L'obiettivo del seminario è stato indicato da tempo ed è noto a tutti i partecipanti: proseguire un percorso già avviato con il seminario dell'autunno 2004 volto ad elaborare un nostro autonomo punto di vista sulla qualità dello sviluppo della nostra provincia, ragionando sulla qualità dell’abitare, dei servizi, degli insediamenti produttivi e commerciali, della mobilità delle merci e delle persone.
Al nostro maestro, l'urbanista Eduardo Salzano, sono piaciute tre cose della nostra iniziativa: il titolo, il taglio, la continuità.
Il titolo “più piazze e meno mattoni” (ma avremmo potuto dire meno cemento e meno asfalto) perché esprime molto sinteticamente l'obiettivo che vogliamo proporci: restituire le nostre città e paesi alla società, ridurre l'edificazione allo stretto indispensabile per allargare lo spazio destinato alla fruizione di tutti cittadini.
Il taglio di questa giornata di studio, con l'ausilio dei nostri relatori, ci consentirà di dare un primo sguardo alle carte tecniche delle scelte sul territorio per valutarle nell'interesse dei lavoratori e dei pensionati.
Studiare per comprendere, comprendere per cambiare com'è stato in tutta la nostra centenaria storia. La continuità dell'impegno intorno ad una materia fondamentale per riportare l'attenzione del sindacato sul territorio programmando successivi approfondimenti, zona per zona, con l'obiettivo di aprire un cantiere finalizzato all'avvio della contrattazione sociale territoriale.
La qualità urbana insieme alla qualità sociale costituiscono infatti un pezzo rilevante della strategia che abbiamo definito nel nostro recente congresso.
Abbiamo detto che non si controlla il processo lavorativo se l'azione sindacale non ricomprende tutta la filiera delle esternalizzazioni, delle terziarizzazioni, degli appalti, se cioè non si ridefinisce il perimetro della catena lunga e diffusa della produzione di una merce o di un servizio.
È NECESSARIO UN SALTO CULTURALE
Quello che ci si richiede è un salto culturale, politico e organizzativo per connettere la contrattazione di secondo livello con la contrattazione sociale nel territorio.
Una contrattazione questa capace di assumere il territorio in quanto spazio fisico interconnesso con le dinamiche produttive. Essa è indispensabile perché la contrattazione nel luogo di lavoro possa disporre di un'iniziativa esterna in materia di qualità delle zone industriali e commerciali, della logistica, dei trasporti, della politica industriale, della formazione e della ricerca.
Un contrattazione che sappia assumere il territorio come luogo del vivere e dell'abitare. L’obiettivo è quello di accompagnare la contrattazione del salario con una contrattazione sociale territoriale in grado di ottenere risultati dai servizi (dagli asili nido ai servizi di assistenza degli anziani), la sanità, la casa, i trasporti, i beni comuni prodotti dai servizi pubblici locali (acqua, ambiente, energia), l'integrazione dei migranti, la vivibilità urbana.
E’ una scelta di allargamento del campo d'azione del nostro lavoro sindacale che vogliamo affidare ai costituendi consigli di zona per tenere insieme il luogo di lavoro e la sua inscindibile relazione con il contesto territoriale, nei suoi diversi aspetti di organizzazione e pianificazione dello spazio urbano, di equilibrio ambientale, di qualità ed efficacia del welfare locale. E ’ sul primo aspetto che oggi vogliamo concentrarci. Una mutazione gigantesca, formata dalla somma di trasformazioni diffuse e capillari, ha investito negli ultimi decenni la nostra provincia. Un diluvio di cemento che ha deturpato uno dei paesaggi più belli d'Europa.
Con mirabile capacità di sintesi scrive il vicentino Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera: "Un blocco di cemento di 1070 metri cubi: è questa la dote portata alla provincia di Vicenza da ogni abitante in più dagli anni 90. Crescita demografica:più 52 mila abitanti pari al 3%.Crescita edilizia: 56 milioni di metri cubi, pari a un capannone largo 10 metri, alto 10 e lungo 560 km.
Ne valeva la pena? Valeva la pena di insultare ciò che resta delle campagne care a Meneghello con giganteschi scheletri di calcestruzzo tirati su spesso solo per fare un investimento” incentivato dalle varie leggi Tremonti e oggi tappezzati di cartelli "affittasi capannoni”?
TUTTO QUESTO CEMENTO NE VALEVA LA PENA?
Di capannoni, nel migliore dei casi, pensati per produzioni povere realizzate con tecnologie semplici, non più in grado di reggere la competizione internazionale.
L'ing. Natalino Sottani ci spiega che nell'ultimo mezzo secolo la popolazione della nostra provincia è cresciuta del 32% , mentre la superficie urbanizzata ha subito l'impennata del 324%: 10 volte di più. Di converso, ovviamente, registriamo un crollo di terreni destinati all'agricoltura.
Un consumo di territorio abnorme, disordinato, sprecone, indifferente a tutti i rischi. Esso ha generato:
1) una mobilità multidirezionale delle merci e delle persone, quasi sempre su mezzi privati, che congestiona il traffico, avvelena l'aria e soffoca la nostra esistenza;
2) una crescita urbana senza forma che ha impermeabilizzato il territorio, rallentato la ricarica delle falde e nel contempo provoca frequenti esondazioni dei corsi d'acqua;
3) Un modello di urbanizzazione costoso in termini di distruzione di suolo agricolo, di aumento di spese di energia e di tempo nonché insostenibile da un punto di vista ambientale e scarsamente competitivo rispetto ad altri modelli territoriali;
4) Si tratta della dispersione insediativa per la quale gli americani coniarono il termine “sprawl town” letteralmente: città sdraiata sguaiatamente.
L’AMBIENTE COME UNA MARMELLATA
In sostanza, un ambiente urbano a marmellata sempre più privo di forma e memoria dei luoghi e vissuto come alienante dalle nuove generazioni;
Questo fenomeno di “sprawl”, cioè di una città cresciuta in modo anarchico, senza forma, priva di regole ovvero con il metodo "fai-da-te" la si può riconoscere con qualche approssimazione osservando in particolare cinque aree: - la prima: La strada mercato Montebello Vicenza - la seconda: la conurbazione lineare della Valle del Chianpo - la terza: la bassa Valle dell' Agno - la quarta: la conurbazione multicentrica dell’Alto Vicentino tra Thiene e Schio - la quinta: il Bassanese Il documento preliminare della Provincia analizza criticamente il modello di sviluppo sin qui praticato, ne certifica la crisi e si propone di perseguire "una nuova qualità urbana, territoriale, ambientale e paesistica" . Ne siamo felici!
GLI OTTO OBBIETTIVI DEL PIANO
Così come non possiamo non esprimere il nostro consenso rispetto all’obiettivo dichiarato dalla Provincia di “sviluppare un progetto di territorio che risponda ai seguenti obiettivi:
a) Tutela e valorizzazione del patrimonio territoriale, nelle sue molteplici dimensioni identitarie, paesistiche, ambientali, socio-economiche e culturali, come base essenziale per un nuovo sviluppo locale autosostenibile.
b) Blocco dell’ulteriore espansione della città diffusa e avvio di una sua riqualificazione in forma di sistema policentrico organizzato per nodi, ciascuno dei quali dotato di adeguati spazi, funzioni di eccellenza in rete e servizi di interesse collettivo.
c) Qualificazione dei progetti infrastrutturali in funzione del progetto complessivo di territorio e delle sue qualità.
d) Razionalizzazione delle aree per insediamenti produttivi, oggi ridondanti, anche attraverso la rilocalizzazione delle attività nelle aree ecologicamente attrezzabili.
e) Valorizzazione del ruolo multifunzionale dell’agricoltura in campo culturale, ambientale, paesistico, economico, turistico.
f) Difesa e riqualificazione del piccolo commercio e delle reti corte di commercializzazione dei prodotti locali disincentivando le grandi superfici di vendita e promuovendo i centri commerciali naturali.
g) Riequilibrio ecologico e difesa della biodiversità mediante la messa in rete delle aree a più elevata naturalità e delle matrici ambientali potenziali attraverso corridoi ecologici, e la previsione di azioni di mitigazione delle aree a maggiore criticità.
h) Qualificazione del ruolo del territorio vicentino nel sistema metropolitano veneto a partire dalle proprie eccellenze multisettoriali e dalla loro valorizzazione in filiere integrate, radicate nel territorio e fondate sui patrimoni territoriali specifici.
Tra gli otto obiettivi indicati i primi due sono i meno scontati e quindi in particolare riscuotono il nostro interesse e la nostra approvazione: la tutela dell'identità paesistica ed ambientale e il blocco dell'ulteriore espansione della città dispersa.
PRIORITÀ ALLA SALVAGUARDIA
Tuttavia questi condivisibili obiettivi sembrano essere contraddetti dal pesante impatto dei grandi progetti infrastrutturali che il piano prevede. La tutela dell'ambiente, "l'idea di uno sviluppo basato sull'amore per il territorio e sulla valorizzazione delle risorse ambientali e storico architettoniche" non può essere considerato infatti un obiettivo tra gli altri bensì l'obiettivo a cui subordinare tutti gli altri.
Un esempio di scelte contraddittorie con l'assunto della tutela ambientale è la previsione di realizzare la Valdastico sud e nord. La dotta citazione di Carlo Cattaneo usata dalla presidente Emanuela Dal Lago per giustificare l'opera, è davvero bizzarra e impropria: come si può sostenere che l'utilità dell'opera è motivata dalla scelta "strategica" di favorire "l'accessibilità dei beni ambientali e culturali " del Basso vicentino?
Non basta certo un'operazione di cosmesi che ribattezza la famigerata Pirubi in “autostrada delle ville" per attenuarne l’impatto ambientale. Peraltro non possiamo non condividere quelle che sembrano essere anche le preoccupazioni della presidente della provincia quando, qualche pagina prima, afferma che la nostra provincia “si trova in un crocevia altamente problematico", a causa della previsione di altre due infrastrutture: l'alta capacità ferroviaria, l'asse autostradale pedemontano. “Quest’ultima si scontra, in particolare nel Bassanese, con le preesistenze del modello insediativo diffuso".
Ma anche, aggiungo io, con il pesante impatto che quest'ultima avrebbe in particolare a Montecchio Maggiore, interessata da entrambe le infrastrutture. Valdastico sud, autostrada pedemontana, alta capacità ferroviaria e, con tempi più lunghi, Valdastico nord, sono tutte infrastrutture progettate per "collegamenti internazionali, nazionali e di area vasta" come finisce per ammettere il preliminare al piano. Altro che autostrada delle ville.
Nessuna di queste infrastrutture è pensata e progettata al servizio del territorio, ovvero per alleggerire la congestione del traffico nella nostra provincia.
TRASPORTO PUBBLICO DOVE SONO I PROGETTI?
La realizzazione del sistema ferroviario metropolitano infatti è una prospettiva molto lontana nel tempo e il condivisibile obiettivo di potenziare il trasporto pubblico locale su rotaia non è supportato da alcun progetto concreto. La concreta pratica amministrativa della provincia evidenzia la più completa inerzia anche rispetto alla proposta più volte avanzata da Cgil-Cisl-Uil di razionalizzare e potenziare il trasporto pubblico su gomma attraverso la fusione tra Ftv e Aim e l'integrazione con il trasporto su rotaia.
Mi sia consentito di rilevare che in questa battaglia il sindacato non ha ancora avuto quel sostegno che sarebbe stato necessario da parte dei comuni. L’obiettivo è quello di creare un’unica azienda provinciale del Trasporto pubblico locale, trasformando linea ferroviaria di Trenitalia a metropolitana di superficie gestita dagli enti locali e riconvertendo il ruolo degli autobus Ftv in adduttori di traffico verso le stazioni della stessa metropolitana.
E ancora, è proprio utopistico prendere in considerazione la possibilità di rimettere in funzione la vecchia linea Valdagno, Montecchio, Vicenza riprogettandola come moderna linea tranviaria in uno dei territori più congestionati della provincia a causa del traffico automobilistico? In assenza di una decisa svolta in tema di mobilità, fondata sul trasporto pubblico su rotaia al servizio del territorio, non sarà possibile risolvere il problema della congestione del traffico.
È pia illusione pensare che le grandi infrastrutture progettate possano portare un contributo in questo senso; anzi, questa volta ha proprio ragione Emanuela Dal Lago quando afferma che la pedemontana e l'alta capacità (ma farebbe bene ad aggiungere anche la Va l d a s t i c o ) "rischiano di considerare il vicentino più uno spazio di transito ricco di impacci che di un territorio da servire ricco di opportunità".
Il secondo obiettivo condiviso è il blocco dell'ulteriore espansione della città dispersa ovvero quello che abbiamo chiamato lo “sprawl”. L'obiettivo è quello di costruire un nuovo policentrismo organizzato per nodi, ciascuno dei quali dotato di adeguati spazi, funzioni di eccellenza in rete e servizi di interesse collettivo. Proviamo ad esaminare più da vicino questo fenomeno di “sprawl” osservando le già citate quattro/cinque grandi aree:
LA STRADA MERCATO MONTEBELLO – VICENZA
Lungo la statale 11 è cresciuta una del più vaste strade mercato del Veneto: un continuum di case, capannoni, piazzali, ipermercati, negozi, strutture commerciali che ignorano i confini comunali, cancellando la campagna, distruggendo paesaggi, provocando l'annullamento di un'autentica vita sociale della città. Un' area questa sottoposta a processi di terziarizzazione strisciante, priva di un governo delle trasformazioni e nella quale sono stati censiti centinaia di abusi nelle destinazioni d'uso, particolarmente nella zona industriale ovest, che favoriscono processi di deindustrializzazione e premiano la rendita immobiliare.
IL SISTEMADELLE VALLI
Il sistema delle valli, con particolare riferimento alla valle del Chiampo e a quella dell'Agno, interseca la strada mercato Montebello – Vicenza contribuendo ad aggravare, congestionando, ilnodo Alte-Montecchio. La conurbazione lineare della valle del Chiampo con insediamenti a nastro lungo la strada provinciale e nella tratta verso Montebello si configura come una strada mercato con un'elevata concentrazione di attività inquinanti. Nonostante alcuni risultati raggiunti con il progetto "Giada" la valle si trova ancora in una situazione di grave dissesto ambientale.
La conurbazione lineare della valle dell'Agno presenta significative differenze tra l'alta valle (Valdagno e Recoaro) e la bassa valle. È quest'ultima in particolare, tra Cornedo e Castelgomberto, con Brogliano e Trissino a presentare il più accentuati fenomeni di sprawl urbano.
Valdagno invece si presenta sempre più come una città bifronte alla ricerca di una propria identità posta in crisi dai processi di delocalizzazione della Marzotto. Da un lato guarda ancora verso Montecchio, soprattutto in materia di mercato del lavoro, dall'altro ricerca sempre più una propria identità all'interno dell'alto vicentino.
Abbiamo già visto come il tema dell'accessibilità, o meglio, della mobilità di questi territori, sia fondamentale. La variante alla 276 potrà contribuirvi, a mio parere, in modo limitato. La gestione del tunnel da parte degli enti locali potrà contribuirvi.
Il chiaro e netto No alla centrale termoelettrica di Montecchio non può che essere riconfermato considerando quanto congestionato e compromesso sia quel territorio. Al solo scopo di provocare il dibattito tra i tanti problemi dell'area, mi permetto di indicarne tre:
1) per Valdagno, il ruolo della Marzotto;
2) per la valle del Chiampo e Montecchio il tema della sostenibilità ambientale dello sviluppo;
3) per la valle del Chiampo e Montecchio il tema dell'integrazione dei lavoratori stranieri che sempre meno possiamo considerare migranti ma popolazione stabile senza diritti di cittadinanza.
LA CONURBAZIONE MULTICENTRICA DELL'ALTO VICENTINO TRA THIENE E SCHIO
È questo un territorio che negli ultimi decenni ha avuto uno sviluppo produttivo-residenziale di notevoli dimensioni soprattutto lungo le fasce pedemontane e nell'area interclusa tra i due centri di riferimento di Schio e Thiene.
Tale espansione è stata talmente pervasiva che l'urbanizzazione dei singoli comuni è andata a saldarsi con quella dei comuni contermini, come nel caso di Thiene con Zanè, ponendo una molteplicità di problemi. Oggi siamo però in presenza di una inedita volontà delle amministrazioni comunali di “stare in rete”.
Da un lato le iniziative promosse dalla Fondazione Festari, che fanno perno su Schio, Thiene e Valdagno, indicano la volontà di questi enti locali di progettare un futuro comune. Dall'altro la gestione comune dei servizi pubblici locali ci dice che la strada è percorribile a beneficio dei cittadini. Anche noi vogliamo contribuire a sciogliere alcuni nodi irrisolti.
Mi limito ad indicarne tre. Sul piano la ferrovia, ho già detto. Il secondo riguarda la scelta di sostenere l'amministrazione comunale di Schio in materia di sanità, onde impedire che, attraverso il progettato nuovo ospedale in projet financing, si finisca da un lato per favorire una privatizzazione surrettizia di pezzi di sanità e dall'altro di ipotecare per molti anni rilevanti risorse di quella Ulss per operazioni immobiliari, quando invece è certamente più utile e necessario impegnarle per migliorare la qualità di servizi.
Sul terzo, la variante alla strada provinciale 349 T h i e n e - G a r z i e r e - Schio non ho un'opinione precisa. So che esiste il nodo critico delle Garziere. Ma le domande che pongo sono le seguenti: è proprio necessario occupare altro suolo agricolo?
E qualora la risposta fosse purtroppo affermativa: come impedire che lungo il nuovo asse stradale nascano nuovi insediamenti compromettendo così le poche aree agricole rimaste nelle zona?
IL BASSANESE
Rappresenta certamente uno dei casi più emblematici di sprawl urbano a livello italiano. Basti pensare che Bassano conta circa 40.000 abitanti, ma se si considera la città di Bassano oltre i confini comunali, allora essa conta circa 100.000 abitanti. Esistono, in tutta evidenza, quartieri bassanesi ricadenti al di fuori del confine comunale che hanno in qualche modo contribuito ad uno sviluppo della città privo di forma e razionalità, ad un bilancio di servizi deficitario, ad uno sviluppo urbano talmente frazionato da rendere estremamente difficile la pianificazione unitaria. L'espansione ha seguito per decenni un processo del tutto ingovernato o, meglio, ha seguito logiche puramente immobiliaristiche, riempiendo tutte le strade radiali e costruendo un sistema insediativo del tutto privo di gerarchie.
L’esempio bassanese dimostra che la pianificazione non può essere limitata al singolo livello comunale ma deve al contrario coinvolgere un livello d'area vasta e tenere conto del bacino di influenza e interazione. Anche dal punto di vista ambientale questo territorio si presenta molto fragile. Il Brenta e i suoi a ffluenti, le numerose cave, la fascia delle sorgive, sono elementi che necessitano di un intervento decisivo rivolto alla riqualificazione ambientale.
La drammatica vicenda dell'avvelenamento delle acque con cromo esavalente prodotto a Tezze sul Brenta dalla Tricom Industrie Galvaniche non chiama in causa solo un imprenditore senza scrupoli ma è anche un atto d'accusa contro trent'anni di sviluppo produttivo senza regole e senza controlli.
Un danno ambientale enorme calcolato dall'avvocato dello Stato in 160 milioni di euro. Un danno per la salute dei cittadini colpiti che non ha prezzo. Forse, dopo Porto Marghera, è il più grave disastro ecologico della nostra regione che interroga anche noi e il nostro ruolo di sindacato dei diritti dei lavoratori e dei cittadini. Per questo abbiamo invitato qui oggi alcuni rappresentanti del comitato che si è costituito a S.Pietro ringraziandoli per il contributo che vorranno darci.
In questo quadro diventa di fondamentale importanza la valutazione reale dell'impatto sul territorio del progetto della nuova pedemontana: ci si chiede se essa possa concorrere realmente al riassetto del territorio o se invece aumenti ancora di più la fragilità di quest'area.
Al di fuori di questo quadro alquanto critico, rimangono, poi, aree del vicentino che essendo marg i n a l i non sono state aggredite così ferocemente dallo sprawl urbano. Si tratta dell'altopiano di Asiago e del Basso vicentino.
Per l'Altopiano già da parecchi anni esistono politiche mirate alla riqualificazione e al rilancio del territorio considerato un bene in grado di produrre ricchezza attraverso interventi diretti a salvaguardare le montagne di prodotti locali, ad offrire le strutture per un turismo più responsabile sostenibile, come ad esempio la realizzazione di una rete di percorsi ciclo pedonali. Rimangono tuttavia problemi legati all'abbandono della montagna da parte di giovani, la carenza sempre maggiore di servizi a persona (si veda la chiusura della struttura riabilitativa di Mezzaselva). Il Basso vicentino, tradizionalmente agricolo, con la presenza non poco rilevante di numerose ville venete, oggi è seriamente messo in pericolo dall'eventuale realizzazione della Valdastico sud. La realizzazione della nuova autostrada non porterebbe sensibili benefici da un punto di vista viabilistico e comprometterebbe invece certamente il paesaggio agricolo e le ville venete.
Risulterebbe così in controtendenza con le idee che pian piano stanno prendendo piede in tutta Europa e che chiedono di considerare la qualità del territorio, della città e dell'ambiente come valore economico e vedono nelle risorse non rinnovabili (acqua, aria, ma anche paesaggio agricolo...) beni da difendere dai quali trarne beneficio in termini di qualità della vita.Infine Vicenza. La città capoluogo sembra essere aggredita dalle lobbies della rendita immobiliare. Dopo qualche anno di silenzio è tornato Crocioni il cui piano, costato un paio di miliardi di vecchie lire era finito in un cassetto.
IL RITORNO DEL PIANO CROCIONI
Nel frattempo l'amministrazione Hullwech ha adattato gli strumenti urbanistici alle pretese di vari operatori privati interessati ad edificare molte migliaia di metri cubi. E così nascono dietro sigle astruse, come i Piruea, almeno un milione di metri quadrati di nuova edificazione. Una follia per una città di poco più di 100.000 abitanti.
Il nostro auspicio è quello che le forze democratiche della città siano in grado di ottenere la loro decadenza ed impegnino invece l’ amministrazione cittadina città all'elaborazione del PATI cioè di uno strumento di pianificazione su scala sovracomunale capace di riconnettere i comuni della cintura con la città capoluogo, di puntare sul recupero e la riqualificazione anziché sull'espansione affermando il diritto all'ambiente, alla mobilità, alla casa, al lavoro, alla salute, all'istruzione e poi anche di off r i r e opportunità formative e culturali.
Ciò è tanto più necessario se si considera che a Vicenza la popolazione è diminuita nel cuore antico della città. La città si è allargata perché tanti vicentini sono andati a vivere nei comuni della cintura alla ricerca di una qualità della vita urbana migliore. Ma spesso le vere ragioni vanno ricercate nell'abnorme aumento dei canoni d'affitto.
Negli ultimi anni la diminuzione del costo dei mutui ha favorito l'accesso al credito ma la crescita del prezzo degli immobili ha comportato l'indebitamento delle famiglie. Sono aumentati proprietari di case, ma anche in misura consistente le famiglie che non ce la fanno pagare il canone d'affitto, sulle quali specula la giunta Hullwech, discriminando i migranti e i non vicentini tra quanti possono accedere alle case popolari. Un bell'esempio di politica dell'integrazione!
CONCLUSIONI
Vicenza continua a consumare i suoi suoli, e quindi il suo futuro, con vorace e irresponsabile accanimento. Occorre dire basta all'espansione e dedicarsi alla riqualificazione: questo è l'obiettivo. Compito della pianificazione urbanistica è quello di creare città più vivibili e di contribuire alla maturazione di una coscienza civile.
Noi ci riconosciamo in quello che ha scritto, con grande efficacia, il professor Salzano: “Ricostruire una città umana significa eliminare la congestione, restituire alle piazze la loro funzione originaria di luogo di incontro, di scambio di esperienze, significa rendere accessibile per i deboli, come per i forti, i luoghi della vita collettiva e i luoghi della vita privata, significa fare della città il luogo nel quale i differenti ceti, i differenti mestieri, funzioni sociali, differenti etnie, abitudini, culture si mescolano e si scambiano reciproci insegnamenti”. La visione è un invito alla socialità, se possibile alla socievolezza, la città come luogo della libertà e della crescita personale.
Se un'altra idea di città stenta ad affermarsi è perchè ad essa si contrappone un altro punto di vista: quello della rendita immobiliare. Essa concepisce il territorio come un insieme di proprietà ciascuna delle quali deve tendere alla massima valorizzazione economica, mediante la sua trasformazione in edifici, piazzali e strade. E per ottenere questo obiettivo si mobilita e preme su chi ha il potere di decidere e spesso riesce ad influenzare anche chi non avrebbe alcun interesse per farlo.
Il nostro punto di vista considera invece il territorio come una risorsa dell'umanità e la casa della società. Per affermare il nostro punto di vista occorre che le forze sociali, a partire dal sindacato, sappiano porre all'attenzione dei pubblici poteri i problemi reali e le soluzioni giuste e possibili perché sia praticato un rigoroso governo pubblico delle trasformazioni del territorio finalizzato all'interesse collettivo e all'impiego parsimonioso delle risorse.
E’ questo che ci attendiamo dalla redazione del piano territoriale provinciale di coordinamento. Noi che rappresentiamo uno dei più importanti soggetti della società civile vicentina ci proponiamo di portare il nostro contributo di idee, di capacità, di competenze, di conoscenza del territorio.
L'articolo di presentazione del convegno, di Oscar Mancini, su Vicenza Lavoro n. 21
Giusto un anno fa, la Camera dei deputati approvò un disegno di legge in materia di governo del territorio che aveva preso il nome da Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, negli anni passati assessore del comune di Milano e ispiratore dell’urbanistica contrattata di rito ambrosiano. Il disegno di legge Lupi, è un esempio significativo del “riformismo eversivo” perseguito dalla maggioranza di centro destra. Esso prevedeva infatti la cancellazione del principio stesso del governo pubblico del territorio. Gli atti cosiddetti “autoritativi”, vale a dire quelli propri del potere pubblico, si proponeva di sostituirli con “atti negoziali”. L’interesse collettivo era uno solo degli attori, alla pari con gli altri interessi in gioco, che in primo luogo sono evidentemente quelli immobiliari. Altri inaccettabili contenuti della proposta erano l’insensata incentivazione del consumo del suolo, la cancellazione degli standard urbanistici e i limiti posti alla tutela nell’ambito della pianificazione a scala locale.
Il disegno di legge Lupi fu approvato dalla Camera con il consenso di alcuni esponenti del centro sinistra, con l’accordo dell’Istituto nazionale di urbanistica e nel silenzio della stampa, salvo il manifesto, Liberazione, l’Unità. Per fortuna, c’è eddyburg, il sito di Edoardo Salzano, ormai un riferimento irrinunciabile per chi si occupa di urbanistica e di pianificazione del territorio. Il sito raccoglie contributi e consensi ogni giorno più importanti, soprattutto da parte di studiosi e di operatori che fanno riferimento alla cultura urbanistica di sinistra, cultura trascurata da quelle associazioni e istituzioni, un tempo attente ad essa, ma che negli ultimi anni sono finite nell’orbita del berlusconismo.
Contro la legge Lupi, eddyburg è stato implacabile: un appello diffuso nel gennaio 2005 fu sottoscritto da circa 400 lettori e nel mese di novembre il sito ha patrocinato la pubblicazione di La controriforma urbanistica, un pamphlet curato da Cristina Gibelli, dove sono ospitati molti materiali del sito, e altri inediti, contro il disegno di legge. Nelle settimane che hanno preceduto la conclusione della XIV legislatura, La controriformaurbanistica è stato presentato a Milano, Firenze, Roma, Venezia, Napoli, Pisa, Livorno e altri luoghi, con notevole partecipazione di pubblico. È stato presentato anche in audizione nell’apposita commissione Lavori pubblici del Senato e ha sicuramente contribuito a evitare la definitiva approvazione di quel micidiale disegno di legge. Nel corso degli incontri ci siamo impegnati, ove la legge Lupi non fosse stata approvata, a proporre un testo alternativo, che partisse dalla riaffermazione della titolarità pubblica della pianificazione. Non è stata una promessa di marinaio. Un gruppo a mano a mano più vasto di urbanisti e di giuristi raccolto intorno a eddyburg ha messo a punto il testo che si trova sul sito e che nei prossimi giorni sarà illustrato a Roma in un incontro al quale partecipano anche i partiti dell’unione. Nel sito si trova anche una dotta e approfondita relazione al testo di legge, e si dà conto delle risposte date a chi ha chiesto chiarimenti o esposto dubbi.
Qui mi limito a ricordare solo i contenuti essenziali della proposta, che è titolata: “Principi fondamentali in materia di pianificazione del territorio”. Il testo riguarda infatti solo la pianificazione e non tutto il “governo del territorio”, termine che comprende un complesso di materie (dalla protezione civile alla difesa del suolo, dagli aeroporti alle reti di navigazione, dalla produzione dell’energia alla opere pubbliche) che devono essere oggetto di una pluralità di provvedimenti legislativi di competenza statale e regionale. Il primo principio è che “il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. La autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze”. Segue la dichiarazione della titolarità esclusivamente pubblica della pianificazione. Si confermano poi una serie di principi già presenti nella legislazione statale e regionale: la pianificazione come metodo generale per il governo del territorio; l’onerosità per l’operatore immobiliare delle opere necessarie alla trasformazione urbanistica; la non indennizzabilità dei vincoli di tutela; il diritto agli standard urbanistici (integrati dal “diritto alla città e all’abitare”).
Una novità sono invece le norme che recepiscono la normativa europea in materia di valutazione ambientale strategica, il che fornisce l’occasione per rafforzare i diritti dei cittadini alla partecipazione alle scelte. Altrettanto nuove le prescrizioni che impongono un rigoroso contenimento del consumo del suolo. In questo campo l’Italia è stata finora completamente assente, mentre in tutti i più importanti paesi europei nell’ultimo decennio sono state avviate politiche concretamente mirate a impedire la dissipazione del territorio. È stata poi ripresa una proposta (per la prima volta formulata in un disegno di legge d’iniziativa di Walter Veltroni quando era ministro dei Beni culturali) per il vincolo di tutela ope legis sui centri storici e su tutte le strutture insediative storiche (anche non urbane). La vexata questio circa la decadenza dei vincoli a contenuto espropriativo è risolta imponendo ai comuni l’obbligo ad acquisire entro un termine perentorio i beni che i piani assoggettano ad esproprio.
In totale sono solo 19 articoli. Speriamo che il legislatore al quale affidiamo la nostra proposta ne faccia buon uso.
Presiede e conclude: Edoardo Salzano
Introduce: Paolo Berdini
intervengono: i senatori Salvatore Bonadonna, Anna Donati, Loredana De Petris, Francesco Ferrante, Mario Gasbarri, Giorgio Mele, Edo Ronchi, Cesare Salvi, ei deputati Maurizio Acerbo, Fulvia Bandoli, Angelo Bonelli, Paolo Cacciari, Giacomo De Angelis, Sergio Gentili, Angelo Lo Maglio, Gennaro Migliore, Walter Tocci, Roberto Villetti, dei gruppi parlamentari Democratici di sinistra, Margherita, Rifondazione comunista, Verdi, Partito dei comunisti italiani;
inoltre Luisa Calimani ( Città amica), Vittorio Emiliani ( Comitato per la bellezza), Claudio Falasca ( Cgil), Mirko Lombardi ( Rifondazione comunista), Desideria Pasolini dall’Onda (fondatrice di Italia Nostra), Domenico Fontana (Legambiente), Gianni Mattioli ( Fondazione DI Vittorio), Sauro Turroni (Verdi), Fabrizio Vigni ( Democratici di sinistra), Silvia Viviani (presidente Inu Toscana).
Sono stati invitati i ministri Antonio Di Pietro (Infrastrutture), Alfonso Pecoraro Scanio (Ambiente e tutela del territorio), Alessandro Bianchi (Trasporti).
Sono inoltre presenti: Mauro Baioni, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Vezio De Lucia, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi, Francesco Indovina, Luigi Scano, Giancarlo Storto, Giulio Tamburini, che hanno collaborato alla proposta di legge.
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“In particolare proponiamo di varare una nuova legge quadro per il governo del territorio che operi secondo i seguenti criteri: evitare il consumo di nuovo territorio senza aver prima verificato tutte le possibilità di recupero, di riutilizzazione e di sostituzione”. Questo concetto, contenuto nella proposta di programma del governo Prodi, è stato fondamentale per costruire la proposta di legge in materia di pianificazione del territorio.
Uno dei principi cardine della proposta è infatti quello di limitare al massimo il consumo di suolo. In questo ambito non si partiva da zero: la Regione Toscana ha da tempo inserito nella propria legge articoli che tentano di fermare il dilagare dell’urbanizzazione. Il territorio agricolo toscano è, in molte sue parti, tra i migliori esempi in Italia di conservazione dei caratteri storici del paesaggio: la tutela, dunque, non è soltanto un’esigenza astratta, ma una realtà concretamente perseguita da una delle regioni maggiormente sviluppate e dinamiche.
E mentre altre regioni, come il recente esempio della Sardegna in materia di tutela dell’integrità del territorio costiero, tentano di porre un argine alla dissipazione del territorio, siamo convinti che sia specifico compito dello Stato assumere come principio generale valido su tutto il territorio nazionale quello del risparmio di una risorsa ormai rara: il territorio. E’ peraltro un modo, crediamo, per rendere l’Italia uguale a tutti gli altri paesi d’Europa che attuano da anni rigorose politiche di contenimento della diffusione urbana.
Più in generale, la proposta di legge riafferma alcuni fondamentali principi dell’urbanistica. “Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze”, così recita il secondo comma del primo articolo della legge. Nel successivo articolo di riafferma il concetto – troppo spesso contraddetto nell’ultimo periodo dalla legislazione nazionale e di alcune Regioni - che la titolarità della pianificazione compete esclusivamente alle istituzioni pubbliche. Ancora più avanti si precisa che tale titolarità si esercita attraverso atti di pianificazione.
La proposta di legge tenta inoltra di ampliare i principi cui deve essere soggetta la pianificazione urbanistica. Il primo riguarda il “diritto alla città e all’abitare”, un tentativo di estendere la storica conquista degli standard urbanistici al diritto ad un’abitazione, ai servizi, alla mobilità e alle risorse territoriali. Il secondo riguarda la partecipazione sociale alle scelte del governo del territorio. E’ un tema che in qualche modo esula dallo specifico campo della pianificazione, poiché riguarda l’esercizio della democrazia; ma per il loro carattere “statutario”, le scelte di sviluppo del territorio e delle città rappresentano uno dei campi fondamentali in cui deve essere perseguita la più ampia partecipazione sociale. Il terzo riguarda l’assunzione di nuove categorie derivanti dalla legislazione europea, quali la direttiva sulla Valutazione ambientale strategica, che viene formalmente recepita nella legislazione del nostro paese.
La proposta di legge è stata discussa in questa prima fase con un ristretto numero di interlocutori, i cui suggerimenti hanno prodotto una proficua evoluzione dell’originario testo di legge. Il 28 di giugno verrà presentata ai parlamentari che hanno la responsabilità di costruire il percorso della nuova legge sull’urbanistica e di altri esperti della disciplina. Anche in questo caso ci attendiamo che vengano suggerimenti, integrazioni e critiche in grado di migliorare ulteriormente i contenuti della legge. La proposta presentata da eddyburg può compiere dunque un altro passo avanti, nell’obiettivo di contribuire a delineare un profilo riformatore dell’azione del nuovo governo in materia urbanistica.
L’insediamento d’un nuovo governo alimenta sin troppi sogni e spinte corporative. Da quasi ogni settore dell’opinione pubblica emergono suggerimenti, indicazioni richieste. Il Giornale non vuole partecipare alla costruzione di altri, interminabili elenchi, che pure i diversi settori che ne scandiscono la vita sin dalla sua fondazione potrebbero costruire. Come fa su questo numero Edoardo Salzano, il Giornale si apre a chi voglia isolare una questione sulla quale ritenga si debba concentrare l’impegno, non solo normativo o economico, di una legislatura. Lo fa nella convinzione che la complessità e l’intreccio dei problemi sul tavolo rischiano di immobilizzare il processo decisionale, e che la cultura italiana debba ritrovare in questo momento il coraggio della sfida intellettuale e di scelte nette. In questa direzione, tra le tante possibili, ci pare utile suggerire due questioni a una più ampia discussione.
La prima è la tassazione delle plusvalenze immobiliari. Luigi Einaudi, raccontando un secolo fa la parabola del quarto di acro nel centro di Chicago, ne aveva già fornito le ragioni insieme economiche e morali. Oggi, forse, il problema è anche e in primo luogo sociale. In un'Italia che ha perso il coraggio del rischio, che «vive bene» perché vive di rendite, o meglio di rendite e patrimoni, se si vuole riportare al centro della vita sociale il valore del lavoro, della sfida, persino dello stesso spirito protestante del capitalismo, questa partita è decisiva. Werner Oechslin ricorda, sempre in questo numero, la fatica dello studio e dell'apprendere, il valore del merito e della cultura come bene arduo ma universale. Quell'eremo di ricerca costituito dalla sua biblioteca di Einsiedeln bene riassume i valori oggi in gioco.
La seconda questione è il superamento di autonomie locali oggi controproducenti. Nel 1952, in occasione del convegno dell'Inu storicamente più importante, si pose, da parte dei più di 5.000 partecipanti, come problema essenziale, non solo per il corretto governo del territorio, la precisazione della funzione e dei poteri delle autonomie locali. Ridiscutendo, come si farà, di devoluzione, si colga l'occasione per una vera ridefinizione di competenze e riduzione delle burocrazie. Ancora oggi, dopo 54 anni, quell'auspicio è rimasto sostanzialmente tale; e governare, con queste istituzioni, territori che si vogliono dispersi e insieme sempre più integrati in sistemi a scale nazionali o internazionali, appare quasi voler affermare il primato dell'economia sulla società e sulla politica.
Due casi utili forse anche per un rilancio di una politica in grado di compiere scelte (e di renderle esplicite nei suoi obiettivi) nelle quali si provi almeno a tenere assieme sviluppo, funzionalità, etica e giustizia sociale. Se le scelte che si faranno saranno connotate (e praticate) con questa tensione, forse anche la partecipazione dei cittadini alla vita politica tornerà a essere meno stanca e casuale. Salvaguardando le diversità delle opinioni, anzi facendone un valore; in un confronto esplicito e trasparente sugli obiettivi sociali e non solo economici di politiche che comunque - su un ponte come su un piano paesistico - hanno impliciti interessi, attori sociali e, spesso, valori differenti.
La legislazione urbanistica regionale e i suoi esiti.
La nuova legislazione urbanistica: obiettivi, attese, difficoltà
Abbazia di Morimondo, 4 ottobre 2003.
Relazione introduttiva del prof. Gianni Beltrame
Partiamo da un punto che sicuramente tutti condividiamo.
Nessuno, penso, può dubitare oggi della necessità - condivisa per il momento "in via generale" - di rivedere ed aggiornare le leggi organiche regionali di "prima generazione", sia in Lombardia come in tutte le altre Regioni.
Non solo perché sono passati mediamente venticinque anni di tempo e di esperienze applicative dalla loro prima formulazione e impostazione ma soprattutto perché in questo periodo si sono verificati avvenimenti e svolte istituzionali, legislative, sociali e culturali di grande e, a volte, grandissima portata che hanno mutato profondamente i termini, il clima e i contenuti del dibattito, sia entro che a lato della cultura urbanistica, rispetto all'immediato periodo post legge-ponte nel quale sono maturate le leggi di "prima generazione".
Non sono tuttavia l'invecchiamento, i limiti o le "colpe" e le "rigidità" della legislazione vigente (nazionale e regionale) o il "vincolismo" del "piano", accusati, come un po' ovunque - nella rozza interpretazione dominante - di essere i responsabili principali ed unici di tutte le colpe di quanto avvenuto, o non avvenuto, nelle città e sul territorio (come in Lombardia, dove si è tentato artatamente di addossare tutte queste colpe alla legge 51/75) - quanto il complesso delle svolte e delle trasformazioni culturali, istituzionali, legislative, economiche, disciplinari avvenute in questi ultimi venti-venticinque anni.
Resta evidente che se decidessimo di passare dal riconoscimento di queste ragioni, riconosciute per ora solo "in via generale", alla valutazione delle ragioni più specifiche e particolari di cosa poter/dover mantenere e cosa innovare di tutto l'apparato legislativo e operativo costruito e accumulato in questo periodo, per spingerci successivamente sino alla proposizione e alla formulazione di nuovi contenuti, linee e strategie di riforma, questa unanimità generale verrebbe rapidamente a spezzarsi.
Conviene notare, a questo proposito, come la riflessione e il dibattito relativo alla valutazione complessiva di quanto accaduto ed elaborato del periodo che ci separa del varo delle leggi di "prima generazione", che avrebbe dovuto riconoscere e analizzare come la cultura, la legislazione urbanistico-ambientale ( sia nazionale che regionale) le innovazioni strumentali, metodologiche e la prassi operativa si siano evolute e trasformate in quest'arco di tempo, quale ne possa essere l'eredità, cosa abbiano prodotto sia in termini positivi (da conservare e da sviluppare) che negativi, si sia svolto in una forma assai confusa e squilibrata. Dove in pratica ha prevalso decisamente una linea "negativa" e "ideologico-politica" - oggi anche politicamente vincente - di chi ha inteso e intende liquidare, attraverso un giudizio complessivamente e totalmente negativo, tutta questa venticinquennale esperienza, come se fosse completamente da respingere e da buttare, mentre dal versante opposto assai deboli e incerte si sono rivelate le risposte provenienti dalla cultura così detta "riformista" che pur avrebbe dovuto, in certa misura, difenderla.
Vediamo di richiamare velocemente e sinteticamente le ragioni e le tematiche più importanti, le più decisive e quelle di più alto profilo culturale che dovrebbero motivare, stare alla base, guidare e informare l'impostazione della nuova legislazione regionale di "seconda generazione.
- l'affacciarsi e l'affermarsi di una nuova cultura e attenzione centrata sulle tematiche ambientali ( del tutto ignorate all'epoca della legislazione di "prima generazione");
- l'esplodere e l'affermarsi della “questione ambientale”, intesa come il crescere dell'attenzione e della riflessione sui nodi e sulle contraddizioni e sui conflitti del rapporto sviluppo-ambiente;
- lo svilupparsi della riflessione critica relativa al concetto di sviluppo, ai limiti dello sviluppo e alle illusioni di una possibile infinita crescita quantitativa, soprattutto in relazione agli usi della risorsa suolo;
- la nascita del tema e del perseguimento della ricerca di uno "sviluppo sostenibile" sia inteso in senso globale che in relazione, nello specifico, alla ricerca del contributo proprio che dovrebbe/potrebbe offrire la pianificazione o "governo" locale del territorio e delle organizzazioni urbane;
- la trasformazione e l'evoluzione della disciplina urbanistica da disciplina della città e della crescita urbana a disciplina dell'organizzazione del territorio strettamente connessa all'ambiente;
- la conseguente e connessa maturazione della necessità della unificazione e della non separabilità, concettuale e operativa, della pianificazione urbanistico-territoriale, da quella della pianificazione ambientale e della pianificazione paesistica;
- la necessità pertanto di aiutare e sostenere l'evolversi in senso ambientale della pianificazione territoriale-ambientale mediante un rinnovamento sostanziale delle sue tecniche, degli strumenti, delle sue metodologie e delle sue pratiche. Come affermato al Congresso dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, (Relazione generale del Gruppo Ambiente, Palermo 1993) la questione ambientale è diventata per l'urbanistica - disciplina e pratica - questione "centrale" e "rifondativa" ;
- la necessità della introduzione di indicatori e di parametri per misurare e valutare la sostenibilità delle scelte, dei piani e delle trasformazioni urbanistico- territoriali;
- la necessità di incentivare e promuovere il tema della pianificazione contestuale del rapporto acqua-suolo (così come impostato dalla L. 183/89 Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) assumendo il "bacino idrografico" come unità ecologico-ambientale e di pianificazione territoriale-ambientale;
- la necessità della introduzione di nuove forme di contabilità e bilancio ambientale, a tutti i livelli di pianificazione;
- la necessità di introdurre uno strumento specifico per la "Valutazione della sostenibilità ambientale dei Piani" del tipo della VAS (che prende origine dalla Direttiva comunitaria 2001/42/CE del 27 giugno 2001).
Sul piano dell'evoluzione delle metodologie di pianificazione:
- assumere e introdurre, a tutti i livelli, metodologie di pianificazione basate sul riconoscimento della necessaria processualità della costruzione e della definizione del piano come anche della sua gestione ed attuazione. Reimpostare la logica della pianificazione secondo un metodo di processo continuo, ovvero di "piano processo", tra i diversi livelli che agiscono secondo logiche di co-pianificazione;
- ripensare e reimpostare il processo di pianificazione e di decisione come continuo e costante processo di co-decisione e di collaborazione, non gerarchizzata, tra i diversi livelli e soggetti pubblici;
- introdurre metodologie, a tutti i livelli, di pianificazione strategica, separando, come nel modello INU, il momento della formazione e della definizione (configurazione territoriale) del piano da quello della conformazione della proprietà;
- ridefinire i diversi strumenti generali ed attuativi ai diversi livelli con una più precisa definizione dei loro rapporti, anche alla luce del mutato quadro legislativo nazionale (ad esempio L. 142/90);
ridefinire lo strumento del Piano Territoriale Regionale mediante una sua sempre maggiore integrazione e fusione con gli strumenti della programmazione;
- migliorare la definizione dei contenuti specifici del Piano territoriale provinciale e dei suoi rapporti con la pianificazione comunale;
- ripensare e ridefinire lo strumento del Piano Regolatore (o piano comunale) e dei suoi strumenti di attuazione e normativi;
- definire regole e procedure per migliorare la riqualificazione del piano in senso processuale, dal momento della definizione degli obiettivi, alle analisi, alla partecipazione, alla valutazione delle scelte, alla formazione;
- riorganizzare e ridefinire gli standard urbanistici;
- introdurre nei piani standard, indicatori e bilanci ambientali;
- introdurre e diffondere strumenti e metodologie di valutazione e di fattibilità (anche economico finanziaria) delle scelte territoriali-ambientali;
- introdurre più evolute metodologie di valutazione di impatto ambientale, sia per le trasformazioni puntuali e gli strumenti attuativi che per gli strumenti generali di piano;
- abbandonare, nella concezione e nella gestione delle aree protette, le vecchie logiche naturalistico-conservazioniste a favore di logiche di eco-sostenibilità;
- rinnovare e riqualificare tutte le strutture tecniche pubbliche, a tutti i livelli, alla luce dei nuovi impegni e delle nuove metodologie operative.
operare sulle valenze aperte da:
- la recente modifica del titolo V della Costituzione che ridefinisce i rapporti Stato Regioni (legge n. 3/2001);
- la legge 142 del 1990 sull'Ordinamento delle Autonomie Locali che definisce la Provincia come unico ente intermedio di pianificazione, attribuendole competenze di pianificazione territoriale;
- le leggi Bassanini, che riformano e ridefiniscono il funzionamento delle strutture amministrative;
- la sempre più estesa emanazione di norme e direttive europee in materia soprattutto ambientale e paesistica dalle quali risulta oggi impossibile prescindere;
- l'estensione e l'arricchimento di tutta la normativa nazionale in materia ambientale che impone sempre più stretti legami e rapporti con l'organizzazione e la gestione del territorio;
- il maturato e rinnovato interesse per la pianificazione paesistica (per troppo tempo sottovalutata), rilanciato e sostenuto oggi anche a livello europeo.
Certamente tutto ciò va ripensato e ridefinito anche alla luce dei profondi mutamenti economici e sociali maturati, sia alla scala internazionale (globalizzazione) e mondiale che alla scala nazionale e locale, in questi ultimi venticinque anni, che rendono oggi necessario modificare profondamente, rispetto al passato, l'approccio ai concetti e ai metodi, più vasti, di piano, di programmazione, di azione e di ruolo pubblico, di rapporto pubblico-privato, globale-locale, di capacità di conoscenza e di previsione e di guida delle dinamiche economiche e sociali. Purché, naturalmente, si sappia passare dalla mera enunciazione di questi eventi e dall'uso bassamente strumentale ed ideologico e astratto di questi temi e di queste trasformazioni, alla individuazione delle reali ed operabili conseguenze sul campo della pianificazione territoriale-ambientale.
Non bisogna naturalmente, infine, dimenticare il profondo mutamento del clima e degli indirizzi politico-amministrativi oggi prevalenti e dominanti, che stanno sullo sfondo e che condizionano pesantemente il modo di affrontare e di interpretare tutte queste trasformazioni e le conseguenti linee di riforma.
Prima di proseguire oltre converrà svolgere qualche breve considerazione sull'aspetto paradossale determinato dal fatto che le leggi urbanistiche regionali di "seconda generazione" si trovano nella condizione di dover essere elaborate ed emanate in assenza di una riforma della legge urbanistica nazionale. Legge che dovrebbe presentarsi anche, secondo i principi costituzionali, in forma di legge "quadro" o legge "di principi. Ma anche legge assolutamente necessaria per poter risolvere e dare risposte positive alle diverse "cannonate" sparate contro la legge del '42 (e successive) dalla Corte Costituzionale e anche stabilire quali sono i "principi generali", implicitamente contenuti nella legge nazionale, che debbono rimanere o non rimanere più in vita.
Ma questa necessaria riforma non è mai andata in porto (sono passati circa cinquant'anni) e solo di recente sono apparsi diversi disegni di legge che si propongono di colmare questo clamoroso vuoto.
Così l'assurdità e la drammaticità della situazione nasce dallo scontro irrisolto di tre necessità insoddisfatte:
- la necessità di una radicale riforma a livello nazionale (che si poneva con urgenza, è bene ricordare, già a partire dalla Sentenza C.C. del 1968) che non può essere supplita o risolta dal livello legislativo regionale, ma che è ancora tutta da venire (è più facile che arrivi prima un bel condono);
- la necessità per il livello regionale di dare comunque necessarie risposte legislative proprie, non potendo più mantenere in vita ed operare - a fronte di tutti i grandi sommovimenti legislativi sopravvenuti dal 1968 in poi (si pensi, tanto per fare un esempio, alla sopravvenienza di sempre più incisive norme ambientali europee) - con le loro obsolete leggi di "prima generazione" che risalgono per la maggior parte al periodo 1975-80;
- la necessità delle Regioni di emanare comunque - con la consapevolezza di tutti gli evidenti rischi e incognite - proprie leggi, non potendo più aspettare e sopportare l'assenza dell'iniziativa legislativa nazionale.
Delle molteplici necessità che spingono le Regioni ad affrontare questa strada piena di rischi e di incognite si potrebbero elencare tantissime ragioni, tutte più che fondate e pressanti. E sarebbe altrettanto improponibile, d'altro canto, e altrettanto rischioso, consigliare alle Regioni di seguire la più tranquilla strada di una ulteriore attesa della riforma nazionale.
Se queste condizioni valgono per tutte le Regioni, i modi di rispondere al problema di questo "vuoto legislativo" variano da Regione a Regione.
Molte di esse, come noto, hanno compiuto la scelta di fare riferimento, anche in questo caso con evidenti rischi, al nuovo modello di legge presentato nel quadro di un più generale disegno di riforma urbanistica nazionale dall'INU al XXI Congresso di Bologna nel novembre del 1995 "La nuova legge urbanistica. I principi e le regole". Quasi tutte le leggi regionali di "seconda generazione", sorte a partire dal 1995, lo stanno ormai assumendo come un punto fermo e qualificante, soprattutto per quanto riguarda la ridefinizione dello strumento del Piano Comunale "sdoppiato", nonostante la "Riforma" non sia andata in porto e nonostante nessuna particolare modifica o innovazione a proposito del Piano Regolatore sia stata apportata alla legge urbanistica nazionale. Segno evidente che il "modello" INU convince, trova ampi consensi e se ne riconosce la validità ed anche l'urgenza.
Altre Regioni hanno seguito vie diverse, tanto più azzardate quanto più sperimentali e meno verificate da un ampio dibattito a scala nazionale paragonabile a quello avvenuto per il disegno dell'INU.
D'altra parte è da respingersi l'ipotesi di una assoluta, esistente o avvenuta, e nemmeno auspicabile totale "regionalizzazione" delle competenze di legislazione urbanistica: sia perché l'ambiente e l'ecosistema sono attribuiti alla competenza esclusiva dello Stato, unitamente alla materia "tutela della concorrenza", sia perché rimangono sempre allo Stato il regime civilistico della proprietà oltre che il regime sanzionatorio.
Non si capisce però come molte Regioni - compresa la Lombardia - si comportino come se la legge nazionale non esistesse più, già da ora, del tutto, e come se da questa non dovesse derivare nessuna norma generale e di principio (certamente impossibile da estrarre con interpretazioni autonome) e come se le Regioni fossero autorizzate già da ora, a risolvere da sole tutti quei nodi ancora riservati alla legislazione e alla competenza statale.
Conviene notare anche, en passant, l'esistenza di non poche gravi "dimenticanze" o anomalie (di natura e di origine chiaramente politica) che caratterizzano l'attuale dibattito sulla riforma urbanistica nazionale. Dare, ad esempio, per definitivamente chiusa e liquidata ogni possibilità di riflessione e di ripensamento critico sulla arretrata concezione dello jus aedificandi assunta dalla Sentenza C.C. del 1968 (invero molto condivisa dalla "destra" politica); evitare un serio dibattito critico sugli "squarci" aperti nel diritto urbanistico dalle varie sentenze della C.C. e su modi di porvi definitivamente rimedio; non aprire alcun serio dibattito sui modi e sulle tecniche migliori, anche fiscali, per restituire al pubblico le rendite differenziali indotte dai piani; sorvolare sul fatto che la durata quinquennale dei vincoli ablativi non è un principio costituzionale fermo e indiscutibile ma un derivato della anomala sopravvivenza (35 anni!) della legge-tappo del 1968; non aprire un dibattito sulle difficoltà create dalla separazione ancora esistente, di fatto, tra diritto urbanistico e diritto ambientale e sul mantenimento della riserva statale in materia di ambienti ed ecosistemi.
Contrariamente alle altre Regioni - invero non molte - che hanno saputo impostare la transizione dalle loro leggi di "prima generazione" a quelle di "seconda", cercando di introdurvi i risultati positivi di quel ricco dibattito di ripensamento e di revisione critica relativa a tutta la strumentazione e a tutta la prassi urbanistica ai vari livelli e di radicale ripensamento sui fondamenti stessi del pianificare, apertosi in Italia attorno agli '90 - e del quale il progetto di riforma avanzato dall'INU continua a rappresentare il più maturo e compiuto modello di riferimento - la Regione Lombardia ha seguito un'altra strada. Anziché tentare la via di un ripensamento complessivo e di una riprogettazione organica di ampio respiro dell'intero proprio corpo legislativo di base, ed affrontare così i grandi nodi che costituiscono le ragioni di fondo e le spinte che premono verso una legislazione profondamente rinnovata di "seconda generazione", la Regione Lombardia ha preferito scegliere una via di basso profilo consistente in uno smantellamento strisciante "a spizzichi e bocconi" della sua legge urbanistica portante, attraverso uno stillicidio di piccoli ritocchi, aggiustamenti, abrogazioni, modifiche, apportate all'impianto fondante della legge del '75.(Modo di procedere del tutto analogo a quello utilizzato per modificare e smantellare il testo portante della propria legge sulle aree protette n. 86 del 1983). Tra le costanti di questo processo di revisione, tutto improntato a favorire e assecondare, in buona sostanza, le spinte e le richieste antipianificatorie del più rozzo "libero fare" privato e del più esasperato "localismo" comunale, emergono due linee complementari: quella dell'operare in direzione di un forte decentramento (si potrebbe forse meglio dire di "scaricamento") di compiti, procedure, operazioni burocratiche e poteri di decisione, dal livello regionale verso il livello comunale - etichettata retoricamente come applicazione del principio della sussidiarietà - (si vedano, in particolare, la l.r. n. 23 del 1997 " Accelerazione del procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici comunali e disciplina del regolamento edilizio" e la l.r. n. 18 del 1997 "Riordino delle competenze e semplificazione delle procedure in materia di tutela dei beni ambientali e dei piani paesistici. Subdeleghe agli Enti Locali") e quella della esasperata operazione di smantellamento e di delegittimazione dello strumento del Piano Regolatore, accusato di tutte le colpe e di tutti i "vincolismi" e di tutte le "rigidità" possibili. In questa ultima direzione la Regione assesta un primo grave colpo al Piano Regolatore con la l.r. n. 9 del 1999 "Disciplina dei programmi integrati di intervento" mediante l'introduzione del "Documento di inquadramento", strumento falsamente "strategico", posto sopra e a lato del Piano, non vincolante ma variabile continuamente, deputato alla approvazione dei Programmi Integrati, ma avente in sostanza la facoltà di interpretare il Piano come una variante continua fuori dal Piano .
L'ultimo colpo dello smantellamento viene inferto dalla legge"Disciplina dei mutamenti di destinazione d'uso di immobili e norme per la dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico " n.1 del 15 gennaio 2001 che introduce pesanti e pericolose modifiche centrate sui seguenti punti:
E' evidente una volontà di drastica semplificazione delle procedure amministrative relative ma soprattutto una spiccata volontà liberalizzatrice dei mutamenti di destinazione d'uso che riguardano - bisogna stare molto attenti - non solo gli edifici ma anche le aree ovvero le destinazioni azzonative relative ad ampie zone. Obiettivo non tanto occulto della legge è quello di prefigurare un abbandono delle destinazioni d'uso e dell'azzonamento.
Questa norma appare particolarmente preoccupante in quanto mira a "liberalizzare" gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento degli edifici agricoli, eliminando i requisiti soggettivi per il rilascio della concessione edilizia nelle zone agricole che la legge regionale 93/80 aveva prudentemente introdotto onde evitare che i non agricoltori potessero intervenire ad operare del tutto illogicamente all'interno delle aree agricole.
La legge rivede, semplifica e alleggerisce la norma della l.r. 51/1975 sui centri storici (art. 17) che, essendo stata formulata qualche anno prima della L. 457/1978 soffriva ancora di un eccessivo ed esteso ricorso e rinvio allo strumento del piano particolareggiato. La modifica proposta tende però a smantellare quelle sane norme di tutela e di salvaguardia introdotte dalla legge-ponte relative alla conservazione degli assetti e delle volumetrie esistenti nei tessuti storici.
La legge regionale risolve brutalmente, anziché attraverso una innovativa riformulazione metodologica, il problema: per le aree edificate assume come capacità insediativa la popolazione esistente mentre come indice volumetrico capitario eleva la misura a 150 mc/ab. Non si tratta di un grande avanzamento della metodologia di calcolo, anche perché l'indice di 150 mc/ab, essendo un valore medio assunto uguale per tutti i comuni (come nel caso dei 100 mc/ab), potrebbe risultare ancora, a seconda dei casi e delle tipologie, o troppo alto o troppo basso. E' anche facile prevedere che nella prassi comunale il ricalcolo finirà con l'essere impostato solo su questi due elementari parametri. L'avanzamento auspicato avrebbe dovuto consistere nel trasformare o integrare il calcolo della capacità insediativa con la misurazione del calcolo del "peso insediativo" (che non è solo volumetrico ma anche ambientale).
Non si può negare l'utilità della introduzione operata dalla nuova legge regionale (art.7) dello strumento del Piano dei servizi. In realtà non si tratta di una grande innovazione nè della invenzione di un nuovo strumento integrativo del piano regolatore. I Comuni potevano ( e avrebbero dovuto) dotarsene anche senza l'obbligo della legge e molti Piani Regolatori correttamente formati, che hanno saputo affrontare il tema dei servizi con la necessaria serietà e con una metodologia di piano rigorosa, si sono già mossi con i lori elaborati studi e capitoli di piano secondo i concetti e i criteri suggeriti dalla legge (accessibilità, fruibilità e fattibilità).
Riguardo questo tema, uno dei più sollecitati e attesi dalla "riforma", la legge non introduce nessun sostanziale avanzamento o miglioramento metodologico e definitorio rispetto al vecchio impianto della l.r. del '75 e del D.I. del '68. Il vero obiettivo cui mira questa nuova legge è però palesemente quello della effettiva diminuzione degli standard minimi obbligatori, raggiungibili anche attraverso il ricorso ad ambigue e facilmente mistificabili forme di conteggio.
Un po' ipocritamente la legge esordisce col ribadire la conferma dello standard minimo complessivo per "attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale" precedentemente definito nella misura di 26,5 mq/abitante ma subito si può constatare che ampie riduzioni possono essere raggiunte e consentite mediante nuove ed equivoche modalità di conteggio.. La più grave di queste consiste nella alterazione della unità di misura di riferimento: mentre gli standard, a partire dalla legge ponte e dal D.I. del '68 sono sempre stati correttamente intesi, quantificati e misurati in termini di aree ovvero di superfici fondiarie (in quanto sostanzialmente aventi la natura e la funzione di aree di riserva per la produzione di servizi ed attrezzature, concetto ripreso dalla stessa l.r. 1/2001 nel titolo del suo art. 7, dove parla giustamente di " Dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale") il nuovo testo introduce la equivalente e fungibile (?) possibilità di misurare tali aree in "misura corrispondente alla effettiva consistenza delle rispettive superfici lorde" di pavimento ovvero in termini di s.l.p. (Una scuola di tre piani equivale dunque ad uno standard per tre scuole?).
La l. r. 51/75 si era preoccupata, giustamente, della tendenza evidentissima nei piani comunali - specialmente se relativi a comuni piccoli ed agricoli - di consentire indici di edificabilità molto bassi, con conseguenti effetti di spreco e consumo eccessivo di suolo.
A questo fine aveva imposto l'obbligo, con l'art. 23 "Densità territoriali medie e densità fondiarie massime", di non scendere, nelle zone residenziali di espansione, sotto la media ponderale dei 10.000 mc. per ha. Questa corretta ed elementare norma di cautela urbanistico-ambientale è stata brutalmente abrogata con grande gioia dei "lottizzatori di campagna" senza preoccuparsi minimamente di integrarla o sostituirla con norme migliori o altrettanto efficaci.
Le prime "Linee guida per la riforma urbanistica regionale" vengono presentate dalla Direzione Territorio e Urbanistica nel settembre del 2001 con l'ambizione di delineare le linee, gli indirizzi e i contenuti di quella che dovrebbe essere finalmente la "riforma".
Ma si tratta di un abbozzo ancora immaturo e deludente che cerca di coprire la povertà di contenuti e di idee e la scarsa volontà di definire scelte precise rifugiandosi dietro l'enunciazione di facilmente condivisibili "principi generali".
Risulta subito evidente che non basta elencare, definire (c'è anche un glossarietto) ed allineare una serie di "Principi generali", i più ovvi, condivisi, condivisibili e di moda:
Sostenibilità (ambientale, sociale, economica);
Sussidiarietà (verticale e orizzontale)
Perequazione/compensazione/sostituzione;
Cooperazione;
Flessibilità;
Partecipazione;
Monitoraggio;
Interesse generale e interesse pubblico per ottenere e delineare un quadro strategico di riforma.
Non è che questa elencazione o accostamento di "principi" sia sufficiente per dare contenuto, configurare o delineare una linea di riforma, anche perché:
1) si tratta per lo più di principi generali che riguardano concetti e obiettivi che potremmo definire "Costituzionali" o di "buona amministrazione" e che comunque riguardano più il modo di amministrare che non il modo di fare pianificazione territoriale o urbanistica;
2) si tratta di principi generali tra loro anche molto "disomogenei" per finalità, dimensione e natura del problema, non sommabili e non automaticamente accostabili;
3) non si tratta di principi generali di natura e ordine propriamente o specificamente urbanistico-territoriale;
4) perché dal loro semplice accostamento potrebbero discendere infinite linee di proposta e di riforma, con esiti e contenuti anche molto differenti.
Tra i "Principi generali" si veda, in particolare, la debolezza della definizione di "Interesse generale e interesse pubblico" per la valutazione del quale "si deve contemplare pariteticamente le opportunità e le iniziative dell'operatore privato come di quello pubblico"!! (p. 8)
Le proposte sulla natura dei piani e sul rapporto tra i diversi livelli di piano sembrano ricalcare invece gli indirizzi proposti dal disegno di legge nazionale dell'INU, anche se nel testo regionale i contenuti di questi appaiono poco definiti e chiariti.
Per quanto riguarda la pianificazione alla scala comunale si opta per una distinzione e una diversificazione - molto logica e concettualmente ormai acquisita - tra il momento strategico del piano e il momento operativo e attuativo.
Si prevede una articolazione in tre documenti:
1) Documento di inquadramento (con valore di livello strategico e strutturale)
2) Documento di piano urbanistico (con valore di livello operativo e attuativo)
3) Norme tecniche
Più che delineare contenuti e strategie di riforma le "Linee guida" si limitano a descrivere una "Urbanistica anno zero" sia per il passato (che pare non ci sia più, nemmeno per le sue forme residue) che per il presente ( che non si vuole giudicare, che non si vuole descrivere e valutare nelle sue criticità) che per il futuro (che non si sa ancora prospettare).
Ma forse è proprio questo che si voleva.
Su queste "Linee guida" l'INU Lombardia organizza, con la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, diversi dibattiti e convegni dai quali emergono perplessità e insoddisfazione.
Dopo la delusione generale creata dalle "Linee guida" del 2001 la nuova bozza di legge del luglio 2002 viene accolta con molte aspettative e attese.
Molti si attendono che dopo le vaghezze delle "Linee guida" venga finalmente prospettato un testo organico e completo, capace di riformulare e di sostituirsi alla ormai invecchiata e ormai semidistrutta legge di "prima generazione" n. 51/75.
E' infatti a tutti evidente la necessità e l'urgenza di ricostruire un quadro organico regionale dopo il massacro e lo smantellamento della legislazione urbanistica lombarda (a partire dalla l.r. 23/97 per arrivare sino alla l.r. 1/2001) avvenuto in totale assenza dell'idea e del perseguimento di un preciso nuovo modello alternativo, ma solo con la evidente volontà di cavalcare l'onda neoliberista della privatizzazione (anche dell'urbanistica) e della "deregulation" e con la evidente intenzione (questa sì, chiarissima) di soddisfare e assecondare le spinte e le richiese antipianificatorie del più rozzo "libero fare" privato e del più esasperato "localismo" comunale.
Ci si aspettava da questa nuova "bozza" di articolato qualche serio passo in avanti di chiarimento dei nuovi indirizzi e alle nuove idee "riformatrici".
In realtà ci si trova di fronte ad un testo incompleto e lacunoso che, subito ad una prima lettura, non può nemmeno essere definito e riconosciuto come un nuovo progetto di legge organica e completa. Non è facile capire il perchè di un progetto così "volutamente" mal fatto, oscuro e incompleto. Il testo suscita infatti molte più domande e dubbi di quelle cui l'articolato è in grado di rispondere.
Ad alcune domande di fondo il nuovo testo non risponde.
- Che fine fanno le leggi urbanistiche regionali già emanate e vigenti (dalla l.r. 51/75 in poi)? Rimangono in vita? Scompaiono? Come si correlano alla nuova proposta di legge? A tutte queste domande il testo non risponde.
- La nuova formulazione dei contenuti del PTCP (art.22) - che indebolisce ulteriormente il carattere programmatorio del Piano Territoriale, compresa la parte inerente la tutela paesistica e ambientale - sostituisce o abroga quanto stabilito dalla legge 1/2000? In quale rapporto si mette con questa, considerando anche che l'art.6 definisce nuovamente le competenze della Provincia?
- Che tipo di strumento è il nuovo Piano comunale definito dagli artt. 14,15,16,17,18 e 19?
E' questo il tema che suscita più perplessità.
I quattro strumenti che definiscono la Pianificazione comunale (art. 14) ora denominati "il Piano di governo del territorio (P.G.T.)", "il Piano dei servizi", "il Piano di assetto morfologico", "i Piani complessi comunali e gli strumenti della programmazione negoziata", definiscono o convergono in un unico Piano organico e coerente o definiscono quattro strumenti che possono essere autonomamente e separatamente elaborati e variati? Oltretutto non si capiscono nemmeno le specificità e i contenuti di questi quattro strumenti né si capiscono le loro relazioni reciproche e nemmeno si capisce chiaramente se il PGT abbia una funzione più organica e di assieme rispetto agli altri tre strumenti.
Con la definizione del Piano del Governo del Territorio (PGT) si tenta addirittura di abolire con la legge ogni forma di azzonamento (il tanto ideologicamente odiato azzonamento !) attraverso il comma d) : "la individuazione delle modalità di intervento sul territorio comunale, articolato in ambiti multifunzionali, e non distinto in zone, anche in relazione ai programmi di sviluppo, al piano dei servizi, ed al piano di assetto morfologico".
Perché scompaiono le NTA, ancora presenti nelle "Linee guida"?
(Ho avuto modo di dichiarare all'Assessore regionale, in una riunione svoltasi presso l'INU Lombardia che se un Sindaco volesse incaricarmi di elaborare un piano sulla base dei nuovi indirizzi proposti dalla Regione, dovrei onestamente rifiutare l'incarico, riconoscendo semplicemente di non saperlo fare, non essendo ancora riuscito a comprendere quale sia mai la forma o il modello di piano che la Regione intende proporre e capire anche, soprattutto, quali relazioni vengano a stabilirsi tra i quattro - oltretutto mal definiti - strumenti che lo compongono).
L'ultimo testo adottato dalla Giunta Regionale del 18 luglio 2003, anche se formalmente si presenta più completo del precedente, nella sostanza, nella "filosofia" e negli obiettivi non si discosta molto dal disegno del luglio 2002, così che la gran parte delle critiche svolte per quel disegno possono valere anche per quello odierno.
Due però sono le novità sostanziali: la prima è costituita dal fatto che il testo si propone nella forma di un testo unico comprensivo e sostitutivo di tutta la legislazione urbanistica regionale vigente (compresa l'attività edilizia e i suoi strumenti, le norme in materia di edificazione, i parcheggi, i sottotetti, ecc.); la seconda, complementare, che finalmente la legge elenca necessariamente quali sono tutte le abrogazioni delle disposizioni regionali vigenti.
La sorpresa riguarda il fatto che nella mole delle abrogazioni, ben 24 in tutto, figurano anche tutte le leggi prodotte nella fase di "smantellamento" (dalla 23/97, 41/97, 9/99, 1/2000, 1/2001).
Il risultato è che abrogando quel poco di buono e di chiaro che era sopravvissuto nelle leggi recenti, la deregulation viene ad essere ulteriormente e celatamente deregolata,.sia attraverso la pesantezza delle cancellazioni delle leggi che attraverso la grossolana ricomposizione operata col testo unico (vero specchietto per attirare un facile consenso da parte dei più sprovveduti). Aggrava tutto questo anche un linguaggio sempre impreciso e sempre meno tecnico.
La nuova proposta non può che essere giudicata anch'essa, al pari del disegno del 2002, come pesantemente negativa e pericolosa per il futuro del territorio e dell'ambiente regionale.
Siamo di fronte ad un testo che pur nelle sue oscurità di formulazione e di forma appare molto chiaro e trasparente nei suoi veri obiettivi di fondo:
- non si cura minimamente di rispondere a tutti quegli obiettivi "alti" e "dovuti", già ampiamente descritti all'inizio, che dovrebbero qualificare una legge regionale di "seconda generazione";
- trascura nella sostanza tutti i temi ambientali e la questione ambientale ed i rapporti che dovrebbero legare ambiente e attività di trasformazione-infrastutturazione-urbanizzazione e di governo del territorio. La preoccupazione che guida il legislatore lombardo non è tanto quella di dettare norme, strumenti e modalità per poter affrontare con successo il governo del territorio di una regione concretamente e fisicamente fatta di suoli, di territori e ambienti, composta di acque, di laghi, di montagne e pianure, di ecosistemi che ne qualificano il paesaggio-ambiente ma al contempo sempre più alterata e degradata da aggressioni ambientali e urbanizzative di ogni tipo, crescenti e diffuse, quanto lo preoccupa l'ossessione di estendere, su un territorio astratto che finisce con l'essere ridotto solo all'assieme di tutte le particelle catastali proprietarie, la possibilità di trasformazione e edificazione sempre più estesa e sottratta a regole, limiti qualitativi e quantitativi e piani;
- maschera, sotto una apparente veste "innovativa" e mediante l'ipocrisia del dichiarato perseguimento di uno "sviluppo sostenibile", il suo vero volto esasperatamente ed ideologicamente "liberista", rivolto a consentire e sostenere ogni iniziativa privata di uso e di trasformazione del territorio in assenza, o quasi, di qualsiasi riferimento alle "qualità" o alla "scarsità" dei suoli o a oggettivi vincoli "ricognitivi" territoriali-ambientali;
- mentre il vero sostanziale disinteresse per il modo di definire e di avviare un serio discorso sulla sostenibilità traspare palesemente dall'art. 4 del disegno, nel quale non solo si fa confusione tra "valutazione ambientale" e "valutazione della sostenibilità" dei piani, ma si consente anche ai comuni, in attesa della emanazione di criteri regionali, di approvarsi i piani "secondo criteri evidenziati nel piano stesso" mentre vengono, candidamente, esentati da ogni valutazione ambientale i piani "già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge"!!
- nega qualsiasi sostanziale forma di piano o di programmazione degli usi e delle trasformazioni fisico-ambientali del territorio, vanificando o rendendo continuamente variabile e modificabile lo strumento del piano comunale;
- consente e spinge il piano comunale a non essere più un sufficientemente stabile "strumento strategico" dell'assetto futuro e dello sviluppo urbano nel territorio - strumento di tempo sufficientemente lungo - ma strumento del tutto inefficace, aperto ad una continua variabilità nel tempo, indotta da una continua ed estesa "gestione urbanistica contrattata" (così denominata ai tempi di Mottini e Ligresti, oggi ribattezzata, con maggiore ipocrisia, "concertata") affidata alle Giunte comunali. Modello di gestione che potrebbe essere esteso a tutto il territorio, indipendentemente da ogni predefinito vincolo ambientale;
- fa intravvedere la volontà di rendere edificabile (e/o contrattabile) tutto il territorio o quanto meno di poter estendere una certa edificabilità (da contrattare di volta in volta) a quasi tutto il territorio. Per perequare, così si vuole, i privati proprietari, ma così sperequando, nella sostanza, le qualità del territorio. Anche se l'ultima versione del disegno di legge non contiene più l'esplicito divieto di praticare l'azzonamento (come era nella versione del luglio 2002) il complesso delle norme e delle definizioni urbanistico-territoriali mirano e consentono, attraverso la loro vaghezza e imprecisione, di estendere l'edificabilità, volendolo, quasi ovunque;
- scompare ogni forma di uso e di ricorso a metodi di misurazione o di parametrazione quantitativa: scompaiono indici, limiti, scompare lo standard minimo, scompare il calcolo della capacità insediativa, scompaiono indici minimi e massimi di edificabilità, limiti di altezza, ecc. , mentre viene rinviata ancora una volta la fissazione di indicatori della sostenibilità o di misuratori per i bilanci e per le valutazioni ambientali. D'altra parte se tutto diventerà contrattabile, perché non farlo anche con gli indici e con le quantità, che verranno stabiliti di volta in volta al momento del "contratto?? Valutazioni, ovviamente, comprese, essendo ogni "contratto" andato in porto, per definizione, "sostenibile"!
Risulta ancora uno dei temi meno chiariti dal disegno di legge e pertanto rimangono in vita tutte le perplessità suscitate dal testo del 2002.
Il piano viene definito ora Piano di governo del territorio (art. 7) ed è articolato in tre atti : documento di piano (art. 8), piano dei servizi (art. 9), piano delle regole (art. 10). Scompare dal nuovo testo, senza che la relazione ne motivi la scelta, il "Piano di assetto morfologico" presente nel disegno del 2002.
Nonostante la relazione, che finalmente accompagna il nuovo testo, dica che si tratta di tre atti che: "si richiamano tra loro" e "dialogano tra loro", si tratta pur sempre di tre "cose" mal definite e tra loro separate o, volendolo, da poter rendere facilmente separabili, delle quali non si capiscono bene ruoli, rapporti reciproci e funzioni, ma tuttavia, come precisa la legge, sempre e in qualsiasi momento modificabili.
In realtà sembra di trovarsi di fronte più che a un piano "innovato" e ripensato, ad un piano volutamente "smembrato" e "disarticolato", onde renderlo sempre meno "piano" (in senso proprio) sempre più innocuo, sempre più vago, sempre più facilmente variabile a piacimento, sempre più "contrattabile".
Ma consideriamolo ancor più da vicino.
Il Documento di Piano (art. 8)
Sembrerebbe dover rappresentare, ma non se ne è certi, la parte strategica del piano. Nel testo si precisa che non produce "effetti diretti sul regime giuridico dei suoli" (comma 3).
Perché allora conferire una validità di soli 5 anni a questo strumento? Si ritiene che si possano definire serie "strategie territoriali" su un limitatissimo arco temporali di 5 anni?? Per di più mediante uno strumento "sempre modificabile"??
Parrebbe poter restare in vita la tecnica dell'azzonamento (art.8, comma 2, sub c ed e) e la possibilità di definire "obiettivi quantitativi di sviluppo" (comma 2, sub b).
Rimane comunque misterioso il fatto che si tratti di uno strumento privo di "norme". Come si potrà, ad esempio, verificare la compatibilità tra un Piano di governo del territorio e un Piano provinciale dotato di norme?
Piano dei servizi (art. 9)
Mentre il Piano dei servizi definito dall'art. 7 della l.r. 1/2001 non era altro che un "allegato" alla Relazione del piano regolatore, il Piano dei servizi diventa ora un atto, del tutto autonomo, senza termini di validità e "sempre modificabile", del Piano di governo del territorio.
Come già detto non è chiara la relazione tra Piano dei servizi e Documento di piano: come si potrà infatti elaborare un Piano dei servizi in assenza di un Documento di piano precedentemente elaborato? Senza cioè conoscere le previsioni relative alla popolazione da insediare che deve essere prevista, logicamente, dal Documento di piano (comma 2, sub b)?
Se i due strumenti sono dunque, nella sostanza, indissolubilmente legati, perché tenere separati i due atti? Perché uno dura 5 anni e l'altro non ha termini di validità?
E' facile prevedere che il Piano dei servizi tenderà a configurarsi nella pratica come uno strumento di "alta mistificazione urbanistica" e di "pretesto" per una ulteriore espansione di aree urbanizzabili: i Comuni, sempre alla disperata ricerca di "oneri di urbanizzazione" e di interventi privati, saranno indotti, dal nuovo permissivismo urbanistico, a proporre sempre più facilmente aree edificabili (a spese di aree libere o agricole) nella speranza di ottenere, in cambio, servizi.
Pericolosissimo poi quanto previsto al comma 13 che afferma che "La realizzazione di attrezzature pubbliche o di interesse pubblico o generale, diverse da quelle specificamente previste dal piano dei servizi, comporta l'applicazione della procedura di variante del piano stesso". Può essere considerato credibile, a questo punto, un Piano dei servizi?
Il Piano delle regole (art. 10)
Le sue indicazioni hanno carattere vincolante ed effetti diretti sul regime giuridico dei suoli, ma non ha termini di validità mentre, anch'esso "è sempre modificabile".
Rimane sempre una sovrapposizione o confusione di contenuti con il Documento di piano.
Norme
Esistono ancora, a livello comunale, le Norme tecniche di attuazione o una qualsiasi altra forma di "norme" attuative?
Non ne esiste più traccia e neppure sembrano più esistere per il Piano Territoriale Provinciale (art. 15).
Ma è possibile concepire uno strumento urbanistico privo di un testo normativo?
Strumenti attuativi
A questo proposito la scelta si presenta stranamente conservatrice, conservando in vita la possibilità di utilizzare "tutti gli strumenti attuativi previsti dalla legislazione statale e regionale" (art. 12). Perché mai? Difficile capirne la ragione.
Standard
Con l'abrogazione totale della legge 1/2001 (proposta dall'art. 105) gli standard urbanistici scompaiono definitivamente, sia come definizione e articolazione che come quantità minima obbligatoria. Non sopravvivono dunque nemmeno nella forma del "pasticciaccio" dell'art. 7 della 1/2001.
La furia distruttiva del legislatore lombardo ha finalmente raggiunto tutti i suoi obiettivi!
Verde agricolo
Appare del tutto sconcertante il disinteresse che traspare per la individuazione, la tutela, la protezione e la normazione delle aree agricole. Sembra, dal vuoto che traspare dal testo, di essere ritornati agli anni '50-'60, quando il tema della regolamentazione e della pianificazione dei suoli e delle attività agricole non era ancora stato scoperto e affrontato.
L'articolato non è nemmeno chiaro nel definire con chiarezza a chi competa la individuazione delle aree agricole. Mentre secondo l'articolo 10 è compito del Comune individuare , col "piano delle regole", la "disciplina d'uso" di dette aree, contemporaneamente l'articolo 15, comma 4, stabilisce che lo stesso compito è attribuito ai Piani Territoriali Provinciali, ove si stabilisce che "Il PTP individua inoltre, con efficacia prevalente ai sensi del successivo art. 18, le aree destinate destinate all'attività agricola". Come si concilia il fatto che il PTP acquista con questa scelta valore prescrittivo (art. 18, comma 2, sub b) sugli atti del PGT, mentre il "piano delle regole" comunale viene definito come "sempre modificabile", in piena autonomia comunale?? Chi pianifica allora le aree agricole?
Ci consoli il fatto che, sempre secondo l'art. 18, "Le previsioni del PTP concernenti la realizzazione, il potenziamento e l'adeguamento delle infrastrutture riguardanti il sistema della mobilità, prevalgono sulle disposizioni dei piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali di cui alla legge regionale 30 novembre 1983, n. 86!
1. Una delle più forti critiche che sono state fatte al testo di riforma è quella di aver disciplinato solo la materia urbanistica - la disciplina dei suoli - obliterando i temi più ampi che attengono al governo del territorio.
In sostanza se il costituente ha voluto indicare come materia il governo del territorio siginifica che ha voluto introdurre nella costituzione un concetto di materia più ampio e diverso della mera disciplina degli assetti.
Con l’espressione governo del territorio il costituente non ha inteso riferirsi solo alla disciplina dei suoli (l’urbanistica) ma ha voluto ricomprendervi tutte discipline che in qualche modo incidono sugli usi del territorio, lo preservano, ne prevedono un uso misurato, un equilibrio.
La dottrina giuridica non si è subito domandata cosa fosse il governo del territorio ma ha approfondito il tema in rapporto al 4 comma dell’art.117 Cost. che ci dice che “spetta alle regioni la potestà legislativa per ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello stato”, poiché l’art.117 2 co. individua il numero chiuso delle materie oggetto di compenza esclusiva dello stato o quelle concorrenti (3 co).
Cosicché il dibattito dottrinario si è concentrato per lo più sul ritenere se l’urbanistica, l’ediizia, la difesa del suolo, il paesaggio fossero materie residuali o concorrenti, se cioè rientrassero o meno nel governo del territorio, (ed anch’io l’ho fatto e scritto) senza entrare tuttavia nel merito di cosa fosse il governo del territorio come materia a sé.
A rafforzare la portata dell’innovazione costituzionale basta riferirci al metodo usato dal costituente nella definizione delle materie di rilevanza costituzionale. Per l’individuazione della materia ha fatto ricorso non al metodo storico-normativo che cristallizza le definizioni basate sul solo linguaggio legislativo ma al metodo storico-evolutivo per il quale le definizioni vanno si individuate dalla legislazione ordinaria ma tenendo conto che la sua evoluzione è capace di aver determinato anche l’evoluzione delle stesse definizioni giuridiche costituzionali. In sostanza con il termine governo del territorio non si è fatto altro che prendere atto di tutto l’ordinamento pregresso, ma come risultava anche dagli apporti dottrinali e giurisprudenziali e dalla loro capacità di colmare ermeneuticamente la distanza tra la realtà e le norme.
Nel dare attuazione al dettato costituzionale che individua il governo del territorio come materia concorrente spetta quindi al legislatore ordinario definire il concetto ed i contenuti della materia governo del territorio individuandone poi i principi fondamentali. Ovviamente su questi aspetti resta sempre aperto il giudizio di costituzionalità della Corte Cost.
A mio parere però l’intuizione del costituente di riferirsi al governo del territorio senza citare in cost. l’urbanistica, la difesa del suolo, il paesaggio,(l’art.9 è un pregevole retaggio della Cost. del ’48) la protezione della natura, l’edilizia ha come obiettivo proprio la riunificazione di queste discipline in una materia unitaria sotto il profilo della sua governabilità (non a caso questa è l’unica materia che il legislatore costituzionale definisce con la locuzione “governo” del territorio, li dove invece in altri casi aggiunge l’espressione “tutela” dell’ambiente, della salute, dei beni culturali ad indicare la finalità cui deve attenersi la disciplina) prescindendo dalla separatezza delle normative nelle varie materie, ma anzi dando una indicazione precisa al legislatore ordinario quella di riunificare e riordinare quelle discipline in funzione del concetto unitario di governo del territorio. Arrivo a dire che proprio in tale prospettiva compito del parlamento in attuazione del titolo V sarebbe quello di procedere alla riunificazione degli oggetti e non come si sta facendo ad una pedissequa ripetizione di discipline separate: il codice del paesaggio, i decreti delegati in materia di vas, di difesa del suolo, di rifiuti, di VIA : in breve occorrerebbe un codice del governo del territorio.
Ora credo che se si vuole identificare un concetto giuridico di governo del territorio non si può prescindere dai temi della sostenibilità sui quali dalle elaborazioni concettuali si è passati a delinearne in più modi una attenta disciplina giuridica.
Attraverso un ricco strumentario la disciplina comunitaria sullo sviluppo sostenibile mira a condizionare le trasformazioni territoriali compatibilmente con la sensibilità del territorio: alludo qui alla disciplina della Vas, alle varie certificazioni EMAS, ai problemi della disciplina della risorse idriche (direttiva 2000/60), alla nuova disciplina del paesaggio esteso al’intero territorio regionale, alle strategie da applicare all’ambiente urbano, (Comunicazione della comm. al Consiglio, al parlamento europeo del 11 02 2004). Disciplina non più eludibile il cui recepimento è in grande ritardo e che ancor oggi, tranne alcuni rari casi regionali – alludo alla bella legge della Toscana n.1/2005) – viene considerata o come fastidio o come ulteriore aggravio delle possibilità di trasformazione del territorio.
2. Possiamo prescindere da queste tematiche delineando il contenuto del governo del territorio?
Se si entra in questa ottica comunitaria largamente praticata nei paesi europei, la definizione del 2 co. dell’art.1 del testo apporvata dalla Camera dei Deputati appare a mio parere molto ma molto riduttiva e non da conto del fatto che sia l’ordinamento comunitario ma anche la stessa costituzione rovesciano il principio che pone al centro la destinazione d’uso dei suoli ponendo invece al centro le “invarianti territoriali” derivanti da una lettura sistematica degli equilibri sostenibili del territorio – la VAS risponde a tale principio – che delimita a monte le condizioni complesse ed interrelate di trasformazione degli usi del territorio in rapporto alla sostenibilità degli usi dei beni pubblici quali l’acqua, l’aria, il suolo, la natura. In questa prospettiva vi è pure l’urbanistica che però si riduce ad una tecnica giuridica relativa alla destinazione d’uso dei suoli ed alla loro gestione nelle aree nelle quali la trasformabilità non incontra incompatibilità con le invarianti territoriali.
La scelta adottata del legislatore ordinario è stata invece quella di non definire il concetto di governo del territorio (o meglio di dare quello dell’urbanistica) cui poi aggiunge “rientrano nel governo del territorio il paesaggio la difesa del suolo, l’edilizia, i programmi infrastrutturali (che non sono una materia)”: in tal modo è come se ci dicesse che comunque queste materie sono altro dal governo del territorio. Ora non sono d’accordo con questa impostazione proprio perché la legge è legge (di principi) sul governo del territorio.
Ma anche a voler seguire il metodo adottato di operare un “collage” delle varie materie afferenti al territorio non si può lasciar fuori la normativa antisismica, la salvaguardia idrorgeologica, e come tener fuori l’ambiente almeno nell’accezione di protezione della natura o di equilibrio tra habitat naturale e presenza antropica dal momento che la Corte cost ha affermato che la tutela dell’ambiente dell’art.117 2 co lett.s) oltre ad essere un valore è comunque materia trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse che ben possono essere regionali spettando allo stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale? E dove esprimere queste competenze regionali se non nel governo del territorio alla luce di principi fondamentali che determinino l’ambito di azione regionale? Le leggi regionali in materia di governo del territorio devono ricomprendere anche questi profili o li mantengono separati? E come non considerare che sono strettamente legate al governo del territorio materie di legislazione concorrente come la tutela della salute o la protezione civile espressamente richiamate dal titolo V?
Manca in sostanza nel testo l’identificazione di un concetto unitario (di governo del territorio) cui il legislatore statale deve dare adeguato contenuto pregnante riassorbendo in esso i profili del paesaggio, della difesa del suolo, della protezione della natura, della sostenibilità, della difesa idrologica, dell’urbanistica, dell’edilizia.
Ovviamente quanto sto dicendo non è questione di mera tecnica legislativa ma è un fatto culturale, un processo di maturazione delle scelte giuridiche che né tra gli estensori della proposta né in parlamento c’è stato. Il testo esprime quindi un ritardo culturale a mio avviso assai grave. E’ permettemi di dire che questo ritardo c’è anche nelle facoltà di architettura che in molti casi continuano a tenere separate le discipline dell’urbanistica, dell’ambiente, del paesaggio come se questi dovessero essere considerati percorsi formativi diversi, specialistici, li dove invece vanno considerati in modo integrato ed unitario altrimenti produciamo tanti tecnici con competenze separate che non comunicano sull’oggetto unitario delle loro prestazioni che è il territorio.
L’assenza di questa impostazione giuridica coinvolge così tutto il testo di riforma che enuclea i principi fondamentali dell’urbanistica non quelli del governo del territorio.
Per farmi capire o meglio perché sia chiara la mia opinione quando parlo di principi sul governo del territorio non posso esimermi dal fare qualche esempio: come quello che affermi che le trasformazioni territoriali sono subordinate all’effettivo approvigionamento idrico ed alla depurazione delle acque, alla difesa del suolo, alla gestione dei rifiuti, alla disponibilità dell’energia, all’inquinamento zero, o quello che afferma – riprendendo la bella legge toscana n1/2005 – che nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti sono qualora non sussitano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degl’insediameiti e delle infrastrutture esistenti. O ancora che negli atti di pianificazione dev’essere perseguita la tutela della salute, salvaguardati gli equilibri tra presenza antropica e habitat naturale, perseguiti gli obiettivi di tutela del paesaggio.
Perché vedete il piano paesaggistico non è qualcosa che sta sopra la pianificazione comunale ma la permea non si tratta solo di recepire i vincoli del piano ma di pianificare paesaggisticamente il territorio secondo le precrizioni del piano che spesso non possono essere conformative della proprietà ma determinano indirizzi pregnanti al pianificatore comunale.
Mi vengono in mente a questo proposito i principi della l.36/94 sulle risorse idriche lì dove si afferma che l’uso dell’acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo divenuto ormai parametro di valutazione da parte dell’amministrazione nel rinnovo o nella concessione di derivazione di acque pubbliche ma anche da parte dei giudici di legittimità. O ancora quello che afferma che qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative ed i dirittti delle generazioni future.
Mancano cioè nel testo i principi fondamentali cui deve attenersi il legislatore regionale per garantire il governo del territorio inteso quindi nelle sue accezioni più diverse di trasformazione, di conservazione di riproduicibilità dei beni etc.
Si tratta cioè di principi fondamentali che devono essere espressione di valori, scelte di fondo sui fini e sui mezzi, sui diritti dei cittadini, sulle relative garanzie sostanziali e procedimentali, in breve devono essere scelte politiche di civiltà giuridica.
Fate queste osservzioni generali è quindi inutile esaminare nel settaglio il testo di riforma che contiene anche qualche principio condivisibile ma è per altri versi pasticcato, sgrammaticato dal punto di vista istituzionale ed in qualche caso anche controproducente rispetto all’esigenza di dettara principi applicabili su tutto il territorio nazionale.
Roma 16 settembre 2005
"Libera riduzione dei verbali della Camera dei Deputati, per l'esame del DdL unificato in materia di governo del territorio"
Dal testo rpesentato dal relatore on. Maurizio Lupi, tutti i resocondi della commissione parlamentare e della discussione in Asssemblea, i pareri delle altre Commissioni, il testo rpesentato in Assemblea, gli emendamenti proposti e quelli approvati,
Data la lunghezza del testo (293 pagine in formato word), si riporta in allegato scaricabile. E' disponibile nel sito ufficiale dell'INU.
PREMESSA
La cosiddetta “legge Lupi” è il nuovo disegno di legge nazionale intitolato “Principi in materia di governo del territorio”, approvato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005 e ora iscritto al Senato con il n. 3519. Il testo votato è destinato a sostituire buona parte delle leggi urbanistiche vigenti, dalla legge 1150 del 1942 a quelle che negli anni ’60 trattano dell’interesse pubblico nelle azioni urbanistiche, prevedendone l’abrogazione diretta[1] o la decadenza ove le Regioni emanino normative sui medesimi oggetti[2].
Il disegno di legge risulta dall’unificazione di otto disegni di legge diversi, presentati da gruppi di deputati che vanno da AN e Forza Italia a Margherita, DS, Verdi e Rifondazione, e da numerosi emendamenti approvati alla Camera prima del voto sul provvedimento complessivo. Oggetto di un voto segreto parzialmente bipartisan[3] difficilmente comprensibile, spiegabile forse soltanto con la scarsa cultura urbanistica e dei beni comuni che caratterizza gran parte degli attuali deputati[4], è caduto nell’assordante silenzio[5] della stampa, occupata a fornirci quotidianamente notizie il più possibile inessenziali.
Lo scandalo non sta tanto nei voti della sinistra a una legge di destra, al di là del fatto che questi termini abbiano ancora un significato in molte scelte relative al rapporto tra pubblico e privato, ma nell’ampia approvazione data a uno strumento il cui impianto e i cui contenuti, malgrado dichiarazioni sfacciate che l’hanno definito “una delle riforme più importanti per la modernizzazione del nostro paese”[6], sono assai arretrati e confusi rispetto alle discipline in essere nei principali paesi occidentali avanzati, senza neppure costituire una legge quadro che riorganizzi l’intera materia in modo sistematico. La legge in effetti si limita a disciplinare la sola materia urbanistica[7], non affrontando né la definizione di governo del territorio né gli altri temi che la sostanziano: paesaggio, ambiente, assetto idrogeologico, ecc.[8].
Le valutazioni politiche più sobrie evidenziano la confusione di ruoli tra soggetti pubblici e privati[9]; il riferimento ad alcuni contenuti di leggi regionali già vigenti anziché l’elaborazione di principi adeguati a una legge nazionale, quali la partecipazione democratica dei cittadini alla formazione degli atti di governo e la sostenibilità ambientale[10]; l’intrusione del governo nazionale in materie delegate alle Regioni, la scarsa innovazione e l’eccessiva flessibilità, l’assenza di contenuti relativi alle funzioni settoriali proprie dello Stato e alla loro necessaria integrazione nelle azioni di programmazione e pianificazione, la mancata soluzione della dipendenza finanziaria dei Comuni dall’ICI e quindi la loro condanna a perseguire immotivate politiche di espansione dell’urbanizzato per far quadrare il bilancio[11] in una perversa alleanza con le forze immobiliariste.
Dei diversi contenuti del disegno di legge tentiamo un commento il più possibile ragionato, con l’augurio di vederlo pubblicato e letto prima del voto in Senato.
Per poter dare una valutazione non tattica del testo normativo è tuttavia necessario delineare per sommi capi il contesto in cui esso interviene, caratterizzato da profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni: a quali problematiche relative alle trasformazioni territoriali occorre far oggi riferimento? Quali nuovi ruoli può giocare il territorio nelle scelte di sviluppo locale? Come cambiano le funzioni di governo del territorio e degli enti pubblici territoriali?
1. QUALE È IL TERRITORIO IN QUESTIONE?
Il contesto fisico in cui la legge si trova oggi a operare è profondamente cambiato rispetto al 1942: sembra un’osservazione ovvia, eppure la legge Lupi non ne sembra cosciente.
Le aree urbanizzate erano all’epoca in Italia ben delimitate e definite dall’armatura urbana di lunga durata con i suoi equilibri ambientali e territoriali, e rappresentavano soltanto una minima parte del territorio complessivo. Gran parte del territorio non urbano, compreso quello collinare e montano, era presidiato da agricoltori che ne garantivano sia la manutenzione quotidiana che il mantenimento della destinazione d’uso rurale. L’urbanistica si occupava essenzialmente della città, dei centri urbani, in quanto la riproduzione della campagna era comunque garantita dai suoi abitanti/produttori.
Se osserviamo la cartografia redatta dall’IGM[12] nella metà degli anni ’50, le relazioni di lunga durata fra sistemi urbani e spazi aperti risultano ancora leggibili, benché l’esodo della popolazione rurale verso le fabbriche della pianura padana fosse ormai avviato e aprisse la strada all’abbandono del territorio montano e collinare, ormai considerato inessenziale per lo sviluppo del paese, e al consumo di territorio agricolo di pianura e di fondo valle per nuove urbanizzazioni per l’industria agro-alimentare.
Questo processo, che si compie nei decenni successivi, cambia profondamente l’organizzazione del territorio: l’industrializzazione accelerata basata sul modello fordista della grande impresa svuota le valli alpine e appenniniche di abitanti e risorse, e fa crescere le medie e grandi città industriali del centro-nord, che si espandono nella prima e nelle successive “cinture” saldandosi di fatto con i comuni contermini fino alla costruzione di conurbazioni metropolitane. Al sud e lungo le coste, a fianco delle “cattedrali nel deserto” rappresentate dai poli dell’industria chimica e siderurgica, e allo spopolamento di interi paesi per i massicci movimenti migratori, lo sfruttamento della rendita fondiaria ai fini di un modello turistico di massa acquista un ruolo economico primario. I processi di decentramento industriale, conseguenti alla crisi del modello fordista, in atto dalla metà degli anni ’70 nei tessuti regionali di città piccole e medie della terza Italia “periferica” si fondano su relazioni più attive e sinergiche fra sistema produttivo e contesti locali come nel caso dei distretti; gli esiti sono tuttavia un’ulteriore erosione degli equilibri di lunga durata tra armatura urbana e spazi rurali, un territorio che alla fine del XX secolo non è più in molte zone del paese né città né campagna, bensì una successione disordinata, priva di ogni logica funzionale (per tacere dell’estetica) di lottizzazioni residenziali, case isolate, capannoni, discariche, svincoli stradali, servizi pubblici e centri commerciali raggiungibili solo in auto, terreni abbandonati in attesa di diventare urbanizzabili, ricordi di città e fazzoletti di campagna residua[13]. L’urbanizzazione è dilagata, grazie a politiche sia centrali che locali poco previdenti e ai numerosi condoni, negli ambiti di pertinenza di fiumi e torrenti, nelle aree geologicamente instabili, sulle pendici dei vulcani attivi, su dune litoranee e spiagge in erosione. I territori male urbanizzati sono territori a rischio, come emerge sempre più spesso in seguito agli eventi meteorici intensi[14] e ai crescenti dissesti idrogeologici, e non a caso altri governi nazionali europei hanno dedicato leggi e altre azioni recenti per impedirne l’ulteriore occupazione e promuoverne la de-urbanizzazione[15].
Rispetto al territorio nazionale complessivo, pur mancando dati statistici attendibili che ne garantiscano una copertura soddisfacente[16], le aree urbanizzate sono cresciute in misura abnorme, raggiungendo in alcune aree incrementi superiori al 270% dagli anni ’50 agli anni ‘90[17]. La crescita dei suoli urbanizzati si concentra principalmente nei territori di pianura e fondovalle, non soltanto in prossimità dei grandi centri, arrivando in alcune aree a coprire oltre la metà del territorio complessivo[18]. Il paradosso sta nel fatto che questa crescita abnorme dei suoli urbanizzati continua e aumenta in anni recenti, quando il saldo demografico naturale e i grandi trasferimenti di popolazione, dal Sud al Nord e dalle zone rurali alle grandi città, si sono prima ridotti e poi quasi annullati, sia in Italia che nel resto d’Europa[19]. Un così elevato consumo di suolo, a fronte di una popolazione quasi ovunque stabile, quando non in diminuzione[20], riflette solo in minima parte un miglioramento della condizione abitativa, comportando invece seri problemi collettivi, che altri paesi avanzati hanno tematizzato e cercano di trattare attraverso politiche di governo del territorio appropriate[21].
In tutte le trasformazioni fin qui descritte il territorio è stato principalmente utilizzato come mero supporto fisico per la localizzazione delle attività economiche e come oggetto privilegiato per la produzione di rendita. Il suo governo attraverso l’urbanistica, nei casi migliori ha rappresentato un tentativo di contenere l’urbanizzazione selvaggia e di riequilibrare il rapporto tra rendite individuali, profitti d’impresa e benefici collettivi attraverso politiche pubbliche per la casa e la produzione di servizi alla persona (salario indiretto), anche grazie all’applicazione degli standard urbanistici[22]. L’urbanistica non si misurava quindi in quella fase con la definizione delle linee di sviluppo economico (se non nei casi in cui alimentava, con decisioni di piano, i meccanismi della rendita fondiaria, gonfiando il mercato immobiliare e il settore edilizio come settore economico), ma con la mitigazione dei suoi effetti, in termini di riduzione degli squilibri tra crescita degli insediamenti e servizi. Non sempre questa mitigazione ha avuto successo, ma la nuova legge abbandona anche tale obiettivo minimo per promuovere la rendita immobiliare a interesse collettivo.
2. NUOVO RUOLO DEL TERRITORIO NELLA PRODUZIONE DI RICCHEZZA DUREVOLE
Nel contesto post-industriale attuale, l’ormai conclamata crisi del modello di sviluppo della crescita economica illimitata ha messo in luce effetti disastrosi sul piano sociale (crescente polarizzazione e segregazione, aumento della povertà), ambientale (esaurimento delle risorse vitali, crisi degli ecosistemi, inquinamento, effetti dei cambiamenti climatici), economico (crisi di produttività da dumping ambientale e salariale) e urbanistico (degrado territoriale, abbassamento della qualità della vita).
La consapevolezza di questi effetti ha prodotto negli ultimi anni, da una parte a scala planetaria i noti processi di “neoliberismo armato” di tipo imperiale per governare autoritariamente fattori di crisi ormai ingovernabili, nel contesto di una crescente privatizzazione dei beni comuni, in primo luogo del territorio; dall’altra, a livello locale, una profonda e crescente riconsiderazione da parte di molte regioni, municipi e, in parte dell’Unione Europea, del “territorio” (inteso come insieme di fattori ambientali, sociali, culturali locali, di pratiche, saperi, economie ecc. che definiscono l’identità di un luogo) e dei suoi giacimenti patrimoniali quale potenziale fattore di sviluppo sostenibile, di coesione economica e sociale, e di produzione di relazioni globali solidali e non gerarchiche. In sostanza, in questa seconda linea di tendenza, il territorio assurge a fattore primario di resistenza agli effetti distruttivi e omologanti della competizione globale e di innovazione dei modelli di sviluppo, di fronte alla crisi strategica del modello precedente.
Il percorso politico-culturale che interpreta questa seconda linea di tendenza non considera più il territorio come oggetto di consumo e come mero supporto delle attività economiche, bensì come soggetto complesso che costituisce la base primaria della produzione di ricchezza durevole, grazie alle peculiarità identitarie e alle risorse patrimoniali che caratterizzano ogni luogo.
Rispetto a questa prospettiva il “consumo” di territorio attraverso nuove urbanizzazioni non soltanto non aiuta in generale le attività economiche, ma si rivela addirittura controproducente per le stesse, come osserva il Presidente della Regione Sardegna a proposito delle attività turistiche nella sua isola: “Il turismo […] non è attività edilizia, è uso attento del territorio per l’offerta di servizi […] che vuol dire la costa, la spiaggia, il terreno circostante, ma vuol dire anche il paesaggio, la storia, la cultura, i suoi abitanti, tutto quello che c’è attorno, i mestieri che si sanno fare e altre attività economiche”[23]
Mettere in valore saperi locali - peculiarità produttive, artistiche, artigiane, capitale sociale locale – nella costruzione di paesaggi e prodotti autentici che scaturiscono dalla storia irripetibile di ogni luogo significa affrontare un processo di ri-territorializzazione, di differenziazione degli “stili di sviluppo”, di produzione di relazioni di scambio fra luoghi tendenzialmente non gerarchiche e cooperative.
Un simile processo di ridefinizione delle forme di sviluppo in termini di crescita di sistemi socioeconomici fondati sulla valorizzazione dei giacimenti patrimoniali di ogni luogo non si da senza il coinvolgimento pieno delle energie sociali ed economiche locali. Affinché queste energie assumano la guida di questo percorso è essenziale che esse siano valorizzate attraverso processi partecipativi che mobilitino la società locale in tutte le sue componenti, verso l’autogoverno.
I cambiamenti nell’organizzazione del territorio, il nuovo ruolo potenziale del territorio stesso e l’esigenza di trasformare in senso partecipativo gli istituti decisionali richiedono di riconsiderare in modo radicale il ruolo e la definizione stessa di ciò che è azione effettiva di “governo” del territorio.
3. IL GOVERNO DEL TERRITORIO NEL CONTESTO ATTUALE
Se assumiamo il territorio come potenziale produttore di ricchezza durevole il suo governo dovrà promuovere politiche per valorizzarne le peculiarità, trasformare i giacimenti in risorse, garantendone la riproducibilità, attivando in questo percorso la società locale[24]. In questo contesto gli enti locali in quanto enti di governo del territorio acquistano nuovi ruoli nel governo dell’economia, nell’ipotesi in cui essa si fondi sul governo dei fattori produttivi e riproduttivi costituiti dai giacimenti patrimoniali locali, ivi comprese le attività economiche a valenza etica sempre più diffuse e diversificate rispetto a ciascun contesto locale. L’urbanistica, come strumento che disciplina l’uso dei suoli e delle risorse territoriali, diviene parte integrante di questi nuovi compiti: da regolatore dei fattori riproduttivi e della rendita, a strumento che governa l’uso delle risorse endogene per la loro valorizzazione in sistemi economici a base locale.
Questi nuovi ruoli del governo del territorio e dell’urbanistica nella valorizzazione dellerisorse territoriali e ambientali finalizzata ad attivare modelli di sviluppo locale “autosostenibile”[25], si intrecciano con i cambiamenti istituzionali intervenuti tra e nei diversi livelli degli istituti di governo[26].
Se ciò che si intende designare con il termine di “governo” è stato oggetto, negli ultimi anni, di notevoli cambiamenti, la stessa parola è stata da alcuni considerata superata, contrapponendole una “governance” che avrebbe dovuto rispecchiare in maniera più esplicita la complessità degli attori che concorrono a garantire questa attività, oggi sempre più multilivello[27]. Il “governo” come attività di un attore pubblico sovraordinato a tutti gli altri non è oggi più concepibile: l’accezione minima di “governance” è quella di mettere insieme, nel decidere, perlomeno i diversi enti pubblici competenti su un medesimo territorio, e tra questi è compresa ovviamente[28] anche l’Unione Europea.
La “cornice” di qualunque azione di governo è oggi disegnata dall’Unione Europea attraverso le proprie direttive, piani d’azione, documenti preparatori e interlocutori; entro questa cornice operano, con ruoli diversi e complementari, Comuni, Regioni e Stati. Curiosamente, l’attore UE non è mai richiamato esplicitamente dalla legge[29], e neppure lo sono indirizzi fondamentali da esso promossi: il territorio quale bene/risorsa trasversale (non gestita da un’unica DG, al contrario, ad esempio, dell’ambiente[30]) presente nel progetto di Convenzione europea, la coesione territoriale[31], l’attenzione a contenere gli sprechi della risorsa suolo.
Non solo: la scarsa attenzione prestata nei contenuti sostanziali della legge “Lupi” agli effetti che le trasformazioni territoriali esercitano sull’ambiente e sul patrimonio culturale è decisamente in controtendenza rispetto alle politiche recenti dell’Unione Europea.
Lo sviluppo sostenibile come obiettivo da garantire nelle azioni di trasformazione territoriale e urbana, presente nel documento COM(1998) 605 “Sustainable Urban Development in the European Union: A Framework for Action”, ha prodotto l’inclusione di considerazioni ambientali nelle linee guida della Commissione per i programmi di sviluppo regionale 2000-2006, ha contribuito al rinnovo del programma URBAN e supportato una serie di programmi di ricerca, fra cui “City of Tomorrow and Cultural Heritage”. La Strategia Tematica in preparazione per il 2006 dovrebbe dare nuovo vigore all’integrazione degli aspetti della sostenibilità in diverse politiche specifiche, con particolare attenzione a quelle relative alla pianificazione degli usi del suolo[32], integrazione già portata avanti con la disciplina della VAS, con le varie certificazioni EMAS, con la direttiva 2000/60 sull’acqua, con il Codice europeo del paesaggio. La recente Comunicazione “Towards a thematic strategy on the urban environment” COM(2004)60 offre infine una visione d’insieme dell’approccio che guiderà l’azione europea in questo campo nei prossimi anni: assicurare lo sviluppo sostenibile delle regioni in cui le aree urbane sono inserite, “minimizzare gli impatti negativi delle aree urbane sui cicli ecologici a tutti i livelli, applicando il principio di precauzione, e migliorare le condizioni ecologiche.”, anche attraverso azioni di “riqualificazione (retrofitting) delle aree urbane per aumentarne la sostenibilità”. Nello stesso documento vengono sottolineati i temi della Progettazione urbana sostenibile[33], dell’Integrazione tra politiche comunitarie[34] e dell’Integrazione tra livelli diversi dell’amministrazione pubblica. L’adozione di questi indirizzi come guida per progettare la trasformazione delle città e ancor più delle regioni urbane[35] è ormai diffusa a livello europeo, producendo una serie di scenari innovativi[36].
Si va tuttavia diffondendo ormai da tempo anche un’altra interpretazione, più estesa, del termine “governance”, che a fronte di competenze pubbliche sempre più frammentate e concorrenti, e di attori economici sempre più capaci di muoversi opportunisticamente da un territorio all’altro negoziando separatamente con i diversi enti pubblici competenti condizioni più favorevoli ai loro affari, riconosce ai cittadini che abitano un determinato territorio il diritto a partecipare alla costruzione delle diverse scelte, superando così il deficit di democrazia effettiva in cui si trovano di fatto in gran parte delle occasioni. La partecipazione dei cittadini, di fatto, garantisce anche l’effettiva concorrenza fra tutti gli eventuali attori economici interessati a fronte di possibili pratiche lobbistiche fra alcuni attori. A maggior ragione, questa partecipazione è essenziale per garantire agli enti pubblici territoriali nuovi ruoli nel governo dell’economia, nell’ipotesi sopra tratteggiata in cui essa si fondi sul governo dei fattori produttivi e riproduttivi costituiti dai giacimenti patrimoniali locali
Le accezioni più mature di governo del territorio o di governance riconoscono quindi l’importanza di far partecipare alle decisioni sia la molteplicità degli enti pubblici competenti che i cittadini, estendendo i tavoli negoziali a comprendere rappresentanze degli interessi deboli e attivando nuovi istituti di partecipazione deliberativa da parte dei cittadini[37].
La legge 1150/42 era stata scritta con attenzione alle più avanzate esperienze europee dell’epoca, pur essendo poi stata oggetto di interpretazioni spesso riduttive nella sua applicazione. La nuova legge Lupi sembra prescindere totalmente anche dalla raccomandabile pratica di guardare riflessivamente alle altre esperienze, riconoscendo i diversi problemi fin qui richiamati e offrendo risposte pertinenti agli stessi.
In conclusione nel disegno di legge Lupi nonostante il pomposo titolo “Principi in materia di governo del territorio” e i richiami puramente allusivi qui e là utilizzati, oltre a non contenere traccia di “principi” di governo rispetto ai problemi che abbiamo evidenziato, non prevede né tradizionali azioni di governo, in quanto vengono abrogati i tradizionali strumenti di regolazione urbanistica (atti autoritativi, standard minimi ecc.) e neppure innovazioni che spostino l’azione di governo verso effettive pratiche di governance, che da un lato integrino la disciplina dell’urbanistica con le azioni relative al paesaggio, all’ambiente, all’assetto idrogeologico ecc., e che dall’altra amplino le tipologie degli attori aprendo alla rappresentanza degli interessi diffusi.
Quali sono le questioni che una legge nazionale per il governo del territorio dovrebbe proporsi di affrontare e indirizzare?
Le grandi questioni che una legge nazionale dovrebbe proporsi di affrontare sono, come già richiamato:
- il riconoscimento dei patrimoni e delle risorse territoriali [38] che costituiscono bene comune non negoziabile;
- le modalità di messa in valore dei giacimenti patrimoniali locali che ne garantiscano la riproduzione nel tempo(durevolezza e sostenibilità);
- la necessità di un’equa distribuzione sociale e intergenerazionale dei costi e dei benefici delle trasformazioni territoriali operate;
- le modalità per garantire il diritto di partecipazione delle popolazioni interessate alle decisioni relative al territorio in cui vivono.
A tal fine, una legge nazionale di governo del territorio dovrebbe organizzare le seguenti materie:
- interpretare e integrare per l’azione degli enti pubblici territoriali il corpus delle Direttive, indirizzi e riflessioni più avanzate prodotte dall’UE e dalle diverse Carte internazionali in materia di territorio [39], inteso nelle sue molteplici dimensioni urbane, ambientali, culturali e paesistiche ecc.; la legge non cita una sola volte un atto comunitario ufficiale, per non parlare della Carte ecc.
- definire principi generali che l’esercizio delle competenze regionali, provinciali e comunali deve contribuire a sviluppare e arricchire tenendo conto dei contesti specifici.
Nel definire i principi generali il Parlamento italiano aveva a disposizione un’ormai ampia casistica di leggi regionali recenti. Se, come osservato, “Occorre prendere atto che lo Stato sta di fatto rincorrendo le regioni”[40], questa rincorsa era auspicabile assumesse perlomeno i riferimenti più innovativi.
Questo disegno di legge, che richiama i “principi” soltanto nel titolo, applica di fatto il principio di assumere le procedure più destrutturanti il governo pubblico del territorio già introdotte in alcune leggi regionali fra cui quella calabrese e soprattutto quella lombarda[41], o previste dal controverso PdL della Regione Sicilia[42], con la volontà di imporle in futuro anche alle altre regioni. Al contrario, alcune leggi regionali recenti[43], oltre a unificare materie settoriali (infrastrutture, ambiente, edilizia, attività produttive, commercio ecc.) all’interno di procedure integrate di governo del territorio, hanno rafforzato il significato del governo pubblico del territorio dando centralità alla valorizzazione dei giacimenti patrimoniali e identitari come beni comuni, hanno introdotto criteri di valutazione preventiva della sostenibilità delle trasformazioni proposte e interpretato la sussidiarietà come chiara ripartizione delle competenze fra.enti territoriali che concorrono a esercitare la funzione di governo del territorio.
5. I CONTENUTI PIÙ NEFASTI DEL DISEGNO DI LEGGE
A partire dalle prime critiche fin qui esposte, che riguardano l’impostazione generale della legge rispetto alle principali poste in gioco nel governo del territorio, verifichiamo ora più puntualmente i contenuti specifici che maggiormente contribuiranno a legittimare azioni lesive del territorio italiano, inteso come patrimonio collettivo.
a. Un disegno di de-regolazione generalizzata
Vediamo più nel dettaglio come la legge introduca indebitamente[44] molte procedure puntuali di de-regolazione rispetto alle norme attualmente vigenti, che esprimono implicitamente un progetto di destrutturazione del governo pubblico del territorio. Essa prevede ad esempio:
- la possibilità che un “intervento diretto” proposto da privati possa diventare prima piano urbanistico e poi variante al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale[45] (art.8, comma 6e art.9, comma 1), configurando il processo di pianificazione pubblica come sommatoria dei progetti incrementalmente proposti da operatori immobiliari;
- il riconoscimento di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricompresse in determinati ambiti “indipendentemente dalla specifica destinazione d’uso”, diritti “trasferibili e liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali” art.9, comma 3), delegittimando qualunque controllo funzionale, paesistico e ambientale nei diversi ambiti[46];
- la sostituzione degli standard urbanistici minimi nazionali[47], con livelli minimi di dotazioni non meglio precisati e definibili caso per caso con il concorso dei privati (art.7, comma 1);
- la generalizzazione della procedura del silenzio-assenso per le concessioni edilizie[48] (art.13, comma.4).
b. Incongruenze tra enunciati e contenuti
Un’incongruenza diffusa è rilevabile nell’insieme del testo tra enunciati di carattere generale e disposizioni specifiche. Ad esempio, la priorità enunciata relativamente al recupero dei territori urbanizzati (art.6, comma 2), è smentita da disposizioni specifiche che invece mettono sullo stesso piano recupero e urbanizzazioni ex novo (art.6, commi 5 e 6).
Il testo sembra riflettere nel suo insieme una profonda indifferenza per il significato del linguaggio tecnico utilizzato, come si può evincere da una serie di incongruenze anche lessicali fra le definizioni di cui all’art.2 e i termini usati all’6: all’art. 2 la “pianificazione territoriale” e la “pianificazione urbanistica” sono attribuite ad enti diversi, senza chiarirne le differenze di contenuti, mentre all’art.6 la “pianificazione urbanistica” diventa “pianificazione del territorio”[49] e compare una “pianificazione delle aree metropolitane” non meglio attribuita. All’art. 5 “sussidiarietà, cooperazione e partecipazione” diventano alla riga successiva “sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”.
E ancora, all’art.6, comma 2 viene sottolineata l’importanza della “difesa dei caratteri tradizionali” (?) quando poi all’art.5, comma 7 si prescrive un quadro conoscitivo unitario e criteri omogenei per le cartografie: se è evidente la necessità di rendere i quadri conoscitivi comparabili fra loro, l’”omogeneità” nega di fatto la possibilità di rappresentare adeguatamente le peculiarità di ciascun luogo e dei suoi specifici giacimenti patrimoniali che costituiscono appunto i cosiddetti “caratteri tradizionali”.
c. La sussidiarietà tradita
La legge interpreta in modo curioso il principio di sussidiarietà. Oltre alla richiamata ingerenza nei confronti della competenza legislativa regionale in materia, la sbandierata autonomia attribuita ai Comuni, nel contesto degli attuali rapporti tra Stato centrale ed enti pubblici territoriali in materia di risorse finanziarie, si risolve (grazie allo strumento della negoziazione con gli attori economici), nell’incitare i Comuni alla svendita del patrimonio territoriale per recuperare un po’ di risorse finanziarie attraverso l’ICI e gli oneri di urbanizzazione. Il ruolo potenzialmente rilevante assegnato dal disegno di legge ai Comuni avrebbe un senso diverso se i Comuni avessero una autonomia finanziaria e decisionale rilevante, mentre in questi anni sono stati svuotati di entrambe (taglio dei trasferimenti statali, obbligo di trasformare le municipalizzate in grandi aziende di diritto privato non più gestibili come servizi pubblici[50]). L’autonomia dei Comuni nel governo del proprio territorio, largamente auspicabile in un’ottica di reale applicazione del principio di sussidiarietà e del federalismo municipale, richiederebbe peraltro dei principi guida, definiti a livello sovracomunale e condivisi dai diversi livelli istituzionali, e dei criteri di valutazione delle azioni locali da applicare nei rapporti interistituzionali[51]. Infine, una reale autonomia richiede, a sua garanzia, l’attivazione di un forte processo partecipativo in grado di mobilitare la pluralità e la complessità degli interessi sociali contro i pochi poteri forti di cui il Comune solitamente è ostaggio o complice.
Un’altra evidenza del modo distorto di interpretare la sussidiarietà è all’art.6, comma 2 dove si prescrive che i piani di ambito (aree di pianificazione sovracomunale definite dalle Regioni) “non possono avere […] un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali”: ciò significa che possono averlo eguale, il che vanifica ogni distinzione di competenze fra i diversi livelli di pianificazione, e aggiunge elementi di farsa alla succitata autonomia dei Comuni. Una pianificazione d’ambito (sovracomunale) efficace richiederebbe peraltro una compensazione generalizzata tra Comuni dell’ICI[52], mentre il testo di legge la prevede (art.12, comma 2 b) soltanto per la localizzazione di specifiche “attrezzature”[53].
d. La partecipazione negata
La legge prevede che le funzioni amministrative siano esercitate prioritariamente mediante “l’adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi” (art.5, comma.4). Ad una prima lettura superficiale, la valutazione non può che essere positiva: il riconoscimento dei limiti degli strumenti autoritativi nell’implementazione delle scelte è quasi unanime, così come l’esigenza di attivare strumenti di condivisione multiattoriale nei processi di piano. A un esame più approfondito viene tuttavia da chiedersi: atti negoziati fra quali attori? I requisiti necessari affinché questo passaggio comporti effetti positivi per la collettività riguardano sia l’allargamento dei tavoli negoziali a rappresentanze di interessi in grado di far interagire gi attori deboli, sia la promozione di istituti di partecipazione dei cittadini con effettivo ruolo decisionale.
Qui, come si suole dire, casca l’asino: nel disegno di legge la partecipazione dei cittadini viene solo enunciata (art.8 comma 2) e non sostanziata da alcun procedimento effettivo che la garantisca maggiormente di quanto già previsto dalla legge 1150/42 con riferimento al procedimento di approvazione dei piani (osservazioni); mentre per quanto riguarda i tavoli negoziali si fa unicamente riferimento agli operatori economici (finanziari) privati la cui partecipazione è la sola a essere pienamente garantita[54], in particolare nei richiamati “interventi diretti” che assumono valore di piano urbanistico[55].
Dagli atti autoritativi del passato, i cui difetti sono noti, si passa dunque ad atti negoziali in cui l’interesse collettivo è ancora meno garantito, sia per alcune caratteristiche proprie del settore immobiliare (asimmetria informativa tra pubblico e privato sui margini di guadagno, concorrenza fra Comuni a fronte di un oligopolio territorialmente ampio dei grandi operatori) che per le condizioni specifiche del nostro contesto nazionale (scarsa trasparenza, scarsa presenza nel settore pubblico di professionalità adeguate alla gestione dei processi)[56].
La partecipazione, enunciata e non sostanziata, serve dunque da alibi per demolire gli strumenti esistenti senza sostituirli con modalità più efficaci nell’attribuire ai cittadini il diritto di tutela dei loro interessi non particolari, ma comuni a chi abita e si prende cura di un determinato territorio.
e. gli standard urbanistici aboliti
Anche in questo caso, i limiti degli standard tradizionali, puramente quantitativi (mq/abitante di servizio), sono noti, non avendo questa dotazione impedito la produzione di insediamenti privi di qualità e densi di squilibri ambientali e territoriali, anzi avendola in alcuni casi addirittura promossa[57]
La nuova legge prevede l’eliminazione degli standard urbanistici minimi finora vigenti, affidando la garanzia della “dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici” (art. 7, comma 1) a “criteri prestazionali” non ulteriormente specificati, in relazione a un “livello minimo dell’offerta di servizi” non meglio definito (né il livello, né i servizi[58]). L’unico punto specificato è la possibilità che i servizi pubblici vengano garantiti anche con il concorso dei soggetti privati[59], mentre la definizione dei criteri di dimensionamento è affidata alle singole Regioni.
Anche qui, chi non riconosce il valore del considerare la dimensione prestazionale dei servizi? Il problema è che la valutazione prestazionale da sola, peraltro non definita e quindi aperta a tutte le interpretazioni del caso, non è una garanzia sufficiente. Gli effetti anche negativi dei “vecchi” standard e loro parziale inadeguatezza attuale, non giustificano la loro soppressione tout court, ma ne richiederebbero una rinnovata definizione.
A livello nazionale non c’è più invece neppure un criterio unitario, né quantitativo né prestazionale, riferito agli standard urbanistici o alle “dotazioni territoriali”. L’unico elemento che accomunerà obbligatoriamente, in virtù di una legge nazionale, Piemonte e Puglia, Veneto e Campania è l’apertura ai privati nella fornitura delle dotazioni necessarie di attrezzature e servizi pubblici.
f. la promozione di ulteriore consumo di suolo
Come già richiamato, in molti paesi europei il “consumo di suolo” viene attentamente monitorato e la sua riduzione costituisce un chiaro obiettivo dell’azione di governo. Non si tratta tanto di bloccare le attività immobiliari, quanto di dirigerle verso il riuso e la riqualificazione delle aree già urbanizzate e oggi dismesse o sottoutilizzate, creando un sistema che incentivi questo tipo di interventi e disincentivi invece l’urbanizzazione di suoli agricoli e naturali.
In questa legge la priorità del recupero e della riqualificazione dei territori già urbanizzati è prima enunciata (art.6, comma 2), e poi di fatto negata (art.6, comma 5), prevedendo una suddivisione del territorio non urbanizzato in tre categorie, una delle quali è quella delle “aree urbanizzabili”! La versione del testo licenziato dalla Commissione prevedeva perlomeno una procedura di verifica dell’assenza di alternative attraverso “la riorganizzazione funzionale dell’edificazione esistente”, e la valutazione di compatibilità ambientale per la nuova edificazione di aree non urbanizzate. Il testo votato alla Camera non si preoccupa nemmeno di salvare le apparenze formali, aprendo di fatto la strada a qualsivoglia espansione. Non solo: se leggiamo questa norma insieme alla successiva “Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-finanziarie per ovviare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale” (art.9, comma 6), appare chiaro il vero principio che informa implicitamente questa legge, insieme al ruolo affidato ai privati, è quello dell’edificabilità di tutti i suoli. Rispetto a questo principio teorico, spetta al pianificatore l’onere di dimostrare il contrario, capovolgendo così anni di dibattito sull’utilità collettiva di distinguere tra proprietà dei terreni e diritto a edificarli, e azzerando la conquista del passaggio dalla “licenza” alla “concessione” a costruire (per la quale, in effetti, questa legge introduce il silenzio-assenzo, riconducendola ad atto dovuto). I costi collettivi derivanti dalla promozione del consumo di una risorsa come il suolo, notoriamente non rinnovabile, non interessano evidentemente a nessuno di coloro che ha votato la legge.
g. il governo del territorio come politica settoriale
Infine, sono assenti (anzi negati) principi e indicazioni più puntuali relativi alla necessaria integrazione fra una serie di azioni settoriali che concorrono in modo essenziale a garantire il governo del territorio. Se il territorio è un oggetto complesso, il cui governo efficace richiederebbe l’integrazione di molte materie gestite dallo Stato in modo settoriale (lavori pubblici, difesa idrogeologica, agricoltura, economia ecc.), stride il fatto che neppure l’ambiente, piuttosto che i beni culturali e il paesaggio, siano considerate materie da far interagire.
Senza entrare nel merito delle ragioni per cui lo Stato si è riservato la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché dei beni culturali e del paesaggio, come materie di propria esclusiva competenza, considerando invece il governo del territorio[60] materia concorrente di Stato e Regioni, colpisce la mancanza di indirizzi, o anche solo di richiami, all’indispensabile integrazione di queste materie nell’azione di governo locale (ferme restando le rispettive competenze legislative in capo rispettivamente a Stato e Regioni).
Il ribadire (art.1, comma 3) soltanto la competenza statale in materia di beni culturali, paesaggio e ambiente, in assenza di qualsiasi principio di integrazione, legittima l’inerzia o la devastazione da parte degli enti locali; non vengono assolutamente richiamate le indispensabili (e ormai relativamente diffuse) dimensioni ambientali e paesistiche dei piani urbanistici e territoriali, che quindi retrocedono allo status di opzione non necessaria. Il rapporto tra piano urbanistico e norme paesistiche e ambientali sovraordinate diventa di semplice recepimento, impedendo quindi qualunque arricchimento e specificazione della materia dal basso e dallo specifico del territorio in questione. La stessa “valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale” (art.3, comma 4) è riservata allo Stato: il che, come dimostrato di recente, rischia di tradursi in vendita (o concessione a lunga scadenza) dei beni demaniali per ragioni di cassa, senza prevedere alcun riconoscimento del diritto delle comunità locali a vederne riconosciuta la proprietà comune e di conseguenza la non alienabilità.
Così ridotto a politica settoriale, il cosiddetto governo del territorio diventa attività di promozione pubblica, a favore dei proprietari dei terreni e delle imprese immobiliari, e a danno della collettività (i cui interessi non sono più tutelati da nessuno), di nuove urbanizzazioni.
6. INDICAZIONI PER UNA PROPOSTA DIVERSA
Come abbiamo più volte affermato nel testo che precede, una legge nazionale sul governo del territorio dovrebbe, in coerenza con il Titolo V della Costituzione, esplicitare una serie di principi capaci di interpretare il ruolo del territorio come garante del benessere collettivo. Le diverse competenze istituzionali e i diversi contesti territoriali avrebbero il compito, nel quadro di una base comune di diritti, regole e garanzie, di declinare questi principi arricchendone e specificandone i contenuti rispetto alle diverse accezioni di benessere collettivo coerenti con ciascun modello di sviluppo locale.
Proviamo a enunciare, coerentemente con le questioni fin qui richiamate (lo stato del territorio italiano e i suoi problemi; il nuovo ruolo del territorio nella produzione di ricchezza durevole; i conseguenti cambiamenti nel governo del territorio), alcuni dei principi che dovrebbero informare una legge nazionale e le conseguenze che l’adozione di questi principi comporta per una nuova definizione degli standard urbanistici.
6.1 I principi
Territorio come bene comune
Il principio basilare dovrebbe affermare la centralità del territorio come bene pubblico e collettivo, o meglio come “bene comune”[61] essenziale al benessere delle comunità su di esso insediate[62].
Questo principio si fonda sul presupposto che il territorio costituisca l’ambiente essenziale alla riproduzione materiale della vita umana, e al realizzarsi delle relazioni sociali e della vita pubblica. Territorio non è quindi soltanto il suolo o la società ivi insediata, ma il patrimonio (fisico, sociale e culturale) costruito nel lungo periodo, valore aggiunto collettivo che troppo spesso viene distrutto, anche da amministrazioni di centro-sinistra, in nome di un astratto e troppo spesso illusorio sviluppo economico di breve periodo.
Mettere al centro il bene comune “territorio” ci consente di considerare la dimensione qualitativa, non soltanto quantitativa, dei singoli beni che lo sostanziano: acqua, suolo, città, infrastrutture, paesaggi, campagna, foreste, spazi pubblici e così via[63]. L’insieme di questi beni comuni, con la loro specifica identità, dovrebbe costituire il nucleo fondativo, collettivamente riconosciuto, dello “statuto” di ciascun luogo e dei diritti dei cittadini rispetto ai beni che lo costituiscono .
I piani che regolano le trasformazioni del territorio, a tutte le scale, dovrebbero pertanto essere preceduti e coerenti con un corpus statutario[64] che definisce, con riferimento a un orizzonte temporale di medio-lungo termine, i caratteri identitari dei luoghi, i loro valori patrimoniali, i beni comuni non negoziabili, le regole di trasformazione che consentano la riproduzione e la valorizzazione durevole dei patrimoni ambientali, territoriali e paesistici.
Diritto di partecipazione dei cittadini
Immediata conseguenza del definire il territorio come bene comune è il riconoscimento del diritto di partecipazione dei cittadini alla definizione degli elementi statutari di questi beni e al loro governo.
Il principio esplicita il diritto alla partecipazione in tutte le fasi del processo di costruzione di una decisione di governo del territorio (quadro conoscitivo, statuto dei luoghi, progetti di trasformazione, gestione delle trasformazioni) e a tutti i livelli della competenza istituzionale relativa al governo stesso. Gli istituti di partecipazione devono garantire sia la produzione “sociale” del territorio che l’esercizio del controllo su azioni (locali e sovralocali) lesive dei diritti collettivi.
Il presupposto di una reale democrazia partecipativa è costituito dalla presenza di chiare regole procedurali e sostanziali, condivise dai diversi livelli istituzionali, definite in anticipo. A questo fine i principi devono in particolare garantire agli enti pubblici territoriali[65] e all’insieme dei cittadini ruoli privilegiati rispetto agli attori privati portatori di interessi economico-finanziari.
Integrazione fra politiche settoriali (verso il governo unitario del territorio)
La progettazione e la gestione delle trasformazioni del territorio come bene comune e i nuovi ruoli degli enti locali nel governo dell’economia richiedono il superamento di una pianificazione che, ai vari livelli, risulta troppo spesso come un collage di interessi e progetti settoriali. Occorre affermare il principio della integrazione fra politiche settoriali, chiamate a contribuire a progetti unitari costruiti e gestiti collettivamente con riferimento a strategie di medio-lungo periodo riferite anche alle future generazioni[66].
Una legge nazionale dovrebbe, oltre a enunciare questo principio per gli altri livelli istituzionali di governo, impegnare direttamente e concretamente lo Stato a mettere in atto forme adeguate di integrazione fra le proprie politiche settoriali[67]. Essa dovrebbe inoltre impegnare lo Stato nella promozione di integrazioni fra i contenuti più avanzati delle diverse politiche europee (in materia di territorio, ambiente, coesione sociale, agricoltura ecc.) e delle Carte internazionali promosse da enti territoriali in materia di sostenibilità urbana e territoriale, partecipazione, clima, trasparenza dell’azione pubblica, valorizzazione dei patrimoni, paesaggio e altri temi centrali nel governo del territorio.
Consumo zero di suolo
Il principio del blocco dell’ulteriore consumo di suolo è indispensabile per consentire la riqualificazione del tessuto urbanizzato esistente, ricomponendone la frammentazione, dotandolo di servizi e infrastrutture adeguate, ricostruendone un rapporto con gli spazi aperti e rurali che aumenti sia la qualità urbana che quella rurale. Se il territorio in cui realizzare e mantenere infrastrutture e servizi si estende sempre più, a parità di abitanti e quindi di contribuenti e utenti, queste dotazioni collettive non potranno che ridursi, perdere qualità e costare più care. La dipendenza dall’auto individuale e l’invecchiamento progressivo della popolazione italiana prefigurano, in caso di ulteriore dispersione delle aree urbanizzate, un quadro di isolamento sociale e difficoltà crescente a garantire servizi indispensabili.
L’erosione continua e l’interclusione degli spazi agricoli e forestali minaccia la riproduzione collettiva (negli ultimi 50 anni i territori agricoli e forestali sono scesi da 28 a 19,6 mio ettari), riducendo la capacità di rigenerazione del sistema ambientale (acqua e aria comprese), la mitigazione degli eventi meteorici intensi, la almeno parziale autosufficienza (e quindi sicurezza) alimentare.
L’obiettivo del consumo zero di suolo si può sostanziare in due forme complementari: dichiarando tutte le aree non urbanizzate aree di riserva agricola e ambientale (salvo necessità collettive che non è possibile soddisfare altrimenti, da dimostrare e sostenere pubblicamente), e prevedendo un sistema di incentivi procedurali e sostanziali che rendano decisamente più conveniente intervenire nelle aree già urbanizzate. Tra gli incentivi possibili per interventi in aree già urbanizzate, a titolo di esempio: tempi di istruttoria garantiti e brevi (vs tempi aleatori e procedure di approvazione oggi più complesse che per gli interventi ex novo: il rapporto andrebbe chiaramente invertito), oneri di urbanizzazione fortemente ridotti rispetto agli interventi in area agricola e differenziati in relazione alle effettive necessità di re-infrastrutturazione, ICI differenziata, e così via.
Coesione sociale e territoriale
Una legge nazionale deve porsi il problema di promuovere la coesione sociale e territoriale.
Ciò significa in primo luogo garantire condizioni soddisfacenti, di tutela del territorio come bene e risorsa collettiva, sull’intero territorio nazionale, anche prevedendo forme di compensazione fiscale interregionale e intercomunale tra territori oggetto di intensa trasformazione edilizia e territori che si impegnano a conservare gli spazi agricoli e naturali con funzione compensativa.
Si tratta altresì di affrontare le dimensioni fisiche e territoriali della crescente polarizzazione sociale: quartieri blindati, territori pattumiera, periferie fonte di disagio sociale e fisico. La produzione di questi luoghi va penalizzata, contrapponendole una concezione di città come luogo d’interazione e integrazione sociale, dotata di adeguati spazi pubblici e aperta alle diverse culture, percorribile in modo privilegiato a piedi o con il trasporto pubblico collettivo. Il principio della coesione territoriale richiede altresì che ogni sistema locale sia capace di gestire i propri diversi cicli ambientali senza danneggiare territori esterni[68], ovvero di ridurre la propria impronta ecologica sviluppando la multifunzionalità del proprio territorio aperto di pertinenza, e di promuovere equilibri ambientali complessivi ricostruendo la continuità ecologica degli spazi aperti. Per promuovere l’attuazione di questi principi, la legge dovrebbe relazionare esplicitamente i trasferimenti finanziari ai Comuni almeno in parte al raggiungimento di questi obiettivi.
6.2 Una nuova definizione degli standard urbanistici
Rispetto alle problematiche territoriali e ambientali che abbiamo descritto, i tradizionali standard urbanistici, nati per garantire quantità minime di servizi rispetto a una fase di tumultuosa urbanizzazione da tempo conclusa in tutta Europa, lungi dall’essere eliminabili, vanno al contrario arricchiti in molteplici direzioni che esplorino il passaggio dalla quantità alla qualità, all’equità, alla bellezza, all’inclusione.
La prima riguarda una maggiore capacità di specificazione rispetto ai diversi contesti morfologici e sociali[69] e alle differenti componenti degli abitanti di riferimento (bambini, anziani, single, immigrati di diverse etnie e culture ecc.), per ognuno dei quali il rapporto tra spazi pubblici e privati, e la connotazione qualitativa dei servizi si presenta in forme differenziate[70].
In secondo luogo gli standard quantitativi, applicati per zone omogenee del territorio comunale, non tengono conto della necessità attuale di integrazione delle funzioni in una città sempre più policentrica, che richiede il superamento di una rigida separazione tra funzioni di fatto prodotta dall’applicazione degli standard, anche quando la zonizzazione è stata abbandonata come principio nella città post-industriale. A tal fine, l’insieme degli standard andrebbe articolato in standard generali di riferimento che accolgano anche requisiti minimi a livello europeo in campo ambientale e territoriale, e standard quali-quantitativi specifici relativi alla peculiarità di ciascun contesto territoriale per interpretarne e elevarne la qualità funzionale, estetica e relazionale[71].
In terzo luogo, l’integrazione degli standard urbanistici con obiettivi ambientali e sociali può avvenire accogliendo e articolando territorialmente una serie di indicatori previsti dalle politiche europee più recenti: qualità dell’acqua, dell’aria, dei suoli; indicatori che misurano la sostenibilità ambientale delle trasformazioni urbane e territoriali proposte: consumo di suolo, accessibilità al e dotazioni di trasporto collettivo, accesso pedonale privilegiato ai servizi collettivi di interesse primario quali scuole, municipi e piazze, commercio, trasporto pubblico[72]; indicatori di benessere che integrano fattori materiali e relazionali, quali qualità e sicurezza degli spazi pubblici e dei luoghi dedicati alle relazioni civiche, riconoscibilità identitaria dei luoghi e qualità dei paesaggi urbani e rurali, dotazione di spazi agricoli di pertinenza dell’insediamento urbano, diritto di accesso e di percorribilità degli spazi rurali[73], delle riviere fluviali e dei litorali;
Una ulteriore direzione consiste nel fornire indicazioni in relazioni all’ecosistema urbano e territoriale, ovvero nel sottoporre a standard quali-quantitativi la riproduzione dei cicli ecologici: ciclo delle acque a livello di bacino o sottobacino idrografico, ciclo dei rifiuti, dell’alimentazione, produzione locale di energie rinnovabili ecc., tendendo alla relativa chiusura locale dei cicli per la riduzione dell’impronta ecologica.
Una nuova concezione degli standard dovrebbe trattare l’intero territorio, urbano e rurale, dal punto di vista delle reti ecologiche, con l’obiettivo di ricostituire il funzionamento e la continuità delle stesse (gravemente danneggiate e degradate dalla proliferazione recente dell’urbanizzazione) come grande armatura che supporta, oltre alla riproduzione e circolazione delle specie animali e vegetali, la qualità ambientale degli insediamenti urbani che vi sono inseriti. A tal fine, ogni tipo di trasformazione urbana dovrebbe concorrere, attraverso una nuova concezione degli “oneri di urbanizzazione”[74], all’aumento dell’equilibrio ambientale complessivo.
Infine, il trattare il territorio come insieme di beni comuni dovrebbe consentire di includere nella materia delle dotazioni livelli minimi riguardanti la gratuità di accesso sia ai beni materiali di riproduzione della vita (es. 50 litri di acqua a persona per usi domestici) sia i beni relazionali (es. mezzi pubblici per l’accesso ai servizi primari).
Queste trasformazioni nel concetto di standard urbanistico, dal momento che non riguardano soltanto le dotazioni degli spazi urbanizzati, ma soprattutto le relazioni fra questi e gli spazi aperti, richiedono di ridefinire radicalmente il carattere multifunzionale degli spazi rurali in quanto produttori di beni e servizi pubblici, definendo requisiti prestazionali, oneri e remunerazioni che riconoscano la nuova centralità del mondo rurale nella costruzione di benessere, ricchezza durevole e capacità di autogoverno dei sistemi territoriali locali.
[1]. Il nuovo testo abroga parzialmente o totalmente leggi relative ad atti autoritativi in materia di requisiti procedurali, oneri di urbanizzazione, standard urbanistici, interventi di edilizia economica e popolare: la legge 765/67, in toto la 1187/68. Prevede inoltre la perdita di efficacia di numerosi altri provvedimenti (l’intero decreto 1444/68, buona parte della legge 167/62 e numerosi articoli di altre leggi, , in presenza di legislazioni regionali che ne trattino i relativi temi.
[2]. Senza ahinoi, come vedremo in modo specifico nel testo che segue, definire i principi di riferimento per l’azione regionale.
[3]. Nonostante le dichiarazioni di voto contrario a nome di tutti i gruppi della minoranza, il voto finale ha registrato 205 sì, 32 più dei 173 deputati di maggioranza presenti e votanti.
[4]. A differenza di quanto accadeva in passato (cfr. ad esempio Camera dei deputati, Ricerca sull’urbanistica. Servizio Studi Legislazione e Inchieste parlamentari, Roma 1965) sembra totalmente mancare oggi l’interesse a promuoverne l’approfondimento.
[5]. Tra le poche significative eccezioni a questo silenzio, forse non privo di relazioni con la partecipazione di molti cosiddetti “immobiliaristi” alla proprietà dei mezzi di informazione, è utile richiamare un meditato articolo di Roberto Camagni su Edilizia e Territorio (rivista del gruppo Il Sole 24 ore) n.30 del 1 agosto 2005, oltre agli articoli in merito raccolti sul sito www.Eddyburg..it insieme all’appello “Fermiamo la legge Lupi” , promosso in occasione del convegno di Italia Nostra del 28.1.2005 a Roma, di cui sono primi firmatari (di 399 complessivi) D. Pasolini dell’Onda, E. Salzano, V. De Lucia, P. Bevilacqua, V .Emiliani, G .Pallottino, G. Barbera, G. Gisotti, A. Magnaghi.
[6]. Dichiarazione di voto dell’on.A. Mereu, a nome del gruppo Unione democratici cristiani.
[7]. Peraltro in una concezione largamente superata dell’urbanistica stessa, come mera disciplina dell’uso dei suoli.
[8]. “Compito del Parlamento, in attuazione del Titolo V, sarebbe quello di procedere alla riunificazione degli oggetti e non come si sta facendo ad una pedissequa ripetizione di discipline separate: il Codice del paesaggio, i decreti delegati in materia di Vas, di difesa del suolo, di rifiuti, di VIA: in breve occorrerebbe un codice di governo del territorio”. Relazione di Paolo Urbani al convegno INU “Un nuovo passo per la riforma urbanistica”, Roma 16.9.2005.
[9]. Dichiarazione di voto dell’ On.G.Nuvoli a nome del gruppo Popolari-Udeur.
[10]. Dichiarazione di voto dell’ On.D.Pappaterra a nome del gruppo Misto-SDI-Unità Socialista.
[11]. Dichiarazione di voto dell’ On.A.Sandri, DS-Ulivo e Margherita-DL-Ulivo.
[12]. Istituto Geografico Militare: fino a tutti gli anni ’70, e. alla comparsa delle cartografie tecniche elaborate dalle singole Regioni, il riferimento imprescindibile per le basi cartografiche utilizzate nella redazione di strumenti di pianificazione.
[13]. Per una descrizione dei risultati attuali di questo processo nell’area metropolitana milanese, vedasi A.Bonomi e A.Abruzzese, La città infinita, Milano, Bruno Mondadori 2005.
[14]. E’ significativo il fatto che nel recente caso dell’inondazione di New Orleans l’unica zona non sommersa dalle acque sia il “Vieux Carré”, l’area dell’insediamento storico precedente alle grandi espansioni recenti in aree ad alto rischio idraulico.
[15]. In Italia, come previsto dalla legge 183 del 1989, ciò avrebbe dovuto essere garantito dai Piani di bacino riferiti all l’equilibrio idrogeologico dell’intero bacino come precondizione della pianificazione territoriale; come noto, a oggi nessuna Autorità di Bacino si è dotata di questo strumento, ma soltanto di PAI (piani di assetto idraulico) che prevedono, attraverso la realizzazione di casse artificiali di espansione fluviale, azioni limitate alle aree di stretta pertinenza dei fiumi anziché estese all’intero bacino. Una volta realizzate queste opere, costose e all’elevato impatto ambientale e paesistico, i rimanenti territori di pertinenza fluviale saranno considerati pienamente urbanizzabili. Quest’approccio, tra l’altro estremamente costoso per l’insieme dei contribuenti, va in direzione opposta a una legge recente dello Stato federale tedesco (Hochwasserschutzgesetz del 3.5.2005: BGBI, parte 1, nr.26, pp.1224 e segg.) che prevede invece il divieto di edificare in aree che possono servire come aree naturali di esondazione, o nelle aree interessate al deflusso delle acque, e il ripristino delle aree di libera esondazione, o all’azione Making Space for water: a new strategy for flood and coastal erosion risk management lanciata in Gran Bretagna dal Defra (Department of Environment, Food and Rural Affaire).
[16]. E’ significativo notare come gli stessi annuari ambientali nazionali italiani, a differenza di quanto avviene in molti altri paesi europei, non riportino alcun dato relativo al cosiddetto “consumo di suolo”, ovvero ai suoli resi artificiali, dalle diverse forme di urbanizzazione, mentre alcuni annuari regionali riconoscono perlomeno la scarsa attenzione finora prestata a questo fenomeno .
[17]. Vedasi il database prodotto dal progetto Moland del Joint Research Centre di Ispra, nel quale i dati riferiti ad alcune città o regioni urbane italiane vengono comparati ad analoghe situazioni europee. L’incremento riportato nel testo è riferito alla regione urbana compresa tra Padova e Mestre, nella quale le aree urbanizzate sono cresciute dal 13,5 al 36,6 della superficie complessiva; nell’area milanese le stesse aree sono passate dal 35,2 al 71,8. In entrambi i casi le percentuali di incremento delle aree artificiali dovute alla dispersione dell’urbanizzato sono molto elevate rispetto alla media europea, collocandosi tra il 100 e il 171 %.
[18]. Nella parte pianeggiante del Comune di Prato le aree urbanizzate rappresentano ad esempio oltre il 60% della superficie territoriale totale: vedasi A.Magnaghi, Esercizi di pianificazione identitaria, statutaria e partecipata: Il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Prato, in Urbanistica n.125, Roma 2004.
[19]. Con rare eccezioni, fra le quali l’esodo anche recente da molte città dell’Europa centro-orientale verso occidente.
[20]. L’entità degli attuali processi migratori extracomunitari verso l’Italia e l’Europa presenta dimensioni quantitativamente modeste rispetto alle migrazioni avvenute nella seconda metà del secolo scorso, tali da compensare al più il saldo demografico naturale negativo.
[21]. Tre esempi fra i molti possibili: in Germania, sono state attuate azioni federali (e successivamente di singoli Laender) per diminuire il consumo di suolo dai 120.ettari al giorno rilevati tra il 1997 e 2000 a30 ettari, con l’obiettivo di un consumo pari a 0 nel medio-lungo periodo; in Francia il Plan Local d’Urbanisme previsto dalla Legge Solidarité e Renouvellement Urbain del 2000, oltre a dover integrare le dimensioni ambientali e paesaggistiche, è richiesto esplicitamente di contenere il consumo di suolo; negli Stati Uniti, il governo federale blocca i finanziamenti per le nuove infrastrutture alle regioni in cui, per la dispersione degli insediamenti, il traffico è tale da inquinare l’aria oltre le soglie definite dal Clean Air Act.
[22]. Quantità minime obbligatorie a livello nazionale, espresse in mq/ab, di servizi collettivi.
Lo scontro si annuncia aspro e di merito. Di qui al voto politico, nel paese e in Parlamento, centrodestra e centrosinistra parleranno soprattutto con i “fatti”. Sul piano istituzionale le due questioni più grandi fino alla fine dell'anno sono la finanziaria 2006 e l’eventuale riforma elettorale. La prima si deve comunque fare, la seconda non si dovrebbe comunque fare (non si cambiano le regole, da soli e alla vigilia del voto). C’è una terza questione alla quale vi invito a dare uno sguardo non troppo distratto: il governo Berlusconi propone di riformare l'intera legislazione ambientale italiana. Questa settimana avrà il parere formale della commissione scelta da Matteoli, poi inizierà il suo iter fino ad avere il bollo delle compiacenti maggioranze di centrodestra delle commissioni parlamentari. Infine raccoglierà osservazioni pubbliche (varie amministrazioni) e private (alcuni gruppi d'interesse), subirà un ultimo passaggio parlamentare per un parere definitivo; poi dovrebbe emanare i decreti con i nuovi testi. Tutto questo percorso potrebbe essere chiuso in circa cento giorni.
Le bozze circolano da neanche un mese, le strutture ministeriali competenti non le hanno mai viste: sono affidate, finora, solo ad amici e consulenti fidati. Sono state inviate ai 24 commissari il 2 settembre, via email. Se le hanno stampate occupano migliaia di fogli e vari chili di carta. La riunione della commissione era prevista per il 7 settembre, la maggioranza dei presenti non le aveva nemmeno sfogliate, il ministero ha chiesto di andare avanti comunque, una settimana per le osservazioni, quindici giorni per il varo, previsto a giorni. Con coraggio e intelligenza il Wwf ha fatto circolare in rete i testi già dall’8 settembre, inviandoli anche agli ignari deputati e senatori. Già li avevo scorsi ma è stata una scelta intelligente. Pensate, ho contato in 5 decreti 214 articoli e oltre 30 allegati. Dovevano essere 7 decreti, ma due sono stati accorpati (tutela delle acque e difesa del suolo) e uno non è pronto (gestione delle aree protette). Articoli spesso molto lunghi, con tanti commi. Allegati enormi pieni di schede ed elenchi. E come si fa? Immagino i 24 commissari, almeno quelli davvero competenti, con un po’ di coscienza. Che osservazioni possono fare? Conosceranno bene alcune materie, si limiteranno a qualche articolo di un solo decreto. Avrebbero bisogno di consultare altri esperti, di simulare alcuni effetti, di verificare stati di attuazione della legislazione vigente, nelle regioni ad esempio, di comparare direttive comunitarie e norme di altri paesi, di raccogliere spunti di docenti, ricercatori, amministratori, operatori. La democrazia parlamentare serve a questo. C’è un percorso trasparente: istruttoria in commissione, tempi per gli emendamenti, audizioni, dossier dei servizi studi, note degli uffici, comitati ristretti, valutazioni politiche nei gruppi, pareri delle altre commissioni, lettura in aula, discussione, sì discussione, su ogni tema, su ogni articolo, su ogni comma. Solo alla fine di tutto questo dovrebbe esserci un voto. Poi passaggio all’altra Camera, stesso iter, modifiche. Ci si arriva lentamente a norme generali ed astratte. Non sempre perfette o coerenti, limitando però il rischio di piaceri frettolosi, di passaggi segreti, di interessi privati. E si è arrivati così alle decine di leggi che ora Berlusconi e Matteoli vogliono cambiare per intero, in legislature diverse, con finalità specifiche, correggendo e affinando, attraverso complesse attuazioni. Quei soli 24 commissari hanno avuto 20 giorni per tutti i testi, le commissioni parlamentari avranno un solo mese. Su testi che già si dicono di voler cambiare, su testi che per ora nemmeno ci sono. Chi ha studiato i decreti ha già denunciato i pericoli di sostanza, sui rifiuti come sulla valutazione di impatto ambientale. Magari ci sarà anche qualche osservazione che verrà recepita. Ma è l’impianto che ha bisogno di una lunga, approfondita, discussione. Suggerisco alla commissione e al ministro di riflettere bene. La legge dice che nei due anni successivi all'emanazione il (nuovo) governo e il (nuovo) Parlamento possono riscrivere tutto. Forse è meglio allora prendersi qualche mese in più, predisporre schemi sui quali Camera e Senato possono lavorare con calma nei primi due anni della prossima legislatura. Altrimenti, se dovremo prendere o lasciare, dovremo proprio lasciare.
Ddl Senato 1753-B - Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione. Emendamento Governo 1.100
Art. 1. - (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie, anche mediante la redazione di testi unici:
a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;
b) tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche;
c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione;
d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna;
e) tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente;
f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC);
g) tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1, nel disciplinare i settori e le materie di cui al medesimo comma 1, definiscono altresì i criteri direttivi da seguire al fine di adottare, nel termine di due anni dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, i necessari provvedimenti per la modifica e l’integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione e dei decreti ministeriali per la definizione delle norme tecniche, individuando altresì gli ambiti nei quali la potestà regolamentare è delegata alle regioni, ai sensi del sesto comma dell’articolo 117 della Costituzione.
3. I decreti legislativi di cui al comma 1 recano l’indicazione espressa delle disposizioni abrogate a seguito della loro entrata in vigore.
4. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro per le politiche comunitarie e con gli altri Ministri interessati sentito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
5. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo trasmette alle Camere gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1, accompagnati dall’analisi tecnico-normativa e dall’analisi dell’impatto della regolamentazione, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari. Ciascuna Commissione esprime il proprio parere entro trenta giorni dalla data di assegnazione degli schemi dei decreti legislativi, indicando specificamente le eventuali disposizioni ritenute non conformi ai princìpi e ai criteri direttivi di cui alla presente legge. Al fine della verifica dell’attuazione del principio di cui al comma 8, lettera c), i predetti schemi devono altresì essere corredati di relazione tecnica. Il Governo, tenuto conto dei pareri di cui al comma 4 ed al presente comma, entro quarantacinque giorni dalla data di espressione del parere parlamentare, ritrasmette alle Camere, con le sue osservazioni e con le eventuali modificazioni, i testi per il parere definitivo delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro venti giorni dalla data di assegnazione. Decorso inutilmente tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati. Il mancato rispetto, da parte del Governo, dei termini di trasmissione degli schemi dei decreti legislativi comporta la decadenza dall’esercizio della delega legislativa.
6. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge, il Governo può emanare, ai sensi dei commi 4 e 5, disposizioni integrative o correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, sulla base di una relazione motivata presentata alle Camere dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che individua le disposizioni dei decreti legislativi su cui si intende intervenire e le ragioni dell’intervento normativo proposto.
7. Dopo l’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, eventuali modifiche e integrazioni devono essere apportate nella forma di modifiche testuali ai medesimi decreti legislativi.
8. I decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei princìpi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarietà, ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:
a) garanzia della salvaguardia, della tutela e del miglioramento della qualità dell’ambiente, della protezione della salute umana, dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, della promozione sul piano internazionale delle norme destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello locale, regionale, nazionale, comunitario e mondiale, come indicato dall’articolo 174 del Trattato istitutivo della Comunità europea, e successive modificazioni;
b) conseguimento di maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonché certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell’ambiente;
c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica;
d) sviluppo e coordinamento, con l’invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale, l’introduzione e l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, nonché il risparmio e l’efficienza energetica, e a rendere più efficienti le azioni di tutela dell’ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali;
e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza;
f) affermazione dei princìpi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga";
g) previsione di misure che assicurino la tempestività e l’efficacia dei piani e dei programmi di tutela ambientale, estendendo, ove possibile, le procedure previste dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443;
h) previsione di misure che assicurino l’efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali, incentivando in particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi, anche attraverso il potenziamento e il miglioramento dell’efficienza delle autorità competenti;
i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge;
l) semplificazione, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle procedure relative agli obblighi di dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di notificazione in materia ambientale. Resta fermo quanto previsto per le opere di interesse strategico individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni;
m) riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, nell’attuazione dei princìpi e criteri direttivi ispirati anche alla interconnessione delle normative di settore in un quadro, anche procedurale, unitario, alla valorizzazione del controllo preventivo del sistema agenziale rispetto al quadro sanzionatorio amministrativo e penale, nonché alla promozione delle componenti ambientali nella formazione e nella ricerca;
n) adozione di strumenti economici volti ad incentivare le piccole e medie imprese ad aderire ai sistemi di certificazione ambientale secondo le norme EMAS o in base al regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 e introduzione di agevolazioni amministrative negli iter autorizzativi e di controllo per le imprese certificate secondo le predette norme EMAS o in base al citato regolamento (CE) n. 761/2001 prevedendo, ove possibile, il ricorso all’autocertificazione.
9. I decreti legislativi di cui al comma 1 devono essere informati agli obiettivi di massima economicità e razionalità, anche utilizzando tecniche di raccolta, gestione ed elaborazione elettronica di dati e se necessario, mediante ricorso ad interventi sostitutivi, sulla base dei seguenti princìpi e criteri specifici:
a) assicurare un’efficace azione per l’ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la pericolosità; semplificare, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e razionalizzare le procedure di gestione dei rifiuti speciali, anche al fine di renderne più efficace il controllo durante l’intero ciclo di vita e di contrastare l’elusione e la violazione degli obblighi di smaltimento; promuovere il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli stessi, nonché il recupero di energia, garantendo il pieno recepimento della direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, relativa all’incenerimento dei rifiuti, ed innovando le norme previste dal decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e successive modificazioni con particolare riguardo agli scarti delle produzioni agricole; prevedere i necessari interventi per garantire la piena operatività delle attività di riciclaggio anche attraverso l’eventuale transizione dal regime di obbligatorietà al regime di volontarietà per l’adesione a tutti i consorzi costituiti ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22; razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, mediante la definizione di ambiti territoriali di adeguate dimensioni all’interno dei quali siano garantiti la costituzione del soggetto amministrativo competente, il graduale passaggio allo smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite procedure di evidenza pubblica; prevedere l’attribuzione al presidente della giunta regionale dei poteri sostitutivi nei confronti del soggetto competente che non abbia provveduto ad espletare le gare entro sei mesi dalla data d entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, tramite la nomina di commissari ad acta e di poteri sostitutivi al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio senza altri obblighi nel caso in cui il presidente della giunta regionale non provveda entro quarantacinque giorni; prevedere possibili deroghe, rispetto al modello di definizione degli ambiti ottimali, laddove la regione predisponga un piano regionale dei rifiuti che dimostri l’adeguatezza di un differente modello per i raggiungimento degli obiettivi strategici previsti; assicurare tempi certi per il ricorso a procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e nazionali e definire termini certi per la durata dei contratti di affidamento delle attività di gestione dei rifiuti urbani; assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani, anche mediante una più razionale definizione dell’istituto; promuovere la specializzazione tecnologica delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti speciali, al fine di assicurare la complessiva autosufficienza a livello nazionale; garantire adeguati incentivi e forme di sostegno ai soggetti riciclatori dei rifiuti e per l’utilizzo di prodotti costituiti da materiali riciclati, con particolare riferimento al potenziamento degli interventi di riutilizzo e riciclo del legno e dei prodotti da esso derivati; incentivare il ricorso a risorse finanziarie private per la bonifica ed il riuso anche ai fini produttivi dei siti contaminati, in applicazione della normativa vigente; definire le norme tecniche da adottare per l’utilizzo obbligatorio di contenitori di rifiuti urbani adeguati, che consentano di non recare pregiudizio all’ambiente nell’esercizio delle operazioni di raccolta e recupero dei rifiuti nelle aree urbane; promuovere gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati da amianto; introdurre differenti previsioni a seconda che le contaminazioni riguardino siti con attività produttive in esercizio ovvero siti dismessi; prevedere che gli obiettivi di qualità ambientale dei suoli, dei sottosuoli e delle acque sotterranee de siti inquinati, che devono essere conseguiti con la bonifica, vengano definiti attraverso la valutazione dei rischi sanitari e ambientali connessi agli usi previsti dei siti stessi, tenendo conto dell’approccio tabellare; favorire la conclusione di accordi di programma tra i soggetti privati e le amministrazioni interessate per la gestione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza;
b) dare piena attuazione alla gestione del ciclo idrico integrato, semplificando i procedimenti, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988 n. 400, al fine di renderli rispondenti alle finalità e agli obiettivi fondamentali definiti dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36; promuovere il risparmio idrico favorendo l’introduzione e la diffusione delle migliori tecnologie per l’uso e il riutilizzo della risorsa; pianificare, programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi; accelerare la piena attuazione della gestione del ciclo idrico integrato a livello di ambito territoriale ottimale, nel rispetto dei princìpi di regolazione e vigilanza come previsto dalla citata legge n. 36 del 1994, semplificando i procedimenti, precisando i poteri sostitutivi e rendendone semplice e tempestiva l’utilizzazione; prevedere, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione dell’acqua, l’obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle condotte, sia interni che esterni; favorire il ricorso alla finanza di progetto per le costruzioni di nuovi impianti; prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, le modalità per la definizione dei meccanismi premiali in favore dei comuni compresi nelle aree ad elevata presenza di impianti di energia idroelettrica;
c) rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale e finanziario che ostacolino il conseguimento della piena operatività degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici; valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale dell’attività di pianificazione programmazione e attuazione di interventi di risanamento idrogeologico del territorio e della messa in sicurezza delle situazioni a rischio; prevedere meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e dei boschi che investono per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel rispetto delle linee direttrici del piano di bacino; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale della normativa e delle iniziative finalizzate a combattere la desertificazione, anche mediante l’individuazione di programmi utili a garantire maggiore disponibilità della risorsa idrica e il riuso della stessa; semplificare il procedimento di adozione e approvazione degli strumenti di pianificazione con la garanzia della partecipazione di tutti i soggetti istituzionali coinvolti e la certezza dei tempi di conclusione dell’iter procedimentale;
d) confermare le finalità della legge 6 dicembre 1991, n. 394; estendere, nel rispetto dell’autonomia degli enti locali e della volontà delle popolazioni residenti e direttamente interessate, la percentuale di territorio sottoposto a salvaguardia e valorizzazione ambientale, mediante inserimento di ulteriori aree, terrestri e marine, di particolare pregio; articolare, con adeguata motivazione, e differenziare le misure di salvaguardia in relazione alle specifiche situazioni territoriali; favorire lo sviluppo di forme di autofinanziamento tenendo in considerazione le diverse situazioni geografiche, territoriali e ambientali delle aree protette; favorire l’uso efficiente ed efficace delle risorse assegnate alle aree protette dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali; favorire la conclusione di accordi di programma con le organizzazioni più rappresentative dei settori dell’industria, dell’artigianato, dell’agricoltura, del commercio e del terzo settore, finalizzati allo sviluppo economico-sociale e alla conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale delle aree; prevedere che, nei territori compresi nei parchi nazionali e nei parchi naturali regionali, i vincoli disposti dalla pianificazione paesistica e quelli previsti dall’articolo 1-quinquies del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, decadano con l’approvazione del piano del parco o delle misure di salvaguardia ovvero delle misure di salvaguardia disposte in attuazione di leggi regionali; nei territori residuali dei comuni parzialmente compresi nei parchi nazionali e nei parchi naturali regionali, provvedere ad una nuova individuazione delle aree e dei beni soggetti alla disciplina di cui all’articolo 1-quinquies del citato decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985; armonizzare e coordinare le funzioni e le competenze previste dalle convenzioni internazionali e dalla normativa comunitaria per la conservazione della biodiversità;
e) conseguire l’effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l’adeguamento delle procedure d’irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l’efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno; definire le modalità di quantificazione del danno; prevedere, oltre a sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l’ambiente, anche meccanismi premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano investimenti per il miglioramento della qualità dell’ambiente sul territorio nazionale;
f) garantire il pieno recepimento delle direttive 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, e 97/11/CE del Consiglio del 3 marzo 1997, in materia di VIA e della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, in materia di VAS e, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, semplificare, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, le procedure di VIA che dovranno tenere conto del rapporto costi-benefici del progetto dal punto di vista ambientale, economico e sociale; anticipare le procedure di VIA alla prima presentazione del progetto dell’intervento da valutare; introdurre un sistema di controlli idoneo ad accertare l’effettivo rispetto delle prescrizioni impartite in sede di valutazione; garantire il completamento delle procedure in tempi certi; introdurre meccanismi di coordinamento tra la procedura di VIA e quella di VAS e promuovere l’utilizzo della VAS nella stesura dei piani e dei programmi statali, regionali e sovracomunali; prevedere l’estensione della procedura di IPPC ai nuovi impianti, individuando le autorità competenti per il rilascio dell’autorizzazione unica e identificando i provvedimenti autorizzatori assorbiti da detta autorizzazione; adottare misure di coordinamento tra le procedure di VIA e quelle di IPPC nel caso di impianti sottoposti ad entrambe le procedure, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni; accorpare in un unico provvedimento di autorizzazione le diverse autorizzazioni ambientali, nel caso di impianti non rientranti nel campo di applicazione della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, ma sottoposti a più di un’autorizzazione ambientale settoriale;
g) riordinare la normativa in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera, mediante una revisione della disciplina per le emissioni di gas inquinanti in atmosfera, nel rispetto delle norme comunitarie e, in particolare, della direttiva 2001/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, e degli accordi internazionali sottoscritti in materia, prevedendo:
1) l’integrazione della disciplina relativa alle emissioni provenienti dagli impianti di riscaldamento per uso civile;
2) l’incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili o alternative anche mediante la disciplina della vendita dell’energia prodotta in eccedenza agli operatori del mercato elettrico nazionale prolungando sino a dodici anni il periodo di validità dei certificati verdi previsti dalla normativa vigente;
3) una disciplina in materia di controllo delle emissioni derivanti dalle attività agricole e zootecniche;
4) strumenti economici volti ad incentivare l’uso di veicoli, combustibili e carburanti che possono contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni e al miglioramento della qualità dell’aria;
5) strumenti di promozione dell’informazione ai consumatori sull’impatto ambientale del ciclo di vita dei prodotti che in ragione della loro composizione possono causare inquinamento atmosferico;
6) predisposizione del piano nazionale di riduzione di cui all’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 2001/80/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, che stabilisca prescrizioni per i grandi impianti di combustione esistenti.
10. Per l’emanazione dei regolamenti ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nei casi previsti dalle lettere a), b) ed f) del comma 9, si intendono norme generali regolatrici della materia i principi previsti dalle medesime lettere per le deleghe legislative.
11. Ai fini degli adempimenti di cui al comma 1 il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio si avvale, per la durata di un anno, di una commissione composta da un numero massimo di ventiquattro membri scelti fra professori universitari, dirigenti apicali di istituti pubblici di ricerca ed esperti di alta qualificazione nei settori e nelle materie oggetto della delega.
12. La commissione di cui al comma 11 è assistita da una segreteria tecnica, coordinata dal Capo dell’ufficio legislativo del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio o da un suo delegato e composta da venti unità, di cui dieci scelte anche tra persone estranee all’amministrazione e dieci scelte tra personale in servizio presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, con funzioni di supporto.
13. La nomina dei componenti della commissione e della segreteria tecnica di cui ai commi 11 e 12, è disposta con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che ne disciplina altresì l’organizzazione e il funzionamento. Nei limiti dell’autorizzazione di spesa di cui al comma 18, con successivo decreto dello stesso Ministro, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti i compensi spettanti ai predetti componenti.
14. Ai fini della predisposizione dei decreti legislativi, con atto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sono individuate forme di consultazione delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali e delle associazioni nazionali riconosciute per la protezione ambientale e per la tutela dei consumatori.
15. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, ogni quattro mesi dalla data di istituzione della commissione di cui al comma 11, riferisce alle competenti Commissioni parlamentari sullo stato dei lavori della medesima commissione.
16. Allo scopo di diffondere la conoscenza ambientale e sensibilizzare l'opinione pubblica, in merito alle modifiche legislative conseguenti all’attuazione della presente legge, è autorizzata la spesa di 250.000 euro per l’anno 2004.
17. All’onere derivante dall’attuazione del comma 16, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
18. Per l’attuazione dei commi 11 e 12 è autorizzata la spesa di 800.000 euro per l'anno 2004 e di 500.000 euro per l’anno 2005. Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando, per gli anni 2004 e 2005, l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
19. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l’attuazione dei commi 17 e 18.
20. All’articolo 36 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:
"1-bis. Nei processi di elaborazione degli atti di programmazione del Governo aventi rilevanza ambientale è garantita la partecipazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio".
21. Qualora, per effetto di vincoli sopravvenuti, diversi da quelli di natura urbanistica, non sia più esercitabile il diritto di edificare che sia stato già assentito a norma delle vigenti disposizioni, è in facoltà del titolare del diritto chiedere di esercitare lo stesso su altra area del territorio comunale, di cui abbia acquisito la disponibilità a fini edificatori.
22. In caso di accoglimento dell’istanza presentata ai sensi del comma 21, la traslazione del diritto di edificare su area diversa comporta la contestuale cessione al comune, a titolo gratuito, dell’area interessata dal vincolo sopravvenuto.
23. Il comune può approvare le varianti al vigente strumento urbanistico che si rendano necessarie ai fini della traslazione del diritto di edificare di cui al comma 21.
24. L’accoglimento dell’istanza di cui ai commi 21 e 22 non costituisce titolo per richieste di indennizzo, quando, secondo le norme vigenti, il vincolo sopravvenuto non sia indennizzabile. Nei casi in cui, ai sensi della normativa vigente, il titolare del diritto di edificare può richiedere l’indennizzo a causa del vincolo sopravvenuto, la traslazione del diritto di edificare su area diversa, ai sensi dei citati commi 21 e 22, è computata ai fini della determinazione dell’indennizzo eventualmente dovuto.
25. In attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplini in modo organico la materia, alla lettera a) del comma 29, sono individuate le caratteristiche e le tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche, nonché le modalità affinché gli stessi siano sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti.
26. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, sono sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla definizione di materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche di cui al comma 1, lettera q-bis), dell’articolo 6 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dal comma 29, i rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia l’obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici.
27 I rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall’estero sono riconosciuti a tutti gli effetti come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da fornitori o produttori di Paesi esteri che si iscrivono all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti con le modalità specificate al comma 28.
28. È istituita una sezione speciale dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, alla quale sono iscritte le imprese di Paesi europei ed extraeuropei che effettuano operazioni di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi, elencate nell’allegato C annesso al medesimo decreto legislativo, per la produzione di materie prime secondarie per l’industria siderurgica e metallurgica, nel rispetto delle condizioni e delle norme tecniche riportate nell’allegato 1 al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998. L’iscrizione è effettuata a seguito di comunicazione all’Albo da parte dell’azienda estera interessata, accompagnata dall’attestazione di conformità a tali condizioni e norme tecniche rilasciata dall’autorità pubblica competente nel Paese di appartenenza. Le modalità di funzionamento della sezione speciale sono stabilite dal Comitato nazionale dell’Albo; nelle more di tale definizione l’iscrizione è sostituita a tutti gli effetti dalla comunicazione corredata dall’attestazione di conformità dell’autorità competente.
29. Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti:
"q-bis) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche: rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad altre specifiche nazionali e internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche sopra menzionate;
q-ter) organizzatore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti: l’impresa che effettua il servizio di gestione dei rifiuti, prodotti anche da terzi, e di bonifica dei siti inquinati ricorrendo e coordinando anche altre imprese, in possesso dei requisiti di legge, per lo svolgimento di singole parti del servizio medesimo. L’impresa che intende svolgere l’attività di organizzazione della gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti deve essere iscritta nelle categorie di intermediazione dei rifiuti e bonifica dei siti dell’Albo previsto dall’articolo 30, nonché nella categoria delle opere generali di bonifica e protezione ambientale stabilite dall’allegato A annesso al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34";
b) all’articolo 8, comma 1, dopo la lettera f-quater) è aggiunta la seguente:
"f-quinquies) il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto dalle norme tecniche UNI 9903-1 (RDF di qualità elevata), utilizzato in co-combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 14 dicembre 1999, come sostituita dall’articolo 1 del decreto del Ministro delle attività produttive 18 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 25 marzo 2002, in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2002";
c) all’articolo 10, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:
"3-bis. Nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di rifiuti, indicate rispettivamente ai punti D 13, D 14, D 15 dell’allegato B, la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di trasporto, di cui al comma 3, lettera b), abbiano ricevuto il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato dal titolare dell’impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D 1 a D 12 del citato allegato B. Le relative modalità di attuazione sono definite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio";
d) all’articolo 40, comma 5, le parole: "31 marzo di ogni anno" sono sostituite dalle seguenti: "31 maggio di ogni anno".
30. Il Governo è autorizzato ad apportare modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2002, conseguenti a quanto previsto al comma 29, lettera b).
31. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio è autorizzato ad apportare le modifiche e integrazioni al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, finalizzate a consentire il riutilizzo della lolla di riso, affinché non sia considerata come rifiuto derivante dalla produzione dell’industria agroalimentare, nonché dirette a prevedere, oltre ai cementifici, le seguenti attività di recupero della polvere di allumina, in una percentuale dall’1 al 5 per cento nella miscela complessiva:
a) produzione di laterizi e refrattari;
b) produzione di industrie ceramiche;
c) produzione di argille espanse.
32. In considerazione del grave pregiudizio arrecato al paesaggio da vasti interventi di lottizzazione abusiva realizzati nella località denominata Punta Perotti nel comune di Bari, il direttore generale per i beni architettonici e paesaggistici del Ministero per i beni e le attività culturali, verificato il mancato esercizio del potere di demolizione delle opere abusive già confiscate a favore del comune con sentenza penale passata in giudicato, diffida il comune medesimo a provvedere entro il termine di sessanta giorni, invitando la regione Puglia ad esercitare, ove occorra, il potere sostitutivo. Il direttore generale, accertata l’ulteriore inerzia del comune, nonché il mancato esercizio del potere sostitutivo da parte della regione, provvede agli interventi di demolizione, avvalendosi a tal fine delle strutture tecniche del Ministero della difesa, previa convenzione.
33. Per l’esecuzione della demolizione di cui al comma 32 il Ministero per i beni e le attività culturali si avvale delle anticipazioni e delle procedure di cui all’articolo 32, comma 12, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Per le medesime finalità, possono essere utilizzate le somme riscosse ai sensi del comma 38, secondo periodo, nonché, previa intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la regione Puglia, le somme riscosse dalla regione ai sensi dell’articolo 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 e ai sensi dell’articolo 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
34. Il Ministero per i beni e le attività culturali, d’intesa con la regione Puglia ed il comune di Bari e sentito il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, effettuata la demolizione, procede all’elaborazione del progetto di recupero e di riqualificazione paesaggistica dell’area. Per l’esecuzione di tali interventi la regione o i comuni interessati utilizzano le somme riscosse ai sensi dell’articolo 167 del decreto legislativo n 42 del 2004, ovvero altre somme individuate dalla regione.
35. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, o della regione interessata, sono individuati ulteriori opere o interventi realizzati da sottoporre ad interventi di demolizione, secondo le procedure e le modalità di cui ai commi 32, 33 e 34. Sono fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 9 dicembre 1998, n.426.
36. Al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 167, comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Laddove l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d’ufficio, il direttore regionale competente, su richiesta della medesima autorità amministrativa ovvero, decorsi centottanta giorni dall’accertamento dell’illecito, previa diffida alla suddetta autorità competente a provvedervi nei successivi trenta giorni, procede alla demolizione avvalendosi delle modalità operative previste dall’articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a seguito di apposita convenzione stipulata d’intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero della difesa".
b) all’articolo 167, il comma 4 è sostituito dal seguente:
"4. Le somme riscosse per effetto dell’applicazione del comma 1, nonché per effetto del comma 38, secondo periodo, sono utilizzate, oltre che per l’esecuzione delle rimessioni in pristino di cui al comma 3, anche per finalità di salvaguardia nonché per interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione degli immobili e delle aree degradati o interessati dalle rimessioni in pristino. Per le medesime finalità possono essere utilizzate anche le somme derivanti dal recupero delle spese sostenute dall’amministrazione per l’esecuzione della rimessione in pristino in danno dei soggetti obbligati, ovvero altre somme a ciò destinate dalle amministrazioni competenti".
c) all’articolo 181, dopo il comma 1, sono aggiunti i seguenti:
"1-bis. La pena è della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1:
a) ricadano su immobili od aree che, ai sensi dell’articolo 136, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;
b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.
1-ter. Ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative ripristinatorie o pecuniarie di cui all’articolo 167, qualora l’autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
1-quater. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 1-ter presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.
1-quinquies. La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1".
37. Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, l’accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all’autorizzazione eventualmente rilasciata, comporta l’estinzione del reato di cui all’articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti condizioni:
a) che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell’eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico;
b) che i trasgressori abbiano previamente pagato:
1) la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004, maggiorata da un terzo alla metà;
2) una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata, dall’autorità amministrativa competente all’applicazione della sanzione di cui al precedente punto 1), tra un minimo di tremila euro ed un massimo di cinquantamila euro.
38. La somma riscossa per effetto della sanzione di cui al comma 37, lettera b), punto 1), è utilizzata in conformità a quanto disposto dall’articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004. La somma determinata ai sensi del comma 37, lettera b), punto 2), è riscossa dal Ministero dell’economia e delle finanze e riassegnata alle competenti unità previsionali di base dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali per essere utilizzata per le finalità di cui al comma 33 e del comma 36, lettera d).
39. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati all’intervento, presenta la domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica all’autorità preposta alla gestione del vincolo entro il termine perentorio del 31 gennaio 2005. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda, previo parere della soprintendenze.
40. All’articolo 34 del codice della navigazione, le parole: "dell’amministrazione interessata" sono sostituite dalle seguenti: "dell’amministrazione statale, regionale o dell’ente locale competente".
41. A decorrere dall’anno 2004 le spese di funzionamento delle autorità di Bacino di rilievo nazionale sono iscritte in una specifica unita previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
42. Al fine di migliorare, incrementare ed adeguare agli standard europei, alle migliori tecnologie disponibili ed alle migliori pratiche ambientali gli interventi in materia di tutela delle acque interne, di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, nonché di aumentare l’efficienza di detti interventi anche sotto il profilo della capacità di utilizzare le risorse derivanti da cofinanziamenti dell’Unione europea, è istituita, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, una segreteria tecnica composta da non più di ventuno esperti di elevata qualificazione, nominati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il quale ne è stabilito anche il funzionamento. Per la costituzione ed il funzionamento della predetta segreteria è autorizzata la spesa di 450.000 euro per l’anno 2004, di 500.000 euro per l’anno 2005 e di un milione di euro a decorrere dall’anno 2006.
43. All’onere derivante dall’attuazione della disposizione del comma 42 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando per gli anni 20042006 l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
44. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l’attuazione del comma 43.
45. Al fine di consentire la prosecuzione degli accordi di programma in materia di sviluppo sostenibile e di miglioramento della qualità dell’aria, anche attraverso l’utilizzo e l’incentivazione di veicoli a minimo impatto ambientale, è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2003, 2004 e 2005.
46. All’onere derivante dall’attuazione del comma 45 si provvede quanto a 50 milioni di euro per l’anno 2003 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004 e 2005, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 7004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
47. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l’attuazione del comma 46.
48. All’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) dopo il comma 1, è inserito il seguente:
"1-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del trasporto pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni";
b) dopo il comma 2, è inserito il seguente:
"2-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane".
49. Dall’attuazione del comma 48 non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
50. Al fine di adeguare le strutture operative dell’Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM) alle esigenze di una maggiore presenza sul territorio anche a supporto tecnico degli enti locali nel coordinamento delle attività a livello locale nelle aree marine protette, negli scavi portuali e nella pesca, anche attraverso l’apertura di sedi decentrate ovvero di laboratori locali di ricerca, è autorizzata per il triennio 2003-2005 la spesa di 7.500.000 euro annui.
51. All’onere derivante dall’attuazione del comma 50 si provvede quanto a 7,5 milioni di euro per l’anno 2003 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 7,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004 e 2005, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
52. Al fine di garantire la messa in sicurezza di emergenza e per la bonifica dei terreni e delle falde delle aree ex depositi POL della Marina Militare, zona "Celle" e zona "Cimitero" e della Aeronautica Militare, zona "Vecchia delle Vigne", nell’ambito dell’attuazione del piano intermodale dell’area Flegrea, è autorizzata la spesa di 4 milioni di euro per l’anno 2003 di 10 milioni di euro per l’anno 2004 e di milioni di euro per l’anno 2005.
53. All’onere derivante dall’attuazione del comma 52 si provvede quanto a 4 milioni di euro per l’anno 2003, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 10 milioni di euro per l’anno 2004 e a 5 milioni di euro per l’anno 2005 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
54. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l’attuazione dei commi 53 e 55.
Nell’epoca post-unitaria il territorio di Monza, come e più di altre città italiane, è fortemente interessato dai processi di trasformazione nel segno dell’industria, della ferrovia, del nuovo consumo quantitativo e qualitativo di suolo indotto dalla modernizzazione. Ma, per usare le parole del primo piano regolatore adottato, «Tranne qualche ritocco all’interno e qualche nuova linea seguita all’esterno dal buon senso dei privati incalzati dalla necessità del bisogno di nuove abitazioni, e nonostante queste siano sorte or qua or là in numero assai rilevante, Monza nulla ha innovato in fatto di edilizia alla sua antica struttura in cui era stata sorpresa dal soffio di civiltà, che, con l’Indipendenza Nazionale, aveva pervaso ogni centro di popolazione in una nobile gara di modernità e di progresso civile». Questo a fronte di un notevolissimo sviluppo economico e demografico: 24.662 abitanti nel 1861; 25.228 nel 1871; 20.012 nel 1881 (+ 11,05%); 33.500 nel 1891 (+ 19,55%); 42.599 nel 1901 (+ 27,18%).
In questo arco di tempo, l’applicazione in città delle possibilità di piano regolatore, offerte dalla legge 2359 del 1865 sull’espropriazione per pubblica utilità, è scarsa, nonostante l’ampiamente riconosciuto bisogno di intervento pubblico in questo senso, testimoniato dall’istituirsi di una apposita Commissione di piano, scaturita da quella Di Ornato, con il compito di stendere un programma di ampio respiro per l’intera città. Dalla Raccolta Leggi e Decreti, si rileva come, nel periodo grosso modo compreso fra i primi piani regolatori postunitari per città italiane, e l’approvazione della Legge di Napoli, che rilancerà l’azione urbanistica ponendo in primo piano l’urgenza sanitaria, Monza sia interessata da soli quattro provvedimenti che hanno ottenuto sanzione dalle autorità centrali: Regio Decreto 30 maggio 1871, Allargamento delle via San Maurizio e Porta di Lecco; Regio Decreto 8 dicembre 1878, Allargamento della via Vittorio Emanuele dalla Chiesa di San Maurizio al Ponte di Lecco; Regio Decreto 2 maggio 1886, Nuova strada fra via Balossa e Terraggio di Porta Milano; Regio Decreto 16 ottobre 1886, Sistemazione di via Borghetto e della Strada per Villa Regia. In più, oltre il carattere puntiforme, questi quattro “piani regolatori” hanno come caratteristica comune quella di essere localizzati internamente al centro antico o immediatamente all’esterno, a ridosso dei principali assi di espansione, e di essere evidentemente destinati a sanare problemi pregressi, anziché prefigurare una qualsivoglia strategia pubblica lungimirante di intervento.
A questo stato di cose, tenterà senza successo di porre rimedio la Commissione per il Piano Regolatore, che presieduta dall’Ingegner Carlo Conti dal 1880 ai primi anni Novanta, proverà sia la strada del piano urbanistico generale vero e proprio, comprendente sia i risanamenti nel centro che i nuovi quartieri di espansione, sia quella della “mosaicatura” dei piani esecutivi puntiformi in un disegno dotato di qualche coerenza.
Compiti della Commissione, come si legge in un ordine del giorno votato dal Consiglio comunale, sono:
a) «di studiare i bisogni della pubblica viabilità nei varii suoi rapporti di comodità e di igiene, tenuto conto dello sviluppo che la Città presenta oggigiorno e che potrà avere in seguito all’esterno degli attuali confini. La detta Commissione di conseguenza proporrà gli allineamenti, le nuove comunicazioni, le fognature ed in genere tutte quelle opere e provvedimenti che stimerà utili di introdurre per la migliore sistemazione dei pubblici servizi. b) Di designare quelle delle opere e dei provvedimenti che reputa più urgenti non che le altre che ponno avere compimento in un tempo più lontano. c) Di presentare alla Giunta la relazione su dette opere e provvedimenti con indicazione della corrispondente spesa presunta e dei termini entro i quali a suo giudizio, dovranno essere effettuate».
I lavori, come già accennato, si concluderanno sul finire del secolo senza aver prodotto risultati pratici, salvo forse la coscienza della necessità di un piano, da cui scaturiranno (anche per sollecitazione delle autorità sanitarie superiori in questo senso) i primi studi comunali per uno schema generale, nel decennio successivo.
1. Piano di ampliamento della zona orientale, [1913]
La documentazione di quello che sembra essere il primo vero e proprio “piano regolatore” per Monza è scarsissima e piuttosto vaga. Non se ne sono trovate tracce nei fondi dell’archivio storico sul tema dei risanamenti, delle strade, dei servizi, ma solo riferimenti in brevi cenni sui periodici locali. La stessa datazione al 1913 si deve a un riferimento dell’Ingegnere capo del Comune, Lino Zanetti, nelle premesse storiche alla relazione del piano adottato nel 1964, che coincide sia con i limiti indicati vagamente sulla stampa, sia con il periodo in cui l’autore del manoscritto/relazione esercita le sue funzioni di tecnico presso l’Ufficio municipale.
Nel primo decennio del Novecento, il territorio di Monza ha già subito rilevanti trasformazioni, sia per il suo organico inserimento nella generale espansione dell’area milanese, sia per gli interventi edilizi nel centro storico. L’unico elemento di gestione pubblica del territorio urbano, è il Regolamento edilizio, approvato dal Consiglio comunale il 28 novembre 1907, ed entrato in vigore il 15 giugno 1908, che sul versante urbanistico prevede controlli sui «piani di allineamento, abbellimento e ingrandimento» della città (artt. 6, 10, 41). In questo contesto si inserisce lo studio firmato dell’ingegner Silvio Landriani, che pur limitando la propria proposta tecnico-economica al settore orientale, ritiene però conseguente «l’allacciamento dello studio di questo piano a quello di risanamento Città ed all’altro d’ampliamento della stessa verso ovest». Anche se questa scelta di basso profilo non aiuterà ad uno sbocco istituzionale del piano (il manoscritto, pur firmato dall’Ingegnere capo, ha la forma della memoria tecnica e nessun numero di protocollo o altre annotazioni), il ragionamento che la sostiene è del tutto ovvio: il «risanamento Città» potrebbe al limite essere attuato con un insieme di piani attuativi simili a quelli già approvati in precedenza, purché coordinati; l’ «ampliamento verso ovest», pur analogo a quello orientale, presenta evidentemente meno urgenza, forse per la maggiore contiguità con il centro storico nell’assenza di elementi forti di cesura come la ferrovia a livello e il corso del fiume.
Anche se non sono state reperite tavole grafiche relative a questo piano, il suo schema di massima si può riassumere come un tentativo di ricucitura, tra di loro e con il centro, degli insediamenti compresi nel grande arco delimitato dalla strada per Lecco, quella per Milano, e con vertice nel nuovo Cimitero urbano. Non è prevista una strada di cintura, né una griglia regolare, ma l’inserimento di snodi, spazi pubblici, completamenti, tali da ricondurre a unità e razionalità gli insediamenti spontanei, storici e in corso di crescita. Il progetto si articola in quattro zone di intervento, da nord a sud, a cui corrispondono quattro gruppi distinti di investimenti in opere ed espropriazioni: «dalla strada Provinciale per Bergamo alla via Bergamo e strada Provinciale per Agrate; dalla Provinciale per Agrate al Canale Villoresi; dal Canale Villoresi al Lambro; dal Lambro alla via Provinciale per Milano e San Rocco».
Le sole tracce di iter istituzionale, relative a questo piano o comunque ad esso complementari, sono desunte dalla stampa, che riferisce come attorno al 1910 l’Ufficio tecnico comunale intenda studiare un piano, e successivamente venga nominata una Commissione a questo scopo, composta da: ingg. Saino, Mina, Osculati, Monti; arch. Canesi; assessori Bellini e Canesi; Ingegnere Capo municipale (presumibilmente lo stesso Landriani). La Commissione si riunisce il 4 aprile 1912 per esaminare il piano e predisporre eventualmente le relative delibere. Ma due anni dopo, alla vigilia dello scoppio della guerra mondiale nel 1914, il programma elettorale pubblicato nel mese di giugno dal locale Partito Radicale, pone ancora in primo piano per la città lo «studio e graduale applicazione del piano di ampliamento», dando così indirettamente notizia del probabile fallimento pratico sia di un piano generale, sia di quello limitato alla zona orientale.
2. Piano regolatore edilizio per il centro, 1926
Dopo la stasi imposta dalla guerra, la ripresa delle attività economiche e dell’edilizia trova, per una volta, il Comune in una posizione propositiva di carattere “strategico”. Evidentemente gli studi degli anni precedenti hanno lasciato qualche traccia, se l’Amministrazione Commissariale decide di affiancare agli studi per la nuova fognatura anche quelli per un piano regolatore, che si vuole articolato in uno schema di massima per l’espansione, e in uno studio particolareggiato per il centro, focalizzato a sua volta sul riordino dell’ultima area disponibile (la futura Piazza Trento e Trieste) e la realizzazione del nuovo Palazzo Municipale. Nel 1924 si costituisce all’interno dell’Ufficio tecnico comunale una speciale sezione per il piano regolatore e la fognatura, dove lavoreranno in stretto coordinamento l’Ingegnere Capo Giulio Redaelli, e gli ingg. Giuseppe Albani e Ruggero Malagoli.
Lo schema generale di massima che sarà adottato dall’Amministrazione l’8 luglio 1925 si deve in massima parte al contributo di Giuseppe Albani, che immediatamente dopo l’incarico aveva presentato una breve memoria che ne preannunciava i contenuti. Si tratta, in sintesi, dello sviluppo di un anello di circonvallazione (proprio quanto era stato escluso da Silvio Landriani forse per motivi di bilancio tre lustri prima) ad una distanza più o meno costante dal centro, misurabile ancora a partire dal nuovo Cimitero, con l’eccezione del tratto lambente il Parco e i Giardini Reali. Completano il disegno una serie di radiali e ricuciture, e soprattutto di sotto e sovrapassaggi ferroviari in corrispondenza dei principali accessi al nucleo storico. Gran parte degli interventi, si intendono in stretta correlazione con l’attività dei privati, e soprattutto lo schema è da considerarsi di larga massima (da qui, forse, il “grande disegno” dell’anello, stavolta senza vincoli di bilancio): «il voler fissare troppo minuti dettagli questa rete esterna parrebbe prematuro e soverchio impaccio che si porterebbe alla privata iniziativa dei proprietari, senza che per ora le non eccessive esuberanze della iniziativa edilizia della città sembrino proclamarne l’impellente necessità».
Una «impellente necessità» e disponibilità all’investimento che invece sembrano caratterizzare quello che è forse il vero cuore di questo progetto, ovvero la risistemazione della zona di fronte al Collegio Arcivescovile e spazi circostanti, con collegamento all’asse di via Cavallotti (che conclude il processo di ampliamento oltre il tracciato della cinta storica iniziato con il taglio tra il Terraggio di Porta Milano e la circonvallazione esterna della Balossa, approvato con Regio Decreto nel 1886), riallineamento delle cortine edilizie, e realizzazione del nuovo Palazzo Municipale, secondo lo schema che verrà attuandosi via via nei decenni successivi. È questo l’oggetto del Piano particolareggiato di esecuzione, adottato insieme allo schema generale l’8 luglio 1925, ma che solo concluderà l’ iter istituzionale con l’approvazione, per Decreto Reale, il 17 giugno 1926.
3. Concorso per il piano regolatore e di ampliamento, 1934
Mentre sul finire degli anni Venti sono avviati i lavori di attuazione, esproprio, demolizione nelle aree centrali interessate dal piano particolareggiato del 1926, la Podesteria retta da Ulisse Cattaneo riprende la questione del piano regolatore e di ampliamento secondo una procedura che si sta affermando in moltissime città italiane: il concorso di idee, a cui invitare singoli o gruppi di ingegneri e architetti, con il duplice scopo di raccogliere progettualità, e insieme aiutare a sottrarre la formazione del piano da pressioni locali. L’unico dubbio sembra quello dell’estensione dell’invito, a scala regionale o nazionale? Verso la fine del 1932 la questione è risolta con un compromesso: saranno invitati i professionisti delle sole regioni settentrionali (Lombardia, Piemonte, Tre Venezie, Liguria), garantendo così una buona copertura mediatica all’evento, e una partecipazione abbastanza vasta. Il bando di concorso del 21 aprile 1933 chiede che i progetti debbano rispondere ai seguenti criteri: evitare sventramenti a danno delle «condizioni di arte e di ambiente della Città»; prevedere comunque diradamenti attorno agli edifici storici per «liberazione degli edifici stessi»; studiare le comunicazioni interne e con i centri limitrofi, con particolare riguardo agli scavalcamenti ferroviari, acquei, e alla realizzazione di un linea metropolitana; prevedere una sistemazione del fiume Lambro; indicare la localizzazione di servizi (verde, mercati, stadio, edifici pubblici). Nell’autunno dello stesso anno vengono presentati quattro progetti, tra i quali la Commissione giudicatrice (che comprende professionisti di ottimo livello nazionale) premia come migliore, nel gennaio del 1934, quello del gruppo milanese coordinato da Aldo Putelli, un ingegnere legato alla cultura razionalista, già affermato in numerosi concorsi,e che nei suoi interventi all’Istituto Nazionale di Urbanistica sostiene la necessità di una stretta collaborazione fra uffici municipali e consulenti esterni nella stesura dei piani regolatori.
Il progetto vincitore, contrassegnato dal motto C.M.N.P.22, riprende molti dei temi razionalisti dell’epoca, a partire dallo sviluppo dell’ampliamento per quartieri omogenei disposti radialmente, separati da zone verdi, raccordati all’esterno da un anello di grande viabilità che riprende nella parte orientale quello già delineato nel 1925, mentre in quella occidentale suggerisce, anche coerentemente con l’intento «di estendere il piano regolatore a una zona maggiore di quella prevista dal Comune», un nuovo asse a ovest della grande strada per Milano, che si raccorda a nord con l’attraversamento principale ovest-est del Parco, ricongiungendosi poi tramite un breve tratto della Statale per Lecco all’arco orientale della circonvallazione. All’interno di questo schema generale, in cui fa il suo ingresso tra l’altro lo zoning, si collocano gli interventi previsti nel centro storico, riassumibili nella arteria di attraversamento nord-sud (via Italia allargata, Piazza Trento e Trieste rettificata anche sul lato orientale, prosecuzione fino a via Appiani «per via San Paolo attraverso la via Scotto risanata e allargata»), e nella copertura del Lambro, la cui zona di pertinenza è destinata a diventare centro terziario e residenziale di alto livello, con fermata della metropolitana a PiazzaGaribaldi, secondo due possibili soluzioni: una giudicata migliore sotto il profilo urbanistico, un’altra di «massimo sfruttamento», che «potrebbe costituire una buona speculazione per il Comune». Completano gli interventi sul centro l’isolamento del Duomo e altre demolizioni verso l’Arengario.
Come accennato, uno degli obiettivi della procedura di concorso, era quello di superare il condizionamento delle contingenze locali nella elaborazione del piano. Una procedura che per Monza in un primo momento sembra fallita, visto che il coinvolgimento del capogruppo vincente Aldo Putelli nella redazione del “vero” piano regolatore si limita alla sua cooptazione nella Commissione consultiva nominata il 27 aprile 1934 con il compito di assistere l’Ufficio tecnico municipale. Nella primavera del 1935, risulta che nessun passo concreto è stato compiuto nella redazione del piano definitivo, e lo stesso Aldo Putelli sollecita il Podestà ad attivare una forma diversa di consulenza per il proprio studio professionale. Così, con un ruolo diverso e con il coinvolgimento del giovane collaboratore Ezio Cerutti, in stretto coordinamento con l’Ingegnere capo Giulio Redaelli, Putelli prepara i piani di ampliamento ovest e est della città, unitamente allo schema di un nuovo regolamento edilizio (quello precedente è del 1928), che vengono presentati e discussi nelle sedute plenarie di Commissione del marzo e aprile 1935.
Altri incarichi per obiettivi particolari (tra cui quello per la realizzazione di un plastico in scala 1:500 per le sistemazione nella zona centrale connesse all’asse nord-sud) proseguono fino al 1938, quando il 23 luglio il piano, per una popolazione stimata di oltre 100.000 abitanti entro il 1968, è adottato dal Consiglio comunale e successivamente inviato a Roma per l’approvazione.
5. Piano regolatore generale, 1949
Come accade, con pochissime eccezioni, ai piani oggetto di concorso e redatti in forma definitiva verso la fine degli anni Trenta, anche quello per Monza inizia a subire rallentamenti nell’iter di approvazione, determinati sia dall’entrata in guerra, sia dall’imminenza della nuova legge urbanistica nazionale, sia infine da questioni di contenuto, e segnatamente dagli interventi sulla zona storica monumentale. Già nel 1941 si segnala uno stop dalla Sovrintendenza ai Monumenti che chiede modifiche (approvate dal Consiglio comunale) per la Piazza del Duomo, e ancora nel 1943 il piano per motivi pure legati alla tutela artistica risulta in esame presso il Ministero dell’Educazione Nazionale, Direzione Generale Belle Arti, in attesa di trasferimento al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Proprio la Direzione Belle Arti, raccomanderà ancora «che la nuova sistemazione antistante il Duomo all’atto della realizzazione non risulti in contrasto con l’ambiente», e soprattutto si opporrà alla copertura del Lambro, chiedendo di «lasciare inalterata l’attuale configurazione del corso d’acqua».
Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Prima Sezione, riunito il 22 gennaio 1949, relatore Cesare Valle, critica quella che giudica la previsione di «uno sviluppo che si presenta indiscriminatamente in ogni direzione», suggerendo di privilegiare il settore ovest dell’abitato, alleggerendo e sfoltendo corrispondentemente quello sud-est, e altre modifiche riguardo al centro sussidiario e agli accessi dalle autostrade, oltre a specificare alcune critiche per l’area centrale e il rapporto coi monumenti storici. La copertura del Lambro in particolare sarebbe da evitare perchè «mentre ragioni di traffico non ne giustificano la necessità, le esigenze igieniche potranno essere soddisfatte [...] in sede di fognatura generale dell’abitato».
Coerentemente con queste premesse, il 20 ottobre 1949 è approvato il Piano regolatore generale di Monza, con le tavole firmate da Aldo Putelli e dall’Ufficio Tecnico comunale, piano che sulle pagine de L’Ingegnere viene salutato come il primo PRG italiano. Dal progetto originale sono stralciate importanti aree: Centro storico negli isolati circostanti Piazza Trento e Trieste e il Duomo, verso il Lambro, e Largo Mazzini; un quadrilatero nell’area di completamento occidentale fra le vie Cavallotti, Sempione, e il Canale Villoresi; un altro grande quadrilatero nell’area di espansione orientale verso il nuovo Cimitero, compreso fra le vie Buonarroti, Rota, Cederna, e il Canale Villoresi. Il più, il piano è approvato senza che tra i documenti inclusi figuri il regolamento di attuazione.
Alle carenze fisiologiche determinate dal lungo iter di approvazione, al piano regolatore di Monza si aggiungono quindi i “vuoti” delle zone stralciate, che richiedono di essere “riempiti”, insieme ad altri aggiornamenti, per costituire un piano soddisfacente e adatto ai tempi. Il dibattito in questo senso inizia immediatamente dopo l’approvazione del piano, con l’adozione nel 1950 da parte del Comune di un regolamento di attuazione che, pur privo dell’approvazione centrale sarà applicato da costruttori r progettisti fino al 1959. Nel 1951 i professionisti locali, Vittorio Bellini, Vittorio Faglia, Gualtiero Galmanini, iniziano a lavorare su questo problema. Le conclusioni sono presentate al Sindaco nell’autunno dell’anno successivo, sintetizzate nella relazione denominata Z.S.52, che si articola in una analisi critica del Decreto Presidenziale di approvazione del PRG, e in una sintetica proposta per le Zone Stralciate. Riguardo alla copertura del Lambro, è accettata la richiesta delle Belle Arti per lasciare intatto il corso urbano del fiume, rinviando a scelte di governo idraulico di grande scala alcune scelte specifiche correlate (il progetto vincente del Concorso aveva fatto riferimento a un piano di deviazione del fiume a monte dell’abitato firmato da Cesare Marescotti). Per il resto della zona centro, si propone di mantenere al minimo le demolizioni evitando sia la rettificazione degli isolati verso Piazza Trento e Trieste, sia il collegamento visivo diretto fra questa e la facciata del Duomo. Anche il collegamento nord-sud ne risulta modificato, «scartata la soluzione di deviare decisamente ad ovest fin dal suo inizio l’asse dell’arteria». Per il quartiere occidentale, premesso che la via Sempione notevolmente ampliata diverrà strada intercomunale, si prevede fra questa e le vie Cavallotti e Berchet un notevole insediamento residenziale/commerciale che qualifichi questa «vera arteria di traffico interurbano Monza-Milano». Per la zona est, Cederna, il progetto Z.S.52 prevede «un centro inteso come zona di coordinamento di quelle manifestazioni, attività ed esigenze di quartiere, quali mercato, negozi, ufficio postale, banca».
Oltre i singoli suggerimenti di intervento edilizio, il Comune sembra comunque sensibile alla proposta di colmare in qualche modo le lacune del PRG vigente tra cui quella di «comprimere in modo eccessivo lo sviluppo edilizio», e nella primavera del 1953 conferisce all’ampio gruppo degli Ingegneri e Architetti di Monza l’incarico di revisione del piano regolatore di Monza, che dovrà costituire la base di lavoro su cui l’Ufficio Tecnico comunale redigerà una proposta di variante generale. Gli studi del Gruppo Ingegneri e Architetti sono consegnati all’inizio del 1957 e il piano dell’Ufficio Tecnico, ampiamente basato su queste proposte, è pronto nella primavera del 1959 e adottato dal Consiglio comunale il 20 luglio.
7. Variante generale al piano regolatore, 1964
Un consigliere di opposizione, nel corso delle discussioni della primavera 1959 sul nuovo piano regolatore, aveva osservato che, a parte singole questioni, il progetto difettava in linea di massima su due fronti: la scarsa chiarezza della proposta generale, che sembrava più un insieme di progetti già in corso che una linea di azione unitaria; l’appiattimento sostanziale sulle proposte dei tecnici locali, e in definitiva sugli interessi di parte che li animavano. Non sarebbe stato il caso, suggeriva l’opposizione, di far studiare il piano a «un architetto urbanista estraneo e di chiara fama»? Le motivazioni con cui la Sezione Urbanistica del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, presieduta da Cesare Valle, suggerisce ulteriori modifiche al piano, sembra sottoscrivere indirettamente questa opzione: uno degli studi respinti è quello sul quartiere occidentale, che tanta parte aveva avuto nelle proposte Z.S.52. Dopo alcuni contatti con il Ministero all’inizio del 1961 il Sindaco annuncia che è stato individuato un «urbanista di sicura fama nazionale» a cui affidare l’incarico di un nuovo studio. Si tratta di Luigi Piccinato, probabilmente il più prestigioso professionista dell’epoca, che proprio insieme a Cesare Valle aveva firmato numerosi progetti urbanistici e di concorso per città italiane, dagli anni Venti in poi. Il lavoro su Monza, che inizialmente prevede solo lo studio delle zone stralciate, si sviluppa ben presto nello studio di un piano regolatore completamente nuovo, redatto da Luigi Piccinato con la collaborazione di Giorgio Piccinato e Marco Majoli. Lo schema generale da cui parte Piccinato è il quadro regionale della viabilità, che delinea come settore strategico per lo sviluppo urbano quello sud-occidentale compreso fra viale Lombardia, viale Campania, Corso Milano: dal rinnovato rapporto fra questo, il centro antico, e il settore orientale. Fulcro di questo sistema, uno strumento tipico dei piani elaborati da Piccinato, la costituzione di un centro terziario alternativo a quello storico, che nel caso di Monza si sostanzia in un Centro Direzionale da realizzarsi nel quadrilatero tra le vie Cavallotti, Europa, Solferino, Arnaldo da Brescia, su aree di dismissione ospedaliera e industriale. Una proposta generale di piano è consegnata nella primavera del 1962.
Il piano regolatore di Monza, nel suo impianto “sovracomunale” individuato da Piccinato, è destinato ad essere subito modificato da questioni di natura pure sovralocale. La prima è l’approvazione a scala nazionale, proprio nel 1962, della legge 167, che istituisce i Piani di Zona per l’edilizia popolare, che il Consiglio Comunale adotterà nel luglio del 1963 per cinque quartieri: via Correggio; Cederna; S. Albino; S. Rocco; Cazzaniga, e che devono essere inseriti nel piano a cui costituiscono variante. Il secondo condizionamento è rappresentato dalle linee in corso di definizione del Piano Intercomunale Milanese, che necessitano adeguamenti riguardo alla grande viabilità. Il piano, con le modifiche inserite, è portato alla discussione in Consiglio nell’autunno del 1963.
Il piano che l’Ufficio Tecnico coordinato da Lino Zanetti presenterà all’inizio del 1964, con questi presupposti, è un progetto «elaborato sulla base di quello del prof. Piccinato e tenuto conto dei Piano originario del 1949, di quella parte accettabile della variante 1959, del Piano delle aree da destinare all’edilizia economico/popolare [...], di alcune situazione e condizioni esistenti [...] e dagli orientamenti del Piano Regionale e di quello Intercomunale». È questo il piano che, illustrato da Luigi Piccinato in giugno, sarà adottato da Consiglio comunale in ottobre.
8. Variante generale al piano regolatore, 1968
Già nelle settimane prima dell’adozione, la Commissione Edilizia aveva evidenziato alcune perplessità sostanziali sullo schema di piano regolatore, criticando anche uno degli elementi portanti, ovvero il Centro Direzionale, il cui ruolo sarebbe stato da chiarire «se prettamente cittadino o a più ampio raggio», lasciando in sospeso «un giudizio sull’ubicazione e dimensione del centro stesso». Nel 1966 Luigi Piccinato accetta l’incarico di consulenza per l’esame delle 560 osservazioni presentate, consigliando di respingerne la stragrande maggioranza, in quanto «mera difesa dell’interesse privato legato alla destinazione del suolo», oggetto se mai di eventuali ricorsi i sede di piani particolareggiati, ma non di osservazioni accoglibili. Anche per le osservazioni di Enti e associazioni, che pongono questioni di tipo generale (le norme sul centro storico, l’anello di circonvallazione occidentale, il Centro direzionale ecc.) Piccinato esprime l’indicazione di non accettabilità. Di diverso avviso, almeno in parte, le indicazioni dell’Ufficio Tecnico, che insieme all’accoglimento di alcune modifiche suggerite dal Ministero dei LL.PP. definiscono la nuova versione del piano, che ottiene l’approvazione di massima ministeriale nel 1968.
9. Variante generale al piano regolatore, 1971
Il decreto 2 aprile 1968 n. 1444, e i relativi standards urbanistici che prevede, comportano ulteriori modifiche al piano regolatore, per adeguare le norme tecniche (piani di lottizzazione, esecuzione tramite semplice licenza edilizia, centro storico). Con queste modifiche, è approvato dopo un iter di oltre vent’anni, il 22 novembre, il nuovo Piano Regolatore Generale di Monza, che nella sintesi proposta dal Ministero dei Lavori Pubblici si articola in:
1. «la creazione di un nuovo centro direzionale nel settore sud-ovest della città, sulla aree attualmente occupate dall’ospedale civico e su quelle adiacenti, attualmente occupate da industrie e dal campo sportivo Singer;
2. la definizione di un sistema di grande viabilità, inteso principalmente ad impedire per quanto possibile l’attraversamento del centro storico;
3. un ridimensionamento della zonizzazione con l’indicazione dei vari tipi edilizi ammessi per ciascuna zona;
4. la salvaguardia del centro storico;
5. la individuazione delle zone destinate ad attrezzature di pubblico interesse, quali scuole, ospedali, mattatoio, impianti sportivi, ecc.».
10. Studi per la Variante generale al piano regolatore, 1985
Il Piano regolatore generale per Monza approvato con decreto ministeriale nel 1971, è l’ultimo piano per una città italiana il cui iter si conclude con un atto delle autorità centrali. Infatti pochi mesi più tardi si concluderà con il Decreto presidenziale di trasferimento dell’urbanistica alle Regioni, il lungo percorso iniziato con i lavori della Costituente. Non è quindi un caso se, a torto o a ragione, questo piano è localmente considerato immediatamente obsoleto e “centralista”: obsoleto perchè nato e cresciuto in un periodo di profonde trasformazioni dell’apparato produttivo, dei rapporti sociali e degli stili di vita, cui le trasformazioni via via apportate al progetto non sembrano essersi sufficientemente adeguate; “centralista” e burocratico perchè l’impianto generale risponderebbe a un criterio di razionalità astratta, con scarsi riscontri sia nella concretezza della realtà locale, sia nelle aspettative della maggioranza dei cittadini, a cui sarebbero stati imposti modelli rigidi come l’Asse attrezzato o il Centro direzionale. Proprio il Centro direzionale, su cui si basava l’impianto generale del progetto, viene rifiutato nel metodo e nel merito dalla stampa periodica più rappresentativa del ceto dirigente, che titola senza mezzi termini a un anno esatto dall’approvazione: «Il Piano Regolatore Generale: un feticcio da abbattere». Strumenti dell’urbanistica rinnovata, più vicina ai bisogni dei cittadini, saranno un nuovo ruolo delle autonomie locali e il rifiuto di decisioni esterne. Nel corso degli anni Settanta alcune parti del piano iniziano comunque ad attuarsi, mentre cambia il contesto esterno, per esempio con l’approvazione a livello regionale della legge urbanistica nel 1975 (anno in cui si delibera per la prima volta l’intenzione di avviare una procedura di variante generale), o a livello nazionale con i piani di recupero della 457/1978, che interesseranno importanti aree del centro storico. Un’altra innovazione, già introdotta nel PRG del ’71, è quella dei programmi pluriennali di attuazione, che dopo un primo tentativo fallito nel 1972 inizieranno ad attivarsi dal 1976, redatti dal pure nuovo Ufficio Programmazione Urbanistica. Del 1976 è, ancora, uno studio di Piano Particolareggiato per il centro storico, che sul modello di altri in Italia come quello di Bologna prevede anche interventi PEEP, in alternativa a quelli in aree periferiche.
Solo nel 1981 su iniziativa dell’Assessore alla Programmazione Urbanistica, Giuseppe Galbiati, si delibera di affidare a un gruppo di consulenti esterni lo studio di un nuovo piano regolatore generale, con l’obiettivo di superare quello che viene definito un prodotto della “urbanistica opulenta”, dove «ad un disegno razionale si accompagna anche una supervalutazione delle risorse economiche ed operative ... mentre il territorio è considerato essenzialmente come bene illimitatamente disponibile», per previsioni insediative che superano i 250.000 abitanti (poco più di 120.00 in diminuzione, al 1980). Dall’obsolescenza di contenuti e fondamenti, scaturirebbe la sostanziale elusione del piano nei suoi aspetti qualificanti: centro direzionale, parchi, servizi, sistema di viabilità principale. Nell’ottobre del 1984 i consulenti incaricati, Federico Confalonieri, Alfio Lorenzetti, Annio Matteini, Achille Sacconi, presentano una relazione illustrativa del lavoro svolto che, nel quadro del sistema metropolitano milanese e dei relativi strumenti di pianificazione sovracomunale vigenti e in corso di definizione, ridefinisca il ruolo di Monza come città-guida «nel processo di rafforzamento ed innovazione strutturale che, dalla Brianza tutta, potrà poi fornire elementi di consolidamento dello sviluppo regionale». La bozza di piano regolatore che scaturisce da queste premesse innanzitutto recepisce integralmente il «Piano dei servizi» redatto nel 1980 da Leonardo Mariani Travi per il recupero degli standards, e nella prospettiva di superamento del fallito modello di Centro direzionale, individua un sistema articolato di aree a vocazione terziaria, in particolare nella zona di confluenza tra la superstrada Monza-Rho e la circonvallazione esterna.
Questo progetto di piano regolatore, per motivi di grave dissenso all’interno della Giunta, non riuscirà ad arrivare all’adozione, rimanendo allo stato di studio. Un dattiloscritto datato giugno 1986, Messa a punto di una programmazione coordinata per la definizione del progetto di piano regolatore generale, giudica ad esempio ancora aperta la questione del ruolo del terziario in città, «un’incognita per le scelte progettuali di piano, in quanto praticamente sconosciuto nelle sue caratterizzazioni e nelle sue tendenze». Ancora aperto, in questo senso, il Documento Direttore. Piano Regolatore Generale, firmato nel febbraio 1987 dal Gruppo di consulenza originario, cui si aggiungono Roberto Biscardini e Gianluigi Sartorio. Si afferma a questo proposito che il piano «non debba vincolare rigidamente grandi aree a destinazione terziaria», per non creare artificiosamente zone «che rischino di rimanere destinate, solo sulla carta, ad interventi di macchinosa attuazione».
11. Variante generale al piano regolatore, 1997
Nel 1993 la nuova giunta, eletta con un programma che annoverava il piano regolatore tra i punti irrinunciabili, a poche settimane dall’insediamento affida l’incarico di redazione del piano ad un professionista di prestigio nazionale: Leonardo Benevolo. Il primo, quasi immediato risultato dell’avvio di un nuovo iter, è l’adozione, già a luglio, della variante parziale denominata «Parco di cintura urbana», che vincola a verde circa 1.000 ettari di territorio comunale, e che comprende come si legge nella relazione illustrativa «gli spazi liberi fra il fronte di crescita ... e i confini comunali, con gli insediamenti non compattati di origine recente, dove occorre realizzare le infrastrutture e i servizi mancanti». Il parco suscita immediatamente aspre polemiche e opposizioni, sotto forma di esposti e ricorsi da parte di privati. Dopo un anno di dibattito, nel luglio 1994 il consiglio comunale approva il progetto preliminare di piano regolatore, articolato secondo quattro zone omogenee di intervento: il centro storico, la periferia consolidata, il parco di cintura urbana, il parco reale.
Per il centro storico si pone l’obiettivo di difesa dei caratteri attraverso la conservazione dei manufatti, la riscoperta e ripristino di quelli occultati o distrutti, sia per gli usi attuali che per quelli futuri ipotizzabili. Tra le zone di maggiore impegno, il corso del fiume Lambro, il perimetro anticamente murato e la piazza del mercato, nel quadro generale di un incremento della residenza e delle attività terziario-commerciali compatibili.
Per la periferia esistente ci si pone il problema della riqualificazione qualitativa, ambientale, di adeguamento dei servizi, nella prospettiva della stabilizzazione anziché della crescita, anche attraverso l’utilizzazione di spazi liberi o liberabili. Per le attività produttive si propone un mantenimento della destinazione d’uso se ci sono prospettive di proseguimento nella funzionalità degli impianti, o in alternativa di attribuzione delle superfici a uso residenziale, secondo piani attuativi di iniziativa privata o pubblica.
Per il parco di cintura si prevede un ruolo di carattere intercomunale, integrato con quello degli spazi liberi dei comuni limitrofi, «oggetto di un proprio piano territoriale.
Per il parco reale a nord del territorio comunale si propone un vero e proprio «restauro» dell’area, ripristinandola via via secondo modalità coerenti col progetto originario sette-ottocentesco, stabilendo quali usi sono compatibili con questo obiettivo e definendo in linea di massima: incompatibile l’ippodromo; compatibile il golf «sebbene privatizzi una vasta superficie», compatibile anche l’autodromo, previa rimozione dell’anello ad alta velocità.
Alcune sistemazioni particolari riguardano infine tra l’altro la zona industriale ai confini con Villasanta e Concorezzo, la sistemazione della Piazza del mercato, l’interramento della superstrada Valassina.
Il piano, oltre le opposizioni di chi si ritiene danneggiato da alcune scelte, suscita anche critiche di altro tipo, riassumibili nel titolo pubblicato da Urbanistica Informazioni nel 1994, «Le proposte per il Prg di Monza: una formula astratta». Nel corso del 1995, più o meno parallelamente, al momento di massima pubblicità e discussione, istituzionale e non, sul piano, entra in crisi l’insieme delle contingenze politiche che ne avevano determinato la vicenda. Il progetto completo ricalca lo schema della bozza preliminare, proponendo alla pubblica discussione anche suggestioni di immediato impatto come la possibilità di integrazione del quadrante orientale con interramento della ferrovia, il ripristino della morfologia storica della zona centrale trasformata dal piano del 1926, la ricostituzione dell’unità della zona verde settentrionale con l’abbassamento di via Boccaccio, l’abbassamento della superstrada Valassina a ovest, con recupero dell’unità dei quartieri di Triante e San Fruttuoso.
Dopo un ulteriore periodo di stasi determinato dalla crisi politica succitata, il piano pur con alcune modifiche (che non ne intaccano lo schema generale) è adottato nel luglio del 1997. Alcune modifiche sono introdotte con la “rettifica” deliberata dal Consiglio comunale nel settembre dello stesso anno.
Nota: oltre alle informazioni ulteriori disponibili nel libro da cui sono tratti questi brani (che comprende in appendice anche le Relazioni), alcuni materiali grafici a bassa risoluzione sui piani regolatori di Monza sono diponibili nel catalogo del sito Rete Archivi dei Piani Urbanistici ; per quanto riguarda il Piano di Governo del Territorio in corso di formazione - e che è oggetto delle polemiche attuali a scala nazionale - si veda il sito del Comune di Monza, pagine Territorio PRG PGT (f.b.)
Premessa
Nel precedente documento, da me presentato alla VIII Commissione il 20 aprile 1999, si delineavano i temi generali che avrebbero dovuto essere alla base del successivo lavoro parlamentare per la predisposizione di una nuova legge-quadro per il governo del territorio
Il dibattito che ne è seguito in Commissione, e le audizioni svolte a partire dall’inizio del mese di settembre, hanno apportato importanti e approfonditi contributi alla discussione e, al tempo stesso, registrato l’esistenza di un ampio consenso sulla impostazione generale del problema che tale documento prospettava.
Questo secondo documento è articolato in "schede" che cercano di sviluppare, per ora senza una specifica veste normativa, ma con linguaggio discorsivo (e qualche inevitabile ripetizione, dovuta alla natura omogenea delle schede) i temi proposti e di affrontare in modo più ravvicinato ed analitico i molti problemi da risolvere. Esso vuole quindi rappresentare un ulteriore e più elaborato contributo del relatore alla riflessione del Comitato Ristretto e di tutta la Commissione, con l' obbiettivo di giungere, dopo un approfondito confronto di merito, e con l'apporto sostanziale del governo, alla formulazione di un testo in forma di articolato che sia in grado di raccogliere il più vasto consenso tra i gruppi parlamentari e di evidenziare gli eventuali nodi residui emersi nella discussione.
SCHEDA 1 : CARATTERE DELLA LEGGE NAZIONALE
SCHEDA 2 : STATO, REGIONI, PROVINCIE, COMUNI, CITTA' METROPOLITANE
SCHEDA 3 : I PRINCIPI GENERALI
SCHEDA 4 : STRUMENTAZIONE TERRITORIALE ED URBANISTICA
SCHEDA 5 : DELEGHE AL GOVERNO (TESTO UNICO E RIORDINO FISCALE)
SCHEDA 6 : NORME TRANSITORIE E SUPPLETIVE
1. La legge riconosce e promuove l’autonomia delle Regioni e degli Enti Locali.
2. Essa è dunque una legge che definisce i princìpi fondamentali ai quali tale autonomia si deve ispirare, le modalità per la concertazione e la semplificazione normativa a tutti i livelli istituzionali, le caratteristiche metodologiche essenziali nella predisposizione della strumentazione urbanistica in tutto il territorio nazionale, le disposizioni fondamentali in materia di tutela del territorio e degli immobili che lo compongono, le norme in materia di regime giuridico e fiscale degli immobili, il ruolo dello Stato e dei suoi organi nelle materie di residua competenza statale, ed il ruolo di Regioni, Provincie, Comuni, Città metropolitane.
I princìpi nazionali sono coerenti con le direttive e gli orientamenti generali assunti dall’Unione Europea e con gli obblighi derivanti da accordi internazionali con riferimento ai temi del territorio e dell’ambiente.
1. La nuova legge-quadro nazionale dovrebbe carattere fondativo rispetto alla futura legislazione in materia di territorio. Ciò comporta, naturalmente, la esplicita abrogazione di tutte le norme nazionali attualmente vigenti che non risultino coerenti con i princìpi da essa dettati o che non appartengano più al campo delle competenze dirette dello Stato.
2. La legislazione statale così residuata verrà ricomposta in un Testo Unico Nazionale.
Anche le Regioni dovranno dotarsi di un Testo Unico delle proprie leggi e disposizioni, ed adottare provvedimenti di semplificazione e di delegificazione coerenti con le disposizioni delle leggi nazionali in materia. (vedi anche scheda 3.10 "Testi Unici", pag. 9)
1. L’esigenza di garantire ai cittadini e agli operatori economici e sociali, operanti in qualunque parte del territorio nazionale, una effettiva certezza dei diritti e dei doveri in materia di tutela e di trasformazione del territorio, è incompatibile con la inadempienza, comunque motivata, da parte delle Regioni e degli Enti Locali, nella attuazione dei princìpi e delle disposizioni nazionali.
2. A fronte di tale eventuale inadempienza, si può pensare - utilizzando la logica della "legislazione concorrente" tipica di vari Stati federali - alla predisposizione da parte del Parlamento di "norme suppletive", intendendo con tale termine norme attuative dei princìpi nazionali, la cui entrata in vigore in una determinata Regione è automatica se, entro una data prefissata dalla legge nazionale, la medesima Regione non abbia provveduto a legiferare in modo autonomo, e la cui efficacia cessa quando la Regione stessa provveda a sanare la propria inadempienza.
3. Le Regioni potranno, a loro volta, prevedere "norme suppletive" nel caso di inadempienza degli Enti Locali nell’esercizio di specifici poteri normativi loro trasferiti o delegati.
4. Analogamente, nel caso di mancata predisposizione degli strumenti territoriali e urbanistici da parte degli Enti Locali preposti, Stato e Regioni - con riferimento alle rispettive competenze - possono emanare "norme di salvaguardia" in grado di inibire determinate trasformazioni del territorio sino a quando i medesimi strumenti non siano stati predisposti e approvati.
- Indirizzo, coordinamento, legislazione di principio, norme suppletive e di salvaguardia, poteri sostitutivi;
- Recepimento delle direttive e degli indirizzi formulati dall'Unione Europea, nonché da altri accordi e intese internazionali (ad esempio "Agenda 21");
- Determinazione del Quadro Nazionale di riferimento (oppure "Linee fondamentali") dell’assetto del territorio con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché al sistema delle città e delle aree urbane.[cfr. art. 52, primo comma, D.Lg.vo n.112/1998)
- Interventi relativi alla difesa nazionale o alla prevenzione da grandi rischi;
- Istituzione di nuovi parchi nazionali o modifica dei parchi nazionali esistenti;
- Emanazione diretta di norme nelle residue materie di specifica competenza statale; (cfr. art. 54, D.Lg.vo n. 112/1998)
- Istituzione di un Osservatorio Nazionale sullo stato del territorio, d ' intesa con le Regioni e gli Enti Locali, che predisponga e tenga aggiornata una banca dati sulla pianificazione del territorio, sullo stato di attuazione dei piani urbanistici, sulle disposizioni in materia di tutela, sui rischi connessi al verificarsi di calamità naturali, e aperta alla consultazione di soggetti pubblici, operatori, associazioni. L’Osservatorio predispone e presenta al Parlamento, ogni tre anni, una relazione sullo stato del territorio nazionale.
- Nell'esercizio delle proprie funzioni lo Stato utilizza il metodo dell'intesa con le Regioni e gli Enti Locali, avvalendosi delle Conferenze Stato-Regioni e Stato-Città e autonomie locali.
- Emanano autonome leggi nel rispetto dei princìpi dettati dalla legge nazionale;
- Definiscono norme suppletive, norme di salvaguardia, e poteri sostitutivi per i casi di inadempienza degli Enti Locali;
Esercitano le funzioni di indirizzo e coordinamento;
- Determinano il Quadro Regionale di riferimento per la tutela del territorio, dell’ambiente,
dei beni culturali, e per la realizzazione delle infrastrutture di interesse regionale, ed i criteri generali della pianificazione territoriale ed urbanistica.
- Istituiscono parchi e aree protette;
- Sono trasferite alle Regioni e agli Enti Locali tutte le funzioni amministrative non espressamente mantenute allo Stato dal D.Lg.vo n. 112/1998.
- Delegano o trasferiscono agli Enti Locali tutte le funzioni che possono essere da essi
direttamente esercitate, e ne verificano il corretto utilizzo.
- Istituiscono l’Osservatorio Regionale sullo stato del territorio con modalità coerenti con
quelle utilizzate per l’istituzione dell’Osservatorio Nazionale;
- Nell’esercizio delle proprie funzioni, le Regioni e le Provincie autonome utilizzano il metodo della concertazione con gli Enti Locali.
- Predispongono e approvano il piano territoriale provinciale;
- Convocano la Conferenza Territoriale Provinciale. (vedi scheda 3.3 "Concertazione", pag. 7)
- Predispongono e approvano i piani urbanistici comunali;
- Convocano la Conferenza Urbanistica Comunale; (vedi scheda 3.3 "Concertazione", pag. 7)
- Rilasciano le concessioni e le autorizzazioni previste dalle leggi;
- Definiscono entità e modalità di corresponsione degli oneri di urbanizzazione, sulla base
delle disposizioni regionali;
- Esercitano la vigilanza sull’attività urbanistica ed edilizia;
Attuano i piani urbanistici comunali con interventi diretti, con interventi dei privati e con società miste;
- Possono esercitare le proprie funzioni anche in forma associata con altri Comuni,sia utilizzando Enti già istituiti (ad esempio le Comunità montane), sia con nuove forme associative finalizzate alla pianificazione del territorio, dei servizi, dei trasporti.
- Ove costituite, esercitano le funzioni attribuite a Provincie e Comuni con riferimento al territorio di propria competenza;
- Convocano la Conferenza Metropolitana, sostitutiva della Conferenza Territoriale e Urbanistica.
Sono di competenza del Comune tutte le funzioni non esplicitamente attribuite dalla legge, nazionale e regionale, alla Regione o alla Provincia.
Inoltre Stato e Regioni, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, attribuiscono a Provincie e Comuni tutte le funzioni che possono essere dagli stessi direttamente esercitate, eventualmente anche in forma associata..
1.La tutela dell’ambiente, dell’integrità fisica del territorio e della sua identità culturale sono il presupposto di ogni trasformazione territoriale ed urbanistica.
2.L’uso e la trasformazione del territorio, definiti per mezzo di piani territoriali e urbanistici, trovano i propri limiti nella necessità di preservare le risorse non rinnovabili, di favorire il recupero di risorse rinnovabili andate perdute o degradate, di ridurre i danni per il territorio e per l’ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura.
3. L’uso e la trasformazione del territorio devono dare priorità alla riqualificazione del territorio già urbanizzato rispetto all’utilizzo di territorio non urbanizzato, e fondarsi su un documentato bilancio delle risorse naturali disponibili. (Ad esempio bilancio idrico)
4. I Quadri di riferimento nazionale e regionale sulla tutela del territorio, dell’ambiente, dei beni culturali, delle infrastrutture, definiscono e aggiornano i criteri sulla base dei quali deve essere predisposta la pianificazione territoriale ed urbanistica, ed i limiti consentiti per le possibili trasformazioni, in modo tale che il relativo bilancio ecologico risulti positivo.
5. I piani di settore ed i vincoli relativi alla tutela ambientale e dei beni culturali, alla difesa del suolo, al rischio sismico, sono recepiti dalla pianificazione territoriale ed urbanistica e armonizzati tra loro con le procedure di concertazione previste dalla legge.
1. La concertazione è il metodo adottato da tutti i soggetti istituzionali per la predisposizione delle previsioni territoriali ed urbanistiche, per il loro aggiornamento e la loro modifica.
2. Lo Stato si avvale, a questo scopo, delle Conferenze Stato-Regioni e Stato-Città e autonomie locali.
3. Le Regioni istituiscono, al medesimo scopo, apposite Conferenze Regione-Enti Locali.
4. La predisposizione dei piani territoriali ed urbanistici è realizzata, dall’Ente titolare di questa funzione, con il concorso e la concertazione (co-pianificazione) con tutti i soggetti aventi titolo ad apporre vincoli, predisporre piani di settore, realizzare e gestire infrastrutture fondamentali, amministrare parchi nazionali e regionali, esprimere pareri, e con tutti i soggetti interessati operanti nel territorio di competenza.
5. La sedi istituzionali della concertazione sono la Conferenza Territoriale,convocata dalla Provincia, per l’esame dei piani territoriali provinciali, e la Conferenza Urbanistica, convocata dal Comune, per l’esame dei piani urbanistici comunali.
6. La Conferenza Territoriale e la Conferenza Urbanistica esaminano e discutono la proposta di piano presentata, rispettivamente, dalla Provincia e dal Comune,provvedono al recepimento e al coordinamento di tutte le disposizioni vigenti riferite al territorio in questione, e assumono decisioni con le stesse modalità previste dalle leggi vigenti per la Conferenza di Servizi.
7. Tali decisioni sono impegnative per tutti i soggetti convenuti, e tengono luogo di ogni parere o atto di competenza dei medesimi soggetti.
8. Le decisioni della Conferenza Territoriale e della Conferenza Urbanistica non possono modificare, senza il consenso delle amministrazioni interessate, le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali, dell’ambiente, e quelle relative al rischio idrogeologico e al rischio sismico.
9. Qualora un piano territoriale provinciale o un piano urbanistico comunale siano stati approvati con le procedure di concertazione previste dalla presente legge, i poteri statali di integrazione degli elenchi dei beni ambientali sottoposti a vincolo sono esercitabili solo in presenza di un fatto sopravvenuto o di una motivata riconsiderazione dell’interesse pubblico, e recepiti dai medesimi piani con la stessa procedura di concertazione.
1. I soli piani che producono effetti direttisull’usoe sulla trasformazione del territorio sono i piani urbanistici comunali, nei quali sono esplicitamente previste tutte le disposizioni riguardanti la tutela del territorio e degli immobili che lo compongono e tutte le norme e le prescrizioni, anche di carattere settoriale, relative alla loro conservazione e adeguamento funzionale o alla loro possibile trasformazione urbanistica, nonché le disposizioni relative alle infrastrutture, alle attrezzature, e ai servizi pubblici.
2. Esso rappresenta dunque la "Carta unica" delle previsioni e delle disposizioni relative al territorio del Comune.
1. Le concessioni e le autorizzazioni sono rilasciate dal Comune con un unico atto comprensivo di altre autorizzazioni, nulla osta, pareri e assensi di tutte le altre autorità, anche statali, eventualmente competenti.
2. La legge regionale disciplina le modalità per la costituzione e il funzionamento dello sportello unico per le concessioni e le autorizzazioni da parte dei Comuni, a tale scopo eventualmente anche associati tra loro, e fornisce loro tutta l’assistenza necessaria.
1. La pianificazione territoriale ed urbanistica predisposta con le modalità della presente legge non è soggetta, dopo la sua approvazione da parte dell’Ente Locale competente, ad alcun controllo di merito da parte di Enti pubblici di scala territoriale maggiore, che possono esercitare soltanto una verifica di conformità del piano alle disposizioni dagli stessi Enti emanate e alle determinazioni delle Conferenza Territoriale e della Conferenza Urbanistica.
2. Non è ammessa inadempienza nella attuazione delle leggi nazionali e regionali.
3. Nel caso in cui, per qualunque motivo, si verifichi una inadempienza, si possono ipotizzare le seguenti forme di intervento:
- Nel caso di inadempienza rispetto alla emanazione di norme, l’entrata in vigore di norme suppletive.
- Nel caso di inadempienza rispetto ad atti determinati, l’adozione di interventi sostitutivi.
- Nel caso di inadempienza rispetto alla approvazione di piani territoriali e urbanistici, l’emanazione di norme straordinarie di salvaguardia in grado di inibire determinate attività di trasformazione del territorio sino alla approvazione dei piani medesimi, la sospensione dei finanziamenti per opere pubbliche, nonché la nomina di commissari ad acta.
1. La procedura di formazione dei piani territoriali ed urbanistici deve prevedere adeguate occasioni di informazione e di consultazione delle forze economiche e sociali, delle associazioni operanti sul territorio, e di tutti i cittadini.
2. Le leggi regionali prevedono lemodalità per lo svolgimento della consultazione, che avviene sulla base di una proposta di piano formulatadall’Ente locale interessato, la quale evidenzi in modo esplicito le scelte fondamentali e la valutazione delle loro prevedibiliconseguenze sull’assetto del territorio considerato, e che deve avere luogoprima della conclusione delle Conferenze Territoriali o Urbanistiche.
1. Il Comune esercita la vigilanza in materia di attività urbanistica ed edilizia.
2. Ogni violazione delle norme urbanistiche è punita sulla base della legge nazionale.
3. Essa comporta la demolizione dei manufatti abusivi da parte del proprietario e, in caso di inadempienza, il trasferimento a titolo gratuito al patrimonio pubblicodel manufatto e dell’area di pertinenza, e la sua demolizione a spese del proprietario medesimo.
1. Il piano urbanistico operativo comunale individua gli immobili suscettibili di trasformazione urbanistica nel periodo di tempo corrispondente alla durata della propria validità, e li include in comparti urbanistici, nei quali i diritti edificatori e le obbligazioni verso il Comune sono ripartiti sulla base del valore dei beni da ogni proprietario posseduti in rapporto al valore totale degli immobili inclusi nel comparto.(vedi scheda 4.8 "Comparto urbanistico", pag. 13)
2. Nelle parti del territorio incluse nel piano urbanistico operativo, ma non incluse in comparti urbanistici, possono essere vincolati immobili per la realizzazione di infrastrutture, attrezzature, servizi pubblici e aree verdi. Tali immobili sono espropriati dal Comune prevedendo, entro tempi certi fissati dalla legge nazionale, un equo ristoro a favore degli aventi diritto, o forme di indennizzo compensativo.
3. Nelle parti del territorio comunale non incluse nel piano urbanistico operativo, il Comune acquista immobili, da includere nel proprio demanio, al valore corrente del mercato.
1. Le norme statali in materia di territorio e urbanistica sono raccolte in un Testo Unico Nazionale.
2. Esso raggruppa le norme vigenti che siano relative a competenze dello Stato e conformi ai princìpi della legge, ed abroga esplicitamente le norme non aventi tali requisiti.
3. Le leggi nazionali emanate dopo la data di entrata in vigore del Testo Unico Nazionale devono esplicitamente abrogare, modificare, integrare le norme del Testo Unico medesimo.
4. Le Regioni raccolgono e coordinano la propria legislazione in materia di territorio e urbanistica in un Testo Unico Regionale, aggiornato con le stesse modalità previste per il Testo Unico Nazionale.
1. Indica gli indirizzi generali ai quali si deve ispirare la pianificazione territoriale ed urbanistica, gli elementi fondamentali per la tutela del territorio, dell’ambiente, del paesaggio, dei beni culturali, le caratteristiche delle grandi infrastrutture e del sistema dei trasporti, le misure di prevenzione nei confronti dei rischi idrogeologici e sismici, le previsioni in materia di parchi nazionali e di aree protette, le politiche settoriali.
2. Fanno parte integrante del Quadro Nazionale i princìpi e le disposizioni contenute nelle norme nazionali vigenti in materia di tutela e pianificazione del territorio.
4.2 Quadro Regionale di riferimento
1. Indica, con riferimento al territorio regionale, gli indirizzi relativi alle materie previste dal Quadro Nazionale, precisando inoltre gli ulteriori elementi di tutela del territorio, dell' ambiente, della natura e delle bellezze naturali, nonchè le scelte infrastrutturali considerate fondamentali, le politiche settoriali regionali, e le direttive sulle quali si deve basarela pianificazione degli Enti Locali.
2. Il Quadro Regionale indica inoltre i criteri per la localizzazione delle infrastrutture, per il dimensionamento delle previsioni urbanistiche, per la determinazione degli oneri di urbanizzazione, per la definizione degli standard urbanistici.
3. Il Quadro Regionale deve essere coerente al Quadro Nazionale.
4. In caso di conflitto tra Quadro Nazionale e Quadro Regionale, decide sulle questione il Consiglio dei ministri, sentita la Regione interessata e la Conferenza Stato-Regioni.
1. Il Piano Territoriale Provinciale ha carattere strutturale, definisce gli elementi fondamentali dell’assetto del territorio e del sistema infrastrutturale, ed i criteri per la valutazione del dimensionamento delle previsioni urbanistiche.
2. Esso ha il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, delle acque, e della difesa del suolo, e della tutela delle bellezze naturali (cfr. art. 57, D.Lg.vo n. 112/1998), e recepisce gli indirizzi e le prescrizioni derivanti dal Quadro Nazionale, dal Quadro Regionale, o da altri piani di settore.
3. Il Piano Territoriale ha una durata a tempo indeterminato.
4. Il Piano Territoriale predisposto dalla Provincia, è approvato dalla Provincia medesima dopo la conclusione della Conferenza Territoriale prevista dalla legge.
5. L 'aggiornamento o la modifica del Piano Territoriale sono predisposti ed approvati con le stesse modalità previste per la prima predisposizione e approvazione.
Il Comune predispone il piano urbanistico strutturale e il piano urbanistico operativo.
a) Il Piano Urbanistico Strutturale
1. Il piano urbanistico strutturale ha il medesimo valore e gli effetti del Piano Territoriale Provinciale, di cui recepisce le disposizioni, definisce gli elementi del territorio comunale considerati costitutivi, invarianti, o consolidati, ed ha durata a tempo indeterminato.
2. Esso indica gli obbiettivi generali in termini di prestazioni urbane e ambientali, i criteri per la valutazione del fabbisogno abitativo, per la individuazione di immobili idonei a soddisfare il fabbisogno arretrato di servizi, e le parti del territorio non suscettibili di trasformazione urbanistica o di consolidata urbanizzazione, nonché gli immobili assoggettati a tutela.
3. Esso indica le parti del territorio nelle qualii piani urbanistici operativi possono invece prevedere interventi di trasformazione urbanistica, distinguendole secondo caratteristiche di omogeneità (aree dismesse, da ristrutturare, interstiziali, di nuovo insediamento, ecc.).
4. Esso definisce inoltre le regole per gli interventi di manutenzione urbana e la normativa tecnica (o "regolamento") relativa agli immobili assoggettati a tutela, agli interventi e alle funzioni urbane ammissibili nelle parti del territorio comunale di consolidata urbanizzazione, o non suscettibili di trasformazione urbanistica, o comunque non incluse nei piani urbanistici operativi, anche distinguendole per categorie omogenee. (ad esempio: città storica, aree di consolidata urbanizzazione, aree agricole, aree di particolare pregio ambientale, ecc.).
5. Il piano urbanistico strutturale viene approvato dal Comune dopo la conclusione della Conferenza Urbanistica Comunale. Esso viene aggiornato o modificato dal Comune con le stesse modalità previste per la sua prima predisposizione,e non sono ammesse altre modalità di aggiornamento o modifica. [Ciò comporta la esplicita abrogazione di tutti gli istituti derogatori alla pianificazione urbanistica stratificatisi nella legislazione nazionale].
b) Il Piano Urbanistico Operativo
1. Recepisce gli indirizzi e le prescrizioni del piano urbanistico strutturale. Esso individua gli immobili soggetti a trasformazione urbanistica e li include in comparti urbanistici fornendo, per ogni comparto, indicazioni specifiche sulle trasformazioni ammissibili, le loro quantità in termini edificatori, le riserve a favore del Comune. Esso inoltre, nelle parti del territorio comunale non soggette a trasformazione urbanistica, può individuare gli immobili da sottoporre a vincolo finalizzato alla espropriazione per la realizzazione di infrastrutture, di attrezzature, di servizi pubblici e di aree verdi.
2. Il piano urbanistico operativo include gli interventi previsti dal programma pluriennale per le opere pubbliche, quantifica gli oneri finanziari a carico del Comune per la realizzazione degli interventi di propria competenza, e ne indica le fonti di finanziamento.
3. Il piano urbanistico operativo viene approvato dal Comune, ed ha la durata di cinque anni.
4. Il Comune può, qualora ciò risulti opportuno, convocare la Conferenza Urbanistica per sottoporre alla medesima il piano urbanistico operativo prima della sua approvazione.
5. Il piano urbanistico operativo viene aggiornato o modificato dal Comune con le stesse modalità previste per la sua prima predisposizione, non può modificare il piano urbanistico strutturale,enon sono ammesse altre modalità di aggiornamento o modifica.
1. Ove costituite, le Città metropolitane predispongono il Piano Territoriale Metropolitano, il quale sostituisce, a tutti gli effetti e con le stesse modalità, con riferimento al territorio di competenza, il Piano Territoriale Provinciale e il Piano strutturale comunale.
2. Esse predispongono inoltre il Piano Urbanistico Operativo Metropolitano che sostituisce, a tutti gli effetti, il Piano Urbanistico Operativo Comunale.
1. I piani di settore, comunque denominati, mantengono la loro autonoma validità sino alla approvazione, con le modalità di concertazione previste dalla legge, dei piani territoriali provinciali e dei piani urbanistici comunali, i quali includono anche tutte le prescrizioni di carattere settoriale.
2. Qualora un nuovo piano di settore sia approvato dalla autorità competente successivamente alla approvazione del piano territoriale o dei piani urbanistici, a seguito di un fatto sopravvenuto o di una motivata riconsiderazione dell’interesse pubblico, la medesima autorità chiede alla Provincia e al Comune interessati la convocazione della Conferenza Territoriale e della Conferenza Urbanistica per l’immediato recepimento negli strumenti urbanistici delle direttive in tale piano di settore contenute.
1. I vincoli finalizzati alla espropriazione sono previsti esclusivamente dal piano urbanistico operativo e la loro validità decade al termine della durata dello stesso piano, se entro tale data non sia stato deliberato l’esproprio dell’immobile sottoposto a vincolo.
[ ALTRA SOLUZIONE: Il vincolo può essere reiterato una sola volta. In tale caso la legge prevede un indennizzo, anche in forma compensativa, a favore del proprietario per il pregiudizio che la reiterazione del vincolo può comportare a danno del proprietario medesimo].
2. Il bilancio del Comune prevede uno specifico stanziamento per l’acquisizione degli immobili vincolati e le fonti di entrata che ne assicurano la copertura finanziaria.
3. Nei comparti urbanistici, in luogo della apposizione, su specifici immobili, di vincoli finalizzati alla espropriazione, il Comune indica la quantità e, ove necessario, la localizzazione degli immobili da cedere gratuitamente al Comune medesimo per la realizzazione di attrezzature, servizi pubblici, e di aree verdi.
1. Il comparto urbanistico è un insieme di immobili perimetrato dal Piano urbanistico operativo comunale, che ne fissa le possibili trasformazioni urbanistiche ed edilizie, la volumetria complessiva, le tipologie di intervento, le funzioni urbane ammissibili, i diritti edificatori e la quantità di immobili da cedere gratuitamente al Comune per la realizzazione di attrezzature, servizi, aree verdi, edilizia residenziale pubblica, ed altre disposizioni ritenute utili.
2. I diritti edificatori attribuiti al comparto, espressi in termini volumetrici o di superficie sono certificati dal Comune, e sono ripartiti tra i proprietari in proporzione alla quota, da ciascuno di essi detenuta, del complessivo imponibile accertato ai fini della Imposta Comunale sugli Immobili (eventualmente anche calcolato come media di alcuni anni precedenti, ad esempio cinque anni)di tutti gli immobili inclusi nel comparto. Nel caso siano inclusi nel comparto suoli precedentemente classificati come non edificabili, l’imponibile ICI è determinato dall’Ufficio Tecnico Erariale sulla base dei valori accertati per altri immobili aventi caratteristiche analoghe.
3. Fermi restando i diritti edificatori spettanti ai proprietari inclusi nel comparto, il piano urbanistico operativo attribuisce al Comune, a titolo gratuito, una quota aggiuntiva di diritti edificatori, finalizzata alla realizzazione di attrezzature e servizi pubblici, nonché di edilizia residenziale pubblica.
4. La Regione fissa i limiti minimi e massimi della quota di diritti edificatori attribuiti gratuitamente al Comune nei comparti da parte del piano urbanistico operativo comunale.
5. Il comparto urbanistico può essere attuato direttamente dal Comune mediante acquisizione dei diritti edificatori, oppure da privati, e da società miste costituite dal Comune e dal altri soggetti pubblici e privati, sulla base di apposito convenzionamento.
6. I detentori, singoli o tra loro associati, di una quota superiore al 50 % dei diritti edificatori complessivi attribuiti ad un comparto urbanistico, possono decidere la attivazione del comparto stesso. In tale caso essi acquisiscono mediante procedura di esproprio, al prezzo fissato sulla base del valore venale dall’Ufficio Tecnico Erariale, i rimanenti diritti edificatori da quei detentori che abbiano rifiutato di partecipare alla attivazione del comparto.
7. Nel caso di inerzia dei proprietari del comparto, il Comune può decidere l 'esproprio degli immobili inclusi del comparto medesimo e procedere alla sua attuazione direttamente, o per mezzo di società miste, o di operatori privati scelti con procedure di evidenza pubblica.
8. In occasione della attuazione di comparti urbanistici, o della realizzazione di opere pubbliche, è inoltre prevista la facoltà, per gli operatori, di avanzare specifiche proposte organizzative e finanziarie al Comune il quale decide, ove le ritenga meritevoli di attenzione, per mezzo di procedure di evidenza pubblica, dando priorità - a parità di altre condizioni - alle proposte avanzate dai proprietari di immobili sottoposti a vincolo o inclusi nel comparto interessato.
9. I diritti edificatori sono liberamente commerciabili, ma non possono essere trasferiti in altri Comparti diversi da quello al quale sono stati attribuiti. [La limitazione nasce dalla necessità di evitare trasferimenti volumetrici da un comparto ad un altro, in violazione del dimensionamento edificatorio dei comparti e dei servizi pubblici definito dal piano urbanistico operativo]
1. I piani urbanistici dei Comuni devono prevedere una adeguata dotazione di immobili per attrezzature e sevizi pubblici, che le Regioni definiscono in termini di prestazioni e, ove ritenuto necessario, in termini quantitativi minimi.
2. Le Regioni possono anche prevedere, per particolari attrezzature di interesse pubblico
(ad es. parcheggi), la possibilità per i privati di concorrere alla loro realizzazione e gestione.
3. In tale caso il privato opera sulla base di una convenzione con il Comune oppure per mezzo di una società mista con il Comune medesimo.
4. Nei comparti urbanistici gli standard sono inclusi nella quota di immobili e di diritti edificatori di cui è prevista la cessione al Comune.
Per la realizzazione degli interventi previsti dal piano operativo nei comparti urbanistici, il Comune può costituire, con altri soggetti pubblici e privati, apposite società, alle quali può anche essere delegata la realizzazione delle attrezzature e dei servizi pubblici previsti nel comparto stesso, e le relative procedure di esproprio degli immobili interessati, nonché la attuazione di comparti, sia per iniziativa del Comune, sia in caso di inerzia da parte dei proprietari o di un loro rifiuto di partecipare all’iniziativa.
1. I Comuni provvedono al rilascio di titoli abilitativi alla attività edilizia mediante lo strumento dello sportello unico.
2. Le Regioni possono prevedere i casi nei quali l’attività edilizia non richieda specifiche autorizzazioni preventive, specificando le modalità di vigilanza sulla medesima attività, anche mediante apposite agenzie.
3. Sono in ogni caso soggette a concessione le opere relative a trasformazioni urbanistiche e gli interventi su immobili oggetto di specifica tutela da parte del piano urbanistico strutturale.
1. Nel comparto urbanistico sono esenti da ogni imposta sui trasferimenti di proprietà tutti gli atti di compravendita finalizzati alla realizzazione del comparto medesimo. Tali imposte si applicano, al momento della approvazione del progetto relativo al comparto da parte del Comune, solo alle eventuali plusvalenze finali derivanti da atti di compravendita intervenuti per consentire l’attivazione del comparto medesimo.
1. Qualora le opere risultino già inserite nel piano urbanistico strutturale dei Comuni interessati, il progetto delle medesime è recepito nei piani urbanistici operativi dei Comuni stessi.
2. In caso contrario, la amministrazione competente chiede la convocazione della Conferenza Urbanistica per il recepimento del progetto delle opere in questione nel piano urbanistico strutturale e, ove del caso, nel piano urbanistico operativo dei Comuni interessati.
Il Governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge-quadro un Testo Unico Nazionale delle leggi nazionali in materia di territorio e urbanistica sulla base dei seguenti principi:
a) conformità con i principi e le disposizioni della legge-quadro
b) si tratti di materie appartenenti alle residua competenza dello Stato
Il Testo Unico abroga in modo esplicito tutte le norme nazionali non aventi i due requisiti precedenti.
[AVVERTENZA: Il governo sta già predisponendo Testi Unici delle leggi attualmente vigenti in materia di ambiente e tutela del territorio, e di urbanistica ed espropriazione, sulla base di una specifica delega del Parlamento prevista dalla legge 8 marzo 1999, n. 50. Tali Testi Unici devono essere predisposti entro il 31 dicembre 2001. Poiché la nuova legge-quadro potrebbe restringere in modo significativo le norme nazionali di residua competenza dello Stato e rendere incompatibili con i suoi princìpi talune norme vigenti, è necessaria una tempestiva azione di coordinamento.]
Il governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge-quadro, nuove norme relative alla fiscalità immobiliare sulla base dei seguenti principi:
a) progressiva eliminazione di ogni imposta sui trasferimenti di proprietà
b) affidamento ai Comuni di tutte le funzioni relative all’ICI, inclusa la possibilità di una graduazione delle aliquote in funzione della rilevanza sociale delle trasformazioni urbanistiche o degli oneri derivanti da vincoli urbanistici, e mantenendo allo Stato le funzioni di indirizzo e di vigilanza.
c) progressivo allineamento del trattamento fiscale dei redditi derivanti dalla locazione di immobili a quello definito per i redditi derivanti da investimenti finanziari.
La Legge-quadro, prevede norme transitorie aventi per oggetto le seguenti materie:
- I tempi per l’approvazione, da parte delle Regioni e degli Enti Locali, dei provvedimenti normativi o attuativi previsti dalla legge-quadro.
- Norme di raccordo tra la legislazione vigente e le disposizioni della legge-quadro, in attesa della emanazione del Testo Unico Nazionale (questione dei vincoli di inedificabilità ultra quinquennali e loro indennizzabilità, permanenza delle norme e dei piani sovra-ordinati sino alla attivazione della procedura di Concertazione, ecc.).
Allegate alla legge-quadro sono emanate norme suppletive la cui entrata in vigore è differita e subordinata al verificarsi di determinate inadempienze da parte delle Regioni e degli Enti Locali.
Le norme suppletive avranno per oggetto le seguenti materie:
- Sussidiarietà
- Concertazione
- Unicità del piano urbanistico
- Sportello unico e procedure
- Piani Territoriali e Piani Urbanistici
- Comparti Urbanistici
Il testo è sul tavolo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Lo ha messo a punto una commissione presieduta dal presidente del Tar del Lazio, Pasquale de Lise, e non mancherà di far discutere.
Doveva essere un semplice decreto legislativo (previsto da una legge delega dello scorso aprile) per recepire, entro il 31 gennaio prossimo, due direttive comunitarie, che hanno l’obiettivo di introdurre maggiore concorrenza nei lavori pubblici. E invece, con quel pretesto, gli esperti del governo hanno scritto un vero codice degli appalti che ridefinisce da cima a fondo l’intera disciplina del settore. Un coacervo di 278 articoli che non accoglie certamente le ripetute sollecitazioni del presidente della Repubblica Ciampi perché si evitino le normative troppo estese e incomprensibili.
Ma che, soprattutto, potrebbe assestare, se venisse ratificato così com’è, un colpo forse definitivo alla famosa legge sui lavori pubblici che porta il nome dell’ex ministro Francesco Merloni. E per giunta proprio sul finire della legislatura.
Non è un mistero, del resto, che il governo di Silvio Berlusconi, e in particolare il ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, abbiano sempre considerato da superare quelle norme, varate nel 1994 dopo l’emergenza di Tangentopoli. Ma il Parlamento aveva esplicitamente stabilito che nessuna modifica di quel provvedimento sarebbe stata possibile con delega governativa.
Nonostante questo, il nuovo decreto legislativo interviene in profondità proprio sui paletti che la Merloni aveva piantato. Per prima cosa equipara sostanzialmente la trattativa privata alle altre modalità di appalto pubblico. Inoltre rende facoltativa la scelta fra il metodo del cosiddetto “massimo ribasso” e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. E amplia il campo di applicazione delle offerte “anomale”. Sarà quindi prerogativa esclusiva della “stazione appaltante” il ricorso alla licitazione privata e la scelta delle imprese da invitare.
Ma c’è dell’altro. Tutta la procedura delle gare viene di fatto riscritta. È previsto il ricorso alle società miste fra soggetti pubblici e privati come strumento di carattere generale e non, com’è ora, in via eccezionale rispetto all’appalto pubblico o alla concessione. Il decreto legislativo interviene quindi anche sulla materia delle progettazioni, delle concessioni e del contenzioso. Senza contare una nuova disciplina per la valutazione d’impatto ambientale delle grandi opere. Il tutto, se verrà approvato, da lasciare in eredità al futuro governo. Magari con un bel carico di rogne alla Corte costituzionale.
Stefano Boco : Una proposta unitaria del centrosinistra
Fabrizio Vigni : Lo stato dell' arte in parlamento
Luigi Scano : I punti fondamentali per le linee guida per una nuova legge urbanistica
Gavino Angius, Dario Franceschini, Alfonso Pecoraro Scanio, Marco Rizzo, Antonio Di Pietro, Luigi Malabarba , Giovanni Crema
Vezio De Lucia, Pierluigi Cervellati, Francesco Indovina , Luigi Scano, Paolo Berdini, Maria Pia Ranza, Alberto Mambriani, Paolo Rigamonti, Elio Garzillo, Vincenzo Cerulli Irelli, Guido Alborghetti, Edoardo Salzano , Giuseppe Papagno, Giancarlo Paba, Filippo Ciccone
Sauro Turroni
Francesco Mezzatesta
Sono stati invitati rappresentanti delle associazioni ambientaliste, professionali, di categoria, delle aree protette, dei sindacati.
Nella scorsa legislatura, per l’ennesima volta, il tentativo di dotare il nostro paese di una moderna legge urbanistica è fallito. Da allora il nuovo titolo V della costituzione che ridisegna le competenze dello Stato e delle regioni, i numerosi ulteriori provvedimenti deregolatori introdotti dal governo, da ultimo il condono edilizio, hanno ulteriormente mutato il quadro di riferimento e reso ancor più necessaria una riflessione sull’argomento “ nuova legge per il governo del territorio “.
Alla Camera è ripartito l’esame di diversi testi di legge presentati da quasi tutti i gruppi parlamentari per iniziativa del gruppo di Forza Italia e si sta per giungere ad un testo unificato senza che nel centrosinistra vi sia stato un confronto politico approfondito sia sui contenuti di una proposta comune da contrapporre a quella della destra, sia sulle modalità del confronto parlamentare e della stessa opposizione.
I Verdi propongono di superare questo ritardo e a fronte della provocazione del condono edilizio che devasterà ulteriormente il nostro Paese ed ai reiterati tentativi di svenderne il patrimonio storico artistico e la memoria stessa, hanno organizzato questo incontro che vuole essere il punto di partenza per la definizione di una chiara alternativa alla politica dei condoni e della deregulation che porti ad una proposta unitaria di una nuova legge di governo del territorio, definita con il concorso di tutte le forze politiche dell’opposizione e con il contributo di un qualificatissimo gruppo di esperti .
Segreteria del convegno : tel. 06/67064327- 3327 , fax 06/68808856
1. Posizione e rilevanza gerarchica dei principi generali (schede n. 1 e 3)
I Principi generali (attualmente trattati dalla scheda n. 3)dovrebbero trovare collocazione - a un tempo logica e topografica - in apertura del testo di legge
Per quanto riguarda i contenuti specifici, si assiste all’equiparazione ed omologazione di principi fra loro indubbiamente difformi per la portata giuridica (principi di riferimento per norme a carattere generale e principi di riferimento per legislazioni settoriali e specifiche) e dunque per il livello gerarchico.
Secondo quanto proposto alla Scheda 3 sono infatti allo stesso titolo “principi generali” della legge i seguenti:
- sussidiarietà
- sviluppo sostenibile
- concertazione (co-pianificazione)
- unicità della pianificazione
- sportello unico
- autonomia e responsabilità
- partecipazione
- legalità urbanistica
- perequazione immobiliare
- testi unici
Occorre di conseguenza procedere ad una disamina di quanto elencato ed argomentato, che porti a distinguere i principi fondamentali cui si ispira la legge, in armonia con altre fonti normative a carattere generale, sia sul piano internazionale(recepimento di trattati internazionali (trattato sull’Unione europea), adesione ad organismi internazionali (Nazioni Unite), sia su quello nazionale ( nuovo ordinamento delle autonomie locali, riforma della pubblica amministrazione e semplificazione amministrativa).
Tali principi generali sono:
- sviluppo sostenibile (sulla base delle definizioni maturate in sede di Nazioni Unite)
- sussidiarietà (sulla base della definizione del trattato per l’Unione Europea, secondo la lettura datane dal comma 3 lettera a) dell’art. 3 legge 59/97); per quanto riguarda l’assunzione di tale principio e del precedente, qui si può fare riferimento alla “coerenza” esplicitata al punto 1.2. delle schede relativo a Direttive europee ed oaccordi internazionali;
- adeguatezza (che specifica il precedente, in relazione all’idoneità dell’amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni; nel caso delle tematiche legate alla pianificazione del territorio, è ovvio che tale idoneità riferita dalla legge 59/97 a fattori meramente organizzativi, debba estendersi anche ai contenuti degli atti di pianificazione ed alle relative scale adeguate per predisporre interventi efficaci);
- differenziazione (che specifica i due precedenti, prevedendo un’allocazione delle funzioni che tenga conto delle diverse caratteristiche degli enti riceventi);
- concertazione (co-pianificazione), da rubricare nella categoria della cooperazione istituzionale, anch’essa presupposta dalla legge 59/97.
- autonomia e responsabilità, ciò che riassume anche il principio dell’unicità della pianificazione, quale specifica modalità dell’attribuzione ad un unico soggetto delle funzioni;
- partecipazione.
Detti principi a carattere generale dovrebbero trovare sede nella prima parte della legge (una sorta di scheda 0, da inserire), ancor prima che ne sia data specifica traduzione normativa (ad es., per ciò che riguarda la sussidiarietà: ai Comuni compete..., ecc.)
Per quanto riguarda i principi specifici, e dunque quelli di:
- legalità urbanistica
- perequazione immobiliare
- testi unici
essi potranno opportunamente trovare luogo tra gli enunciati relativi al carattere della legge nazionale. In questo senso si propone di inserire una parte dedicata agli obiettivi della legge, che potrebbe riprendere quanto detto al punto 1.1, corredandolo altresì dei temi seguenti:
- promozione della semplificazione normativa anche attraverso la redazione di testi unici (da affermare come programma generale di riordino normativo del complesso della materia)
- garanzia della legalità urbanistica e predisposizione di adeguate sanzioni (da affermare come principio generale della materia);
- promozione della perequazione immobiliare (come sopra).
Per ciò che riguarda la voce sportello unico, non si ritiene affatto che questa corrisponda a un principio, trattandosi piuttosto di uno strumento destinato a dare attuazione al principio di responsabilità ed unicità delle attività di amministrazione e per questa via di pianificazione. Pertanto si propone la sua contestualizzazione in questo senso.
Sempre nella parte relativa a caratteri ed obiettivi della legge, manterrei senz’altro le norme riferite ad inadempienza e legislazione concorrente, ivi compreso quanto previsto in materia di norme di salvaguardia, per dare l’opportuno giusto rilievo alla cogenza dei disposti di una legge quadro che fa propria una serie di principi.
2. a Carta unica del territorio
Per quanto riguarda i compiti di cui alla scheda 2, si sottolineano le funzioni individuate per ciascun livello di governo in materia di pianificazione, ed in particolare:
- Stato: redazione di un Quadro Nazionale di Riferimento (altrimenti denominato “Linee fondamentali”) dell’assetto del territorio, con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali; a questo si aggiungono “interventi” (che possono anche assumere forma normativa, e disciplinare autonomamente strumenti di pianificazione sottordinati, come nel caso della legge 267/98, in materia di prevenzione del rischio idrogeologico) per la “prevenzione da grandi rischi”;
- Regioni e Province autonome: redazione di un Quadro Regionale di Riferimento o Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale per la tutela del territorio, dell’ambiente, dei beni culturali, e per la realizzazione delle infrastrutture di interesse provinciale;
- Province e Città Metropolitane: redazione del piano territoriale provinciale o metropolitano
- Comuni: redazione dei piani urbanistici comunali.
Alla luce dei contenuti minimi indicati dalle schede, si propone che l’insieme di tali contenuti trovi relazione con quanto proposto dalla Scheda 3 punto 4 comma 2 in materia di carta unica del territorio.
In particolare, è necessario un chiarimento su alcuni punti:
per ciò che riguarda la pianificazione provinciale o metropolitana: deve essere esplicitato che, qualora adeguato ai disposti di legge ed al complesso di previsioni dei piani e/o quadri di riferimento sovraordinati, anche sulla base di specifici accordi del tipo di quelli previsto all’art. 57 del dlg 112/98 (per esempio con le Autorità di Bacino competenti), il PTCP rappresenta la carta unica del territorio ai fini della, e come riferimento per la, pianificazione sottordinata (piani regolatori dei Comuni, ma anche strumenti a valenza urbanistica disposti da altri enti, come i piani di sviluppo delle Comunità montane, cfr. art. 29 comma 4 legge 142/90 modificata dalla legge 265/99).
per ciò che riguarda la pianificazione comunale, e in conseguenza di quanto detto, deve essere chiarito (poichè ora è un po’troppo implicto, e potrebbe suggerire una sussidiarietà un po’ ‘distorta’) che solo i piani urbanistici comunali adeguati, non solo ai disposti di legge, ma al complesso delle previsioni degli strumenti sovraordinati (ivi compresi quelli disposti da amministrazioni della Regione o dello Stato), costituiscono e possono costituire la carta unica del territorio nei confronti del cittadino.
in assenza di tali adeguamenti, debitamente certificati in forma di verifica di conformità nelle opportune sedi (Accordi bilaterali fra soggetti dotati di diverse competenze agenti sul territorio, Conferenze Territoriali di pianificazione), nessuno strumento è abilitato ad assumere nei confronti del cittadino il valore di carta unica del territorio.
Si suggerisce, a titolo di esempio, e con le sottolineature indicate a proposito della Provincia e dell’operatività dell’art. 57 dlg 112/98, il testo proposto nell’ambito della discussione, in corso da parte del Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna, della nuova legge urbanistica regionale:
Carta unica del territorio
1. La pianificazione territoriale ed urbanistica recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici ed ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi ovvero da previsioni legislative.
2. Quando la pianificazione urbanistica comunale abbia recepito e coordinato integralmente le prescrizioni ed i vincoli di cui al comma 1, essa costituisce la carta unica del territorio ed è l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni ed i vincoli sopravvenuti, anche ai fini dell’autorizzazione per la realizzazione, ampliamento, ristrutturazione o riconversione degli impianti produttivi, ai sensi del DPR 20 ottobre 1998, n.447.
3. La deliberazione di approvazione del piano comunale dà atto del completo recepimento di cui al comma 2 ovvero del recepimento parziale, indicandone le motivazioni. Dell’approvazione della carta unica del territorio è data informazione ai cittadini anche attraverso lo sportello unico per le attività produttive di cui al DPR n. 447 del 1998.
2.b. Cogenza e prescrittività del solo piano comunale (scheda n. 3 punto 4 comma 1)
L’enunciazione, anche a seguito di quanto sottolineato in materia di carta unica, è contestabile immediatamente, in quanto ha come conseguenza l’impossibilità, da parte di ogni e qualsiasi strumento di pianificazione sovraordinato al livello comunale, di esprimersi in determinati casi con previsioni e prescrizioni immediatamente prevalenti sul piano comunale.
Al contrario si ritiene che ogni livello di pianificazione, per quanto attiene gli oggetti ed i contenuti a questo assegnati dalla legge (o che la legge nazionale o regionale potrebbe opportunamente specificare), proprio in virtù degli assunti principi di sussidiarietà ed adeguatezza, possa intervenire con prescrizioni da recepirsi obbligatoriamente da parte della pianificazione sottordinata, sulla quale prevalgono immediatamente, direttamente cogenti nei confronti del sistema di diritti dei cittadini.
In questo senso si tratta di riconoscere tale facoltà agli strumenti sovracomunali - fermo restando l’obbligo, da parte dei Comuni, di recepire tali prescrizioni all’interno dei propri piani, anche ai fini della semplificazione e di una più corretta informazione della cittadinanza.
Non appaiono recepiti neppure i contenuti minimi di cui alla lettera della legge 142/90, la quale all’art. 15 prevede dettagliatamente una serie di aspetti del Piano di coordinamento provinciale cui non può supplire il richiamo all’art. 57 del dlg 112/98.
Si ricorda infatti che i contenuti di cui alla 142, quali fra l’altro:
- le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;
- la localizzazione di massima d’infrastrutture e linee di comunicazione
- le linee d’intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;
- le aree in cui istituire parchi naturali;
sono da riferirsi alla titolarità piena della Provincia quale soggetto di pianificazione, mentre i contenuti di cui all’art. 57 del dlg 112/98 pertengono la titolarità di amministrazioni diverse, con le quali è appunto obbligo della Provincia giungere a definire accordi.
Mentre si ritiene limitativa la pur sintetica indicazione data dei contenuti del PTCP, non si condivide il fatto che esso debba fornire, secondo previsione di legge, i “criteri per il dimensionamento delle previsioni urbanistiche”.
E’ IMPORTANTE prevedere che il Piano Territoriale Provinciale possa, su richiesta e in ogni caso d’intesa con i Comuni interessati, assumere il valore e gli effetti di Piano Strutturale Comunale.
Si tratta del medesimo concetto espresso dalla scheda 4.4. lettera a), punto 1, là dove afferma che “il piano urbanistico strutturale ha il medesimo valore e gli effetti del Piano Territoriale Provinciale, di cui recepisce le disposizioni, ecc”, declinato però secondo un principio di sussidiarietà “ascendente”, che potrebbe e forse dovrebbe trovare applicazione in situazioni della realtà italiana tuttora caratterizzate da estrema frammentazione della maglia comunale, tali da rendere non proponibile una pianificazione strutturale di livello comunale.
In questo senso appaiono improprie attribuzioni, tuttora presenti nelle legislazioni regionali, (quella della Regione Piemonte, per esempio) che individuano nella Comunità montana il soggetto deputato alla pianificazione intercomunale per l’ambito territoriale di competenza; la semplificazione e il riordino delle norme urbanistiche dovrebbe avere ragione anche di tali improprietà in ordine a ruoli istituzionali e corrispondente attribuzione di funzioni.
In relazione alle differenze esistenti tra le diverse realtà italiane disciplinate dalla legge 142/90, ed alla persistente incertezza circa gli esiti territoriali della loro perimetrazione, mentre si condivide il fatto che il Piano territoriale metropolitano sostituisca per i Comuni facenti parte dell’area il Piano strutturale comunale, non sembra opportuno prevedere in forma coattiva e generalizzata che ciò avvenga anche in relazione al piano operativo comunale.
Si propone pertanto di demandare la facoltà di prevedere tale sostituzione alla diretta assunzione di accordi specifici, anche territorialmente diversificati ed articolati, fra Città metropolitana e Comuni metropolitani interessati.
Intendo rivolgervi innanzitutto il benvenuto ed indirizzare un saluto a tutti i convenuti a nome della Federazione dei Verdi e soprattutto a nome del gruppo parlamentare dei Verdi del Senato che ha promosso questa iniziativa.
Ringrazio tutti coloro che hanno accolto il nostro invito per una riflessione comune sulla esigenza di definire una proposta di riforma che riguardi ii governo del territorio, che sia condivisa da tutto il : centrosinistra, secondo il modello sperimentato con la proposta unitaria di riforme istituzionali contenuta nel documento elaborata dal gruppo presieduto da Amato e sottoscritta da tutti i segretari dei partiti del centrosinistra che ha dato ottimi risultati e che ci consente di contrapporre una linea comune a quella del centrodestra che riteniamo addirittura pericolosa per la democrazia nel nostro Paese. `
Abbiamo quindi preso questa iniziativa perché anche sulla questione che riguarda la vita nella città e opportuno aprire un altro fronte contro quanto di peggio sta facendo il centrodestra.
Riteniamo necessario definire una nostra proposta, mi auguro comune, di riforma per il governo del territorio che avvicini lItalia all'Europa, che offra certezze del diritto, che chiarisca funzioni e ruoli degli operatori, che stabilisca chiari ed applicabili criteri di programmazione, pianificazione e controllo.
Negli ultimi due anni la maggioranza ha approvato leggi devastanti, ispirate al principio della deregulation selvaggia, dalla riproposizione del condono edilizio alla super Dia di Lunardi, dalla legge obiettivo alla ulteriore modifica delle conferenze di servizio per far prevalere I'interesse alla realizzazione delle opere, agli obiettivi della tutela del patrimonio storico-artistico, della vendita dei beni culturali con silenzio assenso all'attacco ai principi di tutela paesaggistica operati dal nuovo codice Urbani.
Insieme abbiamo condotto contro tutto cio una strenua battaglia, sia all'interno delle istituzioni sia nel Paese. Non ci siamo limitati a contrastare i provvedimenti sbagliati, che not definiamo ambienticidi: costantemente abbiamo anche avanzato proposte di soluzioni alternative elaborate dalle singole forze politiche di centrosinistra.
Riteniamo si possa fare di più, proprio perché e questo il quadro, cercando di affrontare un altro terra significativo: la questione della riforma urbanistica.
Riforma urbanistica che significa rinnovare le politiche di governo del territorio e portarle ad unitarietà per ammodernare il nostro Paese, tutelandone I'identità, la memoria, gli elementi costitutivi.
In questi anni un fungo elenco di atti ha prodotto una vera e propria controriforma urbanistica, attraverso deregulation, procedure accelerate, leggi speciali, frammentazioni e settorializzazione dell'azione di governo sul territorio, abolizione degli strumenti di programmazione e controllo, riduzione dei livelli di tutela, minaccia dell'integrità dei centri storici, interventi in deroga a cui si e aggiunta come ciliegina sulla torta il condono edilizio. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la vita nelle città, f'organizzazione urbana, le condizioni di vivibilità, di accessibilità e di mobilità hanno subito un degrado intollerabile, mentre il territorio extraurbano, sempre più manomesso, e diventato fonte di rischi crescenti. Il recentissimo nuovo codice Urbani lo dimostra ampiamente: i beni culturali e del paesaggio sono stati sacrificati, in nome di una concezione tutta mercantile, alle esigenze di uno sviluppo senza qualità.
Nella scorsa legislatura, per l'ennesima volta, il tentativo di dotare il nostro Paese di una moderna legge urbanistica e fallito. Da allora sia il nuovo titolo V della Costituzione, che ridisegna le competenze dello Stato e delle regioni, sia i numerosi ulteriori provvedimenti deregolatori introdotti dal governo, hanno ulteriormente mutato il quadro di riferimento e reso ancor più necessaria una riflessione sull'argomento " nuova legge per il governo del territorio ".
Alla Camera e ripartito l'esame di diversi testi di legge presentati da quasi tutti i gruppi parlamentari e, per iniziativa del gruppo di Forza Italia, si sta per giungere ad un pessimo testo unificato.
E' quanto mai opportuno che il centrosinistra affronti un confronto politico approfondito sia sui contenuti di una proposta comune da contrapporre a quella della destra, sia sulle modalità con cui si intende portare avanti il confronto parlamentare e la stessa opposizione.
I Verdi propongono di superare ogni indugio e a fronte della provocazione del condono edilizio che devasterà ulteriormente il nostro Paese ed ai reiterati tentativi di svenderne il patrimonio storico artistico e la memoria stessa, hanno organizzato questo incontro che vuole essere il punto di partenza per la definizione di una chiara alternativa alla politica dei condoni e delta deregulation, che porta ad una proposta unitaria di una nuova legge di .governo del territorio, definita con if concorso di tutte le forze politiche dell'opposizione e con if contributo di un qualificatissimo gruppo di esperti a cui più tardi daremo la parola.
Ora I'amico Fabrizio Vigni, capogruppo alla ottava Commissione della Camera ci farà il
quadro sullo stato dell'arte in Parlamento. In seguito Luigi Scano, presidente dell'Associazione Polis ci indicherà le questioni e i temi più rilevanti per la definizione di quelle linee guida per una nuova legge urbanistica e sull'uso del suolo che sono il nostro obiettivo.
Condivido l’impostazione generale della legge, così come emerge dalla lettura delle “Schede” che ne anticipano l’articolato, così come gran parte del contenuto. Mi limito ad esprimere osservazioni su quattro punti, sui quali spero che l’elaborazione successiva potrà correggere alcuni difetti che mi appaiono pericolosi, per le ragioni che esporrò.
Secondo le “Schede” la pianificazione di livello regionale e provinciale dovrebbe avere, rispetto al metodo impiegato per la pianificazione comunale, alcuni notevoli differenze, che la renderebbero molto meno incisiva di quanto oggi già sia in alcune legislazioni regionali (Piemonte, Veneto, Marche, Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Lazio). Secondo le “Schede” la pianificazione sovracomunale non potrebbe produrre “effetti diretti sull’uso e sulla trasformazione del territorio” (punto 3.4), non potrebbe essere articolata in “componente strutturale” e “componente operativa”, non potrebbe attuare direttamente le previsioni operative per gli “oggetti” che rientrino nella sua competenza.
Mi sembra che questo sia in contraddizione con il principio (non esplicitamente formulato nelle “Schede”, ma che ne sostanzia l’ispirazione) secondo il quale ogni ente territoriale a rappresentanza generale che abbia competenza su determinati oggetti e aspetti esprime le proprie scelte relative a questi mediante un atto di pianificazione, di cui sia possibile valutare, in modo trasparente, la coerenza e gli effetti.
Ciò che occorre è definire con chiarezza quali siano, sulla base del principio di sussidiarietà rettamente inteso, gli “oggetti” di competenza di ciascun ente territoriale. Il relazione a questi oggetti l’ente competente deve localizzare le proprie scelte in un atto che abbia la necessaria efficacia e operatività.
Se non si adotta questo criterio, se cioè non si applica una unicità di metodo e di efficacia alla pianificazione ai diversi livelli (tra i quali le uniche distinzioni devono essere quelle che derivano dal principio di sussidiarietà) si toglie ogni efficacia e operatività alle regioni e alle province, e si torna all’arcaico sistema della “pianificazione a cascata” che sembrava del tutto superato. E si corre oltretutto il rischio (o più precisamente, si sconta la certezza) che le scelte concrete delle regioni, delle province (e dello stato) in materia di opere di rilevanza sovracomunale continueranno di fatto a essere collocate sul territorio in modo del tutto arbitrario, discrezionale e sfuggendo a qualsiasi razionalità e trasparenza.
Se questa osservazioni non fosse ritenute convincenti, bisognerebbe almeno garantire la facoltà delle regioni che abbiano già legiferato in termini più moderni di mantenere la loro legislazione.
Le “Schede” prevedono che sia il “piano territoriale metropolitano” sia il “piano urbanistico operativo metropolitano” sostituiscano, a tutti gli effetti, gli omologhi piani comunali.
A me sembra che debba rimanere immutata la logica dell’articolazione dei livelli di governo introdotta dalla 142/1990, dopo alcuni decenni di maturazione e dibattito. Entro questa logica, la Città metropolitana sostituisce, in determinate aree, la Provincia (la quale, infatti, in quelle aree non c’è più), ma non sostituisce i comuni, i quali anzi permangono articolando il comune capoluogo in più unità municipali. La Città metropolitana (i la sua pianificazione) dovrebbero quindi assumere tutte le competenze della Provincia, ma solo quelle del comune che (valga il principio di sussidiarietà) non possono essere governate in modo efficace nell’ambito dei singoli comuni.
Secondo me è necessario precisare con molta attenzione il ruolo dei diversi soggetti La scheda sembra mettere sullo stesso piano i soggetti istituzionali e gli altri “soggetti interessati operanti nel territorio di competenza”. La distinzione tra soggetti che rappresentano interessi pubblici e soggetti che rappresentano altri interessi (legittimi, e di cui è giusto tener conto: ma in diverso modo e diversa sede) è una distinzione decisiva, se non si vuole correre il rischio di legittimare quelle forme di “urbanistica contratta” che sono state strettamente legate a Tangentopoli.
Vedi anche 7 punti per la legge urbanistica.
Boca (Verdi)
Apertura del convegno
(vedi il testo dell’intervento)
Riferisce sullo stato dei lavori in VIII Commissione Ambiente della Camera.
Nella scorsa legislatura il tentativo di portare in porto la nuova legge sul governo del territorio (la legge Lorenzetti) non andò a buon fine. Il testo aveva avuto il consenso della casa delle Libertà.
L’VIII Commissione ha ripreso i lavori nel giugno scorso su sette progetti di legge: 1) Bossi; 2) Vigni; 3) Martinat; 4) Scanio; 5) Lupi; 6) Martini; 7) Sandri.
Alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione c’è ancora spazio per una legge statale, legge che dovrà avere la forma di una legge di principi, non ignorando le leggi regionali che nel frattempo sono state emanate e al contempo non invadendo le competenze regionali.
La maggioranza governativa ha unificato la PdL Lupi in un unico testo, inserendo elementi delle altre PP.dd.LL. Il testo così rimaneggiato non è stato né concordato, né condiviso con i gruppi dell’opposizione.
E’ importante che vi siano audizioni con EELL e Regioni, mondo professionale, prima di arrivare alla discussione in sede referente di Commissione.
Ci sono le condizioni per una intesa su un testo comune tra centro-sinistra e centro-destra?
Il quadro politico non agevola alcun dialogo, né è possibile dialogare a fronte delle disposizioni approvate dalla maggioranza: dal condono edilizio, alla svendita del patrimonio, ecc.
Vi sono poi ragioni di merito. Il testo Lupi riconduce il tema del governo del territorio ad una dimensione solo urbanistica e non affronta il governo del territorio in un accezione più ampia. Inoltre i privati diventano attori principali e fanno venire meno l’interesse pubblico su quello privato.
Il centro-sinistra deve proporre un testo di legge unitario da contrapporre a quello della destra, avendo a mente i grandi temi: la città, la tutela dell’ambiente, la sostenibilità ambientale. Però bisogna giocare la partita anche sul piano emendativo, almeno su 7/8 punti pregiudiziali di principio, che costituiscano lo spartiacque irrinunciabile per un testo comune. Questi punti sono:
- intervento legislativo per il governo del territorio e la sostenibilità e non per le sole trasformazioni edilizie-urbanistiche;
- primato del pubblico sul privato;
- territorio come bene comune e non oggetto solo del mercato;
- legalità senza ambiguità; per l’abusivismo bisogna costruire strumenti più forti.
A fronte di questo quadro non si può immaginare di raggiungere a tutti i costi una intesa per un testo comune. E’ quindi necessario: rafforzare con rapidità una proposta di tutto il centro-sinistra; allargare la partita anche al di fuori del solo ambito parlamentare, coinvolgendo EE.LL., Regioni, professioni, organizzazioni ambientaliste, ecc.; il governo del territorio deve diventare uno dei 4/5 temi centrali che devono fare parte del Programma dell’Ulivo per la prossima campagna elettorale; l’Ulivo e il centro-sinistra devono promuovere a breve un convegno nazionale sul governo del territorio.
(vedi il testo dell’intervento)
E’ giusto che il governo del territorio debba essere oggetto dell’azione del centro-sinistra per non lasciarlo alla destra.
La 1150 deve essere superata perché obsoleta; la concezione della pianificazione dal punto di vista disciplinare è modificata.
Il Titolo V della Costituzione, al quale si è riferita espressamente una recente sentenza della Corte Costituzionale, ha chiarito che il governo del territorio è materia a competenza legislativa ripartita tra Stato e Regioni.
Molte regioni non sono rimaste ferme, anche a fronte della staticità del quadro statale.
La legge dello Stato deve coordinarsi con quanto fatto dalle Regioni alla luce delle accresciute competenze locali.
La legge dello Stato deve dettare principi nobili e vincolanti verso le Regioni, nell’ambito delle loro competenze. E’ importante, quindi, che la legge statale sia precettiva.
Bisogna fare i conti con l’accelerazione imposta da Forza Italia con il PdL Lupi. Intendono “calendarizzare” il testo prima della scadenza elettorale di maggio/giugno. Ci dobbiamo confrontare con questa situazione, acquisire le opinioni delle Regioni, degli EE.LL., delle professioni, ecc.
Questa scadenza di riforma deve fare i conti con il fenomeno, molto sviluppato, dell’abusivismo. Bisogna prevedere un potere di vigilanza in capo all’autorità Statale.
La legge statale deve porre il Comune come principale referente.
Se per quanto riguarda il rapporto pubblico/privato non si può prescindere dal quadro legislativo vigente, questo non deve significare azioni casuali, volta per volta: questo modo va contrastato. Gli atti tra pubblico/privato (urbanistica contrattata, perequata, ecc.) non possono scardinare l’assetto strutturale degli strumenti di pianificazione in capo al soggetto pubblico.
Il territorio non urbanizzato va sottratto alla nuova edificazione. Tutte le politiche, anche fiscali, devono puntare ad agevolare il recupero ed il riuso dell’esistente, piuttosto che incentivare il nuovo. Ci devono essere regole chiare: non si può assolutamente continuare lo sviluppo edilizio/urbanistico nel territorio extra-urbano. Il territorio extra-urbano va tutelato.
Va incentivata la qualità urbana.
Il governo del territorio è materia di legislazione concorrente.
La legge quadro di principi sul governo del territorio deve espandersi alla tutela ambientale. Su questa sfera non ci sono limiti. Ci si può estendere con norme cogenti. Gli enti locali sono deboli, dobbiamo aiutarli.
Bisogna affermare il principio che il territorio, in quanto costituisce il complesso dei luoghi della vita comune, è di interesse pubblico, della collettività. Si deve sancirlo come principio. Il territorio non urbanizzato che si è salvato dall’aggressione umana, è diventato tutto un insieme di beni ambientali, universalmente riconosciuto. Cade, quindi, il concetto del bene ambientale come “bello” da vincolare, mentre tutto diventa bene ambientale da salvare. Questo concetto bisogna acquisirlo sul piano giuridico. Bisogna sottrarre queste aree dalla trasformazione urbanistica. In queste aree le politiche e le azioni devono essere rivolte a ripristinare il preesistente.
Ne deriva, tra l'altro, che i beni ambientali, sottoposti a vincolo, anche di totale intrasformabilità, lo sono non per determinazione discrezionale del pianificatore, ma in quanto aventi intrinseco interesse pubblico, per cui i relativi vincoli non sono da indennizzare.
Il condono edilizio è il fallimento della politica della pessima pianificazione. Ci sono norme sbagliate da correggere, non c’è dubbio; ma c’è un Paese incivile. Nessuno demolisce. Gli EE.LL. sono in difficoltà e sono deboli, sottoposti a pressioni di ogni tipo e non effettuano alcuna demolizione. Ci vogliono norme cogenti. Bisogna quindi che i fabbricati abusivi abbiano la vocazione, ex-lege, di essere di proprietà pubblica, separando ciò dal provvedimento amministrativo. Bisogna elaborare una proposta che tenga conto di questo.
Sulla pianificazione territoriale. E’ vero il Comune è soggetto centrale, ma c’è stata anche un eccesso di pianificazione: ogni comune ha una sua zona industriale, 200 comuni = 200 zone industriali. E’ necessario assolutamente un livello sovraordinato, che sia la Provincia o altro. Va però sicuramente rafforzato il ruolo di un livello sovraordinato a quello comunale. Anche le pianificazioni di settore vanno recepite dal livello sovraordinato. E la pianificazione sovraordinata, e questo va scritto con chiarezza nella legge, deve essere cogente, perlomeno per alcuni punti nodali.
Nella legge va poi inserita la tutela dei centri storici, intesi come beni culturali.
Sulla perequazione. Il principio va scritto nella legge quadro, ma la perequazione non va generalizzata a tutto il territorio, ma va applicata solo alle aree di sviluppo e non a quelle esterne. Il principio va quindi circoscritto alle sole zone di sviluppo urbano.
La legge quadro deve stabilire procedimenti chiari e certi, visto che c’è una pluralità di centri di interesse. Forse va anche individuato l’Ente responsabile di questi procedimenti, l’istituzione che costituisca luogo di raccordo anche con la pianificazione di settore. Questo luogo è, a mio avviso, la Provincia.
DE LUCIA
Sottolinea il consenso all’introduzione di Scano e condivide l’intervento di Irelli. Ritiene che sia indispensabile arrivare ad una legge proclama del centro-sinistra che si contrapponga a quella proclama del centro-destra. Bisogna impedire la controriforma Lupi, che, ahimè, piace molto all’INU e a settori professionali del vecchio modo del fare urbanistica. Milano, dove Lupi è stato assessore all’urbanistica, non ha praticamente più il PRG: il PRG è diventato il catasto urbanistico su cui si registrano a posteriori le contrattazioni avvenute. Il caposaldo è l’accordo di programma. Ma la linea milanese non è più il mercato, è solo un formidabile rilancio della speculazione edilizia e urbanistica, ammantata di nomi nuovi.
Scalfari ha scritto su Repubblica di sabato 31 gennaio scorso del tentativo di riforma urbanistica e dei suoli. Nel ' 64 si era anche appena nazionalizzata la produzione dell'energia elettrica, ma il "rumore di sciabole" che si udì, cioé i tentativi di colpo di stato di cui si ebbe sentore, si dovettero piuttosto alle proposte di nuova legge sull'urbanistica e i regime dei suoli. La lezione del ’64 fa paura e da allora la questione dei suoli è stata abbandonata dalla sinistra. E questo è stato confermato anche dal recente numero di Micromega sul quale è apparso una sorta di programma della sinistra, dal quale però manca completamente ogni riferimento alla pianificazione urbanistica. L’appello di Salzano sottoscritto da molti e inviato a D’Arcais non ha ottenuto alcuna risposta. Non scordiamoci mai che la delegittimazione della pianificazione è stata una della cause principali di Tangentopoli.
La pianificazione non è un tabù in sé come tale, ma la buona pianificazione si. Invece c’è la voglia di buttare il bambino con l’acqua sporca. Il bambino è la tutela dell’interesse pubblico.
Denuncia che sta avvenendo un processo di trasferimento dei poteri decisionali della pianificazione, dall’esclusività del pubblico al privato, al mercato, attraverso la contrattazione e la perequazione. Si tratta di un processo di privatizzazione. Teorizzare e praticare i processi negoziali ai quali il PRG si deve adeguare è finalizzato alla sola valorizzazione della rendita fondiaria. Tutto è oggetto di mercanteggiamento. Vedi l’Inu che loda il PdL Lupi: è scandaloso considerare in principio che cancella il primato dell’interesse pubblico su quello privato. Tra il Consiglio comunale e l’impresa è questa seconda che vince. Bisogna in sostanza ricondurre nell’ambito del potere pubblico, nello spirito della legge 1150, la pianificazione urbanistica.
Sottolinea brevemente alcuni oggetti che a suo avviso vanno evidenziati nella legge quadro:
lo standard minimo: va prescritto nella legge;
sulla sostenibilità: va posta meno attenzione agli interessi delle attività produttive;
sulle demolizioni: sono utili, le cose peggiori vanno demolite;
sulla partecipazione della comunità: va impostata sulle politiche ambientali.
Quella del governo del territorio è una delle prime riforme da fare.
Bisogna contrastare alcuni ubriacamenti del mercato, dell’uso privatistico ed il mito del profitto. Bisogna chiudere le voragini ma anche le crepe dell’ubriacatura che si sono aperte nel centro-sinistra. Non si può fare la riforma urbanistica se non si fissano paletti etici. Il territorio è un valore: si deve costruire bene e il problema è dove. La politica detta le regole e il mondo imprenditoriale le rispetta.
La riforma urbanistica deve essere uno dei punti qualificanti del programma unitario del centro-sinistra. Il mito che il privato gestisca meglio del pubblico, va contrastato e va corretto anche nel centro-sinistra. Il black-out dell’Enel, gli incidenti ed il malfunzionamento delle FF.SS. per mancata manutenzione sono emblematici.
Le cose che hanno valore pubblico non possono essere gestite dal privato perché questo tiene conto solo del profitto e non del servizio.
L’ambiente e il territorio devono avere una gestione pubblica e un’etica di servizio.
Bisogna poi che il centro-sinistra discuta su cose concrete e serie, sul programma e non su tricicli e simili.
Bisogna contrapporsi agli avversari della CdL con un testo di legge del centro-sinistra, che si contrapponga alla visione mercantile del governo del territorio e dell’uso della città, perché: 1) è una battaglia politico-culturale; 2) bisogna arrivare a un testo comune; 3) bisogna arrivare a un testo condiviso nel centro-sinistra per fissare i punti dell’urbanistica e del governo del territorio nel programma politico del centro-sinistra.
Bisogna quindi arrivare ad un appuntamento per lanciare una proposta e una campagna comune per ripristinare la pianificazione, la tutela e il recupero dei centri storici, la tutela del paesaggio e dell’ambiente.
Mi conforto degli interventi perché mi pare che ci siano le condizioni politiche nel centro-sinistra per arrivare ad un punto comune.
Il principio di pianificazione
Il principio di pianificazione potrebbe essere enunciato così: ogni ente elettivo di primo grado a rappresentanza generale, che abbia competenza circa scelte suscettibili di incidere sull’assetto del territorio (localizzazione e finanziamento di opere, definizione di ambiti territoriali ecc.), deve esprimere tali scelte attraverso un atto di pianificazione. Deve esprimerle cioè in un procedimento trasparente che consenta a tutti gli interlocutori di valutare e verificare la coerenza tra le differenti scelte territoriali e di comprenderne gli effetti. Che sia perciò tradotto in un insieme di precetti riferito al territorio attraverso una cartografia di adeguata precisione: un “piano”.
Solo la piena affermazione di questo principio può consentire di evitare alcune malattie endemiche, in Italia, del governo del territorio. La malattia del conflitto tra interessi statali diversi (ad esempio: ambiente e infrastrutture) che si presentano contrapposti solo perché non si è praticata la procedura di composizione a priori (di sintesi) che la pianificazione rappresenta. La conseguente malattia della paralisi, derivante dal fatto che ciascuno degli interessi, poiché si esprime separatamente dagli altri, gode di un potere di interdizione non vincibile. La malattia della discrezionalità, derivante dal fatto che ciascun ente tratta separatamente dagli altri con i livelli di governo sott’ordinati, senza alcun impegno al coordinamento e all’effettivo mantenimento degli impegni assunti.
Applicare il principio di pianificazione significa, evidentemente, che deve esserci un livello di pianificazione sia nazionale che regionale: a meno che Stato e Regione non deleghino del tutto ai livelli di governo sott’ordinati tutte le loro competenze in merito alla grande viabilità, ai porti ed aeroporti, alle politiche di tutela ecc. ecc.
Secondo una certa pubblicistica politica, tributaria dell’ideologia separatista di Bossi, sussidiarietà significa “tutto il potere al basso”. Nella fattispecie, attribuire tutte le competenze in materia di governo del territorio all’istanza più vicina alla gente: al comune. Ma il principio di sussidiarietà è osa un po’ diversa.
Esso nasce nell’ambito della cultura politica europea ed è stato formulato per definire la ripartizione delle competenze tra governi nazionali e organi comunitari. Precisamente, i Trattati affermano che “la Comunità interviene, in accordo con il principio di sussidiarietà, solo se, e fino a dove, gli obiettivi delle azioni proposte non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri e, a causa della loro scala o dei loro effetti, possono essere raggiunti meglio dalla Comunità.
Il principio di sussidiarietà significa perciò che, là dove un determinato livello di governo non può efficacemente raggiungere gli obiettivi proposti, e questi sono raggiungibili in modo più soddisfacente dal livello di governo sovraordinato (lo Stato nei confronti della Regione, o l’Unione europea nei confronti degli stati nazionali) è a quest’ultimo che spetta la responsabilità e la competenza dell’azione. E la scelta del livello giusto va compiuta non in relazione a competenze astratte o nominalistiche, oppure a interessi demaniali, ma (prosegue il legislatore europeo) in relazione a due elementi precisi: la scala dell’azione (o dell’oggetto cui essa si riferisce) oppure i suoi effetti.
Così, ad esempio, si può mai ipotizzare che una strada di grande comunicazione, magari connessa a un sistemi di itinerari europei, abbia rilevanza solo regionale? È certamente un’opera di scala almeno nazionale, come lo è un elemento del sistema portuale o aeroportuale nazionale: per la sua scala, appunto, e non per l’ente che vi ha competenza amministrativa o patrimoniale. Forse che la grande rete dei trasporti, che connette le varie parti del paese e i nodi del sistema insediativo e di quello produttivo, non è al servizio della “Azienda Italia” nel suo complesso? E non richiede perciò forse un loro “governo” alla scala dell’intera nazione?
Molti criticano oggi il temine “sostenibile”: in effetti, è diventato un aggettivo passepartout, può essere stiracchiato fino a coprire qualunque contenuto, anche il più devastante. Ma non c’è da meravigliarsi: succede sempre così, quando una parola diventa alla moda. A maggior ragione occorre allora precisarne il significato.
Io mi riferisco all’accezione del termine che ne è stata data nel Rapporto Brundtland, nella Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo dell’ONU, nel 1983. Per “sviluppo sostenibile - si legge nel Rapporto – si intende uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
A ragionarci bene, è un’interpretazione ben severa. Non si tratta di trovare un qualche compromesso tra l’esigenza della conservazione e quella della trasformazione. Non si tratta di scegliere le trasformazioni in qualche modo “compatibili” con la tutela. Si tratta, invece, di rinunciare a quelle trasformazioni che comportino una riduzione delle risorse che riteniamo necessarie, oggi e domani, al genere umano. Oppure (ed è un altro modo di dire la stessa cosa) si tratta di garantire che il bilancio di ogni trasformazione porti a un miglioramento dell’insieme delle risorse disponibili: nel campo che ci interessa, a un miglioramento della qualità del territorio e della vita.
In che modo la pianificazione territoriale e urbana può farsi carico del principio di sostenibilità? Un contributo (certo non esaustivo, ma indispensabile) può esser dato dalla prescrizione che la prima fase della pianificazione, ad ogni livello, deve essere costituita dall’assidua ricognizione delle qualità naturali e storiche del territorio, e delle fragilità che ne mettono a rischio le risorse. È ciò che si tentò di fare nell’esperienza della Regione Emilia Romagna del 1985-86 e in altre esperienze di pianificazione comunale in quegli anni, ed è ciò che in sostanza hanno prescritto, in modi più o meno chiari, le nuove leggi urbanistiche della Toscana e della Liguria, e ovviamente quella del Lazio.
Naturalmente, l’individuazione delle qualità e delle fragilità non è fine a se stessa. La ricognizione del territorio deve condurre precettivamente all’individuazione delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili con le caratteristiche proprie di ogni unità di spazio, come condizione non negoziabile per ogni decisione sulle trasformazione da promuovere o consentire.
“Fatta la legge, trovato l’inganno”: il detto è il frutto di un’antica saggezza popolare, di una lunga italica esperienza. Ma in materia di legislazione urbanistica non sono i malviventi né gli “avvocaticchi” gli autori dell’inganno: è lo stesso legislatore che provvede a scardinare surrettiziamente le regole che lui stesso ha proclamato.
Dai “piani di ricostruzione” dell’immediato dopoguerra (che sospesero l’attuazione della legge urbanistica del 1942 prima ancora di averne iniziata la sperimentazione) fino ai reiterati condoni dell’abusivismo e alla fioritura dei “piani anomali”, la storia dell’urbanistica italiana è la storia della distruzione della legge da parte del legislatore.
Perciò è importante affermare, tra i fondamentali principi della legislazione urbanistica, quello di legalità. È importante stabilire, ad esempio, che “ogni violazione delle norme urbanistiche è punita sulla base della legge nazionale” e che “essa comporta la demolizione dei manufatti abusivi da parte del proprietario e, in caso di inadempienza, il trasferimento a titolo gratuito al patrimonio pubblico del manufatto e dell’area di pertinenza, e la sua demolizione a spese del proprietario medesimo”: come si afferma nelle Schede della Commissione della Camera dei deputati. Ed è importante stabilire che la nuova legislazione abrogherà esplicitamente tutte le norme che, a partire dal 1980 a oggi, hanno promosso le pratiche deregolative e derogatorie nelle procedure del governo del territorio.
Una nota sui "piani anomali"
Sono preoccupato delle fortune che sempre più stanno ricevendo quegli strumenti urbanistici “anomali”, che dall’inizio degli anni Ottanta stanno rendendo via via più complicata – e più perversa – la pratica della pianificazione. Mi riferisco ai programmi integrati, ai programmi di recupero urbano, ai programmi di riqualificazione urbana, ai contratti di quartiere, agli accordi di programma quadro, ai contratti di programma, ai patti territoriali, ai contratti d’area, ai programmi straordinari di edilizia residenziale, e infine ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio. Ciò che accomuna la quasi totalità di questi “piani anomali” è che enfatizzano il circoscritto e trascurano il complessivo, celebrano il contingente e sacrificano il permanente, assumono come motore l’interesse particolare e subordinano ad esso l’interesse generale, scelgono il salotto discreto della contrattazione e disertano la piazza della valutazione corale.
Abbandonando le metafore, caratteristica comune di (quasi) tutti gli strumenti di pianificazione “anomali” è quello di consentire a qualunque intervento promosso da attori privati di derogare dalle regole comuni della pianificazione “ordinaria”. Di derogare cioè dalle regole della coerenza (ossia della subordinazione del progetto al quadro complessivo determinato dal piano) e della trasparenza (ossia della pubblicità delle decisioni prima che divengano efficaci e della possibilità del contraddittorio con i cittadini).
ART. 1.
(Governo del territorio)
1. In attuazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la presente legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dai rispettivi statuti e norme di attuazione, anche con riferimento alle disposizioni del Titolo V, parte seconda, della Costituzione, per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. Sono fatte altresì salve le disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio.
2. Il governo del territorio consiste nell'insieme delle attività conoscitive, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità. Il governo del territorio comprende altresì l'urbanistica, la localizzazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche, l'edilizia, la difesa del suolo, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati con le medesime materie, con esclusione della tutela dei beni culturali e del paesaggio.
Le politiche di governo del territorio sono improntate agli obiettivi della sostenibilità ambientale, con riferimento:
a) alla gestione del ciclo delle acque, quindi alla presenza di fabbisogni minimi, al contenimento dei consumi e alla completa depurazione;
b) alla limitazione del consumo di territorio;
c) alla gestione efficiente del ciclo energetico, alla riduzione dei consumi, alla promozione delle fonti energetiche rinnovabili.
3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, ad esclusione degli aspetti direttamente incidenti sull'ordinamento civile e penale, sulla tutela dei beni culturali e del paesaggio, sulla tutela della concorrenza nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
ART. 2.
(Compiti e funzioni dello Stato)
1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso politiche generali e di settore inerenti la tutela e la valorizzazione dell'ambiente, l'assetto del territorio, la promozione dello sviluppo economico-sociale.
2. Per l'attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta strumenti di indirizzo e di intervento d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, e coordina la sua azione con quella dell'Unione europea e delle regioni.
3. Sono esercitate dallo Stato, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale in ordine all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, in armonia con le politiche definite a livello comunitario, nazionale e regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica e ambientale, nonché la fissazione dei criteri per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, e per la difesa del suolo.
3-bis. Sono altresì esercitate dallo Stato le funzioni relative al governo del territorio, in ordine alle esigenze di tutela delle competenze istituzionali delle Forze armate e delle Forze di polizia per l'espletamento delle attività operative ed infrastrutturali per la difesa nazionale e per la gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché delle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione allo svolgimento delle attività di difesa civile e delle competenze per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, da definire con il metodo della cooperazione, mediante intese, accordi procedimentali e comitati paritetici per la concertazione in materia di territorio fra i diversi soggetti istituzionali.
ART. 3.
(Interventi speciali dello Stato)
1. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale economico e sociale, di promuovere l'abbandono di insediamenti esposti al rischio di calamità naturali o di dissesto idrogeologico e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati, di superare situazioni di degrado ambientale e urbano, lo Stato predispone programmi di intervento in determinati ambiti territoriali con l'obiettivo di promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
2. I programmi e gli interventi speciali, di cui al comma 1, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata.
ART. 4.
(Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione)
1. I principi di sussidiarietà, della differenziazione e dell'adeguatezza ispirano la ripartizione delle attribuzioni e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali e i rapporti tra questi e i soggetti interessati, secondo i criteri della autonomia, della responsabilità e della tutela dell'affidamento.
2. I soggetti istituzionali cooperano alla definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, anche mediante intese e accordi procedimentali e l'istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell'unità della pianificazione, la semplificazione delle procedure e la riduzione dei tempi. Nella definizione degli accordi di programma e degli atti equiparabili comunque denominati, sono stabilite le responsabilità, le sanzioni e le relative modalità di attuazione in caso di inadempimento degli impegni assunti dai soggetti pubblici.
2-bis. Ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, le Regioni raggiungono intese con le Regioni limitrofe, ai sensi dell'articolo 117, comma 8 della Costituzione.
3. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l'adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti istituzionali e fra questi e i soggetti interessati, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.
4. Le regioni disciplinano modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e delle informazioni cartografiche finalizzate alla realizzazione di un quadro del territorio unitario e condiviso ed assicurano le risorse necessarie. Lo Stato definisce, d'intesa con le regioni e le province, criteri omogenei per le cartografie tecniche di dettaglio di base o per la pianificazione del territorio.
5. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l'attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.
6. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l'esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l'attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni ambientali, nonché alle infrastrutture.
ART. 5.
(Programmazione e pianificazione del territorio)
1. Il comune è l'ente preposto alla pianificazione urbanistica ed è il soggetto primario delle funzioni di governo del territorio.
2. Le regioni, nel rispetto delle competenze e funzioni delle province, individuano gli ambiti territoriali e i contenuti della pianificazione del territorio, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell'ambito da pianificare, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale e al fine di soddisfare le nuove esigenze di sviluppo urbano, privilegiando il recupero e la riqualificazione dei territori già urbanizzati. In considerazione della specificità di determinati ambiti territoriali ed in attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà e adeguatezza, le regioni promuovono forme di cooperazione fra enti territoriali finalizzate alla loro pianificazione ed alla programmazione e gestione integrate dei servizi. Favoriscono altresì l'aggregazione dei comuni e la pianificazione intercomunale. I piani relativi a tali ambiti non possono avere, con esclusione delle sole materie preordinate, un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali.
3. Il piano urbanistico è lo strumento di disciplina complessiva del territorio comunale e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione o piano settoriale o di area vasta concernente il territorio.
4. Nell'ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all'agricoltura, aree di pregio ambientale e aree extraurbane a destinazione non agricola di riserva urbanistica.
5. Nelle aree destinate all'agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l'agricoltura, l'agriturismo e l'ambiente. Nelle aree di riserva urbanistica la nuova edificazione è consentita solo se finalizzata al soddisfacimento delle esigenze del fabbisogno di edilizia sociale o qualora non esistano alternative alla riorganizzazione funzionale della edificazione esistente previa valutazione di compatibilità ambientale. Nella formazione del piano urbanistico priorità va riservata al recupero, alla ristrutturazione, all'adeguamento del patrimonio immobiliare esistente, anche attraverso adeguati incentivi fiscali.
6. La pianificazione urbanistica si attua attraverso modalità strutturali e operative. Il piano strutturale non ha efficacia conformativa della proprietà. Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione.
ART. 6.
(Dotazioni territoriali).
1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche attraverso la prestazione concreta del servizio non connessa ad aree e ad immobili. L'entità dell'offerta di servizi è misurata in base a criteri prestazionali, con l'obiettivo di garantirne comunque un livello minimo anche con il concorso dei soggetti privati. Le regioni determinano i criteri di dimensionamento per i servizi che implicano l'esigenza di aree e relative attrezzature.
2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l'iniziativa dei soggetti interessati.
3. La previsione del piano urbanistico che abbia contenuti di inedificabilità o di destinazione pubblica per la realizzazione di opere e infrastrutture pubbliche, decade se non attuata entro cinque anni, salvo che non si tratti di vincoli e destinazioni che il piano deve recepire. Il vincolo preordinato all'espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico può essere motivatamente reiterato per una sola volta. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari ad un terzo dell'ammontare dell'indennità di esproprio dell'immobile, da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo.
ART. 7.
(Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).
1. Nel procedimento di formazione del piano urbanistico sono assicurate adeguate forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali.
2. Nell'ambito della formazione degli strumenti urbanistici, deve essere garantita la partecipazione al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo ed adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l'indicazione delle motivazioni in merito all'accoglimento o al rigetto delle stesse. Nell'attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all'esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l'amministrazione procedente. I soggetti responsabili degli strumenti di piano hanno obbligo di esplicita ed adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle proposte presentate nell'ambito del procedimento ed ai princìpi di cui alla presente legge.
3. Le regioni stabiliscono altresì le modalità del procedimento di formazione e di approvazione del piano urbanistico e delle sue varianti, fissano i termini perentori per la pubblicità e la consultazione, i casi in cui il piano è da sottoporre a verifica di compatibilità con gli strumenti di programmazione economica e con ogni disposizione o piano settoriale o di area vasta concernente il territorio, individuando il soggetto pubblico delegato alla funzione e stabilendone le relative modalità, nonché determinano analoghi termini perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.
4. Con l'adozione dei piani urbanistici gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni ai piani settoriali o di area vasta, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione. L'atto di approvazione del piano urbanistico contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano settoriale o di area vasta, qualora sulle modifiche sia acquisita l'intesa dell'ente titolare del piano modificato.
5. L'ente di pianificazione urbanistica può concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto dei principi di imparzialità amministrativa, trasparenza, di concorrenzialità di pubblicità e di partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati all'intervento, per la formazione degli atti di pianificazione anche attraverso procedure di confronto concorrenziale al fine di recepire proposte di interventi coerenti con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione.
5-bis. L'ente di pianificazione urbanistica promuove l'adozione di strumenti attuativi che favoriscono il recupero delle dotazioni territoriali di cui all'articolo 6, anche attraverso piani convenzionati stipulati con soggetti privati e accordi di programma.
ART. 8.
(Attuazione del piano urbanistico).
1. Le disposizioni del piano urbanistico sono attuate con piano operativo o con intervento diretto, sulla base di progetti compatibili con gli obiettivi definiti nel piano strutturale. Le modalità di attuazione del piano strutturale sono definite dalla legge regionale. L'attuazione è comunque subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.
2. Le previsioni della pianificazione urbanistica possono essere attuate anche sulla base dei criteri di perequazione e compensazione i cui parametri devono essere fissati nei piani strutturali.
3. La perequazione è realizzata con l'attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricomprese negli ambiti territoriali oggetto di trasformazione urbanistica.
4. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in percentuale del complessivo valore della proprietà di ciascun proprietario, e sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali omogenei.
5. Al fine di mantenere il limite massimo complessivo di edificazione dei predetti ambiti omogenei è possibile individuare alcune aree da dotare di indici di edificabilità incrementabili.
6. A fronte di benefici pubblici aggiuntivi rispetto a quelli dovuti e comunque coerenti con gli obiettivi fissati nel piano urbanistico nel medesimo possono essere previste forme di premialità, consistenti nell'attribuzione di indici differenziati, determinati in funzione dei predetti obiettivi, per interventi di riqualificazione urbana e di recupero ambientale.
7. Nelle ipotesi di vincoli di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, in alternativa all'espropriazione, il proprietario interessato può chiedere il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell'area su altra area di sua disponibilità, la permuta dell'area con area di proprietà dell'ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l'amministrazione per la gestione di servizi.
8. Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-finanziarie per ovviare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale.
9. Le leggi regionali disciplinano forme di perequazione intercomunale, quali modalità di compensazione e riequilibrio delle differenti opportunità riconosciute alle diverse realtà locali e degli oneri ambientali su queste gravanti.
ART. 9.
(Misure di salvaguardia).
1. Con legge regionale sono definite le misure di salvaguardia che devono essere deliberate nelle more dell'approvazione degli atti di contenuto operativo del piano urbanistico.
ART. 10.
(Attività edilizia).
1. Le regioni individuano le attività di trasformazione urbanistica ed edilizia soggette e quelle non soggette a titolo abilitativo, le categorie di interventi e le condizioni in base alle quali il soggetto interessato ha la facoltà di presentare una denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire, l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione totale o parziale dell'onerosità per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.
2. Alla scadenza del termine previsto per il rilascio del permesso di costruire, l'istanza si intende favorevolmente accolta. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi.
3. L'ente di pianificazione esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.
4. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi da parte del soggetto competente, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia.
5. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civili per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento, nonché per le omissioni nell'esercizio delle funzioni di controllo.
ART. 11.
(Fiscalità urbanistica).
1. I trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l'attuazione del piano urbanistico ai sensi dell'articolo 8, sono in ogni caso irrilevanti agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dalla data di acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area come previsto dal piano urbanistico.
2. Le plusvalenze ed i ricavi conseguenti ai trasferimenti degli immobili o dei diritti edificatori di cui al precedente comma, in alternativa al regime ordinario, sono soggetti all'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito pari al 4 per cento del valore dichiarato in atto.
3. L'imposta sostitutiva di cui al comma 2, determinata all'atto del trasferimento dell'immobile o del diritto edificatorio finalizzato all'attuazione del piano urbanistico, è esigibile in sede di presentazione della dichiarazione successiva al presupposto impositivo. Nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da esercenti attività commerciali, l'imposta è accantonata in apposito fondo e risulta esigibile solo all'atto della successiva vendita dell'immobile o del diritto edificatorio così ottenuto.
4. Nel caso di localizzazione di attrezzature di interesse sovracomunale per la realizzazione di aree per insediamenti produttivi di beni e servizi a seguito della formazione di consorzi di Comuni, l'ICI può essere ridistribuita tra i predetti comuni, indipendentemente dalla ubicazione dell'area e in relazione alla partecipazione delle singole Amministrazioni comunali al consorzio.
5. II Governo è delegato ad emanare, entro dodici mesi dell'entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a definire un regime fiscale speciale per il recupero e la riqualificazione dei centri urbani. Il regime fiscale speciale dovrà prevedere un quadro omogeneo di agevolazioni anche procedurali per tutti gli interventi di recupero di aree urbane degradate, di adeguamento antisismico degli edifici pubblici e privati, nonché di nuova edificazione o adeguamento degli edifici esistenti, secondo criteri di risparmio e di efficienza energetica e di bioedilizia.
Relazione
Onorevoli Colleghi! - Com'è noto il nuovo testo dell'articolo 117 della Costituzione, assegna la materia del "governo del territorio" alla competenza concorrente tra Stato e regioni.
L'espressione usata dal legislatore del 2001 è del tutto nuova per il contesto costituzionale e politico italiano. In passato, infatti, siano stati abituati a misurarci con temi quali l'"urbanistica", l'"assetto del territorio", l'"edilizia", tali, infatti, erano le locuzioni utilizzate al fine di eliminare le competenze legislative e amministrative regionali.
Oggi, però, nel nostro ordinamento giuridico e istituzionale si pone una esigenza assolutamente non procrastinabile: quella di un intervento legislativo volto a chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata in Costituzione.
In questo senso, l'iniziativa che qui viene proposta ha un valore, senza timore d'enfasi eccessiva, di portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica n. 1150 del 1942.
Pienamente in accordo con l'evoluzione costituzionale avviata nel 2001 ed attualmente ancora in fase di attuazione e correzione, la presente proposta di legge ha l'obiettivo non solo di fissare i princìpi fondamentali della materia, ma anche di individuare il nuovo oggetto di questa competenza, definendo i soggetti, i mezzi e le procedure amministrative che guideranno le regioni nella determinazione delle norme disciplinanti l'oggetto del governo del territorio.
Altro elemento qualificante della proposta che si sottopone all'esame parlamentare è il profondo rispetto per il nuovo ruolo costituzionalmente fissato per le regioni in questo settore. Più volte si è assistito ad una legislazione statale di "ritaglio" delle competenze regionali, finalizzata a differenziare le discipline al solo fine di mantenere allo Stato centrale un ruolo di gestione e di dettaglio, non più coerente con il sistema costituzionale ed, altresì, foriero di duplicazioni e complicazioni burocratiche sempre crescenti.
Centrale, viceversa, dev'essere il ruolo dello Stato nel fissare i valori unificanti e gli elementi strutturali del sistema di azione e governo territoriale.
La scelta del progetto di legge è, dunque, chiaramente quella della legislazione statale di principio, aperta all'apporto ed alla integrazione normativa delle regioni. In questa direzione, essendo consapevoli delle interferenze tra materie concorrenti - quali il governo del territorio - e materie esclusive statali - quali ad esempio la tutela ambientale e degli ecosistemi - si è scelto di concepire unitariamente la regolazione attuativa, assegnando la potestà regolamentare in materia ambientale (che lo Stato avrebbe potuto riservare a sé) alle regioni, a completamento della devoluzione normativa di governo del territorio.
In tal senso, questa proposta di definizione dei princìpi e delle linee essenziali di assetto delle competenze legislative regionali e statali sul governo del territorio, muove da, e allo stesso tempo promuove, una rivoluzione culturale circa il rapporto tra autorità pubblica e territorio, fondato non più su visioni dirigistiche e "statocentriche" dell'azione pubblica ma su una vera e propria sussidiarietà territoriale.
In particolare, il progetto di legge che si propone all'approvazione prevede, nei singoli articoli, quanto segue.
Articolo 1.
La proposta di legge, in primo luogo, definisce il concetto di governo del territorio. Con l'espressione "governo del territorio", usato per la prima volta nella Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, si è voluto individuare una materia caratterizzata, come altre, da un forte grado di complessità: in essa rientra la regolamentazione dell'aspetto morfologico del territorio e la disciplina delle interazioni tra questo e gli interessi economico-sociali espressi dalla società civile.
Si tratta, quindi, di un insieme complesso di ambiti tra cui rientrano, volendo esemplificare, tanto lo statuto della proprietà immobiliare, quanto il riordino del sistema della fiscalità territoriale, tanto l'espropriazione, quanto i vincoli ricognitivi o quelli a contenuto sostanzialmente espropriativo, tanto i rimedi alle sovrapposizioni tra pianificazione ambientale e urbanistica, quanto l'integrazione delle varie politiche riguardanti il territorio, tanto il coordinamento tra disciplina urbanistica e lavori pubblici, quanto, infine, il rapporto tra servizi pubblici e territorio di riferimento.
Come in precedenza sottolineato, alla regione viene delegata la potestà regolamentare in materia di beni culturali e di tutela dell'ambiente.
La ragione di tale attribuzione è, evidentemente, quella di assicurare una unitarietà normativa, sul piano attuativo, essenziale per la reale efficacia operativa, e per rendere omogenea la disciplina globale del territorio.
Infine, l'appartenenza del nostro territorio nazionale a quello che si definisce lo "spazio comune europeo", oggetto di politiche e di azioni via via sempre più incisive da parte della Unione europea, impone di individuare un nuovo modo di governare l'assetto del territorio e l'uso del suolo, un tempo basato sulla netta ripartizione di poteri e competenze in materia di assetto del territorio - prevalentemente imputati allo Stato - e quello sull'uso del suolo - prevalentemente imputati agli enti territoriali e locali.
Il moderno processo di urbanizzazione ha fatto divenire irrilevante questa distinzione. Il rapporto tra assetto ed uso, un tempo evidente gerarchicamente definito e come tale governabile con attribuzioni di poteri e competenze nettamente ripartite anche per quanto riguardava la pianificazione del territorio e la programmazione degli interventi, oggi lo è molto meno.
Da qui anche le necessità di individuare una serie di politiche nelle quali appunto quella del territorio si sotanzia. Innanzitutto quella rivolta all'Unione europea per la costruzione della politica territoriale comune, ossia di un territorio federatore di Stati.
Quindi la politica di declinazione verso il locale di tale politica, che in questo caso è rappresentato dal territorio dello Stato. Da realizzare in forma coordinata oggetto di esplicita contrattazione con gli altri soggetti istituzionali.
Articolo 2.
La proposta di legge regola le modalità di esercizio delle funzioni amministrative di competenza statale, fissando il criterio che in materia di governo del territorio, è essenziale un'azione congiunta Stato-regioni, da attuare in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
Ciò al fine di assicurare unitarietà ed efficacia all'azione amministrativa, spesso resa frammentaria ed improduttiva da contrasti istituzionali.
Inoltre la concertazione preventiva dell'attività di amministrazione costituisce sperimentando metodo di efficacia operativa.
Articolo 3.
La norma, regola, principalmente il rapporto tra pubblico e privato.
All'amministrazione, in tutti i suoi livelli, compete la definizione delle scelte fondamentali, degli obiettivi e dei mezzi per conseguirli; all'operatore privato la cooperazione nelle scelte attuative, in un logica di reciproca responsabilità, avendo ambedue come riferimento il cittadino e la persona, come utente del territorio e della città, che esprime esigenze da soddisfare in termini di vivibilità.
La pianificazione, quindi, deve delineare obiettivi da consesguire cui corrispondono progetti attuativi da confrontare in termini di bilancio socio-economico.
Si deve inoltre cominciare a parlare di negoziazione delle politiche territoriali tra Stato e regioni: ad esempio, gli aspetti localizzativi delle grandi infrastrutture devono essere una conseguenza dell'accordo raggiunto e non la premessa sulla quale scontrarsi.
Infine è di fondamentale importanza la previsione, del tutto innovativa, che l'attività amministrativa dovrà svolgersi, prioritariamente, secondo un modello negoziale anziché, come da secolare tradizione, secondo il consolidato schema autoritativo.
Articolo 4.
L'articolo 4 affaccia il principio dell'unitarietà del livello di pianificazione, secondo un criterio che, per chiarezza e sia pur in modo approssimativo, può essere così esplicitato: un territorio, una autorità, un piano.
E' di tutta evidenza l'importanza e la novità di siffatta previsione. Ovunque, ormai, sul medesimo territorio si sovrappongono piani diversi aventi frequentemente disposizioni incompatibili fra loro (piani urbanistici, piani paesistici, piani di bacino, piani dei parchi e così via). Una babele normativa che oggi genera conflittualità, incertezza applicativa, defatigante contenzioso, in una parola paralisi operativa.
Prevedere dunque che la disciplina degli interventi sul territorio debba trovar sede in un unico piano significa introdurre un profonda modificazione nel nostro sistema normativo dalla quale derivano rilevanti conseguenze.
Affinché, infatti, ciò sia possibile occorre procedere alla individuazione dell'ambito ottimale di pianificazione, non necessariamente coincidente con quello comunale e variabile a seconda delle caratteristiche naturali e socio-economiche dei luoghi, nonché delle esigenze di infrastrutture e servizi il più delle volte trascendenti lo stretto ambito comunale. Occorre poi individuare anche l'autorità cui attribuire il potere di effettuare tale rilevantissima scelta. Autorità alla quale, di conseguenza, competerà anche la determinazione del soggetto titolare del potere di pianificazione urbanistica. Si tratterà della figura soggettiva, fra quelle istituzionalmente presenti sul territorio (comuni, province, città metropolitane, consorzi di gestione, comunità montane ed altre forme associative) che verrà ritenuta maggiormente idonea ad assicurare l'obiettivo di tale unitarietà di pianificazione in relazione, ovviamente, ai criteri secondo i quali è stato determinato l'ambito ottimale di pianificazione stessa.
Secondo le previsioni dell'articolo 4 spetta alle regioni individuare sia l'ambito ottimale di pianificazione sia l'ente competente alla pianificazione territoriale. In attesa delle determinazioni regionali, la proposta di legge individua nel comune tale ente. Il piano urbanistico è redatto nel rispetto delle direttive nazionali e regionali ed è comprensivo di ogni altra previsione di contenuto territoriale, ponendosi come unico strumento di pianificazione del territorio di competenza. Tale caratteristica obbedisce ad una sentitissima esigenza di semplicità e chiarezza, per superare la tradizionale stratificazione dei piani urbanistici che è sicura fonte di incertezza, di paralisi operativa se non anche di abuso. Tale onnicomprensività richiede il raccordo con tutti gli strumenti di pianificazione incidenti su un dato territorio, in specie con quelli di natura settoriale assai numerosi e vari. A tal fine la proposta di legge attribuisce al piano urbanistico il potere di ricomprendere e coordinare le previsioni settoriali introducendo le necessarie modificazioni di adeguamento affinché tale recepimento sia coerente con le scelte di pianificazione locale, ed abbia effettività unificante. E' dunque in tal modo inequivocabilmente affermata la centralità e la unitarietà del piano urbanistico, caratteristiche che sole giustificano l'eventuale sacrificio della tradizionale competenza pianificatoria dei comuni. La proposta di legge, pur lasciando ovviamente alle regioni ampio spazio dispositivo in ordine alla strutturazione del piano urbanistico, ne delinea una generalissima articolazione in un documento di scelte strategiche ed in altro regolatore degli usi del suolo. E ciò in coerenza con i più recenti ed apprezzati sviluppi dell'elaborazione scientifica in materia. A ragione di assicurare uniformità dispositiva, almeno per le aree non urbanizzate, risponde l'obbligo di una loro suddivisione fra quelle destinate all'agricoltura, quelle di pregio ambientale e quelle destinate ad utilizzazioni ulteriori rispetto a quanto previsto dal piano urbanistico in atto. Una suddivisione, di certo non esaustiva di tutte quelle possibili, ma fondamentale per garantire, in particolare, rilevanza e tutela alle aree ad utilizzazione agricola ed a quelle ritenute, a vario titolo dal piano urbanistico stesso, come meritevoli di tutela e valorizzazione ambientali.
Articolo 5.
La disciplina delle dotazioni per servizi pubblici ha ricevuto, in anni recenti, copiosissima regolamentazione nelle varie legislazioni regionali, al punto che è parso opportuno limitare l'intervento del legislatore statale alla fissazione di essenziali princìpi, in parte già presenti in alcune disposizioni regionali e già oggetto di esperienze applicative locali.
In primo luogo si afferma il criterio della non necessaria "realità" delle dotazioni per servizi pubblici o di interesse pubblico, potendo le stesse dotazioni trovar traduzione, oltre che nelle tradizionali forme di fruizione di aree ed edifici anche, ad esempio, in servizi resi alla collettività, in base ad atto convenzionale, o in altra forma di prestazione idonea d assicurare il soddisfacimento di un pubblico bisogno.
Altro principio posto è quello del requisito necessario dell'accessibilità e della fruibilità delle dotazioni territoriali e, in ossequio al principio di sussidiarietà, di incentivazione dell'iniziativa dei soggetti interessati, privati e loro forme associative, affinché la individuazione di dette dotazioni nasca da un reale confronto tra soggetti pubblici e privati, questi ultimi valorizzati per gli aspetti propositivi e gestionali.
Infine l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 179 del 1999) ha trovato traduzione nella previsione della durata quinquennale dei cosiddetti vincoli non ricognitivi.
Articolo 6.
La regolamentazione del procedimento di formazione ed approvazione del piano urbanistico è certamente questione di pretta rilevanza regionale. Ne consegue che alla legge di principio compete unicamente la affermazione dei consueti e necessari criteri di partecipazione e di pubblicità, nonché la fissazione e disciplina dei casi di sottoposizione del piano a valutazione di compatibilità da parte di altro ente. Si tratta, quest'ultima, di disposizione che assume particolare rilevanza in quanto esclude ogni forma di approvazione del piano urbanistico da parte di ente diverso da quello cui compete l'approvazione stessa, e che inoltre circoscrive ogni successiva valutazione alla compatibilità del piano urbanistico con altri atti di pianificazione e programmazione escludendo ad esempio ogni riscontro di conformità.
Particolare rilievo è, poi, dato agli atti di programmazione negoziata la cui utilizzazione è via via cresciuta nel tempo come strumenti idonei a collegare, con la necessaria flessibilità, le esigenze delle istituzioni pubbliche con quelle degli operatori privati. A tali atti è riconosciuto un ruolo essenziale nell'attuazione delle scelte strategiche di intervento contenute nel documento programmatico del piano urbanistico.
All'esigenza di evitare vuoti normativi risponde, da ultimo, la previsione dell'obbligatorietà di ripianificazione, in tempi certi, a seguito del venir meno, anche per intervento giurisdizionale, di una previsione urbanistica.
Articolo 7.
Le disposizioni sulla perequazione e compensazione costituiscono la trascrizione normativa dei princìpi fondamentali in tema di regime o statuto della proprietà.
Da decenni si dibatte in merito al problema del contenuto minimo della proprietà in termini di diritto all'edificazione e di indennizzibilità dei vincoli e della loro attualizzazione.
Alla base vi è la finalità di rendere omogeneo il sistema delle prescrizioni urbanistiche relative all'edificabilità privata e dall'acquisizione di aree per il soddisfacimento dei servizi ed infrastrutture funzionali agli insediamenti urbani, evitando perciò situazioni di privilegio e di penalizzazione.
Si intende anche ridurre tendenzialmente il ricorso all'istituto dell'esproprio, fonte di contenziosi giudiziari e di aggravi finanziari per le amministrazioni.
Per conseguire tali finalità, si invitano le regioni ad introdurre nel loro ordinamento normativo i princìpi della perequazione, da utilizzare nella fase di programmazione delle scelte urbanistiche di carattere generale, e della compensazione, cui far ricorso nella fase della gestione urbanistica.
Ne discende che in ambiti omogenei i proprietari hanno gli stessi diritti e doveri in relazione ai diritti edificatori e agli obblighi di soddisfacimento di dotazioni urbanizzative, proprio in una logica di equa distribuzione in ossequi ai princìpi enunciati negli articoli 3 e 42 della Costituzione.
Nel contempo i titolari di aree non ricomprese negli ambiti ed incise da vincoli esporpriativi, potranno, ove l'amministrazione non intenda far ricorso comunque all'esproprio, permutare il proprio bene con uno pubblico, trasferire i diritti edificatori su un'area edificabile ovvero realizzare, previo convenzionamento per la gestione, l'opera privata di interesse generale che soddisfi l'esigenza del servizio individuato dal piano.
Al fine di attivare tali forme di compensazione, le amministrazioni potranno precostituirsi un patrimonio di aree da destinare alla permuta mediante acquisizione finalizzata delle stesse nell'ambito dei piani attuativi.
Le regioni potranno altresì destinare finanziamenti a favore dei territori nei quali ricadono vincoli che limitano lo sviluppo economico, proprio in una logica di compensazione territoriale.
Il ricorso a forme compensative sarà attivabile anche per la valorizzazione ambientale ovvero per la rilocalizzazione di funzioni urbane.
Potranno essere altresì individuati bonus o premialità per gli interventi di riqualificazione urbana a fronte del conseguimento di maggiori utilità anche in termini di servizi aggiuntivi, di qualità urbanistica ed ambientale nonché di edilizia sociale.
Articolo 8.
All'attribuzione della potestà di pianificazione dell'ambito di competenza dell'ente istituzionalmente preposto, è strettamente correlato l'obbligo per lo stesso di esercitare la vigilanza ed il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie realizzate sul proprio territorio, per poter reprimere tempestivamente le forme di illegalità, distinguendo tra abusi formali e sostanziali.
Al fine da rendere efficace e tempestiva tale attività di repressione, le regioni dovranno codificare gli opportuni interventi sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti al dovere di adozione dei provvedimenti cautelari e sostanziali.
In tema di titoli abilitativi, una volta chiarito, nelle disposizioni finali, che è inderogabile la disciplina sanzionatoria penale e civile statale e che la stessa non è ricollegata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla fattispecie di intervento da realizzare ed alla sua incidenza in termini di carico urbanistico, viene totalmente rimessa alla regione la determinazione dell'obbligo o meno dell'acquisizione del titolo abilitativo, dell'alternatività tra permesso di costruire e denuncia di inizio attività, nonché della spettanza o meno del contributo di edificazione.
Il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo abilitativo viene connotato dalla previsione di un termine perentorio alla cui scadenza l'istanza si intende accolta. In tal modo è assicurata così la certezza dei tempi per l'inizio dei lavori, in analogia con quanto disposto per la denuncia di inizio attività che acquista piena efficacia dopo il decorso del termine per l'espletamento del controllo da una parte dell'amministrazione.
Articolo 9.
Infine occorre risolvere la pregiudiziale fiscale che rallenta o impedisce i processi di attuazione di nuovi piani di gestione urbanistica, rendendo neutrali sotto il profilo fiscale i trasferimenti intermedi. A tal fine gli scambi di aree e fabbricati interessati all'intervento vengono detassati sia se realizzati da soggetti privati che da esercenti attività commerciale.
In particolare, per quanto attiene le imposte sull'acquisto è previsto che i trasferimenti di immobili e diritti edificatori sono in ogni caso soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dall'acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area.
Per quanto attiene alle imposte sulle plusvalenze, in alternativa al regime ordinario è prevista l'opzione per un regime a tassazione "separato" mediante l'applicazione di una imposta sostitutiva del 4 per cento da applicare sul valore dell'immobile determinato a seguito di una perizia, così come previsto dall'articolo 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002). In tale ambito, è previsto che nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da persone fisiche, l'imposta sia dovuta in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, mentre qualora la stessa sia conseguita da esercenti attività di impresa, la stessa è accantonata in un apposito fondo e risulterà esigibile solo all'atto del trasferimento dell'immobile realizzato (o del diritto edificatorio così ottenuto) in attuazione del piano urbanistico.
Articolo 10.
La disposizione di chiusura richiama gli altri princìpi generali complementari alla materia del governo del territorio e contenuti nelle leggi in materia di edilizia, con le specificazioni sopra evidenziate, espropriazione, difesa del suolo e tutela dei beni culturali ed ambientali in ossequio a quanto disposto dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.
Onorevoli Colleghi! - Com'è noto il nuovo testo dell'articolo 117 della Costituzione, assegna la materia del "governo del territorio" alla competenza concorrente tra Stato e regioni.
L'espressione usata dal legislatore del 2001 è del tutto nuova per il contesto costituzionale e politico italiano. In passato, infatti, siano stati abituati a misurarci con temi quali l'"urbanistica", l'"assetto del territorio", l'"edilizia", tali, infatti, erano le locuzioni utilizzate al fine di eliminare le competenze legislative e amministrative regionali.
Oggi, però, nel nostro ordinamento giuridico e istituzionale si pone una esigenza assolutamente non procrastinabile: quella di un intervento legislativo volto a chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata in Costituzione.
In questo senso, l'iniziativa che qui viene proposta ha un valore, senza timore d'enfasi eccessiva, di portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica n. 1150 del 1942.
Pienamente in accordo con l'evoluzione costituzionale avviata nel 2001 ed attualmente ancora in fase di attuazione e correzione, la presente proposta di legge ha l'obiettivo non solo di fissare i princìpi fondamentali della materia, ma anche di individuare il nuovo oggetto di questa competenza, definendo i soggetti, i mezzi e le procedure amministrative che guideranno le regioni nella determinazione delle norme disciplinanti l'oggetto del governo del territorio.
Altro elemento qualificante della proposta che si sottopone all'esame parlamentare è il profondo rispetto per il nuovo ruolo costituzionalmente fissato per le regioni in questo settore. Più volte si è assistito ad una legislazione statale di "ritaglio" delle competenze regionali, finalizzata a differenziare le discipline al solo fine di mantenere allo Stato centrale un ruolo di gestione e di dettaglio, non più coerente con il sistema costituzionale ed, altresì, foriero di duplicazioni e complicazioni burocratiche sempre crescenti.
Centrale, viceversa, dev'essere il ruolo dello Stato nel fissare i valori unificanti e gli elementi strutturali del sistema di azione e governo territoriale.
La scelta del progetto di legge è, dunque, chiaramente quella della legislazione statale di principio, aperta all'apporto ed alla integrazione normativa delle regioni. In questa direzione, essendo consapevoli delle interferenze tra materie concorrenti - quali il governo del territorio - e materie esclusive statali - quali ad esempio la tutela ambientale e degli ecosistemi - si è scelto di concepire unitariamente la regolazione attuativa, assegnando la potestà regolamentare in materia ambientale (che lo Stato avrebbe potuto riservare a sé) alle regioni, a completamento della devoluzione normativa di governo del territorio.
In tal senso, questa proposta di definizione dei princìpi e delle linee essenziali di assetto delle competenze legislative regionali e statali sul governo del territorio, muove da, e allo stesso tempo promuove, una rivoluzione culturale circa il rapporto tra autorità pubblica e territorio, fondato non più su visioni dirigistiche e "statocentriche" dell'azione pubblica ma su una vera e propria sussidiarietà territoriale.
In particolare, il progetto di legge che si propone all'approvazione prevede, nei singoli articoli, quanto segue.
Articolo 1.
La proposta di legge, in primo luogo, definisce il concetto di governo del territorio. Con l'espressione "governo del territorio", usato per la prima volta nella Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, si è voluto individuare una materia caratterizzata, come altre, da un forte grado di complessità: in essa rientra la regolamentazione dell'aspetto morfologico del territorio e la disciplina delle interazioni tra questo e gli interessi economico-sociali espressi dalla società civile.
Si tratta, quindi, di un insieme complesso di ambiti tra cui rientrano, volendo esemplificare, tanto lo statuto della proprietà immobiliare, quanto il riordino del sistema della fiscalità territoriale, tanto l'espropriazione, quanto i vincoli ricognitivi o quelli a contenuto sostanzialmente espropriativo, tanto i rimedi alle sovrapposizioni tra pianificazione ambientale e urbanistica, quanto l'integrazione delle varie politiche riguardanti il territorio, tanto il coordinamento tra disciplina urbanistica e lavori pubblici, quanto, infine, il rapporto tra servizi pubblici e territorio di riferimento.
Come in precedenza sottolineato, alla regione viene delegata la potestà regolamentare in materia di beni culturali e di tutela dell'ambiente.
La ragione di tale attribuzione è, evidentemente, quella di assicurare una unitarietà normativa, sul piano attuativo, essenziale per la reale efficacia operativa, e per rendere omogenea la disciplina globale del territorio.
Infine, l'appartenenza del nostro territorio nazionale a quello che si definisce lo "spazio comune europeo", oggetto di politiche e di azioni via via sempre più incisive da parte della Unione europea, impone di individuare un nuovo modo di governare l'assetto del territorio e l'uso del suolo, un tempo basato sulla netta ripartizione di poteri e competenze in materia di assetto del territorio - prevalentemente imputati allo Stato - e quello sull'uso del suolo - prevalentemente imputati agli enti territoriali e locali.
Il moderno processo di urbanizzazione ha fatto divenire irrilevante questa distinzione. Il rapporto tra assetto ed uso, un tempo evidente gerarchicamente definito e come tale governabile con attribuzioni di poteri e competenze nettamente ripartite anche per quanto riguardava la pianificazione del territorio e la programmazione degli interventi, oggi lo è molto meno.
Da qui anche le necessità di individuare una serie di politiche nelle quali appunto quella del territorio si sotanzia. Innanzitutto quella rivolta all'Unione europea per la costruzione della politica territoriale comune, ossia di un territorio federatore di Stati.
Quindi la politica di declinazione verso il locale di tale politica, che in questo caso è rappresentato dal territorio dello Stato. Da realizzare in forma coordinata oggetto di esplicita contrattazione con gli altri soggetti istituzionali.
Articolo 2.
La proposta di legge regola le modalità di esercizio delle funzioni amministrative di competenza statale, fissando il criterio che in materia di governo del territorio, è essenziale un'azione congiunta Stato-regioni, da attuare in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
Ciò al fine di assicurare unitarietà ed efficacia all'azione amministrativa, spesso resa frammentaria ed improduttiva da contrasti istituzionali.
Inoltre la concertazione preventiva dell'attività di amministrazione costituisce sperimentando metodo di efficacia operativa.
Articolo 3.
La norma, regola, principalmente il rapporto tra pubblico e privato.
All'amministrazione, in tutti i suoi livelli, compete la definizione delle scelte fondamentali, degli obiettivi e dei mezzi per conseguirli; all'operatore privato la cooperazione nelle scelte attuative, in un logica di reciproca responsabilità, avendo ambedue come riferimento il cittadino e la persona, come utente del territorio e della città, che esprime esigenze da soddisfare in termini di vivibilità.
La pianificazione, quindi, deve delineare obiettivi da consesguire cui corrispondono progetti attuativi da confrontare in termini di bilancio socio-economico.
Si deve inoltre cominciare a parlare di negoziazione delle politiche territoriali tra Stato e regioni: ad esempio, gli aspetti localizzativi delle grandi infrastrutture devono essere una conseguenza dell'accordo raggiunto e non la premessa sulla quale scontrarsi.
Infine è di fondamentale importanza la previsione, del tutto innovativa, che l'attività amministrativa dovrà svolgersi, prioritariamente, secondo un modello negoziale anziché, come da secolare tradizione, secondo il consolidato schema autoritativo.
Articolo 4.
L'articolo 4 affaccia il principio dell'unitarietà del livello di pianificazione, secondo un criterio che, per chiarezza e sia pur in modo approssimativo, può essere così esplicitato: un territorio, una autorità, un piano.
E' di tutta evidenza l'importanza e la novità di siffatta previsione. Ovunque, ormai, sul medesimo territorio si sovrappongono piani diversi aventi frequentemente disposizioni incompatibili fra loro (piani urbanistici, piani paesistici, piani di bacino, piani dei parchi e così via). Una babele normativa che oggi genera conflittualità, incertezza applicativa, defatigante contenzioso, in una parola paralisi operativa.
Prevedere dunque che la disciplina degli interventi sul territorio debba trovar sede in un unico piano significa introdurre un profonda modificazione nel nostro sistema normativo dalla quale derivano rilevanti conseguenze.
Affinché, infatti, ciò sia possibile occorre procedere alla individuazione dell'ambito ottimale di pianificazione, non necessariamente coincidente con quello comunale e variabile a seconda delle caratteristiche naturali e socio-economiche dei luoghi, nonché delle esigenze di infrastrutture e servizi il più delle volte trascendenti lo stretto ambito comunale. Occorre poi individuare anche l'autorità cui attribuire il potere di effettuare tale rilevantissima scelta. Autorità alla quale, di conseguenza, competerà anche la determinazione del soggetto titolare del potere di pianificazione urbanistica. Si tratterà della figura soggettiva, fra quelle istituzionalmente presenti sul territorio (comuni, province, città metropolitane, consorzi di gestione, comunità montane ed altre forme associative) che verrà ritenuta maggiormente idonea ad assicurare l'obiettivo di tale unitarietà di pianificazione in relazione, ovviamente, ai criteri secondo i quali è stato determinato l'ambito ottimale di pianificazione stessa.
Secondo le previsioni dell'articolo 4 spetta alle regioni individuare sia l'ambito ottimale di pianificazione sia l'ente competente alla pianificazione territoriale. In attesa delle determinazioni regionali, la proposta di legge individua nel comune tale ente. Il piano urbanistico è redatto nel rispetto delle direttive nazionali e regionali ed è comprensivo di ogni altra previsione di contenuto territoriale, ponendosi come unico strumento di pianificazione del territorio di competenza. Tale caratteristica obbedisce ad una sentitissima esigenza di semplicità e chiarezza, per superare la tradizionale stratificazione dei piani urbanistici che è sicura fonte di incertezza, di paralisi operativa se non anche di abuso. Tale onnicomprensività richiede il raccordo con tutti gli strumenti di pianificazione incidenti su un dato territorio, in specie con quelli di natura settoriale assai numerosi e vari. A tal fine la proposta di legge attribuisce al piano urbanistico il potere di ricomprendere e coordinare le previsioni settoriali introducendo le necessarie modificazioni di adeguamento affinché tale recepimento sia coerente con le scelte di pianificazione locale, ed abbia effettività unificante. E' dunque in tal modo inequivocabilmente affermata la centralità e la unitarietà del piano urbanistico, caratteristiche che sole giustificano l'eventuale sacrificio della tradizionale competenza pianificatoria dei comuni. La proposta di legge, pur lasciando ovviamente alle regioni ampio spazio dispositivo in ordine alla strutturazione del piano urbanistico, ne delinea una generalissima articolazione in un documento di scelte strategiche ed in altro regolatore degli usi del suolo. E ciò in coerenza con i più recenti ed apprezzati sviluppi dell'elaborazione scientifica in materia. A ragione di assicurare uniformità dispositiva, almeno per le aree non urbanizzate, risponde l'obbligo di una loro suddivisione fra quelle destinate all'agricoltura, quelle di pregio ambientale e quelle destinate ad utilizzazioni ulteriori rispetto a quanto previsto dal piano urbanistico in atto. Una suddivisione, di certo non esaustiva di tutte quelle possibili, ma fondamentale per garantire, in particolare, rilevanza e tutela alle aree ad utilizzazione agricola ed a quelle ritenute, a vario titolo dal piano urbanistico stesso, come meritevoli di tutela e valorizzazione ambientali.
Articolo 5.
La disciplina delle dotazioni per servizi pubblici ha ricevuto, in anni recenti, copiosissima regolamentazione nelle varie legislazioni regionali, al punto che è parso opportuno limitare l'intervento del legislatore statale alla fissazione di essenziali princìpi, in parte già presenti in alcune disposizioni regionali e già oggetto di esperienze applicative locali.
In primo luogo si afferma il criterio della non necessaria "realità" delle dotazioni per servizi pubblici o di interesse pubblico, potendo le stesse dotazioni trovar traduzione, oltre che nelle tradizionali forme di fruizione di aree ed edifici anche, ad esempio, in servizi resi alla collettività, in base ad atto convenzionale, o in altra forma di prestazione idonea d assicurare il soddisfacimento di un pubblico bisogno.
Altro principio posto è quello del requisito necessario dell'accessibilità e della fruibilità delle dotazioni territoriali e, in ossequio al principio di sussidiarietà, di incentivazione dell'iniziativa dei soggetti interessati, privati e loro forme associative, affinché la individuazione di dette dotazioni nasca da un reale confronto tra soggetti pubblici e privati, questi ultimi valorizzati per gli aspetti propositivi e gestionali.
Infine l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 179 del 1999) ha trovato traduzione nella previsione della durata quinquennale dei cosiddetti vincoli non ricognitivi.
Articolo 6.
La regolamentazione del procedimento di formazione ed approvazione del piano urbanistico è certamente questione di pretta rilevanza regionale. Ne consegue che alla legge di principio compete unicamente la affermazione dei consueti e necessari criteri di partecipazione e di pubblicità, nonché la fissazione e disciplina dei casi di sottoposizione del piano a valutazione di compatibilità da parte di altro ente. Si tratta, quest'ultima, di disposizione che assume particolare rilevanza in quanto esclude ogni forma di approvazione del piano urbanistico da parte di ente diverso da quello cui compete l'approvazione stessa, e che inoltre circoscrive ogni successiva valutazione alla compatibilità del piano urbanistico con altri atti di pianificazione e programmazione escludendo ad esempio ogni riscontro di conformità.
Particolare rilievo è, poi, dato agli atti di programmazione negoziata la cui utilizzazione è via via cresciuta nel tempo come strumenti idonei a collegare, con la necessaria flessibilità, le esigenze delle istituzioni pubbliche con quelle degli operatori privati. A tali atti è riconosciuto un ruolo essenziale nell'attuazione delle scelte strategiche di intervento contenute nel documento programmatico del piano urbanistico.
All'esigenza di evitare vuoti normativi risponde, da ultimo, la previsione dell'obbligatorietà di ripianificazione, in tempi certi, a seguito del venir meno, anche per intervento giurisdizionale, di una previsione urbanistica.
Articolo 7.
Le disposizioni sulla perequazione e compensazione costituiscono la trascrizione normativa dei princìpi fondamentali in tema di regime o statuto della proprietà.
Da decenni si dibatte in merito al problema del contenuto minimo della proprietà in termini di diritto all'edificazione e di indennizzibilità dei vincoli e della loro attualizzazione.
Alla base vi è la finalità di rendere omogeneo il sistema delle prescrizioni urbanistiche relative all'edificabilità privata e dall'acquisizione di aree per il soddisfacimento dei servizi ed infrastrutture funzionali agli insediamenti urbani, evitando perciò situazioni di privilegio e di penalizzazione.
Si intende anche ridurre tendenzialmente il ricorso all'istituto dell'esproprio, fonte di contenziosi giudiziari e di aggravi finanziari per le amministrazioni.
Per conseguire tali finalità, si invitano le regioni ad introdurre nel loro ordinamento normativo i princìpi della perequazione, da utilizzare nella fase di programmazione delle scelte urbanistiche di carattere generale, e della compensazione, cui far ricorso nella fase della gestione urbanistica.
Ne discende che in ambiti omogenei i proprietari hanno gli stessi diritti e doveri in relazione ai diritti edificatori e agli obblighi di soddisfacimento di dotazioni urbanizzative, proprio in una logica di equa distribuzione in ossequi ai princìpi enunciati negli articoli 3 e 42 della Costituzione.
Nel contempo i titolari di aree non ricomprese negli ambiti ed incise da vincoli esporpriativi, potranno, ove l'amministrazione non intenda far ricorso comunque all'esproprio, permutare il proprio bene con uno pubblico, trasferire i diritti edificatori su un'area edificabile ovvero realizzare, previo convenzionamento per la gestione, l'opera privata di interesse generale che soddisfi l'esigenza del servizio individuato dal piano.
Al fine di attivare tali forme di compensazione, le amministrazioni potranno precostituirsi un patrimonio di aree da destinare alla permuta mediante acquisizione finalizzata delle stesse nell'ambito dei piani attuativi.
Le regioni potranno altresì destinare finanziamenti a favore dei territori nei quali ricadono vincoli che limitano lo sviluppo economico, proprio in una logica di compensazione territoriale.
Il ricorso a forme compensative sarà attivabile anche per la valorizzazione ambientale ovvero per la rilocalizzazione di funzioni urbane.
Potranno essere altresì individuati bonus o premialità per gli interventi di riqualificazione urbana a fronte del conseguimento di maggiori utilità anche in termini di servizi aggiuntivi, di qualità urbanistica ed ambientale nonché di edilizia sociale.
Articolo 8.
All'attribuzione della potestà di pianificazione dell'ambito di competenza dell'ente istituzionalmente preposto, è strettamente correlato l'obbligo per lo stesso di esercitare la vigilanza ed il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie realizzate sul proprio territorio, per poter reprimere tempestivamente le forme di illegalità, distinguendo tra abusi formali e sostanziali.
Al fine da rendere efficace e tempestiva tale attività di repressione, le regioni dovranno codificare gli opportuni interventi sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti al dovere di adozione dei provvedimenti cautelari e sostanziali.
In tema di titoli abilitativi, una volta chiarito, nelle disposizioni finali, che è inderogabile la disciplina sanzionatoria penale e civile statale e che la stessa non è ricollegata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla fattispecie di intervento da realizzare ed alla sua incidenza in termini di carico urbanistico, viene totalmente rimessa alla regione la determinazione dell'obbligo o meno dell'acquisizione del titolo abilitativo, dell'alternatività tra permesso di costruire e denuncia di inizio attività, nonché della spettanza o meno del contributo di edificazione.
Il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo abilitativo viene connotato dalla previsione di un termine perentorio alla cui scadenza l'istanza si intende accolta. In tal modo è assicurata così la certezza dei tempi per l'inizio dei lavori, in analogia con quanto disposto per la denuncia di inizio attività che acquista piena efficacia dopo il decorso del termine per l'espletamento del controllo da una parte dell'amministrazione.
Articolo 9.
Infine occorre risolvere la pregiudiziale fiscale che rallenta o impedisce i processi di attuazione di nuovi piani di gestione urbanistica, rendendo neutrali sotto il profilo fiscale i trasferimenti intermedi. A tal fine gli scambi di aree e fabbricati interessati all'intervento vengono detassati sia se realizzati da soggetti privati che da esercenti attività commerciale.
In particolare, per quanto attiene le imposte sull'acquisto è previsto che i trasferimenti di immobili e diritti edificatori sono in ogni caso soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dall'acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area.
Per quanto attiene alle imposte sulle plusvalenze, in alternativa al regime ordinario è prevista l'opzione per un regime a tassazione "separato" mediante l'applicazione di una imposta sostitutiva del 4 per cento da applicare sul valore dell'immobile determinato a seguito di una perizia, così come previsto dall'articolo 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002). In tale ambito, è previsto che nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da persone fisiche, l'imposta sia dovuta in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, mentre qualora la stessa sia conseguita da esercenti attività di impresa, la stessa è accantonata in un apposito fondo e risulterà esigibile solo all'atto del trasferimento dell'immobile realizzato (o del diritto edificatorio così ottenuto) in attuazione del piano urbanistico.
Articolo 10.
La disposizione di chiusura richiama gli altri princìpi generali complementari alla materia del governo del territorio e contenuti nelle leggi in materia di edilizia, con le specificazioni sopra evidenziate, espropriazione, difesa del suolo e tutela dei beni culturali ed ambientali in ossequio a quanto disposto dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.
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ìArt. 1.
(Governo del territorio).
1. In attuazione dell'articolo 117 della Costituzione, la presente legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio.
2. Il governo del territorio consiste nella disciplina degli usi del suolo e della mobilità, nel rispetto della tutela del suolo, dell'ambiente e dei beni culturali e ambientali.
3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, alle quali è delegata la potestà regolamentare sulla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione.
4. Le potestà dello Stato sono esercitate attraverso la predisposizione di politiche generali e di settore inerenti lo sviluppo economico-sociale, il territorio e l'ambiente.
5. Per l'attuazione delle politiche di cui al comma 4, lo Stato adotta strumenti di indirizzo e di intervento e coordina la sua azione con quella dell'Unione europea e delle regioni.
Art. 2.
(Funzioni amministrative dello Stato).
1. Le funzioni amministrative concernenti l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, coerenti con le scelte di sostenibilità economica, e la fissazione dei criteri per la tutela dei beni culturali e ambientali, per la conservazione dell'ambiente, per la difesa del suolo e per l'equilibrio degli ecosistemi, nonché le funzioni amministrative relative all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, sono esercitate dallo Stato d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Art. 3.
(Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione).
1. La ripartizione delle attribuzioni e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali e i rapporti tra questi e i soggetti interessati si svolgono secondo i criteri della autonomia, della responsabilità e della tutela dell'affidamento.
2. I soggetti istituzionali cooperano alla definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, sentiti i soggetti interessati.
3. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l'adozione di atti paritetici in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti istituzionali e fra questi e i soggetti interessati, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.
4. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l'esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l'attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni ambientali, nonché alle infrastrutture.
Art. 4.
(Programmazione e pianificazione del territorio).
1. Le regioni individuano gli ambiti territoriali da pianificare e l'ente competente alla pianificazione, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell'ambito da pianificare.
2. L'ente preposto alla pianificazione è il soggetto primario della disciplina e del controllo dell'uso del territorio. Gli atti di governo del territorio assicurano la disciplina della totalità del territorio, il rispetto dei caratteri storici, culturali e sociali, l'integrazione delle funzioni, la riqualificazione urbana e l'equilibrio fra aree urbanizzate e non urbanizzate. Tali atti sono predisposti in conformità agli atti di programmazione economica e di pianificazione sovraordinati, nonché alle intese e agli accordi intervenuti.
3. Nell'ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree effettivamente destinate all'agricoltura, aree di pregio ambientale e aree per ulteriori utilizzazioni.
4. Il piano urbanistico è l'unico strumento di disciplina della totalità del territorio e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione di settore concernente il territorio.
5. Il piano urbanistico è articolato in un documento programmatico delle scelte strutturali e strategiche, e in un documento regolatore degli usi del suolo di interesse collettivo e dei diritti d'uso del suolo esistenti nonché in proposte di trasformazioni urbane attuative dello stesso documento programmatico.
6. Fino alla individuazione degli ambiti territoriali da pianificare, e salva diversa disposizione legislativa regionale, l'ente competente alla pianificazione è il comune.
Art. 5.
(Dotazioni territoriali).
1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche non connessi ad aree e ad immobili.
2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l'iniziativa dei soggetti interessati.
3. La previsione del piano urbanistico che abbia contenuti di inedificabilità o di destinazione pubblica decade se non attuata entro cinque anni, salvo che non si tratti di vincoli e destinazioni che il piano deve recepire.
Art. 6.
(Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).
1. Nel procedimento di formazione del piano urbanistico sono assicurate adeguate forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali.
2. In sede di approvazione del piano urbanistico sono valutate le osservazioni dei soggetti interessati, e su di esse sono prese, previa motivazione, le relative decisioni.
3. L'ente di pianificazione può concludere accordi con i soggetti interessati per recepire nel piano urbanistico proposte di interventi, in attuazione degli obiettivi strategici indicati nel documento programmatico. L'accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione del piano urbanistico che lo recepisce.
4. Le regioni stabiliscono altresì le modalità del procedimento di formazione e di approvazione del piano e delle sue varianti, fissano i termini perentori per la pubblicità e la consultazione, i casi in cui il piano è da sottoporre a verifica di compatibilità, individuando il soggetto pubblico delegato alla funzione e stabilendone le relative modalità, nonchè determinano analoghi tempi perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.
Art. 7.
(Attuazione del piano urbanistico).
1. L'attuazione delle previsioni del piano urbanistico avviene con piano attuativo o con intervento diretto. Le regioni ne individuano presupposti e modalità. L'attuazione è subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.
2. L'attuazione e la gestione del piano urbanistico possono avvenire attraverso strumenti e modalità di perequazione e di compensazione.
3. La perequazione è realizzata con l'attribuzione di diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica.
4. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in percentuale del complessivo valore della proprietà di ciascun proprietario, e sono liberamente commerciabili.
5. Nelle ipotesi di vincoli di inedificabilità o di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, il proprietario interessato può scegliere fra la cessione dell'area all'ente di pianificazione a un prezzo corrispondente al valore venale dell'area prima del vincolo, il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell'area prima del vincolo su altra area di sua disponibilità, la permuta dell'area con area di proprietà dell'ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l'amministrazione per la gestione di servizi.
6. Le regioni assicurano agli enti di pianificazione le adeguate coperture economiche-finanziarie per la realizzazione di aree comunali, per le permute e per ovviare eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio.
Art. 8.
(Attività edilizia).
1. L'ente di pianificazione esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.
2. Le regioni individuano le attività di trasformazione urbanistica ed edilizia soggette e le attività non soggette a titolo abilitativo, le categorie di interventi e le condizioni in base alle quali il soggetto interessato ha la facoltà di presentare una denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire, l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione totale o parziale dell'onerosità per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.
3. Alla scadenza del termine previsto per il rilascio del permesso di costruire, l'istanza si intende favorevolmente accolta.
4. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi, salvo quanto previsto dall'articolo 9.
Art. 9.
(Fiscalità urbanistica).
1. I trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l'attuazione del piano urbanistico di cui all'articolo 7, sono in ogni caso irrilevanti agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dalla data di acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area come previsto dal piano urbanistico.
2. Agli effetti delle imposte sul reddito, in alternativa al regime ordinario, le plusvalenze derivanti dai trasferimenti degli immobili e dei diritti edificatori finalizzati all'attuazione del piano urbanistico sono soggette all'imposta sostitutiva delle imposte sul reddito pari al 4 per cento del valore di perizia risultante da stime effettuate ai sensi dell'articolo 64 del codice di procedura civile.
3. L'imposta sostitutiva di cui al comma 2, determinata all'atto del trasferimento dell'immobile o del diritto edificatorio finalizzato all'attuazione del piano urbanistico, è esigibile in sede di presentazione della dichiarazione successiva al presupposto impositivo. Nell'ipotesi in cui la pusvalenza è realizzata da esercenti attività commerciali l'imposta è accantonata in apposito fondo e risulta esigibile solo all'atto della successiva vendita dell'area o del diritto edificatorio così ottenuto.
Art. 10.
(Disposizioni finali).
1. Per quanto espressamente non previsto dalla presente legge, si applicano i princìpi generali stabiliti dalla normativa vigente in materia di edilizia, con particolare riferimento alla disciplina penale e civile dell'abuso edilizio, dell'espropriazione per pubblico interesse, della difesa del suolo e della tutela dei beni culturali e ambientali.
Relazione
Onorevoli Colleghi! - La riforma urbanistica è tra le più urgenti e necessarie per la modernizzazione del Paese.
Nella legislazione statale siamo infatti ancora fermi ai princìpi della legge n. 1150 del 1942 mentre la realtà delle cose è fortemente cambiata.
L'urbanistica di espansione si è arrestata, crescono le esigenze di recupero e di riqualificazione delle città esistenti (si pensi alla conversione delle aree industriali dismesse), aumenta l'esigenza di governare le trasformazioni con strumenti flessibili e non tramite rigide e impraticabili pianificazioni.
Anche alla luce del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione sussiste la competenza statale per una legge di soli princìpi che stabilisca contenuti generali e strumenti del governo pubblico del territorio.
D'altra parte, l'ipotesi di una totale regionalizzazione delle competenze urbanistiche può ritenersi irrealistica e criticabile, anche alla luce dei lavori della Commissione parlamentare consultiva in ordine all'attuazione della riforma amministrativa e degli articoli 54-59 del decreto legislativo n. 112 del 1998 attuativo della "legge Bassanini" n. 59 del 1997.
In primo luogo, perché "i programmi innovativi in ambito urbano" nonché i grandi interventi infrastrutturali, i programmi di opere pubbliche statali, gli obiettivi principali di tutela ambientale e paesaggistica, culturale, di promozione dei valori dell'architettura e di difesa del suolo, richiedono certamente l'esercizio di funzioni statali. Occorre, al riguardo, considerare che l'ambiente e l'ecosistema sono attribuiti alla competenza esclusiva dello Stato unitamente alla materia "tutela della concorrenza" il che, in una urbanistica sempre più procedimentalizzata e negoziale, non è certo irrilevante.
Appartengono inoltre alla competenza esclusiva dello Stato il regime civilistico delle proprietà, oltre che il regime sanzionatorio.
In secondo luogo perché tali competenze sussistono in tutti i Paesi europei, sebbene con differenti assetti organizzativi, e non vi è ragione per pervenire in Italia a diverse soluzioni. In terzo luogo, realisticamente, non è certo ragionevole lasciare alla scoordinata proliferazione di modelli regionali l'intero onere della riforma, con tempi e modi di attuazione inevitabilmente diversi: ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione vigente, il legislatore statale ha il dovere di offrire un quadro aggiornato e moderno di "princìpi" legislativi, abrogando la legislazione previgente, proprio per favorire l'esercizio consapevole delle prerogative regionali.
Non può poi essere trascurato che la riforma costituzionale del citato articolo 117 conserva nell'ambito della legislazione concorrente il "governo del territorio".
Per queste ragioni, non si può non essere favorevoli alla sollecita emanazione di una legge statale di soli princìpi per la riforma urbanistica con contestuale abrogazione delle leggi previgenti fermo restando che, per ragioni di tecnica legislativa, dovrà tenere conto dei testi unici in materia di espropriazioni e di edilizia, già approvati ma la cui efficacia è attualmente differita.
Nel merito della riforma legislativa un quadro di contenuti può dirsi da tempo definito e da più parti condiviso, come pure alcuni elementi di analisi.
D'altronde non sono mancati, nelle precedenti legislature, tentativi avanzati e maturi di riforma: tra questi è rilevante richiamare il testo elaborato del professor Paolo Stella Richter come pure, nella XIII legislatura, il "testo Lorenzetti", sintesi di un articolato percorso di proposte di legge e di audizioni dei principali soggetti culturali, scientifici, istituzionali, economici operanti nel settore.
Contributi rilevanti ai temi della riforma, sotto molti profili, sono negli anni recenti pervenuti dall'intensa attività dell'Istituto nazionale di urbanistica, con riflessi disciplinari e legislativi ampiamente sperimentati a livello regionale e comunale.
In sintesi non è forse inutile ricordare che in Italia l'urbanistica ed il governo pubblico del territorio hanno conosciuto, in specie negli anni sessanta e settanta, un forte scontro ideologico con connotati peculiari rispetto ad altri Paesi.
Si è affermata, in sostanza, una concezione dell'urbanistica come disciplina di tutte le trasformazioni, gestione e usi del territorio e degli interessi plurimi e diversi che in esso hanno sede ("panurbanistica") e si è ampiamente ritenuto che gli strumenti urbanistici fossero deputati a perseguire fini politici generali.
Si è determinato un notevole conflitto sia all'interno dei diversi soggetti istituzionali titolari di interessi radicati sul territorio e sia tra questi e i soggetti privati (basti pensare alle vicende irrisolte del regime giuridico delle espropriazioni, dei vincoli, della disciplina generale dei suoli edificabili).
Negli anni ottanta, a fronte di una crisi evidente anche sul piano disciplinare dell'urbanistica e ad un parziale arresto della logica dell'espansione edificatoria, si sono affermate le politiche di deregulation o, meglio, di deroga ai piani (localizzazione con legge di opere pubbliche, meccanismi di intese Stato-regioni ai sensi dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, promozione delle "varianti automatiche" anche attraverso i nuovi istituti della "conferenza di servizi" e degli "accordi di programma").
L'effetto di tali politiche, unitamente alle nuove tendenze legislative volte ad affermare la preminenza dell'ambiente sull'urbanistica (vedi leggi n. 183 del 1989, n. 305 del 1989, piani paesistici), è stato quello di determinare la crisi irreversibile del sistema di pianificazione del territorio delineato dalla legge fondamentale n. 1150 del 1942 (in gran parte vigente), sostituendo surrettiziamente al criterio ordinatore della "gerarchia tra i piani" quello della "gerarchia degli interessi" (di volta in volta emergenti).
Peraltro, dinanzi alla stagnazione della riforma legislativa, occorre prendere atto di un fenomeno fortemente innovativo, nella forma e nella sostanza, degli anni recenti: l'affermazione di politiche governative finalizzate al recupero e alla riqualificazione urbana e ambientale, condotte attraverso decreti ministeriali anzichè atti legislativi.
Trattasi delle politiche statali variamente intitolate ai programmi di riqualificazione urbana e ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio, ai patti territoriali, ai contratti di quartiere e ai programmi integrati di intervento (questi ultimi anche regionali).
In effetti queste politiche, caratteristiche dell'esperienza più recente, hanno in comune una accentuata eterogeneità dei fini (recupero, riqualificazione, nuove costruzioni) e dei mezzi (attivazione di risorse pubbliche e private).
Esse hanno il merito di affermare una visione integrata e sostenibile delle azioni sul territorio secondo una logica, per così dire, di "piano-progetto" innovando rispetto alla tradizionale scissione tra pianificazione territoriale e programmazione attuativa.
Pur tuttavia permangono molti e rilevanti punti di tensione irrisolti: primi tra tutti, il rapporto con il sistema di pianificazione ordinario e il rispetto dei princìpi di concorsualità e di trasparenza nella scelta dei partner privati per l'esecuzione delle opere pubbliche.
La stagione che potremmo definire dell'"urbanistica dal basso" o dell'"urbanistica per bandi", non sembra in grado di risolvere interamente i principali nodi concettuali e giuridici.
E' necessario un nuovo approccio ai problemi del settore in grado di razionalizzare le principali esperienze regionali e comunali e di giovarsi della dottrina, delle competenze disciplinari e delle analisi che sono emerse nell'intenso dibattito degli anni recenti pervenendo ad un profondo rinnovamento di nozioni, teorie e istituti sul piano giuridico e disciplinare.
Occorre riaffermare la necessità, di principio e tecnico-operativa, di un razionale sistema di pianificazione del territorio senza indulgere in posizioni apologetiche del piano e correggendo gli eccessi statalisti (o comunali) del passato e del presente.
Un tale impegno, che non si attua solo in via legislativa, è ovviamente condizione indispensabile anche al fine del rilancio dell'economia nel settore edilizio e delle opere pubbliche e nella promozione di uno sviluppo ambientalmente sostenibile.
La direzione di marcia emersa dalle esperienze degli anni più recenti e dalle proposte di riforma culturalmente più mature è ben chiara.
Legge di princìpi e revisione normativa; programmazione solo strategica e di coordinamento a livello regionale; principio di copianificazione, sulla scorta dell'esperienza francese, per rendere più efficace il coordinamento intersoggettivo; nuovo piano territoriale provinciale fondato sul sistema ambientale (invariante cogente) e sul sistema delle infrastrutture e dei servizi; revisione della pianificazione comunale attraverso l'affermazione del principio della non obbligatoria estensione del piano regolatore all'intero territorio comunale e la nuova articolazione in piano strutturale-direttore, non vincolistico e di medio periodo, e piano comunale attuativo, vincolistico e, in alcuni modelli, legato al mandato politico-amministrativo; integrazione preventiva di tecniche di tutela ambientale nella pianificazione urbanistica (principio di sostenibilità ambientale); marginalizzazione, per quanto possibile, dell'esproprio e dei vincoli preordinati; perequazione tra le proprietà inserite nei comparti di trasformazione; una più netta distinzione tra regime degli interventi sull'edificato e opere nuove (le regole per gli interventi minori sul costruito non possono essere le stesse dell'urbanistica di espansione e di riqualificazione intensiva); abbandono dell'attuale logica quantitativa degli standard, in mille modi derogata, in favore di standard prestazionali o reali, ossia di volta in volta valutati nell'ambito del piano-progetto operativo o nel piano comunale dei servizi e delle infrastrutture; determinazione di regole per la disciplina del procedimento di negoziazione urbanistica, anche ai fini dell'attuazione del piano-progetto operativo, garantendo trasparenza, partecipazione e par condicio concorsuale tra gli operatori; eliminazione di qualsiasi commistione tra opere di urbanizzazione realizzabili direttamente e a scomputo degli oneri di concessione e opere pubbliche, la cui progettazione e costruzione devono essere soggette alle regole delle gare comunitarie degli appalti; semplificazione amministrativa delle procedure; un nuovo approccio basato su un'"amministrazione per risultati" e una "pianificazione per obiettivi" coerente con il principio della separazione delle funzioni tra organi politici e responsabili della gestione amministrativa; una più ampia previsione dei nuovi strumenti di partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche superando sia il ristretto istituto delle "osservazioni" successive all'adozione che il divieto di partecipazione posto dall'articolo 13 della legge n. 241 del 1990.
I temi indicati costituiscono elementi dell'esperienza di "riforma dal basso", variamente praticata dalle regioni e dagli enti locali pur in presenza di una legislazione statale ormai antica e inadeguata.
La presente proposta di legge nasce dunque dal contenuto della vasta sperimentazione riformistica degli anni recenti, perseguita da governi di diversa connotazione politica, a dimostrazione della sussistenza di un campo di esigenze ampiamente condiviso tra le diverse forze politiche.
Occorre ora inquadrare l'ampio processo riformatore degli anni recenti nell'ambito proprio di una legge statale di princìpi coerente con il nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione.
Il capo I è dedicato all'oggetto della presente proposta di legge richiamando i diversi ambiti di competenza statale: esclusiva, in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e di regime delle proprietà, in materia di tutela della concorrenza nonchè nella definizione dei livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali dei servizi; concorrente, nella definizione dei princìpi del governo del territorio e dei princìpi ispiratori di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, efficacia, efficienza, economicità e imparzialità dell'azione amministrativa.
Il capo II della proposta di legge puntualizza le competenze statali incidenti in materia urbanistica nell'intento di offrire un quadro unitario e realistico delle diverse politiche territoriali, anche alla luce del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 177 del 2001, di riordino del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In coerenza con la legislazione più recente in materia di lavori pubblici viene tuttavia affermata l'esigenza di una più specifica precisazione dell'esercizio coordinato delle funzioni statali, attraverso la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, e la necessità di valorizzare il ruolo tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici, da intendere quale conferenza di servizi ad impronta federalista.
Viene altresì affermato il principio, che deve essere svolto in coerenza dalle legislazioni settoriali, del raccordo delle tutele cosiddette "separate" (parchi, autorità di bacino, sovrintendenze e altri soggetti pubblici titolari di interessi pubblici) con gli atti di pianificazione urbanistica con l'obiettivo esplicito di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione.
Il capo III specifica i princìpi fondamentali del governo del territorio con un'attenzione rilevante per le principali innovazioni culturali e disciplinari emerse negli anni recenti.
L'articolo 4 richiama il fondamentale principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, principio di rango costituzionale, nonchè il criterio di riserva amministrativa degli atti di governo del territorio in capo ai comuni, definiti soggetti primari nel governo del territorio.
Viene in tal modo rimosso il principio di rigida gerarchia dei piani, che caratterizza la legge n. 1150 del 1942, lasciando agli enti territoriali e alla regione un'ampia libertà di autodeterminazione.
L'articolo 5 definisce il governo del territorio una "funzione pubblica" che si attua "attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica".
Si evidenziano, in tal modo, la natura inevitabilmente pubblicistica della funzione e, nel contempo, la flessibilità e l'articolazione dei mezzi e degli strumenti (urbanistica negoziale, programmazione partecipata, società di trasformazione urbana, eccetera) superando gli anacronistici caratteri di unilateralità e di autoritativa tipici degli atti urbanistici tradizionali.
Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalle leggi al perseguimento "dell'interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte".
Devono essere evidenziate altre due rilevanti innovazioni.
La prima riguarda la pianificazione definita "la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio", con ciò superando le tradizionali nozioni.
Vengono inoltre indicati due distinti livelli: gli atti di contenuto strategico strutturale che non hanno efficacia conformativa delle proprietà; e gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, che disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà, ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione.
Il comma 4 determina una scelta di grande rilievo: viene stabilito, risolvendo in larga misura una vexataquaestio, che il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l'agricoltura, l'agriturismo e l'ambiente e che le regioni stabiliscono i casi ulteriori di edificabilità, per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.
In coerenza con la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, e rinviando all'autonomia delle regioni le scelte più specifiche, viene in tal modo posto il principio della non edificabilità "naturale" del territorio non urbanizzato che è conforme alle esigenze di salvaguardia del nostro territorio e del paesaggio, che costituiscono risorse fondamentali per lo sviluppo civile, culturale ed economico del nostro Paese.
L'articolo 6 stabilisce il metodo della cooperazione e della concertazione tra i diversi soggetti istituzionali nell'intento di perseguire il cosiddetto "principio di copianificazione".
Si vuole così superare la logica dei controlli e delle "doppie fasi" procedimentali, che determinano sovraccarichi burocratici e conflitti, realizzando un coordinamento intersoggettivo già nella fase delle scelte più rilevanti che investono, inevitabilmente, una pluralità di interessi pubblici differenziati di cui sono titolari enti diversi.
E' interessante evidenziare che in sede di conferenza di pianificazione possono essere previste forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti e dei territori che risultano penalizzati o comunque gravati dai maggiori oneri di impatto ambientale.
L'articolo 7 stabilisce il fondamentale principio di partecipazione al procedimento di pianificazione.
In una nuova logica di alleggerimento delle previsioni legislative di natura vincolante risulta evidentemente ampliata la discrezionalità amministrativa nelle scelte: la ricerca dell'interesse pubblico concreto si baserà, dunque, sul confronto trasparente tra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti che devono essere adeguatamente rappresentati nel corso del procedimento.
D'altronde gli istituti di partecipazione, che acquistano un rilievo anche maggiore nella nuova logica della "legalità procedimentale", sono ampiamente diffusi nel contesto europeo (enquete pubblique in Francia, encuesta previa in Spagna, pubblic inquiry ed examination in pubblic in Inghilterra, legge sul procedimento in Germania, eccetera), ed hanno una cospicua tradizione anche in Italia, che si è arricchita con la stagione degli statuti comunali che contemplano, in diversi casi, l'istituto dell'"udienza pubblica".
Saranno ovviamente le regioni e gli enti locali a definire l'articolazione più proficua dei diversi istituti nel rispetto del principio legislativo fondamentale.
L'articolo 8 disciplina gli accordi con i privati, assai rilevanti in materia urbanistica, nel rispetto del principio di pari opportunità e attraverso procedure di confronto concorrenziale.
L'urbanistica "negoziata" o "consensuale" è parte innegabile dell'attuale esperienza dell' administrationconcertee: ma essa deve svolgersi nel contesto di princìpi, di rango costituzionale e di competenza statale, quali la concorrenzialità, la par condicio, l'imparzialità amministrativa, la pubblicità delle scelte (con la conseguente partecipazione dei cittadini uti cives).
L'articolo 9 è di particolare rilievo poichè viene con esso riformato un antico "idolo" della pianificazione urbanistica: quello dello standard quantitativo che è stato di sicura utilità (e può esserlo tuttora) nella storia dell'urbanistica italiana ma che difficilmente può essere predefinito a livello statale.
Si è registrata a riguardo una tendenza univoca, nella legislazione regionale e nelle esperienze comunali, in direzione di standard qualitativi o prestazionali ossia di attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessari alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonchè all'accessibilità e alla mobilità dei cittadini e degli utenti.
La proposta di legge affida alla pianificazione strutturale, con riferimento ad un periodo non inferiore a dieci anni, la definizione della dotazione complessiva e alle diverse modalità tecnico-operative, individuate dalle regioni e dai comuni, la precisazione più specifica.
E' evidente che, anche per effetto dell'abrogazione normativa della zonizzazione, le regioni e i comuni saranno più liberi di definire, attraverso la "lettura" dei propri territori, i rapporti che necessariamente intercorrono tra sviluppo o riuso edilizio e infrastrutture, opere viarie, parcheggi, servizi ambientali e servizi per l' habitat, nel rispetto del principio fondamentale posto dalla legislazione statale.
L'articolo 10 affronta il delicato tema dei vincoli urbanistici e della perequazione.
Il primo profilo risulta notevolmente depotenziato poichè la scelta compiuta all'articolo 5, con cui si attribuisce l'edificabilità tramite atti comunali solo nell'ambito del territorio urbanizzato, depotenzia notevolmente la problematica dei vincoli "larvatamente" espropriativi di contenuti e di valori delle proprietà.
Anche la sostanziale eliminazione della sistematica dei piani con effetti immediatamente conformativi delle proprietà, ed aventi valore di implicita dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, converge nella medesima direzione alleggerendo di molto i vincoli sulle proprietà.
Viene tuttavia mantenuta, pur nel nuovo e più definito contesto, la previsione del vincolo preordinato all'espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico che ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta (in tal caso è previsto per il proprietario un particolare indennizzo).
Sono inoltre previste ipotesi di permuta dell'area e di trasferimento dei diritti edificatori, nel rispetto del piano comunale.
La perequazione, ampiamente sperimentata nelle esperienze urbanistiche più recenti, è definita il metodo ordinario della pianificazione operativa con l'espresso fine dell'attribuzione dei diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche omogenee.
I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli ambiti urbanistici individuati e, innovazione assai rilevante sul piano operativo, i trasferimenti di cubature sono esenti da imposte.
L'articolo 11, dedicato ai titoli abilitativi, recepisce il recente indirizzo legislativo, regionale e statale, che ha progressivamente esteso la denuncia di inizio attività (dichiarazione di avvio dei lavori e certificazione tecnica di conformità) di interventi edilizi dapprima in funzione sostitutiva delle "autorizzazioni edilizie" e, in seguito, anche di interventi edilizi in precedenza soggetti a concessione edilizia.
La materia è oggetto di revisione nell'ambito del testo unico sull'edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) sicchè la presente proposta di legge si limita a ribadirne i princìpi e le relative competenze regionali.
Merita di essere evidenziata la previsione secondo cui "al fine di favorire il confronto concorrenziale il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell'effettivo valore dell'intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato".
Per rendere più razionale ed operativo tale sistema, in gergo definito dell'"asta delle licenze" (riferita solo a progetti di trasformazione intensiva), viene previsto che i comuni hanno la prelazione civilistica nell'acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico da reimmettere, conseguentemente valorizzate, nel mercato.
L'articolo 12 ribadisce i poteri di vigilanza e di controllo dei comuni sulle trasformazioni urbanistico-edilizie nel proprio territorio.
Sono fatte salve le sanzioni penali, amministrative e civili previste dalle leggi statali, ferma la potestà delle regioni di prevedere ulteriori e diverse sanzioni amministrative di natura non afflittiva.
Vengono inoltre stabiliti gli interventi di natura sostitutiva di competenza delle regioni sulla base delle esperienze consolidate nell'ordinamento.
L'articolo 13 è di notevole rilievo poichè indica le norme statali oggetto di abrogazione.
Le leggi indicate sono di stretto riferimento urbanistico poichè occorre coordinare la legislazione vigente in materia edilizia e di espropriazione con i nuovi princìpi urbanistici.
Il comma 3, infine, stabilisce che la legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale allo scopo di consentire un congruo termine, in specie alle regioni, per l'attuazione consapevole dei nuovi princìpi.
La presente proposta di legge, ispirata alla cultura e alle esperienze dell'"urbanistica riformista", nonchè al mutato contesto costituzionale, intende contribuire, con spirito costruttivo, alla realizzazione di una riforma essenziale per la maggiore equità e competitività dell'Italia nella convinzione che sussistano tutti i presupposti, di natura politica e disciplinare, per una sollecita approvazione nell'attuale legislatura.
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Capo I
DISPOSIZIONI PRELIMINARI XIV LEGISLATURA
Art. 1.
(Oggetto).
1. In attuazione dell'articolo 117 della Costituzione la presente legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio nel rispetto dell'ordinamento comunitario e della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e del regime delle proprietà, nonché in materia di tutela della concorrenza. La presente legge disciplina, altresì, i livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali nonché dei servizi.
2. Il governo del territorio, oggetto di legislazione concorrente ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, disciplina la gestione, la tutela, l'uso e le trasformazioni più rilevanti del territorio nonchè la valorizzazione del paesaggio.
3. La presente legge attua i princìpi di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, efficacia, efficienza, economicità e imparzialità dell'azione amministrativa.
4. Ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, le regioni emanano norme in materia di governo del territorio in conformità ai princìpi fondamentali della legislazione statale stabiliti dal capo III della presente legge.
5. La presente legge stabilisce altresì le principali competenze e funzioni statali in materia di infrastrutture e di grandi reti di trasporto incidenti nella materia del governo del territorio e le modalità di esercizio allo scopo di garantire il migliore coordinamento con le regioni e con le autonomie locali.
Capo II
COMPETENZE E FUNZIONI STATALI
Art. 2.
(Competenze e funzioni statali).
1. Sono esercitate dallo Stato, prevalentemente attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni relative all'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale in ordine all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, dei principali interventi ambientali e di trasformazione mineraria nonchè alla promozione di programmi innovativi in ambito urbano che implicano un intervento coordinato da parte di diverse amministrazioni dello Stato e sono dichiarati di interesse nazionale.
2. I progetti delle infrastrutture e delle opere di interesse nazionale previsti al comma 1, sono approvati previo parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
3. Le decisioni statali di approvazione delle opere che modificano atti di programmazione generale e settoriale ne comportano l'aggiornamento anche ai fini dell'interazione con gli atti di pianificazione degli enti territoriali.
Art. 3.
(Esercizio delle tutele separate da parte dello Stato).
1. Le competenze degli enti parco, delle autorità di bacino, delle sovrintendenze competenti per i beni storico-artistici e ambientali nonché dei soggetti titolari di interessi pubblici incidenti nel governo del territorio sono definite dalla legislazione statale e regionale ed esercitate in raccordo con gli atti di pianificazione di cui alla presente legge, con l'obiettivo di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione urbanistica e territoriale.
Capo III
PRINCI'PI FONDAMENTALI DEL GOVERNO DEL TERRITORIO
Art. 4.
(Sussidiarietà, differenziazione, e adeguatezza).
1. Il principio di sussidiarietà ispira la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonchè i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell'affidamento e della responsabilità.
2. I comuni, soggetti primari nel governo del territorio ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, le regioni, le province e le città metropolitane cooperano ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, secondo il criterio di differenziazione e di adeguatezza nell'esercizio delle funzioni. Sulla base di tali princìpi sono, altresì, individuati gli ambiti territoriali di riferimento.
Art. 5.
(Natura e contenuti della pianificazione).
1. Il governo del territorio è funzione pubblica, esercitata nelle forme stabilite dalla legge, che si attua attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica, con il fine della promozione di progetti di sviluppo sostenibile, in relazione alle risorse sociali, ambientali ed economiche.
2. La pianificazione disciplina il territorio, con atti amministrativi generali, procedendo all'individuazione di ambiti territoriali di riferimento. Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalla legge e al perseguimento dell'interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte.
3. La pianificazione è la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio, che si attua attraverso modalità strategiche, strutturali e operative. Gli atti di contenuto strategico strutturale non hanno efficacia conformativa delle proprietà. Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà, ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione. Gli atti di pianificazione concorrono nel garantire le prestazioni minime dell'insediamento anche attraverso idonee misure di salvaguardia.
4. Il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l'agricoltura, l'agriturismo e l'ambiente. Le regioni stabiliscono i casi di edificabilità, attraverso l'individuazione, per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.
5. La pianificazione è ispirata al principio dell'integrazione delle funzioni e della qualità urbana.
Art. 6.
(Concertazione istituzionale).
1. I soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio perseguono il metodo della cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali nell'elaborazione delle scelte fondamentali riferite al territorio, sulla base del principio di competenza, anche mediante intese e accordi procedimentali e l'istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell'unicità del piano territoriale.
2. Gli atti di pianificazione sono approvati da parte dell'ente competente previa certificazione e verifica di compatibilità con il sistema dei vincoli di natura ambientale e paesaggistica, relativi a tutti gli interessi tutelati, nonché verifica di congruenza con la pianificazione vigente e interagente con particolare riferimento alle opere pubbliche e alle infrastrutture per la viabilità.
3. Le verifiche di compatibilità e di coerenza, ove comportino conflitto di previsioni, sono svolte attraverso una apposita conferenza di pianificazione, con la partecipazione degli enti pubblici competenti e dei soggetti concessionari dei servizi pubblici interessati. Fatta salva l'autonomia delle funzioni amministrative di controllo, le decisioni relative al mutamento degli assetti vigenti sono assunte, in difetto di unanimità, a maggioranza dei soggetti partecipanti.
4. In sede di conferenza di pianificazione possono essere previste forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti locali ricadenti in ambiti oggetto di previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo.
Art. 7.
(Partecipazione al procedimento di pianificazione).
1. Nei procedimenti di impostazione, formazione e approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica sono assicurati:
a) il coinvolgimento delle associazioni economiche e sociali, in merito agli obiettivi strategici e di sviluppo da perseguire;
b) le forme di pubblicità e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi, in ordine ai contenuti degli strumenti stessi.
2. Nell'ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive deve essere garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo e adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l'indicazione delle motivazioni in merito all'accoglimento o meno delle stesse. Nell'attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all'esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l'amministrazione procedente.
4. Le scelte relative alla localizzazione di opere e di infrastrutture di rilevante impatto ambientale e sociale devono essere precedute da udienze pubbliche con la partecipazione dei cittadini e delle associazioni territorialmente radicate.
5. Il responsabile del procedimento, di cui all'articolo 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, cura tutte le attività relative alla pubblicità, all'accesso agli atti e di documenti e alla partecipazione al procedimento di approvazione.
6. Gli organi politici e i funzionari professionali responsabili degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita e adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle osservazioni o alle proposte presentate nell'ambito del procedimento e ai princìpi di cui al presente capo.
Art. 8.
(Accordi con i privati).
1. Gli enti locali possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto del principio di pari opportunità e di partecipazione al procedimento per le intese preliminari o preparatorie dell'atto amministrativo e attraverso procedure di confronto concorrenziale per gli accordi sostitutivi degli atti amministrativi, al fine di recepire negli atti di pianificazione proposte di interventi, in attuazione coerente degli obiettivi strategici contenuti negli atti di pianificazione e delle dotazioni minime di cui all'articolo 9, la cui localizzazione è di competenza pubblica.
2. L'accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione dell'atto di pianificazione che lo recepisce.
3. Per quanto non disciplinato dalla presente legge trovano applicazione le disposizioni in materia di partecipazione al procedimento amministrativo, di accordi con i privati e di tutela giurisdizionale di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
Art. 9.
(Infrastrutture e prestazioni minime).
1. Gli atti di pianificazione devono prevedere adeguate dotazioni di parcheggi, di aree verdi e di servizi avendo cura delle effettive esigenze prestazionali.
2. La pianificazione di contenuto strutturale definisce, con riferimento ad un periodo non inferiore a dieci anni, la dotazione complessiva delle attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessaria alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonchè delle infrastrutture che garantiscano le accessibilità e la mobilità dei cittadini e degli utenti.
3. La pianificazione di contenuto operativo specifica e localizza, con atti di perimetrazione, le attrezzature e i servizi relativi agli ambiti specifici di intervento nonchè le reti delle infrastrutture generali e locali, sulla base delle analisi dei fabbisogni di cui al comma 2.
4. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio comunale, gli atti di pianificazione devono documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri reali di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e di fruibilità nonché incentivando l'iniziativa dei privati.
Art. 10.
(Vincoli, perequazione e compensazione).
1. Le previsioni della pianificazione di contenuto operativo sono attuate sulla base dei criteri di perequazione, compensazione ed espropriazione.
2. Il vincolo preordinato all'espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari ad un terzo dell'ammontare dell'indennità di esproprio dell'immobile da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo.
3. In alternativa all'ipotesi di cui al comma 2, il proprietario dell'area vincolata può richiedere di trasferire i diritti edificatori su un'altra sua area o su un'area pubblica in permuta, edificabili ai sensi del piano urbanistico comunale, previa cessione gratuita al comune dell'area di sua proprietà.
4. La perequazione è il metodo ordinario della pianificazione operativa ed è finalizzata all'attribuzione di diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche territoriali omogenee. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in misura percentuale rispetto al complessivo valore detenuto da ciascun proprietario.
5. I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti individuati con la pianificazione comunale.
6. I negozi relativi alle permute di cui al comma 3 e ai diritti edificatori di cui al comma 5 non sono soggetti a imposte e tasse.
Art. 11.
(Titoli abilitativi).
1. Le principali attività di trasformazione urbanistica e edilizia sono in ogni caso soggette a titolo abilitativo rilasciato dal comune.
2. Le regioni stabiliscono: le attività edilizie non soggette a titolo abilitativo; le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai quali l'interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire; l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.
3. Al fine di favorire il confronto concorrenziale il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell'effettivo valore dell'intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato.
4. I comuni hanno la prelazione, da esercitare nelle forme previste dal codice civile, nell'acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico sulla base dei valori di mercato.
Art. 12.
(Vigilanza sul territorio e regime sanzionatorio).
1. Il comune esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche e edilizie ricadenti nel proprio territorio.
2. La violazione alla disposizione di cui al comma 1 è soggetta alle sanzioni penali, civili e amministrative previste dalle leggi statali vigenti in materia, ferma la potestà delle regioni di prevedere diverse sanzioni amministrative di natura non afflittiva.
3. Le regioni determinano gli interventi sostituitivi e le sanzioni nel caso di mancata adozione dei provvedimenti repressivi, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia.
4. In caso di sostituzione del permesso di costruzione con la denuncia di inizio attività resta fermo il regime sanzionatorio penale, amministrativo e civilistico previsto per la concessione edilizia dalle leggi statali vigenti in materia.
5. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civilistiche per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento nonchè per le omissioni nell'esercizio delle funzioni di controllo.
Art. 13.
(Disposizioni finali).
1. I testi unici in materia di edilizia e di espropiazione per pubblica utilità devono essere coordinati con le disposizioni della presente legge anche ai fini della delegificazione e della semplificazione della materia.
2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono abrogate le seguenti disposizioni:
a) legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;
b) legge 3 novembre 1952, n. 1902, e successive modificazioni;
c) articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni;
d) legge 6 agosto 1967, n. 765;
e) legge 19 novembre 1968, n. 1187, e successive modificazioni;
f) articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni;
g) articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;
h) articoli 27, 28, 29, 30 e 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni;
i) articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179;
l) articolo 11 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, e successive modificazioni.
3. La presente legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Dal sito della Camera
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Relazione
Onorevoli Colleghi! - Nella nostra società è sempre più pressante la richiesta di politiche di qualificazione, volte alla riduzione della congestione del traffico veicolare e quindi dell'inquinamento atmosferico e acustico ma anche ad elevarne i valori estetici, architettonici e paesaggistici, considerati pur essi essenziali per la qualità della vita. Allo stesso modo, è evidente a tutti l'esigenza di sviluppare un significativo sforzo per superare la carenza infrastrutturale del nostro Paese, non soltanto in termini di strade e vie di comunicazione o di reti tecnologiche, ma anche di scuole per l'infanzia, moderne e sicure strutture scolastiche e universitarie, servizi sociali e collettivi. Ed ancora, è ormai diffusa la percezione della necessità di interventi di prevenzione dei rischi naturali a fronte della sempre maggior frequenza con la quale si verificano eventi calamitosi.
Tutto ciò richiede di ripensare le modalità di sviluppo e integrazione di tali iniziative, per evitare che la risorsa territorio continui ad essere oggetto di interventi specifici e unilaterali, non sempre e necessariamente di segno negativo ma pur sempre caratterizzati da episodicità e contraddittorietà. Occorre collocare il governo del territorio al centro dell'insieme delle politiche di intervento, in quanto momento di coordinamento e assetto dell'insieme degli interessi pubblici e privati che comportano scelte che incidono direttamente sul territorio. Non si tratta di tornare alla concezione amplissima di urbanistica propugnata nel passato, quale disciplina comprensiva di tutte le tutele, gli usi e le trasformazioni del territorio, quanto piuttosto di riconoscere la necessità di una funzione pubblica unitaria e coerente di regolazione del territorio, pur nella consapevolezza che la stessa è esercitata da una pluralità di soggetti istituzionali, in continua interazione tra loro e con i soggetti privati, ed attraverso una molteplicità di atti, non soltanto di natura pianificatoria ma anche di natura negoziale e concertativa e attraverso provvedimenti specifici o interventi straordinari. Vi è dunque l'esigenza che i diversi compiti che attengono al governo del territorio siano svolti nell'osservanza di un quadro generale di riferimento che assicuri la razionalità e la funzionalità del sistema, ordinato secondo criteri di sussidiarietà, concertazione, integrazione delle politiche, sostenibilità ambientale e territoriale e con significativi momenti di semplificazione e flessibilità dei processi di pianificazione e di controllo delle trasformazioni.
La presente proposta di legge ha l'obiettivo di definire, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, come riformato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, i princìpi fondamentali che connotano il governo del territorio, disciplinando con maggiore dettaglio i compiti riservati all'amministrazione statale. Nel merito dei contenuti del provvedimento, lo sforzo è stato innanzitutto nel senso di riportare a sistema le più significative esperienze presenti nelle recenti legislazioni regionali in materia, tenendo conto della rilevante elaborazione di queste tematiche operata nel corso della legislatura precedente dalla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati, sotto la guida dell'onorevole Lorenzetti. Pur perseguendo l'essenzialità e la concisione del testo legislativo, si è cercato di evitare una vaga e generica elencazione di princìpi generali, cercando piuttosto di fornire una indicazione essenziale della portata che gli stessi devono assumere nel campo del governo del territorio, attraverso l'individuazione degli elementi, di ordine sostanziale e procedurale, che ne costituiscono il contenuto essenziale.
In estrema sintesi si possono individuare quattro linee portanti sulle quali è costruita l'intera trama della proposta legislativa. Innanzitutto la riconduzione nell'ambito del concetto di governo del territorio dell'insieme delle attività e delle competenze che attengono alla disciplina del territorio, con la conseguente necessità di uniformare la legislazione in materia a princìpi e criteri comuni.
In secondo luogo si persegue il riordino istituzionale delle funzioni in materia, fondato sul riconoscimento della competenza generale dei comuni, ma anche sulla attribuzione di funzioni di area vasta, tassativamente individuate, in capo ai livelli territoriali sovracomunali e di compiti specifici ad amministrazioni preposte alla cura di determinati interessi di valenza territoriale. La funzionalità di un sistema così articolato viene ricercata coniugando il rafforzamento della autonomia decisionale e la responsabilità dell'amministrazione competente con l'esigenza di una più ampia collaborazione tra tutti gli attori, pubblici e privati, attraverso lo sviluppo di forme di concertazione e condivisione delle scelte territoriali, ma anche ampliandosi il ricorso a strumenti negoziali per la gestione dei processi di regolazione e di trasformazione, senza trascurare la realizzazione delle condizioni tecniche necessarie per l'integrazione dei processi di pianificazione e più in generale per l'interscambio delle conoscenze e delle analisi del territorio.
La terza esigenza affrontata dalla proposta è relativa alla introduzione di meccanismi di semplificazione e flessibilità del sistema. La principale soluzione si armonizza con la centralità delle funzioni comunali e con lo sviluppo di forme di concertazione ed è incentrata sul concetto del piano urbanistico comunale come "carta unica", inteso quale piano sostitutivo di tutti gli atti di governo del territorio vigenti, in quanto elaborato portando a sistema l'insieme dei piani e degli atti che incidono sul regime giuridico del suolo.
Infine, la proposta realizza l'esigenza di assicurare la sostenibilità delle scelte di sviluppo del territorio, per i profili non solo ambientali ma anche territoriali, cioè infrastrutturali, economici e sociali. A tale scopo si introduce l'obbligo della motivazione delle principali scelte operate e si richiede un significativo sviluppo degli elementi conoscitivi e valutativi degli atti di governo del territorio, attraverso l'elaborazione, quali elementi costitutivi degli stessi, di un quadro conoscitivo dello stato di fatto sul quale si interviene e di una valutazione della compatibilità degli effetti derivanti dall'attuazione delle loro previsioni.
Passando all'esame puntuale dell'articolato, esso precisa, anzitutto, che la nozione di governo del territorio non individua una specifica materia, i cui confini possano essere ben delimitati, con riguardo sia all'oggetto della disciplina che alle competenze agli atti amministrativi che la compongono, costituendo piuttosto una funzione amministrativa, la quale attiene all'insieme degli atti conoscitivi, regolativi e attuativi che incidono direttamente sul territorio e sui valori e le risorse che lo caratterizzano. Il governo del territorio solo in parte è frutto della pianificazione territoriale e urbanistica: sempre più spesso questa funzione è esercitata, per aspetti e tematiche differenti, da tutti i livelli istituzionali (Stato, regioni, province e comuni), sia con piani e programmi aventi carattere settoriale o specialistico, sia con specifici atti di apposizione di vincoli di tutela e valorizzazione di particolari elementi o profili del territorio, sia con provvedimenti che localizzano e abilitano la realizzazione di interventi anche in variante alla pianificazione (articoli 1 e 2).
Per realizzare il riordino di un quadro così articolato e complesso di competenze e di attività la proposta di legge stabilisce al Capo I i criteri generali e gli obiettivi che debbono essere osservati dalla legge nel disciplinare l'attività amministrativa che si esplica nel campo del governo del territorio. Il primo criterio attiene alla allocazione delle competenze in questo campo. Il dibattito degli anni scorsi ha visto, accanto alla richiesta del rafforzamento della tradizionale competenza dei comuni, la constatazione della necessità dello sviluppo di funzioni di area vasta, in ragione dell'esigenza di trovare soluzioni adeguate a questioni di assetto del territorio che esulano dai ristretti confini comunali. La disciplina dei sistemi ambientali, così come la pianificazione e realizzazione delle reti infrastrutturali e tecnologiche necessitano infatti di un livello di governo più ampio. La proposta di legge affronta queste spinte antitetiche dando applicazione al principio di sussidiarietà. Si afferma la competenza generale dei comuni alla regolazione del territorio per tutti gli aspetti che non siano espressamente attribuiti dalla legge ai livelli sovraordinati. Inoltre, nei suddetti casi di conferimento di competenze ad altri enti territoriali la legge deve comunque prevedere forme di partecipazione dei comuni interessati alla formazione e approvazione degli atti conseguenti, affermando il principio secondo cui il riconoscimento dell'esistenza di un interesse nazionale, regionale o provinciale in merito a taluni aspetti regolativi del territorio non può comportare la esclusione delle autonomie locali dai relativi processi decisionali (articolo 3).
Il secondo principio che deve caratterizzare l'attività di governo del territorio è quello della concertazione istituzionale, cioè la necessità di sviluppare forme di consultazione e di cooperazione tra i diversi enti pubblici che concorrono all'esercizio di questa funzione, pur salvaguardando l'esigenza di distinguere, in capo ad una sola amministrazione, la responsabilità dell'assunzione delle determinazioni conclusive (articolo 4). Si persegue in tal modo l'esigenza di rafforzare la condivisione e quindi la coerenza delle scelte, quale condizione indispensabile per la loro effettiva e sollecita realizzazione. Con riguardo al processo di elaborazione e approvazione degli atti di pianificazione, la proposta di legge individua, in particolare, la necessità di una apposita fase, denominata "Conferenza di pianificazione", diretta ad assicurare lo scambio di elementi conoscitivi del territorio e l'espressione delle valutazioni sulle proposte di piano da parte degli altri enti territoriali e delle amministrazioni preposte alla cura di specifici interessi.
L'esperienza di questi anni ha sottolineato che questa esigenza di unitarietà e integrazione delle diverse politiche che attengono al governo del territorio risulta non adeguatamente soddisfatta anche all'interno di ciascuna amministrazione, in quanto si assiste spesso sia a processi di scollamento tra i diversi settori della macchina amministrativa sia ad una gestione episodica della materia, con il succedersi nel tempo di atti poco coerenti gli uni con gli altri e che non appaiono attuativi di un unitario processo decisionale. In questa prospettiva la proposta di legge attribuisce allo strumento di pianificazione generale di ciascun livello istituzionale la funzione di coordinamento e integrazione dell'insieme delle competenze settoriali ad esso attribuite, secondo criteri di coerenza e di organicità (articolo 5).
L'ulteriore requisito di ordine generale, che attiene alle modalità di formazione degli atti in cui si esplica la funzione di governo del territorio, è individuato nella necessità di assicurare la più ampia pubblicità e partecipazione dei soggetti, singoli o associati, portatori degli interessi cui possa derivare un pregiudizio nonché l'onere per l'amministrazione procedente, ai fini dell'assunzione delle determinazioni conclusive, di valutare le osservazioni presentate attraverso una corretta comparazione di tutti gli interessi, pubblici e privati, coinvolti. Nei casi di atti che comportano la inedificabilità degli immobili ovvero l'apposizione di vincoli preordinati all'esproprio, si richiede, anzi, la comunicazione dell'avvio del procedimento nei riguardi dei soggetti direttamente interessati, con la conseguente necessità di fornire una puntuale motivazione in merito all'accoglimento o meno dei rilievi eventualmente sollevati (articolo 6).
A conclusione della parte che attiene ai princìpi generali del governo del territorio, la proposta fa propri gli obiettivi di sostenibilità ambientale e territoriale e l'esigenza che lo sviluppo delle politiche insediative persegua, anzitutto, il miglioramento della qualità del territorio urbano esistente attraverso processi di riqualificazione (articolo 7). Si recepisce in tal modo l'orientamento delle più recenti leggi regionali che hanno visto il superamento della separatezza, che caratterizzava la legislazione degli anni '70 e '80, tra gli aspetti pianificatori relativi al razionale e coerente sviluppo dei tessuti urbani (e con essi del sistema economico e sociale) e quelli che attengono alla tutela dell'ambiente e del patrimonio naturale e paesaggistico, ricondotti prevalentemente alla disciplina del territorio extraurbano: si vuole che la salvaguardia e il miglioramento della qualità ambientale del territorio costituiscano piuttosto uno degli obiettivi primari degli strumenti di pianificazione e non solo un limite o una condizione allo sviluppo delle comunità locali.
La proposta di legge, inoltre, introduce modalità di verifica del perseguimento di queste finalità, richiedendo che gli atti di governo del territorio presentino una specifica valutazione della realizzazione degli obiettivi di qualità ambientale, nell'ambito della motivazione delle principali scelte operate. In particolare, viene richiesta la dimostrazione della coerenza delle previsioni dell'atto con le caratteristiche e lo stato del territorio secondo criteri di sostenibilità. A tale scopo gli atti di governo del territorio devono presentare un apposito elaborato, denominato "quadro conoscitivo", rappresentativo dello stato di fatto del territorio e dei processi evolutivi che lo interessano e devono contenere una valutazione di compatibilità ambientale e territoriale, cioè un elaborato che esamini gli effetti dell'attuazione delle proprie previsioni ed individui le misure atte ad impedire gli eventuali effetti negativi ovvero idonee a mitigare o compensare gli impatti delle scelte ritenute comunque preferibili. Si introduce, in tal modo, un meccanismo di autovalutazione degli effetti degli atti, che ricomprende in sé la valutazione di impatto ambientale e la valutazione di incidenza richieste dall'ordinamento comunitario anche per gli strumenti di pianificazione.
Con riguardo alle aree urbane la proposta di legge richiede agli atti di governo del territorio di perseguire il miglioramento della qualità dei tessuti urbani esistenti. Si sancisce la conclusione delle politiche di espansione delle aree urbanizzate, stabilendosi piuttosto l'obbligo di contrastare i fenomeni di dispersione insediativa attraverso lo sviluppo prioritario di politiche di riqualificazione dei centri urbani esistenti. In ogni caso, si subordina la previsione di nuovi complessi insediativi alla loro localizzazione in aree limitrofe a quelli esistenti, per concorrere con le nuove realizzazioni alla qualificazione delle periferie, anche sopperendo alle pregresse carenze di infrastrutture e servizi pubblici.
Il capo II della proposta di legge regola le funzioni riservate allo Stato. Ai fini espositivi si possono distinguere tre ordini di compiti amministrativi: a) le attività di programmazione e realizzazione di interventi di rilievo statale; b) l'emanazione di normative tecniche; c) il monitoraggio del territorio e dei processi di pianificazione che lo interessano. In considerazione dei princìpi di sussidiarietà e di pariordinazione tra gli enti che costituiscono la Repubblica si stabilisce che tutti questi compiti debbano essere svolti dallo Stato d'intesa con le regioni e le autonomie locali (articolo 8).
Quanto alla prima tipologia di attività, un particolare rilievo innovativo assume l'applicazione anche alle opere dello Stato del criterio di programmazione pluriennale delle opere pubbliche, richiedendosi la predisposizione e attuazione del "Programma nazionale per la tutela del territorio e per le grandi infrastrutture", cioè di un atto di programmazione relativo alle opere di rilievo internazionale, alle infrastrutture di trasporto e navigazione di interesse nazionale, agli interventi nel campo della sicurezza interna e della giustizia nonché alle azioni di prevenzione dei rischi naturali e di salvaguardia ambientale, degli ecosistemi e dei beni culturali. Il Programma dovrà dare conto della fattibilità economico-finanziaria delle opere, ma anche fornire indicazioni di massima in merito alla localizzazione delle opere e alla loro compatibilità territoriale e ambientale, pur essendo riservato alla pianificazione urbanistica il compito di provvedere alla loro puntuale localizzazione e alla definizione delle condizioni di sostenibilità (articolo 9).
Una ulteriore tipologia di intervento statale attiene all'esigenza di iniziative straordinarie nelle aree del Paese che presentano significative condizioni di squilibrio economico e sociale o gravi situazioni di degrado ambientale. In tali ipotesi si prevede lo sviluppo di interventi statali speciali diretti ad attivare processi di sviluppo economico locale, secondo criteri ecosostenibili, attraverso la previsione e il finanziamento di atti di programmazione negoziata che favoriscano lo sviluppo di una progettualità locale e il pieno coinvolgimento degli operatori economici e sociali (articolo 10).
La seconda categoria di funzioni riservate allo Stato risponde all'esigenza di individuare livelli minimi di qualità che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, attraverso una apposita disciplina di dettaglio. Così si prevede di mantenere in capo all'amministrazione statale l'emanazione della normativa tecnica relativa alle costruzioni nelle zone sismiche ed ai requisiti igienico-sanitari delle abitazioni e degli impianti tecnologici degli edifici, nonché la fissazione degli standard essenziali di qualità dei tessuti urbani, avendo riguardo anche alle dotazioni minime di infrastrutture, spazi e servizi pubblici (articolo 11).
Infine il compito statale di monitoraggio del territorio e dell'ambiente, comporta funzioni di raccolta ed elaborazione dati e la predisposizione di un rapporto annuale sullo stato del territorio, attraverso la costituzione di un sistema nazionale per lo studio del territorio, che vede l'integrazione tra attività statale e regionale e il diretto coinvolgimento degli enti locali (articolo 12).
Il Capo III, relativo ai principi fondamentali della pianificazione territoriale e urbanistica, si apre con il riconoscimento della competenza regionale a individuare e regolare gli strumenti di pianificazione, con l'unica precisazione circa la necessità di distinguere, nell'ambito della pianificazione comunale, un livello di pianificazione strategico strutturale ed uno operativo (articolo 13). Viene, in buona sostanza, recepito il modello proposto dall'istituto nazionale di urbanistica, già fatto proprio, sia pure con differenti accentuazioni, dalle più recenti leggi regionali. La dimensione strategico strutturale è diretta a fissare un quadro di scelte di lungo periodo di qualificazione e sviluppo del territorio comunale, che risulti coerente con la ricostruzione organica dell'insieme dei vincoli, dei limiti e delle condizioni di sostenibilità che gravano sul territorio comunale. Il piano operativo attiene alla disciplina urbanistica delle opere pubbliche e degli interventi di riqualificazione e trasformazione del territorio, da realizzare nei cinque anni di validità del programma. I diversi livelli di pianificazione consentono di introdurre un potente meccanismo di semplificazione costituito dall'attribuzione ai piani urbanistici comunali del valore di "carta unica del territorio", cioè di unico riferimento ai fini della verifica di conformità degli interventi di trasformazione del territorio, con la previsione della contestuale perdita di efficacia degli atti di governo del territorio una volta recepiti dalla pianificazione comunale (articolo 14).
Un ulteriore strumento diretto a superare la rigidità del sistema degli strumenti di pianificazione è relativo alla possibilità per i piani di livello sottordinato di apportare modifiche alla pianificazione sovraordinata, a condizione che sia acquisita l'intesa dell'ente titolare del piano da variare (articolo 15).
Di particolare significato è poi la disposizione relativa ai contenuti conformativi della pianificazione, in quanto diretta a fare chiarezza circa la natura e l'efficacia dei vincoli e delle condizioni alla trasformazione del suolo stabiliti dai piani o dagli atti specifici di governo del territorio, i quali, avendo riguardo a caratteri generali propri del bene, non hanno natura espropriativa e operano a tempo indeterminato. Si specifica inoltre che tali vincoli non solo attengono alle ipotesi ormai pacificamente riconosciute (della esistenza di uno specifico interesse pubblico alla tutela del bene, di ordine ambientale, culturale, paesaggistico, eccetera, ovvero della presenza di fattori di rischio o di caratteristiche morfologiche o geologiche che risultano incompatibili con la trasformazione degli immobili) ma anche alla necessità di assicurare l'effettiva realizzazione delle condizioni di sostenibilità ambientale e territoriale delle nuove previsioni. Rientrano in tali ipotesi le prescrizioni che subordinano l'attuazione degli interventi all'esistenza o alla realizzazione delle opere che ne assicurino l'inserimento ambientale ovvero alle infrastrutture e attrezzature pubbliche necessarie per garantirne l'accessibilità e la funzionalità, nonché le previsioni che condizionano gli interventi di trasformazione al miglioramento di fattori esterni (livelli di inquinamento atmosferico, congestione delle reti viarie, eccettera) la cui stabile evoluzione sia legata a fattori o alla realizzazione di interventi non connessi alle trasformazioni insediative (articolo 16).
Il Capo relativo ai princìpi generali in tema di pianificazione si chiude con una serie di prescrizioni di natura tecnica ma che risultano essenziali per assicurare l'effettiva attivazione dei processi di concertazione con lo scambio di informazioni e di elementi valutativi tra i diversi enti e per addivenire alla carta unica del territorio (articolo 17). Si pone anzitutto in capo a tutti i soggetti pubblici che hanno tra i propri compiti istituzionali la raccolta e l'elaborazione di dati che attengono al territorio l'obbligo di metterli a disposizione degli enti territoriali che procedono all'elaborazione di atti di pianificazione. Il medesimo obbligo grava sui privati che ricevono finanziamenti pubblici per lo svolgimento dei medesimi compiti.
Inoltre, al fine di assicurare il coordinamento dei diversi strumenti, si richiede che gli atti di pianificazione siano elaborati su carte topografiche aggiornate e congruenti tra loro, affidando alla regione la realizzazione di una carta tecnica regionale e la definizione dei requisiti dei sistemi informativi geografici.
Il Capo IV individua i princìpi generali dei sistemi di attuazione della pianificazione urbanistica. Un particolare significato assume la prima disposizione tesa a dare sanzione legislativa ai meccanismi di perequazione urbanistica da tempo oggetto di sperimentazione nei comuni italiani.
Si recepisce a tale fine la metodologia che vede il riconoscimento ai proprietari degli immobili di una quantità proporzionale delle quote edificatorie e degli oneri derivanti dalla realizzazione degli interventi, con la possibilità di una libera circolazione delle suddette quote. Viene stabilito poi che il piano operativo possa riconoscere quote di edificabilità compensativa in ragione degli oneri straordinari posti in capo ai soggetti attuatori degli interventi, in conseguenza di carenze di servizi pubblici, ovvero a favore dei titolari di immobili sottoposti a procedure espropriative (articolo 18).
In alternativa al ricorso ai meccanismi perequativi gli strumenti urbanistici possono prevedere l'attuazione delle previsioni di trasformazione attraverso i comparti urbanistici, dei quali si individuano i princìpi essenziali, in conformità alla disciplina ormai consolidata nella legislazione urbanistica (articolo 19).
In merito alle procedure espropriative - che costituiscono l'ulteriore sistema di attuazione dei piani preso in considerazione - la proposta introduce due importanti precisazioni, circa la competenza regionale a disciplinare le fasi di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e di dichiarazione della pubblica utilità dell'opera, nonché a stabilire i criteri per valutare l'edificabilità legale e di fatto degli immobili, in considerazione, rispettivamente, del significativo rapporto di queste fasi procedurali con il sistema pianificatorio e della natura conformativa della proprietà riconosciuta agli strumenti di pianificazione. Viceversa, si riserva allo Stato la disciplina di dettaglio circa la definizione dell'indennità di esproprio, per l'evidente esigenza di assicurare l'uniformità di trattamento dei cittadini in tutto il territorio nazionale ma, soprattutto, per la stretta connessione con la materia civilistica. In merito alla tematica della indennità di esproprio si introduce la possibilità di accordi bonari che vedano il riconoscimento al proprietario di quote edificatorie su aree diverse.
Allo scopo di favorire anche attraverso la leva fiscale l'attuazione delle previsioni urbanistiche, la proposta di legge introduce significative forme di incentivazione che attengono ai trasferimenti degli immobili e dei relativi diritti edificatori all'interno del comparto urbanistico, attuati dopo l'approvazione del piano operativo e prima dell'inizio dei lavori: essi sono sottoposti a tassazione delle sole plusvalenze realizzate e ne viene riconosciuta l'esenzione dall'IVA e la sottoposizione alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa (articolo 20).
Anche il controllo dell'attività edilizia, di cui si occupa il Capo V della proposta di legge, rientra nell'ambito delle funzioni di governo del territorio e pertanto la sua disciplina è rimessa alla legislazione regionale, nell'osservanza della normativa tecnica statale e dei princìpi fondamentali in materia che, secondo la proposta di legge, attengono:
a) alla necessità di un titolo abilitativo per la realizzazione di attività aventi un significativo effetto urbanistico ed edilizio o che comunque comportano trasformazione del territorio;
b) alla subordinazione del rilascio dei titoli abilitativi all'esistenza delle opere di urbanizzazione necessarie ovvero all'impegno alla loro contestuale realizzazione;
c) all'onerosità dei titoli abilitativi e alla destinazione prioritaria delle risorse che ne derivano alla realizzazione di opere e infrastrutture ovvero a interventi di riqualificazione delle aree urbane ovvero all'acquisizione degli immobili necessari per l'attuazione del piano (articolo 21).
L'esercizio della vigilanza sull'attività urbanistica ed edilizia e la repressione dell'abusivismo edilizio viene mantenuto in capo ai comuni, con il rafforzamento della funzione regionale di supporto alle amministrazioni comunali per l'esercizio ditali funzioni e con la previsione di più penetranti poteri sostitutivi in caso di inerzia nella repressione dell'abusivismo.
Quanto alle sanzioni in campo edilizio e urbanistico, la proposta di legge conferma la distinzione tra sanzioni amministrative rimesse alla legislazione regionale (sia pure nel rispetto dei princìpi generali in materia) e sanzioni penali di competenza dello Stato. Si introducono l'importante prescrizione secondo cui la legge statale deve sanzionare penalmente anche la violazione delle leggi regionali in materia e la possibilità di stabilire norme penali in bianco che, ai fini dell'individuazione delle diverse ipotesi di abuso edilizio, abbiano riguardo alla disciplina in materia di titoli abilitativi dettata dalla legislazione regionale (articolo 22).
Il Capo VI individua i princìpi che attengono alla localizzazione delle opere pubbliche e di interesse pubblico (ivi comprese le opere date in concessione dallo Stato). Viene confermato, anzitutto, il principio per il quale la localizzazione delle opere pubbliche si attua attraverso la previsione degli strumenti urbanistici e previa verifica della loro compatibilità ambientale e territoriale. Ai fini del corretto inserimento delle opere pubbliche nella pianificazione del territorio, è evidenziata la necessità che la progettazione e l'esecuzione delle opere pubbliche sia frutto di un processo di programmazione pluriennale che veda la partecipazione degli enti territoriali alla formazione delle determinazioni conclusive anche al fine di promuovere il sollecito recepimento delle opere negli strumenti urbanistici. Infine si sancisce che il legislatore, nel prevedere procedimenti speciali per la localizzazione di opere in variante agli strumenti urbanistici, debba assicurare: l'osservanza dei principi generali in materia di governo del territorio previsti dal Capo I (articolo 23).
Gli strumenti negoziali di cui si occupa il Capo VII della proposta di legge rappresentano un significativo arricchimento della strumentazione utilizzabile per l'esercizio della funzione di governo del territorio. L'ordinamento urbanistico prevede ormai da numerosi anni apposite convenzioni tra l'amministrazione comunale e i soggetti attuatori, per la regolazione della fase attuativa degli interventi urbanistici ed edilizi. Il testo legislativo proposto amplia considerevolmente il campo di azione del regime convenzionale tra pubbliche amministrazioni e tra esse e i privati, giungendo ad interessare anche il momento della elaborazione delle scelte di piano e della programmazione dell'attuazione degli stessi. Per la prima volta si afferma, così, la possibilità che scelte pianificatorie siano frutto di specifici impegni assunti dall'amministrazione nei riguardi dei soggetti direttamente interessati dal provvedimento.
Lo strumento negoziale più duttile è l'accordo territoriale, con il quale più amministrazioni pubbliche possono conseguire la realizzazione dei seguenti risultati:
a) lo sviluppo di forme di cooperazione per l'esercizio delle funzioni di governo del territorio, relative, ad esempio, alla costituzione di uffici di piano o altre strutture organizzative comuni ovvero alla regolazione delle modalità di elaborazione di piani e programmi intercomunali;
b) la preventiva condivisione e armonizzazione, in ambiti caratterizzati dalla stretta integrazione e interdipendenza funzionale dei territori interessati, delle scelte di piano dei soggetti partecipanti all'accordo ovvero, a valle dei processi pianificatori, il coordinamento delle fasi e modalità attuative degli strumenti vigenti;
c) la definizione di forme di collaborazione dei comuni e delle altre amministrazioni territorialmente interessate, ai fini dell'attuazione degli strumenti di pianificazione regionali o provinciali.
In quest'ultimo caso, la legge prevede la possibilità di stabilire, sempre in via consensuale, misure di perequazione territoriale, aventi lo scopo di assicurare un riequilibrio, anche di natura economica, a favore dei comuni non beneficiati da nuove opportunità di sviluppo o gravati da significativi vincoli di tutela ovvero aventi l'obiettivo di attribuire una compensazione ambientale ai territori gravati dagli impatti negativi di opere di interesse sovracomunale (articolo 24).
Il secondo strumento negoziale attiene agli accordi che le amministrazioni procedenti possono stipulare con i privati interessati preliminarmente all'assunzione degli atti di pianificazione, per recepire le proposte di interventi privati che comportino specifici benefìci per la collettività (oltre a non pregiudicare i diritti dei terzi e a garantire l'osservanza delle leggi e dei piani sovraordinati). L'accordo costituisce parte integrante del piano adottato ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione. Esso non vincola in via definitiva l'amministrazione, essendo subordinato alla conferma delle sue previsioni da parte dell'organo istituzionalmente chiamato all'approvazione dello strumento (articolo 26).
Il terzo istituto negoziale previsto dalla proposta di legge è l'accordo di programma, già introdotto nell'ordinamento statale dall'articolo 27 della legge n. 142 del 1990 (ed ora disciplinato dall'articolo 34 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000). Pur confermandone la natura e la finalità (di accordo tra almeno due pubbliche amministrazioni, con lo scopo di regolare i reciproci impegni per la realizzazione di interventi complessi, programmi di interventi, opere pubbliche e di interesse pubblico che risultino di interesse comune), la proposta introduce due significative correzioni alla disciplina originaria, relative alla possibile partecipazione all'accordo anche di soggetti privati e alla possibilità per l'accordo di apportare variante, non soltanto alla pianificazione urbanistica comunale, ma all'insieme degli strumenti di pianificazione. Inoltre, si dà mandato alla legislazione regionale di integrare l'attuale procedimento di approvazione degli accordi in variante in conformità ai princìpi in materia di governo del territorio di cui al Capo I e in precedenza più volte richiamati, riconoscendo la possibilità di inserire eventuali fasi procedurali dirette all'acquisizione di tutti gli atti di assenso di pubbliche amministrazioni, comunque denominati, necessari per la realizzazione dell'intervento oggetto dell'accordo (articolo 25).
Nel campo della tutela del paesaggio la proposta di legge opera una significativa scelta di campo, chiarendo all'articolo 1 che la materia rientra nell'ambito delle funzioni di governo del territorio, in considerazione del fatto che sia la pianificazione paesaggistica, sia gli atti di apposizione e gestione dei vincoli paesaggistici assumono un considerevole rilievo nella regolazione e salvaguardia del territorio e nella definizione degli usi e delle trasformazioni del suolo ammissibili. Coerentemente, nel Capo VIII si dettano taluni princìpi innovativi tesi a realizzare, in modo progressivo, il superamento dell'attuale compresenza nell'ordinamento di due diverse modalità di tutela del valore paesaggistico del territorio, costituite dal sistema vincolistico e dalla pianificazione. Si afferma, anzitutto che, a seguito dell'approvazione del piano paesistico regionale, l'apposizione di nuovi vincoli paesaggistici assuma un ruolo complementare rispetto alla pianificazione, essendo ammessa solo allo scopo di stabilire una normativa speciale di tutela, confacente alle particolari caratteristiche dell'area interessata e integrativa della disciplina generale dettata dal piano. Si prevede poi l'applicazione anche in questa materia del meccanismo di assorbenza proprio della cosiddetta "carta unica del territorio", di modo che, non appena i vincoli paesaggistici - così come lo stesso piano paesaggistico - siano stati integralmente recepiti dalla pianificazione urbanistica comunale, viene meno la necessità del rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche. In tale modo, i titoli abilitativi all'attività edilizia saranno rilasciati in conformità anche alla disciplina di tutela e valorizzazione del paesaggio, costituente parte integrante del piano comunale.
Questa netta scelta per una tutela del paesaggio, prioritariamente attraverso gli strumenti di pianificazione, comporta necessariamente un ridisegno delle funzioni svolte dalle soprintendenze competenti in materia, attualmente incentrate sulle procedure di apposizione e gestione del vincolo paesaggistico e di riesame delle relative autorizzazioni; la proposta prevede che gli organi statali collaborino nella formazione ed approvazione del piano paesistico regionale e degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica di recepimento dello stesso nonché nell'esercizio dei compiti regionali di apposizione dei nuovi vincoli paesaggistici, integrativi della disciplina di piano (articolo 27).
Il Capo IX, dedicato alle norme finali, affronta innanzitutto la definizione delle competenze delle città metropolitane. Dal momento che il ruolo di tali enti nel sistema delle autonomie locali risulta ancora incerto, la proposta di legge rimanda, per la puntuale definizione dei loro compiti in materia di governo del territorio, alle leggi regionali istitutive degli stessi, sia pure nel quadro dei princìpi generali stabiliti dalle disposizioni precedenti (articolo 28).
Infine, si prevede che l'entrata in vigore del testo legislativo proposto sia differita di sei mesi, al fine di consentire alle regioni, che per buona parte hanno provveduto in tempi recenti al rinnovo della propria legislazione in materia, di adeguarla ai princìpi fondamentali introdotti.
Circa gli effetti sulla legislazione statale vigente, viene precisato che il nuovo testo legislativo ha efficacia abrogativa solo nei confronti delle norme contenenti princìpi con esso incompatibili, ma non incide automaticamente sulla restante legislazione statale di dettaglio, la quale può continuare a trovare applicazione, secondo i consueti criteri interpretativi, fino all'approvazione della disciplina regionale attuativa dei nuovi princìpi fondamentali della materia (articolo 29).
1. La presente legge detta i princìpi fondamentali relativi al governo del territorio, ai sensi dell'articolo l17, terzo comma, della Costituzione, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
2. La funzione di governo del territorio attiene alle attività conoscitive, regolative, di programmazione e di attuazione degli interventi nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio e la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso. Il governo del territorio comprende altresì l'urbanistica, l'edilizia, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati con le medesime materie.
3. L'attività amministrativa nel campo del governo del territorio si esplica, in conformità ai princìpi della presente legge, attraverso i piani generali, settoriali e specialistici, i programmi e i provvedimenti attuativi della pianificazione, gli accordi tra le amministrazioni titolari di funzioni relative al territorio e tra queste e i privati, nonché gli atti di apposizione di vincoli o di limiti all'uso o alla trasformazione del territorio.
4. Le norme della presente legge non possono essere derogate, modificate o abrogate se non espressamente e con specifico riferimento a singole disposizioni.
1. Agli effetti della presente legge, si intende per:
a) "governo del territorio": le disposizioni e i provvedimenti per la tutela, per l'uso e per la trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono;
b) "piani generali": i piani di comuni, province, regioni e Stato, che definiscono l'assetto della totalità del territorio di competenza di ciascun ente, con riguardo all'insieme delle funzioni di governo del territorio attribuite allo stesso;
c) "piani specialistici": i piani che tutelano un interesse pubblico specifico relativo al governo del territorio;
d) "piani di settore": i piani che approfondiscono particolari tematiche relative al governo del territorio e alle politiche ambientale, urbana, territoriale, infrastrutturale, in conformità alla pianificazione sovraordinata e in coerenza con le disposizioni dei piani territoriali e urbanistici vigenti del medesimo livello istituzionale di governo del territorio;
e) "piani o atti sovraordinati": i piani o gli atti di governo del territorio assunti dallo Stato, dalle regioni, dalle provincie o da altre pubbliche amministrazioni, che devono essere recepiti negli strumenti di pianificazione degli enti aventi competenza territoriale di minore estensione;
f) "norme di salvaguardia": norme statali o regionali che abilitano le amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio ad adottare misure di salvaguardia in grado di inibire determinate attività di trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono sino al verificarsi di specifiche circostanze previste dalla legislazione vigente o da piani specialistici;
g) "misure di salvaguardia": i provvedimenti adottati dalle amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio in attuazione delle norme di salvaguardia vigenti;
h) "quote edificatorie": le possibilità edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico dai piano operativo comunale.
1. La funzione di governo del territorio compete ai comuni, fatti salvi i compiti espressamente attribuiti dalla legge regionale alla provincia e alla regione nonché le funzioni riservate allo Stato dalla presente legge per assicurarne l'esercizio unitario.
2. La legge regionale, nell'attribuire alla regione e alla provincia compiti che attengono alla cura di interessi di vasta area o che non possono essere efficacemente svolti a livello comunale, stabilisce le forme di partecipazione dei comuni territorialmente interessati alla formazione degli atti con i quali i medesimi compiti si esplicano.
1. Gli enti titolari di funzioni relative al governo del territorio adottano il metodo della concertazione con gli altri livelli istituzionali e con le amministrazioni preposte alla cura degli interessi pubblici coinvolti, secondo criteri di leale collaborazione.
2. La legge regionale, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicura l'attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.
1. Ciascun livello istituzionale esplica le proprie funzioni di governo del territorio primariamente attraverso gli strumenti di pianificazione generale, i quali operano il coordinamento e l'integrazione dell'insieme degli interessi pubblici e privati che incidono sul territorio nell'ambito di competenza.
2. Gli atti di governo del territorio non rientranti negli strumenti di cui al comma 1, integrano le previsioni del piano generale del medesimo livello di pianificazione, secondo criteri di coerenza e di organicità. In particolare, essi sono predisposti e approvati nell'osservanza degli obiettivi strategici del piano generale, sviluppando e specificando le politiche e gli obiettivi tematici o di settore ivi stabiliti.
3. La legge regionale, nel prevedere atti o procedimenti speciali, abilitati ad apportare modificazioni alle previsioni dei piani generali, stabilisce modalità di formazione e di approvazione degli stessi.
1. Nella formazione e nell'approvazione degli atti di governo del territorio, indicati dal comma 3 dell'articolo 1, sono previste forme di pubblicità e di partecipazione dei soggetti portatori di interessi pubblici e diffusi nonché dei cittadini, singoli e associati, ai quali può derivare un pregiudizio dal provvedimento.
2. Qualora gli atti di governo del territorio comportano inedificabilità degli immobili ovvero apposizione di vincoli preordinati all'esproprio, l'avvio del procedimento è comunicato ai soggetti interessati. La legge regionale stabilisce i casi nei quali, in luogo della comunicazione personale, l'amministrazione provvede a rendere noti i contenuti essenziali degli atti in corso di elaborazione mediante idonee forme di pubblicità.
1. Gli atti di governo del territorio garantiscono la coerenza delle proprie previsioni con le caratteristiche e lo stato del territorio accertati dal quadro conoscitivo previsto dal comma 2. Tali atti, in particolare, fondano le proprie previsioni sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili, di favorire il recupero delle risorse degradate, di garantire una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio storico-culturale, di ridurre ed eliminare i danni per il territorio e per l'ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura, di prevenire i rischi derivanti da calamità naturali o dall'attività umana. Gli atti fondano, altresì, le proprie previsioni sulla tutela dell'assetto idrogeologico e della qualità delle acque, nonché sul bilancio delle risorse idriche.
2. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli atti di governo del territorio, e costituisce riferimento necessario per la valutazione di compatibilità ambientale e territoriale delle previsioni degli atti di governo del territorio. Gli esiti della valutazione di compatibilità sono riportati nella apposita relazione, costituente parte integrante degli atti di governo del territorio che illustra le motivazioni delle principali scelte operate.
3. Gli strumenti per il governo del territorio promuovono il miglioramento della qualità ambientale, architettonica, economica e sociale del territorio urbano e una più equilibrata distribuzione di servizi, attraverso interventi di riqualificazione degli ambiti urbanizzati degradati e il riuso delle aree produttive e di servizio dismesse.
4. L'utilizzazione di nuovo territorio è ammessa solo quando non sussistono alternative derivanti dalla riorganizzazione funzionale dei tessuti insediativi esistenti, dalla qualificazione e dall'integrazione dei servizi pubblici presenti ovvero dalla sostituzione di parti dell'agglomerato urbano.
5. I nuovi complessi insediativi sono localizzati prioritariamente nelle aree limitrofe a quelle esistenti, per concorrere alla loro riqualificazione e sopperire alle eventuali carenze di impianti, di infrastrutture o di servizi. Tali complessi sono sottoposti a progettazione unitaria, assicurando la contestuale realizzazione delle infrastrutture e delle dotazioni territoriali necessarie.
1. Nel campo del governo del territorio, sono riservate allo Stato le seguenti funzioni:
a) rapporti con gli organismi internazionali e coordinamento con l'Unione europea in materia di politiche urbane e di assetto del territorio;
b) la predisposizione del programma nazionale per la tutela del territorio e per le grandi infrastrutture previsto dall'articolo 9 e la progettazione, esecuzione e manutenzione delle opere o interventi previsti dallo stesso;
c) la promozione di interventi speciali nei casi previsti dall'articolo 10;
d) la definizione della normativa tecnica, da applicarsi su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 11;
e) il monitoraggio del territorio e dello stato della pianificazione territoriale ed urbanistica, attraverso le strutture di cui all'articolo 12.
2. Le funzioni previste dal comma 1 sono esercitate dallo Stato attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
1. Il programma nazionale per la tutela del territorio e per le grandi infrastrutture definisce le linee fondamentali dell'assetto del territorio e disciplina la previsione e la realizzazione degli interventi statali in materia di:
a) opere di rilievo internazionale e grandi infrastrutture di trasporto e di navigazione di interesse nazionale;
b) opere in materia di sicurezza interna, dogane ed edilizia penitenziaria;
c) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali;
d) prevenzione da grandi rischi derivanti da calamità naturali.
2. Il programma di cui al comma 1 fornisce indicazioni di massima circa la localizzazione delle opere e verifica le condizioni di compatibilità ambientale e territoriale nonché di fattibilità economico-finanziaria delle opere e degli interventi ivi previsti e può contenere direttive e indirizzi per i piani territoriali e urbanistici. Il programma, inoltre, tiene conto delle previsioni e dei fabbisogni nazionali nell'arco temporale di almeno un decennio ed è aggiornato ogni cinque anni.
3. Ad esclusione delle opere relative alla sicurezza nazionale o disposte in via d'urgenza nel caso di calamità naturali o di eventi catastrofici, l'inserimento nel programma di cui al comma 1 costituisce condizione necessaria per la realizzazione e il finanziamento degli interventi statali indicati al medesimo comma 1.
4. Il programma di cui al comma 1 e i suoi aggiornamenti sono predisposti dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, per i beni e le attività culturali e dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ed è approvato dal Parlamento mediante apposita risoluzione.
Art. 10.
(Interventi speciali dello Stato).
1. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio economico e sociale e di superare gravi situazioni di degrado ambientale, lo Stato effettua interventi speciali in favore di determinati ambiti territoriali, con l'obiettivo di promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociali, coerenti con le prospettive di sviluppo ecosostenibile.
2. Gli interventi speciali di cui al comma 1 sono programmati e attuati prioritariamente attraverso atti di programmazione negoziata, promuovendo la collaborazione delle regioni e delle autonomie locali nell'efficace realizzazione di piani pluriennali di intervento, di interesse comune e funzionalmente collegati, che concorrano alla creazione di condizioni favorevoli per lo sviluppo del territorio e delle comunità locali.
3. L'individuazione e l'approvazione degli interventi speciali è operata attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
1. E' riservata allo Stato la funzione di stabilire, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la normativa tecnica e gli standard di qualità che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale nelle seguenti materie:
a) criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e norme tecniche per le nuove costruzioni e per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente nelle medesime zone;
b) requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione e normativa tecnica sugli impianti tecnologici degli edifici;
c) requisiti minimi di qualità dei tessuti urbani e dotazioni minime di infrastrutture, spazi e servizi pubblici.
1. Presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito il Sistema nazionale per lo studio del territorio, con compiti di raccolta ed elaborazione degli elementi conoscitivi e valutativi sullo stato del territorio e sull'ambiente necessari per la predisposizione degli atti di governo del territorio. Il Sistema nazionale svolge inoltre funzioni di monitoraggio della pianificazione, operando l'integrazione dei dati riferiti alle risorse territoriali e delle previsioni pianificatorie, secondo criteri di georeferenziazione. Il Sistema nazionale predispone un rapporto annuale sullo stato del territorio, nel quale sono raccolte e analizzate le principali informazioni che attengono alla qualità del territorio e dell'ambiente.
2. Il Sistema nazionale per lo studio del territorio si articola in osservatori regionali, dove sono raccolti ed elaborati l'insieme dei dati e delle informazioni che costituiscono l'organica rappresentazione e valutazione dello stato del territorio regionale e dei processi evolutivi che lo caratterizzano, nonché l'archivio della strumentazione territoriale e urbanistica e dei piani di settore e specialistici. L'osservatorio regionale è organizzato e gestito dalla regione d'intesa con le autonomie locali, sulla base di un accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che definisce i criteri uniformi di individuazione raccolta e trattamento delle informazioni, i reciproci impegni di ordine finanziario e operativo e le forme di collaborazione e di integrazione delle attività.
1. La legge regionale disciplina gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, individuando nell'ambito della pianificazione comunale:
a) il piano urbanistico comunale, il quale stabilisce le scelte strategiche di qualificazione e sviluppo del territorio comunale armonizandole con la disciplina di tutela e valorizzazione dell'integrità fisica ed ambientale e dell'identità culturale dello stesso;
b) il piano operativo, il quale individua e disciplina gli interventi significativi di trasformazione del territorio comunale da realizzare nell'arco temporale di cinque anni, programmando la contestuale realizzazione e completamento degli interventi di trasformazione e delle necessarie attrezzature, infrastrutture per la mobilità e altre opere pubbliche necessarie per la funzionalità dei nuovi insediamenti e per assicurare la sostenibilità ambientale e territoriale degli stessi. Le previsioni del piano operativo sono recepite dal programma triennale delle opere pubbliche comunale e costituiscono riferimento necessario per i programmi e per i piani settoriali comunali da attuare nell'arco temporale della sua validità.
2. La legge regionale definisce, altresì, le procedure di formazione e approvazione dei piani territoriali e urbanistici in conformità ai princìpi generali dettati dalla presente legge. Tutti i piani generali, specialistici e settoriali sono approvati dall'ente pubblico territorialmente competente. I piani generali e settoriali della provincia e del comune possono essere soggetti esclusivamente alla verifica di conformità agli atti di governo del territorio sovraordinati e agli atti di concertazione istituzionale eventualmente stipulati.
1. Il piano territoriale di coordinamento provinciale e il piano urbanistico comunale comprendono e specificano in modo coerente la totalità delle prescrizioni e dei vincoli formulati dai piani, anche aventi carattere settoriale o specialistico, e dagli altri atti di governo del territorio predisposti dagli enti pubblici territoriali sovraordinati e ne forniscono una rappresentazione unitaria.
2. Il piano urbanistico comunale e il piano operativo, predisposti e approvati nell'osservanza dei princìpi stabiliti dalla presente legge, costituiscono nel loro insieme la carta unica del territorio, comprensiva di tutte le disposizioni vigenti riguardanti il territorio comunale.
3. La carta unica del territorio è l'unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità agli strumenti per il governo del territorio. A seguito dell'entrata in vigore dei piani aventi efficacia di carta unica del territorio, gli atti di governo del territorio recepiti cessano di avere autonoma validità nel territorio comunale.
1. Con l'adozione dei piani gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni agli strumenti di pianificazione sovraordinati, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione.
2. Fatto salvo quanto previsto dal comma 3, le proposte di modifica ai piani sono collegate alla sopravvenienza di comprovate esigenze degli enti territoriali, relative alla necessità di garantire il raggiungimento di obiettivi di sviluppo economico e sociale nonché di riequilibrare gli assetti territoriali e ambientali.
3. Le proposte comunali di modifica delle previsioni dei piani di tutela del territorio e dell'ambiente, nei settori del paesaggio, della protezione della natura, delle acque e della difesa del suolo, possono attenere unicamente alla cartografia dei piani ed essere conseguenti a una più approfondita analisi e valutazione delle caratteristiche dei luoghi, non possono in nessun caso, essere conseguenti a esigenze insediative da soddisfare.
4. L'atto di approvazione del piano contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano sovraordinato, qualora sulle modifiche sia acquisita l'intesa dell'ente titolare dello strumento.
1. La pianificazione territoriale e urbanistica, accerta i limiti e i vincoli all'uso e alle trasformazioni del suolo che derivano:
a) da uno specifico interesse pubblico insito nelle caratteristiche del territorio, stabilito dalla normativa statale o regionale relativa alla tutela dei beni ambientali, paesaggistici e culturali, alla protezione della natura e alla difesa del suolo;
b) dalle caratteristiche morfologiche o geologiche del territorio, che rendono incompatibile il processo di trasformazione dello stesso;
c) dalla presenza di fattori di rischio ambientale, per la vulnerabilità delle risorse naturali.
2. Al fine di assicurare la sostenibilità ambientale e territoriale delle proprie previsioni, la pianificazione territoriale e urbanistica subordina l'attuazione degli interventi:
a) alla contestuale realizzazione di opere impeditive, di mitigazione o di compensazione degli impatti negativi ovvero delle infrastrutture e dei servizi pubblici necessari per garantire l'accessibilità, la funzionalità e la qualità igienico-ambientale degli insediamenti previsti;
b) ovvero al fatto che si verifichino, per fatti indipendenti dalla trasformazione urbanistica, le condizioni di sostenibilità specificamente individuate dal piano.
3. I vincoli e le condizioni di cui ai commi 1 e 2 sono inerenti alle qualità intrinseche del bene e operano senza alcun limite temporale. Essi sono stabiliti dal piano urbanistico comunale, dalla pianificazione generale, settoriale o specialistica sovraordinata ovvero dagli atti di apposizione di vincoli e sono recepiti dal piano operativo.
4. Il piano operativo individua gli immobili da destinare a infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e altre opere pubbliche o di interesse pubblico e, ove necessario, impone su di essi il vincolo preordinato all'esproprio.
5. Il piano operativo include altresì gli immobili per i quali è disposta la espropriazione, da parte dello Stato o di altri soggetti pubblici aventi titolo, per la realizzazione di opere di loro competenza previste dal piano urbanistico comunale vigente.
6. Il vincolo preordinato all'esproprio imposto con le modalità di cui al comma 4 ha la durata di cinque anni e può essere reiterato una sola volta per la stessa durata.
1. Le amministrazioni pubbliche che svolgono, quali propri compiti istituzionali, funzioni di raccolta, elaborazione e aggiornamento di dati e di informazioni relativi al territorio e all'ambiente sono tenute, secondo criteri di reciprocità, a metterli a disposizione degli enti territoriali che procedono alla predisposizione dei piani e degli altri atti di governo del territorio, anche ai fini della costituzione del sistema nazionale per lo studio del territorio e degli osservatori regionali previsti dall'articolo 12.
2. Il medesimo obbligo di cui al comma 1 grava sui concessionari di servizi pubblici e sui soggetti privati, relativamente ai dati per la cui raccolta ed elaborazione ricevono, da parte delle amministrazioni pubbliche di cui al medesimo comma 1, un contributo che supera il 50 per cento del costo sostenuto.
3. La legge regionale disciplina le modalità di collaborazione e di interscambio delle informazioni e di implementazione delle stesse, ai fini della elaborazione e dell'aggiornamento del quadro conoscitivo dei piani e del monitoraggio dell'attuazione degli stessi.
4. La regione stabilisce, in raccordo con gli organismi nazionali competenti, le specifiche tecniche per la raccolta, l'elaborazione e la conservazione dei dati, le caratteristiche generali dei sistemi informativi geografici nonché le modalità per assicurare la congruenza di inquadramento delle carte topografiche.
Art. 18.
(Perequazione urbanistica e previsioni compensative).
1. La pianificazione urbanistica realizza l'equa distribuzione delle quote edificatorie e degli oneri derivanti dalla realizzazione degli interventi, tra i proprietari degli immobili interessati dalle trasformazioni.
2. Il piano operativo, nell'individuare e disciplinare gli ambiti destinati a trasformazione urbanistica, attribuisce agli immobili inseriti nei comparti urbanistici quote edificatorie, espresse in metri quadrati o in metri cubi, e obblighi verso il comune o altri soggetti pubblici aventi titolo previsti dal piano operativo medesimo.
3. Le quote edificatorie e gli obblighi di cui al comma 2 sono ripartiti tra i proprietari di immobili in modo proporzionale alla quota detenuta da ciascuno di essi del valore imponibile complessivo degli immobili inclusi nel comparto. Nel caso in cui siano inclusi nel comparto immobili per i quali non risulta accertato il valore dell'imponibile relativo all'imposta comunale sugli immobili, tale valore è determinato dall'ufficio tecnico erariale, sulla base dei valori accertati per altri immobili aventi caratteristiche analoghe.
4. Le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico sono liberamente commerciabili, fermo restando il divieto di trasferimento delle stesse in altri comparti urbanistici. Esse sono soggette alle imposte immobiliari previste dall'articolo 20, comma 5.
5. Al fine di attuare processi di riqualificazione delle aree urbane, il piano operativo può prevedere la realizzazione nel comparto urbanistico di quote di infrastrutture, di attrezzature e di spazi collettivi definite in considerazione anche delle carenze pregresse presenti nel medesimo ambito o nelle parti del territorio comunale ad esso adiacenti. In tali casi il piano operativo può assegnare quote di edificabilità compensativa, quale equo ristoro dei particolari obblighi posti in capo ai proprietari degli immobili quale condizione per l'attuazione degli interventi.
6. Quote di edificabilità compensativa possono essere previste dal piano operativo anche a favore dei soggetti titolari di immobili, collocati al di fuori dei comparti edificatori, sui quali il piano operativo provvede alla apposizione di un vincolo preordinato all'esproprio per la realizzazione di un'opera pubblica o di interesse pubblico.
Art. 19.
(Comparti urbanistici).
1. Il comparto urbanistico può essere attuato dai proprietari degli immobili inclusi nel suo perimetro, dal comune, da società miste o da altri soggetti pubblici e privati, ai sensi di quanto stabilito dal piano operativo.
2. Nel caso di attuazione del comparto urbanistico da parte di soggetti privati, devono essere preventivamente ceduti a titolo gratuito al comune o ad altri soggetti pubblici gli immobili necessari per la realizzazione, nel comparto stesso, di infrastrutture, attrezzature, aree verdi, edilizia residenziale pubblica e altre opere pubbliche o di interesse pubblico, nella quantità prevista dal piano operativo e sulla base delle indicazioni localizzative indicate dal comune.
3. I titolari, singoli o associati, di una quantità superiore al 50 per cento delle quote edificatorie complessive attribuite a un comparto urbanistico, possono procedere all'attuazione forzosa del comparto qualora si verifichi il rifiuto o l'inerzia dei rimanenti proprietari. A tale scopo i medesimi soggetti acquisiscono le quote edificatorie attribuite ai proprietari che hanno deciso di non partecipare all'iniziativa, e i relativi immobili, mediante la corresponsione del controvalore di cui al comma 6 o, nel caso di rifiuto, mediante deposito della somma prevista presso la tesoreria comunale.
Secondo contributo dell’Istituto nazionale di Urbanistica alla definizione del testo di legge sul governo del territorio in discussione presso la VIII Commissione parlamentare
Anche a seguito della riunione del Consiglio direttivo nazionale dell’Istituto tenutasi il 21 febbraio scorso, l’Inu non ha ritenuto di predisporre per l’audizione odierna un ulteriore documento, rinviando senz’altro per l’impostazione e i temi generali al documento inviato alla Commissione stessa nell’ottobre 2003, a seguito della precedente audizione [allegato].
In questa fase l’Inu intende pertanto limitarsi a indicare e suggerire, come sempre con spirito di collaborazione e di servizio, alcune modifiche puntuali al testo esaminato che si ritengono migliorative, e che solo in qualche caso possono essere considerate sostanziali dal punto di vista concettuale.
L’Inu tuttavia intende anche manifestare apprezzamento per alcuni miglioramenti già riscontrabili nella versione più recente della proposta di legge, rispetto alle precedenti, esortando quindi la Commissione a procedere il più celermente possibile nei lavori, in modo da rendere possibile l’approvazione di questa riforma entro la fine della corrente legislatura.
Inutile ricordare infatti che tale riforma è attesa ormai da molti decenni, e che essa appare oggi più che mai necessaria, non solo a seguito della riscrittura del Titolo V della Costituzione, ma anche, e più in generale, a seguito del processo di sviluppo delle autonomie territoriali e amministrative avviato già dai primi anni Novanta, e oggi realmente e diffusamente in corso. Processo che come è noto riguarda anzitutto le Regioni ma, è bene non dimenticarlo, anche Province, Comuni e le future Città metropolitane.
In questo senso, e anche al fine di meglio comprendere alcune delle modifiche puntuali suggerite in questa sede al testo della proposta di legge, l’Inu ritiene utile formulare alcune osservazioni a carattere generale, che meglio specificano e motivano quanto già fatto presente alla Commissione in precedenza con il documento dell'ottobre 2003.
1. Piano “urbanistico” e pianificazione.
L'Inu osserva che, sebbene giustamente ispirato e intitolato al “governo del territorio”, il disegno di legge in discussione restituisce nel suo insieme una visione alquanto asfittica della materia, qui limitata di fatto e sostanzialmente alla “urbanistica” in senso stretto, ovvero alla disciplina, fino ad oggi incarnata dal piano comunale, finalizzata prevalentemente a determinare la edificabilità dei suoli e a gestire le conseguenti attività urbanizzative ed edilizie. È ben vero questa concezione è ormai diffusamente radicata nel Paese, come conseguenza diretta della “urbanistica” che si è effettivamente praticata in Italia per molti decenni, sulla falsariga della legge 1150/1942, e in quasi totale carenza di altre forme di pianificazione. Tuttavia, proprio una recente sentenza della Corte Costituzionale, che scioglie inequivocabilmente alcuni dubbi sorti in merito, chiarisce senz’altro che la “urbanistica” fa parte del “governo del territorio”, ma proprio per questo “far parte” evidentemente non lo esaurisce.
E d’altronde è proprio questa natura più ampia del “governo del territorio”, rispetto alla “urbanistica” tradizionalmente intesa, che giustifica, legittima e richiede necessariamente una legislazione statale di principi e di indirizzi.
Dal punto di vista pratico, si segnala inoltre che fin dai primi anni Novanta, a seguito della legge 142/1990, e più in generale della stessa evoluzione delle singole discipline legislative regionali, anche nel nostro Paese si sono sviluppate forme di pianificazione territoriale, a cominciare da quelle messe in capo alle Province dalla stessa legge 142/1990, fino a diverse esperienze di livello regionale. Tali pianificazioni “territoriali”, di carattere “generale” e non “settoriale” o “specialistico” (questi ultimi già considerati, o almeno allusi dalla proposta di legge in discussione), non hanno ovviamente (e per ragioni tecniche non possono avere) carattere “urbanistico”, per come sopra definito. Tali pianificazioni “generali” mirano invece a definire gli assetti territoriali in “area vasta”, contemperando gli aspetti infrastrutturali e insediativi con quelli ambientali e anche di tutela del paesaggio e dei beni culturali territoriali.
In particolare, i piani territoriali provinciali ex lege 142/1990 sono di fatto quasi sempre improntati a una ricomposizione organica delle cosiddette “tutele separate”, e quindi – “conformando il territorio”, ma non i diritti di proprietà – costituiscono un indispensabile quadro di riferimento sia per le pianificazioni comunali, in particolare per i Comuni minori, sia per i progetti di infrastrutture e, soprattutto, per le relative valutazioni. Obiettivo questo della ricomposizione, se non della reductio ad unum, che giustamente assume e persegue anche la proposta di legge in discussione, seppure facendone carico al “piano urbanistico” locale.
2. Sussidiarietà.
L'Inu condivide pienamente il fatto che la proposta di legge sia basata essa stessa sul principio di sussidiarietà che si sforza poi di introdurre nelle pratiche di governo del territorio, e la cui attuazione costituirebbe più in generale una vera e importante innovazione nel sistema amministrativo nazionale, fino ad ora in gran parte basato su concetti supinamente ereditati da precedenti concezioni dello Stato e della società.
Anche in accordo con gli indirizzi della Unione europea, tuttavia, il principio di sussidiarietà deve essere necessariamente esteso dal rapporto tra Stato e Regioni anche agli altri Enti territoriali e alla stessa cittadinanza. Si osserva invece che la proposta di legge in discussione, mentre appare molto attenta – per certi aspetti fin troppo (v. in seguito) – al rapporto Stato/Regioni, non offre specifici indirizzi, e tanto meno “garanzie” sul rapporto Regioni/Enti territoriali, e tratta forse in maniera ancora parziale il rapporto tra amministrazione pubblica nel suo insieme e cittadinanza.
Come è noto l'Inu sostiene da tempo che nella materia “governo del territorio”, in quanto materia “concorrente” e per la sua stessa natura, lo Stato non può emanare legittimamente altro che una legge di principi e di indirizzi, ma se ciò vale sul piano legislativo nei confronti delle Regioni, non vale invece per quanto di diretta ed esclusiva competenza statale, laddove lo Stato deve invece assumere impegni più definiti, o almeno stabilire tempi e modalità di definizione dei relativi provvedimenti, da assumere auspicabilmente di concerto con Regioni ed Enti locali. Così ad esempio per la definizione dei cosiddetti “requisiti minimi”, e in genere per garantire un omogeneo trattamento dei diritti di cittadinanza sull'intero territorio nazionale.
E spetta senz'altro allo Stato inverare il principio di sussidiarietà prevedendo ove opportuno, o addirittura necessario, “norme argine” per così dire, a tutela di tale principio e a garanzia della sua applicazione anche nei rapporti tra Regioni ed Enti locali. L'esperienza dell'ultima decennio, infatti, rivela fin troppo chiaramente la tendenza di alcune amministrazioni regionali ad arroccarsi sui poteri a vario titoli acquisiti, a danno o comunque con forti limitazioni delle autonomie locali.
Fermo restando che il “governo del territorio” è essenzialmente una funzione pubblica, e che quindi le pratiche di programmazione e pianificazione che lo inverano sono fortemente legate e dipendenti da tale funzione, anche in termini di legittimità sostanziale, l'Inu condivide senz'altro che tale funzione possa essere svolta anche con la partecipazione e il contributo diretto di soggetti privati, singoli o variamente aggregati (cosiddetta “sussidiarietà orizzontale”), sia con modalità di partecipazione estesa, sia attraverso esplicite e trasparenti pratiche negoziali, che abbiano il fine di attuare gli obiettivi dell’amministrazione pubblica espressi dalla programmazione e dalla pianificazione, anche partecipando alla ulteriore definizione degli stessi, e con un ragionevole equilibrio tra interessi privati e appunto interessi pubblici.
Proprio per questa condivisione sostanziale del principio, l'Inu segnala tuttavia la necessità di guardare con la massima attenzione alle formulazioni presenti nella proposta di legge in discussione che riguardano questi aspetti, anche al fine di evitare per quanto possibile critiche pretestuose, ma soprattutto per non indurre eventuali comportamenti equivoci in fase di attuazione di questa ulteriore e fondamentale riforma della nostra amministrazione nazionale.
3. Abrogazioni
L'Inu raccomanda infine che sia introdotto un articolo aggiuntivo alla proposta di legge in discussione, che preveda esplicitamente e puntualmente l'abrogazione delle residue norme della legge 1150/1942 ancora oggi in vigore, e di tutte le leggi e norme da tale legge derivate e su di essa basate. Avendo ormai tutte le Regioni legiferato in materia, non vi è alcun rischio di un “vuoto legislativo”, mentre sarebbe incombente e del tutto prevedibile un incredibile mole di contenzioso amministrativo e giudiziario qualora tali norme restassero in vigore, o peggio qualora si dovesse definire a posteriori quali restino in vigore o meno. La inevitabile inerzia della burocrazia tecnica e amministrativa sarebbe inoltre sollecitata a perpetuarsi, con l'effetto di ritardare grandemente la effettiva attuazione del provvedimento ora in discussione, e forse anche di eroderne progressivamente la portata innovativa.