita entro la Zona Urbana, promozione di centri di carattere urbano, consentire insediamenti a funzioni miste, realizzare collegamenti pedonali.

U-108 - LaKing County sostiene lo sviluppo di Urban Centers per rispondere al bisogno regionale di abitazioni, posti di lavoro, servizi, cultura e tempo libero promuovendo la salute. Tali strategie comprendono l’esplorazione delle opportunità di insediamenti tipo Joint Development o Transit Oriented Development , localizzazione degli spazi pubblici nelle zone a funzioni miste, promozione e uso delle proprietà di contea nei centri urbani.

U-109 – La King County deve concentrare servizi e strutture entro la Zona di Sviluppo Urbano per renderla un luogo desiderabile per vivere e lavorare, aumentare le opportunità di spostamento a piedi o in bicicletta nei centri abitati, un uso più efficiente delle possibilità delle infrastrutture esistenti, la riduzione dei loro costi di manutenzione sul lungo termine.

U-110 – La King County collabora con le amministrazioni, in particolare quelle classificate centri urbani, nello sforzo di trasferimento delle densità dalla Zona Rurale.

U-111 – Gli standards urbanistici per le zone urbane devono enfatizzare gli strumenti tali da consentire le massime densità possibili e i vari usi urbani che non compromettano così le aree ambientalmente sensibili. Alcune misure di mitigazione possono essere usate per scopi multipli, come il controllo del drenaggio, la ricarica della falda, la protezione dei corsi d’acqua minori, della qualità dell’aria, la conservazione degli spazi aperti, la tutela degli elementi storici e culturali, e del paesaggio. Quando tecnicamente fattibile, le norme devono essere semplici e misurabili, in modo tale da poter essere applicate senza lunghi processi di approvazione.

3. Obiettivi della Zona di Sviluppo Urbano

Le politiche di piano a scala di contea [Countywide Planning Policies – CPP] richiedono che l’amministrazione e quelle delle città prevedano obiettivi di crescita futura per le famiglie e i posti di lavoro articolati per circoscrizioni amministrative. Nel 1994, il Growth Management Planning Council ha adottato questi obiettivi di distribuzione della crescita prevista.

Le oscillazioni possibili negli obiettivi rappresentano le possibilità di scelta nelle politiche delle varie circoscrizioni, riguardo alla quota che intendono ospitare.La King County e le città hanno anche sviluppato obiettivi di occupazione che sostengano l’equilibrio locale fra popolazione e impieghi. Gli obiettivi per la crescita a livello di contea per quanto riguarda famiglie e occupazione nelle zone esterne ai municipi, sono contenuti nelle CPP.


King County Comprehensive Plan 2004, zone omogenee

Nel novembre 2002, sono stati fissati nuovi obiettivi di crescita a orientare lo sviluppo per il periodo 2001-2022. A ciascuna circoscrizione urbana, e alle zone della King County esterne ai municipi, sono stati assegnati obiettivi basati sulla disponibilità di suolo e altri fattori. La tabella completa degli obiettivi per le città “ Adopted 22-Year Household Growth Targets” è compresa nel presente capitolo [ ma non nei presenti estratti n-d-T.].

U-112 – Le politiche e norme di uso del suolo dovranno consentire un obiettivo di crescita di circa 13.400 famiglie, e circa 7.900 posti di lavoro entro il 2022, fissato nelle Countywide Planning Policies per le aree esterne ai municipi della Zona di Sviluppo Urbano.

U-113 – La King County offrirà spazi adeguati per la crescita residenziale, commerciale e industriale nelle zone urbane esterne ai municipi. Tale capacità insediativa comprende sia le opportunità di riurbanizzazione sia quelle di edificazione delle zone ancora disponibili.

U-114 – La King County userà gli obiettivi per famiglie e posti di lavoro per attuare il piano generale entro le comunità urbane. Gli obiettivi per le sub-aree esterne ai municipi verranno monitorati, e potranno venir precisate attraverso azioni future di piano, che tengano conto delle comunità, delle amministrazioni interessate, degli enti erogatori di servizi.

[...] Nota: la documentazione integrale del piano, al sito web della King County; su Eddyburg anche estratti dal Growth Management Act dello stato di Washington, che orienta le scelte generali di pianificazione sostenibile per lo sviluppo; sullo stesso argomento le zone mixed-use di Seattle; un esempio su scala più piccola è l'azzonamento della cittadina di Des Moines, compresa nel territorio della contea (f.b.)

Queensland (Aus.) Office of Urban Management, South Queensland Regional Plan(bozza ottobre 2004) – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Una visione regionale

La visione regionale individua le aspirazioni collettive di lungo termine per l’area, l’ambiente in cui volgiamo viviere ora, e insieme l’ambiente che vorremmo lasciare alle future generazioni. Si propone il testo seguente come base di discussione.

Un South East Queensland (SEQ) sostenibile, prospero e vivibile, dove:

• le città siano sicure, salubri, accessibili e socializzanti;

• esistano varie opportunità di lavoro e un’istruzione e servizi di alta qualità;

• lo sviluppo urbano sia sostenibile e ben progettato;

• si possa apprezzare e tutelare l’ambiente, godere e rispettare i corsi d’acqua, baie, spiagge, boschi.

Nel 2026, il SEQ è una regione di città interconnesse, con una popolazione di quasi quattro milioni di persone. Al su cuore sta Brisbane, città mondiale di oltre un milione di abitanti. Attorno alla capitale, la regione ospita un certo numero di aree urbane divise da spazi aperti, e molti piccoli e medi centri, ciascuno con sue caratteristiche e identità. È una regione centrata sulle possibilità di scelta e le diversità, con catene montuose e aree pianeggianti, la Baia e le isole, lunge spiagge, boschi e campi. Una regione con una qualità di vita invidiabile e sostenibile.

La struttura urbana

Il Piano Regionale individua sei orientamenti strategici per realizzare la struttura auspicata del South East Queensland.

Orientamenti strategici

Per raggiungere gli assetti desiderati dell’area, il Piano Regionale individua sei orientamenti strategici per conseguire la struttura spaziale futura prescelta.

Mantenere i valori paesistici e di produzione agricola regionale

I paesaggi naturali e rurali del South East Queensland riassumono molte caratteristiche ambientali, di produzione agricola, per il tempo libero, culturali ed estetiche, di alto valore per la popolazione della regione. Ambiente naturale e risorse che sottostanno alla vivibilità regionale, formano una componente sostanziale dell’economia e saranno protette dallo sviluppo urbano e dall’insediamento residenziale rurale.

Individuare gli spazi per localizzare la crescita futuraIl Piano Regionale individua spazi più che sufficienti a contenere la popolazione prevista, di 3,7 milioni di abitanti al 2026. Queste aree di crescita urbana sono distribuite nella regione in modo da facilitare scelta e accessibilità all’abitazione. La crescita futura verrà collocata in modo combinato, fra aumenti di densità locali e consolidamento degli insediamenti esistenti, e nuove urbanizzazioni e destinazioni d’uso a residenza rurale.Sono state individuate anche alcune Investigation Areas, a contenere insediamenti urbani di più lungo periodo, e per rispondere a bisogni collettivi e di mercato imprevedibili.

Sottolineare l’identità delle comunità regionali

Le aree urbane in crescita saranno contenute e strutturate entro zone paesistiche e di attività agricola, a conservare le interruzioni chiave inter-urbane che delineano dimensioni e caratteristiche delle comunità regionali. Queste discontinuità inter-urbane variano di dimensione, da quelle a separare l’area metropolitana di Brisbane e le coste Gold e Sunshine, fino agli spazi inter-urbani più piccoli che delimitano insediamenti locali. La struttura prescelta promuove anche il consolidamento della crescita entro e nelle immediate vicinanze dei villaggi rurali.

Realizzare zone urbane più compatte

La crescita urbana del futuro in SEQ si consoliderà attorno ai centri urbani di attività e nodi del trasporto pubblico. Verranno sviluppate nuove aree residenziali a densità in grado di sostenere servizi di trasporto pubblico. Spazi e infrastrutture verranno utilizzati in modo più efficiente ed economico.

Il Piano Regionale propone che una porzione significativa della futura crescita delle abitazioni sia collocata entro aumenti di densità locali, e riurbanizzazioni entro le zone abitate esistenti.

Promuovere la crescita entro il Corridoio Occidentale

Il Corridoio Occidentale ospita un’ampia porzione degli spazi regionali destinati allo sviluppo futuro delle attività terziarie, industriali, della nuova residenza su spazi liberi.

Nel Corridoio Occidentale sarà collocata una grande quantità della crescita demografica e della nuova urbanizzazione, perché quest’area offre l’opportunità di ottenere un buon rapporto fra occupazione, infrastrutture di trasporto e crescita di popolazione. Attraverso l’individuazione di aree di crescita urbana, e conferendo priorità a infrastrutture e servizi, il Piano Regionale mira ad attirare qui una maggior crescita economica e demografica.

Integrare uso del suolo e trasporti

La qualità della vita e le opportunità di sviluppo economico sono migliori, se esiste un facile accesso a un buon sistema di trasporti. Uso futuro dello spazio e trasporti saranno pianificati e realizzati in modo integrato, e la crescita urbana concentrata lungo linee e nodi di mobilità. Gli investimenti in infrastrutture e servizi di trasporto, distribuiti su tutte le modalità, produrranno e sosterranno la realizzazione della forma urbana futura voluta.

Schema insediativo

La bozza di Piano Regionale articola lo spazio del South East Queensland secondo cinque ampie categorie. Queste aree offrono il contesto spaziale per le Norme Tecniche (bozza) contenute nella parte “G” del Piano, meglio precisate nelle Mappe che del piano sono parte costituente.

La Zona Paesaggio Regionale e Area di Produzione Agricola comprende aree di valore regionale che contengano:

• Elementi di conservazione naturale di rilevanza statale o regionale;

• Ecosistemi di rilevanza regionale in pericolo o di interesse;

• Parchi nazionali, parchi conservativi, riserve naturali, aree di conservazione coordinata;

• Aree di tutela del koala o altri habitat importanti;

• Terreni agricoli di alta qualità e altre zone produttive rurali;

• Risorse economiche naturali come quelle estrattive e di colture forestali;

• Bacini naturali di risorse idriche e aree di ricarica della falda;

• Foreste originarie;

• Zone umide costiere;

• Superfici che formano zone strategiche regionali di discontinuità inter-urbana.

Scopo della Zona Paesaggio Regionale e Area di Produzione Agricola è di assicurare un tutele di lungo termine da forme di sviluppo inadatto, in particolare l’invadenza delle funzioni urbane e l’ulteriore frammentazione della proprietà terriera a causa delle residenze rurali e altre attività simili. Ciò è specificato nella bozza delle Norme Tecniche contenute nella parte G del Piano.

La Zona Paesaggio Regionale e Area di Produzione Agricola mantiene i diritti edificatori attuali, per consentire la prosecuzione delle attività più significative, che comprendono la produzione agricola, l’accessibilità delle risorse naturali, le scorte il turismo, le attività per il tempo libero basate sulla natura, la conservazione ambientale nelle aree a ciò destinate. Ad ogni modo, il Piano Regionale contempla la possibilità che alcune aree attualmente destinate a residenza rurale nei piani regolatori locali, ma non ancora edificate o comprese nella Zona a Residenza Rurale, avranno qualche limitata possibilità di sviluppo.

La zona Superficie Urbana[ Urban Footprint] comprende terre principalmente destinate alle necessità di sviluppo urbano della regione sino al 2026. Sono comprese superfici più che sufficienti a contenere una gamma completa di funzioni urbane correnti, quali residenza, industria, terziario, infrastrutture, servizi e spazi aperti urbani, oltre ad alcune aree a residenza rurale contigue a quelle urbane e ben localizzate rispetto a servizi e attrezzature. L’inclusione nella zona Urban Footprint non significa che tutte queste superfici siano utilizzabili a scopi urbani. Sono compresi anche terreni con un’ampia gamma di possibilità e vincoli, come le zone di biodiversità a valore statale, regionale o locale. Esisteranno quindi alcune superfici entro la zona Urban Footprint protette da leggi statali come il Vegetation Management Act 1999 o da piani governativi di scala locale, o comunque non disponibili per le funzioni urbane a causa di vincoli locali.

I piani regolatori delle amministrazioni locali, e gli Structure Plans, sono gli strumenti principali per stabilire gli usi del suolo più auspicabili, e i tempi dell’eventuale urbanizzazione entro la zona Urban Footprint.

Specificamente lo Urban Footprint:

• Definisce i limiti dello sviluppo urbano sino al 2026 utilizzando confini catastali o altri chiaramente identificabili margini fisici, come strade o corsi d’acqua;

• Concentra la crescita in zone che:

– siano ben localizzate riguardo alle infrastrutture urbane esistenti o di progetto, ai centri di attività e servizi;

– promuovano lo sviluppo di comunità coese, sostenendo un’ampia gamma di servizi e strutture;

– rappresentino una crescita ordinata delle attuali zone urbane o si rapportino a centri esistenti, come quelli minori della regione;

– abbiano accesso a luoghi di lavoro esistenti o previsti.

• Tiene conto dello sviluppo urbano attuale, delle destinazioni d’uso urbane e di residenza rurale contigue e pianificate secondo i progetti delle amministrazioni locali alla data dell’agosto 2004.

Le Investigation Areas comprendono superfici con valore paesistico o di produzione agricola generalmente contenuto, e che hanno pochi vincoli rispetto all’uso futuro come zone di sviluppo urbano. La possibilità delle Investigation Areas di contenere espansioni urbane future è definita nella bozza delle Norme Tecniche.

Le Investigation Areas costituiscono una potenziale riserva di suoli per lo sviluppo urbano futuro di medio-lungo termine, e per i corridoi infrastrutturali. È importante tutelare queste aree da usi inappropriati prima del tempo in cui possono risultare effettivamente utili. Non tutte le superfici, in ciascuna di queste zone, sono disponibili per l’urbanizzazione.

Criteri per le Investigation Areas

Prima di considerare qualunque sviluppo urbano delle Investigation Areas, devono essere soddisfatti i seguenti criteri:

• deve esistere un importante interesse pubblico nella realizzazione del progetto di insediamento (vedi Norme Tecniche);

• deve essere stata compiuta una dettagliata analisi e valutazione della zona in esame, per determinare il potenziale accettabile di urbanizzazione, vincoli e possibilità;

• devono essere state individuati i valori ambientali da proteggere, e tutti i possibili interventi di mitigazione degli impatti negativi;

• devono essere disponibili servizi e infrastrutture, e possono essere individuati e scaglionati economicamente nel tempo i necessari corridoi infrastrutturali adeguati rispondere alle domande;

• qualunque spesa non preventivata o aggiuntiva sarà sostenuta dai costruttori;

• dovranno essere progettate e realizzate le strutture sanitarie, educative, sociali e altri elementi comunitari;

• i nuovi insediamenti dovranno essere concepiti per creare comunità equilibrate, contenenti un’adeguata varietà di tipi e prezzi delle abitazioni;

• sarà parte integrante dell’insediamento una quota di case a prezzi concordati;

• nella progettazione dovranno essere utilizzati i principi di sostenibilità delle zone sub-tropicali, e riguardo alle forniture idriche, energetiche e di gestione dei rifiuti, traendo il massimo possibile vantaggio da tutte le opportunità di riuso;

• entro l’insediamento deve essere possibile creare posti di lavoro nell’industria o terziario, o deve esistere una chiara correlazione fra l’area e vicine possibilità di impiego, compresi precisi modi di spostamento casa-lavoro;

• l’insediamento deve essere concepito per offrire e mantenere sistemi di spostamento interni e verso l’esterno tramite mezzi pubblici, pedonali e ciclabili;

• devono essere rese disponibili in tutte le abitazioni e spazi per attività le più aggiornate tecnologie di comunicazione;

• devono essere messi a disposizione sia spazi aperti entro l’area, che – quando necessarie – fasce di discontinuità inter-urbane;

• l’insediamento deve essere coerente con gli scopi del Piano Regionale, con gli strumenti di pianificazione locale, coi piani e progetti di competenza statale.

[...]

Utilizzazione efficiente del suolo

Al 2026, saranno necessari circa 550.000 nuovi alloggi per contenere l’incremento di popolazione previsto a scala regionale. Proseguire nell’offerta di case unifamiliari singole a bassa densità nelle zone extraurbane è insostenibile, sia in termini di consumo di suolo che di costi dei servizi urbani.

L’alternativa è di offrire una maggiore quota di alloggi collocati in situazioni che traggano vantaggio dall’esistenza di strutture e servizi, e provvedere che anche l’urbanizzazione su terreni liberi avvenga utilizzando i suoli in modo efficiente.

Per promuovere il consolidamento nell’attuale zona di Urban Footprint, il Piano Regionale:

• fissa l’obiettivo di incremento della quota esistente di nuovi alloggi offerti tramite aumenti di densità locale [ infill] o riurbanizzazione [ redevelopment] sino al 40% di tutte le abitazioni unifamiliari singole o a gruppi realizzate nella regione dal 2004 al 2016, con aumento al 50% dal 2016 al 2026;

• chiede che tutti i principali insediamenti residenziali raggiungano una densità netta minima di 15 alloggi per ettaro. Queste zone possono comprendere varie proprietà o aree di intervento. La organizzazione esatta della miscela di densità insediative e tipi residenziali sarà determinata dallo Structure Plan;

• chiede che le maggiori densità dell’insediamento residenziale si concentrino attorno ai Centri di Attività Regionale e ai nodi di trasporto pubblico, per aumentare l’accessibilità ai servizi esistenti e di progetto.

Gli obiettivi delle quote di nuovi alloggi da realizzarsi tramite aumenti di densità locali o riurbanizzazioni sono medie regionali, e constano di 126.000 unità sulle 315.000 nuove abitazioni necessarie fra il 2004 e il 2016; e 118.000 sulle 225.000 fra il 2016 e il 2026.

La distribuzione di questi obiettivi regionali infill/ redevelopment fra le varie aree delle amministrazioni locali dipende da vari fattori, quali:

• dimensioni dell’area urbanizzata esistente e del numero e tipo di alloggi esistenti;

• accessibilità a posti di lavoro, servizi per l’istruzione, il tempo libero, trasporti pubblici;

• disponibilità di attrazioni naturali come spiagge o corsi d’acqua;

• disponibilità di spazi di espansione residenziale liberi;

• tendenze attuali nell’offerta residenziale.

Tenendo presenti tutti questi fattori, è chiaro come gli obiettivi di consolidamento e aumento di densità locale a scala regionale verranno conseguiti attraverso livelli relativamente alti di infill e di redevelopment entro le zone urbane delle principali amministrazioni, come Brisbane City o Gold Coast City.

[...]

Nota: la documentazione originale e integrale di questo Regional Plan (con mappe, norme tecniche ecc.) è disponibile al sito dello Office of Urban Management del Queensland; sul contesto australiano di pianificazione urbanistica e tutela dell’ambiente, ci sono altri vari estratti scelti di documenti in questa stessa sezione di Eddyburg (f.b.)

Per mia negligenza - ma ovviamente anche a causa della onnipotente casualità che governa gran parte della nostra vita - non mi ero mai imbattuto, sino a pochi mesi fa, in queste Immagini di persone in Calabria. Conoscevo il nome di Enzo Crea (non ancora l’amabile persona) ma mi era del tutto ignota l’esistenza di questo volume. E in tale mancata esperienza, non c’è dubbio, vi è qualche elemento di negligenza, essendomi io occupato di storia della Calabria per oltre un decennio. Ed esattamente nella fase in cui il testo di Crea vedeva la luce. Ma oggi simile circostanza si rivela con tutti i caratteri di un vantaggio di posizione: mi trovo infatti nella circostanza di osservare questa galleria di foto come se fossero state pubblicate appena ieri, con la freschezza di una scoperta, con la sensibilità di un osservatore che guarda a quei frammenti del nostro non lontano passato dall’alto ( o dall’abisso? ) del terzo millennio. Come se mi sporgessi a guardare quel mondo fissato in immagini da un’altra epoca.

Leggendo la bella introduzione che Rosario Villari ebbe a scrivere al volume nel 1982 ho subito percepito quanto radicalmente nuova fosse la mia prospettiva di lettura, come fosse mutata la mia posizione di osservatore rispetto a chi aveva potuto ammirare queste Immagini venti anni fa. Villari poteva guardare quei volti e quei gesti fissati con discrezione e amore da Enzo Crea, dalla sommità della “grande storia” che è venuta dopo e che li ha cancellati e sommersi. Da storico autorevole e testimone partecipe del suo tempo egli ha potuto osservare quelle ultime vestigia del mondo contadino, fatto di fatica e di miseria, dagli approdi ormai sicuri di una società profondamente modernizzata, liberata dalle antiche pene, approdata agli agi modesti ma rilevanti che lo sviluppo della seconda metà del Novecento ha portato nel nostro Sud. Dunque senza alcuna nostalgia - come ancora oggi continua a essere giusto - ma anche all’interno di una rassicurante visione storicizzante, di un quadro di serena razionalità. Il mondo contadino è scomparso, ma ad esso è successo una nuova fase storica che quel mondo ha assorbito in un equilibrio sociale più stabile, più libero, più aperto al cambiamento, all’informazione. Come non far proprio, in quei primi anni Ottanta, un così equilibrato e saggio punto di vista progressista?

Oggi questa prospettiva, lo dichiaro con nettezza, mi è radicalmente impedita. Le cose sono mutate troppo profondamente e in una direzione che molti di noi non avevano previsto. Io sono costretto a osservare le immagini dei contadini calabresi dei lontani anni cinquanta dal fondo di uno smarrimento profondo di razionalità sociale. Oggi siamo a un approdo diverso da quello immaginato. Quel movimento progressivo che era stato lo sviluppo economico del dopoguerra ha perso ogni telos, è diventata una corsa inquietante e sregolata verso la distruzione di ogni cosa: risorse, territori, ethos civile, rapporti umani. Lo svuotamento di senso dell’agire sociale, il prosciugamento di ambiti sempre più estesi della vita spirituale, non ci consentono oggi di guardare alla storia che ha sommerso la realtà contadina con la sicurezza fiduciosa di un tempo. Certo, nessuna nostalgia per una società di privazioni e di stenti. Nessun desiderio di « tornare indietro ». Ma l’idea di un procedere delle cose verso il meglio, di approdi sempre più avanzati conquistati dall’«andare avanti», non appartiene più alle menti che sanno osservare il nostro tempo.

Tale nuova prospettiva mi induce a osservare le foto allineate da Enzo Crea al di là del loro immediato contesto storico. Le immagini che esse riflettono non sono fissate agli anni della loro rilevazione, al momento congiunturale del loro “scatto”, ma sembrano sprofondare entro una temporalità molto più vasta. Se si fa eccezione per qualche dettaglio di vestiario e forse per una solo foto - quella che rappresenta un treno mentre sbuffa per la campagna - le persone ritratte in questi severi quadri in bianco e nero potrebbero appartenere all’Ottocento o al secolo precedente. Senza nessuna forzatura. Allo stesso tempo anche la regione geografica che ne costituisce lo sfondo è potenzialmente assai più vasta della Calabria: non solo le fugure e i luoghi ritratti potrebbero essere in Puglia o in Sicilia, ma anche in Albania, in Grecia, in Provenza, in Andalusia. E’ il vasto mondo mediterraneo con la sua solarità e anche con i suoi ritmi lenti, che vengono scanditi da figure sfuggite alla potenza erosiva del tempo.

C’è, in questa mia lettura di “ritardatario”, un merito di Enzo Crea. Com’è stato già osservato da Nino Borsellino - in una brillante presentazione delle Immagini di Persone tenuta in Campidoglio, nel 1983 - la fotografia del nostro fotografo è priva di intenzionalità sociologiche. Non mira a denunciare marginalità, miserie, arretratezze. Nessuna delle persone ritratte in queste foto è colta in condizioni di degradazione, di avvilimento. Nessuna recriminazione progressista viene a datare e a rinchiudere irrimediabilmente queste Immagini nella congiuntura politica di quegli anni, nel loro tempo transitorio. E in esse non vi è neppure traccia, neanche una lontana eco dell’epica contadina delle lotte per la terra: fenomeno che pure ha segnato, nell’immediato dopoguerra, uno dei grandi momenti di protagonismo civile e politico di quelle popolazioni. Forse l’unico accenno all’epica sociale di quella fase è in quel treno, a cui abbiamo già fatto cenno, colto mentre corre per la campagna. L’autore accompagna l’immagine con la didascalia Il fumo dell’espatrio. E’ l’unico, discreto richiamo a quel vasto e travolgente fenomeno che fu la ripresa dell’emigrazione negli anni Cinquanta. Nulla più che un sommesso accenno allo svuotamento dei paesi, all’abbandono delle campagne, al dissolvimento del mondo contadino.

In realtà, le persone fotografate da Enzo Crea non sono né derelitte e bisognose di riscatto, né sbalzate fuori dalla loro dimensione quotidiana da eventi memorabili. Nè vittime né eroi. Sono ritratte nell’universo di senso che per secoli ne ha accompagnato e scandito le esistenze. Sono, per l’appunto, persone: termine significativamente scomparso dal nostro lessico quotidiano. Uomini, donne, bambini, vecchi intenti al loro lavoro, ai giochi, alle conversazioni di vicinato, o fissati in un incontro, in una calma attesa, in una pausa di riposo o di riflessione. Persone che vivono ancora con familiarità, come avevano fatto per secoli, con le capre, le pecore, le galline, gli asini. Tutti umili e naturali compagni delle loro vita. E il paesaggio intorno è fatto di pietre, di piccole case, di muri sbrecciati, di duro selciato. Si tratta di figure che incarnano una antropologia profonda, quella delle genti mediterranee, formatasi in una evoluzione millenaria e che è stata dissolta in un batter di ciglia dalla modernizzazione capitalistica.

Nessuna nostalgia, si diceva, delle fatiche e delle pene del mondo contadino. Come potremmo avere nostalgia dell’oppressione che gravava sulla più gran parte delle donne e degli uomini che quel mondo tenevano in piedi?. Ma certo, chi osserva oggi le foto di Crea, difficilmente riesce a reprimere l’onda di struggimento che quei volti generano nel nostro animo. Dall’universo fatuo in cui siamo immersi, dalla coltre di menzogne pubblicitarie che è diventato il nostro nuovo cielo, le immagini di quel mondo lontano ci appaiono come un Eden ormai perduto per sempre. E’ la terra abbandonata dove ancora alberga il significato, e dove ogni gesto è autentico, parla il linguaggio originario e incontaminato della vita. La semplicità dei segni ritratti nel loro spazio quasi fuori dal tempo parla a noi con il linguaggio universale della poesia.

Infine, un’ultima considerazione, che ritorna agli inizi. Apre il volume, la galleria di foto raccolte da Crea, un viso di donna. E’ una persona non più giovane, ma dall’età indefinibile. Prorompe da tutta la pagina che ospita la foto un volto duro, scavato, inciso da ombre e sporgenze: pare fatto della stessa materia di pietra scabra che le sta alle spalle. Poche volte mi è capitato di imbattermi in un volto che con tanta intensità fosse capace di suggerirmi l’idea primigenia, l’archetipo della madre. Quella faccia arcana incarna il volto di tutte le Madri che sono vissute sulla terra. Pare intimamente illuminata da una indomabile forza materna e al tempo stesso, mentre scruta nel fondo angoscioso del passato, è come se fosse approdata a una soglia di serena e inattingibile imperturbabilità. E’ un’ Ecuba che è sopravvissuta a tutti i dolori, a tutti i lutti che hanno straziato la sua esistenza, e che ora osserva con impenetrabile saggezza l’arcano della vita. Nessun osservatore potrebbe violare l’enigma che lo sguardo di questa Madre racchiude. Esso sfugge alla nostra capacità di decifrazione razionale. E’ per questo che essa ci incanta e non cesserà mai di affascinarci. Continua a parlarci un linguaggio di significato e di mistero che incessantemente, nonostante tutto, continuiamo a cercare come la nostra méta: al di la della coltre di irrealtà da consumo, di banale finzione e di menzogna che oggi copre ogni cosa, come un manto di neve sporca.

Le immagini sono di Enzo Crea, e il testo ha costituito la postfazione alla seconda edizione di un libro di foto di Crea,Immagini di persone in Calabria, Edizioni dell’Elefante, Roma 2004.

Titolo inglese originale: Growth and Shrinkage in Germany - Trends, Perspectives and Challenges for Spatial Planning and Development – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

1. Crescita e decrescita: l’importanza di una visione comparativa

Le trasformazioni demografiche e i loro effetti dei solito vengono esaminate secondo due livelli: in primo luogo quello della società nel suo insieme, in relazione alle politiche familiari, ai sistemi di sicurezza sociale, al mercato del lavoro, alle migrazioni, alla finanza pubblica; in secondo luogo a livello delle municipalità, con particolare riguardo ai sempre più urgenti bisogni di trasformazione urbana e ai vincoli posti dalle ristrettezze finanziarie.

Le associazioni di governi locali hanno da tempo riconosciuto l’importanza di questo aspetto, ma esiste scarso accordo sulle politiche da adottare, e le amministrazioni locali hanno agito in modi diversi. Uno dei motivi è che sono sempre esistite città e centri minori economicamente attrattivi e che godono di alta immigrazione (interna e dall’estero) dove il declino demografico non è un problema, e le politiche per la crescita, per l’orientamento della crescita, sono ancora all’ordine del giorno.Ma esistono molte comunità dove la recessione e i problemi relativi sono diventate – dal punto di vista delle politiche locali – una realtà “amara” in modo crescente da alcuni anni, e dove si richiedono modalità d’azione completamente nuove, per una situazione che le autorità esitano ancora a riconoscere.

Rischia di venir ignorato un punto di vista generale, spazialmente differenziato, comparativo, dei rischi connessi alla posizione. Quali città stanno recedendo? È possibile identificarne le cause? Quali azioni sono necessarie? Questo saggio esamina queste questioni in modo dettagliato. Ci siamo concentrati sui contesti della Germania dove si verificano crescita e declino demografico, su quali tendenze emergono, quali regioni e città si trovano di fronte a queste sfide. Abbiamo indagato sino a che punto le politiche di governo locale nelle “ shrinking regions” richiedono controlli, e come la pianificazione locale può reagire.

2. Modalità regionali di crescita e decrescita

Negli anni ’90, lo sviluppo della struttura insediativa in Germania può essere brevemente schematizzato come segue (cfr. Siedentop et al. 2003; Siedentop/Kausch 2003):

- forte polarizzazione dello sviluppo demografico fra Ovest e Est; crescita della popolazione in tutto l’Ovest, contro un declino nell’Est.

- deconcentrazione interregionale e intraregionale di popolazione e posti di lavoro nella Germania dell’Ovest, a beneficio delle zone rurali relativamente distanti dalle città centrali e dalle aree suburbane relativamente mature.

- concentrazione interregionale di popolazione e posti di lavoro nella Germania dell’Est a scapito delle zone rurali periferiche, accompagnato da una suburbanizazione di piccola scala nelle regioni urbane.

Se questo tipo di sviluppo dovesse continuare nei prossimi decenni, le città centrali dell’Ovest e dell’Est della Germania e le zone rurali periferiche dell’Est, sarebbero fortemente interessate dalle trasformazioni demografiche. Meno colpite sarebbero invece le aree suburbane e rurali nell’Ovest, e i suburbi interni delle principali città dell’Est.

La comparazione dello sviluppo demografico fra il 1993 e il 1996, e le attuali tendenze (dal 1999 al 2001) mostrata nella fig. 1, a prima vista conferma questa previsione. Le regioni con una forte tendenza al declino demografico (meno oltre 1% l’anno) si trovano ancora solo nella Germania dell’Est. Larghe parti dei territori della vecchia Germania dell’Ovest, al contrario, sono ancora in crescita demografica. Ma ad un esame più attento si mostrano le prime inversioni di tendenza.

Sempre più regioni nell’Ovest sono colpite dal declino demografico. Apparentemente proveniente da Est, un “cuneo di decrescita” si muove attraverso le principali aree del Nord Reno-Westfalia verso il sud della Bassa Sassonia, il nord di Hesse e Baviera. E il declino della popolazione nella Germania dell’Est si è accresciuto. D’altra parte si è indebolita la deconcentrazione demografica, specialmente nell’Est. Le fasce suburbane attorno alle città centrali della Germania Orientale erano ancora in crescita solo pochi anni fa, e ora stanno perdendo abitanti.

Studi empirici suggeriscono che le relazioni fra città centrali, suburbi, e aree rurali periferiche, devono essere ridefinite in condizioni di stagnazione o declino demografico. Esamineremo ora in modo approfondito gli sviluppi demografici da una prospettiva spazialmente differenziata, per capire come il mutamento demografico ha influenzato la struttura insediativa.

3. Differenze nel panorama di crescita e decrescita

A metà anni ’90 c’erano regioni che non corrispondevano all’immagine generale di un dualismo Ovest-Est nello sviluppo demografico. Si trattava della crescita nella fascia suburbana attorno a Berlino, le vecchie regioni industriali in decrescita dell’Ovest, e le città centrali che non erano riuscite a compensare le perdite demografiche locali di emigrazione attraverso l’immigrazione dall’estero. Ad ogni modo, anche negli anni ’90, lo sviluppo demografico differiva da regione a regione all’interno dell’Est come dell’Ovest. Ad esempio, c’era una diminuzione netta della popolazione naturale in quasi metà delle province della Germania dell’Ovest, e nelle altre circoscrizioni la percentuale era al minimo dell’85%. Nell’Ovest esistono anche regioni più “vecchie” e più “giovani” (Bucher, 1997). Nel 1999 l’età media della popolazione nelle province e altre circoscrizioni divergeva di oltre quattro anni (Maretzke, 2002). A causa dei forti aumenti nelle migrazioni interne e internazionali, queste differenze di sviluppo venivano comunque nascoste in modo “esterno” dall’aumento di popolazione generale dell’area. Solo con il declino dell’immigrazione dall’estero, iniziato a metà anni ’90, il calo demografico è diventato evidente in alcune parti dell’Ovest. Sono interessate da questa decrescita di popolazione non solo le vecchie regioni industrializzate, che ne soffrono da lungo tempo, ma anche le zone rurali della Germania dell’Ovest: un fenomeno osservato per l’ultima volta in dimensioni paragonabili negli anni ’70 e primi ’80. Le regioni più tipicamente interessate sono la Bassa Sassonia meridionale, il nord Hesse, la Foresta Palatina. All’inizio del nuovo decennio, solo in Bassa Sassonia e Baviera alcune aree di una certa dimensione hanno avuto una crescita demografica degna di nota.

Dopo un assestamento alla metà degli anni ’90, il declino demografico nella Germania dell’Est ha di nuovo accelerato, interessando l’intero territorio. Solo pochi anni fa, erano in fase di sviluppo le fasce suburbane di molte regioni urbane dell’Est, ma dall’inizio del nuovo millennio sono rimaste solo alcune “isole di crescita”. Berlino è una di queste isole, Dresda un’altra (e in misura limitata Lipsia), così come le città della Turingia (cfr. Herfert, 2002). D’altra parte, le aree in forte declino demografico si fanno sempre più estese.

Nonostante il gap Ovest-Est nello sviluppo demografico tipico degli anni ’90 persista nel medio termine, non si può negare che il percorso di sviluppo polarizzato (crescita all’Ovest, declino all’Est) si svolgerà secondo processi di gran lunga più differenziati e concentrati (Bucher, Schlömer 2003). Crescita e declino della popolazione stanno diventando sempre più contigui da punto di vista spaziale: fra le regione, dentro le regioni, nelle città.

4. Prosegue la suburbanizzazione, in condizioni di declino demografico?

Se paragoniamo le tendenza attuali (dal 1999 al 2002) con gli sviluppi fra il 1993 e il 1996 (figura 1) emerge un’altra discontinuità nello sviluppo demografico: una netta caduta nella deconcentrazione interregionale e intraregionale. Nella Germania dell’Est la suburbanizzazione giunge ad un completo arresto all’inzio del nuovo decennio (Berlino unica eccezione). In alcune regioni urbane la migrazione si rivolge anche di nuovo alle città (Herfert, 2002, p. 338), e ci sono segni che tale tendenza sia più che un’interruzione ciclica a breve termine di un processo duraturo di deconcentrazione. Le proiezioni demografiche regionalizzate del governo della Sassonia prevedono stabilità per le città centrali di Dresda e Lipsia, ma perdite di popolazione fra il 15% e il 20% per le circoscrizioni confinanti (Statistisches Landesamt des Freistaates Sachsen, 2003).

Per un esame più dettagliato di questa discontinuità di tendenza, che è limitata alla Germania dell’Est, sono stati analizzati gli sviluppi demografici del paese in generale, con l’aiuto di un semplice modello per zone. Le città centrali (con popolazione oltre 100.000 abitanti) e tutte le municipalità in relazione alla più vicina città centrale, sono state comprese entro zone concentriche. Si sono distinte aree suburbane interne entro 20 km dalla città centrale più prossima, are suburbane esterne distanti da 20 a 40 km, e aree rurali periferiche ad oltre 40 chilometri dalle grandi città.

L’esame del mutamento demografico annuale nelle zone perimetrate rivela un processo di deconcentrazione in atto nella Germania dell’Ovest (cfr. figure 2). Ma la sua configurazione spaziale è cambiata. Là dove l’anello suburbano esterno registrava la crescita maggiore fino al 1996, ora stanno crescendo con più forza i suburbi interni. Il processo di de-suburbanizzazione ancora evidente negli anni ’90, con uno spostamento di popolazione verso le zone rurali esterne all’agglomerazione sembra essersi fermato. Nello stesso tempo, però, è diminuita l’intensità della suburbanizzazione in molte regioni urbane dell’Ovest, ciò in forte misura a causa del declino della migrazione città-periferia. A partire dal 2000, le città della Germania occidentale hanno registrato un aumento netto di popolazione.

Negli anni recenti le città centrali della Germania dell’Est si può dire abbiano guadagnato, nella competizione a scala regionale e municipale per avere residenti e popolazione economicamente attiva. Sino alla metà degli anni ’90, la dinamica migratoria dalle città verso le aree circostanti era più intensa che nelle zone rurali periferiche. Ma dal 1997 la diminuzione demografica annuale della grandi città è costantemente calata, mentre sono in decrescita non solo le zone rurali, ma anche le comunità suburbane.

Anche la dispersione demografica si è attenuata negli anni recenti. Per tutti gli anni ’90 in Germania Occidentale, la popolazione dei piccoli centri senza strutture adeguate è molto crescita. Nel 2002 tali centri stavano ancora crescendo più in fretta di quelli di dimensione media o grande (cfr. figura 3). Ma i centri di rango superiore sono stati in grado di ridurre considerevolmente il gap. Le città medie della Germania dell’Est hanno sperimentato una costante crescita debole. Se i centri di rango superiore attraversano un processo di chiaro consolidamento, quelli medi sembrano inesorabilmente in decrescita. Ma negli anni più recenti le comunità locali più piccole e non centrali, cresciute di popolazione sino all’1% l’anno, sono pure state colpite da declino demografico.

Questo pone due questioni: l’intensità di suburbanizzazione e dispersione continueranno a diminuire nelle specifiche condizioni di declino demografico? Il sistema insediativo potrebbe contrarsi in misura anche maggiore? Sia i fattori relativi alla domanda che quelli relativi all’offerta sembrano suggerire questa ipotesi.

Il gruppo sociale che esprime sull’arco di un ciclo di vita il bisogno di maggiore consumo di spazio, portatore di investimenti per la proprietà della casa, si contrarrà negli anni a venire (Aring, 2003; Münz, 2003; Bucher, Schlömer, 2003; Bergheim, 2003). Nonostante gli studi sulla migrazione mostrino come le famiglie con bambini non siano gli unici protagonisti della suburbanizzazione (cfr. Blotevogel, Jeschke, 2003), le famiglie di pensionati, di un solo genitore, di un solo componente o coppia senza figli, tendo no a preferire la città centrale.

Nei prossimi decenni, l’immigrazione sarà il fattore principale dello sviluppo demografico in Germania. Le grandi città e gli ambienti urbanizzati assorbiranno quantità crescenti di immigrati dall’estero (Bucher, Schlömer, 2003, p. 123). In più, l’esperienza mostra che la proprietà della casa fra gli immigrati è sotto la media, e così i nuovi arrivati probabilmente si concentreranno sui mercati di abitazioni in affitto nelle grandi città.

Il declino demografico sta già mettendo in pericolo l’adeguatezza infrastrutturale delle zone rurali poco popolate, il che si traduce in alti costi di mobilità per le popolazioni. Anche le aree suburbane ne saranno colpite in futuro. Con questa praticamente inarrestabile caduta della densità della popolazione, le soglie critiche di sostenibilità economica delle infrastrutture tecniche e sociali e dei servizi pubblici saranno raggiunte molto prima nelle aree suburbane a minore densità, che nelle grandi città. Il risultato potrebbero essere spostamenti più lunghi per raggiungere le strutture centrali e tariffe più alte per le infrastrutture tecniche. Le famiglie più vecchie, in particolare, potrebbero reagire tornando verso la città, dove la vita quotidiana è più semplice da organizzare, quando la mobilità è limitata.

Allo stesso tempo, ci sono massicci tagli ai sussidi pubblici per la mobilità, come il sostegno al trasporto pendolare, che potrebbero incoraggiare le persone a spostarsi verso i centri maggiori. Anche se aumentano i redditi delle famiglie, la quota disponibili per la mobilità è in caduta, a causa dell’aumentato costo delle spese per la salute e l’età avanzata, oltre ai più alti costi energetici (Topp, 2003). In tale contesto sembra plausibile che le aree residenziali urbane a insediamento più denso con minor dipendenza dal trasporto privato si dimostrino più attrattive per il futuro (ibid., p. 52).

Il declino demografico nel medio termine probabilmente faciliterà la situazione nel mercato delle abitazioni nelle grandi città. Uno dei fattori chiave determinanti la suburbanizzazione diverrebbe così meno importante. Perché la suburbanizzaione essenzialmente può essere spiegata come a determinazione economica, processo di annullamento spaziale dalla città centrale alle aree esterne (Hallenberg, 2002; Gatzweiler, Schliebe 1982). La caduta demografica potrebbe rendere più facile per le città offrire un’attraente parco abitazioni più ampie, in ambiente residenziale piacevole.

Negli anni recenti, i programmi di molte grandi città per mobilitare le cospicue risorse di spazio disponibili entro la propria struttura insediativa per usi diversi, hanno consentito almeno parzialmente di superare lo svantaggio tradizionale – la relativa scarsità di spazio – e di diventare più competitive testa-a-testa con suburbia.

È certo troppo presto per parlare di imminente “rinascimento urbano”. Ma i risultati empirici suggeriscono che il calo demografico diminuirà la suburbanizzazione. Di quanto diminuirà, non dipende solo dagli sviluppi futuri di tipo demografico ed economico. Un fattore importante sarà se le città centrali riescano a costruire con successo una politica di riurbanizzazione che combini l’accessibilità dei vantaggi urbani con le caratteristiche di qualità residenziale suburbana. Ci sono molti segnali secondo cui la suburbanizzazione non opererà più come tendenza globale nello sviluppo urbano regionale come nel passato, specialmente negli anni ’70 e ’80, e in qualche misura anche ’90. La suburbanizzazione continuerà a caratterizzare lo sviluppo delle strutture insediative nelle regioni a costante pressione di crescita. In quelle stabili o in calo la migrazione città-periferia, al contrario, diminuirà. Ciò migliora di molto le propettive per un “rinascimento urbano”.

5. Una conclusione provvisoria

Lo sviluppo nella Germania dell’Ovest e dell’Est, probabilmente, continuerà ad essere fortemente polarizzato. Allo stesso tempo, ci saranno forti differenziazioni spaziali all’interno delle due parti del paese. Per la Germania dell’Est, Herfert descrive un’immagine di “isole piccole e grandi, con popolazione stabile o in leggera crescita, in una regione altrimenti demograficamente in calo” (Herfert, 2002). Anche la Germania dell’Ovest sperimenterà grandi disparità regionali. Sempre più aree dell’Ovest imboccheranno il “sentiero per la stagnazione o la decrescita” nei prossimi vent’anni.

Sopra e oltre questi grandi movimenti nella distribuzione demografica, crescita e decrescita vivranno fianco a fianco entro le agglomerazioni urbane. Gli sviluppi in queste aree saranno meno chiaramente caratterizzati dalla polarizzazione fra grande città e zone esterne di quanto non avvenisse negli anni ’90. La cosa più probabile è che le maggiori differenze fra crescita e decrescita si manifesteranno nelle aree suburbane.

I principali fattori della crescita di piccola entità e della decrescita saranno un allentamento nei mercati immobiliare e dell’abitazione, e la concomitante dinamizzazione della mobilità residenziale. Solo poche regioni, sottoposte ad una continua pressione di crescita, saranno influenzate da altri fattori. Dove la popolazione ristagna o diminuisce, i mercati immobiliare e delle abitazioni urbano e regionale nel medio termine si svilupperanno in mercati dominati dalla domanda (Aring, 2003). Inquilini e acquirenti potenziali potranno scegliere su un vasto raggio di offerte, e avvantaggiarsi di prezzi relativamente bassi di affitto e vendita. Ciò favorisce l’allontanamento dallo stock residenziale meno attraente. La mobilità residenziale nelle grandi città della Germania dell’Est è già ora molto maggiore che nelle metropoli dell’Ovest (Herfert, 2003; Glatter, 2003). È probabile quindi una maggiore polarizzazione fra “isole di crescita” stabili e città in calo, o quartieri che devono misurarsi con problemi di eccesso di offerta, e di spazi inutilizzati, nel mercato immobiliare e della casa.

In breve, sembra che non sia realistico né estrapolare le tendenze di sviluppo degli anni ’90, né ipotizzare uno scenario favorevole alle grandi città. Molto fa pensare che la tendenza prevalente alla suburbanizzazione e dispersione degli anni ’90 rallenterà nelle condizioni di declino demografico, senza ribaltarsi e diventare urbanizzazione autosufficiente. Ma una cosa è chiara: la struttura insediativa del futuro impiegherà più risorse, e sarà più costosa. La demolizione e riduzione degli edifici e infrastrutture ridondanti non può essere realizzata ad un livello proporzionato alla caduta di popolazione (cfr. l’articolo di Koziol su questo stesso numero di DfK). L’area urbanizzata e infrastrutturata pro-capite continuerà a crescere. Uso e manutenzione dello stock edilizio e infrastrutturale dovranno essere pagati da sempre meno residenti. La “città che si restringe” sarà senza dubbio costosa.

6. Sfide per la pianificazione spaziale

Le tendenze descritte nello sviluppo insediativo hanno conseguenze importanti per la pianificazione spaziale. Due aspetti meritano di essere evidenziati: il maggior conto in cui tenere sotto controllo pianificato gli insediamenti differenziati di piccole dimensioni, e la crescente importanza dello spazio regionale d’azione. Nel primo caso, il declino demografico sta avendo impatti maggiori di quanto avvenisse prima, negli approcci di piano in generale. Il secondo aspetto è la cooperazione (urbana) regionale fra municipalità.

In pratica, né la pianificazione di scala cittadina né quella regionale o statale sono sino a questo momento pronte ad affrontare il declino demografico. La pianificazione urbana generale ha “scoperto” il problema solo relativamente di recente, non per ultimo attraverso i programmi di rinnovamento urbano per la Germania dell’Est e dell’Ovest, ma si è spesso concentrata principalmente sul mercato della residenza. In più, il declino demografico è stato solo sporadicamente discusso negli ambienti politici locali, e quando il problema si è posto, il dibattito è stato solo su come invertire il processo, ad esempio realizzando crescita.

I piani regionali spesso risalgono a un periodo in cui di declino o riduzione demografica no si parlava a livello regionale e men che meno locale. Anche i concetti base di sviluppo regionale non affrontano sistematicamente la questione. Lo stesso vale a livello dello stato, nonostante alcuni governi in Germania nel frattempo abbiano affrontato il problema in modo più attivo che negli anni ’90, anche se generalmente fuori dal contesto della pianificazione per lo sviluppo.

Nella prospettiva di una contiguità di crescita demografica, stagnazione e declino nelle città e regioni, è necessario un ripensamento fondamentale. Nella pianificazione spaziale sinora è stato normale, e in molti casi ancora lo è, pensare soprattutto in termini di crescita, ad esempio per individuare nuovi terreni per insediamenti e trasporti, complessi residenziali, zone industriali, tutelare gli spazi aperti da un controproduttivo sprawl, il tutto attraverso strumenti prescrittivi (ordinanze, proibizioni). In futuro tutto questo non sarà abbastanza.

Gli approcci orientati alla crescita devono essere affiancati da un “paradigma di diminuzione”. Occorre concentrarsi sulla riurbanizzazione di città e regioni, sulla realizzazione di edilizia economicamente efficiente, sulla rivitalizzazione, sullo sviluppo qualitativo. Il punto non è quante infrastrutture realizzare, ma come e in che condizioni i sistemi infrastrutturali posono essere mantenuti, o devono venir riprogettati.


Quadro delle caratteristiche della pianificazione orientata alla crescita o alla decrescita

Pianificazione per la crescita

Pianificazione per la decrescita
Ci si concentra sulla crescita, sulla pianificazione spaziale come “distribuzione” degli aumenti quantitativi (spazi per gli insediamenti e la mobilità, popolazione, posti di lavoro ecc.) Ci si concentra sulla riorganizzazione, su uno sviluppo efficiente rispetto ai costi, su stabilizzazione, rivitalizzazione, sviluppo qualitativo (ambiente residenziale, infrastrutture, traffico, ecc.)
Normative edilizie e strumenti di pianificazione regionale orientati principalmente ai nuovi insediamenti e costruzioni; lo sviluppo infrastrutturale come base e incentivo per gli investimenti. Importanza dei terreni abbandonati, riuso di suoli e edifici, riconversione differenziata, adattamento delle infrastrutture ai mutati bisogni.
Controllo orientato alla crescita (uso del suolo e sviluppo edilizio) Sostegno e organizzazione del riuso, recupero, e sviluppo con risorse finanziarie scarse.
Piano come base per la redistribuzione della crescita, separazione delle funzioni nello spazio (casa, lavoro, ecc.) Piano come gestione dei processi di decrescita, miscele funzionali su piccola scala.
Controllo prescrittivo nell’uso del suolo e sviluppo edilizio, individuazione di nuove espansioni, tutela degli spazi aperti. Pianificazione strategica e concetti di integrazione, valutazione delle conseguenze, attenzione al ciclo di vita dei servizi e ai cambiamenti demografici, progetti pilota, opzioni d’uso, promozione, approccio contrattuale, efficienza.
Competizione fra città (per i residenti, le imprese ecc.), incentivi settoriali, quadro di controllo intersettoriale. Cooperazione fra le città, accordi di equilibrio, collaborazione multilivello, coordinamento intersettoriale.
Fonte: Müller (2003) (leggermente modificato).

Pianificazione diventa così gestione del declino demografico. Le considerazioni strategiche diventano più importanti esattamente per quanto riguarda l’assecondare gli aspetti relativi ai cicli di vita e usi mutevoli delle strutture. Si richiedono concetti integrati, dato che diminuzione riuso devono poggiare su una pianificazione coordinata in misura molto maggiore di quanto non avvenga per la crescita e l’espansione (cfr. Müller, 2003).

Con queste premesse, i modelli tradizionali di sviluppo urbano non sono più importanti. La cosiddetta dichiarazione di Marienthal ha recentemente auspicato che gli approcci attuali di piano siano sottoposti a profonda revisione, e riconsiderati alla luce del declino demografico (IÖR, IES, 2004). Nelle regioni urbane in decrescita questo significa, ad esempio, che occorre prestare maggior attenzione al rapporto con la “perforazione” delle strutture urbane regionali, in altre parole perseguire la deconcentrazione a costi ragionevoli, e decentrare la concentrazione verso località “autosufficienti”.

Né la situazione sta diventando più facile per quanto riguarda lo sviluppo urbano sostenibile. Anche dove la popolazione sta diminuendo, in molte località continua ad aumentare il consumo di suolo per insediamenti e trasporti. Di fronte alla dispersione, è più difficile realizzare la città delle brevi distanze, o regione urbana, almeno attraverso la “crescita”. Se prendiamo sul serio il postulato dello sviluppo sostenibile, non solo l’armonizzazione dello sviluppo economico, sociale, ambientale, deve focalizzarsi maggiormente di quanto non avvenga in condizioni di crescita, ma anche gli “effetti intergenerazionali” delle decisioni di oggi: se e in quali condizioni le future generazioni potranno sostenere una spesa pro-capite ad esempio per infrastrutture realizzate ora, ma che, con una popolazione in declino, non saranno mantenibili se non a considerevoli costi aggiunti (cfr. l’articolo di Koziol). Questo suggerisce che, nel prendere decisioni sull’espansione urbana, la riurbanizzazione, o la riduzione, si deve prestare molta più attenzione agli aspetti dello sviluppo demografico riguardo alla vita economica delle strutture, e alle loro condizioni d’uso.

Il mutamento demografico richiede di ripensare il modello di “uniformità degli standards di vita”, e reinterpretarlo in un contesto più ampio. Non sarà possibile mantenere funzioni di servizio ovunque al livello e nelle condizioni attuali. Per esempio, deve essere riconsiderato il futuro delle piccole comunità, con una popolazione media. Non che si tratti di cosa nuova. Già nel dicembre 2001, il Consiglio Consultivo per la Pianificazione Regionale (pubblicando il Rapporto 2000 sulla pianificazione regionale e le Previsioni di Pianificazione Regionale al 2015) chiedeva cambiamenti nella pianificazione, e sottolineava come dovessero essere riesaminate le tendenze dello sviluppo spaziale. Si indicava un bisogno di chiarimento su “quali orientamenti devono sottostare al principio di uniformità degli standards di vita e come questo principio debba essere sostenuto nel lungo termine” (cfr. Beirat für Raumordnung, 2001, 6 f.). Domande simili se le devono porre in particolare gli ingegneri del traffico e i settori dei servizi municipali ( Wissenschaftlicher Beirat beim Bundesminister für Verkehr, Bau- und Wohnungswesen, s.a.).

Questo ci porta ad un secondo aspetto, ovvero la crescente importanza della regione come livello di azione. Se crescita e declino demografico, o declino differenziato, si trovano sulla piccola scala in stretta prossimità, non solo è saggio, ma è più importante che mai considerare le aree funzionalmente a forte integrazione come unità di piano. Se riurbanizzazione diminuzione di scala sono sull’agenda cittadina, i concetti base dell’adeguamento devono essere stabiliti a scala di cooperazione regionale. Contrariamente a quanto avveniva con gli approcci delle politiche tradizionali, la regione sta diventando più importante: meno come livello prescrittivo per il controllo dell’urbanizzazione, che come base spaziale per l’adeguamento a efficiente delle strutture insediative. Se un gruppo di municipalità ha di fronte lo stesso problema di chiudere scuole o ridurre di scala le infrastrutture tecniche, queste questioni non devono essere affrontate a dimensione urbana: si devono trovare soluzioni regionali per “economizzare” strutture e mantenere servizi sul lungo periodo, secondo i bisogni collettivi. Lo stesso vale per la realizzazione di case e in molti altri settori. Naturalmente queste strategie di adeguamento richiedono meccanismi di equità a scala regionale e devono essere perseguite in modo integrato, ad esempio trasversalmente ai settori e in stretta cooperazione coi gruppi sociali e la società civile.

In molti casi, queste strategie regionali integrate possono basarsi su strumenti di pianificazione regionale esistenti, ad esempio sui concetti di aree di cooperazione per lo sviluppo orientato a particolari problemi. Queste strategie devono comprendere quattro elementi, sempre tenendo ben in mente la contrazione demografica: primo, un’attenta analisi della situazione data; secondo, predisporre uno modello di scenario per le possibilità di sviluppo e le azioni necessarie con un orizzonte temporale di almeno 20-30 anni, sulla base di valutazioni realistiche sugli sviluppi demografici; terzo, una visione o modello di future “desiderabili” e realisticamente realizzabili infrastrutture; quarto, un elenco o programma di interventi per singole aree di azione, con priorità e responsabilità ben precisate.

Le strategie di adeguamento dovrebbero svilupparsi su iniziativa delle municipalità, e non in una prospettiva di pianificazione sovraordinata (pianificazione regionale o statale). Nondimeno, la pianificazione sovraordinata può fornire assistenza attraverso competenze nella mediazione intermunicipale e prendere l’iniziativa nel superare gli ostacoli quando gli attori locali si dimostrino riluttanti a riconsiderare i problemi in una prospettiva di decrescita. In condizioni di declino demografico, la pianificazione regionale e statale non è assolutamente superflua: gioca un ruolo decisivo nel rapportarsi alle conseguenze di una popolazione in decrescita.

7. Conclusioni

Uno sguardo alle differenti strutture di crescita e declino demografico in Germania, mostra che municipalità e regioni non possono più contare esclusivamente sui “tradizionali” approcci della crescita. Devono pensare nuove categorie di controllo pianificato in base a un “paradigma del declino”. È necessario un dibattito sociale complesso sugli effetti spaziali del declino di popolazione e sulle loro conseguenze per il governo nazionale e locale. Se si vuole cogliere pienamente l’intero ambito delle conseguenze, e trovare soluzioni, non è sufficiente considerare la dimensione municipale in modo isolato.

Il fatalismo non è una risposta a sviluppi demografici radicali e di lungo periodo. Non va dimenticato che il calo della popolazione può essere un’opportunità. Può aprire la strada a rinnovamento e modernizzazione (nella concorrenza, nella rivitalizzazione dello sviluppo urbano), può offrire opportunità per miglioramenti qualitativi (ad esempio nell’ambiente residenziale, nella qualità dello spazio aperto, per il tempo libero, per paesaggi quasi naturali), e offrire incentivi per muovere le risorse interne delle regioni (nuovi settori e iniziative). Ma queste opportunità si possono sfruttare solo se le municipalità collaborano con le proprie regioni, se i problemi demografici vengono apertamente tematizzati in politiche spaziali e di sviluppo, se si identificano e considerano gli impatti locali, se si trovano soluzioni regionalmente differenziate sfruttando specifiche risorse o attraverso riduzioni guidate. Per municipalità e regione, con i propri specifici problemi e prospettive di sviluppo, il declino demografico può offrire un’opportunità di dialogo per affrontare il mutamento e, idealmente, una base di sviluppo per un nuovo consenso sociale.

Nota: qui il link al testo sul sito di DfK ,Deutscke Zeitschrift für Kommunalwissenschaften; sotto, la bibliografia; su Eddyburg, su temi paralleli, anche un contributo originale diGeorg Josef Frisch (f.b.)

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Introduzione

In Germania, il tema dell’occupazione di suolo a fini urbani è entrato da alcuni anni nell’agenda politica sia del governo federale, sia degli enti locali. La necessità di invertire la tendenza di sottrazione di suolo al territorio aperto e rurale è stata riconosciuta per la prima volta dal governo tedesco nel 1985 nell’ambito della formulazione dei principi di tutela del suolo. Successivamente, il programma di politica ambientale promosso nel 1998 dall’allora ministro per l’ambiente Angela Merkel (CDU) si era posto l’obbiettivo di disgiungere in modo duraturo lo sviluppo economico dall’occupazione di suolo e poneva per la prima volta un obiettivo quantitativo di riduzione dell’occupazione di suolo a fini urbani. Fu allora fissata la soglia di 30 ettari al giorno, pari a un quarto della tendenza in atto (129 ha/giorno nel 2000), alla quale limitare l’aumento di aree per insediamenti e mobilità a entro il 2020.

L’obiettivo dei 30 ha/giorno è stato ripreso dall’attuale governo all’interno della propria strategia per uno sviluppo sostenibile (Bundesregierung, 2002: 99). Nonostante si tratti di un obiettivo piuttosto impegnativo, il Consiglio degli esperti per le problematiche ambientali lo considera soltanto una meta intermedia e si è espresso a favore della crescita zero nel lungo periodo (SRU, 2000: 532). Una posizione simile ha assunto anche il Consiglio per lo sviluppo sostenibile presso il governo federale in un documento del novembre 2001. Insieme alla richiesta di riduzione dell’occupazione a 30 ettari al giorno nel 2020 formula la domanda di crescita zero per l’anno 2050.

Anche la Enquete-Kommission “Tutela dell’uomo e dell’ambiente” del parlamento tedesco proponeva una riduzione progressiva del consumo di aree fino a zero. Essa sostiene che la trasformazione di suolo da rurale o naturale a urbanizzato dovrebbe essere compensata, in futuro, dalla contemporanea naturalizzazione di suolo urbanizzato. Come meta intermedia proponeva la riduzione al 10% della quota di trasformazione urbana rilevabile negli anni 1993-1995 (Enquete-Kommission, 1998: 129). Ciò significa una riduzione da 120 ettari al giorno (pari alla media nel quadriennio 1993-1997) a 12 ettari al giorno entro il 2010.

Ancora più rigorose appaiono le richieste delle associazioni ambientaliste BUND, DNR e NABU. Forti della ricerca su clima, energia e ambiente “Zukunftsfähiges Deutschland” che l’istituto Wuppertal ha pubblicato nel 1996, le associazioni chiedono una progressiva riduzione di nuove aree per insediamenti fino a zero ettari nel 2010. (NABU, 2002). L’alleanza per la tutela dell’ambiente e della natura (BUND) sottolinea però che un obiettivo quantitativo non può essere giustificato ne scientificamente, ne politicamente. Più importante sarebbe dunque che le amministrazioni pubbliche si dotino degli opportuni strumenti per realizzare “un’economia di rotazione delle aree”. Per ogni nuova occupazione di suolo dovrebbe essere naturalizzata una superficie equivalente da un’altra parte (BUND, 2004). Una posizione simile viene espressa dal gruppo di lavoro “politica di bilancio delle aree” dell’accademia per l’urbanistica e la pianificazione (ARL, 2004).

Anche a livello dei singoli Länder è stato riconosciuto il problema della progressiva occupazione di suolo e sono state prese misure per la sua riduzione. In Baviera, per esempio, nel 2003 la riduzione delle aree urbane necessarie ogni anno è stata inserita all’interno del programma di sviluppo regionale. Inoltre è stato stretto un “patto per il risparmio delle aree” fra governo regionale, comuni e associazioni per diminuire il consumo di aree e rafforzare contemporaneamente l’economia incrementando la quota di proprietà delle case (Ministero dell’interno della Baviera, 2003).

In modo simile, anche il governo regionale del Baden-Württemberg riconosce l’importanza della tutela degli spazi aperti e dei suoli agricoli. Secondo il piano d’azione ambientale, anche in questo Land l’occupazione di suoli a fini urbani dovrà essere ridotto sensibilmente entro il 2010. Non vengono, però, fissati limiti quantitativi. Gli interventi necessari devono essere indirizzati verso aree che in seguito agli usi precedenti o per la loro stessa natura giocano un ruolo secondario nel bilancio naturale complessivo (MUVBW, 2001).

Diversamente, il Consiglio per lo sviluppo sostenibile del governo di Baden-Württemberg si esprime invece a favore di un obiettivo quantitativo. Secondo i suoi membri, anche se è impossibile determinare scientificamente un limite massimo nell’occupazione di suolo, la scelta di un obiettivo concreto sarebbe comunque importante proprio per la scarsa incidenza di mere dichiarazioni programmatiche (NBBW, 2004: 15). Si propone, dunque, di allineare le scelte del Land a quelle del governo nazionale, di ridurre, cioè, entro il 2020, la progressiva occupazione di suolo di tre quarti rispetto ai valori del 2000.

Tendenze

Secondo i dati forniti dall’ufficio statistico federale, la superficie per insediamenti e mobilità è aumentata in Germania nel 2003 di circa 341 km2, pari a 93 ettari al giorno. Nel periodo 1997-2000 si registravano ancora 129 ha/giorno, nel 2001 117 ha/giorno e nel 2002 ancora 105 ha/giorno. Rispetto al valore massimo di 131 ha/giorno nel 2000, nell’arco di tre anni l’occupazione di suolo per fini urbani si è dunque ridotto di quasi un terzo. Non è ancora chiaro se tale flessione di crescita sia dovuta a un’inversione strutturale della tendenza all’espansione urbana, oppure se sia connessa semplicemente al ciclo economico della produzione edilizia.

In Germania, la superficie insediata complessiva misurava alla fine del 2003 45.090 km2 ed è quindi pari al 12,6% dell’intero territorio nazionale (357.041 km2). Il territorio rurale occupa ancora, con quasi 190 mila km2, oltre la metà dei suoli. Come le aree insediate, anche quelle silvo-pastorali sono in continuo aumento a scapito delle aree agricole.

Oltre 35.000 km2 della superficie per insediamenti e mobilità, pari al 78% circa, si trovano oggi nei vecchi Länder (con gli aggettivi “vecchi” e “nuovi” si indicano in Germania i Länder già appartenenti alla federazione tedesca e quelli confederati in seguito al crollo del muro di Berlino nel 1989). Nello stesso momento essi sono responsabili soltanto di circa due terzi dell’aumento di suolo urbano, pur rappresentando il 70% della superficie e quasi l’85% della popolazione complessiva. Si tratta, a Ovest, dell’incremento più basso da 50 anni.

Rispetto al 1993 (la prima soglia storica alla quale sono disponibili dati omogenei per tutta la Germania, sia per i vecchi, sia per i nuovi Länder), si può registrare un aumento in valore assoluto delle aree insediate di 4.785 km2, pari a +11,9%. L’80% di questo incremento è dovuto ad aree urbanizzate, il 20% alla mobilità.

Nel 2003, la percentuale più alta di aree occupate per usi urbani si riscontra nelle città-stato di Berlin (69,4%, pari a 183 m2/abitante), Hamburg (58,0%, pari a 253 m2/ab.) e Bremen (56,3%, pari a 344 m2/ab.). Negli altri Länder la quota di aree insediate varia da 7,1% a Mecklenburg-Vorpommern fino a 21,4% a Nordrhein-Westfahlen.

Come risulta chiaramente dalla figura n.1, nel dibattito tedesco “aree per insediamenti e mobilità” e “aree impermeabili” non sono sinonimi. Le aree per insediamenti e mobilità comprendono una buona quota di superfici non edificate e permeabili. Sono i giardini privati e le aree a verde pubblico attrezzato. Ma sono anche le aree di compensazione ambientale che, secondo la legge tedesca, devono bilanciare ogni nuovo intervento urbano. Le voci che, nelle statistiche ufficiali in Germania, compongono l’insieme delle aree per insediamenti e mobilità sono (fra parentesi si riporta l’estensione al 2003 in valore assoluto e percentuale):

Nella sostanza, per occupazione di suolo a fini urbani, si intende quindi l’insieme delle aree sottratte al territorio rurale e naturale per le attività economiche e la mobilità, per l’abitazione e la ricreazione. Il suolo occupato da insediamenti comprende quindi tutte le funzioni riconducibili alla vita urbana, anche quelle di verde privato o parco pubblico.

Se si considera l’incremento di ogni singola categoria emerge la seguente dinamica: le aree edificate e le loro pertinenze crescono nel 2003 del 0,6%, le aree produttive (a esclusione di quelle di scavo) del 1,4%. Mentre le aree per la mobilità aumentano dello 0,4% e quelle cimiteriali dello 0,2%, fra le aree per la ricreazione e lo sport si può notare un incremento del 4,1%.

Salta all’occhio il notevole incremento di aree per la ricreazione. Secondo l’ufficio statistico federale si tratta però in parte di un errore statistico, dovuto all’allineamento del catasto nei nuovi Länder. Pesa però su questa voce anche l’aumento di aree di compensazione ai sensi della normativa ambientale tedesca che spesso vengono realizzate in forma di aree per la ricreazione. Inoltre si registra la destinazione ad area di ricreazione di notevoli superfici provenienti dalle attività minerarie dismesse.

La bassa crescita di aree edificate e delle loro pertinenze è particolarmente significativa nell’andamento complessivo dell’espansione dei suoli urbani. Come si è detto, nel 2003 sono cresciuti soltanto dello 0,6%, pari a 138 km2. Tranne a Bremen e Hamburg, in tutti gli altri Länder la crescita di aree per insediamenti è inferiore nel 2003 rispetto al 2002; inoltre, rispetto al 1997-2000 tale crescita si è addirittura dimezzata. Come risulta evidente dalla figura 3, la complessiva riduzione dell’occupazione di aree per fini urbani è dovuta proprio alla flessione della crescita di aree per insediamenti. Secondo l’ufficio statistico federale non si può però ancora parlare di un inversione di tendenza, in quanto tale flessione sembra essere legata alla debole congiuntura del comparto delle costruzioni.

Come è ovvio, l’incremento di aree per insediamenti e mobilità presenta delle notevoli differenze regionali, apparentemente non legati alle differenze fra Est e Ovest. Rheinland-Pfalz e Brandenburg presentano gli incrementi maggiori (+1,1%); segue Bayern, Hamburg e Niedersachsen con +1,0%; Baden-Württemberg e Bremen con ognuno 0,9%. Incrementi bassi sono stati registrati, invece a Hessen (0,5%), Sachsen 0,3%), Nordrhein-Westfahlen (0,2%) e Berlin e Thüringen (0,1%).

Per quanto riguarda, invece, la dotazione di superficie per insediamenti e mobilità ad abitante, questa è salita da 542 m2/ab nel 2002 a 546 m2/ab nel 2003. Rispetto a questo parametro è possibile notare una forte differenziazione fra Est e Ovest: a Ovest è più bassa ed è rimasta pressoché invariata (da 526 m2/ab nel 2002 è passata a 529 m2/ab nel 2003); a Est, invece, è cresciuta nello stesso periodo da 603 m2/ab a 613 m2/ab. Di tutti i Länder, Berlin ha con 183 m2/ab la minore dotazione di superficie per insediamenti e mobilità ad abitante, Brandenburg con 975 m2/ab la maggiore. Alla generale crescita della superficie insediata non corrisponde un altrettanto sviluppo demografico. Conseguentemente diminuisce la densità abitativa, soprattutto a Est. Qui, oltre alla bassa fertilità incide un saldo sociale negativo, dovuto a un massiccio fenomeno di emigrazione.

Genesi delle politiche sui suoli

Come si è detto, l’attuale governo tedesco, sostenuto da una coalizione di socialisti e verdi, ha ripreso nelle proprie politiche ambientali l’obiettivo di riduzione dell’occupazione di suolo a fini urbani a 30 ettari al giorno, formulato alla fine degli anni Novanta da un governo di colore opposto. Come molte delle politiche legate all’ambiente e allo sviluppo urbano, anche la regolazione degli usi del suolo si configura, in Germania, come una politica sostanzialmente condivisa da tutti gli schieramenti.

L’attenzione a questo tema nasce nell’alveo della legislazione sulla tutela dei suoli. Fino alla fine degli anni Novanta, la tutela dei suoli era stata affidata a norme con valenza indiretta sullo stato dei suoli come le prescrizioni in materia di inquinamento o di utilizzo di crittogamici, le disposizioni sullo smaltimento dei rifiuti oppure l’ordinamento della pianificazione urbanistica. L’unico quadro di riferimento per i molteplici usi e innumerevoli rischi cui sono sottoposti i suoli è stato costituito a lungo dalla Strategia di tutela dei suoli, elaborata nel 1985 dal governo federale (Bundesregierung, 1985). Si riconobbe che la tutela dei suoli, base fondamentale della vita, non era stata promossa sufficientemente nel passato. Fu posto allora l’obiettivo di invertire la tendenza al progressivo occupazione di suolo per usi urbani, di ridurre gli inquinanti ai quali è esposto il terreno e di assegnare alla tutela del suolo un ruolo particolare nell’ambito della più generale tutela dell’ambiente.

Per trovare gli strumenti giuridici appropriati a questo scopo fu aperto un tavolo di discussione con i singoli Länder. Nella legislatura successiva, nel 1987, sono state definite le azioni per la tutela dei suoli (Bundeskabinett, 1987). Viene ribadito il principio della tutela dei suoli come uno dei più importanti compiti interdisciplinari della tutela dell’ambiente degli anni futuri. Per la sua attuazione sono state previste modificazioni e integrazioni di atti legislativi e regolamentari e sono state messe in cantiere numerose ricerche e progetti pilota. L’interesse prioritario era rivolto alla definizione di criteri per la valutazione e il monitoraggio, nonché alla sperimentazione di metodi per la stima dei rischi.

Oltre dieci anni dopo, il nuovo governo formato da SPD e Grüne, imprime un’accelerazione alle politiche ambientali. Già nell’accordo elettorale della coalizione dell’ottobre 1998 è stata sottolineata l’importanza del principio di precauzione. Inoltre, particolare attenzione è stata rivolta alle immense aree da bonificare nella Germania dell’Est. Su questa base, ancora nel 1998, è stata varata la legge per la tutela dei suoli, in vigore in tutte le sue parti dall’approvazione, nel luglio 1999, del suo regolamento di attuazione. Con questa legge, la tutela dei suoli può fare finalmente riferimento a un ordinamento giuridico chiaro e a una strumentazione appropriata.

Due aspetti della legge sono di particolare importanza per le politiche di riduzione del consumo di aree: l’intersettorialità e il concetto di tutela preventiva.

Il campo di applicazione riguarda tutte le materie di competenza statale, laddove le legislazioni di settore non fanno esplicitamente riferimento alle problematiche dei suoli. In questo senso, anche settori che non hanno nessuna diretta connessione con la tutela dei suoli possono essere finalizzati alla tutela della risorsa suolo. Inoltre, questa impostazione intersettoriale ha comportato l’adeguamento delle normative settoriali alle disposizioni della tutela dei suoli. Infatti, contemporaneamente all’approvazione della legge è stata introdotta una clausola di tutela dei suoli anche nel codice dell’edilizia e dell’urbanistica ( Baugesetzbuch), di particolare importanza per la pianificazione.

La legge è promossa da un governo particolarmente attento agli aspetti della prevenzione. Anche se il principale scopo della legge è il trattamento delle minacce, il governo non si limita a un approccio ex post. E’obiettivo della legge “prevenire le influenze negative sui suoli” ed evitare più possibile “ogni riduzione della sua funzione naturale di archivio della storia naturale e culturale“(Par. 1, BBodSchG). In seguito, nella Strategia d’azione per la tutela preventiva dei suoli (BMUNR, 2001) il governo ha affermato che il suolo non può essere tutelato esclusivamente tramite norme e sanzioni ma che è necessario intervenire nel presente per evitare possibili danni nel futuro. Se la tutela serve per evitare possibili danni alla risorsa suolo, la prevenzione si adopera per evitare che si formino nuovi pericoli. E’ evidente che questo ragionamento fornisce una motivazione forte alle strategie di riduzione della progressiva occupazione di suoli a fini urbani.

Strategie

Le statistiche tedesche illustrano in maniera esemplare il fenomeno di occupazione di suolo e la sua tendenza storica. L’accuratezza delle rilevazioni testimonia una grande presa di coscienza da parte della politica e delle amministrazioni pubbliche. Al legislatore è però chiaro l’intreccio complesso di esigenze ecologiche, economiche e sociali dal quale è accompagnata ogni azione di riduzione di occupazione di suolo.

Da un lato le funzioni ecologiche del suolo costituiscono la base vitale per il mondo animale e vegetale. Dall’altro lato è però indispensabile garantire alle funzioni dell’abitare e del produrre, della ricreazione e del trasporto la quantità di spazi necessari, sia per le esigenze della società odierna, sia per le generazioni future. Contemporaneamente, l’occupazione di suolo per fini urbani è fortemente condizionata dalle condizioni socio-demografiche dovute principalmente alla riduzione della popolazione, allo sviluppo divergente delle diverse regioni e alla crescita dei desideri e dei bisogni degli abitanti. Oltre alla molteplicità di attori responsabili della progressiva erosione di suoli agricoli e naturali, la principale difficoltà nel raggiungere l’obiettivo di “30 ha/giorno” sta proprio nella necessità di mediare fra gli obiettivi dell’ecologia, dello sviluppo economico e della predisposizione dello spazio abitativo necessario. Proprio per questo motivo, argomenta il governo tedesco, risulta necessario slegare il fenomeno dell’occupazione di suolo da quello dello sviluppo economico.

E’ proprio l’orientamento fortemente quantitativo dell’approccio tedesco a favorire tale svincolamento. Concetti chiave come città compatta, accorpamento di infrastrutture, aree di compensazione naturale e riconduzione alla naturalità fanno parte di questo orientamento. Ovviamente, il problema viene trattato anche in termini qualitativi. Insieme alla riduzione del fabbisogno di aree si sostiene anche la necessità di un loro migliore uso perché soltanto il miglioramento della qualità di vita nei centri urbani potrà contrastare il fenomeno di suburbanizzazione.

Insieme alle tendenze demografiche, l’energia e il clima, nonché la mobilità, l’occupazione di suolo per usi urbani è una delle principali problematiche affrontate nella strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (Bundesregierung, 2004b: 116-127). La sua necessaria riduzione viene messa in stretta relazione con la responsabilità per le generazioni future che caratterizza il concetto di sviluppo sostenibile. Lo scopo dichiarato è la minimizzazione della diffusione urbana e della segmentazione dei paesaggi naturali, nonché l’arresto della riduzione di spazi rurali e silvo-pastorali. Per raggiungere quest’obiettivo, nella strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile sono previsti tre passaggi:

  1. analisi del quadro legislativo e dei progetti in atto per valutare il loro impatto sullo sviluppo degli insediamenti;
  2. formulazione di proposte per ridurre nel medio-lungo periodo il consumo urbano. A questo proposito, il Consiglio per lo sviluppo sostenibile ha promosso un lungo dialogo con gli enti locali che ha portato a un’insieme di strumenti e azioni;
  3. valutazione delle indicazioni emerse nei primi due passaggi ed elaborazione di un programma integrato di azioni.

Per quanto riguarda la pianificazione, la Germania dispone già di numerosi strumenti per promuovere uno sviluppo sostenibile degli insediamenti. L’uso parsimonioso di suolo rurale e naturale nella panificazione degli insediamenti è già contenuto nel codice dell’edilizia e dell’urbanistica. La legge sulla tutela dei suoli ha disciplinato il riuso delle aree dismesse e ha introdotto, come è stato detto, il concetto di tutela preventiva. Infine, la nuova legge sulla tutela dell’ambiente del 2002 ha rafforzato la pianificazione paesistica e fornisce alcuni strumenti per indirizzare gli usi del suolo.

Di particolare interesse sono alcune novità introdotte nel 2004 nel codice dell’edilizia e dell’urbanistica. A parte la valutazione ambientale dei piani regolatori che obbliga le amministrazioni fin dall’inizio a tenere in particolare conto le questioni ambientali, la cosiddetta “clausola della tutela del suolo” riporta all’interno della legislazione urbanistica l’indirizzo di uso parsimonioso di suolo, favorendo in primo luogo lo sviluppo interno degli insediamenti. Per quanto riguarda, invece, il territorio rurale e aperto, è stato introdotto su scala nazionale il principio della demolizione dei manufatti non più utilizzati. In Italia, soltanto nella recentissima legge di governo del territorio della regione Toscana si trova una simile disposizione.

Oltre agli strumenti giuridici il governo può incidere soprattutto con misure economiche e fiscali sugli usi del territorio. Nelle politiche per la casa viene dunque posta maggiore attenzione al sostegno del patrimonio esistente. Alla stessa maniera, i programmi di sviluppo urbano sono incentrati sul recupero delle aree dismesse. Il sistema fiscale, invece, non incentiva in nessun modo il riuso di aree già urbanizzate. Sono però allo studio alcune proposte di modifica per riflettere anche all’interno della fiscalità generale la riduzione dell’occupazione di aree.

Fra le diverse proposte utili a contenere l’espansione urbana quella più radicale delinea un modello di diritti di occupazione di suolo commerciabili. Alcuni esperti (SRU, 2004) propongono di legare il diritto di ulteriore occupazione di suolo a un modello simile a quello sui diritti di emissione del protocollo di Kyoto. In questa maniera, le nuove superfici urbane verrebbero limitate a priori e sarebbero liberamente commerciabili. Un comune che non dispone sufficienti diritti per un’area di espansione dovrebbe dunque acquistare ulteriori diritti da altri comuni. Anche se appare estremamente semplice, questa proposta cela numerosi interrogativi. I più rilevanti riguardano la competenza comunale in materia di pianificazione che verrebbe fortemente limitata e il fatto che un sistema di libero commercio di diritti di occupazione di suolo non considera le problematiche della pianificazione o dell’ambiente ma segue soltanto criteri economici.

Nel luglio del 2004 il Consiglio per lo sviluppo sostenibile ha reso noto le proprie raccomandazioni in materia di consumo di suolo urbano indirizzate al governo federale tedesco (RNE, 2004).

In primo luogo, ha invitato i comuni e le città a elaborare nuove linee direttive per il proprio sviluppo che abbiano al proprio centro la riduzione dell’occupazione di suolo. Come strumenti per raggiungere quest’obiettivo esso propone forme di management delle aree nonché di cooperazione intercomunale. Più in generale, per il raggiungimento dell’obiettivo “30 ha/giorno” il Consiglio sottolinea la necessità della formulazione di obiettivi concreti a ogni livello di pianificazione. Sarebbe dunque necessario che la stessa pianificazione regionale formulasse obiettivi inderogabili di ulteriore consumo di aree rurali e naturali e che venisse introdotto l’obbligo di argomentazione e giustificazione delle scelte. Inoltre, bisogna introdurre meccanismi che rendano espliciti i costi ecologici e sociali delle scelte di pianificazione, mentre, per quanto riguarda le regole di compensazione in campo ambientale, si dovrà tendere a un sistema dove la nuova superficie impermeabilizzata venga compensata dalla rinaturalizzazione di altrettante aree urbane.

Se le prime raccomandazioni del Consiglio per lo sviluppo sostenibile riguardano gli strumenti e gli obiettivi della pianificazione urbanistica e territoriale, le altre proposte considerano invece gli aspetti fiscali, quelli economici e di ricerca e comunicazione.

Nel campo fiscale, le proposte riguardano un diverso scaglionamento delle imposte sugli immobili rispetto alla loro realizzazione su aree già urbanizzate o meno. Per quanto riguarda invece l’intermediazione delle aree dismesse, questa potrebbe essere esentata da ogni tassazione. Ma sono soprattutto le politiche per la casa e per il rinnovo urbano, finanziate in larga misura dal Bund e dai Länder, che dovranno essere finalizzate al risparmio di aree. Inoltre, se si dovessero rivelare inutili sia le misure economiche e fiscali, sia quelle legate alla pianificazione, il governo potrebbe prendere in considerazione anche l’apposizione di oneri particolari per la costruzione in aree di espansione.

Infine, il Consiglio per lo sviluppo sostenibile consiglia l’istituzione di un tavolo di dialogo permanente fra l’amministrazione federale e gli enti locali nonché l’approfondimento degli aspetti del riuso di aree nella statistica ufficiale.

Nella strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile non si delinea ancora un compiuto programma integrato di azioni. Viene però descritta dettagliatamente la strategia che il governo intende seguire. Questa strategia poggia su quattro principi:

  1. le scelte di nuova occupazione di aree devono essere sostenute da un quadro attendibile dei costi economici e sociali;
  2. gli strumenti economici e fiscali possono completare quelli della pianificazione urbanistica e territoriale aumentando notevolmente l’efficacia dell’azione;
  3. è necessario rafforzare gli strumenti della pianificazione urbanistica e territoriale e promuovere la cooperazione fra enti locali;
  4. il dialogo fra gli attori deve essere intensivato e sostenuto anche tramite la promozione di progetti pilota.

Conclusione

Il dibattito tedesco sugli strumenti e sulle azioni necessari a contenere la progressiva urbanizzazione della campagna dimostra che solo difficilmente può essere raggiunta una riduzione significativa della tendenza attuale da alcune poche misure isolate. Probabilmente è necessario ricorrere a una vasta gamma di strumenti, sia di natura giuridica e pianificatoria, sia con contenuto economico e fiscale, sia con finalità comunicativa, i quali insieme possono contenere il consumo di suolo.

Non c’è dubbio che la strategia principale deve riguardare un maggiore ricorso alla trasformazione di aree già urbanizzate e il riuso di aree dismesse per soddisfare i fabbisogni di spazi futuri. Considerata la dinamica attuale dell’occupazione di suolo in Germania, l’obiettivo dei “30 ha/giorno” determina un rapporto fra trasformazione ed espansione pari a 3:1.

La politica tedesca di bilancio delle aree non si ferma però a questo obiettivo. L’obiettivo di lungo periodo è un’economia di ricircolo delle aree già urbanizzate, senza dover ricorrere a ulteriori erosioni di spazi rurali e naturali. E’ evidente che questa formulazione ha un forte carattere utopico. Essa è però ben supportata da una coerente strategia d’azione dal livello del Bund, ai Länder fino ai singoli comuni. Forse è una caratteristica della cultura tedesca proporre una via pragmatica anche per raggiungere l’impossibile.

Nota: su un tema parallelo, di carattere soprattutto demografico legato a suburbanizzazione e densità, su Eddyburg è disponibile in italiano un recente articolo di Bernhard Müller e Stefan Siedentop (f.b.)

Sassari, 14 marzo 2005 - Ricevo il programma di un seminario a cura della Fondazione Giovanni Astengo sulla perequazione urbanistica tra teoria e pratiche. Te lo invio perché tu possa apprezzare non tanto gli argomenti delle lezioni che ripropongono uno schema noto. Quanto il senso che si attribuisce al seminario in questa temperie, tra perequazione urbanistica e legge Lupi. Nella presentazione si afferma che la perequazione è uno dei contenuti essenziali della proposta di legge all'esame della Camera dopo il dibattito in Commissione VIII (?). E il pronostico è che, per le ampie convergenze politiche, l'approvazione delle legge Lupi possa essere rapida.

Non so quanto sia fondata l' opinione sui tempi -quattro salti in padella, ma ciò che colpisce è che si dia per scontato che il governo del territorio debba evolvere secondo l'idea che nelle pagine di questo sito è stata definita sconveniente per i cittadini e vantaggiosa per la rendita. Nessun dubbio, proprio nessun dubbio da parte della Fondazione che mi pare esprima un'altra molto ma molto distante convinzione.

Alle "ampie convergenze politiche" l'INU ha certamente contribuito. A me stupisce un po' che la Fondazione Astengo aderisca così totalmente all'attuale linea del gruppo dirigente dell'INU. Scopro che, nonostante le mie dimissioni dall'INU, io sono ancora membro del Comitato scientifico della Fondazione, e provvedo immediatamente a dimettermi. Qui sotto il programma del seminario e la mia lettera di dimissioni

Governo del territorio, il Consiglio provinciale a maggioranza contesta

il progetto di legge presentato

dall’onorevole Maurizio Lupi di Forza Italia

Il progetto di legge “principi in materia di governo del territorio”, in discussione alla Camera dei deputati in questi giorni, appare potenzialmente in contrasto con alcuni articoli della Costituzione italiana. È quanto afferma un ordine del giorno presentato da Verdi, PdCi, Rc, Margherita e Ds e approvato ieri dal Consiglio provinciale con 18 voti favorevoli (Ds, Margherita, Verdi, Rc, PdCi) e 3 contrari (An e FI). Il progetto di legge, sostiene il documento, “indebolisce il principio di governo pubblico del territorio che rappresenta una delle principali conquiste del pensiero liberale e accomuna tutti i paesi sviluppati”.

Gli articoli della Costituzione che, secondo il documento, vengono messi in discussione dal progetto di legge sono, in particolare, l’art.9 “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”; l’art.117 (lettera s), lo Stato ha legislazione in materia di “Tutela dell’ambiente dell’ecosistema, dei beni culturali”; l’art. 118 “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidarietà, differenziazione ed adeguatezza”.

L’odg ritiene il progetto di legge un “atto di abdicazione rispetto ai poteri e ai compiti degli enti territoriali a rappresentanza generale, così come sanciti dalla Costituzione della Repubblica e dalle vigenti leggi dello Stato; un passo indietro rispetto al ruolo delle Province in materia di pianificazione e governo del territorio, che contraddice il decreto legislativo 267 del 2000, che ha affidato alle Province, attraverso la legge regionale, l’approvazione e l’adozione del Ptcp; un palese attacco al paesaggio italiano e ai suoi valori; una pericolosa e incontrollata apertura alle logiche di mercato, con il rischio che queste prevalgano sui diritti di cittadinanza e l’interesse generale”. Pertanto, il documento invita innanzitutto il Parlamento a tenere conto di queste osservazioni e ad adottare le modifiche necessarie e la Regione a non abbassare la guardia in tema di governo del territorio e tutela del paesaggio”.

Il Consiglio comunale di Casalecchio al Reno “ritiene il Progetto di Legge Princìpi in materia di governo del territorio un atto di aggressione verso i poteri e i compiti degli enti territoriali a rappresentanza generale, così come sanciti dalla Costituzione della Repubblica e dalle vigenti Leggi dello Stato; una pericolosa e inaccettabile apertura alla negoziazione di diritti di cittadinanza con le logiche di mercato; una palese attacco al Paesaggio italiano e ai suoi valori” valuta “che il Progetto di Legge Princìpi in materia di governo del territorio risulta essere dirompente sotto tutti i profili: ambientale, sociale, culturale e politico” e di conseguenza “esprime la più netta contrarietà”

1. Un paese urbano-industriale

In Italia la transizione da una società rurale ad una società urbano-industriale è schematicamente descrivibile in tre tappe. La fase originaria, della prima industrializzazione concentrata prevalentemente nelle regioni nord-occidentali e della prima modernizzazione urbana, si colloca tra il 1880 e il 1920. Nella seconda, tra le due guerre mondiali, il sistema urbano e industriale si consolidò, anche grazie alla sua parziale estensione ad altre aree del paese e allo sviluppo di alcuni settori industriali più avanzati (in specie l’industria idroelettrica e chimica). La terza fase, di cui ci occupiamo in questa sede, si colloca tra il 1950 e il 1970, quando una ulteriore e quantomai intensa crescita quantitativa del sistema urbano ed industriale si tradusse nel definitivo mutamento degli assetti complessivi del paese, che da allora furono compiutamente dominati da un’economia industriale e da una società di tipo urbano. Se la ricostruzione postbellica segnò il lento avvio di questa “grande trasformazione”, il cosiddetto «miracolo economico» (gli anni dal 1958 al 1963, caratterizzati da tasso di crescita del GNP particolarmente elevato) ne fu il cuore propulsivo. Il 1970 può considerarsi un punto di svolta, non solo perchè si manifestarono i primi segni di inversione del ciclo economico internazionale, ma perché, sul piano interno, da allora anche in Italia le questioni ambientali assunsero ben maggiore visibilità nell’opinione pubblica e nel dibattito politico e, allo stesso tempo, l’istituzione dei governi regionali segnò una marcata discontinuità nelle politiche economiche e ambientali.

Tra il 1950 e il 1970 si registrò dunque intenso “sviluppo” sociale ed economico. Tra i fenomeni più significativi ricordiamo: i) la grande crescita e diffusione dell’apparato industriale anche in regioni finallora prevalentemente rurali (Toscana, Emilia, Veneto); ii) il formarsi di nuove “aree industriali” in varie regioni del paese (ad es. Mestre-Marghera in Veneto, Massa in Toscana, Augusta-Priolo e Gela in Sicilia); iii) una urbanizzazione massiccia, sia a carattere diffuso (nelle pianure interne e litoranee) sia a carattere accentrato (nelle nuove aree metropolitane attorno a Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli); iv) una altrettanto significativa deruralizzazione, che si manifestò nel declino delle attività e degli insediamenti rurali specie in collina e in montagna, l’abbandono delle pratiche di mantenimento del territorio nelle aree più elevate e la ‘industrializzazione’ delle colture in pianura.

2. Mobilitare le risorse

La crescita di tale sistema urbano-industriale si tradusse anzitutto in una mobilitazione estensiva ed intensiva di risorse naturali su numerose e vaste aree territoriali.

In modo sommario, ma eloquente, possiamo ricordare la pressione esercitata sul suolo, attraverso l’estrazione di materiali da costruzione (la produzione delle cave passò da circa 38 milioni di tonnellate nel 1951 a oltre 221 milioni di tonnellate nel 1971); attraverso la sua copertura per realizzare infrastrutture e soprattutto edificare nuove abitazioni (nel periodo considerato i vani passano da 37 a 71 milioni e la superficie urbana aumentò da tre a dieci volte) e attraverso la industrializzazione dell’agricoltura (confermata dal raddoppio della produzione agricola). Quanto all’aria, basta ricordare che il numero degli autoveicoli crebbe da circa 340.000 nel 1950 a oltre 10 milioni nel 1970, mentre nel solo quinquennio 1966-1971 le emissioni di scarico degli autoveicoli aumentarono del 46% e il consumo di combustibili per riscaldamento raddoppiò, per non parlare degli scarichi industriali. Infine, si registrò un massiccio incremento nell’utilizzo delle acque, provocato congiuntamente dalla crescita degli usi domestici (favorito dalla estensione della rete degli acquedotti e delle fognature: dal 1963 al 1974 i comuni dotati di acquedotto passarono dal 69% all’85% del totale), di quelli industriali e di quelli agricoli.

Proprio nel circuito delle acque divenerro presto evidenti le tensioni ambientali indotte da quel massiccio e rapido intensificarsi dello sfruttamento delle risorse naturali. In questo ambito si manifestò una scarsità relativa, se non assoluta, delle risorse: infatti, mentre la domanda cresceva, l’acqua disponibile diminuiva, proprio perché la stessa espansione dei consumi provocava un notevole inquinamento delle acque superficiali. La conseguenza fu un accresciuto ricorso alle acque profonde, ma questo si rivelò un rimedio di scarsa lungimiranza, perché indusse un abbassamento della falda e ne favorì l’inquinamento.

3. Una crisi ambientale?

In realtà, l’affermarsi del sistema urbano-industriale alterò le modalità d’uso delle risorse naturali in misura tale da indurre una vera e propria crisi degli assetti ambientali. Quello delle risorse idriche fu il caso più rilevante, ma certamente non l’unico. In questo ambito, l’espansione del sistema urbano-industriale aveva spezzato di fatto il precedente equilibrio tra la porzione antropica (gli usi domestici ed industriali) e il restante segmento del ciclo delle acque, quello in cui i cosiddetti processi di “autodepurazione” rendevano le acque reflue nuovamente disponibili per gli usi antropici.

Fin dagli anni Cinquanta erano stati segnalati preoccupanti focolai di inquinamento delle acque superficiali. L’allarme riguardava non solo alcune aree di antico insediamento urbano e industriale (specie in Piemonte, Liguria e Lombardia) ma adesso investiva progressivamente anche le regioni di nuova industrializzazione, come il Veneto, l’Emilia-Romagna e la Toscana, per lo meno in quelle zone di pianura divenute sede delle nuove localizzazioni industriali e delle aree urbane in rapida ed incontrollata espansione.

Per quanto non esistessero rilevazioni sistematiche, alcuni tecnici accorti percepivano chiaramente come non si trattasse di singoli episodi localizzati di inquinamento, ma del fatto che porzioni sempre più estese di territorio o di bacini idrici erano sottoposte ad una pressione inquinante crescente e provocata da cause molteplici. Indagini occasionali, ma significative, dimostrarono fin dai primi anni Sessanta, che le industrie scaricavano in modo largamente incontrollato acque reflue notevolmente tossiche – in Lombardia, come in Romagna o in Toscana e perfino in Sardegna – e che, parimenti gli scarichi delle fognature urbane si riversavano senza alcuna depurazione nei corsi d’acqua superficiali o direttamente in mare. Nel giro di pochi anni, risultarono notevolmente inquinati larghi tratti dei maggiori fiumi e talora l’intero corso di fiumi minori, come pure ampie zone delle acque litoranee, non solo in rispondenza dei grandi porti, in Liguria o in Toscana, come nell’Adriatico o attorno alle principali città del Meridione. Il rapido deteriorarsi della situazione fece sì che alla fine degli anni Sessanta la situazione potesse ritenersi "tragica", in quanto almeno la metà dei corpi idrici era da considerarsi in "stato di notevole deterioramento", in alcuni casi a livello irreversibile.

Il diffuso inquinamento chimico e batterico delle acque superficiali provocato dalla crescita del sistema urbano-industriale da un lato danneggiava fortemente attività produttive di importanza declinante, quali la pesca e l’agricoltura, quest’ultima peraltro non priva di responsabilità nell’inquinamento. Dall’altro, esso minacciava le stesse prospettive di crescita delle città e delle industrie, sempre più in competizione tra loro per acquisire risorse – anzitutto acqua e suolo – che autorità governative nazionali e locali, esponenti degli gruppi economici, tecnici di settore e parte almeno dell’opinione pubblica temevano avrebbero potuto scarseggiare in un futuro non lontano.

In realtà, la crisi ambientale aveva una duplice radice. La prima stava nel fatto che sostanzialmente le acque reflue erano scaricate senza alcune preventiva depurazione, oltreché essere adesso gravate da nuove sostanze inquinanti derivanti dai “progressi” dell’industria chimica e metallurgica (ad esempio i detersivi sintetici). La seconda stava nel fatto che lo sviluppo urbano e industriale, polarizzato attorno ai grandi centri urbani o diffuso nelle “campagne urbanizzate” [urban sprawl? o urbanised countryside?], determinava non solo una crescita quantitativa dei reflui, ma un effetto cumulativo largamente inedito. Tale effetto cumulativo si manifestava nella stretta integrazione tra i diversi sistemi di utilizzo delle risorse, per cui ben più di prima sullo stesso corpo idrico gravavano contemporaneamente usi diversi e tra loro concorrenti (industrie di vario tipo, acquedotti comunali, ecc.). Ma si manifestava anche, data l’estensione e la contiguità tra i soggetti concorrenti per le risorse, nella marcata riduzione e, sovente, nell’annullamento della distanza spaziale e temporale tra le diverse modalità di prelievo ed utilizzo delle risorse. L’annullamento di quella distanza impediva i cosiddetti processi di “autodepurazione” (degradazione organica del carico inquinante) che finallora avevano in qualche misura contenuto i fenomeni di inquinamento.

Il drastico aumento dell’impatto ambientale del sistema urbano-industriale era dunque strettamente connesso sia alla sua crescita quantitativa, sia alla forma della sua espansione spaziale. Era l’effetto del venir meno di quella delimitazione, relativa, ma evidente, tra città e campagna che finallora aveva caratterizzato la morfologia del territorio e governato gli scambi – anche di risorse naturali – tra la città e le aree circostanti e dunque tra mondo urbano e mondo rurale o comunque tra le città e il più ampio contesto ambientale.

Lo sviluppo urbano degli anni Sessanta modificò fortemente gli assetti territoriali tradizionali tendenzialmente dualistici e indusse una ben più marcata integrazione tra le aree urbane e i territori su cui esse insistevano. Ne scaturirono sistema territoriali al tempo stesso compositi, plurimi e gerarchizzati, non a caso etichettati dal dibattito coevo con termini allusivi come “aree metropolitane”, “città-regione”, “città-lineari”, ecc., a testimoniare il primato e al tempo stesso la pervasività dell’elemento urbano. Non casualmente, in questi anni l’antica questione del dissesto idro-geologico del paese, tradizionalmente configurata in termini di conservazione idraulico-forestale delle aree montane, assunse nuova drammatica attualità in seguito ai gravi e diffusi eventi alluvionali del 1966 e dovette giocoforza ridefinirsi in termini assai più ampi, perché adesso investiva anche le scelte di utilizzo dei suoli di pianura, i sistemi di approvvigionamenti idrico delle città e delle industrie, ecc.

L’inquinamento diffuso era la spia dell’impatto territoriale e ambientale causato dalla intensità e dalle modalità espansive del sistema urbano-industriale e, proprio per questo, imponeva una riorganizzazione complessiva del governo del territorio e, in specie, delle modalità di sfruttamento delle risorse naturali. Non sorprende che la crisi ambientale alimentasse non solo preoccupazioni per la salute pubblica, ma anche per lo sviluppo delle attività produttive.

Le implicazioni ambientali del nuovo rapporto tra sistema urbano-industriale e territorio trova conferma anche nelle condizioni del suolo e dell’aria. L’espansione urbana, reticolare o lineare che fosse, si coniugò con la modernizzazione delle strutture edilizie (ora sistematicamente dotate di acqua corrente, scarichi, impianti di riscaldamento e energia elettrica) e delle infrastrutture di trasporto indispensabili alla movimentazione di persone e beni, a sua volta sollecitata dalle nuove attività produttive e dalla stessa nuova morfologia urbana. La copertura estensiva dei suoli o comunque la forte riduzione della loro capacità di drenaggio, la riduzione delle aree verdi e la moltiplicazione delle aree di prelievo di materiali e di depositi dei rifiuti solidi si accompagnarono al crescente inquinamento e abbassamento della falda idrica. Ne derivò una drastica semplificazione delle valenze ambientali del suolo, che fu trasformato in supporto apparentemente inerte alle attività antropiche e, in realtà, divenne un elemento particolarmente debole dell’ecosistema.

L’inquinamento aereo, a sua volta, era stato dibattuto fin dagli anni Cinquanta, anche se le varietà e talvolta il favore delle condizioni microclimatiche locali avevano indotto una sottovalutazione del problema. Alla fine del decennio successivo, si dovette prendere atto che il 42% della popolazione viveva in aree “ad alto rischio”. Sotto accusa finirono soprattutto le emissioni solforose prodotte dai veicoli a motore e dagli impianti di riscaldamento, mentre più o meno colpevolmente si accantonò il problema degli scarichi industriali, dei quali restava difficile conoscere non solo i molteplici componenti tossici, ma le stesse dimensioni quantitative.

4. Una politica ambientale debole e tardiva

L’evidenza e la diffusione dei fenomeni di inquinamento fin dai primi anni Sessanta indusse gruppi di tecnici, amministratori locali e popolazioni coinvolte a ricercare soluzioni alla incombente crisi ambientale. Né si mancò di individuare – anche sulla base di una apprezzabile conoscenza delle esperienze straniere – alcuni criteri generali di intervento, orientati ad un controllo integrato delle risorse e ad una pianificazione territoriale ed ambientale in grado di orientare anche lo sviluppo economico e la crescita urbana. Tuttavia, gli atti legislativi e di governo tardarono a venire, nonostante l’urgenza dei problemi e la concomitante nascita degli enti regionali. Pesarono certamente le dimensioni e la complessità delle questioni da affrontare, ma le responsabilità maggiori sono da attribuire per un verso alla forza degli interessi coinvolti, in primo luogo quelli dell’industria e della grande proprietà immobiliare, e, per altri versi, al prevalere di un indirizzo politico preoccupato di garantire la disponibilità delle risorse per lo sviluppo, piuttosto che di tutelare il sistema ambientale nel suo insieme. Si giunse così ad emanare solo due, seppur importanti, leggi generali in materia ambientale. Ma le norme contro l’inquinamento atmosferico approvate nel 1966 di fatto intervennero solo sul riscaldamento domestico, in piena sintonia con gli interessi dell’industria petrolifera e automobilistica, mentre la legge sulla tutela delle acque fu emanata solo nel 1976 e fu applicata con notevolissima gradualità e in larga misura a spese della collettività.

Piani regolatori e ambiente in Italia: visioni del futuro delle città tra sistemi tecnici, organizzazioni burocratiche e percezioni della natura

Questa sessione sul versante urbano della storia ambientale, organizzata da Gabriella Corona e Simone Neri Sernieri, mi sembra molto importante, in un convegno di storia ambientale dove dominano gli approcci legati ad una visione della storia ambientale a mio avviso troppo naturalistica. Questa sessione, quindi, è importante per due ragioni. La prima è la poca importanza data alle città (e all’industria) nelle considerazioni sulla storia ambientale. La seconda ragione tiene nell’importanza di storicizzare la lettura del rapporto fra città e ambiente. Intendo storicizzare non solo nel senso di prendere in considerazione il passato, ma anche di uso del metodo storico, con l’applicazione di questioni specifiche.

Questa relazione viene concepita in quanto primo approccio a un nuovo tema di ricerca. Dopo dieci anni dedicati allo studio della pianificazione urbana a Roma nell’Ottocento, attorno ad un’attenzione alla relazione tra procedure di costruzione di un apparato tecnico-burocratico di pianificazione e trasformazioni dello spazio, si tratta di esplorare il rapporto tra città e natura nel Novecento attraverso le modalità di pianificazione.

Ma quel che c’insegna l’Ottocento è che non basta applicare questioni relative alla concezione della natura. Serve anche chiederci come si costruisce il rapporto fra città e natura attraverso un sistema amministrativo e sociale. Il piano, anche se non copre l’insieme di questo rapporto, e di questo si deve sempre essere coscienti, non va studiato necessariamente in se, ma in quanto espressione manifesta di un certo tipo di rapporto fra città e spazio, espressione anche di una forma di organizzazione burocratica e politica[1].

Si è studiato molto ultimamente il limite del piano in quanto strumento universale di trasformazione dello spazio urbano, poi di spiegazione storica della trasformazione. Non si tratta minimamente qui di tornare ad una visione pianocentrica. Anzi, il fatto di inserire il piano in un sistema più vasto fa parte del movimento di relativizzazione della valenza del piano. Il piano come sistema di norme va anche discusso in questo senso. I recenti dibattiti sulle norme di urbanità, sia di costruzione che di comportamento, devono essere tenuti in mente.

Si può anche pianificare al di fuori del piano, per ragioni politiche, sociali o amministrative.

Detto questo, il piano regolatore all’italiana rimane un oggetto importante per lo studio della relazione fra una società e lo spazio. Tramite la procedura di pianificazione si esprime non solo una visione del futuro, ma anche una concezione del modo di mettere in relazione l’apparato burocratico con lo spazio urbano. Nel caso della natura in città, questa espressione è molto importante.

Dei piani dell’Ottocento, e del rapporto fra burocrazie e verde urbano in generale all’epoca, importa ritenere diverse modalità, di cui i piani del secolo successivo sono doppiamente portatori: nell’inerzia dello spazio costruito, e nell’inerzia delle procedure, delle interpretazioni e delle pratiche.

Il piano regolatore rappresenta, nella tradizione urbana italiana, il nodo burocratico, amministrativo, sociale e politico della previsione del futuro delle città. E anche un indicatore del rapporto tra città e natura al momento della sua redazione. La relazione delle società urbane all’ambiente ne è profondentemente segnata, nelle dimensioni sia affermativa (e non necessariamente positiva), come impatto del piano, che negativa (ma non necessariamente nel senso morale), come non applicazione del piano o costruzione della città al di fuori di esso. Questa relazione, esaminando l’evoluzione del trattamento dell’elemento “natura” nei piani e nei dibattiti ad essi legati sin dai tempi della legge del 1865, propone un tentativo di lettura della complessa relazione fra sistemi burocratici e spazio delle città.

Marcel Roncayolo, con Grammaires d’une ville, proponeva, a partire dal caso di Marsiglia, un’interessante analisi dell’eredità della scuola sociologica di Chicago nel campo dei studi urbani[2]. Per questo ricercatore, che ha a lungo sviluppato studi importanti, ma molto solitari e poco connessi con quelli dei suoi contemporanei, si tratta di uno dei pochi esempi di inserimento delle proprie ricerche in un quadro intellettuale più largo. Invece di ritenere solamente gli aspetti legati alle prime tappe nella costituzione della sociologia urbana e dell’ecologia urbana come discipline accademiche, cercava, nel ricostruire il legame tra personaggi come Burgess, Quinn o Firey e la metodologia delle scienze naturali, o il legame tra scienze sociali ed ecologia botanica, di ricreare il percorso intellettuale di questi ricercatori verso l’interpretazione dell’evoluzione dello spazio urbano. La proposizione, nel senso quasi matematico, “la città e la natura sono in interrazione” costituisce, per l’ecologia urbana un paradigma iniziale e fondatore. Ma per gli ecologi urbani, la natura non era soltanto il quadro d’insieme, ma anche un concetto organico: l’interrazione tra città e natura può essere letta con analogie tratte dalla natura stessa e le scienze naturali forniscono sia i modelli che i concetti per la lettura della relazione tra natura e città. Queste tendenze si verificano nella letteratura contemporanea in tutti e due i campi: studi urbani e storia ambientale. Hanno sicuramente permesso molti passi avanti. La storia urbana stessa si è anche sviluppata a lungo usando anche analogie basate sulla natura e sul corpo umano. Quando le analogie vengono applicate a certi oggetti, possono di sicuro essere molto efficaci. Ma non coprono necessariamente l’insieme del panorama di attitudini nei confronti dell’oggetto, e l’analogia non è l’unico modo d’interpretare la relazione tra città e natura.

La storia ambientale si è poi concentrata sulla relazione tra città e natura dal punto di vista del trattamento dei rifiuti[3]. Fogne, rifiuti, reti tecniche sono stati oggetti di un forte e sostenuto sforzo di ricerca accademica, e degli autori come Dupuy, Tarr, Melosi o, per l’Italia, Sori, hanno promosso un’interpretazione nella quale il legame tra città e natura non si riduce ad una semplice meccanica, ma viene analizzato in quanto relazione sociale costruita ed articolata. Le scienze sociali hanno progressivamente costruito concetti interpretativi propri, prova del fatto che le idee dei fondatori, e in generale l’eredità di quel che si è chiamato l’approccio della scuola di Chicago agli studi urbani e all’ecologia, hanno aiutato la disciplina a crescere. I paradigmi non sono più basati su l’analogia, ma costruiti a partire da un’interpretazione della società stessa. E’ tutto il percorso dell’ecologia, da scienza naturale a scienza sociale, e, nel caso degli studi urbani, dall’analogia con la natura a l’uso di concetti costruiti sulla base delle scienze sociali. Restava poi ad estendere la lettura della relazione tra natura e città ad altri settori degli studi urbani, come l’interpretazione dei processi decisionali, la governance dei sistemi tecnici, il ruolo della natura nelle trasformazione della forma urbana e della società urbana, l’analisi dei sistemi urbani dal punto di vista di un’ecologia urbana rinnovata.

uuforniscono sia i modelli che i concetti per la lettura della relazione tra natura e città.e di questi ricercatori verso l'ione

Il panorama storiografico sulla pianificazione urbana in Italia nel secondo Novecento è ancora dominato dal paradigma delle tre generazioni di piani sperimentati in Italia a partire dalla Liberazione, come teorizzati da Campos Venuti negli anni 1980[4].

La prima generazione copre, per Campos Venuti, i piani del dopoguerra la cui funzione era di ricostruzione senza esplorare nuove vie di pianificazione e di sviluppo della città. Anche se, come si vedrà questa è un’opinione forse eccessiva, la categoria descrive bene la realtà degli anni 1945-1955. La seconda generazione di piani, per Campos Venuti, s’incontra negli anni 1960, quando si tratta di canalizzare, e non di affrontare, gli effetti della speculazione. La terza generazione, invece, si presenta come innovazione sia nel contenuto del piano che nella sua concezione in quanto strumento e processo.

Ma questa tipologia, la cui elaborazione è ovviamente contemporanea della promozione della terza generazione di piani, rinvia ad una lettura centrata più sulla procedura stessa, le sue caratteristiche, che sulle sue interrazioni con lo spazio o la natura.

Se la tipologia rimane largamente pertinente per le questioni sul rapporto al verde e alla natura, conviene esaminare da più vicino la relazione tra procedura e verde urbano tra il 45 e i nostri giorni.

Il fascismo è stato a lungo percepito come antiurbano[5]. Ma si deve andare oltre questo giudizio, ricordando che il rifiuto della pressione delle masse urbane è una costante in Italia sin dai tempi di Quintino Sella. Si deve anche leggere la produzione urbanistica fascista sotto l’aspetto del verde urbano.

Nel piano Piacentini per Roma (1931), va per esempio valutata la svolta nel considerare il verde urbano, in netto contrasto con l’eredità di un verde fatto di soli parchi concepiti come il residuo della lottizzazione delle ville aristocratiche. Con Piacentini, il verde urbano appare più in continuità con il verde articolante della passeggiata archeologica dei decenni precedenti.

Il vero crimine fatto dai fascisti alla passeggiata archeologica di Guido Baccelli non è di averla completata in una maniera contestabile con la via dei fori imperiali, che dopo tutto non era cosi estranea alla cultura urbanistica dell’epoca precedente, ma piuttosto di averla aperta alle macchine automobili.

La legge del 1942, che per molti aspetti fornisce il quadro non solo legislativo, ma anche metodologico agli interventi dei decenni successivi non affronta direttamente il tema del verde urbano[6]. Se gli articoli 5 e 7, in quanto relativi alle zone ed aree a speciali destinazioni e agli spazi per uso pubblico, furono usati a questo scopo, rimane il fatto che la legge non crea un categoria ad hoc. Ma questo non basta ad eliminare dalla ricerca l’orizzonte aperto da questa innovazione legislativa. Va in effetti studiato più accuratamente il rapporto fra nuova legge e organizzazione degli uffici di pianificazione in relazione al verde urbano.

Alla Liberazione, la cultura della lotta partigiana segna duramente la pratica urbanistica. La concezione della relazione al verde urbano viene quindi costruita a partire sia del quadro della legge del 42 che dalle idee di una pianificazione tratte dagli ideali partigiani. La proposta del MSA, Movimento di studi per l’architettura per un piano di Milano che venne poi ricordato come Milano verde, si iscrive in questo contesto. Confrontato con le realtà amministrative e soprattutto politiche del immediato dopo guerra, questo ambiente propositivo è dovuto molto presto integrare altri elementi, come la forza del valore fondiario. Ma in occasione dell’ottava triennale, nel 1947, con la pianificazione del quartiere detto QT8, si è potuto proporre diversi elementi tratti da questa cultura nel dibattito sul piano regolatore di Milano. E anche se, come ha sottolineato Mioni, gli uffici tecnici del comune hanno tradito lo spirito dei professionisti più avanzati, l’idea di una città verde ha segnato la cultura urbanistica del dopoguerra[7]. Il verde urbano era all’epoca già più del risultato della sottrazione alla speculazione. Era parte integrante della pianificazione di un quadro di vita concepito al livello urbano.

Anche a Firenze, le esperienze del dopoguerra hanno segnato una svolta, se non nella forma della città, almeno nella storia intellettuale del rapporto tra pianificazione e verde urbano. Le idee del Comitato provinciale per la ricostruzione, e il progetto di piano in questo ambito redatto, riflettevano in effetti una concezione della ricostruzione della città, e della sua estensione, che dava al verde urbano un ruolo organico[8]. Queste idee sembravano inoltre in misura di guadagnare consensi nel contesto locale quando la caduta del governo Parri a livello nazionale ha segnato la fine delle esplorazioni politiche che le accompagnavano. Il confronto poi tra un’amministrazione comunale di sinistra e il governo De Gasperi ha creato un contesto completamente diverso, come, a partire dell’inizio degli anni 1950 la presenza a Palazzo Vecchio di un primo La Pira la cui priorità era chiaramente la casa. Negli anni 1960, con l’emergenza alluvione, e nel decennio successivo con alcune esplorazioni sulla necessità di una pianificazione sovracomunale Firenze torna brevemente ad esplorare vie alternative di pianificazione, ma il paesaggio locale e la cultura urbanistica locale restano a lungo segnati da queste condizioni iniziali.

A Napoli, con gli anni del cosiddetto “laurismo” e i peggiori eccessi di una speculazione segno di collusione tra poteri politici e interessi privati, si è venuto a dimenticare il contesto che aveva fatto si che nell’immediato dopoguerra ci si era già allontanato dall’eredità di un piano del 1939 che prevedeva per esempio un parco panoramico ai Camaldoli. Con una sinistra che aveva come unica priorità nel piano il lavoro, e una destra già molto vicina agli ambienti della speculazione, già nel 1944 si capisce che la Napoli del dopoguerra non sarà il teatro di innovazioni urbanistiche per quanto riguarda il verde urbano. Già il piano del 1946, risultato delle mediazioni politiche dell’anno precedente dà la priorità assoluta all’industria[9]. Quando Lauro decide di uscire dalla procedura, nel 1952, i giochi sono già fatti.

Gli anni 1950 sono poi segnati da necessità diverse, la prima delle quali essendo legata all’enorme bisogno di case. Anche se il concetto di quartiere come viene declinato all’epoca è stato promosso dalla Democrazia cristiana in opposizione a una città giardino consumatrice di spazio fondiario e alle troppe forti concentrazioni, con dietro un’ideale ideologico, rimane il fatto che nel piano Fanfani, e poi nei programmi INA-CASA, il sociale è più importante del spaziale. Per questa epoca, importa oggi però proporre una lettura politica delle vicende del verde urbano che vada oltre i giudizi morali e politici sulla stagione dei blocchi edilizi. La storia urbana c’insegna, insomma, che vanno rivalutati i studi politici in materia di pianificazione.

La Bologna degli anni 1950, con il piano Marconi, è anche segnata da una cultura urbanistica molto convenzionale: il piano traccia le linee dell’espansione e riempie i buchi dell’urbanizzazione.

Nel 1960, il convegno nazionale d’Italia nostra, che si tiene a Modena, città allora già importante nel dibattito sul verde urbano[10], ha come tema la “difesa del verde”. Si diffondono nel pubblico e fra gli addetti ai lavori cifre allarmiste sulla disponibilità di verde urbano per abitante in Italia. Contro i 154m2 di Los Angeles, 30 di Amsterdam, 10 di Londra, 7,5 di Parigi, Roma disporrebbe all’epoca di soli 2m2, e Milano 1,5.

Si comincia allora ad elaborare una tipologia del verde (decoro urbano, giardini, verde di quartiere, grandi parchi urbani), che serve da base a molti piani degli anni successivi. Con la politica detta poi degli standards, si rinnova di fatto la fiducia nel piano come strumento capace di portare a risultati soddisfacenti. La fiducia è anche nelle capacità di acquisizione fondiaria dei comuni.

Ma in questi primi anni 1960, Modena presente l’esempio di una prima svolta nella concezione del piano. Già la variante generale al piano regolatore presentata nel 1958 e adottata nel 1965 riflette la diffusione di una nuova cultura del piano. Questo è strettamente legato alla storia politica di questo comune, ma è anche segno di un cambiamento di attitudine e di mobilizzazione delle competenze professionali. Come sempre, sin dall’Ottocento, il piano è lo strumento d’azione di un potere municipale. Come sempre, la fiducia nel piano s’incontra più volentieri tra quelli che hanno intenzione di applicare allo spazio urbano un programma politico e sociale. Ma se il piano progressista investito di questa fiducia rifletteva anche una certa ingenuità, a partire dalla metà degli anni 1960, in alcune città, la fiducia progressista nel piano si accompagna di una riflessione rinnovata sullo strumento stesso, di cui la concezione del verde è un eco.

L’idea del verde come servizio deriva da queste considerazioni.

Italo Insolera ha partecipato a questa elaborazione concettuale sin dall’inizio. Se si consulta il suo articolo per Urbanistica del 1966, si vede quanto il verde veniva pensato poco a poco in relazione ai cambiamenti sociali in atto[11]. Il verde nel piano diventa anche la trasposizione spaziale della nuova cultura del tempo libero. Ancora negli anni Ottanta, è questo paradigma marxista di evoluzione della società industriale a fornire il quadro alla lettura delle mutazioni della cultura del piano[12]. Il cambiamento nella concezione della pianificazione deriva dal passaggio “da società agro-industriale alla condizione odierna” (non più precisamente specificata).

Ma, all’inizio degli anni 1970, è ancora Modena che segna l’arrivo sulla scena urbanistica di una nuova concezione, quella del verde urbano il cui ruolo è di orientare la crescita urbana. L’idea, in questa città, di un parco della Resistenza, eco nel nome degli ideali pianificatori di quest’epoca, che si concretizza nella variante generale del 1975, costituisce uno dei primi esempi di verde urbano atto ad orientare le linee di espansione, e quindi ad articolare il piano. Da vuoto nel piano, il verde diventa spina dorsale. La nozione di “sistema del verde”, che poi si diffonde, ne deriva sicuramente. Il verde urbano diventa allora spatium ordinans, e non più solamente spatium ordinatum, secondo la seducente proposta teorica di Jan Patocka[13].

Lo studioso dell’Ottocento deve qui precisare però che questa non è una novità assoluta, anche se lo è sicuramente nella costruzione concettuale. Ma già negli ultimi decenni dell’Ottocento a Roma, l’area archeologica centrale, voluta da Guido Baccelli può essere letta in questi termini: un blocco di verde urbano disegnato dallo stato per orientare le linee di pianificazione municipale. Il sistema del verde del Novecento non ne è per meno nuovo, in quanto teorizzazione innovativa del rapporto fra città e verde.

Negli anni Settanta, il dibattito sul verde urbano conosce altre declinazioni. Leggere oggi la descrizione dei piani della terza generazione che davano gli attori all’epoca rimanda ad una retorica marxista nella quale l’industria e il patrimonio industriale erano ancora al centro delle priorità. Il piano della terza generazione non è per niente ancora un piano di città sostenibile o di città verde. Ma l’espansione di alcune città alla punta della riflessione sul piano (generalmente progressiste talmente il valore ideologico dello strumento è forte nel contesto italiano), verso zone finora agricole pone nuovi problemi, e favorisce l’emergere di nuove soluzioni. La trasformazione del verde agricolo in verde ricreativo è la posta in gioco, cioè togliere all’espansione del costruito un parte di questi terreni. Ne viene fondamentalmente modificato il grado di artificialità del paesaggio. Ma questo è il destino delle città. Urbanizzare zone precedentemente agricole è stato il modo prioritario d’espansione per più di un secolo. Quel che è interessante è vedere quanto questo fatto all’epoca, segna la cultura urbanistica, e quanto ha avuto influenza sulla nuova cultura del piano che si diffonde.

Le esperienze bolognesi degli anni Settanta e Ottanta, la cui grande innovazione è forse l’idea del piano come strumento di creazione di uno spazio per il cittadino e luogo stesso, sia simbolicamente che nelle pratiche, della partecipazione cittadina, derivano parzialmente di questo dibattito sul verde agricolo[14]. La riflessione sul che fare di queste zone è parte integrante della maturazione della democrazia partecipativa, o almeno della sua teorizzazione e promozione politica. Il verde, da vuoto dell’urbanizzazione ad asse della regolazione diventa cuore della nuova governance. Anche se non conviene caricatturare il passato quando si descrivono le svolte storiche, si può dire che qualcosa è cambiato all’epoca nella concezione della relazione tra città e verde urbano.

Modena compare di nuovo nel dibattito urbano sin dagli anni Ottanta in quanto modello di una certa cultura del piano, che porta nuove modalità di rapporto tra città e natura, ma anche tra tecnica pianificatrice e spazio urbano. Roberto d’Agostini, in un saggio sul verde urbano, ricostruisce il percorso storico che va dai piani della Liberazione a quelli degli anni Ottanta[15]. Dopo un periodo di lottizzazione, caratterizzata dal riempimento delle aree libere della prima periferia urbana, con un fenomeno di “ispessimento” di questa, si è arrivato al paradosso di una città borghese del periodo precedente pervertita nella sua relazione al verde, la lottizzazione avendo fatto scomparire il verde privato che la caratterizzava. Con la fine dei quartieri giardino, si pongono quindi nuovi problemi, ai quali il piano del 1958 non rispondeva. La maturazione di nuovi soluzioni nei decenni 1970-1990 deriva da queste considerazioni iniziali.

I nuovi paradigmi emersi sulla scena urbanistica a partire dagli anni 90 si possono discutere secondo questioni parallele a quelle applicate ai periodi precedenti[16].

La pianificazione sostenibile delle periferie, per esempio[17], ma anche le diverse teorizzazioni sul rapporto tra città e natura vanno lette in un contesto più ampio.

Se la storia ambientale non sempre affronta i temi urbani[18], bisogna sottolineare che le teorie anglo-sassoni sullo sviluppo sostenibile sono state accolte molte precocemente in Italia, come lo sono state le voci critiche sul contenuto della nozione. Un dibattito si è aperto, illustrato da numerose prese di posizioni[19]. Ma la particolarità italiana è soprattutto di aver illustrato il tema della sostenibilità nel campo della ricerca urbana.

I dibattiti sulla città sostenibile sono stati molto presenti nell’Italia degli ultimi anni, e, logicamente, sono stati illustrati da esempi che riprendono le esperienze precedenti e si inseriscono nel quadro della riflessione sulla pianificazione urbana.

Questo ci consente di mandare avanti nostra riflessione sul posto del verde urbano in queste considerazioni.

Venezia sostenibile, Napoli sostenibile[20], Modena sostenibile, ogni volta la sostenibilità, ricercata attraverso lo strumento piano regolatore è come sempre anche quella delle giunte progressiste. Nella letteratura specializzata, quando si parla di Milano, per esempio, è per illustrare la non-sostenibilità[21].

Oltre a queste considerazioni, mirate solamente a sottolineare ancora una volta quanto lo strumento piano sia connotato nella pratica italiana, e come lo sia ancora nei dibattiti attuali, si possono evocare alcune questioni suggerite dalla storia urbana:

La valenza del piano: l’importanza del piano non ci deve far dimenticare che si può pianificare al di fuori del piano. Per decenni la storia urbana è stata cieca su questo aspetto, con il risultato di una narrazione storica che andava dal disegno di un piano (da parte di una giunta progressista generalmente) al fallimento del piano (sotto delle giunte conservative generalmente). Solo di recente ci si è reso conto di come la città andava studiata come si faceva e non come si pensava che si doveva fare. Si è quindi insistito sui modi alternativi di pianificare (deroghe alla regola, pratiche al di fuori della regola ma che comunque fanno la città, convenzioni…). Non si deve fare lo stesso errore con i dibattiti odierni. Il ricercatore deve studiare la città cosi com’è nel suo rapporto all’ambiente, e non solo cosi come compare nei progetti di città sostenibile, per quanto questi siano importanti e interessanti. Il tema della città sostenibile viene oggi investito di un valore politico proprio al sistema italiano, e di questo va tenuto conto, anche da chi si riconosce negli obiettivi complessivi dell’applicazione del concetto alle realtà urbane. Il fatto che l’urbanistica in Italia sia stata storicamente materia accademica investita dalle competenze di persone che avevano anche un progetto politico deve essere preso in considerazione anche nello studio dei temi odierni, relativi alla sostenibilità. Nel leggere la letteratura sull’argomento ci si rende conto che i presupposti ideologici sono paragonabili a quelli relativi all’argomento piano regolatore nelle sue declinazioni precedenti. Per queste ragioni sembra auspicabile sia di affrontare direttamente il tema politico, per non lasciare sovrintesi, che di esplorare altre questioni.

La riflessione sull’evoluzione delle concezioni della natura nelle procedure di pianificazione si deve accompagnare di uno studio rinnovato dell’evoluzione degli apparati burocratici di pianificazione. Questa vena di investigazione ha portato molto alla conoscenza dell’Ottocento. Ma sappiamo molto poco dell’evoluzione di questi apparati negli ultimi decenni: statuto degli addetti ai lavori, relazione all’amministrazione municipale, formazione, percorso professionale, organizzazione del lavoro, sociabilità professionale… Come le nuove maniere di considerare il rapporto tra città e natura sono state condizionate da queste evoluzioni? O anche dall’inerzia di pratiche e dati legati ai periodi antecedenti.

Il progressivo passaggio di varie competenze alle regioni, il cambiamento di scala, ma anche nei percorsi della decisione invita ad analizzare anche questo aspetto nell’evoluzione del verde urbano [22]. Qual è stato l’effetto del cambiamento di scala dovuto a mutazioni nel sistema politico amministrativo? O invece, qual è stato l’effetto delle lotti di potere legate a questo movimento?

Le nuove pratiche professionali hanno fatto ricorso a nuovi strumenti tecnici di mediazione tra disegno e spazio. Questo è molto importante nello sguardo dato al verde urbano.

E anche interessante l’evoluzione delle rappresentazioni grafiche del verde urbano, tra “coloriage”, “collage” e rappresentazioni degne di quadri astratti. Manca ancora un panorama complessivo dell’evoluzione dei modi di disegnare il verde.

Nella stessa logica, l’evoluzione delle denominazioni è interessante [23]. Come i pianificatori chiamano il verde urbano, come creano delle gerarchie nello spazio… A questo riguardo, la produzione linguistica romana negli ultimi dieci anni è forse la più interessante [24].

La riflessione si deve anche confrontare ad una storia sociale e spaziale dei condoni edilizi. Questi fanno parte del sistema burocratico e amministrativo di pianificazione e vanno trattati positivamente nelle ricerche sul verde urbano. Positivamente non nel senso che se ne deve approvare l’uso, ma che si deve uscire dai giudizi morali per valutarne l’effetto.

Verde urbano e democrazia partecipativa. Integrare nella riflessione sulla governance quella sul verde.

Considerare sulla lunga durata il verde urbano.

Comparatismo internazionale [25].

Ci si può anche confrontare alle più recenti tendenze della teorizzazione anglosassone sul tema, in modo di fare avanti l’esempio italiano non solo come fonte di esperienze originali, ma anche di un pensiero urbano avanzato [26].

[1] Sui piani : Mazza (Luigi), Piano, progetti, strategie, Milano, Franco Angeli, 147p. Dallo stesso autore: Trasformazioni del piano. Si veda anche: Bobbio (Luigi), La democrazia non abita a Gordio, Milano, Franco Angeli.

[2] Roncayolo (Marcel), Les Grammaires d’une ville, Parigi, Ehess.

[3] Si veda, per esempio: Sori E. (2001), La città e i rifiuti. Ecologia urbana dal Medioevo al primo Novecento, Il Mulino, Bologna. Anche: Melosi M.V. (2000), The Sanitary City. Urban infrastructure in America from colonial times to the present, John Hopkins, Baltimore.

Melosi M.V. and Scarpino F. (Eds.) (2004), Public history and the environment, Krieger, Malabar.

[4] Campos Venuti (Giuseppe), “I piani della terza generazione: il caso di Bologna”, in Bonfiglioli (Sandra)( a cura di), Il tempo nello spazio, Milano, Franco Angeli, 1987, 188p., p. 65-82.

[5]Si veda, per esempio: Treves (Anna), “La politica antiurbana del fascismo e un secolo di resistenza all’urbanizzazione in Italia”, in Mioni (Alberto (a cura di), Urbanistica fascista, Milano, Franco Angeli, 1986, 344p., p. 312-344.

[6]Su questa legge e sull’insieme del periodo: Salzano (Edoardo), Fondamenti di urbanistica, Roma-Bari, Laterza, 1998, 326p.

[7] Mioni, L’urbanistica milanese nella ricostruzione.

Si veda anche: Un secolo di urbanistica a Milano, Milano, CLUP, 1986, 223p.

[8] Su questo periodo, si veda, per esempio: Zoppi (Mariella), Firenze e l’urbanistica: la ricerca del piano, Roma, Autonomie, 1982, 249p.

[9] Si veda, per esempio: Dial Piaz (Alessandro), Napoli, 1945-1985: quarant’anni di urbanistica, Milano, Franco Angeli, 1985, 166p.

[10] Si veda per esempio : D’Agostino (Roberto), Il verde pubblico a Modena dal dopoguerra a oggi », in Natura e cultura urbana a Modena, Modena, Panini, 1983, 413p., p. 357-375.

[11] Insolera (Italo), « L’evoluzione del concetto del verde nella cultura urbanistica », Urbanistica, 46-47, 1966.

[12] Si veda, per esempio: Fabbri (Marcello), L’urbanistica italiana dal dopoguerra a oggi, Bari, De Donato, 1983, 443p.

[13] Patocka (Jan), Il mondo naturale e la fenomenologia, Mimesis.

Su questi aspetti: Dewitte (Jacques), “L’unité dans la multiplicité”, Recherches, 14, 1999, p. 78-94.

[14] Si veda, per esempio : Bologna, una città per gli anni ’90 : il progetto del nuovo piano regolatore generale, Venezia, Marsilio, 1985, 207p. Si veda anche: Cervellati (Roberto) De Angelis (Carlo), La nuova cultura della città, Milano, Mondadori, 1977, 299p.

Su questo periodo: Campos Venuti (Giuseppe), L’urbanistica riformista, Etaslibri, 1991, 414p.

[15] Loc. cit.

[16]Si veda, per esempio: Perulli (Paolo), Piani strategici, Milano, Franco Angeli, 2004, 120p.

[17]Si veda, per esempio: Camagni (Roberto) (a cura di), La pianificazione sostenibile delle aree periurbane, Bologna, Il Mulino, 1999, 331p.

[18] Bevilacqua (Piero), Tra natura e storia. Ambiente, economie, risorse in Italia, Roma, Donzelli, 1996, 224p.

[19] Per esempio : Tiezzi (Enzo) Marchettini (Nadia), Che cos’è lo sviluppo sostenibile? Le basi scientifiche della sostenibilità e i guasti del pensiero unico, Roma, Donzelli, 1999, 194p.

[20] Si veda, per esempio, il numero speciale della rivista Meridiana, n.41, 2001.

[21] Camagni (Roberto) Gibelli (Maria Cristina) Développement urbain durable, La Tour d’Aigues, L’Aube, 1997, 174p. Cap III : « Milan :une métropole en retard ».

[22]Sui cambiamenti del quadro legislativo: Novarina (Gilles), Plan et projet: l’urbanisme en France et en Italie, Paris, Anthropos, 2003, 233p. Si veda anche:Archibugi (Franco), Eco-sistemi urbani in Italia, Roma, Gangemi, 1999, 319p.

Sulla pianificazione territoriale: Campos Venuti (Giuseppe), Amministrare l’urbanistica, Torino, Einaudi, 300p.

[23] Per un panorama generale della questione : Colombo (Guido), Dizionario di urbanistica: voci e locuzioni d’uso corrente in urbanistica applicata, Milano, Pirola, 1981, 202p.

Venturi (Marco), Town planning glossary, Monaco, Saur, 1990, 277p.

[24] Si veda, per esempio: Marcelloni (Maurizio), Pensare la città contemporanea: il nuovo Piano Regolatore di Roma, Roma-Bari, Laterza, 2003, 236p.

[25] Si veda per esempio: Salvo (A. Enrique), naturaleza urbanizada: estudio sobre el verde en la ciudad, Malaga, 1993, 167p. Rueda Palenzuela (Salvador), Ecologia urbana: Barcelona i la seva regiò metropolitana, Barcellona, Beta, 1995, 266p.

[26] Per esempio : Brand (Peter), Urban environmentalism : global change and the mediation of local conflicts, NY, Routledge, 2005. Frey (Hildebrand), Designing the city: towards a more sustainable urban form, Londra, Spon, 1999, 148p.

Titolo originale: Managing Urban Runoff – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

I più recenti rapporti del National Water Quality Inventory riferiscono che il deflusso delle acque dalle aree urbane è la principale fonte di deterioramento degli estuari monitorati, e la terza fonte principale di degrado della qualità idrica dei laghi monitorati. In più, le tendenze di sviluppo della popolazione e dell’urbanizzazione indicano che entro il 2010 metà del Paese abiterà in città e altri centri costieri. Il deflusso di acque da queste zone in rapida crescita continuerà a degradare le acque delle coste.

Per proteggere la qualità delle acque superficiali e sotterranee, lo sviluppo urbano e le attività legate alla residenza devono essere orientati da piani che limitino il deflusso e riducano i carichi inquinanti. A questo fine, le comunità possono gestire i problemi di qualità idrica sia a livello locale che di bacino, e cumulare il relativo sostegno pubblico.



Come le zone urbane modificano il deflusso



Aumento del deflusso. I terreni porosi e vari degli ambienti naturali come foreste, zone umide, praterie, intrappolano le acque piovane e quelle da scioglimento di neve, consentendo loro di filtrare lentamente nel sottosuolo. Il deflusso tende a raggiungere i punti di sbocco in modo graduale. Al contrario, gli ambienti urbani a superficie non porosa (strade, ponti, parcheggi, edifici) non consentono la lenta penetrazione nel suolo. Le acque restano al di sopra della superficie, si accumulano, e scorrono via in grandi quantità.

Le città installano sistemi di scarico fognario che rapidamente incanalano questo flusso da strade e altre superfici impermeabili. Il deflusso guadagna velocità una volta entrato in questi sistemi fognari. Quando esce dal sistema e si svuota in un corso d’acqua, i grandi volumi di liquido in rapido spostamento erodono le sponde, danneggiano la loro vegetazione, allargano i letti dei fiumi. A sua volta, ciò determina un basso livello delle acque nei periodi senza pioggia, livelli più alti del normale nella stagione umida, carichi di sedimenti maggiori, e temperature dell’acqua più elevate. I pesci indigeni e altre forme di vita acquatiche non riescono a sopravvivere nei corsi d’acqua urbani più colpiti dal deflusso.

Aumento dei carichi inquinanti. L’urbanizzazione aumenta anche la quantità e varietà degli inquinanti trasportati verso i corsi d’acqua riceventi. I sedimenti dalle aree urbanizzate e dai cantieri; carburanti, grassi, elementi chimici velenosi dalle automobili; sostanze nutrienti e pesticidi dalla gestione degli spazi verdi; virus e batteri da sistemi sanitari difettosi; sali sparsi sull’asfalto; metalli pesanti; sono alcuni esempi degli inquinanti generati nelle aree urbane. Sedimenti e materiale solido costituiscono il volume maggiore dei carichi inquinanti che scorrono verso le acque riceventi.

Quando il deflusso entra negli scarichi, porta molti di questi inquinanti con sé. Nelle vecchie città, spesso questo flusso inquinato si scarica direttamente senza alcun trattamento. L’aumento dei carichi inquinanti può danneggiare i pesci e il resto della vita acquatica, uccidere la vegetazione autoctona, contaminare le scorte di acque potabili, rendere le aree per il tempo libero insicure.

[...]

Misure di regolamentazione del deflusso di acque in ambiente urbano



Progetti di nuova urbanizzazione. I progetti di nuova edificazione devono mirare a mantenere il volume dei deflussi al livello precedente la trasformazione, utilizzando controlli delle strutture e strategie di prevenzione dell’inquinamento. Le linee guida per raggiungere entrambi gli obiettivi possono essere stabilite in un piano di gestione del deflusso, dei sedimenti, delle sostanze tossiche e nutrienti. Tali piani di gestione sono pensati per proteggere aree ambientali sensibili, minimizzare gli impatti sul suolo, mantenere il drenaggio naturale e la vegetazione.

Progetti di trasformazione dell’esistente. Il controllo dei deflussi nelle aree già urbanizzate tende ad essere relativamente costoso, se paragonato a quello per i nuovi interventi. Comunque, anche nelle aree urbanizzate si possono attivare progetti di controllo del deflusso economicamente sostenibili. Questi runoff management plans per zone già urbanizzate devono per prima cosa identificare le priorità di riduzione degli inquinanti, poi tutelare le zone naturali che aiutano al controllo dei deflussi, e infine iniziare un ripristino ambientale e attività di retrofit per il risanamento dei corsi d’acqua degradati. La cittadinanza può accelerare i tempi unendosi alle strategie di risanamento, ripristino, collaborare volontariamente alla protezione delle zone a valore ecologico.

[...]

Nota: qui il testo integrale e originale, al sito della Environmental Protection Agency ; qui su Eddyburg una efficace descrizione di Piero Bevilacqua, del rapporto fra il regime delle acque e la pianura padana (f.b.)

Grazie alla collaborazione tra Stato e Regioni, la Francia può vantare uno sviluppo dei Comuni più piccoli che attirano i giovani a risiedervi e lavorare e, nello stesso tempo, offre ai turisti interessanti soluzioni fuori dalle grandi mete classiche. Il segreto sta nell’aver predisposto delle leggi di pianificazione territoriale e di sviluppo che non fanno appello genericamente ad un coordinamento ambientale tra centro e periferia, come dettava la vecchia legge italiana sul decentramento , ma fissa dei chiari paletti per uno sviluppo durevole.

Certo Cartesio e la sua razionalità sono nati in Francia; ma in Italia si potrebbe fare ancora meglio, se si tenesse oggi conto degli strumenti di accantonamento finanziario più moderni, che consentirebbero agli enti locali, ma ancor più ai singoli abitanti una compartecipazione agli utili generati dallo sviluppo culturale ed economico possibile anche nei centri minori; aggiungendovi il vantaggio di ridurre il debito pubblico italiano con l’aggancio alla cessione dei beni del demanio, una volta definite per questi a priori le formule del ritorno economico. Molta meno fiducia sembrano, viceversa, offrire le iniziative finanziarie che oggi i Comuni mettono in campo, a fronte di non si sa quali strategie future. La Corte dei Conti potrebbe, nel primo caso non avere nulla a ridire; e lo Stato potrebbe ritrovarsi con delle entrate in più e delle uscite, per provvidenze, in meno.

Partendo dalle Leggi nazionali, la Francia ha creato, nell’ambito del Ministero dell’Ambiente, una Strategia nazionale di sviluppo durevole (Sndd) che si muove lungo alcuni assi portanti cui si devono attenere tutti i contratti locali (Cper - Contrats de Plan Etat-Region). Essi sono: solidarietà interna e intergenerazionale; razionalità nella promozione dello sviluppo da parte dei poteri pubblici; efficacia, trasparenza e sinergia nelle scelte; ispirazione ad Agenda 21 di emanazione comunitaria. Ricordiamo che l’Unione europea con il programma Leader + si muove proprio in questa direzione. Il ministero della Pianificazione e dell’Ambiente (Mate) francese ha così dato luogo dal ‘99 al 2000 ad alcuni provvedimenti legislativi: Loi d’orientation sur l’amenagement e le developpement durable du territoire (Loaddt o Legge Voynet); Loi de simplification et de modemisation administrative du territoire français (Legge Chevènement), Loi sur la solidarite et le renouvellement urbanistique (Sru). Tutte le leggi sono marcate da una forte presenza ordinatrice dello Stato che si muove tuttavia in spirito di partenariato, favorendo il raggruppamento dei piccoli Comuni in strutture intercomunali di cooperazione, all’insegna di uno schema di coerenza territoriale (Scot). Lo schema tende a superare le logiche settoriali della programmazione all’interno e fra generazioni, in modo da favorire un armonioso ed equilibrato sviluppo dell’intera nazione. I programmi approvati sono finanziati dallo Stato e dalle imprese del commercio e dell’artigianato.

Ad alimentare il positivo viaggio dei piccoli Comuni verso l’inserimento in una rete di sviluppo efficiente e durevole oltre che equamente distribuita, opera, infatti, la collaborazione delle associazioni del commercio e dell’artigianato, a partire dall’entrata in vigore delle leggi, fin dal 1992. Gli interventi di questi organismi si sono rivelati indispensabili per animare e rendere migliore la qualità della vita ai residenti e ai candidati al trasferimento nei centri minori. Anche queste associazioni conoscono e fotografano i Comuni montani e quelli minori attraverso le delegazioni tecniche assicurando un servizio commerciale e imprenditoriale ai cittadini toccati dal calo demografico o economico. La delegazione, con il suo carattere di parità fra amministrazioni centrali e locali, permette ai gruppi tecnici di entrare nell’amministrazione locale senza forzarne i piani, ma anzi esercitando un’azione equilibrata di sostegno e di stimolo alle iniziative delle singole amministrazioni: solo i piani efficaci vengono finanziati. Una serie di agenzie vigilano sui piani di settore (ad es. per la distribuzione delle fonti energetiche, comprese quelle alternative). Finanziamenti statali e agevolazioni fiscali camminano di pari passo con l’approvazione dei piani di sviluppo, più legati alle particolari esigenze dei piccoli centri.

Il ministero del Commercio e dell’ Artigianato è, a sua volta, operativo, per mezzo di incentivi finanziari, nel generare iniziative che assicurino ai cittadini di ogni zona reti commerciali adatte, nei confronti delle ristrutturazioni in atto, in modo da salvaguardare il commercio minore, più prossimo ai consumatori; ed equilibrare le forme distributive differenti. Tra l’altro, e nello stesso spirito, è attivo il piano Coeur de Paris dedicato al risanamento di quartieri in città con oltre 30.000 abitanti.

Questo intenso lavoro di raccordo fra centro e periferia, se pure è nella tradizione francese dall’epoca di Carlomagno in poi, con i suoi missi dominici, si giova di un elemento di base: l’istituto del contratto sociale ( Contrats de Plan). Lo spirito del contratto genera molto spesso il consenso, e porta a lavorare verso obiettivi comuni: condizione indispensabile, tuttavia, è la parità fra i contraenti e la definizione articolata dei punti d’arrivo. Questa condizione si affaccia ora da noi, nel momento in cui sta nascendo il polo italiano del turismo, con la partecipazione di Banca Intesa, Ifil e gruppo Marcegaglia, a fianco di Sviluppo Italia. Il programma, molto impegnativo, si gioverà di elementi fondamentali della logica industriale immessa dai privati nella miniera di iniziative che il Mezzogiorno può offrire allo sviluppo integrato, turistico e immobiliare insieme. Si potrebbe anche ricordare la possibilità, introducendo i warrants, di agevolare il continuo flusso di risparmi delle famiglie verso le società di ottimizzazione che ne scaturiranno. Per creare consenso, e continuità di impegno, infatti, è indispensabile il coinvolgimento finanziario degli abitanti che, interpellati in pubbliche assemblee (in centri minori questo è ancora possibile), collaboreranno più volentieri alla buona realizzazione dei programmi.

In Italia qualcosa si è tuttavia già mosso. La Confederazione nazionale dell’Artigianato e della piccola e media impresa della Liguria ha creato negli anni un raccordo con i vicini francesi: Eurazur, legato alle attività transfrontaliere. La legislazione italiana ha di recente elaborato una legge sullo sviluppo incentivato di Comuni minori, con altre caratteristiche, quali un maggior accentramento in mani statali delle scelte di fondo che gli amministratori locali potrebbero fare, a vantaggio della propria zona. L’ultima nata, l’iniziativa Piccola Grande Italia, divulgata attraverso la televisione, ha un merito: avere risvegliato l’orgoglio dei piccoli Comuni verso le tradizioni enogastronomiche locali, qualità che è anche culturale e storica. L’incontro del marzo 2004 fra tutti i piccoli Comuni ha avuto grande successo.

Chers amis,

L’attitude pour l’essentiel favorable de l’Inu dans les débats concernant la mise en chantier de la loi pour l’aménagement du territoire abordée le 7 février à l’Assemblée, a créé un obstacle déterminant au combat de la minorité hostile à ce projet. C’est ce que m’ont affirmé des parlementaires dignes de foi de la DS, comme il en était du reste évident à la lecture des comptes-rendus, qu’ils soient de source parlementaire ou provenant de l’Inu.

L’Institut national de l’Urbanisme, dont je m’honore d’avoir été le Président pendant dix années, s’est sali d’une façon qui me paraît très grave. Il a donné son aval à une loi qui annule soixante années de lutte incessante pour un urbanisme moderne et européen, fondé sur le rôle essentiel d’une administration publique, sur la prévalence des intérêts collectifs, sur le rapport étroit entre la planification du territoire et la tutelle du paysage, et sur la reconnaissance du droit de tous les citoyens de la république à des services et des espaces verts. Ce sont des principes que l’Inu a défendu pendant des dizaines d’années, proposant pour les atteindre des instruments appropriés, et obtenant quelques résultats.

Je me rends parfaitement compte que l’appui de l’Inu à la pire loi urbanistique imaginable n’est que l’élément le plus marquant d’un silence bien plus général concernant les fondements de l’Urbanisme.

Un silence assourdissant du milieu académique (au sein duquel il semble que les principes fondamentaux des politiques publiques de transformation des territoires soient devenus une des options que l’on peut choisir, et où toute l’attention est désormais consacrée aux techniques de péréquation, d’évaluation, et de négociation qui ont remplacé la connaissance nécessaire des aspects structuraux de l’urbanisme).

Mais aussi un silence peut-être moins injustifiable, mais plus préoccupant dans le domaine politique, là où le lien entre la planification urbaine, la pratique de la démocratie, et les conditions de vie des citoyens s’est perdu. À telle enseigne que désormais on affirme que l’urbanisme est une question sectorielle, réservée aux seules compétences des urbanistes professionnels.

Et c’est un silence qui s’étend ensuite au champ de la culture, aux autres savoirs, sourds hier comme aujourd’hui aux fondements d’une politique publique de transformation du territoire.

Je ne sais pas quel écho rencontrera dans votre intelligence ce que j’écris. Et je ne sais pas si vous partagez ma préoccupation au sujet de la loi qui est en cours d’approbation. Si vous ne la connaissez pas, je vous invite à lire l’appel «Halte à la loi Lupi», que je m’emploie à diffuser. Si vous êtes d’accord avec l’appréciation qu’il exprime, après l’avoir lu, vous pourrez envoyer votre adhésion à cet appel, à moi-même : eddyburg@tin.it

Edoardo Salzano (trad. de Patrice Rauszer)

Sono assessore al territorio nel Comune di Monza, nel direttivo anche

dell'INU Lombardia, aderisco all'appello contro la legge Lupi per più

motivi.

Uno è il fatto che la legge non ha come obiettivo il rapoporto diritti dei

cittadini e strumenti di pianificazione ma il rapporto tra decisioni

pubbliche e interessi immobiliari. Questo rapporto è comunque importante nella gestione di una città, e' strumento anche di negoziazione,al fine di ricadute pubbliche degli investimenti economici,ma non tale da deformare obiettivi civili più generali e di attenzione ambientale e di dunzionalità

urbanistica.

Due è che i problemi della città e del territorio non possono essere affrontati solo dalla ricaduta dell'uso di risorse immobiliari. Altro modo è

di connettere la capacità imprenditoriale finanziaria , ad esempio con

project financing, o altre forme piuttosto che subordinare l'organizzazione della città alle risorse immobiliari e ad un gioco del tutto casuale e non programmato.Ad esempio non possono essere affrontati i problemi emergenti di funzionalità della Città, ad esempio l'organizzazione della mobilità, o quelli ambientali come la qualità delle acque e dell'aria, spesso nemmeno quelle della casa a ceti sempre più declassati nell'uso economico della città e del suo mercato.Si scaricherà così, come nei decenni del dopoguerra, sulla economia pubblica, le conseguenze delle trasformazioni. Conseguenze

che ovviamente non potranno essere risolte.

Tre, non vengono garantiti dallo Stato i limiti a cui riferirsi per la

formazione dei Piani lasciandoli alla libera contrzione. Come se lo stato si lavasse le mani di fronte ai diritti dei cittadini. Sembra di tornare

indietro di mezzo secolo alla battaglia urbanistica degli Standards degli

anni '60. E' vero che ci vogliono nuovi tipi di standard ma non certo che

debbano sparire e lasciati alla volontà di qualche obiettivo elettorale

momentaneo o al massimo quiqiennale.

Quattro, la Perequazione, nuovo mito che nasconde scelte sovente

inconfessabili, non è visto come strumento per raggiungere fini di corretta pianificazione ma come fine a se stesso di indennità generalizzata sul territorio. E' un concetto che si scontra con la normale concezione liberale della economia e non solo con principi di corretta programmazione in funzione dei valori posizionali del territorio. Prferirei un attenta valutazione del diritto a corrette indennità in funzione dei vincoli e delle,scelte di pianificazione a fini pubblici.

Non dico altro, per ora rimarcando che si mette mano alla compromissione di diritti fondamentali costi molto di impegno civile, sociale e culturale di quasi un secolo. Bene cambiare ma se in peggio non conviene.

La Chambre des députés [italienne] s’apprête à voter la réforme de l’aménagement du territoire, par un texte approuvé par la VIII ème Commission parlementaire. Ce texte, en grande partie dû au Rapporteur de cette Commission, le député Lupi, abroge le principe même de l’aménagement public du territoire. Il illustre une des conquêtes principales de la pensée libérale qui a touché tous les pays développés, et annule les résultats d’avancées de civilisation et de bien-être en ce qui concerne l’urbanisme et la gouvernance des territoires, obtenues ce dernier demi-siècle grâce aux forces sociales, politiques et culturelles italiennes.

Le projet de loi remplace l’expression «les actions des autorités» (l’action publique), c’est-à-dire l’activité publique normale de planification, par «les actions de négociation avec les parties intéressées». Le rapport justificatif de la loi spécifie que les parties intéressées ne sont pas – comme on pourrait le souhaiter – l’ensemble des citoyens qui ont le droit de bénéficier d’un milieu urbain agréable et salubre, mais au contraire le cercle restreint des acteurs économiques. Un droit collectif est donc remplacé par une somme d’intérêts particuliers, parmi lesquels domine les intérêts immobiliers. Les lieux de la vie commune, la ville et le territoire sont confiés à ce qui arrange le marché.

Le projet de loi supprime l’obligation de réserver des superficies déterminées aux besoins en espaces verts, en services collectifs (écoles, santé, sport, culture, loisirs) et en espaces de vie commune des citoyens, obtenus il y a des dizaines d’années grâce à un engagement massif des organisations culturelles, et syndicales, du mouvement associatif et féministe, et des forces politiques attentives aux exigences de la société. Les normes urbanistiques sont en fait remplacées par la recommandation suivante : «garantir d’une façon ou d’une autre un niveau minimum» d’équipements et de services «y compris avec le concours de personnes privées». L’obligation de respect quantitatif des normes urbanistiques est déjà un fait dans les communes où une planification urbaine adéquate est un acquit consolidé, mais est un objectif encore très éloigné dans de très nombreuses villes italiennes.

Le projet de loi supprime la tutelle du paysage et des monuments historiques du champ de la planification des villes et du territoire. En contradiction avec une famille de pensée qui, depuis plus d’un demi-siècle s’efforçait, grâce à la planification, d’intégrer en une vision publique unique, les divers aspects et intérêts répartis sur le territoire ; en contradiction avec les orientations culturelles et législatives successives, les paysages et les transformations du territoire sont séparées, soumises à des lois différentes, à des personnes différentes, à des instruments différents. Il n’y a pas de doute sur à qui reviendra le dernier mot en cas de conflit : certainement pas à ceux qui représentent les musées et le «Bel Paese», mais bien à ceux qui investissent, qui occupent, qui transforment, aux «malades du béton armé», qu’ils soient publics ou privés.

Nous nous sommes borné à souligner les aspects les plus négatifs du projet de loi, ceux qui nous semblent suffisants pour exprimer un jugement préoccupé et sévère : préoccupé en ce qui concerne les effets d’une telle loi, sévère non seulement à l’encontre de ceux qui l’ont proposé, mais aussi à l’encontre de ceux qui ne l’ont pas contestée.

Le silence de la presse est grave.

L’attitude «minimaliste» des groupes parlementaires de l’opposition est grave. Dans le meilleur des cas, ceux-ci se sont bornés à présenter des petits amendements et à exprimer un désaccord partiel devant un projet à orientation radicalement destructrice.

Le silence des partis politiques est grave. Ceux-ci vont se présenter à nouveau aux élections sans avoir exprimé avec clarté leurs positions (encore moins leurs décisions), face à un projet aussi lourd de conséquences pour l’avenir du pays, pour les conditions de vie de ses habitants, et pour le destin même de la démocratie.

De Bourgogne, 19 février 2005 - Caro Eddy, Je me suis essayé à traduire le texte de l'appel contre le projet de loi Lupi. Je pense qu'il faut lui donner une autre dimension que simplement italienne.

Que penses-tu de signatures françaises en nombre (?). Si ça te paraît intéressant.

1 Pourrais-tu réviser et corriger ma traduction. (en particulier j'ai traduit governo del territorio par aménagement du territoire) Quid ?

2 Lire la lettre que je pourrai envoyer à une centaine de personnes plus ou moins dans les milieux urba.

3 En réponse à ceux qui ne voudrait pas «internationaliser» ce dossier, je réponds par avance qu'il ne faut pas laisser à nos ennemis l'exclusivité du transfrontalier.

4 Si tu as le temps, peut tu me faire un petit briefing, en particulier sur le silence du Pci, du manifesto, et des gauchistes. Perché?

Caro Patrice, ti ringrazio molto della tua iniziativa, e inserisco qui sotto la lettera che invierai agli urbanisti francesi.

A proposito della domanda che mi fai. Il PCI non c’è più. La maggioranza dei suoi quadri milita del partito dei DS, la cui attuale leadership si è lasciata conquistare da molte parole d’ordine della destra, e si preoccupa più di raccogliere consensi (al centro) che di affrontare i temi reali, e scomodi del futuro del Paese. Per di più l’urbanistica è fuori dai suoi interessi, mentre è molto interessata a uno “sviluppo” ad ogni costo (un limite di gran parte della sinistra, d’altronde). A questo aggiungi che gli alleati maggiori dei DS, il partito di centro Margherita (Rutelli), aveva presentato una proposta di ispirazione liberista molto vicina alle proposte della destra, e che queste sono state appoggiate dalla collaborazione di una parte dell’urbanistica ufficiale (l’Istituto nazionale di urbanistica) e dal silenzio distratto dell’urbanistica universitaria, e comprenderai come ogni aiuto per contrastare la Legge Lupi sia essenziale. Anche per tentare di svegliare la nostra sinistra, e magari anche chi, nelle altre componenti dello schieramento politico, riescano a comprendere che lasciar mano libera alla speculazione immobiliare e al privatismo nell’aménagement du territoire è un danno per tutti, e non solo per le istanze di sinistra.

La lettera di ai suoi amici francesi

Chers amis et camarades,

Il paraît que nous vivons dans une Europe tournée vers l’avenir. Et que du cap Nord à Gibraltar, et de Dublin à Byalystok (et bientôt Kiev ?), nous sommes citoyens d’une même patrie.

Et pourtant, nous ne savons rien de ce qui se passe vraiment, même dans les pays (encore) frontaliers.

Dans la pays transalpin qui a inventé la civiltà, un mauvais coup se prépare. Un de plus, me direz-vous.

Mais si vous recevez ce message, c’est que l’aménagement du territoire vous intéresse, et que vous en mesurez l’importance.

Sua Emittenza, le Cavaliere Berlusconi, et ses affidés détruisent avec alacrité tout vestige d’organisation collective.

Le projet de loi Lupi dont il est question dans l’appel ci-joint vise à démanteler l’aménagement du territoire au profit de tous. Ne doutez pas que s’il réussit, il ne se passera pas longtemps avant qu’un tel projet ne soit présenté en France, vêtu des oripeaux de la modernité, et de la réforme.

Alors, si une signature de plus peut aider au rejet du projet de loi Lupi, signez. Et diffusez.

Profitez-en pour aller sur le site eddyburg.it vous tenir au courant

gauchistes. Perché?

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