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Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967

Art. 1 - Campo di applicazione

Le disposizioni che seguono si applicano ai nuovi piani regolatori generali e relativi piani particolareggiati e lottizzazioni convenzionate; ai nuovi regolamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate; alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti.

Art. 2 - Zone territoriali omogenee

Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765:

A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;

B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq;

C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B);

D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;

E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C);

F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.

Art. 3 - Rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi

Per gli insediamenti residenziali, i rapporti massimi di cui all'art. 17, penultimo comma, della legge n. 765, penultimo comma, della legge n. 765 sono fissati in misura tale da assicurare per ogni abitante - insediato o da insediare - la dotazione minima, inderogabile, di mq 18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie.

Tale quantità complessiva va ripartita, di norma, nel modo appresso indicato:

a) mq 4,50 di aree per l'istruzione: asili nido, scuole materne e scuole dell'obbligo;

b) mq 2,00 di aree per attrezzature di interesse comune: religiose, culturali, sociali, assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi (uffici P.T., protezione civile, ecc.) ed altre;

c) mq 9,00 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi lungo le strade;

d) mq 2,50 di aree per parcheggi (in aggiunta alle superfici a parcheggio previste dall'art. 18 della legge n. 765): tali aree - in casi speciali - potranno essere distribuite su diversi livelli.

Ai fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli strumenti urbanistici, si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq (pari a circa 20 mc vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.).

Art. 4 - Quantità minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee

La quantità minima di spazi - definita al precedente articolo in via generale - è soggetta, per le diverse zone territoriali omogenee, alle articolazioni e variazioni come appresso stabilite in rapporto alla diversità di situazioni obiettive.

1 - Zone A): l'Amministrazione comunale, qualora dimostri l'impossibilità - per mancata disponibilità di aree idonee, ovvero per ragioni di rispetto ambientale e di salvaguardia delle caratteristiche, della conformazione e delle funzioni della zona stessa - di raggiungere le quantità minime di cui al precedente articolo 3, deve precisare come siano altrimenti soddisfatti i fabbisogni dei relativi servizi ed attrezzature.

2 - Zone B): quando sia dimostrata l'impossibilità - detratti i fabbisogni comunque già soddisfatti - di raggiungere la predetta quantità di spazi su aree idonee, gli spazi stessi vanno reperiti entro i limiti delle disponibilità esistenti nelle adiacenze immediate, ovvero su aree accessibili tenendo conto dei raggi di influenza delle singole attrezzature e della organizzazione dei trasporti pubblici.

Le aree che vanno destinate agli spazi di cui al precedente art. 3 nell'ambito delle zone A) e B) saranno computate, ai fini della determinazione delle quantità minime prescritte dallo stesso articolo, in misura doppia di quella effettiva.

3 - Zone C): deve essere assicurata integralmente la quantità minima di spazi di cui all'art. 3.

Nei Comuni per i quali la popolazione prevista dagli strumenti urbanistici non superi i 10 mila abitanti, la predetta quantità minima di spazio è fissata in mq 12 dei quali mq 4 riservati alle attrezzature scolastiche di cui alla lett. a) dell'art 3. La stessa disposizione si applica agli insediamenti residenziali in Comuni con popolazione prevista superiore a 10 mila abitanti, quando trattasi di nuovi complessi insediativi per i quali la densità fondiaria non superi 1 mc/mq.

Quando le zone C) siano contigue o in diretto rapporto visuale con particolari connotati naturali del territorio (quali coste marine, laghi, lagune, corsi d'acqua importanti; nonché singolarità orografiche di rilievo) ovvero con preesistenze storico-artistiche ed archeologiche, la quantità minima di spazio di cui al punto c) del precedente art. 3 resta fissata in mq 15: tale disposizione non si applica quando le zone siano contigue ad attrezzature portuali di interesse nazionale.

4 - Zone E): la quantità minima è stabilita in mq 6 da riservare complessivamente per le attrezzature ed i servizi di cui alle lettere a) e b) del precedente art. 3.

5 - Zone F): gli spazi per le attrezzature pubbliche di interesse generale - quando risulti l'esigenza di prevedere le attrezzature stesse - debbono essere previsti in misura non inferiore a quella appresso indicata in rapporto alla popolazione del territorio servito:

-1,5 mq/abitante per le attrezzature per l'istruzione superiore all'obbligo (istituti universitari esclusi);

-1 mq/ abitante per le attrezzature sanitarie ed ospedaliere;

-15 mq/ abitante per i parchi pubblici urbani e territoriali.

Art. 5 - Rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti produttivi e gli spazi pubblici destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi

l rapporti massimi di cui all'art 17 della legge n 765, per gli insediamenti produttivi, sono definiti come appresso:

1) nei nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili compresi nelle zone D) la superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (escluse le sedi viarie) non può essere inferiore al 10% dell'intera superficie destinata a tali insediamenti;

2) nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di 80 mq di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all'art. 18 della legge n. 765); tale quantità, per le zone A) e B) è ridotta alla metà, purché siano previste adeguate attrezzature integrative.

Art. 6 - Mancanza di aree disponibili

l Comuni che si trovano nell'impossibilità, per mancanza di aree disponibili, di rispettare integralmente le norme stabilite per le varie zone territoriali omogenee dai precedenti articoli 3, 4 e 5 debbono dimostrare tale indisponibilità anche agli effetti dell'art 3, lett. d) e dell'articolo 5, n. 2 della legge n. 765.

Art. 7 - Limiti di densità edilizia

I limiti inderogabili di densità edilizia per le diverse zone territoriali omogenee sono stabiliti come segue:

1) Zone A):

- per le operazioni di risanamento conservativo ed altre trasformazioni conservative, le densità edilizie di zona e fondiarie non debbono superare quelle preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico;

- per le eventuali nuove costruzioni ammesse, la densità fondiaria non deve superare il 50% della densità fondiaria media della zona e, in nessun caso, i 5 mc/mq;

2) Zone B): le densità territoriali e fondiarie sono stabilite in sede di formazione degli strumenti urbanistici tenendo conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime di spazi previste dagli artt. 3, 4 e 5.

Qualora le previsioni di piano consentano trasformazioni per singoli edifici mediante demolizione e ricostruzione, non sono ammesse densità fondiarie superiori ai seguenti limiti:

-7 mc/mq per comuni superiori ai 200 mila abitanti;

- 6 mc/mq per comuni tra 200 mila e 50 mila abitanti;

- 5 mc/mq per comuni al di sotto dei 50 mila abitanti.

Gli abitanti sono riferiti alla situazione del Comune alla data di adozione del piano.

Sono ammesse densità superiori ai predetti limiti quando esse non eccedano il 70% delle densità preesistenti.

3) Zone C): i limiti di densità edilizia di zona risulteranno determinati dalla combinata applicazione delle norme di cui agli artt. 3, 4 e 5 e di quelle di cui agli artt. 8 e 9, nonché dagli indici di densità fondiaria che dovranno essere stabiliti in sede di formazione degli strumenti urbanistici, e per i quali non sono posti specifici limiti.

4) Zone E): è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di mc 0,03 per mq.

Art. 8 - Limiti di altezza degli edifici

Le altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A):

- per le operazioni di risanamento conservativo non è consentito superare le altezze degli edifici preesistenti, computate senza tener conto di soprastrutture o di sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture;

- per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissibili, l'altezza massima di ogni edificio non può superare l'altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico;

2) Zone B): l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7.

3) Zone C: contigue o in diretto rapporto visuale con zone del tipo A): le altezze massime dei nuovi edifici non possono superare altezze compatibili con quelle degli edifici delle zone A) predette.

4) Edifici ricadenti in altre zone: le altezze massime sono stabilite dagli strumenti urbanistici in relazione alle norme sulle distanze tra i fabbricati di cui al successivo art. 9.

Art. 9 - Limiti di distanza tra i fabbricati

Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12.

Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

- ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7.

- ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;

- ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765

Art. 1 - Campo di applicazione delle presenti disposizioni

Le disposizioni che seguono, relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione.

Art. 2 - Definizione del ciglio della strada

Si definisce ciglio della strada la linea di limite della sede o piattaforma stradale comprendente tutte le sedi viabili, sia veicolari che pedonali, ivi incluse le banchine od altre strutture laterali alle predette sedi quando queste siano transitabili, nonché le strutture di delimitazione non transitabili (parapetti, arginelle e simili).

Art. 3 - Distinzione delle strade

Le strade, in rapporto alla loro natura ed alle loro caratteristiche, vengono così distinte agli effetti della applicazione delle disposizioni di cui ai successivi articoli:

A) Autostrade: autostrade di qualunque tipo (legge 7 febbraio 1961, n. 59, art. 4); raccordi autostradali riconosciuti quali autostrade ed aste di accesso fra le autostrade e la rete viaria della zona (legge 19 ottobre 1965, n. 1197 e legge 24 luglio 1961, n. 729 art. 9);

B) Strade di grande comunicazione o di traffico elevato: strade statali comprendenti itinerari internazionali (legge 16 marzo 1956, n. 371, allegato 1); strade statali di grande comunicazione (legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 14); raccordi autostradali non riconosciuti; strade a scorrimento veloce (in applicazione della legge 26 giugno 1965, n. 717, art. 7);

C) Strade di media importanza: strade statali non comprese tra quelle della categoria precedente; strade provinciali aventi larghezza della sede superiore o eguale a m. 10,50; strade comunali aventi larghezza della sede superiore o eguale a m. 10,50;

D) Strade di interesse locale: strade provinciali e comunali non comprese tra quelle della categoria precedente.

Art. 4 - Norme per le distanze

Le distanze da osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale, sono così da stabilire:

strade di tipo A) - m. 60,00;

strade di tipo B) - m. 40,00;

strade di tipo C) - m. 30,00;

strade di tipo D) - m. 20,00.

A tali distanze minime va aggiunta la larghezza dovuta alla proiezione di eventuali scarpate o fossi e di fasce di espropriazione risultanti da progetti approvati.

Art. 5 - Distanze in corrispondenza di incroci

In corrispondenza di incroci e biforcazioni le fasce di rispetto determinate dalle distanze minime sopraindicate sono incrementate dall'area determinata dal triangolo avente due lati sugli allineamenti di distacco, la cui lunghezza, a partire dal punto di intersezione degli allineamenti stessi sia eguale al doppio delle distanze stabilite nel primo comma del precedente art. 4, afferenti alle rispettive strade, e il terzo lato costituito dalla retta congiungente i due punti estremi.

Resta fermo quanto prescritto per gli incroci relativi alle strade costituenti itinerari internazionali (legge 16 marzo 1956, n. 371, allegato 2).

Si è spento domenica Michele Sernini. Ha affrontato la malattia col consueto piglio ironico, con quel tratto personale che gli conferiva a volte un che di altero, di scostante.

Nelle aule dello Iuav di Venezia ci sconcertava col suo comportamento. Quando non reagivamo alle sollecitazioni ci guardava come preso da un'improvvisa malinconia, poi appoggiava la fronte contro il muro o giocherellava col gesso in attesa che qualcuno parlasse.

Sapeva far nascere curiosità, stimolare interessi: dalla sua borsa magica uscivano libri a noi sconosciuti, nelle sue lezioni toccava anche discipline diverse dai saperi del territorio che costituivano il nostro riferimento: sapeva di filosofia, di sociologia, di diritto.

Era giunto all'insegnamento universitario nel 1972, chiamatovi dopo un articolo in cui analizzava criticamente i sociologi urbani francesi. Divenuto professore, fu collaboratore della rivista di studi urbani vicina a il manifesto, Città/classe, che vide riuniti alcuni degli studiosi più brillanti di quella generazione. Non fu mai un accademico. Orgoglioso della propria indipendenza intellettuale, sprezzante di cordate e di lobbies, sempre tagliente nei giudizi, era costretto a giocare per lo più la parte dell'ospite scomodo. Era coraggioso: dopo gli arresti del 7 aprile 1979, inserì nei suoi seminari alcuni libri di Antonio Negri, che stimava come studioso, pur non condividendone le posizioni. La cosa attirò l'attenzione degli inquisitori, e fu sottoposto a un paio di perquisizioni.

Un carattere poco incline ai compromessi e spigoloso non poteva permettergli una carriera lineare: promosso e rimosso si ritrovò ad insegnare a Reggio Calabria, dove rimase fino al pensionamento. Il suo libro più importante, La città disfatta, vide la luce sul finire degli anni '80 ed è uno dei testi fondamentali per capire le trasformazioni urbane dell'epoca. Si tratta di una difesa della città e della dimensione di vita metropolitana nei confronti dei teorici della fine dell'urbano e del trionfo della «città diffusa».

Convinto assertore della centralità dell'urbano, polemizzò tanto con i fautori del liberismo in campo urbano che con il localismo dei primi anni '90. Capì presto che la partita decisiva per le città europee si sarebbe giocata sul terreno delle loro capacità di rinnovarsi e di integrare la presenza di nuovi venuti, di accettare i migranti e di riuscire a garantire un minimo di urbanità per tutti. Negli ultimi anni, preoccupato per la piega che assumeva il clima politico-culturale, era incline al pessimismo, temeva un uso improprio dei suoi lavori; si sarebbe accontentato di lasciare in eredità istanze riformiste anche minime, di cui non gli pareva di vedere traccia. Diffidava delle enunciazioni dogmatiche e nutriva un'avversione per chi pontificava, eppure insegnò molto, con il suo modo colloquiale, sempre attento e disponibile.

Mi sono laureato con lui. Col tempo il rapporto divenne più paritetico, anche se il suo giudizio rimaneva per me importantissimo. Per oltre dieci anni è stato tra i primi lettori e critici dei miei scritti. Se il parere era positivo mi sentivo sollevato: un testo che andava bene per Michele andava bene per il mondo. Non era ipercritico, come alcuni pensavano: era rigoroso. In un mondo accademico dalla produzione scientifica sempre più approssimativa figure come la sua divengono rare. Fino all'ultimo è rimasto uomo di libri: al capezzale del suo letto d'ospedale tra gli altri, gli scritti di Paul Ricoeur sulla morte.

Qui il sobrio sito di Michele Sernini

Art. 1

I Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluoghi di Provincia sono tenuti a formare un piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare, nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico.

Tutti gli altri Comuni possono procedere, con deliberazione del Consiglio comunale, alla formazione del piano.

Il Ministro per i lavori pubblici, sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, può, con un suo decreto, disporre la formazione del piano nei Comuni che non si siano avvalsi della facoltà di cui al comma precedente, nonostante invito motivato da parte del Ministro stesso, quando se ne ravvisi la necessità e, in particolare, quando ricorra una delle seguenti condizioni:

a) che siano limitrofi ai Comuni di cui al primo comma;

b) che abbiano una popolazione di almeno 20.000 abitanti;

c) che siano riconosciuti stazioni di cura, soggiorno o turismo;

d) che abbiano un indice di affollamento, secondo i dati ufficiali dell’Istituto centrale di statistica, superiore a 1,5;

e) nei quali sia in atto un incremento demografico straordinario;

f) nei quali vi sia una percentuale di abitazioni malsane superiore all’8 per cento.

Più Comuni limitrofi che si trovano nelle condizioni di cui al presente articolo possono costituirsi in consorzio per la formazione di un unico piano consorziale ai sensi della presente legge.

Art. 2

Qualora nel termine di 180 giorni decorrente dalla data di entrata in vigore della presente legge o, nei casi di cui all’articolo 1, terzo comma, dalla comunicazione del provvedimento del Ministro per i lavori pubblici, il Comune non abbia deliberato il piano, il Prefetto, salvo il caso di proroga concessa dal Ministro su richiesta del Comune, provvede alla nomina di un commissario per la formazione del piano.

Il commissario è tenuto a compilare il piano entro i 180 giorni dalla data del decreto di nomina e a portarlo entro i successivi 30 giorni a conoscenza del Consiglio comunale.

Art. 3

L’estensione delle zone da includere nei piani è determinata in relazione alle esigenze dell’edilizia economica e popolare e dal suo prevedibile sviluppo per un decennio.

Le aree da comprendere nei piani sono, di norma, scelte nelle zone destinate ad edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con preferenza in quelle di espansione dell’aggregato urbano.

Possono essere comprese nei piani anche le aree sulle quali insistono immobili da demolirsi per ragioni igienico-sanitarie e individuate nell’ambito di piani particolareggiati di esecuzine del piano regolatore.

Ove si manifesti l’esigenza di reperire in parte le aree per la formazione dei piani in zone non destinate all’edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, o si renda comunque necessario apportare modifiche a questi ultimi, si può procedere con varianti agli stessi. In tale caso il piano approvato a norma della presente legge costituisce variante al piano regolatore.

Qualora non esista piano regolatore, le zone riservate all’edilizia economica e popolare, ai sensi dei precedenti commi, sono comprese in un programma di fabbricazione, il quale è compilato a norma dell’articolo 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, ed è approvato a norma dell’articolo 8 della presente legge.

Art. 4

Il piano deve contenere i seguenti elementi:

a) la rete stradale e la delimitazione degli spazi riservati ad opere ed impianti di interesse pubblico, nonché ad edifici pubblici o di culto;

b) la suddivisione in lotti delle aree, con l’indicazione della tipologia edilizia e, ove del caso, l’ubicazione e la volumetria dei singoli edifici;

c) la profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future.

Art. 5

Il progetto del piano è costituito dai seguenti elaborati:

1) planimetria in scala non inferiore a 1:10.000, contenente le previsioni del piano regolatore, ovvero, quando questo non esista, le indicazioni del programma di fabbricazione, con la precisa individuazione delle zone destinate all’edilizia popolare;

2) planimetria in scala non inferiore ad 1:2.000, disegnata sulla mappa catastale e contenente gli elementi di cui all’articolo 4;

3) gli elenchi catastali delle proprietà comprese nel piano;

4) il compendio delle norme urbanistiche edilizie per la buona esecuzione del piano;

5) relazione illustrativa e relazione sulle previsioni della spesa occorrente per le sistemazioni generali necessarie per l’attuazione del piano.

Art. 6

Entro cinque giorni dalla deliberazione di adozione da parte del Consiglio comunale, il piano deve essere depositato nella segreteria comunale e rimanervi nei dieci giorni successivi.

Dell’eseguito deposito è data immediata notizia al pubblico mediante avviso da affiggere all’albo del Comune e da inserire nel Foglio annunzi legali della Provincia, nonché mediante manifesti.

Entro venti giorni dalla data di inserzione nel Foglio annunzi legali, gli interessati possono presentare al Comune le proprie opposizioni.

Nello stesso termine stabilito per il deposito nella segreteria comunale, il Sindaco comunica il piano anche alle competenti amministrazioni centrali dello Stato, ove esso riguardi terreni sui quali esistano vincoli paesistici, artistici o militari o che siano in uso di dette amministrazioni.

Le amministrazioni predette devono trasmettere al Comune le loro osservazioni entro trenta giorni dalla ricevuta comunicazione.

Art. 7

Decorso il periodo per le opposizioni e osservazioni, nonché il termine di trenta giorni di cui all’ultimo comma del precedente articolo 6, il Sindaco, nei successivi trenta giorni, trasmette tutti gli atti, con le deduzioni del Consiglio comunale sulle osservazioni ed opposizioni presentate, al Provveditore regionale alle opere pubbliche.

Art. 8

I piani sono approvati dal Provveditore regionale alle opere pubbliche, sentita la sezione urbanistica regionale, se non comportano varianti ai piani regolatori vigenti e se non vi sono opposizioni od osservazioni da parte delle Amministrazioni centrali dello Stato.

Qualora il piano comporti varianti al piano regolatore ovvero vi siano opposizioni od osservazioni da parte dei Ministeri di cui al comma che precede, il Provveditore regionale alle opere pubbliche, riscontrata la regolarità degli atti, li trasmette, entro trenta giorni dal ricevimento, al Ministero dei lavori pubblici con una relazione della sezione urbanistica regionale. In tale caso i piani sono approvati dal Ministro per i lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici.

Con gli stessi provvedimenti di approvazione dei piani di cui ai due commi precedenti sono decise anche le opposizioni.

Il decreto di approvazione di ciascun piano va inserito per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica ed è depositato, con gli atti allegati, nella segreteria comunale a libera visione del pubblico.

Dell’eseguito deposito è data notizia, a cura del Sindaco, con atto notificato nella forma delle citazioni, a ciascun proprietario degli immobili compresi nel piano stesso, entro venti giorni dalla inserzione nella Gazzetta Ufficiale.

Art. 9

I piani approvati ai sensi del precedente articolo 8 hanno efficacia per dieci anni dalla data del decreto di approvazione ed hanno valore di piani particolareggiati di esecuzione ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150.

Per giustificati motivi l’efficacia dei piani può, su richiesta del Comune interessato, essere prorogata, con decreto del Ministro per i lavori pubblici, per non oltre due anni.

L’approvazione dei piani equivale anche a dichiarazione di indifferibilità ed urgenza di tutte le opere, impianti ed edifici in esso previsti.

La indicazione nel piano delle aree occorrenti per la costruzione di edifici scolastici sostituisce a tutti gli effetti la dichiarazione di idoneità preveduta dall’articolo 8 della legge 9 agosto 1954, n. 645.

Le aree comprese nel piano rimangono soggette, durante il periodo di efficacia del piano stesso, ad espropriazione a norma degli articoli seguenti, per i fini di cui al primo comma dell’articolo 1.

Art. 10

I Comuni ed i Consorzi, di cui all’articolo 1, ultimo comma, possono riservarsi l’acquisizione, anche mediante esproprio, fino ad un massimo del 50 per cento delle aree comprese nel piano, e sono autorizzati a cederne il diritto di superficie o a rivenderle, previa urbanizzazione e fatti salvi i diritti dei proprietari, a norma del successivo articolo 16, ad enti o privati che si impegnino a realizzare la costruzione di case economiche o popolari.

Il prezzo di cessione deve essere determinato sulla base del prezzo di acquisto o dell’indennità di esproprio, maggiorato delle spese sostenute per la realizzazione degli impianti urbanistici, tenendo conto, inoltre, della destinazione e dei volumi edificabili.

Le rimanenti aree edificabili possono essere richieste per la costruzione di case popolari:

a) dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni;

b) dall’Istituto nazionale per le case agli impiegati dello Stato e dagli Istituti autonomi per le case popolari;

c) dall’I.N.A.-Casa;

d) dalle Società cooperative per la costruzione di case popolari a favore dei propri soci;

e) dall’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani;

f) dagli enti morali, dagli enti e dagli istituti che costruiscono case popolari da assegnare in locazione o con patto di futura vendita, non aventi scopo di lucro.

Gli enti indicano al Sindaco o al Presidente del Consorzio le aree che intendono scegliere e l’entità delle costruzioni che sulle stesse intendono eseguire, entro il mese di novembre di ogni anno.

Art. 11

Entro il primo bimestre di ogni anno, in relazione al fabbisogno di aree per le costruzioni da parte degli enti indicati nel precedente articolo 10 e per i servizi di carattere generale di cui al successivo articolo 19, tenendo conto delle aree già prescelte dal Comune o dal Consorzio per l’esecuzione del proprio programma e per l’utilizzazione, ai fini del primo comma dell’articolo 10, delle aree di cui all’articolo 16, sulle quali i proprietari abbiano richiesto di costruire in proprio case popolari, viene compilato, tenendo conto dell’esigenza del coordinato utilizzo delle aree, l’elenco delle aree che si intendono acquistare o espropriare da parte degli enti stessi.

Nel caso di piano comunale, l’elenco è compilato da una commissione presieduta dal Sindaco e composta:

a) di due consiglieri comunali, di cui uno di minoranza;

b) del capo dell’Ufficio tecnico comunale;

c) dell’ingegnere capo dell’Ufficio del genio civile o di un suo delegato;

d) del presidente dell’Istituto autonomo provinciale per le case popolari o di un suo delegato;

e) di un rappresentante dell’I.N.A.-Casa.

Nel caso di piano consorziale, la composizione della commissione rimane invariata, per quanto riguarda le lettere c) d) ed e). I membri di cui alle lettere a) e b) si ripetono per ciascun Comune, aderente al Consorzio. Il presidente di questo presiede la commissione.

Potranno essere sentiti gli enti indicati nell’articolo 10.

Art. 12

L’Ufficio tecnico erariale determina l’indennità di espropriazione delle aree nella misura prevista dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359.

Il valore venale è riferito a due anni precedenti alla deliberazione comunale di adozione del piano e va determinato senza tenere conto degli incrementi di valore dipendenti, direttamente o indirettamente, dalla formazione e attuazione del piano.

L’Ufficio tecnico erariale comunica al Prefetto l’indennità da esso fissata.

Resta impregiudicata la facoltà dei Comuni e degli enti di cui all’articolo 10, terzo comma, di procedere all’espropriazione avvalendosi di altre norme vigenti.

Art. 13

Il Prefetto comunica la richiesta di espropriazione e la indennità determinata ai proprietari interessati, i quali entro il perentorio termine di trenta giorni possono dichiarare di essere disposti ad un accordo bonario sull’indennità stessa. Tale dichiarazione è dal Prefetto comunicata all’ente al quale l’area è stata destinata.

Art. 14

Qualora nel termine indicato nell’articolo 13, non sia intervenuta dichiarazione di accordo bonario o questo non sia stato seguito dall’atto di cessione, il Prefetto, ricevuta la prova dell’avvenuto deposito dell’indennità di espropriazione in misura pari a quella indicata nell’articolo 12, emette immediatamente il decreto di espropriazione.

Qualsiasi contestazione concernente l’indennità di espropriazione non interrompe il corso della espropriazione stessa e non ne impedisce gli effetti. L’azione giudiziaria deve essere proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla data di notificazione del decreto di espropriazione.

Art. 15

Le azioni di rivendicazione, di usufrutto, di ipoteca, di diretto dominio e, in genere, ogni altra azione esperibile sulle aree soggette ad espropriazione non possono interrompere il corso di questa né impedirne gli effetti.

Pronunciata l’espropriazione, tutti i diritti dei terzi, compresi quelli di uso civico si trasferiscono, ad ogni effetto, sulla indennità di espropriazione.

Art. 16

I proprietari delle aree, già destinate ad edilizia residenziale comprese nei piani approvati ai sensi della presente legge, possono, entro il mese di novembre di ogni anno, presentare domanda al Sindaco di costruire direttamente, sulle aree stesse, fabbricati aventi caratteristiche di abitazione di tipo economico o popolare.

Il Sindaco concede la licenza di costruzione su parere conforme della commissione di cui all’articolo 11, richiesto ai fini del coordinato utilizzo delle aree comprese nei piani, e sempre che non sussistano prevalenti esigenze degli enti indicati nell’articolo 10.

I progetti debbono essere preventivamente approvati dall’Ufficio del genio civile, al quale spetta di accertare che le costruzioni siano di tipo economico o popolare.

Art. 17

I proprietari che si avvalgono delle disposizioni dell’articolo 16 devono iniziare le costruzioni entro centoventi giorni dalla data di comunicazione dell’ottenuta licenza e ultimarle entro il biennio dall’inizio della costruzione.

L’accertamento dell’inizio e della ultimazione delle costruzioni è effettuato dagli Uffici del Genio civile.

Qualora le costruzioni non siano iniziate nel predetto termine di centoventi giorni, le aree relative sono destinate ad acquisti od espropriazioni secondo le norme della presente legge, ma il prezzo di acquisto o l’indennità sono corrisposte al proprietario con una riduzione del 10 per cento a titolo di penale.

L’ammontare della penale è versato al Comune direttamente dall’acquirente o espropriante ed è impiegato dal Comune per l’acquisto o l’esproprio delle aree a norma della presente legge e per l’esecuzione delle aree di cui al successivo articolo 19.

Qualora i lavori siano stati iniziati ma non ultimati nei termini di cui al primo comma del presente articolo, il Ministro per i lavori pubblici promuove l’espropriazione della costruzione per completarla e destinarla alle categorie di cui alla legge 9 agosto 1954, n. 640.

Il prezzo di espropriazione della parte costruita non può superare il valore dell’area calcolato ai sensi del precedente articolo 12, oltre, per le eventuali addizioni, la minor somma tra lo speso ed il migliorato.

I termini di cui al primo comma del presente articolo possono essere congruamente prorogati dalla commissione di cui all’articolo 11, qualora si tratti di costruzione destinata ad alloggio del proprietario dell’area e per la quale il proprietario stesso abbia fatto richiesta di fruire dei benefici di cui alle leggi vigenti sull’edilizia economica o popolare.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche per le costruzioni effettuate sulle aree cedute dai Comuni a norma del primo comma dell’articolo 10.

Art. 18

L’Ufficio del Genio civile esercita la vigilanza sulle costruzioni di cui agli articoli 16 e 17 per assicurarne la rispondenza alle norme della presente legge: qualora ne constati l’inosservanza ordina l’immediata sospensione dei lavori, con riserva dei provvedimenti necessari per la modifica delle costruzioni.

In caso di contravvenzione all’ordine di sospensione si applicano le sanzioni prevedute dall’articolo 41, lettera b), della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.

La dichiarazione di abitabilità dei fabbricati di cui al presente articolo è rilasciata previa presentazione al Comune di un certificato dell’Ufficio del Genio civile attestante che la costruzione eseguita è conforme al progetto vistato ai sensi del primo comma.

Gli alloggi costruiti a norma del primo comma dell’articolo 16 possono essere dati in affitto solo a coloro che si trovino nelle condizioni di essere assegnatari di alloggi popolari ai sensi delle vigenti disposizioni, ad un canone, convenzionato con il Comune, per i primi quindici anni a decorrere dalla data di rilascio del certificato di abitabilità, determinato nella misura del 5 per cento sul costo di costruzione di abitazioni analoghe realizzate dagli Istituti autonomi per le case popolari.

Art. 19

I Comuni sono obbligati a provvedere, con priorità rispetto ad altre zone, alla sistemazione della rete viabile, alla dotazione dei necessari servizi igienici e all’allacciamento alla rete dei pubblici servizi delle zone incluse nei piani, utilizzate in proprio dagli entidi cui al terzo comma dell’articolo 10.

Art. 20

Salve le agevolazioni tributarie consentite dalle vigenti disposizioni, gli atti di acquisto o di espropriazione di cui agli articoli 13 e 14 della presente legge sono sottoposti a registrazione a tassa fissa e le imposte ipotecarie sono ridotte al quarto.

Gli onorari notarili sono ridotti alla metà.

Qualora le aree acquistate o espropriate non possano, per qualsiasi ragione, essere utilizzate dagli enti per i fini della presente legge o siano lasciate senza uso per un periodo di cinque anni dall’acquisto, si incorre nella decadenza dai benefici fiscali previsti dal presente articolo.

Di seguito la relazione, con link al documento ufficiale, completo dell'articolato, in formato .pdf

Princìpi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare

Relazione

Onorevoli Colleghi! - Il tema del governo del territorio ha una grande rilevanza per far esprimere all'Italia le sue potenzialità, determinate dalla complessità e dalla ricchezza del patrimonio urbano, infrastrutturale, storico-artistico, ambientale e paesaggistico. Solo declinando questi temi in un'ottica di sviluppo sostenibile è possibile costruire un'ipotesi di modernizzazione e di innovazione del Paese.

Uno dei punti fondamentali per il rilancio del Paese e per l'azione di governo è rappresentato dalla sostenibilità ambientale, economica e sociale delle politiche e delle strategie che interessano il territorio e la sua sicurezza, il sistema delle città e delle infrastrutture, la qualità dell'ambiente urbano e la riconversione ecologica del sistema produttivo.

Per vincere questa sfida è necessario pensare alla qualità del territorio, delle città e della produzione, come uno dei “motori” per far ripartire l'Italia, coniugando le opportunità della modernizzazione con il limite delle risorse non rinnovabili, a cominciare dal suolo, dall'aria e dall'acqua, e con le politiche di solidarietà, di equità e di inclusione sociali.

Per affrontare il tema del governo del territorio, dei suoi princìpi e delle sue regole, è necessario partire dalle condizioni che hanno determinato le trasformazioni subite dal territorio e dalle città in questi anni, ma anche dalle scelte effettuate e dagli strumenti utilizzati per “governare il cambiamento”. Affrontare questo tema significa, anche oggi, rendere esplicito e positivo il tema della “leale collaborazione” tra le istituzioni titolari di diverse competenze che contribuiscono a determinare le decisioni democratiche, condivise e trasparenti sugli obiettivi dello sviluppo e della trasformazione del territorio, rendendo consapevoli i cittadini dell'effetto di tali scelte.

Il ruolo delle regioni è stato determinante, molte di queste hanno avviato significativi percorsi legislativi, con riforme di nuova generazione in virtù delle responsabilità che la Costituzione ha loro assegnato.

Il dibattito sul governo del territorio è ormai avviato da più di dieci anni. In questo periodo si sono registrati alcuni fatti di particolare rilevanza, passaggi istituzionali e di mutamento della società italiana; questi elementi sono utili per l'impostazione del nostro ragionamento e riguardano:

a) il contesto istituzionale e politico di riferimento del quadro legislativo nazionale costituito dalla legge n. 1150 del 1942, del tutto diverso e antitetico a quello attuale, che si è poi evoluto nella realtà dello sviluppo immobiliare del dopoguerra e dei successivi periodi di contrazione economica, con la modificazione dei modelli insediativi e della produzione, che hanno provocato una «stratificazione» normativa, spesso di settore, che rende oggi particolarmente complessa e contraddittoria l'azione di pianificazione del territorio;

b) il progressivo e sempre più deciso riformismo regionale che ha visto dal 1995 ad oggi l'introduzione e la sperimentazione operativa di strumenti, regole e istituti che possono costituire una solida base di partenza;

c) in ultimo, l'esperienza - con aspetti positivi e negativi - prodotta con le diverse generazioni di programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all'interno delle regole di pianificazione delle regioni.

Oggi abbiamo le premesse e le condizioni per riorganizzare, ottimizzare e innovare una disciplina che vede coinvolte tutte le istituzioni della Repubblica e che è centrale rispetto al tema della competitività e della coesione in ambito europeo per le nostre città e per i sistemi territoriali.

Al riguardo, la coalizione dell'Unione si è assunta un esplicito impegno con i propri elettori con il programma depositato ai sensi del comma 3 dell'articolo 14-bis del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, nel quale il territorio è indicato quale grande patrimonio per la sua ricca biodiversità, per la sua qualità ambientale e paesistica, per la presenza diffusa di beni culturali, storici e archeologici, e rappresenta, quindi, una risorsa fondamentale per la qualità della vita e dello sviluppo presente e futuro.

Tale impostazione presuppone alcune priorità di indirizzo:

1) la necessità di coordinare e di allineare la normativa nazionale vigente sul “governo del territorio” alla realtà istituzionale rinnovata e alle esperienze regionali, rendendola sinergica con le discipline interconnesse e con quelle settoriali (ambiente, tutela e valorizzazione dei beni paesistico-ambientali, aree protette, infrastrutture e mobilità) e inquadrando le regole in un sistema coerente e condiviso di “principi”;

2) l'esigenza di programmare lo sviluppo e la trasformazione del territorio, delle infrastrutture e delle nostre città, tenendo conto della programmazione e degli indirizzi comunitari, con la partecipazione dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane per costituire un “sistema unico coordinato” del governo del territorio;

3) la possibilità di creare le condizioni per rafforzare la capacità di governo del territorio da parte delle amministrazioni locali per la riqualificazione delle città, per la manutenzione del territorio, per lo sviluppo dell'impresa agricola multifunzionale e per la prevenzione dai rischi naturali e antropici.

La riforma costituzionale del titolo V della parte seconda della Costituzione ha costruito un sistema complesso di materie e di funzioni che hanno attinenza allo sviluppo e alla trasformazione del territorio, con una diversa attribuzione delle funzioni legislative in via esclusiva, concorrente e, in parte, anche residuale. Riconnettere e rendere sinergici tutti gli aspetti che contribuiscono alla qualità della vita dei cittadini è un compito della riforma del governo del territorio attuata da un sistema istituzionale, nazionale, regionale e locale, coeso e che agisca con programmi, piani, misure e strumenti coerenti.

I soggetti protagonisti di questa azione di rinnovamento e di nuova capacità di gestione del territorio sono principalmente le regioni e gli enti territoriali, i quali devono trovare in una legge quadro per il governo del territorio gli elementi costitutivi e i princìpi fondamentali al fine di operare con riferimenti di certezza e di omogeneità, ma dotati della necessaria flessibilità per consentirne la declinazione in base alle diverse situazioni economico-sociali e ambientali dei territori regionali.

Ma la complessità della materia e la sua interconnessione con diverse altre comportano, tuttavia, una formulazione normativa differenziata e dinamica, in particolare per quanto riguarda gli elementi e i requisiti minimi da rendere omogenei sul territorio nazionale.

Se le funzioni legislative concorrenti e quelle amministrative sono attribuite alle regioni, vi sono però alcuni aspetti di competenza esclusiva dello Stato che devono essere espressi con norma di dettaglio: si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e di attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della fiscalità urbanistica.

Il dibattito che si è svolto fino ad oggi ha consolidato una serie di orientamenti.

La legge non deve prefigurare modelli “astratti” o standardizzati, ma favorire le migliori pratiche già in essere, assumendo queste come riferimenti per far progredire il complesso delle normative, degli strumenti, dei metodi e dei processi di governo del territorio.

Infatti, l'attuazione della funzione di “governo” alla luce della novellata Costituzione risiede nella capacità di governare il territorio programmandone lo sviluppo, l'assetto e l'uso del suolo, in connessione con le tematiche di tutela e di valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e delle risorse ambientali.

Una coerente struttura del governo del territorio dovrà allora contenere:

a) la definizione dei princìpi e delle finalità del governo del territorio;

b) il sistema di relazione tra i soggetti istituzionali e il coordinamento tra le diverse materie ricomprese nel governo del territorio e quelle connesse di tutela e di valorizzazione dei beni paesaggistici e culturali e dell'ambiente nonché la programmazione economica e quella del sistema infrastrutturale;

c) la disciplina della pianificazione, i contenuti, gli strumenti e le relative modalità di attuazione;

d) la disciplina edilizia e le regole per la legalità del territorio.

L'individuazione dei princìpi fondamentali, operata dal capo I della presente proposta di legge, rappresenta il terreno sul quale la collaborazione tra le istituzioni deve essere stringente e fattiva. Si tratta, infatti, di definire i cardini e i fondamenti della nuova forma di pianificazione, di programmazione e di gestione del territorio in tutte le sue componenti economiche, sociali e ambientali.

I princìpi sono diretta espressione della coscienza civile di una società: in questo senso, essi devono essere riconoscibili ed espressi con chiarezza. Ma l'espressione di princìpi fondamentali non può essere considerato un punto di arrivo. Se il tema di una moderna disciplina è, da una parte, la revisione in termini attuali di princìpi esistenti - primo fra tutti, quello di pianificazione - nonché il consolidamento di princìpi già contenuti in alcune leggi regionali, dall'altra il nodo della questione consiste nella formulazione di princìpi che consentano alle leggi regionali di essere più stringenti sugli obiettivi da perseguire e più efficaci nell'attuazione.

Il primo, il principio di pianificazione (articolo 2), espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali, deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e contrastando il consumo di nuovo suolo non urbanizzato e consentendo, altresì, l'uguaglianza dei diritti e dei doveri all'uso e al godimento degli stessi beni.

In questa logica, i princìpi fondamentali rispetto ai quali costruire le regole che devono governare i processi di trasformazione del territorio sono:

a) la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, la tutela delle risorse naturali e del paesaggio, la prevenzione dei rischi e l'adozione del principio di precauzione nelle scelte e nella valutazione delle possibili alternative per gli interventi di trasformazione (articolo 3);

b) la sussidiarietà, l'adeguatezza delle istituzioni, l'equità, la trasparenza e la democrazia nella cooperazione istituzionale, la partecipazione e il coinvolgimento nei processi decisionali dei cittadini per l'adozione delle scelte (articolo 5).

Gli atti di governo del territorio dovranno fondare le proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili ed essenziali, limitando in particolare il consumo di suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle risorse degradate e garantendo una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonché la riduzione dei consumi e l'incremento dell'efficienza energetica.

Altro principio fondamentale è rappresentato dalla tutela delle risorse non rinnovabili ed essenziali e dalla sicurezza dai rischi, da perseguire con misure di prevenzione e di riduzione dei danni per il territorio e per l'ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura, di prevenzione dei rischi e di mitigazione delle calamità naturali e degli eventi incidentali determinati dall'attività antropica, ispirandosi al principio comunitario della precauzione (articolo 4).

Il principio di sussidiarietà dovrà creare il processo virtuoso della “filiera istituzionale”, ispirando la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonché i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell'affidamento, della responsabilità e della concorsualità. Secondo il criterio di differenziazione e adeguatezza, le istituzioni dovranno agire mediante intese e accordi procedimentali in sedi stabili di concertazione per perseguire il coordinamento, l'armonizzazione, la coerenza e la riduzione dei tempi delle procedure di pianificazione del territorio.

Anche per questo, è importante assumere come principio la trasparenza e la democrazia nei processi di scelta e di decisione con il massimo coinvolgimento dei cittadini nella fase di predisposizione e di approvazione degli strumenti di pianificazione (articolo 6).

Il principio di equità consente di offrire a tutti i soggetti la possibilità di accedere con le stesse opportunità ai diritti e ai vantaggi offerti dalle trasformazioni del territorio in termini di residenza, accessibilità, mobilità, servizi collettivi, qualità dell'ambiente urbano e migliore qualità della vita (articolo 7).

Perché tali princìpi possano tradursi in linee guida e concrete azioni attuative è fondamentale declinare le competenze dei soggetti istituzionali, ma è anche necessario che la riforma nazionale preveda il coordinamento con le materie non ricomprese nel “governo del territorio”, bensì strettamente connesse alla pianificazione e alla programmazione del medesimo: infrastrutture della mobilità e dell'energia, tutela e valorizzazione dell'ambiente, tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali (articoli 9-14).

I soggetti titolari delle funzioni amministrative dovrebbero agire in un sistema unico e coordinato per la programmazione, la pianificazione, l'attuazione, il monitoraggio e la verifica delle trasformazioni del territorio, partecipando a tale attività in conformità ai princìpi di leale collaborazione e di responsabilità amministrativa.

Di particolare importanza nella riforma sarà il passaggio dalla tutela dei beni paesaggistici a quella più complessiva della tutela e valorizzazione dei paesaggi, così come previsto dalla Convenzione europea sul paesaggio, ratificata con legge n. 14 del 2006, riconoscendo che il paesaggio concorre al consolidamento delle culture locali e “che ogni luogo rappresenta un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati come in quelli di grande qualità”.

Anche per la tutela e la valorizzazione dell'ambiente è necessario identificare gli elementi di coordinamento con le pianificazioni settoriali.

L'altro elemento di particolare rilevanza è costituito dalla stretta connessione tra la programmazione economica, quella infrastrutturale e per la mobilità, con la pianificazione del territorio.

La modernizzazione del sistema infrastrutturale, della mobilità, della logistica, ma anche del sistema energetico, deve essere strettamente connessa, da una parte, all'allocazione certa dei finanziamenti e, dall'altra, essere affidata a un sistema decisionale istituzionale basato sulla leale collaborazione e sulla sussidiarietà, tale da consentire di effettuare le scelte e, poi, di garantirne la realizzazione.

Una buona programmazione e la certezza di attuazione sono possibili solo se pensiamo a un sistema rinnovato e a una “cassetta di attrezzi” adeguata alle esigenze attuali.

Le regioni hanno predisposto strumenti, regole e modalità di attuazione e, nell'ambito della loro potestà regolamentare, hanno definito i contenuti e l'attuazione dell'attività di pianificazione di area vasta e di quella comunale.

È ormai consolidata l'esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione un doppio livello, con un piano di governo del territorio strategico strutturale, non conformativo della proprietà, e l'altro operativo, che invece conforma il regime dei suoli e dà attuazione alle previsioni. A questi sarà necessario affiancare strumenti regolamentari che le regioni hanno già individuato con varie rubriche e che rappresentano l'attuazione della disciplina di trasformazione urbanistica ed edilizia degli insediamenti esistenti.

Occorre una differenziazione dei livelli da utilizzare, senza generalizzare, ma tenendo conto delle effettive esigenze delle realtà amministrative e delle condizioni territoriali. Regole rigide potrebbero far risultare inutilmente onerosa una pianificazione di questo tipo per comuni di piccola dimensione e, invece, farla risultare limitativa per situazioni in cui sia più opportuno, date le condizioni territoriali e socio-economiche, avere una pianificazione che interessa più comuni.

Alla base di un buon piano non può che esserci una adeguata e significativa conoscenza del territorio. È per questo che si prevedono modalità di acquisizione, valutazione e validazione dei dati territoriali, costituiti dai vincoli, dall'uso del suolo, dalle invarianti ambientali e territoriali, dalle condizioni di vulnerabilità e di rischio del territorio. La sinergia - quindi la rete - tra sistemi di informazione e di conoscenza tra regioni ed enti statali preposti dovrà essere stringente. Banche dati e sistemi informativi territoriali dovranno “parlare la stessa lingua” ed essere a disposizione degli enti territoriali e dei cittadini in maniera automatica e trasparente (articolo 15).

Questa è un'innovazione necessaria per l'azione amministrativa e comporterebbe anche una sensibile riduzione della spesa pubblica. Disporre di uno strumento unico sul quale verificare la conformità alle invarianti territoriali e ambientali consentirebbe uno snellimento significativo nella fase di predisposizione, di attuazione e di verifica dei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.

La conoscenza del territorio consente anche una più efficace azione di tutela e di prevenzione soprattutto per il territorio non urbanizzato. La riforma proposta, inoltre, enuncia il principio fondamentale che il territorio rurale è un patrimonio di identità, di biodiversità, di pratiche agronomiche e forestali da preservare. Sarà necessario perseguire gli obiettivi di qualità e di sostenibilità nella pianificazione delle aree agricole anche al fine di consolidare il ruolo multifunzionale dell'impresa agricola e di contrastare il consumo di suolo non urbanizzato. Dovrà essere tutelato e valorizzato lo straordinario patrimonio costituito dai nostri paesaggi agrari e montani, dalle risorse non rinnovabili, a partire soprattutto dall'acqua e dal suolo, oltre che valorizzato il patrimonio dell'architettura rurale (articolo 18).

La riforma affronta altresì il complesso del sistema città: uno straordinario crocevia di opportunità ma, anche, di forti contraddizioni ambientali e sociali (articolo 19), delineando gli obiettivi della tutela dei centri storici, della promozione della qualità urbana e architettonica, ma soprattutto della riduzione dei livelli di inquinamento, promuovendo un nuovo processo di riqualificazione delle aree degradate integrando le politiche di recupero edilizio e urbanistico con politiche sociali e assistenziali che possano consentire un maggior grado di coesione sociale e di solidarietà.

Insomma, una vera e propria “politica per le città”, che utilizzi gli strumenti ordinari ma anche la leva della fiscalità e degli incentivi, che faccia del recupero e della sostituzione edilizi una grande occasione di rigenerazione dei tessuti urbani e del contenimento dei consumi, essendo le città sistemi altamente “energivori”, una priorità della politica energetica nazionale.

Sulle dotazioni territoriali minime - i vecchi standard urbanistici - non è sufficiente definire un livello quantitativo minimo, ma occorre creare i presupposti di tipo qualitativo affinché attraverso le dotazioni territoriali sia possibile garantire l'effettività dei servizi ai cittadini. Quelli statali non possono che essere considerati requisiti minimi (articolo 16) per garantire i livelli essenziali sul territorio nazionale, come previsto costituzionalmente; così anche per l'edilizia residenziale pubblica per l'affitto sociale, che dovrà essere una dotazione di risposta al fabbisogno locale.

Le regioni, nella loro piena autonomia, dovranno verificare i fabbisogni pregressi e futuri e determinare le modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici dei servizi da fornire ai cittadini.

Molti sono gli obiettivi da raggiungere e importanti sono i diritti di cittadinanza da garantire. Pertanto è necessario che la legge statale offra strumenti innovativi per l'attuazione e per la stabilizzazione di alcune pratiche operative che gli enti locali adottano per garantire la realizzazione degli interventi. Quindi è importante definire le regole per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti privati, prevedendo il partenariato pubblico-privato per l'attuazione degli interventi, in un quadro di riferimento strategico a regìa pubblica definita dal piano del governo del territorio, con modalità che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e per l'efficienza, il miglioramento e l'innovazione nei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.

Anche sulla definizione dei contenuti minimi della proprietà e dell'equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la competenza esclusiva nella materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali le quali, tenendo conto delle ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative.

L'amministrazione potrà acquisire gli immobili con la perequazione urbanistica (articolo 21) e con gli obiettivi individuati dagli strumenti urbanistici; in alternativa si prevede che si possa ricorrere all'esproprio (articolo 24).

La modalità operativa della perequazione potrà essere attuata negli ambiti di trasformazione urbanistica individuati dal piano del governo del territorio e riguardanti gli ambiti territoriali da trasformare, escludendo le aree agricole, i tessuti storici e consolidati, le aree non soggette a trasformazione urbanistica. Il piano di governo del territorio dovrà inoltre stabilire: l'edificabilità territoriale attribuita agli ambiti di trasformazione perequativa, l'obbligo di cessione di beni immobili al comune per la realizzazione delle dotazioni territoriali o comunque per spazi pubblici, di pubblica utilità, di interesse generale e collettivo, nonché le modalità di progettazione unitaria dell'ambito di trasformazione.

Uno dei punti di particolare delicatezza è quello della decadenza del diritto di edificazione che si propone possa essere limitato a cinque anni o comunque non superiore alla durata del piano operativo, riallineando le previsioni di trasformazione pubblica e privata.

Altro tema essenziale per l'attuazione delle previsioni di sviluppo del territorio è quello della fiscalità urbanistica e immobiliare (articolo 23). Si tratta di una questione molto complessa che deve essere affrontata con alcuni indirizzi di base.

In primo luogo, sottraendo gli enti locali dalla necessità di coprire una parte cospicua del bilancio con le entrate derivanti dall'imposta comunale sugli immobili (ICI) e dagli oneri concessori, si potrà consentire agli stessi enti di favorire una politica di recupero e di riutilizzazione di immobili esistenti con la conseguente riduzione del consumo del suolo e con la riduzione della dispersione urbana. Inoltre, si dovranno rimodulare e riorganizzare le diverse imposte relative ai trasferimenti immobiliari per favorire e orientare la trasformazione urbanistica ed edilizia verso la riqualificazione urbana e del territorio, con forme di incentivazione e di premialità fiscali. Infine, attraverso l'armonizzazione e la stabilizzazione delle misure per l'incentivazione delle opere di recupero e la loro specializzazione per alcuni settori (efficienza energetica, sicurezza statica e tecnologica degli edifici, accessibilità eccetera) si potrà avere, a regime, una massa critica di investimenti finalizzati al miglioramento sostanziale della qualità urbana.

La riforma statale dovrà anche prevedere che le azioni di trasformazione del territorio siano soggette a procedure preventive, in itinere ed ex post, di valutazione degli effetti ambientali ed economico-sociali valutati e analizzati in base a un bilancio complessivo degli effetti sulle risorse essenziali del territorio, al fine di garantire l'effettiva realizzabilità e la verifica dell'efficacia delle azioni svolte.

Nessuna legge è immutabile nel tempo, soprattutto quando si tratta di regolare comportamenti sociali o istituzionali. Cambiano oggi, anche rapidamente, le condizioni economiche e sociali del contesto. Rispetto a questi cambiamenti è necessario essere in grado di fornire risposte adeguate alle nuove esigenze e alle nuove domande della società. Occorre tenere conto che la riforma del governo del territorio si deve inserire in un complesso di normative esistenti, in particolare urbanistiche ed edilizie, di livello sia nazionale che regionale. A tale proposito, nel testo della proposta di legge non viene riportato il complesso delle abrogazioni che sarebbero necessarie per ottenere un quadro organico delle diverse discipline ricomprese nel governo del territorio, per alcune delle quali - ad esempio quella relativa agli standard urbanistici o parte della disciplina edilizia e dell'esproprio - si dovrebbe intervenire anche in modo differenziato, in ragione di un progressivo rinnovo della materia. È difficile pensare a una legge sul governo del territorio che non sia oggetto di un accompagnamento istituzionale, di un programma per la sua attuazione basato su diversi strumenti di conoscenza, di esperienza, di valutazione per la revisione o per l'implementazione della stessa normativa. Anche in questo caso sono chiamate in causa sia le diverse componenti della società sia le istituzioni regionali, provinciali e comunali competenti, queste ultime coinvolte, da una parte, nel definire “l'idea di città e di territorio” e le relative regole e, dall'altra, nell'attuare un processo di pianificazione che risponda ai nuovi "diritti di cittadinanza" e al "diritto all'abitare" che la società e i singoli cittadini richiedono alle amministrazioni.

L'impostazione che si deve dare, quindi, alle nuove regole sul governo del territorio deve essere basata sulla cultura della valutazione delle scelte e sulla cultura della risposta e del risultato.

Se la sfida per la qualità del governo del territorio deve essere affrontata con strumenti adatti e coerenti alle reali esigenze della società contemporanea, una parte sostanziale di questa sfida consiste anche nella rinnovata capacità dei soggetti istituzionali nazionali e territoriali di esprimere, sulla base dei princìpi fondamentali, la volontà politica di costruire la "filiera istituzionale" e di coordinare le decisioni determinando la qualità della vita e dell'ambiente, assumendosi la responsabilità dell'attuazione delle decisioni e condividendo metodi e scelte con i cittadini.

Il testo del progetto di legge che inseriamo in calce risulta presentato il 2 marzo 2007, con la seguente formula: MARIANI ed altri: "Princìpi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare"(2319). Nel sito del Parlamento la scheda del p.d.l 2319 (questo il suo numero d’ordine nella XV legislatura) indica il titolo ma non dà il testo. Come mai?

Da informazioni che abbiamo assunto sembra che il testo che pubblichiamo, al quale si riferiva l’eddytoriale 102 del 26 marzo scorso, sia stato successivamente modificato a penna, e gli uffici della Camera non avrebbero ancora provveduto a ristamparlo e a inserirlo nel sito ufficiale. Tanto più che il presidente della Commissione parlamentare non avrebbe ancora posto l’argomento all’ordine del giorno, pur essendo già stati presentati altre proposte di legge (primi firmatari Lupi, Mantini, Migliore).

Il testo che inseriamo (e che è scaricabile dal link in calce) è quello che conclude l’ampio lavoro compiuto dal gruppo di esperti dei DS coordinato da Patrizia Colletta ed è stato firmato come prima firmataria dall’on. Raffaella Mariani e consegnato alla Camera dei deputati, ma non è ancora quello “ufficiale". Quando questo uscirà potremo tutti valutare se vi siano state o no modifiche sostanziali, e se queste lo abbiano migliorato o meno rispetto alla valutazione che abbiamo espresso.

Le ville in costa Smeralda sono tra le più care al mondo. Lo certifica l’agenzia inglese Knight Frank che si occupa dell’andamento del mercato immobiliare destinato ai ricchi, e che ha redatto il documento “Wealth Report 2007”.

Lo sapevamo dalle informazioni che ogni estate ci danno i giornali su vendite di case a prezzi inimmaginabili e che non si spiegano. Il costo di costruzione di queste case lussuose non è diverso da quello che si può riscontrare in altri luoghi del Paese. Anche a immaginare l’impiego di materiali preziosissimi (escludendo ragionevolmente i metalli nobili ) il costo di un metro quadro finito di un fabbricato si può aggirare, esagerando un po’, sui 2000-2500 euro.

Il resto del valore – per arrivare a 24mila euro a mq – è dato certamente dalla incantata condizione del contesto.

Una bella differenza, pure con un notevole giardino di pertinenza e accessori, un’impareggiabile vista sul mare (che non è merito dell’impresa), vicini di casa che vedi nelle riviste patinate, eccetera.

Nessun giudizio di tipo morale. Così è per queste merci e ogni considerazione nel nome dei meno abbienti e della parsimonia, è del tutto superfluo. Si può osservare, ma si fa per dire, che una decina di ettari terreno agricolo a mezzora di macchina dal mare vale pochissimo e non si vende neppure con l’aggiunta di un buon gregge di pecore lattifere garantite.

Qui si vuole solo segnalare che di queste ricchezze, prodotte senza rischi d’impresa, con notevole danno ai paesaggi sardi, non resta quasi nulla alle popolazioni locali. Spiccioli ai manutentori, giardinieri e l’Ici che, come è facile intuire, è del tutto scriteriata in questi casi. Se si lasciasse al buon cuore ci sarebbe da guadagnare.

Niente insomma torna alla collettività che concede questi paesaggi che sono il vero valore ; troppo poco il compiacimento della presenza di tanta bella gente da queste parti ( “ajò a vedere le ville dei ricchi in Costa …”).

L’ alterazione irreversibile dei connotati di spiagge e scogliere, la chiusura degli accessi al mare, la preclusione di un uso produttivo di vaste aree, procurano grandi vantaggi a pochi, che spesso neppure sanno dove sono le case preziose che possiedono. Sarà per questo che qualcuno ha inventato “ la tassa sul lusso”?

Leggo ancora che c’è chi sostiene che l’incremento dei prezzi delle case esistenti nelle coste sarebbe favorito dalla linea di contenimento delle trasformazioni ambientali – il Piano paesaggistico – uno scandalo per i liberisti. Così – è il suggerimento sottinteso – per non avvantaggiare gli immobiliaristi spazio ai costruttori. Come se per impedire l’incremento di valore di residenze esclusive nel centro di Roma, per ampliare l’offerta si lasciasse via libera ai palazzinari di lottizzare Villa Borghese. (S.R.)

Dal sito del Centro studi urbani dell’Università degli studi di Sassari

1. Il governo dovrebbe pubblicare il suo White Paper sull’urbanisica mercoledì prossimo 16 maggio. La CPRE lo analizzerà il più rapidamente possibile, e sarà disponibile per i commenti in giornata.

2. Nonostante il sistema di pianificazione sia stato rivisto nel 2004 col Planning and Compulsory Purchase Act, si anticipa che questo White Paper proporrà altri netti cambiamenti. La preoccupazione principale del governo sembra sia di ritenere l’attuale sistema troppo sbilanciato verso sostenibilità e tutela ambientale, con importanza non sufficiente accordata allo sviluppo economico. É questo ragionamento che sottende la recente revisione del sistema di piano coordinata da Kate Barker. La CPRE è fortemente preoccupata che il Planning White Paper avrà una forte caratterizzazione in senso economico, che può indebolire gli obiettivi di sviluppo sostenibile, e frustrare i tentativi di partecipazione pubblica ai processi di piano.



Premesse

3. Nel dicembre 2005, Cancelliere e Vice Primo Ministro chiedono a Kate Barker “di esaminare come … politiche e procedure di pianificazione possano favorire una crescita economica e produzione di ricchezza …”. Il documento Barker Review of Land Use Planning Final Report – Recommendations è pubblicato nel dicembre 2006. Il lavoro della Barker sulla pianificazione si svolge parallelamente a quello di Sir Nicholas Stern sull’economia del cambiamento climatico e di Sir Rod Eddington sui trasporti. Tutti e tre i rapporti hanno una forte focalizzazione economica, e molto probabilmente avranno una forte influenza nei rispettivi campi di applicazione negli anni a venire, soprattutto visto che Gordon Brown, che come Cancelliere li ha co-commissionati, è destinato a diventare Primo Ministro.

4. Il Planning White Paper probabilmente tratterà una vasta gamma di questioni controverse. Arriva alla vigilia del sessantesimo anniversario del Town and Country Planning Act 1947. Da allora, la pianificazione è stata considerate da tutte le parti come processo democratico, mediatore fra i vari interessi: locali e nazionali, economici e ambientali, di breve e lungo termine. I problemi con cui si confronta il sistema di pianificazione sono complessi. Qualche volta le risposte sono sbagliate, spesso le risposte che si danno possono non essere soddisfacenti per alcuni interessi. Ma la CPRE ritiene che i complessi problemi trattati dalla pianificazione non saranno resi più semplici pasticciando col sistema di piano, o collocando gli interessi economici al di sopra di quelli delle comunità e dell’ambiente.

5. Obiettivo centrale e fondamentale della pianificazione dovrebbe essere uno sviluppo sostenibile. Il che comprende anche promuovere lo sviluppo economico, ma è molto di più. Comporta integrare una ampia gamma di obiettivi sociali, ambientali ed economici, riconoscendo l’importanza critica dei limiti di carattere ambientale.

6. La pianificazione consente che le decisioni sul futuro delle varie aree siano democratiche, verificabili, prese nell’interesse collettivo. Assicura il consenso pubblico agli interventi necessari. Contribuisce alla realizzazione di interventi che non possono dipendere soltanto dal mercato, come le case economiche, la rigenerazione urbana, gli spazi aperti e le infrastrutture urbane. L’urbanistica trae la propria legittimazione, in quanto processo decisionale, attraverso la fiducia delle comunità locali e dei gruppi volontari che ne sono coinvolti a tutti i passaggi, entro un processo che deve essere trasparente, verificabile e accessibile.

7. In particolare, la CPRE ritiene la pianificazione uno strumento chiave per conseguire obiettivi ambientali. Contribuisce a realizzare contesti ambientali di elevata qualità, assicurando la tutela sul lungo termine e l’ampliamento degli habitat naturali, dei paesaggi e dei valori storici, in città e in campagna. Ciò è di beneficio alle persone, e anche alle imprese. La pianificazione deve assicurare adeguata tutela, conservazione, miglioramento degli ambiti di importanza internazionale, nazionale, locale, e riconosce che elementi di valore dal punto di vista della fauna e flora, del paesaggio, esistono anche al di fuori degli spazi ufficialmente classificati come tali. Il sistema di piani deve dare un contributo anche maggiore alla riduzione e contenimento del cambiamento climatico, per esempio riducendo il bisogno di spostamenti.

8. La pianificazione è anche uno strumento chiave per facilitare il conseguimento di obiettivi economici. Consente che si realizzi il tipo di insediamento giusto nel luogo giusto, offre certezze agli investitori, e consente di ricomporre interessi divergenti, verso lo scopo comune di assicurare modi di sviluppo sostenibili. Per farlo, ha bisogno di maggiori risorse, di un più chiaro orientamento alla sostenibilità, di un maggior sostegno politico.



Alcune proposte essenziali previste nel prossimo Planning White Paper

Grandi infrastrutture

9. Il governo ha espresso il timore che l’iter per le grandi opere infrastrutturali richieda troppo tempo. Ad ogni modo, gli elementi di ritardo individuati spesso hanno più a che fare con la vastità delle questioni sollevate da progetti complessi, come il reperimento delle risorse, oltre che conseguenza di proposte mal concepite.

10. Prevediamo che si proporrà di istituire un percorso autonomo per quanto riguarda le grandi infrastrutture, come autostrade, aeroporti, inceneritori, centrali e invasi.

11. Lo White Paper probabilmente proporrà che il governo fissi una politica di orientamento nazionale [ policy statements] per i vari tipi di infrastrutture. Il proponente del progetto di una particolare opera sarebbe così anche responsabile del processo di consultazione pubblica preliminare. Si formerebbe una nuova Independent Planning Commission (IPC) per le indagini sui progetti, per stabilire se l’iter possa proseguire.

12. La CPRE teme che questo tipo di approccio metta in pericolo la partecipazione delle comunità locali e degli interessi pubblici generali nel processo decisionale, e una adeguata considerazione degli impatti ambientali. Vorremmo una IPC con un ruolo consultivo, non decisionale, che risponda democraticamente, assicuri una efficace partecipazione pubblica, consenta una approfondita disamina dei dati, sia in grado di gestire le consulenze ambientali.

Sbilanciamento a favore dell’attività di trasformazione

13. Prevediamo che il Planning White Paper proponga un orientamento di massima orientato alla trasformazione. Il governo sembra propenso a riequilibrare il sistema di pianificazione a favore dello sviluppo economico, pur non essendo dimostrabile che il sistema ostacoli in qualche modo la produttività. Ciò è contrario ai principi dello sviluppo sostenibile, che cerca di integrare gli obiettivi e assicurare che si operi entro limiti ambientali.

14. La CPRE ritiene che non esista il bisogno di modificare il quadro generale normativo e giuridico da questo punto di vista.

Rigenerazione urbana: la “verifica dei bisogni”

15. L’attuale politica urbanistica nazionale ha con successo promosso vitalità e solidità economica dei centri urbani. Prevediamo che il Planning White Paper proporrà l’abolizione della “verifica dei bisogni” che ha aiutato le amministrazioni locali a resistere alle spinte verso gli insediamenti commerciali extraurbani. Ciò indebolirebbe le aree centrali e la rigenerazione urbana. La CPRE vorrebbe che la verifica dei bisogni fosse non solo mantenuta, ma rafforzata.

Partecipazione ai piani cittadini

16. Il coinvolgimento delle comunità locali e degli enti di pubblico interesse nei processi decisionali di piano è vitale. Ed è particolarmente importante nelle prime fasi di un progetto, per ottenere piani che incontrino il sostegno locale. La CPRE si opporrà a qualunque proposta che riduca le occasioni di coinvolgimento pubblico attraverso una accelerazione negli iter per la redazione dei piani locali.

Flora e fauna, gli habitat e la Green Belt in pericolo

17. Temiamo che il Planning White Paper non riconoscerà l’importanza di un sistema naturale di elevate qualità sia per le imprese, che per le persone, sia in sé. Mettendo al primo posto lo sviluppo economico, si mettono in pericolo paesaggi e ambienti naturali nelle fasce urbane esterne e nelle campagne. Al contrario, si devono invece sviluppare politiche urbanistiche tali da offrire una maggiore protezione agli spazi di valore, per riconnettere sistemi naturali frammentati e consentire a flora e fauna di adattarsi al cambiamento climatico, per portare la natura più vicina a dove vive la gente.

[…]

Nota: i temi del presente comunicato erano già stati anticipati dall'articolo di Max Hastings sul Guardian del 4 luglio 2006, riportato a suo tempo qui su Eddyburg e ripresi recentissimamente (con opinioni autorevole come Peter Hall e altri, da Peter Hetherington che ha intervistato tra l'altro il ministro Yvette Cooper); e si tratta di un "movimento" praticamente globale, contro l'urbanistica in genere, come dimostra ad esempio questo contributo di un economista consulente del governo australiano riportato su Mall o per altri versi la breve nota "Case Preziose" di Sandro Roggio sul sito Centro Studi Urbani (f.b.)

here English version

Si svolgerà domani nella sala Piero da Cortona dei Musei Capitolini, il «Convegno sulla legge per Roma Capitale», organizzato da Italia Nostra in occasione del decennale della scomparsa di Antonio Cederna. Un legge della quale l'ambientalista fu promotore e primo firmatario. L'obiettivo è quello di esaltare «il valore assoluto della tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico di

Roma». Ad aprire i lavori sarà il sindaco Walter Veltroni, fra i relatori il presidente del parco dell'appia Adriano La Regina e l'urbanista Italo Insolera. Pubblichiamo una sintesi del saluto dell'assessore all'urbanistica Roberto Morassut.

La grande preoccupazione di Antonio Cederna era che l'Italia «finisse», ossia fosse consumata dalla speculazione, sino, un giorno, a veder «scomparire» i propri beni culturali e ambientali. Denunciò questo rischio in un articolo del 1983, in cui rammentava anche le cifre di questa lenta dissipazione. In un trentennio, diceva, abbiamo distratto più di un milione di ettari di suolo.

Prevedeva, di conseguenza, che nel giro di uno/due secoli, a quel ritmo, la consumazione sarebbe stata totale o quasi, e un'immensa «crosta edilizia» (così si esprimeva) avrebbe coperto il Bel Paese per sempre. La «lezione» di Antonio Cederna è oggi consegnata anche al nuovo Piano Regolatore di Roma. In particolare, dove si frena l'espansione indiscriminata e il consumo senza regole del suolo dell'agro. E, soprattutto, dove si avvia con decisione la riqualificazione della città storica e, parallelamente, del tessuto periferico. Penso alla riqualificazione e al moderno recupero di grandi complessi edilizi storici come i Mercati Generali e il Mattatoio: nuove Città dei giovani, del tempo libero, della cultura. Penso anche alla sottoscrizione del protocollo che rilancia la struttura del S. Maria della Pietà per assegnarle nuove funzioni: cultura, sanità, servizi, residenze per i giovani che studiano o che viaggiano. Esemplare anche il «caso» di viale Giustiniano Imperatore, dove la «conservazione» (e, dunque, la qualità urbana) passa anche attraverso la demolizione dei vecchi edifici e la loro ricostruzione a più alti livelli di standard architettonico. Riguardo agli aspetti legati alla sostenibilità ambientale, oggi Roma dispone di un'open area ineguagliata, grande cinque volte Milano: 88.000 ettari, la metà di essa costituita da parchi. I fondi per Roma Capitale, da parte loro, hanno contribuito a curvare lo sviluppo della città, orientandolo alla «conservazione», come direbbe Cederna, (noi diremmo anche: alla salvaguardia e allo sviluppo) dei beni culturali e del tesoro che essi rappresentano, e non alla loro consumazione o «mercificazione». Cito esemplarmente il progetto per la realizzazione del parco archeologico di Gabi, sulla via Prenestina, nella periferia sud-est. Anche la rete museale di Roma si è potenziata e si sono moltiplicate le occasioni di cultura e di alta formazione. È di questi giorni la notizia che, negli immediati dintorni del colle capitolino, sorgerà un nuovo polo museale di oltre 61.000 metri quadrati, all'interno degli edifici pubblici liberati dagli uffici, che si trasferiranno nell'area di Ostiense nell'ambito di «Campidoglio 2». In uno scritto su «Micromega» del 1990, Cederna spiegava quale fosse, a suo avviso, il compito degli amministratori e degli urbanisti: mettere fine alla crescita quantitativa e puntare sulla riqualificazione - trasformazione della città, sul recupero-risanamento dei centri storici, sulla ristrutturazione delle periferie e sulla rigorosa salvaguardia del territorio non ancor urbanizzato. Una lezione che Antonio Cederna, intellettuale che ha dedicato la propria vita a migliorare la vita degli altri, ci consegna e della quale continuare a fare tesoro nel governo delle nostre città.

L'autore è Assessore all'Urbanistica del Comune di Roma

Postilla

Il testo dell'assessore Morassut ci sembra esemplare di quel fenomeno di “appropriazione indebita” del pensiero di Antonio Cederna che, soprattutto in questo anno di commemorazioni, si è riaffacciato spesso a garantire con una patente di credibilità culturale progetti e metodi urbanistici di tutt'altra radice e sostanza. Su eddyburg sono stati segnalati altri casi analoghi, e basta ripercorrere gli scritti di Cederna, nella sezione a lui dedicata, confrontandoli con gli assunti degli odierni epigoni perchè la distanza che li separa, risulti palese.

Quanto all'articolo sopra riportato, senza entrare nel dettaglio dei contenuti urbanistici e della loro affettuosa distorsione (chi ne scrive è uno dei principali responsabili, al quale quindi va concessa, comunque, la scusante dell'“ogni scarraffone..."), ci limitiamo a segnalarne le aporie logiche (conservazione attraverso la demolizione!) e le approssimazioni linguistiche (“open” area, consumazione) - indubitabili sintomi di aporie e approssimazioni culturali - sulle quali Cederna non avrebbe mancato di esercitare la sua ironia.

Lo scritto era destinato a chiudere il convegno capitolino dedicato al progetto di legge per Roma Capitale elaborato da Cederna e da un gruppo di urbanisti e intellettuali e da lui presentato nel 1989, durante la sua attività di parlamentare: non una sola riga rimanda a quel progetto e non poteva essere altrimenti; nell'odierno Piano Regolatore di Roma esso è scomparso e insieme a lui la visione di Cederna del centro storico della capitale.(m.p.g.)

Da: Università di Roma, Lezioni di legislazione urbanistica, a.a.1933-34, manoscritto

[…] il progetto presentato dal Pisanelli nell’aprile del 1864, esaminato prima dagli uffici della Camera e successivamente da una Giunta speciale composta di tecnici e di giuristi, diede origine alla legge promulgata con R.D. 25 giugno 1865, n. 2359.

L’esempio di quanto era già stato disposto in Francia e opportune considerazioni sulle condizioni veramente infelici degli aggregati edilizi di molti Comuni, soprattutto dal punto di vista igienico, indussero il Ministro Pisanelli ad inserire nel disegno di legge un complesso di norme intese a disciplinare la materia della trasformazione e dell’ampliamento degli abitati. Tali norme erano sostanzialmente ispirate alla legge francese del 1807 e alla legge belga del 1844, secondo le quali i proprietari di aree erano obbligati a osservare nelle costruzioni gli allineamenti disposti dall’Amministrazione comunale in apposito piano e i proprietari di fabbricati erano obbligati a seguire gli allineamenti stessi in caso di ricostruzione degli edifici, astenendosi nel frattempo da qualunque lavoro atto a prolungarne la durata. Secondo il progetto Pisanelli, peraltro, era data facoltà alle Amministrazioni municipali interessate di anticipare le sistemazioni stradali in conformità degli allineamenti dati dal piano regolatore, applicando, per quanto riguardava i beni occorrenti per le sistemazioni stesse, le norme stabilite in materia di espropriazione.

Parve alla Commissione della Camera, incaricata di studiare il progetto, che le disposizioni suaccennate ferissero troppo profondamente la proprietà e che fosse il caso di sopprimerle, salvo farne oggetto di altro disegno di legge da esaminare con maggiore calma. Ma, essendo stata fatta presente da più parti la necessità di norme sugli allineamenti, il Governo credette opportuno valersi della facoltà, che, per la suddetta unificazione legislativa, gli era stata accordata con legge 2 aprile 1865 di “ modificare i codici e le leggi da pubblicarsi sì nella sostanza che nella forma”, e nel testo definitivo della legge mantenne le norme sui piani regolatori, introducendovi però alcune modificazioni di notevole importanza, fra le quali:

1) l’abolizione della obbligatorietà del piano;

2) la fissazione di un termine massimo per la sua attuazione (25 anni)

3) la distinzione fra i piani regolatori e i piani di ampliamento.

Data la grande importanza delle disposizioni contenute nel progetto Pisanelli a proposito dei piani regolatori crediamo opportuno riportarle per intero:

Art. 72 – Ogni Comune che abbia titolo di città, o il cui abitato, unito in un solo perimetro, contenga una popolazione non inferiore ai 2.000 abitanti, è obbligato a far compilare una pianta regolare dell’abitato stesso, in cui siano tracciate le norme da osservarsi nella ricostruzione degli antichi edifici e nell’edificazione dei nuovi, a fine di provvedere alla salubrità del Comune e ala più sicura, comoda e decorosa sua disposizione.

Ai Comuni, i quali, sebbene non abbiano una popolazione non inferiore ai 2.000 abitanti, trovansi divisi in cantoni o villaggi, o in case sparse, non è applicabile il disposto di questo articolo, se non per ciascuna di quelle loro parti che conti da sé una popolazione riunita non inferiore ai 2.000 abitanti.

Art. 73 – I progetti dei piani di risanamento, di allineamento e di ampliazione dei Comuni avanti indicati debbono esser fatti pubblici a cura del sindaco, a norma degli art. 16 e 17, essere adottati dai Consigli Comunali e approvati, quelli delle città, con reale decreto, quelli degli altri Comuni, con decreto del prefetto.

Contro il decreto di approvazione del prefetto è ammesso il ricorso in via amministrativa, a termine dello art. 18 della presente legge.

Art. 74 – Per ottenere l’approvazione dei piani di risanamento debbono i Consigli Comunali far constare di cause permanenti d’insalubrità e della necessità di modificare la disposizione del luogo per farle cessare.

Inoltre deve il prefetto, prima di emanare il suo decreto, udire l’avviso del Consiglio Provinciale di Sanità.

Art. 75 – Il decreto di approvazione dei piani indicati nell’art. 73 sottopone i terreni e gli edifici in essi compresi alla servitù legale di allineamento, di ampliazione e di risanamento, in forza della quale i loro proprietari, quando accingonsi a costruire nuovi edifici, a riedificare glia antichi e a modificare altrimenti la forma delle loro proprietà, o lo facciano volontariamente od obbligati dall’urgenza di impedirne la rovina o da altra simile cagione, non possono ciò eseguire, salvo osservate le norme tracciate nei suddetti piani.

Art. 76 - Il decreto di approvazione dei piani di allineamento, di ampliazione e di risanamento dev’essere notificato a modo delle citazioni a ciascun proprietario dei beni in essi compresi.

Ogni proprietario, che da giorno della suddetta notificazione non si uniformi alle norme tracciate in tali piani, oltre alla distruzione dei lavori fatti in contravvenzione ai medesimi, potrà essere condannato dall’autorità giudiziaria competente ad una multa estensibile a lire 1.000.

Art. 77 – I proprietari degli edifici compresi nei piani avanti indicati, la cui area sia destinata a divenire, in tutto o in parte, suolo pubblico, non possono fare alcun lavoro che li renda più durevoli e ne ritardi la demolizione, sotto le pene sancite nell’art. precedente.

Art. 78 – L’area degli edifici e i terreni sui quali è proibito di edificare non cessano di far parte del patrimonio di chi ne è proprietario, e no diventano suolo pubblico, fuorché addivenendosi all’esecuzione dei lavori di allineamento, di ampliazione o di risanamento, e dopo fatto il deposito dell’indennità a termini degli art. 28 e 46.

Art. 79 – Il terreno che, giusta i piani sovra menzionati, deve cessare di fare parte del suolo pubblico, non diventa proprietà di colui che ha edifici e terreni confinanti col medesimo, fuorché eseguendo le stesse costruzioni negli stessi piani indicati e dopo fatto il pagamento o il deposito del relativo prezzo.

Art. 80 – Quando il proprietario demolisce il suo edificio volontariamente,o costrettovi dal pericolo di rovina o da altra simile ragione, e ricostruendolo deve farlo rientrare o avanzare di uno spazio non eccedente un metro, per fissare l’indennità si ha riguardo soltanto al valore venale dell’area che egli perde o acquista.

Negli altri casi si terrà pur conto del danno o del vantaggio relativo, e l’indennità verrà determinata a norma degli art. 38 e 39.

Art. 81 – Qualora i lavori di allineamento, di ampliamento e di risanamento si vogliano eseguire senza attendere che i proprietari, o volontariamente od obbligati dalla vetustà o da altre simili cagioni, pongano mano alla costruzione e riedificazione dei loro edifici o si accingano a mutare altrimenti la forma delle loro proprietà, per l’espropriazione di esse si debbono osservare le disposizioni stabilite dal titolo I della presente legge circa le espropriazioni.

Art. 82 – Nel caso che un proprietario, il quale ha obbligo, giusta i piani di allineamento, di avanzare il suo edificio sul suolo pubblico, non lo voglia acquistare, egli può essere espropriato dell’intero suo stabile mediante congrua indennità.

Con atto da intimarsi a forma delle citazioni, potrà il proprietario suddetto esser posto in mora a dichiarare, nel termine non minore di giorni venti, se intende acquistare la parte confinante del suolo su cui potrebbe avanzarsi.

In caso di rifiuto o di silenzio, si procederà alla espropriazione nelle forme legali.

Art. 83 – La espropriazione per l’allargamento, l’allineamento o l’apertura di vie nei Comuni indicati nell’art. 72, può estendersi alla totalità degli immobili che debbono essere in parte occupati dal suolo pubblico, ove le parti residue siano di una estensione o di una forma tale da non poter sopportare costruzioni solide e salubri.

Queste parti residue sono riunite ai terreni o edifici contigui, o a trattativa privata, o per espropriazione di questi stessi terreni o edifici, in conformità dell’articolo precedente.

Art. 84 – L’espropriazione può anche estendersi a immobili posti fuori dall’allineamento, quando il loro acquisto sia necessario per sopprimere strade o vicoli inutili.

Art. 85 – Nei Comuni indicati nell’Art. 72 i costruttori di case debbono, prima di por mano ai lavori di costruzione, chiedere all’Amministrazione Comunale, coll’abbattimento, il livello della via fronteggiante, uniformarvisi sotto le pene sancite dall’Art. 76.

Le disposizioni della legge del 1865, per quanto riguarda la compilazione ed attuazione di piani regolatori, non ebbero però applicazione molto estesa. Le Amministrazioni municipali si trovarono impreparate a formulare progetti tecnicamente perfetti in materia di sistemazione e ampliamento dell’aggregato edilizio, tanto più che in molti casi provvedimenti radicali si sarebbero dovuti attuare per rimediare alla viziosa disposizione degli abitati. D’altra parte si dovette constatare che, mentre quasi ovunque le condizioni in cui si svolgeva il traffico non erano tali da destare serie preoccupazioni, essendosi ancora molto lontani dallo sviluppo oggi raggiunto dai mezzi di trasporto a trazione meccanica, grave sarebbe stato l’onere finanziario, che i Comuni avrebbero dovuto accollarsi per le espropriazioni di edifici da demolire. Infine ad una scarsa applicazione della legge suddetta nel campo dei piani regolatori contribuì il fatto che le casse municipali dovevano esporsi ad un’alea non indifferente con norme di espropriazione che concedevano ai periti la più larga discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo da corrispondere ai proprietari.

Poche amministrazioni, quindi, si apprestarono a studiare progetti per la sistemazione edilizia dell’abitato, preferendosi in generale lasciar sussistere gli inconvenienti, ch’essi presentavano nella loro attuale conformazione, o provvedendosi ad opportuni miglioramenti attraverso l’esecuzione di opere singole e cercando di disciplinare l’ampliamento mediante l’applicazione delle norme dettate dai regolamenti edilizi, approvati in forza della facoltà concessa dalla Legge Comunale e Provinciale.

Solo in casi di riconosciuta ed impellente necessità di una sistemazione generale di quartieri più o meno vasti per eliminare cause gravi e permanenti di morbilità si giunse alla decisione di formulare piani regolatori, che, per lo scopo speciale cui tendevano, presero il nome di piani di risanamento e la cui attuazione venne agevolata con l’emanazione di norme speciali. Primo e più importante fra tutti fu quello compilato per Napoli e seguito della legge 15 gennaio 1885, le cui disposizioni vennero estese a vari altri Comuni. [...]

Nota: gli articoli 72-85 del progetto Pisanelli riportati, nel manoscritto sono inseriti in forma di lunga nota; qui sono stati ri-collocati nel testo - a mio parere - per una maggiore leggibilità; per un confronto, si vedano in questo sito sia l’articolato della Legge 25 giugno 1865, n. 2359 sull’espropriazione per pubblica utilità, sia in forma più libera ed estesa le “Pagina di Storia” sulla citata Legge di Napoli e gli avvenimenti paralleli(f.b.)

CAMERA DEI DEPUTATI - XIII LEGISLATURA, Resoconto della VIII Commissione permanente, (Ambiente, territorio e lavori pubblici), Giovedì 11 gennaio 2001, Allegato 2, NORME IN MATERIA URBANISTICA. (C. 407 Nocera ed abbinate C. 518 Turroni, C. 524 Turroni, C. 604 Baccini, C. 677 Sbarbati, C. 1126 De Cesaris, C. 1287 Siniscalchi, C. 1552 Vincenzo Bianchi, C. 2209 De Biasio Calimani, C. 2762 Governo, C. 2790 Testa, C. 2884 Gambato, C. 3116 Nocera, C. 3206 Mussi, C. 3258 Merlo, C. 3449 Galati, C. 3779 Martinat, C. 4026 Matacena, C. 4112 Testa, C. 4134 Casinelli, C. 5456 Tosolini, C. 6575 Cosentino e sentenza Corte costituzionale n. 179 del 20 maggio 1999 documento VII, n. 701, ex articolo 108, comma 5, del Reg.)

CAPO I Princìpi per il governo del territorio.

Art. 1 (Legge di princìpi).

1. La presente legge stabilisce i princìpi e le disposizioni generali relative al governo del territorio da parte dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, in coerenza con le disposizioni adottate dalla Unione Europea e con gli obblighi derivanti da accordi e intese internazionali.

2. I princìpi e le disposizioni di cui alla presente legge costituiscono princìpi fondamentali delle leggi dello Stato ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 117 della Costituzione, nonché princìpi fondamentali di riforma economico-sociale.

Art. 2. (Definizioni).

1. Agli effetti della presente legge, si intende per:

a) «governo del territorio»: le disposizioni e i provvedimenti per la tutela, per l'uso e per la trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono;

b) «piani specialistici»: i piani nazionali e regionali che tutelano un interesse pubblico specifico relativo al governo del territorio, e le cui disposizioni vengono recepite nei piani territoriali, urbanistici, metropolitani;

c) «piani di settore»: i piani che approfondiscono particolari tematiche relative al governo del territorio e alla politica ambientale, urbana, territoriale, infrastrutturale, in coerenza con le disposizioni dei piani territoriali, urbanistici, metropolitani vigenti;

d) «norme di salvaguardia»: norme statali o regionali che abilitano le amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio ad adottare misure di salvaguardia in grado di inibire determinate attività di trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono sino al verificarsi di specifiche circostanze previste dalle leggi o da piani specialistici;

e) «misure di salvaguardia»: i provvedimenti adottati dalle amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio in attuazione di norme di salvaguardia vigenti;

f) «norme suppletive»: norme che entrano in vigore nel territorio della regione, ad una data prefissata dalla legge nazionale, qualora si verifichi la inadempienza normativa della medesima regione, e che restano in vigore sino a quando la regione non abbia provveduto agli adempimenti normativi di propria competenza;

g) «comparto urbanistico»: insieme di immobili perimetrato dal piano operativo comunale, per il quale il medesimo piano operativo definisce le disposizioni riguardanti le possibili trasformazioni urbanistiche, le quote edificatorie attribuite ai proprietari e gli obblighi verso il comune e altri soggetti pubblici;

h) «immobili»: terreni, edifici, costruzioni, aree edificate o non edificate;

i) «quote edificatorie»: le possibilità edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico dal piano operativo comunale;

l) «funzioni urbane»: categorie di destinazioni d'uso degli immobili, raggruppate secondo criteri di omogeneità e compatibilità;

m) «manutenzione urbana»: i provvedimenti idonei a garantire la costante efficienza e funzionalità dei servizi e degli insediamenti urbani, pubblici e privati;

n) «manutenzione del territorio»: i provvedimenti idonei a garantire la costante attuazione delle disposizioni relative alla tutela del territorio, alla prevenzione dei rischi derivanti da calamità naturali, e al contrasto dei fenomeni di degrado del territorio medesimo.

2. Agli effetti della presente legge, si intende altresì per:

a) «regioni»: regioni a statuto ordinario, regioni a statuto speciale, e province a statuto speciale;

b) «piano territoriale»: il piano territoriale provinciale, predisposto e approvato dalla provincia;

c) «piano urbanistico»: il piano urbanistico comunale, predisposto e approvato dal comune;

d) «piano metropolitano»: il piano predisposto e approvato dalla città metropolitana;

e) «piano operativo»: il piano operativo comunale, predisposto e approvato dal comune;

f) «conferenza»: la conferenza territoriale provinciale, la conferenza urbanistica comunale, la conferenza metropolitana;

g) «difesa del suolo»: l'assetto idrogeologico e la tutela delle acque;

h) «comparto»: il comparto urbanistico;

i) «proprietari»: i proprietari di immobili o altri soggetti aventi titolo.

Art. 3. (Semplificazione normativa e procedurale).

1. Le norme statali relative al governo del territorio sono raccolte in un testo unico, con le modalità di cui all'articolo 33.

2. Le regioni predispongono, per quanto di loro competenza, un testo unico regionale delle norme in materia di governo del territorio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del testo unico di cui al comma 1 ed adottano i provvedimenti di semplificazione normativa conseguenti alle disposizioni statali vigenti in materia.

3. I comuni rilasciano i titoli abilitativi alla attività edilizia e di trasformazione urbanistica del territorio mediante un unico atto comprensivo di tutte le altre autorizzazioni, nulla osta, pareri e assensi delle autorità competenti. A tale scopo, le regioni dettano norme e adottano provvedimenti per la istituzione ed il funzionamento di apposite strutture, anche intercomunali, denominate sportello urbanistico, alle quali i soggetti interessati possono rivolgersi per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui al presente comma.

Art. 4. (Certezza attuativa).

1. Le disposizioni della presente legge sono attuate dai soggetti istituzionali titolari di funzioni relative al governo del territorio, nei termini e con le modalità previste dalla legge medesima.

2. In caso di inadempienza si provvede con le seguenti modalità:

a) in caso di inadempienza delle regioni nella adozione, entro i termini stabiliti, di atti normativi di loro competenza previsti dalle leggi statali entrano in vigore, alla data di scadenza dei medesimi termini, le norme suppletive appositamente previste dalle leggi vigenti. Tali norme suppletive restano in vigore sino a quando la regione non abbia provveduto agli adempimenti normativi stabiliti dalla presente legge;

b) in caso di inadempienza di province, comuni, e città metropolitane nella predisposizione e approvazione del piano territoriale, del piano urbanistico, e del piano metropolitano di cui agli articoli 20, 21 e 23, le amministrazioni competenti dispongono le misure di salvaguardia di cui all'articolo 7, nonché la sospensione dei programmi di finanziamento relativi ad opere pubbliche da realizzare nel territorio interessato. La regione nomina inoltre un commissario ad acta per la predisposizione ed approvazione del piano;

c) in caso di inadempienza di province e comuni nella attuazione di disposizioni regionali o statali diverse da quelle di cui alla lettera b), la regione o le autorità statali competenti adottano gli interventi sostitutivi previsti dalle leggi vigenti.

Art. 5. (Sussidiarietà).

1. Sono di competenza del comune le funzioni relative al governo del territorio ad esso attribuite dalla presente legge e dalla vigente normativa, e tutte le funzioni non esplicitamente attribuite alle regioni o alle province dalla presente legge e dalla vigente normativa.

2. La provincia predispone il piano territoriale provinciale di cui all'articolo 20 ed esercita le funzioni ad essa attribuite dalla presente legge e dalla vigente normativa, o delegate dalle regioni.

3. Sono di competenza della regione le funzioni relative al governo del territorio ad essa espressamente attribuite dalla presente legge e dalla vigente normativa.

4. Sono di competenza dello Stato solo le funzioni relative al governo del territorio che sono espressamente attribuite allo Stato medesimo dalla presente legge e dalla vigente normativa.

5. Le regioni attribuiscono o delegano alle province e ai comuni e, ove costituite, alle città metropolitane tutte le funzioni che possono essere dagli stessi enti locali direttamente esercitate, eventualmente anche in forma associata.

6. Lo Stato, le regioni, e le province possono altresì delegare proprie competenze, anche relative a singole opere o interventi, ad enti territoriali ricompresi nel proprio ambito territoriale, eventualmente associati tra loro.

Art. 6. (Sostenibilità ambientale e territoriale).

1. La tutela dell'ambiente, dell'integrità fisica del territorio, della sua identità culturale, e la conservazione e riproducibilità delle risorse naturali sono i presupposti di ogni trasformazione territoriale ed urbanistica.

2. I piani territoriali, i piani urbanistici ed i piani metropolitani fondano le proprie previsioni sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili, di favorire il recupero delle risorse degradate, di garantire una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio storico-culturale, di ridurre ed eliminare i danni per il territorioe quelli per l'ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura,di prevenire i rischi derivanti da calamità naturali. Essi fondano altresì le proprie previsioni sulle esigenze di tutela dell'assetto idrogeologico e della qualità delle acque e sul bilancio delle risorse idriche.

3. I piani territoriali, urbanistici, metropolitani prevedono criteri e modalità per favorire la manutenzione del territorio, la manutenzione urbana ed il recupero edilizio e danno priorità alla riqualificazione del territorio già urbanizzato rispetto all'uso e alla trasformazione del territorio non ancora urbanizzato.

4. Le leggi regionali ed i piani territoriali, urbanistici, metropolitani prevedono criteri e modalità per la tutela del paesaggio agrario, per favorire la permanenza e lo sviluppo delle attività agricole, nonché per garantire l'effettivo rispetto della destinazione ad attività agricola delle parti del territorio a tale scopo individuate.

Art. 7. (Salvaguardia).

1. Le leggi statali e regionali possono contenere disposizioni, denominate norme di salvaguardia, che abilitano le amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio ad adottare misure di salvaguardia in grado di inibire determinate trasformazioni del territorio e degli immobili che lo compongono sino al verificarsi di specifiche circostanze previste dalle leggi medesime.

2. I piani specialistici, nazionali e regionali, possono disporre misure di salvaguardia.

3. Le misure di salvaguardia di cui al comma 2 restano in vigore sino al recepimento delle disposizioni dei piani specialistici nei piani territoriali ed urbanistici.

4. Specifiche misure di salvaguardia possono essere altresì disposte dalle regioni o dalle amministrazioni statali competenti, nei casi di cui all'articolo 12.

5. Nel periodo di tempo intercorrente tra la data di adozione dei piani territoriali, urbanistici, metropolitani e dei piani operativi di cui agli articoli 20,21,22 e 23, e la data di approvazione dei medesimi piani da parte dell'ente competente, sono sospese, da parte del comune interessato, tutte le determinazioni relative al rilascio di titoli abilitativi alla attività edilizia in contrasto con le disposizioni contenute nei piani adottati.

Art. 8. (Unicità degli strumenti territoriali ed urbanistici).

1. La tutela, l'uso, la trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono sono disciplinati esclusivamente dai piani territoriali provinciali, dai piani urbanistici comunali, dai piani metropolitani e dai piani operativi, di cui agli articoli 20, 21, 22 e 23, predisposti ed approvati in conformità alle disposizioni della presente legge.

2. Non è consentito il ricorso ad altri strumenti né ad altre procedure per la predisposizione, l'aggiornamento, la modifica e l'approvazione dei piani di cui al comma 1 nonché per il recepimento nei medesimi piani di previsioni contenute in piani specialistici o di disposizioni statali e regionali o di altri soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio.

Art. 9. (Carta del territorio).

1. Il piano urbanistico comunale ed il piano operativo, predisposti ed approvati con le modalità di cui alla presente legge, costituiscono, nel loro insieme, un documento denominato carta del territorio, comprensivo di tutte le prescrizioni vigenti riguardanti l'intero territorio comunale.

Art. 10. (Cooperazione istituzionale).

1. Tutti i soggetti istituzionali titolari di funzioni relative al governo del territorio operano con il metodo della cooperazione e dell'intesa, con le modalità previste dalla presente legge.

2. Lo Stato si avvale delle conferenze «Stato-regioni» e «Stato-città e autonomie locali», anche nella forma della conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Le regioni prevedono, nell'ambito della propria autonomia legislativa, analoghi e idonei strumenti di raccordo e coordinamento con gli enti locali.

3. Le province, i comuni, le città metropolitane predispongono, rispettivamente, i piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani con la cooperazione di tutti i soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio.

4. Le regioni promuovono il coordinamento e la cooperazione tra gli enti locali ed i soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio anche per mezzo di specifiche intese con le amministrazioni interessate, con particolare riferimento all'attività conoscitiva, allo scambio di informazioni, alla definizione di accordi procedimentali.

Art. 11. (Pianificazione coordinata).

1. Gli enti locali competenti predispongono e approvano i piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani di cui agli articoli 20, 21 e 23, con le modalità di coordinamento e di intesa previste dalla presente legge.

2. Il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano è adottato dall'ente locale competente e sottoposto alla valutazione della conferenza di cui all'articolo 24, alla quale partecipano tutti i soggetti titolari, in base alla vigente normativa, di funzioni relative al governo del territorio. La conferenza verifica la coerenza del piano con le disposizioni vigenti, provvede al coordinamento di tutte le disposizioni riguardanti il territorio considerato, e si conclude con la definizione dell'intesa tra i soggetti partecipanti con le modalità di cui all'articolo 24.

3. Gli enti locali competenti approvano i piani territoriali, i piani urbanistici e i piani metropolitani dopo la definizione, da parte della conferenza, dell'intesa di cui al comma 3, con le modalità di cui all'articolo 25.

Art. 12. (Autonomia e controllo).

1. I piani territoriali provinciali, i piani urbanistici comunali, i piani metropolitani ed i piani operativi, predisposti ed approvati con le modalità di cui alla presente legge non sono soggetti, successivamente alla loro approvazione da parte dell'ente locale competente, a controllo da parte di altre autorità, fatto salvo quanto previsto dal comma 3.

2. Gli enti locali trasmettono alla regione i piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani, nonché i piani operativi entro il termine di trenta giorni dalla data della loro approvazione.

3. La regione compie, entro il termine di novanta giorni dalla data di ricevimento dei piani di cui al comma 2, verifiche sul rispetto, da parte dei piani territoriali, dei piani urbanistici e dei piani metropolitani dell'intesa raggiunta in sede di conferenza territoriale, urbanistica, metropolitana nonché del rispetto, da parte del piano operativo, delle previsioni contenute nel piano urbanistico comunale vigente.

4. Nel caso la regione rilevi il mancato rispetto dell'intesa di cui al comma 3, invita l'ente locale interessato a provvedere, entro un termine di tempo prefissato, alla modifica del piano per garantire il rispetto dell'intesa medesima, trascorso il quale può disporre misure di salvaguardia,

con riferimento alle difformità rilevate. Tali misure di salvaguardia restano in vigore sino a quando l'ente locale interessato non abbia provveduto agli adempimenti richiesti.

Art. 13. (Partecipazione, osservazioni e opposizioni).

1. Le regioni prevedono le modalità per lo svolgimento di adeguate iniziative di informazione e consultazione dei cittadini, di associazioni, di forze economiche e sociali, di operatori economici, sulle proposte di piano territoriale provinciale, di piano urbanistico comunale, di piano metropolitano e di piano operativo, nonché la possibilità, anche per i privati, di avanzare proposte pubbliche per la predisposizione del piano operativo comunale.

2. La consultazione di cui al comma 1, per il piano territoriale provinciale, il piano urbanistico comunale, il piano metropolitano, deve avere luogo e concludersi prima che la conferenza di cui all'articolo 24 concluda i propri lavori.

3. La proposta di piano territoriale provinciale, di piano urbanistico comunale, di piano metropolitano risultante dall'intesa definita dalla conferenza di cui all'articolo 24 della presente legge, è pubblicata dall'ente locale competente.

4. Alle proposte di cui al comma 3 possono essere presentate osservazioni da parte di soggetti pubblici e privati, con le modalità previste dall'articolo 25.

5. Al piano operativo, adottato dal comune, possono essere presentate osservazioni da parte di soggetti pubblici e privati nonché opposizioni da parte di soggetti i cui immobili sono interessati dal piano operativo medesimo o da altri soggetti aventi titolo sulla base della vigente normativa, con le modalità previste dall'articolo 26.

Art. 14. (Legalità urbanistica).

1. Il comune esercita la vigilanza in materia di legalità della attività urbanistica ed edilizia.

2. La mancata irrogazione delle sanzioni previste dalle vigenti disposizioni da parte degli amministratori comporta responsabilità dei medesimi.

Art. 15. (Perequazione urbanistica).

1. Gli immobili per i quali il piano operativo dispone la trasformazione urbanistica nel periodo di tempo della propria validità sono inclusi, dal piano operativo medesimo, in comparti urbanistici, con le modalità di cui all'articolo 27.

2. Nei comparti urbanistici sono attribuiti, alla proprietà conformata dal piano operativo di cui all'articolo 22, quote edificatorie, espresse in metri quadrati o in metri cubi, e obblighi verso il comune o altri soggetti pubblici aventi titolo previsti dal piano operativo medesimo.

3. Le quote edificatorie e gli obblighi di cui al comma 2 sono ripartiti tra tutti i proprietari di immobili in modo proporzionale al valore, accertato dall'Ufficio tecnico erariale ai fini della applicazione dell'imposta comunale sugli immobili, dei beni appartenenti a ciascuno di essi, con le modalità di cui agli articoli 27 e 28.

Art. 16. (Vincoli urbanistici).

1.Il piano operativo può individuare immobili da destinare ad infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e altre opere pubbliche o di interesse pubblico e, tra essi, quelli sottoposti a vincolo finalizzato alla espropriazione.

2. Il piano operativo include altresì gli immobili per i quali sia disposta la espropriazione, da parte dello Stato o di altri soggetti pubblici aventi titolo, per la realizzazionedi opere di loro competenza previste dal piano urbanistico comunale vigente.

3. Il vincolo finalizzato alla espropriazione imposto dal piano operativo sugli immobili destinati alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico equivale a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità delle opere medesime.

4. Il vincolo imposto con le modalità di cui al comma 1 e finalizzato alla espropriazione ha la durata di cinque anni, e può essere reiterato una sola volta per la stessa durata. In tale caso è dovuto al proprietario un indennizzo maggiorato nella misura e con le modalità previste dall'articolo 17.

5. Il piano operativo quantifica le risorse finanziarie occorrenti per l'espropriazione degli immobili vincolati dal piano medesimo, stabilisce i criteri di priorità ed indica in modo documentato la copertura finanziaria degli oneri relativi.

6. Il vincolo finalizzato alla espropriazione può essere apposto esclusivamente su immobili inclusi nel piano operativo.

Art. 17. (Esproprio per pubblica utilità).

1. Le procedure di esproprio sono regolate dalle disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità. L'acquisizione degli immobili destinati alla realizzazione di opere pubbliche da parte dello Stato avviene mediante decreto di esproprio.

2. L'indennità dovuta ai proprietari di immobili espropriati per ragioni di pubblica utilità è stabilita dalle leggi statali sulla base del principio dell'equo ristoro per la perdita del bene espropriato.

3. Il comune, anche su proposta dei proprietari interessati, può definire, in alternativa alla espropriazione, forme di compensazione consistenti nella permuta con altri immobili o con quote edificatorie all'interno di comparti urbanistici, oppure consistenti nella partecipazione dei proprietari medesimi alla realizzazione e alla gestione delle attrezzature e dei servizi pubblici localizzati dal piano operativo su immobili dagli stessi posseduti.

4. Qualora il vincolo urbanistico disposto dal piano operativo sia stato reiterato, come previsto dall'articolo 16, al proprietario è dovuta una indennità aggiuntiva pari ad un terzo dell'ammontare della indennità fissata per l'esproprio dell'immobile sottoposto a vincolo.

Art. 18. (Funzioni dello Stato).

1. Sono riservate allo Stato le seguenti funzioni:

a) indirizzo e coordinamento;

b) legislazione di principio, norme in materia di regime degli immobili e di espropriazione, sanzioni contro gli illeciti edilizi ed urbanistici, norme suppletive, esercizio di poteri sostitutivi;

c) definizione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio;

d) rapporti con gli organismi internazionali e il coordinamento con l'Unione europea in materia di politiche urbane e di assetto del territorio;

e) monitoraggio del territorio e dello stato della pianificazione territoriale ed urbanistica, con la costituzione, a tale scopo, di un apposito Osservatorio nazionale, d'intesa con le regioni e gli enti locali;

f) interventi relativi ad opere statali, alla difesa nazionale, alla sicurezza interna, alla prevenzione da grandi rischi derivanti da calamità naturali;

g) escavazione del sottosuolo nei limiti e con le modalità previste dalle leggi vigenti;

h) promozione di programmi innovativi in ambito urbano che implichino un intervento da parte di diverse amministrazioni dello Stato.

2. Sono altresì riservate allo Stato:

a) la tutela dei beni culturali e dell'ambiente, la difesa del suolo nei limiti e con le modalità previste dalle leggi vigenti; l'istituzione di nuove aree naturali protette nazionali e la modifica di quelle esistenti;

b) la occupazione d'urgenza, le concessioni, le autorizzazioni per ricerche archeologiche;

c) l'espropriazione di immobili di interesse storico e artistico;

d) la salvaguardia di Venezia e della zona lagunare e il mantenimento del regime idrico lagunare, nei limiti e con le modalità previste dalle leggi vigenti.

CAPO II Strumentazione territoriale ed urbanistica.

Art. 19. (Linee fondamentali dell'assetto del territorio).

1. Lo Stato definisce le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo, ai rischi derivanti da calamità naturali, alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, al sistema della mobilità, nonché al sistema delle città e delle aree metropolitane e allo sviluppo delle aree depresse.

2. Fanno parte integrante delle linee fondamentali, di cui al comma 1, i princìpi e le disposizioni contenute nelle norme statali vigenti relative al governo del territorio, le disposizioni dei piani specialistici vigenti, nonché i programmi pluriennali relativi ad opere pubbliche di competenza dello Stato.

3. Le regioni, nell'autonomo esercizio delle proprie funzioni in materia di governo del territorio, provvedono a comporre e ad aggiornare l'insieme delle disposizioni fondamentali, ivi incluse quelle contenute nei piani specialistici, riguardanti l'assetto del territorio di loro competenza in un quadro di riferimento regionale.

4. Il quadro di riferimento regionale è predisposto e aggiornato dalle regioni in coerenza con le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale di cui ai commi 1 e 2.

Art. 20. (Piano territoriale provinciale).

1. Il piano territoriale provinciale definisce l'assetto del territorio della provincia.

2. Il piano territoriale provinciale è coerente con gli indirizzi e le prescrizioni derivanti dalle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale e dal quadro regionale di riferimento di cui all'articolo 19.

3. Il piano territoriale provinciale considera la totalità del territorio provinciale. Esso recepisce, potendo altresì integrare, le disposizioni vigenti riguardanti la protezione della natura, la tutela dell'ambiente e dei beni culturali, la difesa del suolo, la tutela delle bellezze naturali, la prevenzione dei rischi derivanti da calamità naturali ed indica le linee generali per la conservazione, la manutenzione, e la realizzazione degli interventi previsti. Esso indica inoltre le caratteristiche generali delle infrastrutture, delle vie di comunicazione e delle attrezzature di interesse intercomunale e sovracomunale nonché i criteri generali da utilizzare per la valutazione dei carichi insediativi ammissibili nel territorio di competenza.

4. Il piano territoriale provinciale ha durata indeterminata.

5. Il piano territoriale provinciale è predisposto e approvato dalla provincia con le modalità di cui agli articoli 24 e 25.

6. I piani specialistici riguardanti il territorio provinciale, ivi inclusi i piani riguardanti le aree naturali protette, e i piani specialistici relativi alla tutela dei beni culturali e dell'ambiente, alla difesa del suolo, alla prevenzione di rischi derivanti da calamità naturali vengono recepiti nel piano territoriale con le modalità previste dalla presente legge.

7. I piani di settore riguardanti il territorio provinciale non possono modificare le disposizioni del piano territoriale vigente.

8. Le regioni promuovono, con riferimento a problemi aventi carattere interprovinciale o sovraprovinciale, e con particolare riguardo ai problemi relativi alla difesa del suolo, specifiche forme di cooperazione tra le province interessate e le amministrazioni competenti.

Art. 21. (Piano urbanistico comunale).

1. Il piano urbanistico comunale definisce l'assetto del territorio del comune.

2. Il piano urbanistico comunale, in coerenza con le disposizioni del piano territoriale provinciale:

a) considera la totalità del territorio comunale;

b) definisce gli elementi del territorio soggetti a tutela o considerati comunque costitutivi, invarianti o consolidati;

c) fissa gli obiettivi da perseguire in termini di prestazioni urbane e ambientali, anche con riferimento al sistema della mobilità, nonché quelli relativi allo sviluppo delle attività economiche e produttive;

d) determina i fabbisogni insediativi e le priorità relative alle opere di urbanizzazione;

e) stabilisce le parti del territorio non suscettibili di trasformazione urbanistica, ivi incluse la città storica, le zone di urbanizzazione consolidata, le zone agricole;

f) indica le parti del territorio nelle quali i piani operativi possono prevedere interventi di trasformazione urbanistica, distinguendole secondo caratteristiche di omogeneità, nonché criteri e indicazioni di massima per la localizzazione delle infrastrutture e della rete delle principali vie di comunicazione;

3. Il piano urbanistico comunale contiene una specifica normativa, denominata normativa tecnica di attuazione, riguardante la manutenzione del territorio e la manutenzione urbana, il recupero, la trasformazione e la sostituzione edilizia, il supporto alle attività produttive, la tutela del paesaggio agrario e il mantenimento e lo sviluppo della attività agricola, la regolamentazione della attività edilizia nonché criteri per la definizione delle funzioni urbane e delle loro compatibilità.

4. Il piano urbanistico comunale ha durata indeterminata.

5. Il piano urbanistico comunale è predisposto e approvato con le modalità di cui agli articoli 24 e 25.

6. I piani specialistici riguardanti il territorio comunale, ivi inclusi i piani riguardanti le aree naturali protette e i piani specialistici relativi alla tutela dei beni culturali e dell'ambiente, alla difesa del suolo, alla prevenzione da rischi derivanti da calamità naturali sono recepiti nel piano urbanistico con le modalità previste dalla presente legge.

7. I piani di settore riguardanti il territorio comunale non possono modificare le disposizioni del piano urbanistico vigente.

8. Le regioni promuovono, con riferimento a questioni aventi carattere intercomunale o sovracomunale, specifiche forme di cooperazione tra i comuni interessati e le amministrazioni competenti e disciplinano inoltre i casi nei quali, d'intesa con i comuni interessati, il piano urbanistico può avere carattere e dimensione intercomunale.

Art. 22. (Piano operativo).

1. Il piano operativo individua, con riferimento al territorio comunale e al periodo di tempo della propria validità, gli immobili da assoggettare a trasformazione urbanistica, nonché altri immobili da destinare alla realizzazione di infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e altre opere pubbliche e di interesse pubblico.

2. Il piano operativo:

a) raggruppa tutti gli immobili soggetti a trasformazione urbanistica in comparti urbanistici, con le modalità previste dall'articolo 27;

b) definisce, all'interno dei singoli comparti urbanistici, la quantità di immobili da destinare ad infrastrutture, attrezzature, aree verdi, edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche o di interesse pubblico di cui è prevista la cessione al comune o ad altri soggetti pubblici, nonché le caratteristiche ed il dimensionamento dei relativi interventi edilizi, e ne può anche indicare, ove opportuno, la localizzazione all'interno del comparto;

c) definisce, all'esterno dei comparti urbanistici, la localizzazione delle ulteriori infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e delle altre opere pubbliche o di interesse pubblico, ivi incluse quelle di competenza dello Stato o di altri soggetti pubblici, e individua gli immobili sottoposti a vincolo finalizzato alla espropriazione;

d) quantifica gli oneri finanziari a carico del comune e di altri soggetti pubblici e ne indica in modo documentato le fonti di finanziamento.

3. Il piano operativo comunale ha la durata di cinque anni.

4. Il piano operativo è predisposto e approvato dal comune con le modalità di cui all'articolo 26.

5. Il comune allega al proprio bilancio annuale di previsione una relazione sullo stato di attuazione degli interventi previsti dal piano operativo vigente.

Art. 23. (Piano metropolitano).

1. La città metropolitana predispone e approva, con le modalità di cui agli articoli 24 e 25, il piano metropolitano, il quale sostituisce, a tutti gli effetti, il piano territoriale provinciale e il piano urbanistico comunale con riferimento al territorio di competenza della città metropolitana medesima.

2. I comuni costituenti la città metropolitana adottano e approvano, con le modalità di cui all'articolo 26, i propri piani operativi, in coerenza con le disposizioni del piano metropolitano vigente. L'insieme dei piani operativi di tutti i comuni appartenenti alla città metropolitana costituisce un documento denominato piano operativo metropolitano.

Art. 24. (Conferenza territoriale, urbanistica, metropolitana).

1. Il piano territoriale provinciale, il piano urbanistico comunale, il piano metropolitano sono adottati dall'ente locale competente e sottoposti alla valutazione della conferenza di cui al presente articolo.

2. La conferenza è convocata dall'ente locale proponente il piano.

3. Alla conferenza partecipano tutti i soggetti titolari di funzioni relative a piani specialistici, imposizione di vincoli, tutela e gestione di aree naturali protette, piani di settore, realizzazione e gestione di infrastrutture, rilascio di nulla-osta, espressione di pareri, e partecipano inoltre tutti gli altri soggetti interessati titolari di funzioni relative al governo del territorio.

4. La conferenza esamina il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano adottato dall'ente locale competente, ne verifica la coerenza con le disposizioni vigenti, provvede al coordinamento delle disposizioni riguardanti il territorio considerato, e si conclude con la definizione dell'intesa tra i partecipanti con le modalità di cui al presente articolo.

5. L'intesa della conferenza è definita con il consenso dell'ente locale proponente.

6. L'intesa non è raggiunta qualora si registri il dissenso, motivato con riferimento alla violazione di vincoli o di disposizioni vigenti, da parte delle amministrazioni titolari di funzioni relative a beni culturali, ambiente, difesa del suolo, protezione dai rischi derivanti da calamità naturali. In tal caso, fino a quando si registri il dissenso delle amministrazioni, i vincoli e le disposizioni vigenti sulla cui violazione è stato motivato il dissenso medesimo conservano il valore e gli effetti loro assegnati dalle leggi statali e regionali.

7. Fermo restando quanto previsto dai commi 5 e 6, l'intesa della conferenza è definita con le modalità previste dalla vigente disciplina, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, in materia di conferenza di servizi.

8. L'intesa definita dalla conferenza è vincolante per tutti i soggetti partecipanti alla conferenza stessa, e tiene luogo di ogni atto o parere di competenza dei soggetti medesimi

9. I piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani sono approvati dall'ente locale competente dopo la definizione dell'intesa della conferenza, con le modalità di cui all'articolo 25.

10. Le regioni disciplinano, fatto salvo quanto previsto dal presente articolo, le modalità di convocazione, di svolgimento della conferenza ed i termini che gli enti locali competenti stabiliscono per la durata della stessa. Esse possono inoltre prevedere, con riferimento al piano urbanistico comunale, che la conferenza urbanistica si svolga, previa intesa con i comuni interessati, su base intercomunale.

11. Le conferenze convocate per la valutazione del piano territoriale provinciale, del piano urbanistico comunale, del piano metropolitano assumono la denominazione, rispettivamente, di conferenza territoriale, conferenza urbanistica, conferenza metropolitana.

Art. 25. (Approvazione dei piani territoriali, urbanistici, metropolitani).

1. La proposta di piano territoriale, di piano urbanistico o di piano metropolitano, risultante dall'intesa definita dalla conferenza di cui all'articolo 24, è pubblicata dall'ente locale competente entro quindici giorni dalla data di conclusione della conferenza medesima.

2. Alla proposta di piano di cui al comma 1 possono essere presentate, entro trenta giorni dalla data della sua pubblicazione, le osservazioni di cui all'articolo 13.

3. L'ente locale competente sottopone alla valutazione della conferenza le osservazioni presentate, e si esprime sulle medesime entro novanta giorni dalla data di pubblicazione della proposta di piano di cui al comma 1.

4. L'ente locale competente approva il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano entro il medesimo termine di cui al comma 3, dopo essersi espresso sulle osservazioni presentate.

5. Il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano approvato dall'ente locale competente è sottoposto a controllo solo nel caso previsto dall'articolo 12.

6. L'aggiornamento o la modifica del piano territoriale, del piano urbanistico, del piano metropolitano sono predisposti e approvati con le stesse modalità previste dalla presente legge per la (...) predisposizione e l'approvazione dei piani medesimi.

7. Successivamente alla approvazione del piano territoriale, del piano urbanistico, del piano metropolitano i poteri statali di integrazione degli elenchi dei beni ambientali sottoposti a vincolo sono esercitabili solo in presenza di un fatto sopravvenuto o di una motivata riconsiderazione dell'interesse pubblico.

8. Qualora, dopo l'approvazione del piano territoriale, urbanistico, metropolitano sia approvato un nuovo piano specialistico o ricorrano le circostanze di cui al comma 7, l'amministrazione competente chiede agli enti locali interessati la convocazione della conferenza per procedere al recepimento nei piani medesimi delle nuove disposizioni e dei nuovi vincoli.

Art. 26. (Approvazione dei piani operativi).

1. La proposta di piano operativo è adottata dal comune. Il piano operativo non è sottoposto alla valutazione della conferenza di cui all'articolo 24.

2. Alla proposta di piano operativo adottata dal comune, possono essere presentate, entro trenta giorni dalla data della adozione, le osservazioni e le opposizioni di cui all'articolo 13.

3. Il comune si esprime sulle osservazioni e sulle opposizioni entro novanta giorni dalla data della adozione del piano operativo.

4. Il comune approva il piano operativo entro il termine di cui al comma 3, dopo essersi espresso sulle osservazioni e sulle opposizioni presentate.

5. Il piano operativo è sottoposto a controllo solo nel caso di cui all'articolo 12.

6. Il piano operativo viene aggiornato o modificato con le stesse modalità previste dalla presente legge per la sua predisposizione ed approvazione.

7. Il piano operativo non può essere approvato in assenza di un piano urbanistico comunale vigente, né può modificare il piano urbanistico vigente.Nel caso in cui il piano operativo determini comunque l'esigenza di modifiche al piano urbanistico vigente, la sua approvazione è possibile solo dopo la modifica del piano urbanistico medesimo, approvata con le modalità di cui agli articoli 24 e 25.

Art. 27. (Comparto urbanistico).

1. Il comparto urbanistico è costituito dall'insieme degli immobili perimetrato a tale scopo dal piano operativo, che ne indica le possibili trasformazioni urbanistiche ed edilizie, le tipologie di intervento, le funzioni urbane ammissibili, l'edificazione complessiva consentita e le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi nel perimetro del comparto, la quantità e, ove opportuno, anche la localizzazione, degli immobili da cedere gratuitamente al comune o ad altri soggetti pubblici per la realizzazione nel comparto di infrastrutture, attrezzature, aree verdi, interventi di edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche e di interesse pubblico.

2. Le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico sono espressi in metri quadrati o in metri cubi; le stesse quote edificatorie sono ripartite tra i proprietari in proporzione alla frazione percentuale, da ciascuno di essi detenuta, del complessivo valore imponibile, accertato ai fini dell'imposta comunale sugli immobili, per l'insieme di tutti gli immobili inclusi nel perimetro del comparto stesso. Nel caso siano inclusi nel comparto immobili per i quali non risulti accertato il valore dell'imponibile relativo alla imposta comunale sugli immobili, tale valore è determinato dall'Ufficio tecnico erariale sulla base dei valori accertati per altri immobili aventi caratteristiche analoghe, entro trenta giorni dalla data di approvazione del piano operativo.

3. Entro trenta giorni dalla data di approvazione del piano operativo, il comune determina la quantità di quote edificatorie attribuite dal piano operativo medesimo ai proprietari di immobili inclusi in ciascun comparto, nonché gli obblighi a favore del comune o di altri soggetti pubblici connessi con la attuazione del comparto stesso, e ne dà comunicazione ai proprietari interessati. Le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico sono liberamente commerciabili, ma non possono essere trasferite in altri comparti urbanistici.

4. Ferme restando le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili, il piano operativo definisce altresì le caratteristiche ed il dimensionamento degli interventi edilizi relativi alla realizzazione, nei comparti urbanistici, di attrezzature, inteventi di edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche o di interesse pubblico.

5. Le regioni definiscono i criteri ed i limiti per la definizione da parte dei comuni, nei propri piani operativi, degli interventi di cui al comma 4.

Art. 28. (Attuazione del comparto urbanistico).

1. Il comparto urbanistico può essere attuato dai proprietari degli immobili inclusi nel comparto medesimo, direttamente dal comune, ovvero da società miste, o da altri soggetti pubblici e privati.

2. Nel caso di attuazione di un comparto da parte di soggetti privati, devono essere preventivamente ceduti a titolo gratuito al comune o ad altri soggetti pubblici gli immobili necessari per la realizzazione, nel comparto, di infrastrutture, attrezzature, aree verdi, interventi di edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche e di interesse pubblico, nella quantità prevista dal piano operativo e sulla base delle indicazioni di localizzazione indicate dal comune.

3. I detentori, singoli o associati, di una quantità superiore al cinquanta per cento delle quote edificatorie complessive attribuite ad un comparto urbanistico, possono procedere alla attuazione del comparto qualora si verifichi il rifiuto o l'inerzia dei rimanenti proprietari. In questo caso, i medesimi soggetti procedono alla attuazione del comparto, acquisite le quote edificatorie attribuite ai proprietari che abbiano deciso di non partecipare alla iniziativa, ed i relativi immobili, mediante corresponsione del controvalore di cui al comma 6 o, nel caso di rifiuto, mediante deposito della somma prevista presso la tesoreria comunale.

4. Nel caso di inerzia o di rifiuto all'attuazione di un comparto urbanistico da parte di proprietari di immobili detentori, nel loro insieme, di una quantità superiore al cinquanta per cento delle quote edificatorie complessive attribuite al comparto, il comune fissa un termine per l'attuazione del comparto medesimo, trascorso inutilmente il quale lo stesso comune può decidere di attuare direttamente, anche per mezzo di una società mista, il comparto urbanistico, acquisendone le quote edificatorie ed i relativi immobili con le modalità di cui al comma 6.

5. Qualora il comune decida di non attuare direttamente il comparto secondo quanto previsto dal comma 4, operatori economici possono avanzare specifiche proposte organizzative e finanziarie per la attuazione del medesimo impegnandosi all'acquisizione, con le modalità di cui ai commi 4 e 6, delle quote edificatorie e dei relativi immobili dei proprietari che rifiutino di partecipare all'iniziativa. Le proposte sono indirizzate al comune, il quale procede alla scelta dei soggetti incaricati dell'intervento nel comparto per mezzo di procedure ad evidenza pubblica.

6. Le acquisizioni delle quote edificatorie e dei relativi immobili di cui ai commi 3, 4 e 5 avvengono mediante procedura di esproprio al valore determinato dall'Ufficio tecnico erariale.

Art. 29. (Standard urbanistici).

1. Le regioni indicano i criteri urbanistici, le prestazioni minime richieste ed i parametri, anche pro-capite, per la definizione, da parte dei piani operativi, delle quantità, delle caratteristiche, e della localizzazione di attrezzature, servizi, aree verdi, sia nei comparti urbanistici sia al di fuori degli stessi.

2. Nel caso di interventi edilizi relativi ad immobili non inclusi in comparti urbanistici che comportino modifiche delle funzioni urbane preesistenti, il comune procede ad una verifica dell'eventuale fabbisogno aggiuntivo, determinato da tali modifiche, di immobili per attrezzature, aree verdi ed altre opere pubbliche e di interesse pubblico e subordina l'autorizzazione dei medesimi interventi alla cessione a titolo gratuito al comune o ad altri soggetti pubblici aventi titolo, da parte dei soggetti interessati, degli immobili occorrenti o al versamento a favore del comune, da parte dei medesimi soggetti, dell'importo determinato dall'Ufficio tecnico erariale per l'acquisizione dei predetti immobili.

3. Le regioni indicano inoltre i casi nei quali, per determinate attrezzature e servizi, i privati possono concorrere alla realizzazione e alla gestione degli stessi secondo modalità disciplinate dalle regioni medesime.

Art. 30. (Titoli abilitativi alla attività edilizia).

1. I comuni provvedono al rilascio dei titoli abilitativi all'attività edilizia mediante lo strumento dello sportello urbanistico di cui all'articolo 3.

2. Le regioni definiscono, nel rispetto delle norme vigenti relative alla tutela e alla sicurezza del territorio e degli immobili che lo compongono, la normativa riguardante il rilascio dei titoli abilitativi all'attività edilizia.

3. Sono in ogni caso subordinate al rilascio di uno specifico titolo abilitativo all'attività edilizia gli interventi di trasformazione urbanistica e gli interventi edilizi che comportino modifiche alle funzioni urbane preesistenti.

Art. 31. (Oneri di concessione e oneri di urbanizzazione).

1. Le regioni indicano i criteri ed i parametri per la determinazione degli oneri di concessione dovuti dai promotori di trasformazioni urbanistiche e di iniziative edilizie, nonché le modalità di pagamento o di esenzione dal pagamento degli oneri medesimi.

2. Le regioni indicano altresì i criteri e i parametri per la determinazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria ed i casi nei quali è consentita, in alternativa al pagamento, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione da parte dei promotori delle iniziative.

Art. 32. (Opere dello Stato, delle regioni, delle province e di altri soggetti pubblici).

1. Lo Stato, le regioni, le province e gli altri soggetti pubblici aventi titolo predispongono e realizzano le opere di propria competenza con il metodo della programmazione pluriennale prevista dalle leggi vigenti. Di tale programmazione viene data tempestiva comunicazione agli enti locali interessati.

2. Le opere programmate di cui al comma 1 sono recepite nei piani territoriali, nei piani urbanistici, nei piani metropolitani, nonché nei piani operativi, con le modalità di cui alla presente legge.

3. Nel caso in cui le opere di cui al comma 1 non risultino già previste nei piani territoriali, nei piani urbanistici, nei piani metropolitani l'amministrazione procedente chiede agli enti locali interessati la convocazione della conferenza di cui all'articolo 24 della presente legge, ai fini del loro recepimento nei piani medesimi.

4. Le opere di cui al comma 1 sono recepite nel piano operativo, su richiesta delle amministrazioni interessate, qualora la realizzazione delle opere medesime sia programmata per il periodo di validità dello stesso piano operativo.

5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche per le opere date in concessione dallo Stato.

CAPO III Norme finali e transitorie.

Art. 33. (Testo Unico Nazionale).

1. Il Governo della Repubblica è delegato ad adottare, con decreto legislativo, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri dell'ambiente, per i beni e le attività culturali, dell'interno, dei trasporti e della navigazione, un testo unico nel quale sono riunite e coordinate le disposizioni statali vigenti in materia di governo del territorio. Il decreto è emanato, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite la conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e le commissioni parlamentari competenti.

2. Il testo unico è predisposto sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) conformità con i princìpi e le disposizioni della presente legge;

b) competenza dello Stato nella materia oggetto delle disposizioni contenute nel testo unico;

c) abrogazione esplicita di tutte le disposizioni non conformi ai criteri di cui ai precedenti punti a) e b).

Art. 34. (Disposizioni attuative e transitorie).

1. Le regioni approvano le norme e adottano i provvedimenti di propria competenza, definiti dalla presente legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

2. I piani territoriali provinciali, come definiti dalla presente legge, sono predisposti e approvati dalle province entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

3. I piani urbanistici comunali, come definiti dalla presente legge, sono predisposti e approvati dai comuni entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

4. I piani metropolitani, come definiti dalla presente legge, sono predisposti e approvati dalla città metropolitana entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima. Nel caso in cui la città metropolitana sia istituita successivamente alla predetta data, il piano metropolitano è predisposto e approvato entro il termine di due anni dalla data dell'istituzione della città metropolitana medesima.

5. Il piano operativo è approvato dal comune entro un anno dalla data di approvazione, ai sensi della presente legge, del primo piano urbanistico comunale.

6. I piani specialistici e i piani di settore, comunque denominati, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, mantengono la loro autonoma validità sino alla approvazione dei nuovi piani territoriali ed urbanistici di cui ai precedenti commi 2, 3, e 4.

7. In sede di prima applicazione della presente legge, i proprietari di immobili inclusi in comparti urbanistici dal primo piano operativo approvato dal comune ai sensi della presente legge possono chiedere, entro quindici giorni dalla data di approvazione dello stesso, un nuovo accertamento, da parte dell'Ufficio tecnico erariale, del valore imponibile relativo alla applicazione dell'imposta comunale sugli immobili. L'Ufficio tecnico erariale definisce e comunica al comune, entro i successivi trenta giorni, il nuovo accertamento.

8. Nel caso in cui il nuovo accertamento di cui al comma 7 risulti di valore superiore al precedente, le maggiori imposte comunali sugli immobili conseguenti al nuovo accertamento sono dovute anche con riferimento ai cinque anni precedenti alla richiesta di nuovo accertamento da parte del proprietario interessato.

9. Nel caso previsto dal comma 7, i termini stabiliti dall'articolo 27 per la determinazione delle quote edificatorie da parte del comune sono elevati da trenta a sessanta giorni.

10. Restano in vigore, sino alla data di approvazione da parte della provincia, del comune, della città metropolitana rispettivamente, del primo piano territoriale, del primo piano urbanistico, e del primo piano metropolitano di cui alla presente legge, le norme e le misure di salvaguardia vigenti per gli strumenti urbanistici adottati ma non ancora approvati.

Art. 35. (Imposte immobiliari nei comparti urbanistici).

Le imposte sui trasferimenti immobiliari all'interno di un comparto urbanistico, finalizzati alla attuazione del comparto medesimo, si applicano solo alle eventuali plusvalenze realizzate negli atti di trasferimento e di cessione a titolo oneroso, purché gli stessi abbiano avuto luogo dopo l'approvazione del piano operativo e non oltre trenta giorni dalla data di rilascio, da parte del comune, del titolo abilitativo alla realizzazione degli interventi previsti nel comparto.

TESTO STORICO

Articolo unico

A decorrere dalla data della deliberazione comunale di adozione dei piani generali e dei piani particolareggiati di esecuzione previsti dalla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, e fino all'emanazione del relativo decreto di approvazione, il sindaco, su parere conforme della Commissione edilizia comunale, può, con provvedimento motivato da notificare al richiedente, sospendere ogni determinazione sulle domande di licenza di costruzione, di cui all'art. 31 di detta legge, quando riconosca che tali domande siano in contrasto con il piano adottato.

A richiesta del sindaco, e per il periodo suddetto, il prefetto, con provvedimento motivato da notificare all'interessato, può ordinare la sospensione dei lavori di trasformazione delle proprietà private che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l'attuazione del piano.

In ogni caso, le sospensioni suddette non potranno essere protratte oltre due anni dalla data della deliberazione di cui al primo comma.

Nei confronti dei trasgressori ai provvedimenti emessi in base alla presente legge sono applicabili le disposizioni di cui agli articoli 32, terzo e quarto comma, e 41 della suddetta legge urbanistica.



TESTO COORDINATO

(con modifiche e integrazioni - L.1357/1955, art. 4; L. 517/1966, art. 1 - indicate in corsivo)

Articolo unico

A decorrere dalla data della deliberazione comunale di adozione dei piani regolatori generali e particolareggiati, e fino all'emanazione del relativo decreto di approvazione, il sindaco, su parere conforme della Commissione edilizia comunale, può, con prevvedimento motivato da notificare al richiedente, sospendere ogni determinazione sulle domande di licenza di costruzione, di cui all'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, quando riconosca che tali domande siano in contrasto con il piano adottato.

A richiesta del sindaco, e per il periodo suddetto, il prefetto, con provvedimento motivato da notificare all'interessato, può ordinare la sospensione dei lavori di trasformazione delle proprietà private che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l'attuazione del piano.

Le sospensioni suddette non potranno essere protratte oltre tre anni dalla data di deliberazione di cui al primo comma.

Per i Comuni che entro un anno dalla scadenza del termine di pubblicazione del piano abbiano presentato il piano stesso all'Amministrazione dei lavori pubblici per l'approvazione, le sospensioni di cui ai commi precedenti potranno essere protratte per un periodo complessivo non superiore a cinque anni dalla data della deliberazione di adozione del piano.

Quando, in seguito alle osservazioni del Ministero dei lavori pubblici, si renda necessaria la riadozione del piano, le sospensioni di cui ai due commi precedenti decorrono, per tutto il territorio interessato dal piano stesso, dalla data della deliberazione comunale di riadozione dei piani regolatori generali e particolareggiati.

Nei confronti dei trasgressori ai provvedimenti emessi in base alla presente legge sono applicabili le disposizioni di cui agli articoli 32, terzo e quarto comma, e 41 della suddetta legge urbanistica.

INDICE

TITOLO I - ORDINAMENTO STATALE DEI SERVIZI URBANISTICI

Art. 1 - Disciplina dell’attività urbanistica e suoi scopi

Art. 2 - Competenza consultiva del Consiglio superiore dei lavori pubblici

Art. 3 - Istituzione delle Sezioni urbanistiche compartimentali

TITOLO II - DISCIPLINA URBANISTICA

CAPO I - MODI DI ATTUAZIONE

Art. 4 - Piani regolatori e norme sull’attività costruttiva

CAPO II - PIANI TERRITORIALI DI COORDINAMENTO

Art. 5 - Formazione ed approvazione dei piani territoriali di coordinamento

Art. 6 - Durata ed effetti dei piani territoriali di coordinamento

CAPO III - PIANI REGOLATORI COMUNALI

SEZIONE I – Piani regolatori generali

Art. 7 - Contenuto del piano generale

Art. 8 - Formazione del piano regolatore generale

Art. 9 - Pubblicazione del progetto del piano generale. Osservazioni

Art. 10 - Approvazione del piano generale

Art. 11 - Durata ed effetti del piano generale

Art. 12 - Piani regolatori generali intercomunali

SEZIONE II – Piani regolatori particolareggiati

Art. 13 - Contenuto dei piani particolareggiati

Art. 14 - Compilazione dei piani particolareggiati

Art. 15 - Pubblicazione dei piani particolareggiati. Opposizioni

Art. 16 - Approvazione dei piani particolareggiati

Art. 17 - Validità dei piani particolareggiati

SEZIONE III - Norme per l'attuazione dei piani regolatori comunali

Art. 18 - Espropriabilità delle aree urbane

Art. 19 - Diritto di prelazione degli ex proprietari sulle aree urbane espropriate

Art. 20 - Sistemazioni edilizie a carico dei privati. Procedura coattiva

Art. 21 - Attribuzione ai privati di aree già pubbliche

Art. 22 - Rettifica di confini

Art. 23 - Comparti edificatori

Art. 24 - Aree private destinate alla formazione di vie e piazze

Art. 25 - Vincolo su aree sistemate a giardini privati

Art. 26 - Sospensione o demolizione di opere difformi dal piano regolatore

Art. 27 - Annullamento di autorizzazioni comunali

Art. 28 - Lottizzazione di aree

Art. 29 - Conformità delle costruzioni statali alle prescrizioni del piano regolatore comunale

Art. 30 - Approvazione del piano finanziario

CAPO IV - NORME REGOLATRICI DELL'ATTIVITÀ COSTRUTTIVA EDILIZIA

Art. 31 - Licenza edilizia - Responsabilità comune del committente e dell'assuntore dei lavori

Art. 32 - Attribuzione del Podestà per la vigilanza sulle costruzioni

Art. 33 - Contenuto dei regolamenti edilizi comunali

Art. 34 - Programma di fabbricazione per i Comuni sprovvisti di piano regolatore

Art. 35 - Termine per uniformare i regolamenti edilizi comunali alle norme della presente legge

Art. 36 - Approvazione dei regolamenti edilizi comunali

TITOLO III - DETERMINAZIONE DELL'INDENNITÀ DI ESPROPRIAZIONE

Art. 37 - Rinvio alla legge generale sulle espropriazioni per pubblica utilità

Art. 38 - Valutazione dell'indennità per le aree urbane espropriabili

Art. 39 - Lavori di miglioramento eseguiti dopo l’approvazione del piano particolareggiato

Art. 40 - Oneri e vincoli non indennizzabili

TITOLO IV - DISPOSIZIONI GENERALI E TRANSITORIE

Art. 41 - Sanzioni penali

Art. 42 - Validità dei piani regolatori precedentemente approvati

Art. 43 - Servizi tecnici comunali o consorziali

Art. 44 - Norme integrative e di esecuzione della legge

Art. 45 - Disposizioni finali

TITOLO I - ORDINAMENTO STATALE DEI SERVIZI URBANISTICI

Art. 1 - Disciplina dell’attività urbanistica e suoi scopi

L’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio del Regno sono disciplinati dalla presente legge.

Il Ministero dei lavori pubblici vigila sull'attività urbanistica anche allo scopo di assicurare, nel rinnovamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri tradizionali, di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all'urbanesimo.

Art. 2 - Competenza consultiva del Consiglio superiore dei lavori pubblici

Il Consiglio superiore dei lavori pubblici è l'organo di consulenza tecnica del Ministero dei lavori pubblici per i progetti e le questioni di interesse urbanistico.

Art. 3 - Istituzione delle Sezioni urbanistiche compartimentali

Nelle sedi degli Ispettorati compartimentali del Genio civile e degli uffici decentrati del Ministero dei lavori pubblici sono istituite Sezioni urbanistiche rette da funzionari del ruolo architetti, ingegneri, urbanistici del Genio civile.

Le Sezioni urbanistiche compartimentali promuovono, vigilano e coordinano l'attività urbanistica nella rispettiva circoscrizione.

TITOLO II - DISCIPLINA URBANISTICA

CAPO I - MODI DI ATTUAZIONE

Art. 4 - Piani regolatori e norme sull’attività costruttiva

La disciplina urbanistica si attua a mezzo dei piani regolatori territoriali, dei piani regolatori comunali e delle norme sull’attività costruttiva edilizia, sancite dalla presente legge o prescritte a mezzo di regolamenti.

CAPO II. PIANI TERRITORIALI DI COORDINAMENTO

Art. 5 - Formazione ed approvazione dei piani territoriali di coordinamento

Allo scopo di orientare o coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio nazionale, il Ministero dei lavori pubblici ha facoltà di provvedere, su parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, alla compilazione di piani territoriali di coordinamento fissando il perimetro di ogni singolo piano.

Nella formazione dei detti piani devono stabilirsi le direttive da seguire nel territorio considerato, in rapporto principalmente:

a) alle zone da riservare a speciali destinazioni ed a quelle soggette a speciali vincoli o limitazioni di legge;

b) alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi od impianti di particolare natura ed importanza;

c) alla rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie, elettriche, navigabili esistenti e in programma.

I piani, elaborati d’intesa con le altre amministrazioni interessate e previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvati per decreto reale su proposta del Ministro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro per le comunicazioni, quando interessino impianti ferroviari, e col Ministro per le corporazioni, ai fini della sistemazione delle zone industriali nel territorio nazionale.

Il decreto di approvazione viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno, ed allo scopo di dare ordine e disciplina anche all’attività privata, un esemplare del piano approvato deve essere depositato, a libera visione del pubblico, presso ogni Comune, il cui territorio sia compreso, in tutto o in parte, nell’ambito del piano medesimo.

Art. 6 - Durata ed effetti dei piani territoriali di coordinamento

Il piano territoriale di coordinamento ha vigore a tempo indeterminato e può essere variato con decreto reale previa la osservanza della procedura che sarà stabilita dal regolamento di esecuzione della presente legge.

I Comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell’ambito di un piano territoriale di coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano regolatore comunale.

CAPO III - PIANI REGOLATORI COMUNALI

SEZIONE I – Piani regolatori generali

Art. 7 - Contenuto del piano generale

Il piano regolatore generale di un Comune deve considerare la totalità del territorio comunale.

Esso deve indicare essenzialmente:

1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e, laddove occorra, navigabili, concepita per la sistemazione e lo sviluppo dell’abitato, in modo da soddisfare alle esigenze del traffico, dell’igiene e del pubblico decoro;

2) la divisione in zone del territorio, con precisazione di quelle destinate all’espansione dell’aggregato urbano, ed i caratteri e vincoli di zona da osservare nell’edificazione;

3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;

4) le aree da riservare a sede della casa comunale e della casa del fascio, alla costruzione di scuole e di chiese e ad opere ed impianti d’interesse pubblico in generale.

Art. 8 - Formazione del piano regolatore generale

Ogni Comune del Regno ha facoltà di formare il piano regolatore del proprio territorio.

La formazione del piano è obbligatoria per tutti i Comuni compresi in appositi elenchi da approvarsi con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per l’interno e per le finanze, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici.

Il primo elenco sarà approvato non oltre un anno dall'entrata in vigore della presente legge.

I Comuni compresi negli elenchi di cui ai commi precedenti devono compilare il piano regolatore generale e presentarlo al Ministro per i lavori pubblici per l'approvazione entro cinque anni dalla data del decreto ministeriale con cui è stato approvato il rispettivo elenco.

Trascorso tale termine è in facoltà del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per l’interno, di disporre di ufficio la compilazione del piano.

In tal caso il Ministero dell’Interno provvede alla iscrizione d’ufficio della relativa spesa nel bilancio del Comune.

Art. 9 - Pubblicazione del progetto del piano generale. Osservazioni

Il progetto di piano regolatore generale del Comune deve essere depositato nella Segreteria comunale per la durata di 30 giorni consecutivi, durante i quali chiunque ha la facoltà di prenderne visione. L’effettuato deposito è reso noto al pubblico nei modi che saranno stabiliti nel regolamento di esecuzione della presente legge.

Fino a 30 giorni dopo la scadenza del periodo di deposito possono presentare osservazioni le Associazioni sindacali e gli altri Enti pubblici ed istituzioni interessate.

Art. 10 - Approvazione del piano generale

Il piano regolatore generale, previa comunicazione a tutti i Ministeri interessati ai sensi e per gli effetti del successivo articolo 45, e sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, è approvato con decreto reale su proposta del Ministro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro per le comunicazioni, quando il piano stesso interessi impianti ferroviari.

Il decreto di approvazione del piano è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno. Il deposito del piano approvato, presso il Comune, e libera visione del pubblico, è fatto nei modi e termini stabiliti dal regolamento.

Nessuna proposta di variante al piano approvato può aver corso se non sia intervenuta la preventiva autorizzazione del Ministro per i lavori pubblici che potrà concederla, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, in vista di sopravvenute ragioni che determinano la totale o parziale inattualità del piano medesimo o la convenienza di migliorarlo.

La variazione del piano è approvata con la stessa procedura stabilita per l'approvazione del piano originario.

Art. 11 - Durata ed effetti del piano generale

Il piano regolatore generale del Comune ha vigore a tempo indeterminato.

I proprietari degli immobili hanno l’obbligo di osservare nelle costruzioni e nelle ricostruzioni le linee e le prescrizioni di zona che sono indicate nel piano.

Sono fatti salvi i poteri del Ministero delle corporazioni di autorizzare in caso di necessità nuovi impianti industriali fuori delle zone previste dai piani regolatori.

Art. 12 - Piani regolatori generali intercomunali

Quando per le caratteristiche di sviluppo degli aggregati edilizi di due o più Comuni contermini si riconosca opportuno il coordinamento delle direttive riguardanti l'assetto urbanistico dei Comuni stessi, il Ministro per i lavori pubblici può, a richiesta di una delle Amministrazioni interessate o di propria iniziativa, disporre la formazione di un piano regolatore intercomunale.

In tal caso il Ministro, sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, determina:

a) l'estensione del piano intercomunale da formare;

b) quale dei Comuni interessati debba provvedere alla redazione del piano stesso e come debba essere ripartita la relativa spesa.

Il piano intercomunale deve, a cura del Comune incaricato di redigerlo, essere pubblicato nei modi e per gli effetti di cui all’art. 9 in tutti i Comuni compresi nel territorio da esso considerato.

Deve inoltre essere comunicato ai Podestà degli stessi Comuni perché deliberino circa la sua adozione.

Compiuta l’ulteriore istruttoria a norma del regolamento di esecuzione della presente legge, il piano intercomunale è approvato negli stessi modi stabiliti dall’art. 10 per l’approvazione del piano generale comunale.

SEZIONE II – Piani regolatori particolareggiati

Art. 13 - Contenuto dei piani particolareggiati

Il piano regolatore generale è attuato a mezzo di piani particolareggiati di esecuzione nei quali devono essere indicate le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona e debbono inoltre essere determinati:

- le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze;

- gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico;

- gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia;

- le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata nel piano;

- gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare;

- la profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future.

Ciascun piano particolareggiato di esecuzione deve essere corredato dalla relazione illustrativa e dal piano finanziario di cui al successivo art. 30.

Art. 14 - Compilazione dei piani particolareggiati

I piani particolareggiati di esecuzione sono compilati a cura del Comune e debbono essere adottati dal Podestà con apposita deliberazione.

È però in facoltà del Prefetto di prefiggere un termine per la compilazione dei piani particolareggiati riguardanti determinate zone.

Contro il decreto del Prefetto il Podestà può ricorrere, entro 30 giorni, al Ministro per i lavori pubblici.

Art. 15 - Pubblicazione dei piani particolareggiati. Opposizioni

I piani particolareggiati devono essere depositati nella Segreteria del Comune per la durata di 30 giorni consecutivi.

L’effettuato deposito è reso noto al pubblico nei modi che saranno stabiliti nel regolamento di esecuzione della presente legge.

Fino a 30 giorni dopo la scadenza del periodo di deposito potranno essere presentate opposizioni dai proprietari di immobili compresi nei piani ed osservazioni da parte delle Associazioni sindacali interessate.

Art. 16 - Approvazione dei piani particolareggiati

I piani particolareggiati, previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvati con decreto reale, su proposta del Ministro per i lavori pubblici.

I piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1 giugno 1939-XVII, n. 1809, e alla legge 29 giugno 1939-XVII, n. 1497, dovranno essere preventivamente sottoposti al Ministro dell’educazione nazionale.

Col decreto di approvazione sono decise le opposizioni e sono fissati il tempo, non maggiore di anni 10, entro il quale il piano particolareggiato dovrà essere attuato e i termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni.

L'approvazione dei piani particolareggiati equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle opere in essi previste.

Il decreto di approvazione di un piano particolareggiato deve essere depositato nella segreteria comunale e notificato nelle forme delle citazioni a ciascun proprietario degli immobili vincolati dal piano stesso entro un mese dall'annuncio dell'avvenuto deposito.

Le varianti ai piani particolareggiati devono essere approvate con la stessa procedura.

Art. 17 - Validità dei piani particolareggiati

Decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso.

Ove il Comune non provveda a presentare un nuovo piano per il necessario assetto della parte di piano particolareggiato che sia rimasta inattuata per decorso di termine, la compilazione potrà essere disposta dal Prefetto a norma del secondo comma dell’art. 14.

SEZIONE III - Norme per l'attuazione dei piani regolatori comunali

Art. 18 - Espropriabilità delle aree urbane

In conseguenza dell'approvazione del piano regolatore generale i Comuni, allo scopo di predisporre l'ordinata attuazione del piano medesimo, hanno facoltà di espropriare entro le zone di espansione dell'aggregato urbano di cui al n. 2 dell'art. 7 le aree inedificate e quelle su cui insistano costruzioni che siano in contrasto con la destinazione di zona ovvero abbiano carattere provvisorio.

Quelle fra le dette aree che in seguito all'approvazione del piano particolareggiato in cui sono comprese, risultino destinate alla edificazione privata, e vengano richieste dai primitivi proprietari ai sensi del seguente art. 19, saranno dal Comune ricedute ai richiedenti, sempreché essi stessi si impegnino a costruirvi in proprio secondo le destinazioni di piano regolatore, ad un prezzo che, tenuto per base quello di esproprio, sia maggiorato solo di una quota commisurata alle spese incontrate dal Comune per le opere ed impianti di piano regolatore e all'importanza della destinazione.

Le aree espropriate ai sensi del primo comma del presente articolo dovranno dal Comune, verso pagamento di un congruo fitto, essere lasciate in uso ai proprietari espropriati che ne facciano richiesta fino all’approvazione del piano particolareggiato in cui sono compresi.

Se entro dieci anni dall'avvenuta espropriazione di un'area il Comune non provveda alla pubblicazione del piano particolareggiato in cui l'area medesima è compresa, l'espropriato o i suoi eredi avranno il diritto di chiederne la retrocessione.

Art. 19 - Diritto di prelazione degli ex proprietari sulle aree urbane espropriate

Coloro che hanno subito l'espropriazione di aree a termini dell'articolo precedente ed i loro eredi possono esercitare un diritto di prelazione sulle aree stesse quando queste, in seguito alla approvazione del piano particolareggiato in cui sono comprese, divengono disponibili per l'edificazione privata.

Il diritto di cui al comma precedente deve essere esercitato dagli interessati secondo le norme che saranno stabilite dal regolamento di esecuzione della presente legge, nel termine di tre mesi dalla data dell'annunzio dell'avvenuto deposito nella segreteria comunale, a norma dell'art. 16, del decreto di approvazione del piano particolareggiato.

Art. 20 - Sistemazioni edilizie a carico dei privati. Procedura coattiva

Per l’esecuzione delle sistemazioni previste dal piano particolareggiato che consistano in costruzioni, ricostruzioni o modificazioni d’immobili appartenenti a privati, il Podestà ingiunge ai proprietari di eseguire i lavori entro un congruo termine.

Decorso tale termine il Podestà diffiderà i proprietari rimasti inadempienti, assegnando un nuovo termine. Se alla scadenza di questo i lavori non risultino ancora eseguiti, il Comune potrà procedere all’espropriazione.

Tanto l’ingiunzione quanto l’atto di diffida di cui al primo ed al secondo comma devono essere trascritti all’Ufficio dei registri immobiliari.

Art. 21 - Attribuzione ai privati di aree già pubbliche

Le aree che per effetto della esecuzione di un piano particolareggiato cessino di far parte del suolo pubblico, e che non si prestino da sole ad utilizzazione edilizia, accedono alla proprietà di coloro che hanno edifici o terreni confinanti con i detti relitti, previo versamento del prezzo che sarà determinato nei modi da stabilirsi dal regolamento di esecuzione della presente legge, in rapporto al vantaggio derivante dall’incorporamento dell’area.

Il Comune ha facoltà di espropriare in tutto o in parte l’immobile al quale debbono essere incorporate le aree di cui al precedente comma, quando il proprietario di esso si rifiuti di acquistarle o lasci inutilmente decorrere, per manifestare la propria volontà, il termine che gli sarà prefisso con ordinanza podestarile nei modi che saranno stabiliti nel regolamento.

Art. 22 - Rettifica di confini

Il Podestà ha facoltà di notificare ai proprietari delle aree fabbricabili esistenti in un determinato comprensorio l’invito a mettersi d’accordo per una modificazione dei confini fra le diverse proprietà, quando ciò sia necessario per l’attuazione del piano regolatore.

Decorso inutilmente il termine stabilito nell’atto di notifica per dare la prova del raggiunto accordo, il Comune può procedere alle espropriazioni indispensabili per attuare la nuova delimitazione delle aree.

Art. 23 - Comparti edificatori

Indipendentemente dalla facoltà prevista dall'articolo precedente il Comune può procedere, in sede di approvazione del piano regolatore particolareggiato o successivamente nei modi che saranno stabiliti nel regolamento ma sempre entro il termine di durata del piano stesso, alla formazione di comparti costituenti unità fabbricabili, comprendendo aree inedificate e costruzioni da trasformare secondo speciali prescrizioni.

Formato il comparto, il Podestà deve invitare i proprietari a dichiarare entro un termine fissato nell'atto di notifica, se intendano procedere da soli, se proprietari dell'intero comparto, o riuniti in consorzio alla edificazione dell'area e alle trasformazioni degli immobili in esso compresi secondo le dette prescrizioni.

A costituire il consorzio basterà il concorso dei proprietari rappresentanti, in base all'imponibile catastale, i tre quarti del valore dell'intero comparto. I consorzi così costituiti conseguiranno la piena disponibilità del comparto mediante la espropriazione delle aree e costruzioni dei proprietari non aderenti.

Quando sia decorso inutilmente il termine stabilito nell'atto di notifica il Comune procederà all'espropriazione del comparto.

Per l'assegnazione di esso, con l'obbligo di provvedere ai lavori di edificazione o di trasformazione a norma del piano particolareggiato, il Comune indirà una gara fra i proprietari espropriati sulla base di un prezzo corrispondente alla indennità di espropriazione aumentata da una somma corrispondente all'aumento di valore derivante dall'approvazione del piano regolatore.

In caso di diserzione della gara, il Comune potrà procedere all'assegnazione mediante gara aperta a tutti od anche, previa la prescritta autorizzazione, mediante vendita a trattativa privata, a prezzo non inferiore a quello posto a base della gara fra i proprietari espropriati.

Art. 24 - Aree private destinate alla formazione di vie e piazze

Per la formazione delle vie e piazze previste nel piano regolatore può essere fatto obbligo ai proprietari delle aree latistanti di cedere, a scomputo del contributo di miglioria da essi dovuto, il suolo corrispondente a metà della larghezza della via o piazza da formare fino a una profondità massima di metri 15.

Quando il detto suolo non gli appartenga, il proprietario dell’area latistante sarà invece tenuto a rimborsare il Comune della relativa indennità di espropriazione, fino alla concorrenza del contributo di miglioria determinato in via provvisoria.

Qualora alla liquidazione del contributo di miglioria, questo risulti inferiore al valore delle aree cedute o dell’indennità di esproprio rimborsata, il Comune dovrà restituire la differenza.

Art. 25 - Vincolo su aree sistemate a giardini privati

Le aree libere sistemate a giardini privati adiacenti a fabbricati possono essere sottoposte al vincolo dell’inedificabilità anche per una superficie superiore a quella di prescrizione secondo la destinazione della zona. In tal caso, e sempre che non si tratti di aree sottoposte ad analogo vincolo in forza di leggi speciali, il Comune è tenuto al pagamento di un’indennità per il vincolo imposto oltre il limite delle prescrizioni di zona.

Art. 26 - Sospensione o demolizione di opere difformi dal piano regolatore

Quando vengono eseguite opere non rispondenti alle prescrizioni del piano regolatore comunale, il Ministro dei lavori pubblici, ove il Comune non provveda, potrà, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, disporre la sospensione o demolizione delle opere stesse.

Art. 27 - Annullamento di autorizzazioni comunali

Le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzino opere non conformi a prescrizioni di piani regolatori, ovvero in qualsiasi modo costituiscano violazione delle prescrizioni stesse, possono essere in qualunque tempo annullati a norma dell'art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934-XII, n. 383, mediante decreto reale, su proposta del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con quello per l'interno.

Art. 28 - Lottizzazione di aree

Fino a quando non sia approvato il piano regolatore particolareggiato è vietato di procedere a lottizzazione dei terreni a scopo edilizio senza la prevendita autorizzazione del Comune.

Approvato il piano particolareggiato il Podestà ha facoltà di invitare i proprietari di aree fabbricabili esistenti nei singoli isolati, che non siano stati già lottizzati nello stesso piano particolareggiato, a presentare entro un congruo termine, un progetto di lottizzazione tra loro concordato, che assicuri la razionale utilizzazione delle aree stesse. Se essi non aderiscano, provvede alla compilazione di ufficio.

Il progetto di lottizzazione approvato con le modificazioni che l'autorità comunale abbia ritenuto di apportare è notificato per mezzo del messo comunale ai proprietari della aree fabbricabili con invito a dichiarare, entro 30 giorni dalla notifica, se l'accettino. Ove manchi tale accettazione, il Podestà ha facoltà di variare il progetto di lottizzazione in conformità alle richieste degli interessati o di procedere alla espropriazione delle aree.

Art. 29 - Conformità delle costruzioni statali alle prescrizioni del piano regolatore comunale

Compete al Ministero dei lavori pubblici accertare che le opere da eseguirsi da Amministrazioni statali non siano in contrasto con le prescrizioni del piano regolatore e del regolamento edilizio vigenti nel territorio comunale in cui esse ricadono.

A tale scopo le Amministrazioni interessate sono tenute a comunicare preventivamente i progetti al Ministero dei lavori pubblici.

Art. 30 - Approvazione del piano finanziario

Il piano regolatore generale, agli effetti del primo comma dell'art. 18, ed i piani particolareggiati previsti dall'art. 13 devono essere corredati di un piano finanziario formato dal Comune e approvato, oltre che dai normali organi di tutela, dai Ministeri dell'interno e delle finanze.

CAPO IV - NORME REGOLATRICI DELL'ATTIVITÀ COSTRUTTIVA EDILIZIA

Art. 31 - Licenza edilizia - Responsabilità comune del committente e dell'assuntore dei lavori

Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere apposita licenza al Podestà del Comune.

Le determinazioni del Podestà sulle domande di licenza di costruzione devono essere notificate all'interessato non oltre il sessantesimo giorno della ricezione delle domande stesse.

Il committente titolare della licenza e l'assuntore dei lavori di costruzioni sono entrambi responsabili di ogni inosservanza così delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive che siano fissate nella licenza di costruzione.

Art. 32 - Attribuzione del Podestà per la vigilanza sulle costruzioni

Il Podestà esercita la vigilanza sulle costruzioni che si eseguono nel territorio del Comune per assicurarne la rispondenza alle norme della presente legge e dei regolamenti, alle prescrizioni del piano regolatore comunale ed alle modalità esecutive fissate nella licenza di costruzione. Esso si varrà per tale vigilanza dei funzionari ed agenti comunali e d'ogni altro modo di controllo che ritenga opportuno adottare.

Qualora sia constatata l'inosservanza delle dette norme, prescrizioni e modalità esecutive, il Podestà ordina l'immediata sospensione dei lavori con riserva dei provvedimenti che risultino necessari per la modifica delle costruzioni o per la rimessa in pristino. L'ordine di sospensione cesserà di avere efficacia se entro un mese dalla notificazione di esso il Podestà non abbia adottato e notificato i provvedimenti definitivi.

Nel caso di lavori iniziati senza licenza o proseguiti dopo l'ordinanza di sospensione il Podestà può, previa diffida e sentito il parere della Sezione urbanistica compartimentale ordinarne la demolizione a spese del contravventore senza pregiudizio delle sanzioni penali.

Quando l'inosservanza si riferisca a costruzioni eseguite da Amministrazioni statali o dal Partito nazionale fascista ed organizzazioni proprie e dipendenti, il Podestà ne informa il Ministro dei lavori pubblici agli effetti del precedente articolo 29.

Art. 33 - Contenuto dei regolamenti edilizi comunali

I Comuni debbono con regolamento edilizio provvedere, in armonia, con le disposizioni contenute nella presente legge e nel testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio 1934-XII, n. 1265, a dettare norme precipuamente sulle seguenti materie, tenendo, se ne sia il caso, distinte quelle riguardanti il nucleo edilizio esistente da quelle riguardanti la zona di ampliamento e il restante territorio comunale:

1) la formazione, le attribuzioni e il funzionamento della commissione edilizia comunale;

2) la presentazione delle domande di licenza di costruzione o trasformazione di fabbricati e la richiesta obbligatoria dei punti fissi di linea e di livello per le nuove costruzioni;

3) la compilazione dei progetti di opere edilizie e la direzione dei lavori di costruzione in armonia con le leggi in vigore;

4) l'altezza minima e quella massima dei fabbricati secondo le zone;

5) gli eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal filo stradale;

6) l'ampiezza e la formazione dei cortili e degli spazi interni;

7) le sporgenze sulle vie e piazze pubbliche;

8) l'aspetto dei fabbricati e il decoro dei servizi ed impianti che interessano l'estetica dell'edilizia urbana (tabelle stradali, mostre e affissi pubblicitari, impianti igienici di uso pubblico, ecc.);

9) le norme igieniche di particolare interesse edilizio;

10) le particolari prescrizioni costruttive da osservare in determinati quartieri cittadini o lungo determinate vie o piazze;

11) la recinzione o la manutenzione di aree scoperte, di parchi e giardini privati e di zone private interposte tra fabbricati e strade e piazze pubbliche e da queste visibili;

12) l'apposizione e la conservazione dei numeri civici;

13) le cautele da osservare a garanzia della pubblica incolumità per l'esecuzione delle opere edilizie, per l'occupazione del suolo pubblico, per i lavori nel pubblico sottosuolo, per le ribalte che si aprono nei luoghi di pubblico passaggio, ecc.;

14) la vigilanza sull'esecuzione dei lavori per assicurare l'osservanza delle disposizioni delle leggi e dei regolamenti.

Nei Comuni provvisti del piano regolatore il regolamento edilizio deve altresì disciplinare:

- la lottizzazione delle aree fabbricabili e le caratteristiche dei vari tipi di costruzione previsti dal piano regolatore;

- l'osservanza di determinati caratteri architettonici e la formazione di complessi edilizi di carattere unitario, nei casi in cui ciò sia necessario per dare conveniente attuazione al piano regolatore;

- la costruzione e la manutenzione di strade private non previste nel piano regolatore.

Art. 34 - Programma di fabbricazione per i Comuni sprovvisti di piano regolatore

I Comuni sprovvisti di piano regolatore dovranno includere nel proprio regolamento edilizio un programma di fabbricazione, con l'indicazione dei limiti di ciascuna zona, secondo le delimitazioni in atto o da adottarsi, nonché con la precisazione dei tipi edilizi propri di ciascuna zona. Potranno anche indicare le eventuali direttrici di espansione.

Art. 35 - Termine per uniformare i regolamenti edilizi comunali alle norme della presente legge

I Comuni che hanno un regolamento edilizio sono tenuti ad uniformarlo alle disposizioni della presente legge entro sei mesi dalla sua entrata in vigore.

Ove a ciò non sia adempiuto, provvederà di ufficio il Prefetto.

Art. 36 - Approvazione dei regolamenti edilizi comunali

I regolamenti edilizi dei Comuni compresi negli elenchi di cui all'art. 8 sono deliberati dal Podestà ed approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro per l'interno, uditi i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio superiore di sanità.

I regolamenti edilizi degli altri Comuni sono deliberati dal Podestà ed approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto col Ministro per l'interno, previo esame della Sezione urbanistica compartimentale e del Consiglio provinciale di sanità.

TITOLO III - DETERMINAZIONE DELL'INDENNITÀ DI ESPROPRIAZIONE

Art. 37 - Rinvio alla legge generale sulle espropriazioni per pubblica utilità

Per le espropriazioni dipendenti dall’attuazione dei piani regolatori approvati in base alla presente legge la relativa indennità sarà determinata a norma della legge 25 giugno 1865, n. 2359, salvo il disposto degli articoli seguenti.

Art. 38 - Valutazione dell'indennità per le aree urbane espropriabili

Per la determinazione dell'indennità di espropriazione delle aree di cui all'art. 18, non si terrà conto degli incrementi di valore attribuibili sia direttamente che indirettamente all'approvazione del piano regolatore generale ed alla sua attuazione.

Art. 39 - Lavori di miglioramento eseguiti dopo l’approvazione del piano particolareggiato

Agli effetti della determinazione della indennità di espropriazione non si tiene conto degli aumenti di valore dipendenti da lavori eseguiti nell’immobile dopo la pubblicazione del piano particolareggiato, a meno che i lavori stessi non siano stati, con le modalità stabilite dal regolamento di esecuzione della presente legge, riconosciuti necessari per la conservazione dell’immobile e per accertate esigenze dell’igiene e della incolumità pubblica.

Art. 40 - Oneri e vincoli non indennizzabili

Nessuna indennità è dovuta per i vincoli di zona e per le limitazioni e gli oneri relativi all'allineamento edilizio delle nuove costruzioni.

Non è dovuta indennità neppure per le servitù di pubblico passaggio che il Comune creda di imporre sulle aree dei portici delle nuove costruzioni e di quelle esistenti. Rimangono a carico del Comune la costruzione e manutenzione del pavimento e la illuminazione dei portici soggetti alla predetta servitù.

TITOLO IV - DISPOSIZIONI GENERALI E TRANSITORIE

Art. 41 - Sanzioni penali

Salvo quanto è stabilito con l'art. 344 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con legge 27 luglio 1934-XII, n. 1265, per le contravvenzioni alle norme dei regolamenti locali d'igiene, si applica:

a) l'ammenda fino a lire diecimila per la violazione del divieto stabilito nell'art. 28, primo comma, ovvero per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive prevedute nell'art. 32, primo comma;

b) l'arresto fino ad un mese e l'ammenda fino a lire diecimila nei casi preveduti dall'art. 32, terzo comma, per l'inizio dei lavori senza licenza o per la prosecuzione di essi non ostante l'ordine di sospensione dato dal Podestà.

Per le contravvenzioni di cui alla lettera a) è ammessa l'oblazione con l'osservanza delle norme stabilite negli art. 107 e seguenti del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934-XII, n. 383.

Art. 42 - Validità dei piani regolatori precedentemente approvati

Il termine assegnato per l'attuazione dei piani regolatori, approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge, resta limitata a dieci anni dalla data stessa nel caso in cui esso venga a scadere oltre detto periodo.

Trascorso tale termine, i Comuni interessati devono procedere alla revisione del piano regolatore esistente od alla formazione di un nuovo piano regolatore secondo le norme della presente legge.

Art. 43 - Servizi tecnici comunali o consorziali

Entro un decennio dall’entrata in vigore della presente legge per i Comuni sprovvisti di personale tecnico, qualora se ne riconosca la necessità, verrà provveduto ad assicurare il disimpegno delle mansioni di carattere tecnico nei modi e nelle forme che saranno stabiliti con separate disposizioni.

Art. 44 - Norme integrative e di esecuzione della legge

Con decreti reali su proposta del Ministro per i lavori pubblici, di concerto coi Ministri interessati, saranno emanati, a termini degli articoli 1 e 3 della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100, il regolamento di esecuzione della presente legge, nonché le norme complementari ed integrative della legge stessa, che si rendessero necessarie.

Art. 45 - Disposizioni finali

Rimangono ferme le disposizioni di legge che stabiliscono la competenza anche di altri Ministeri ed organi consultivi riguardo ai piani regolatori comunali ed ai regolamenti edilizi, nonché quelle relative ai poteri del Ministero delle corporazioni in materia di impianti industriali.

Sono abrogate tutte le altre disposizioni contrarie a quelle contenute nella presente legge o con essa incompatibili.

Nota: su Eddyburg, anche una "Pagina di Storia" con testi e commenti - d'epoca e non - relativi alle legge urbanistica del 1942 (f.b.)

SENATO DEL REGNO

(N. 204)

DISEGNO DI LEGGE

presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica

(CROCE)

nella tornata del 25 settembre 1920



PER LA TUTELA DELLE BELLEZZE NATURALI E DEGLI IMMOBILI DI PARTICOLARE INTERESSE STORICO

ONOREVOLI COLLEGHI — Che una legge in difesa delle bellezze naturali d'Italia sia invocata da più tempo e da quanti uomini colti e uomini di studio vivono nel nostro paese, è cosa ormai fuori di ogni dubbio; i numerosi voti di accademie artistiche e d'istituti scientifici, che in varie occasioni, ed anche recentemente, sono pervenuti al nostro Ministero, ne sono la più viva dimostrazione. E che una legge siffatta, la quale ponga finalmente un argine alle ingiustificate devastazioni che si van consumando contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo, desiderata sia anche dal Parlamento, non è neppure da dubitare, dopo che due ordini del giorno, affermanti la necessità e l'urgenza di essa, furono approvati dalla Camera prima, quando nel 1905 si discusse il disegno di legge sulla pineta di Ravenna, e dal Senato poi in occasione della legge di tutela monumentale del 20 giugno 1909 n. 364.

Aggiungasi che su questa base di preventiva approvazione di massima l'onorevole Rosadi presentò di sua iniziativa un disegno di legge che la Commissione parlamentare accettò integralmente, e che solo per vicende politiche non giunse all'onore della pubblica discussione. Ma v'ha di più, che recentissimamente, discutendosi alla Camera il disegno di legge di “Modificazioni alla dotazione della Corona e riordinamento del patrimonio artistico nazionale” dal Ministro della pubblica istruzione onorevole Baccelli, e dal Presidente, del Consiglio, onorevole Nitti, fu affermata la necessità e per alte ragioni morali e per non meno importanti ragioni di pubblica economia, di difendere o di mettere in valore, nella più larga misura possibile, le maggiori bellezze d'Italia quelle naturali e quelle artistiche.

Bene avvisato, dunque, fu il Sottosegretario di Stato alle belle arti, onorevole Molmenti, il quale, come suo primo atto di Governo, volle che una Commissione di competenti persone presieduta dall'onorevole Rosadi, studiasse il problema della difesa delle nostre bellezze naturali.

In relazione con tale studio, che fu compiuto con encomiabile alacrità, è il presente disegno di legge, che ora sottopongo al Vostro esame e alla vostra approvazione.

È nella difesa delle bellezze naturali un altissimo interesse morale e artistico che legittima l'intervento dello Stato, e s'identifica con l'interesse posto a fondamento delle leggi protettrici dei monumenti e della proprietà artistica e letteraria.

Certo il sentimento, tutto moderno, che si impadronisce di noi allo spettacolo di acque precipitanti nell'abisso, di cime nevose, di foreste secolari, di riviere sonanti, di orizzonti infiniti deriva della stessa sorgente, da cui fluisce la gioia che ci pervade alla contemplazione di un quadro dagli armonici colori, all'audizione di una melodia ispirata, alla lettura di un libro fiorito d'immagini e di pensieri. E se dalla civiltà moderna si sentì il bisogno di difendere, per il bene di tutti, il quadro, la musica, il libro, non si comprende, perché siasi tardato tanto a impedire che siano distrutte o, manomesse le bellezze della natura, che danno all'uomo entusiasmi spirituali così puri e sono in realtà ispiratrici di opere eccelse. Non è da ora, del resto, che si rilevò essere le concezioni dell'uomo il prodotto, oltre che delle condizioni sociali del momento storico, in cui egli è nato, del mondo stesso che lo circonda, della natura lieta o triste in cui vive, del clima, del cielo, dell'atmosfera in cui si muove e respira.

E fuvvi anche chi affermò, con profondo intuito, che anche il patriottismo nasce dalla secolare carezza del suolo agli occhi, ed altro non essere che la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli.

Queste idee, del resto, sono da tempo presso tutti i popoli civili il presupposto di ogni azione di difesa delle bellezze naturali, azione che, in Germania, fu appunto detta “di difesa della patria” (Heimatschutz). Difesa, cioè, di quel che costituisce la fisonomia, la caratteristica, la singolarità, per cui una nazione si differenzia dall'altra, nell'aspetto delle sue città, nelle linee del suo suolo, nelle sue curiosità geologiche; e da alcuni si aggiunge, (dai tedeschi stessi e dagli inglesi) negli usi, nelle tradizioni, nei ricordi storici, letterari, leggendari, in tutto ciò insomma, che plasma l'anima della razza, o meglio ha influito o maggiormente influisce allo sviluppo dell'anima nazionale.

Si è insomma compreso come non sia possibile disinteressarsi da quelle peculiari caratteristiche del territorio, in cui il popolo vive e da cui, come da sorgenti sempre fresche, l'anima umana attinga ispirazioni di opere e di pensieri.

Il movimento a favore della conservazione delle bellezze naturali rimonta al 1862, allorquando John Ruskin sorse in difesa delle quiete valli dell'Inghilterra minacciate dal fuoco strepitante delle locomotive e dal carbone fossile delle officine, e si diffuse lentamente ma tenacemente in tutte le nazioni civili, e specie in quelle in cui più progredite sono le industrie e i mezzi di locomozione. Infatti questi mezzi, togliendo più facilmente gli uomini all'affannosa vita delle città, per avvicinarli più spesso alle pure gioie dei campi, han diffuso questo anelito, tutto moderno, verso le bellezze della natura, mentre le industrie, fatte più esigenti dalla scoperta della trasformazione della forza, elettricità, luce, calore, attentano ogni giorno più alla vergine poesia delle montagne, delle foreste, delle cascate.

Il dissidio fra questi nuovi bisogni del senso estetico più raffinato e del godimento materiale eccitatore di una produzione più intensa, fra le ragioni del bello e l'interesse poetico, fra il rispetto alle antiche tradizioni e il bisogno di far luogo alle cose nuove, non poteva non determinarsi; e, dovunque coltura e gentilezza non sono un nome vano, sorsero associazioni potenti per mettere in valore le bellezze naturali, e imporre, premendo sull'opinione pubblica, la necessità di sanzioni positive contro le ingiustificate e spesso inutili manomissioni del paesaggio nazionale: così in Inghilterra, così in Germania, così in Francia, in Austria, in Isvizzera, nel Belgio, ed anche in Italia. In molti di questi paesi, infatti, si promulgarono da tempo (prima della guerra, s'intende) leggi di protezione più o meno efficaci; nel granducato di Hess la legge del 1902 sulla conservazione dei monumenti provvide anche alla tutela dei fenomeni naturali, dei corsi d'acqua, delle rocce, degli alberi; in Baviera, un decreto del 1901 impose la protezione in genere delle bellezze naturali; in Prussia, non solo un decreto del 1904 pose tra i monumenti ciò che serve all'effetto delle scene notevoli e del paesaggio (le rovine, ad esempio), ma un istituto di Stato fu preposto alla difesa della natura; in Austria, dopo un'inchiesta sulle bellezze naturali del paese compiuto dalla Facoltà di filosofia della Università di Vienna, una legge estese ai paesaggi e ai fenomeni naturali la protezione dei monumenti; in Francia è del 21 aprile 1906 la legge “pour organiser la protection des sites et monuments naturels”; in Svizzera, per la quale è noto come i suoi magnifici paesaggi siano la fonte precipua della sua prosperità economica, sono varie le leggi federali e cantonali per la protezione delle bellezze naturali e specialmente delle cascate, e nel 1913 fu creato, col concorso del Governo, il grandioso Parco nazionale della Bassa Engadina.

E in Italia? Abbiamo accennato agli ordini del giorno votati dalla Camera e dal Senato e al disegno di legge Rosadi, e alle ragioni di pubblica economia che stanco a cuore al Presidente del Consiglio per mettere in valore le bellezze naturali, che furono in ogni tempo e sono il vanto e una della maggiore attrattiva dell'Italia nostra. Aggiungiamo adesso che si è discusso se la legge di tutela monumentale potesse estendersi, sic et simpliciter, alle bellezze naturali, ma l'Ufficio centrale del Senato fu di avviso contrario, considerando che per gli effetti legislativi che ne sarebbero derivati e pei mezzi di applicazione di quella legge si correva il pericolo di fare poco più di una semplice affermazione di principio. Fu, insomma, dello stesso parere del Senato francese, il quale, quando si discusse nel 1887 la legge relative à la conservation des monuments et objets d'art avants un inté éts historique et artistique, non credette comprendervi i blocchi erratici, in quanto che, se essi erano interessantissimi come fenomeni naturali non appartenevano né alla storia, né all'arte, e la logica del diritto richiedeva che fossero radiati dall'elenco dei monumenti. Tuttavia, in occasione di minacciate vendite di celebri ville, esistenti anche nel centro di Roma, per farne un'utilizzazione contraria alla loro destinazione, si volle almeno salvare subito queste, in attesa di provvidenze legislative generali per tutte le bellezze naturali; e fu presentata al Parlamento, e il Parlamento approvò, quella che ora è la legge 23 giugno 1912, n. 688 con la quale si estendono le disposizioni della legge di tutela monumentale a ville, parchi e giardini d'interesse storico e artistico.

Il disegno di legge si propone di tutelare le bellezze naturali e panoramiche, anzitutto imponendo l'obbligo ai proprietari, a norma dell'articolo 2, di presentare preventivamente alla Soprintendenza i progetti delle opere di qualsiasi genere che interessano gli immobili vincolati. E ciò, appunto, perché il Ministero sia posto in grado, dopo l'esame tecnico di tali progetti, di dare o di negare il permesso all'esecuzione dei lavori che si intende eseguire.

Ma la bellezza naturale o del paesaggio può essere alterata o danneggiata anche da lavori e segnatamente da nuove costruzioni che si tacciano fuori del perimetro degli immobili vincolati. Nel disegno di legge si è dovuto, quindi, inserire una disposizione speciale la quale valga ad impedire che il godimento delle bellezze naturali e panoramiche sia comunque impedito, che la vista ne sia ostacolata, che la prospettiva ne venga alterata, che nuove opere possano elevare come un sipario dinanzi alla bella scena paesistica o portare in essa una nota stonata e sgradevole.

Si è così sulla via tracciata da antichi provvedimenti, trasfusi poi in regolamenti edilizi e ancora in vigore. È noto che i rescritti borbonici del 19 luglio 1841 e 17 gennaio 1842 e 31 maggio 1853 vietavano di alzare fabbriche le quali togliessero amenità o veduta lungo la via di Mergellina, di Posillipo, di Campo di Marte, di Capodimonte; ed il regolamento edilizio della città di Napoli ne fece tesoro aggiungendovi anche il “Corso Vittorio Emanuele” da cui si scopre il golfo meraviglioso. Nulla di nuovo, quindi, si è escogitato nel presente disegno di legge allorché all'art. 4 si è disposto che l'autorità governativa, affinché non sia danneggiato il godimento delle bellezze naturali e panoramiche, ha facoltà di prescrivere la distanza, le misure e tutte le altre norme che si riterranno necessarie nei casi di regolamenti edilizi e di piani regolatori e di ampliamento, nonché nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni e impianti industriali.

Con le due disposizioni, or ora esaminate, nelle quali si riassume quasi tutta la economia della legge in rapporto ai diritti dei proprietari, nulla di più gravoso si stabilisce di quanto già è in vigore per la tutela dei monumenti. La differenza consiste nel non aver creduto di disporre diversamente (come nella legge 20 giugno 1909 n. 364) a seconda si tratti di cose appartenenti a persone giuridiche o a persone fisiche; e ciò perché non importa, agli effetti di una buona tutela delle bellezze naturali, che queste siano inalienabili quando sono di proprietà degli enti morali. Quel che importa è che non siano distrutte nè alterate, chiunque ne sia il proprietario.

Ma occorre che questi abbia avuta dal Ministero la notificazione dell'importante interesse della cosa da lui posseduta, appunto come impone la legge di tutela monumentale per le cose appartenenti a privati? Si, sebbene quando tale notificazione non sia per anco eseguita, il Ministero, il quale si accorge di lavori che possano distruggere o alterare la cosa, può mediante ingiunzione da farsi al proprietario dal prefetto della Provincia o dalla locale Soprintendenza, far sospendere i lavori iniziati.

Ma, fatta la notificazione, poiché non s'impone al proprietario di fare la denuncia degli eventuali trapassi di proprietà, come potrà il Ministero aver conoscenza del nuovo proprietario, e come si vorrà pretendere che il nuovo proprietario sia edotto del vincolo che, per effetto di quella notificazione, da lui probabilmente ignorata, grava sulla propria cosa? Ad ovviare agli inconvenienti che ne potrebbero derivare, si è provveduto che la notificazione su istanza del Ministero sia inscritta nei registri catastali e trascritta nei registri delle conservatorie delle ipoteche: così essa avrà efficacia in tutti i tempi nei confronti di ogni successivo proprietario. La utilità di questo provvedimento è d'intuitiva evidenza; e la mancanza di esso costituisce per la legge di tutela monumentale ed artistica del 20 giugno 1909, n. 364 una vera lacuna, da tutti lamentata, e che bisognerà presto colmare.

In che cosa dunque consistono le limitazioni al diritto di proprietà che s'impongono con questo disegno di legge? in una servitù per pubblica utilità, per la quale il proprietario è costretto a non fare o a fare in un certo modo che il Ministero approverà, o meglio consiglierà. In questo caso, ognun vede come la servitù abbia perduta ogni asprezza, in quanto potrà avvenire, come spesso è avvenuto pei monumenti, che il progetto delle opere da eseguirsi sia migliorato anche in confronto agli interessi economici del proprietario. Poiché, è bene tenere a mente questo: che nella, pratica tutto si riduce all'esame del caso per caso, esame che; fatto come dev'esser fatto senza preconcetti e priva la mente di ogni idea di sopraffazioni, si concreta in definitiva in un sistema di accordi e di reciproche intese, nel quale saranno contemperate le ragioni superiori della bellezza coi legittimi diritti dei privati. Né si dice che sia gravoso l'obbligo del proprietario a presentare alla competente Soprintendenza dei monumenti i progetti delle opere; giacché esso nulla ha di dissimile da quelli che impongono i regolamenti edilizi per la costruzione di nuovi fabbricati o per la modificazione dei vecchi e contro il quale nessuno ha mai protestato. E, d'altra parte, la nostra civiltà ha costituito una rete di simili obblighi, che risponde ad altrettante esigenze della vita moderna più complessa e sensibile.

Disposizione di ordine sussidiario devesi ritenere quella contenuta nell'art. 5 contro gli abusi della pubblicità industriale e commerciale, che anche in Italia, sebbene in minor misura che all'estero, deturpa paesaggi, e pur troppo, anche edifici monumentali. Da più tempo (prima della guerra) e da più parti si son levate voci di protesta sui giornali e alla Camera dei deputati contro il brutto andazzo di offendere ogni angolo sacro all'arte e alla storia con una lebbra di quadri mastodontici e cartelloni di tutti i colori, e pitture murali e scritte luminose, diffondenti spesso una nota di volgarità, talvolta anche di disgusto, col ricordo di malattie e d'imperfezioni umane. In tutte le Nazioni civili si è sentito il bisogno di provvedere energicamente contro codesti eccessi, e va segnalata sopra tutto la Francia, dove, pure esistendo sin dal 20 aprile 1910 una legge speciale che proibisce l'affissione di avvisi commerciali sui monumenti e nei siti pittoreschi, si credette necessario di colpire con tasse proibitive la esposizione di cartelloni fuori del perimetro di 100 metri dai centri abitati, e il 9 luglio fu approvata con 530 voti su 3 contrari, la legge, che impone una tassa annua proporzionata alla dimensione dei cartelloni e che da 50 lire al metro quadrato si eleva sino a 400!

Noi non si è voluto giungere tanto; ma si è voluto vietare semplicemente l'uso di cartelli e di altri mezzi di pubblicità i quali danneggiano l'aspetto e il pieno godimento delle bellezze naturali e di quelle panoramiche. E vogliamo sperare che il Parlamento approverà questa modesta disposizione, di cui da così lungo tempo si sente il bisogno, imperocché è davvero inammissibile che, per raggiungersi da una sola classe di cittadini una discutibile utilità, che, del resto, può essere raggiunta in vari altri modi, dall'affissione in luoghi autorizzati alla distribuzione di fogli volanti, alla inserzione nei giornali e alla lettera circolare, si deturpi un monumento o si oltraggi una bella scena paesistica, destinati entrambi al godimento di tutti. E non è neppure ammissibile che chi possiede un edificio monumentale, una bella villa, un terreno di per sé di grande bellezza paesistica, o vicino a paesaggi e parchi e monumenti pregevoli, per un piccolo interesse quale può essere quello dell'affitto per l'esposizione di avvisi réclame, affitto che costituisce un uso contrario alla normale destinazione della cosa, sopprima o degradi la vista, che è poi un bene collettivo, di cose belle che sono l'orgoglio del paese e spesso richiamano alla mente le glorie della nostra storia. A nessuno, insomma, può essere lecito anche nell'esercizio di un suo diritto, di danneggiare altrui, o tanto meno la collettività, senza un interesse veramente preponderante ed apprezzabile.

L'articolo 6 stabilisce la pena dell'ammenda per l'inosservanza degli obblighi stabiliti dal disegno di legge. Esso contempla, altresì, la comminatoria della procedura esecutiva per la remozione delle opere eseguite in contravvenzione alla legge stessa dando all'Amministrazione la facoltà di attuare direttamente e immediatamente l’interesse pubblico.

Non sembra necessario soffermarsi sulle disposizioni contenute nell'art. 7 del presente disegno. Esso riguarda gli organi, diremo, di vigilanza che, sparsi in tutto il territorio del Regno, dovranno segnalare alla Soprintendenza o al Ministero tutto ciò che si va proponendo o già si va attuando contro le bellezze naturali della loro circoscrizione; pei monumenti e per le opere di antichità e scavi bastano gli ispettori onorari e le Commissioni provinciali previste dall'art. 47 della legge 27 giugno 1907, n. 386; ma per vigilare in tutti gli angoli più remoti del territorio essi non sarebbero sufficienti e perciò si vuol ricorrere anche agli uffici comunali e provinciali, agli uffici dei dipartimenti forestali e del Genio civile e agli Uffici tecnici di finanza i quali tutti mediante le guardie campestri, le guardie forestali i cantonieri stradali, hanno modo di dare le più sicure e sollecite notizie sui pericoli che minacciano le cose che con questo disegno di legge si vogliono tutelare.

Onorevoli colleghi,

Nulla di eccessivo è nel disegno di legge che si sottopone al vostro esame - nulla che offenda o ferisca il diritto di proprietà o, come da taluni si teme, quello dell'attività industriale della nazione. Anzi quel che in fondo ad ogni disposizione risiede è la preoccupazione di costituire un sistema di accordi fra i privati e l'amministrazione delle Belle arti, e fra questa e le altre amministrazioni pubbliche affinché senza gravi sacrifici di ciò che è in cima a' pensieri di tutti, economia nazionale e conservazione del privilegio di bellezza che vanta l'Italia, siano composti con spirito di conciliazione i vari interessi contrastati.

Voi giudicherete e farete le vostre osservazioni, apportando quelle modifiche che la vostra esperienza crederà opportune e non lesive dei criteri che ispirano il presente disegno di legge, e sarà vostro vanto se in materia così ardua il Parlamento italiano avrà saputo sapientemente provvedere.

Il testo fu poi approvato, con lievi modifiche, e diede luogo alla legge 778/1922

UK Department for Communities and Local Government, Permitted Development Rights for Householder Microgeneration, Consultation paper, aprile 2007 – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini

[…] Turbine a vento – Premesse

89. Il rapporto dell’Entec [agenzia tecnica del Ministero per le Aree Urbane n.d.t.] indica che le turbine a vento sono con ogni probabilità al terzo posto in quanto a potenziale tra le forme di microgenerazione domestica, molto meno diffuse di quella solare e che possono raggiungere qualunque dimensione. Ma dato che le tecnologie relative alle turbine sono in continuo sviluppo, il loro contributo probabilmente è destinato ad ampliarsi significativamente, se come sembra esse saranno più promosse dal punto di vista commerciale e diventeranno un prodotto più corrente.

90. L’energia prodotta da una turbina dipende dalla “area coperta” dal rotore. Ciò significa che una turbine a “asse orizzontale” con un rotore del diametro di 2 metri produrrà circa quattro volte tanta energia rispetto a una col rotore del diametro di 1 metro.

91. Tutte e turbine a vento hanno un rotore collocato entro un flusso d’aria. Tale rotore viene fatto girare dal vento e questo movimento rotatorio si trasmette poi a un mulino, a una pompa, a un generatore elettrico. Venti più veloci contengono più energia di venti più deboli. C’è anche una variazione che dipende dall’altezza rispetto al suolo; maggiore l’altezza, più forte il vento. Ciò significa che, tradizionalmente, le turbine a vento vengono collocate su alte torri. Comunque, più di recente ne sono state introdotti sul mercato tipi concepiti per essere installati sui normali edifici. L’analisi dell’Entec ha considerato dunque sia le turbine installate in modo separato che quelle inserite negli edifici. I risultati indicano come un impianto a vento da 1 chilowatt con una pala rotante del diametro di 1,75 metri può coprire circa il 15-20% dei consumi annui di una famiglia, e in località rurali o comunque più ventose questa quota può aumentare significativamente.

Turbine a vento – Problemi e raccomandazioni

92. Da un punto di vista urbanistico, le turbine a vento di tipo domestico hanno una serie di caratteristiche tali da rappresentare impatti potenzialmente superiori rispetto ad altre tecnologie di microgenerazione. L’Entec sottolinea quattro ambiti da prendere in considerazione per l’impatto urbanistico-edilizio delle piccole turbine: dimensioni e proporzioni; sicurezza; disturbo e danni ai pipistrelli.

93. Una considerazione ulteriore che necessita di riflessione è quella degli impatti sui radar. La questione verrà sviluppata parallelamente al processo di discussione pubblica di questo documento, e comporta un lavoro comune con il settore produttivo della microgenerazione, il Ministero della Difesa, i servizi nazionali del traffico aereo e la Civil Aviation Authority. La sicurezza dei voli aerei è ovviamente di grandissima importanza, e dunque le proposte che seguono saranno soggette ai risultati di questi ulteriori sviluppi, oltre che alle risposte generali al presente documento di discussione, nella elaborazione delle proposte finali sull’autorizzazione di turbine domestiche.

94. L’Entec ritiene che l’impatto visivo delle turbine a vento possa essere considerato di piccola entità sul paesaggio locale, se esse sono di dimensioni relativamente contenute. Per quanto riguarda le turbine installate autonomamente, è l’altezza del pilone su cui sono montate la considerazione base. Le informazioni raccolte dall’Entec mostrano come, là dove molte amministrazioni locali hanno preso in considerazione gli impatti visivi come elemento chiave per il rilascio di autorizzazioni, dove il progetto di turbina riguardava un palo sino a 10 metri di altezza, esse sono state rilasciate. E quindi l’Entec, raccomanda di fissare questa altezza come diritto acquisito. Ciò, si osserva, consente l’installazione di molti prodotti che generano energia sufficiente per le necessità di una famiglia, senza indebite interferenze visive.

95. Per quanto riguarda gli impianti installati sugli edifici, Entec ha cercato di definire un tipo di impatto comparabile a quello delle turbine autonome. Si è indicata in 3 metri sopra la linea del tetto di un edificio, una altezza paragonabile ai 10 metri dell’impianto stand-alone. Questi tre metri valgono per molte circostanze diverse, e consentono di “leggere” la turbina come facente parte dell’edificio, riducendo così l’impatto visivo. In termini di diametro del rotore, il Governo accetta la raccomandazione dell’Entec che una misura massima di 2 metri rappresenti un ragionevole compromesso fra produzione energetica e potenziali impatti.

96. L’Entec raccomanda anche di considerare per l’impatto visivo cumulativo che la turbina installata sia soltanto una, su un edifico “normale”. Si indica comunque che nel caso di grossi edifici ad appartamenti (non conversioni di case più piccole) si possano raggiungere anche le quattro turbine, senza indebiti impatti visivi. Il Governo accetta le basi di questa impostazione, ma propone che l’approccio rispecchi più da vicino quello delle autorizzazioni per le antenne, senza differenza fra tipi di edifici (convertiti oppure no), ma con criteri differenziati a seconda delle altezze dei fabbricati. Di conseguenza, fino a 15 si consentirà una sola turbina, oltre questa altezza si potrà arrivare a consentire sino a 4 turbine.

97. Gli impatti visivi, naturalmente, non sono determinati solo da dimensioni e numero degli impianti, ma anche dalla vicinanza delle turbine l’una all’altra. Come accade coi pannelli solari ad installazione autonoma, anche per le turbine montate su un pilone si deve calcolare il rischio di rovesciamento nel prendere in considerazione i limiti all’uso di queste tecnologie. Dato che a qualunque restrizione si aggiunge anche la distanza di 10 metri di qualunque impianto stand-alone dalla più vicina stanza abitabile per il problema del rumore, l’Entec indica in 5 metri la distanza minima di uno di questi impianti da una strada e in 2 metri quella dai confini di una proprietà adiacente.

98. Dopo aver considerato attentamente questo problema, il Governo è orientate verso un approccio simile a quello usato per gli impianti solari, ovvero a fissare un unico limite sia per la distanza dalla strada che dai limiti della proprietà. Dato che va considerato il rischio di rovesciamento, e che l’altezza massima di una turbina sarebbe di 11 metri (ovvero una pala rotante del diametro di 2m montata su un pilone di 10m) il Governo propone che la distanza venga fissata a 12 metri.

99. Restano le questioni più complesse, relative al disturbo e alle interferenze col sonno. Si accetta che le turbine a vento possano causare rumori. Ma, come affermato nella Sezione 3, non è semplice definire limiti a questi rumori in modo chiaro, semplice e praticabile. In particolare, le turbine installate sugli edifici pongono particolari difficoltà dato che molto probabilmente si troveranno più vicine ad altre proprietà. Per gli edifici aggregati in linea o abbinati, dove vengono montate sulla medesima struttura della proprietà adiacente, esiste un problema più difficile riguardo alle questioni del rumore e delle vibrazioni.

100. Comunque, come meglio esposto nella Sezione 3, il Governo propone limiti al rumore per assicurare che tutti i potenziali impatti vengano controllati sia all’interno che all’esterno per gli alloggi vicini.

101. Ulteriore problema è quello delle vibrazioni trasmesse attraverso la struttura dell’edificio, che pone una questione di sicurezza e disturbo degli alloggi vicini. Come riconosce l’Entec, le turbine installate sui fabbricati trasmettono parte dell’energia al proprio sostegno. Le questioni di stabilità strutturale devono essere coperte dai regolamenti edilizi. Comunque, in relazione al disturbo, è stato sviluppato un lavoro in collaborazione con la Defra per determinare quali livelli di vibrazione risultino non fastidiosi. Il Governo propone un livello considerato accettabile, sulla soglia della percettibilità. […]

102. Anche se esiste un potenziale impatto generale su siti e specie protette, l’Entec sottolinea preoccupazioni particolari rispetto al rapporto fra pipistrelli e turbine. Si riconosce comunque che non esistono conoscenze tali per determinare un possibile livello di rischio. Tutte le specie di pipistrelli e i loro spazi di posa sono già tutelati attraverso le Conservation Regulations (Natural Habitats, &c.) del 1994 e il Wildlife and Countryside Act del 1981 (e successivi aggiornamenti), ampliato nel Countryside and Rights of Way Act del 2000. Tutte queste leggi hanno condotto allo sviluppo di una serie di procedure per ridurre al minimo i potenziali effetti sui pipistrelli di qualunque impianto, quando se ne conosce o presume la presenza; il Governo ritiene siano sufficientemente tutelati.

103. A partire dalle raccomandazione di Entec, il Governo propone che vengano consentiti impianti di microgenerazione a turbine eoliche alle seguenti condizioni:


Turbine eoliche su edifici Limiti
Altezza (compresa la pala) al di sopra della linea più alta del tetto 3m
Diametro del rotore 2m
Rumore Vedi allegato 2
Vibrazioni Vedi allegato 2
Numero di turbine Una su edifici fino a 15m.

Quattro su edifici oltre 15m
Restrizioni per le aree di conservazione e Patrimonio Mondiale Non consentiti impianti
Turbine eoliche autonome
Altezza (inclusa la pala) 11m
Diametro del rotore 2m
Romore Vedi allegato 2
Vibrazioni Vedi allegato 2
Restrizioni per le aree di conservazione e Patrimonio Mondiale Impianti prospicienti una strada e visibili da essa

[…]

Nota: la versione originale e integrale, che comprende anche gli impianti solari, biomasse, allegati ecc. è scaricabile direttamente da qui (f.b.)

microgeneration_development

Grosso guaio a Chinatown, ovvero via Paolo Sarpi e dintorni a Milano. Problemi di "conflitto di culture" dice qualcuno. Macché, raccontano i più informati: è il comune che per anni e anni non ha regolamentato in nessun modo la trasformazione urbanistica di un quartiere antico, da zona residenziale tradizionale a ridosso dei bastioni e del centro storico (è qui il primo piano parziale di espansione di Cesare Beruto, molto prima di quello più famoso per tutta la città) a un ingestibile coacervo di attività, compreso il commercio all'ingrosso. Così, grazie alla fede assoluta e storica nel laissez-faire dell'amministrazione meneghina, si è creato l'ennesimo casino, e ora scenderanno in campo orde di tuttologi a "spiegarci" tutto.

Un curioso parallelo, con l'alba delle tecniche di zoning, così come ce le racconta Franco Mancuso in una sua "classica" rassegna storica pubblicata nel 1978. Proviamo a dare un'occhiata a queste poche righe, almeno prima del diluvio degli opinionisti (f.b.)

Franco Mancuso, Le vicende dello zoning, Il Saggiatore, 1978 (pp. 11-13)

Modesto, città a 85 miglia a est di San Francisco, che conta poco più di 20 000 abitanti. Come in molte altre città sulla costa occidentale degli Stati Uniti, e a differenza di quelle poste sulla costa dell'Atlantico, gli immigrati qui provengono dai paesi orientali, e soprattutto dalla Cina. Quello dei cinesi è il problema che maggiormente assilla la comunità e l'amministrazione municipale: la loro intromissione negli affari locali, la conduzione diretta e quasi esclusiva di alcune attività economiche, l'occupazione - per l'esercizio di queste attività o per esigenze di abitazione - di edifici e di aree nelle parti più centrali, ha raggiunto un livello che ai cittadini ben pensanti di Modesto sembra ormai insopportabile.

Dopo aver tentato ogni sorta di espediente per impedirne non solo l'espansione ma la loro stessa sopravvivenza, sia a livello locale che facendo riferimento a provvedimenti di carattere governativo, l'amministrazione municipale di Modesto propone questa soluzione: perché non agire, invece che direttamente sui cinesi in quanto tali, sulle attività da loro esercitate e sugli edifici che queste occupano? E perché no, visto che quasi tutti i cinesi sono occupati nella conduzione di particolari attività, e cioè di lavanderie pubbliche - le cosiddette laundry - e che quasi tutte le lavanderie sono ubicate in una zona particolare della città ? E che tali lavanderie sono i punti di raccolta di tutti i nuovi immigrati, e laundry è sinonimo di luogo di incontro dei cinesi in cerca di occupazione?

Certo, si può sostenere che le lavanderie sono pericolose, possono incendiarsi, e poi producono scarichi puzzolenti; insomma, a ben guardare, costituiscono un vero pericolo per la città.

Ecco allora l'idea, e la sua concreta attuazione: la città verrà divisa in due zone, e si dirà, con una ordinanza della polizia Qualcuno pone il problema che la corte Suprema possa dichiarare incostituzionale l'ordinanza della città, tenuto conto che le possibilità di intervento che la legge dello Stato affida all'amministrazione municipale sono molto limitate. Ma gli si fa subito osservare che non vi saranno opposizioni, visto che solo un anno prima la città di San Francisco ha fatto qualcosa di simile, ed è bastato motivare le proprie « ordinances» sulla base dei principi di «benessere» «ordine pubblico» «sicurezza della comunità» «moralità» per non avere noie: è bastato scrivere che

... la localizzazione incontrollata di lavanderie pubbliche, nelle quali vengono puliti abiti o altri articoli, è pericolosa e dannosa per la sa- lute e la sicurezza pubblica, è pregiudizievole per il benessere e il confort della comunità, e diminuisce il valore della proprietà in quei quartieri in cui tali lavanderie sono ubicate ...

perché la corte suprema non si opponesse alla chiusura e all'allontanamento di 300 lavanderie cinesi.

La soluzione funziona. Ed ecco che le ordinanze che i City Councils di Modesto e di San Francisco emanano divengono il prototipo cui si richiameranno tutte le successive; e i commentatori di estrazione giuridica ne esalteranno la perfezione, per il fatto che esse riuniscono abilmente due principi legislativi in un unico atto: primo, dichiarando che l'uso di una certa attività è motivo di disturbo per la città, se esercitato al di fuori di una sua zona dove invece è permesso, e, secondo, che una tale violazione può essere perseguita a norma di legge.

La città ottiene in definitiva il diritto di regolare attività e usi rispetto alle sue diverse parti, e la corte suprema della California stabilisce per fa prima volta il principio giuridico dello zoning.

Tant'è che dopo San Francisco e Modesto, moltissime città della California ne approfittano: come Sacramento, e Los Angeles, che incoraggiate dall'esperienza dei « laundry cases » emanano ordinanze che proibiscono di tutto: sale da ballo, noleggi di vetture a cavallo, macelli, saloons, piscine, tutto ciò che si presta a tradurre sul piano dell'uso e delle attività di carattere urbano, conflitti che invece sono inequivocabilmente di carattere razziale.

Nota: a proposito dei fatti specifici del 2007 a cui si riferisce questa citazione di antichi eventi, qui un commento in diretta da la Repubblica edizione di Milano del 13 aprile; ancora dal 13 aprile, su Mall un'analisi economico-commerciale del fenomeno dal Sole 24 Ore (f.b.)

La legge 2359/1865 ha costituito il testo fondamentale in materia di espropri, fino alla sua abrogazione da parte del DPR 327/2001. Già all’avvio dello Stato unitario introduce gli strumenti del “piano regolatore” e dei “piani di ampliamento”. TITOLO II - DISPOSIZIONI PARTICOLARI

CAPO I - CAPO V

(omissis)

CAPO VI - DEI PIANI REGOLATORI EDILIZI

Art. 86

I Comuni, in cui trovasi riunita una popolazione di diecimila abitanti almeno, potranno, per causa di pubblico vantaggio determinata da attuale bisogno di provvedere alla salubrità ed alle necessarie comunicazioni, fare un piano regolatore, nel quale siano tracciate le linee da osservarsi nella ricostruzione di quella parte dell’abitato in cui sia da rimediare alla viziosa disposizione degli edifizi, per raggiungere l’intento.

Art. 87

I progetti dei piani regolatori debbono essere fatti pubblici a cura del Sindaco, a norma degli artt. 17 e 18, ed essere adottati dal Consiglio comunale, il quale delibera sulle opposizioni che fossero presentate.

Se il Consiglio comunale respinge le opposizioni, la Deputazione Provinciale è chiamata a dar parere sul merito del progetto e delle opposizioni.

I piani regolatori sono approvati a norma dell’art. 12, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici ed anche il Consiglio provinciale di sanità, ove occorra.

Nel decreto di approvazione sarà determinato il tempo, non maggiore d’anni 25, entro il quale si dovrà eseguire il piano.

Art. 88

Il decreto di approvazione del piano deve essere a cura del Sindaco pubblicato e notificato entro un mese nella forma delle citazioni a ciascun proprietario dei beni in esso piano compresi.

Art. 89

Diventato definitivo il piano, dal giorno della sua pubblicazione i proprietari dei terreni e degli edifizi in esso compresi, volendo far nuove costruzioni o riedificare o modificare quelle esistenti, sia per volontà loro, sia per necessità, debbono uniformarsi alle norme tracciate nel piano.

Art. 90

I lavori fatti in contravvenzione all’articolo precedente saranno distrutti, ed il proprietario condannato alla multa estensibile a lire 1.000.

Art. 91

L’area degli edifici ed i terreni sui quali è proibito di edificare, come l’area pubblica sulla quale devonsi estendere le fabbricazioni dei privati, non cessano dall’appartenere al rispettivo proprietario, finché non sia eseguito il deposito od il pagamento delle indennità determinate a seconda degli artt. 39 e 40.

Art. 92

L’approvazione del piano regolatore equivale ad una dichiarazione di pubblica utilità, e potrà dar luogo alle espropriazioni delle proprietà nel medesimo comprese, osservate le prescrizioni della presente legge.

CAPO VII - DEI PIANI DI AMPLIAMENTO

Art. 93

I Comuni pei quali sia dimostrata la attuale necessità di estendere l’abitato, potranno adottare un piano regolatore di ampliamento in cui siano tracciate le norme da osservarsi nella edificazione di nuovi edifizi, a fine di provvedere alla salubrità dell’abitato, ed alla più sicura, comoda e decorosa sua disposizione.

A questi piani sono applicabili le disposizioni del precedente capo.

Art. 94

Se per la esecuzione del piano di ampliamento il Comune deve procedere alla costruzione delle vie pubbliche, i proprietari saranno obbligati a cedere il terreno necessario, senz’altra formalità.

Il relativo compenso sarà determinato secondo gli artt. 39, 40 e 41, salvi quei concorsi nelle opere di sistemazione e di conservazione delle vie che dai regolamenti locali fossero per questo caso speciale imposti.

Il “progetto di città” come si è definito a partire dagli anni ’60 nella sua concezione più innovativa, ossia con l’obiettivo di integrare efficienza e funzionalità complessiva; equità sociale; compatibilità morfologica e ambientale, è praticato con difficoltà crescente.

Malgrado sia stato al centro della ricerca e della formazione universitaria, del dibattito disciplinare, dell’attività professionale più qualificata, degli orientamenti espressi dalla comunità europea[1], si è sempre scontrato con una pratica fondata su interventi puntuali sganciati da strategie di insieme e fortemente influenzati da interessi fondiari. Oggi in questo contrasto ogni progetto d’insieme guidato da obietttivi pubblici sembra perdente ed emarginato.

E’ vero che le ricerche o le riviste disciplinari dove verificare bilanci della situazione sono diventate assai rare, ma l’immagine che ci viene trasmessa è comunque una conferma della crisi.

Può essere interessante allora andare a vedere come il “progetto di città” e in generale il sistema degli insediamenti siano trattati nelle recenti leggi sul “governo del territorio” di due regioni governate dalla sinistra (Emilia Romagna e Toscana), ossia nelle regioni considerate all’avanguardia e dove tradizionalmente si sperimentano, per la programmazione urbanistica, le soluzioni riformiste che poi vengono estese al resto del paese.

Queste leggi peraltro sono state ampiamente analizzate negli aspetti innovativi di introduzione dei concetti e delle nozioni ambientaliste e territorialiste, o procedurali; lo sono state meno negli aspetti più tradizionali della disciplina dei processi di trasformazione urbana.

La verifica è stata fatta come comparazione fra le due leggi, in rapporto a 14 parametri scelti come rappresentativi dei contenuti e riepilogati nella tabella allegata, e tenendo conto delle caratteristiche principali del “progetto di città” come ispirato non solo dal dibattito culturale e dalle esperienze praticate nelle città europee, ma anche dalle politiche comunitarie.

Alcuni importanti principi sono comuni alle due leggi: in primo luogo, i concetti, i temi e le nozioni ambientaliste rispetto alle quali si tenta di orientare la disciplina anche delle aree urbane. Ad esempio il fatto che nuovo consumo di suolo è consentito solo in “assenza di alternative alla sostituzione o riorganizzazione degli insediamenti esistenti” è giustificato dalla tutela dell’ambiente naturale.[2] Ciò dovrebbe limitare lo spreco di suolo non urbano, ottemperando anche ad un recente orientamento del Parlamento europeo.[3] Purtroppo non esistono ancora verifiche per mostrare i risultati di questo importante principio, né strumenti e dispositivi che consentano di scoprire e correggere scelte in contrasto, le quali, peraltro, non devono essere poche, a giudicare dalle polemiche crescenti suscitate nella cronaca da lottizzazioni in ambienti extraurbani. Comunque, anche se applicato correttamente, l’obiettivo di ridurre le pressioni sull’ambiente naturale non è più sufficiente e occorrerebbe affermare esplicitamente che la crescita edilizia, qualsiasi tipo di crescita edilizia, compresa quella ricavabile in aree già urbanizzate, richiede giustificazioni precise nella domanda sociale e verifiche di compatibilità.[4]

In generale c’è una certa differenza fra le due leggi: quella emiliana conserva un’impostazione più pragmatica e in continuità con la linea politica perseguita nei confronti degli insediamenti, nonostante i limiti che anche recenti ricerche segnalano. [5] Inoltre la Regione Emilia conserva un atteggiamento più autonomo e propositivo rispetto agli altri enti locali. La Toscana invece ha sposato decisamente una linea più “federalista” (abdicando quindi al ruolo propositivo, a vantaggio dei comuni) e teorico ambientalista, con distacco deciso dal progetto di città e manifestamente dall’urbanistica (in una prima fase, corrispondente alla precedente versione della legge, addirittura considerata una disciplina “superata”).

A riprova di questa differenza possono essere ricordati almeno due argomenti: la riqualificazione urbana e gli spazi per standards e servizi. [6]

1. Il tema della riqualificazione urbana si inscrive in una linea strategica coltivata da tempo dal governo regionale emiliano e si connette con altri provvedimenti applicati diffusamente (le leggi n. 18/1998, la n. 16/2002). In particolare, per ogni livello di piano comunale sono distinti i compiti spettanti: al Piano strutturale l’individuazione degli ambiti e dei problemi; allo strumento operativo l’individuazione dei programmi specifici di intervento. Un aspetto positivo di interazione fra i vari livelli che la legge Toscana non persegue. La legge emiliana poi specifica diverse linee di intervento: in primo luogo nella conservazione dei centri storici e del patrimonio edilizio storico sparso. L’allegato della legge emiliana dedica un intero capo al sistema insediativo storico e prescrive indirizzi utili che confermano il cs come cardine della politica di riqualificazione degli insediamenti: che l’analisi e la classificazione dei tessuti storici sia effettuata nel Piano strategico; che la strategia di tutela sia stabilita dallo stesso PS; il “divieto di rilevanti modificazioni delle destinazioni d’uso in atto in particolare di quelle residenziali, artigianali e di commercio di vicinato” (anche se un successivo articolo ammette deroghe); l’inedificabilità degli spazi aperti; previsioni di dettaglio per gli edifici di maggior valore. Sono principi e prescrizioni operative che nella regione Toscana mancano. Ciò appare inspiegabile, se è vero che questa Regione disponeva di una legge al riguardo (59/80) collaudata e dalla quale è derivato un ciclo di esperienze complessivamente positive (legge che è stata abrogata senza sostituirla con un dispositivo altrettanto efficace, malgrado le correzioni e le integrazioni introdotte dai regolamenti di attuazione recentemente approvati).[7]

In secondo luogo, la riqualificazione interessa tutto il sistema degli insediamenti, distinguendo, al di fuori del centro storico, azioni di consolidamento (interventi di miglioramento di parti della città già strutturate) e di vera e propria riqualificazione sostanziale (con trasformazioni urbanistiche più consistenti).

Malgrado questi indirizzi positivi, quindi senza responsabilità diretta della legge, le prime applicazioni all’esterno dei centri storici hanno comunque suscitato critiche perché “prevale la sostituzione edilizia della sola area degradata, con cambio di destinazione funzionale e aumento del carico urbanistico e senza incremento delle dotazioni territoriali né miglioramento della qualità complessiva del contesto” [8], mancando così uno dei più importanti obiettivi del “progetto di città” (ossia diffondere la qualità oltre l’area direttamente interessata dalla trasformazione e senza gerachie di valore fra aree centrali e aree periferiche).

Infine, non va sottovalutata l’azione di ricerca e promozione della Regione Emilia in varie forme: sperimentali, come quelle per l’edilizia a basso costo o autocostruita; di sostegno ai comuni; pubblicistica. Una rivista gestita in collaborazione con la facoltà di architettura di Ferrara è dedicata specificamente al tema della riqualificazione urbana.

La Regione Toscana per quanto non priva di iniziative del genere vi dedica certamente una minore attenzione. Anche i regolamenti di attuazione recentemente approvati sul tema del recupero degli insediamenti esistenti non sfuggono all’obiettivo politico di non porre vincoli all’azione dei comuni e quindi si presentano, salvo problematiche particolari, generalmente poco incisivi.

2. La qualità è difficilmente regolabile nei piani[9], ma il tema dello spazio pubblico, dei servizi, degli standard è uno strumento importante per avvicinarla, e perciò costituisce un altro riferimento fondante del “progetto di città” nella fase del rinnovo urbano (come dimostrano le più note e acclamate esperienze europee, in particolare spagnole e francesi). Il tema è importante anche per il rilancio di una politica di welfare urbano se si allarga la nozione di standard oltre la misura tradizionale a comprendere anche l’edilizia residenziale sociale. Ad oggi, la legge emiliana introduce alcuni importanti approfondimenti (ampliamento dell’aliquota minima di spazi per standard a 30 mq/abitante, anziché 18; dotazioni ecologiche e ambientali, in conformità con alcuni degli assi tematici dei programmi comunitari[10]). Spiace che non sia stata ripresa l’idea del piano dei servizi come piano strategico della qualità urbana a cui dovrebbero riferirsi (come suggerito dalla ricerca dell’Archivio Piacentini) le politiche insediative e le strategie degli accordi con i privati.

Per il prossimo futuro, una nuova legge in discussione (Governo e riqualificazione solidale del territorio) propone di prescrivere agli interventi di trasformazione la cessione di una quota di aree per edilizia residenziale sociale (pari al 20% dell’area di trasformazione) aggiuntiva agli standard tradizionali.

La Regione Toscana si limita ad un riferimento alla dotazione minima (18 mq/abitante) per gli standard, mentre il regolamento di attuazione dell’art. 75 consente ai Ps di superare tale limite.

Per evitare un’eccessiva enfasi su questo tema, occorre distinguere due punti: il primo è l’idea di estendere i servizi e di connetterli dentro un disegno come una struttura di supporto dell’insieme delle trasformazioni; il secondo è quello di utilizzare questo disegno come strumento per contrastare la rendita, associandolo a dispositivi di perequazione (ossia di coinvolgimento di diversi proprietari e di ripartizione dei benefici derivanti dall’edificazione e degli oneri corrispondenti ai vincoli di aree pubbliche da cedere). E’ questo secondo punto che è da verificare. Da tempo infatti si sostiene che l’unico modo per realizzare le previsioni di spazio pubblico, nelle attuali condizioni di crisi finaziaria degli enti locali, è di rendere edificabili altre aree private. Se non approfonditamente disciplinato, questo modo di gestire le trasformazioni, oltre che con la logica del piano, contrasta col principio fondamentale del risparmio di suolo, e inoltre non riesce a ridurre la rendita che si scarica inevitabilmente sugli acquirenti del prodotto finale (alloggi o servizi).[11] Questa discussione ha dimostrato che l’estensione dei servizi e il loro disegno, per quanto auspicabili, non sono sufficienti a contrastare la rendita, neppure associandoli alla perequazione.

Peraltro quattro argomenti si presentano discutibili in ambedue i provvedimenti (sia pure con sfumature diverse): i rapporti pubblico/privato e la partecipazione; il rapporto strutture ambientali/strutture urbane; il dimensionamento; il controllo del passaggio dai vecchi ai nuovi piani.

Il rapporto dell’ente locale con i privati è quindi un aspetto fortemente discusso nelle due leggi. Le differenze non sono rilevanti; in ambedue i casi, anziché fornire ai comuni idee e strumenti per contrastare la pressione dei privati alla valorizzazione delle diverse forme di rendita contemporanee, si prende atto del ruolo importante e nuovo che i privati possono svolgere nell’ambito di “accordi”; quella emiliana anticipa l’argomento del “pubblico avviso” con il quale “l’amministrazione sollecita gli operatori privati a presentare proposte e progetti finalizzati alla realizzazione degli obiettivi strategici del Piano strutturale...il successivo Regolamento urbanistico (o Piano comunale operativo) viene redatto sulla base di queste proposte formulate dai privati e selezionate dal comune sulla base di una generica...convenienza per l’ente locale” (una specie di “asta” dei diritti edificatori). La regione Toscana, dopo sporadiche esperienze,[12] ha accolto questo principio nel Regolamento di attuazione dell’art. 75 e lo sta sperimentando in accordo col comune di Firenze, tra molte polemiche.[13]

Le critiche su questo punto riguardano il rischio che il piano si configuri come semplice sommatoria di interventi e proposte private, anziché sulla scelta pubblica di un disegno generale rispondente a interessi collettivi.

La negoziazione sistematica deriva dalla famigerata proposta di legge Lupi che pretendeva di sostituirla ai cosiddetti “atti autoritativi” e imponeva la “partecipazione” dei “soggetti interessati“ alla pianificazione. Anche l’assenza di adeguate forme di partecipazione (su cui per la verità la Toscana sta elaborando una proposta di legge di carattere fortemente innovativo, trattata in altra parte di questa rivista) può essere vista come una scelta di privilegiare interessi organizzati rispetto a quelli di tipo generale. L’impressione è raffozata dall’uso della perequazione cui si è accennato, intesa più come strumento per compensare i privati e ridurre i deficit comunali che come strumento per consentire disegni organici indipendenti dalla proprietà dei suoli.

Le valutazioni sembrano lo strumento più idoneo a superare la storica contraddizione fra urbanistica e ambiente nel “governo del territorio”. In particolare, rendere il progetto urbanistico “integrato” ossia capace di intervenire anche su problemi di natura sociale e ambientale oltrechè urbanistica e di morfologia urbana sarebbe coerente con i risultati del dibattito sulla città e l’architettura (la nozione di contesto, ad es.) e il principale requisito richiesto per i programmi europei sulla città. Molte difficoltà tecniche e teoriche sono tuttavia ancora da superare (i contenuti non sono ancora chiari e soddisfacenti; l’applicazione dovrebbe distinguere fra dimensione dei problemi e dei comuni, ecc.). Nella legge emiliana sembra quasi di leggere la distinzione fra piano urbanistico e politiche ambientali, confermata dalla ricerca dell’Archivio Piacentini, mentre in quella Toscana l’enfasi sulle nozioni ambientaliste e territorialiste fa trascurare esplicitamente l’ambiente urbano. In ambedue i casi quindi le due nozioni (ambiente naturale e ambiente urbano) restano separate se non contrapposte, e non si colgono pertanto gli spunti derivanti dalle migliori esperienze europee di progetto urbano o di recupero alla grande scala nelle quali la tutela dei grandi spazi naturali è associata all’istituzione di parchi pubblici, di attrezzature e di servizi in un rapporto di integrazione con la vita urbana; o ai progetti di paesaggio che riqualificano la città non con nuovi interventi edilizi ma con la valorizzazione degli spazi aperti e naturali. Queste esperienze da un lato confermano la necessità di introdurre un blocco alla crescita edilizia non adeguatamente giustificata. Dall’altro fanno pensare che per costruire il metodo del “governo del territorio” più che un’utopica integrazione interdisciplinare sia preferibile lavorare all’interazione efficace fra ricerche disciplinari diverse.

Il dimensionamento degli insediamenti (abitazioni, edifici produttivi, attrezzature, alberghi, centri commerciali) è un argomento centrale di ogni livello di piano (per quello provinciale, che dovrebbe indicare le soglie di crescita o di trasformazione dei comuni, come per quelli comunali che dovrebbero localizzare le aliquote e verificare i modi e i tempi di realizzazione), ma le due leggi sostanzialmente evitano di trattarlo direttamente, abolendo in pratica la regolamentazione quantitativa di tipo tradizionale. Indirettamente viene trattato dalle valutazioni (che hanno il compito di stimare l’impatto anche dal punto di vista quantitativo) o, nel caso delle legge emiliana, dai “bilanci delle risorse territoriali”; il rischio è che al di là delle dichiarazioni di principio i piani ripropongano una crescita sproporzionata (magari attraverso il “recupero” di aree degradate) e che questo processo non sia comprensibile se non alla fine, quando cioè diventa visibile. Inoltre, è da segnalare la difformità di calcolo per cui certi comuni non calcolano nella capacità insediativa operazioni di recupero di aree degradate; in altri casi le verifiche di dimensionamento sono limitate alla residenza e non considerano gli altri settori urbani quali la produzione, il commercio, ecc. La Regione Toscana col regolamento di attuazione dell’art. 75, approvato nel 2007, quindi con un consistente ritardo rispetto alla legge originaria del ’95, ha per la verità corretto sostanzialmente questa lacuna, introducendo una serie di prescrizioni almeno per il Piano strutturale. Il piano provinciale continua ad essere sottovalutato. Comunque, sono in particolare importanti le “disposizioni” sui criteri del dimensionamento, in riferimento al vecchio piano (del quale è prescritto un rendiconto) e la sua articolazione nelle diverse funzioni (residenziale; produttiva; commerciale, relativamente alle medie strutture di vendita; turistico ricettiva; direzionale; agricola e agrituristica).

Infine, last but not least un argomento apparentemente marginale che ha suscitato molta confusione e contrasti: come raccordare i vecchi strumenti di piano con i nuovi? I vecchi piani col loro bagaglio di previsioni non attuate, di varianti in crescita approvate nel periodo della cosiddetta “bolla immobiliare” che negli anni ’90 ha eccitato il mercato edilizio, come devono essere trattati? Possono essere abrogati? E se possono essere attuati in regime di salvaguardia, come incidono sui nuovi piani (sul dimensionamento, sulle scelte strategiche, ecc.)?

La mancanza di decisioni chiare delle regioni (quali ad esempio una precisa norma di salvaguardia o indicazioni precise su quali scelte considerare e come) ha originato una corsa all’attuazione con ripercussioni pesanti sulla nuova generazione di piani, che nascono fortemente condizionati. In Toscana, la vicenda di Montichiello ad esempio rientra in questo limite.

Tra l’altro, se i Ps accolgono acriticamente le previsioni dei vecchi piani, si riduce anche la possibilità di stabilire condizioni più vantaggiose per l’ente locale (derivanti dall’aggiornamento degli standard e degli oneri). [14]

La Regione Toscana ha tentato di correggere questa lacuna con il regolamento di attuazione dell’art. 75, cui si è già accennato, e nel Piano di indirizzo territoriale; in quest’ultimo si prescrive che gli interventi non attuati siano verificati da procedure specifiche. Norme del genere per quanto utile sono tardive (si chiudono le porte della stalla quando i buoi sono scappati).

In definitiva se il modello delle regioni rosse appare un po’ “ingiallito” (come ha scritto Carlo Trigilia sul Sole 24 Ore di qualche mese fa), pur restando forti le differenze rispetto ad altre regioni italiane (nella erogazione dei servizi, nello stile di vita, nelle relazioni sociali), la crisi del “progetto di città” probabilmente ne costituisce una delle cause e il “governo del territorio” pertanto appare un obiettivo ancora da raggiungere.

[1] La comunità europea come è noto ha potere in campo ambientale e non in campo urbanistico; tuttavia, attraverso le politiche, le azioni ed i programmi è possibile individuare una linea culturale di sviluppo urbano ecoompatbile ed i requisiti del “progetto di città” rispondente a standard comunitari (si veda P. Ugolini, La riqualificazione della città negli attuali sviluppi culturali ed operativi delle politiche nazionali e comunitarie, Territorio n. 14,2000 )

[2] Nella legge toscana l’art. 3 aggiunge un importante corollario: che i nuovi insediamenti devono concorrere alla riqualificazione complessiva degli insediamenti.

[3] Proposta di Direttiva del parlamento europeo e del consiglio che istituisce un quadro per la protezione del suolo e modifica la direttiva 2004/35/CE, presentata dalla commissione il 22.9.06.

[4] Molti paesi europei hanno emanato leggi più precise e cogenti al riguardo (Francia, Gran Bretagna, Svizzera), come mostra l’articolo di R. Camagni e C. Gibelli su questa rivista.

[5] Ad esempio “Cinque anni di vita della nuova legge urbanistica della regione Emilia-Romagna” Rapporto a cura dell’Archivio Piacentini, giugno 2006; G. Angelillo, G. Rinaldi, “Riflessioni sul processo di adeguamento della pianificazione urbanistica alla lr 20/2000”, In forum n. 27 dicembre 2006

[6] Si dovrebbe aggiungere l’intercomunalità, che la legge emiliana più o meno direttamente stimola in varie forme, particolarmente per quanto riguarda le aree produttive e i poli terziari, la redazione dei piani strategici, l’applicazione della perequazione anche fiscale (ossia la ripartizione dei benefici fiscali indipendentemente dalla localizzazione degli impianti produttivi). Alla fine del 2006, il 62% dei comuni che stanno adeguando il piano alla legge 20 lo fa in forma associata (cfr. G. Angelillo, G. Rinaldi, op. cit.).

[7] Al riguardo un gruppo di docenti e ricercatori dell’università di Firenze, assieme ad alcuni amministratori locali e soprintendenti provinciali, ha inviato il 14.10.2005 alla Regione Toscana un appello a rilanciare la tutela, la pianificazione e il recupero dei centri storici.

[8] L. Ravanello, M. Maria Sani, le politiche urbanistiche per la città esistente in Emilia Romagna, Urbanistica Informazioni n. 203, 2005

[9] Il tentativo della legge toscana di definire la qualità urbana all’art. 37 è perlomeno inadeguato.

[10] In particolare miglioramento ambientale, tramite la creazione di spazi verdi e servizi (si veda P. Ugolini, op.cit.).

[11] Le alternative alla negoziazione, anche senza rievocare il fantasma dell’esproprio generalizzato a prezzi agricoli, sono diverse: in primo luogo c’è la soluzione dell’intervento pubblico diretto (esproprio a prezzi di mercato, urbanizzazione, ricessione a prezzi di costo), in modo da mettere in competizione l’offerta di aree pubbliche con quella privata (soluzione sostenuta ad esempio da Benevolo); in secondo luogo ci possono essere le soluzioni legislative che incidono, senza eliminarla sull’entità della rendita (ad esempio una limitazione dell’”equa rendita” sul modello dell’equo canone o una riduzione del valore dei terreni da sottoporre ad esproprio).

[12] Il comune di Rosignano per primo in Toscana ha emesso un bando dopo il Piano strutturale e ha raccolto circa 800 proposte per il Regolamento urbanistico, con una capacità superiore a quella stabilita e un potenziale contenzioso di ampie proporzioni.

[13] Comitati dei cittadini di Firenze, Firenze: la città all’incanto, documento del 25 gennaio 2007

[14] G. Campos Venuti, Una valutazione positiva per le modifiche alla legge 20/2000 della Regione Emilia Romagna, In forum n. 27, dicembre 2006

Ha lavorato nelle aule dei consigli comunali e provinciali, negli uffici legislativi delle regioni e del Parlamento, nelle stanze dove gli urbanisti dei comuni, delle province e delle regioni tentano di adoperare gli strumenti della pianificazione per garantire, alle generazioni presenti e a quelle future, un governo pubblico democratico del territorio.

Come ha ricordato Massimo Cacciari nella seduta del consiglio comunale di Venezia una virtù rara che in Gigi splendeva in modo eccezionale era il disinteresse. Il giorno in cui è scomparso avevamo inserito come “pensiero del giorno” una frase di Montesquieu che esprime pienamente questa qualità. “La virtù politica è una rinuncia a se stessi, ciò che è sempre molto faticoso da sopportare. Questa virtù consiste nella preferenza continua dell'interesse pubblico agli interessi propri.”

I giornali, nel ricordarlo, hanno accennato ai piani comunali, provinciali e regionali ai quali ha collaborato, alle iniziative legislative di cui è stato promotore o intelligente estensore, e le numerose battaglie per la difesa del territorio che ha promosso o appoggiato in ogni parte d’Italia. I due versanti tra loro strettamente connessi sui quali si concentrava tutta la sua attenzione sono stati: la tutela accorta di tutte le qualità del territorio, considerato come un insieme di beni destinati a soddisfare le esigenze della società di oggi e di quella di domani; il liberalismo che deve inverarsi nella forma democratica di organizzazione istituzionale e nella garanzia per tutti di un adeguato status sociale ed economico.

Non ha sbagliato chi ha detto che Gigi Scano è stato colui che ha raccolto nel modo più coerente e pieno l’eredità di Antonio Cederna. Di Tonino era, del resto, collaboratore nel lavoro legislativo e guida nei misteri di Venezia e della sua Laguna, oltre che interlocutore in una disciplina, l’urbanistica, alla quale entrambi pervenivano da percorsi diversi e che entrambi ritenevano essenziale per il futuro del nostro paese.

Ho conosciuto Gigi trent’anni fa, quando cominciammo a lavorare per il Comprensorio della legge speciale di Venezia. Insieme a lui conobbi i principali esponenti della vita politica e culturale di allora a Venezia, alcuni ancora protagonisti, come il sindaco Massimo Cacciari, che ringrazio, se posso permettermi, a nome di Gigi, per le parole generose e appropriate con le quali lo ha ricordato.

Insieme ad Antonio Cederna, Michele Martuscelli e ad altri non veneziani, trent’anni fa scoprii che nessuno conosceva Venezia come Luigi Scano, dalla storia all’idraulica, dall’arte all’economia

Sono stati ricordati in queste ore i suoi meriti, le sue virtù, la sua prepotente passione politica, la grande cultura, la tenacia, la competenza, l’amore per il bello e per il diritto, per Venezia, e soprattutto l’essere assolutamente privo di interessi personali e materiali. Viveva occupandosi di urbanistica, dotato di un’attitudine insuperata in materia, che ne faceva una risorsa alla quale molti attingevano, a partire da Gianni Pellicani, a tanti parlamentari, giornalisti, studiosi. Da qui, anche il suo ruolo di pilastro del sito eddyburg per gli aspetti legati al diritto e a Venezia. E poi va ricordata la collaborazione alle associazioni culturali, ai movimenti, a Italia nostra, al No Mose, al comitato di Fiesole, dovunque apprezzato, amato, insostituibile, generoso, pronto all’indignazione, disposto a ogni rinuncia, sacrificando all’interesse pubblico le proprie più elementari necessità. È morto povero.

Per trenta anni, dopo l’esperienza del Comprensorio, un piano sgradito al potere di allora e finito in un cassetto, abbiamo sempre lavorato insieme. Nel 1988 è opera sua un’eccellente proposta di riforma urbanistica curata per incarico dell’inetto governo del tempo, che archiviò tutto. Ha collaborato attivamente al piano paesistico dell’Emilia Romagna, ai piani regolatori di Venezia, Napoli, Pisa, Positano, Eboli, Carpi, Duino Aurisina, Imola, Sesto Fiorentino, e Lastra a Signa, di cui era particolarmente fiero, e ai piani provinciali di Lucca, Pisa, La Spezia, Foggia. Gigi è sempre stato un riferimento prezioso, un urbanista completo, una sicurezza. I suoi amici e chi ha collaborato con lui non osano pensare a come sarà il futuro senza di lui.

Non ha avuto il tempo di dare sistemazione al suo sapere. E neppure al suo preziosissimo archivio di documenti sull’urbanistica veneziana. Lascia pochi libri, rispetto a tanti che poteva scrivere. Ma Venezia terra e acqua è il più bel testo su Venezia che io conosco. Purtroppo introvabile, spero che possa essere ristampato.

Gigi, la terra ti sia lieve.

La virtù politica è una rinuncia a se stessi, ciò che è sempre molto faticoso da sopportare. Questa virtù consiste nella preferenza continua dell'interesse pubblico agli interessi propri

la Nuova Venezia

«Scano, una vita per la polis»

«Gigi Scano, una vita per la politica intesa nel suo significato più puro, dedicata disinteressatamente alla polis come servizio laico alla comunità civile». Così, non senza commozione, l’ex sindaco Antonio Casellati ricorda l’amico e compagno di tante battaglie scomparso domenica sera nella sua casa di Cannaregio. Aveva 61 anni, Scano, ed era una delle figure più autorevoli dell’urbanistica italiana. «I suoi interessi ideali», dice Casellati, «furono incentrati soprattutto sulla tutela e sul rispetto della città». Scano contribuì alla scrittura della prima Legge Speciale. Rendendo obbligatorio l’uso del gas metano, meno inquinante della nafta. Scano consigliere comunale e assessore all’Ecologia alla fine degli anni Settanta. Fondatore dei repubblicani veneziani, che con Visentini, Casellati, Zitelli e Ugo La Malfa furono protagonisti di tante battaglie per Venezia. Scano che a un certo punto se ne va dalla città, e comincia a collaborare con grandi urbanisti come Vezio De Lucia. La sera prima di essere colto da infarto, Luigi Scano era stato a cena proprio con l’ex sindaco. «Insieme a lui», ricorda commosso Casellati, «avevamo portato l’ultimo saluto a Gianni Pellicani. Che forse ha lasciato maggior orma di sè. E un simile rimpianto di elevatezza intellettuale e limpida onestà».

Numerose ieri le testimonianze di affetto. «Esprimo il mio dolore per la scomparsa di Gigi Scano», ha detto ieri il sindaco Massimo Cacciari, «sicuro di interpretare i sentimenti di tutta la città. Venezia perde uno dei protagonisti fondamentali della lunga battaglia per la sua difesa e il suo sviluppo». Un grande convegno sulla figura di Scano sarà presto organizzato dal Comune, insieme a Benevolo, Cervellati, Salzano e Vezio De Lucia. E l’amministrazione si è impegnata a recuperare lo sterminato archivio di Gigi. Una parte preziosa della storia recente di Venezia. «Dopo i decenni di manomissione e sconvolgimento della laguna a opera del partito del fare», lo ricorda il verde Gianfranco Bettin, «Scano aveva agito in favore di una Venezia restituita a se stessa. Non sempre le istituzioni ne hanno valorizzato le qualità. Speriamo ci serva di lezione per il futuro».

«Alla fine del suo viaggio attraverso l’acqua e la terra dell’urbanistica veneziana, Scano lascia un segno importante alle associazioni che continueranno a battersi per un modello delle attività umane compatibili con le persone e l’ambiente», è l’epitaffio di Luciano Mazzolin a nome delle associazioni e dei comitati No Mose.

(Alberto Vitucci)

Corriere del Veneto

« Una fondazione per ricordare l'urbanista Gigi Scano »

VENEZIA — « La virtù politica è una rinuncia a se stessi, ciò che è sempre molto faticoso da sopportare. Questa virtù consiste nella preferenza continua dell'interesse pubblico agli interessi propri » . Le parole sono di Montesquieu e a pronunciarle è l'urbanista Edoardo Salzano che ricorda così l'amico Luigi Scano scomparso domenica sera all'età di sessant'anni nella sua abitazione di Cannaregio a causa di un infarto. In molti ieri hanno voluto omaggiarlo, dal sindaco Massimo Cacciari, a Gianfranco Bettin, Andreina Zitelli, Michele Mognato, e tutti quegli ambientalisti che sin dagli anni Settanta hanno condiviso con Scano la stessa passione per la salvaguardia di Venezia.

« Abbiamo trascorso la giovinezza insieme — dice Andreina Zitelli, docente Iuav — ricordo grandi e lunghissime discussioni con lui sin dai tempi del partito repubblicano. facevamo parte della sezione di San Samuele ed eravamo una fucina ambientalista ante litteram. Molti gli episodi che in questo momento si affollano nella mia memoria. A Bressanone, giovanissimi entrambi, stilammo i limiti di accettabilità degli scarichi, era la prima normativa nazionale a tutela delle acque, prima della legge Merli » .

Ricordi e una punta polemica: « La città di Venezia alla quale era profondamente legato — aggiunge Zitelli — non lo ha mai riconosciuto pubblicamente come invece avrebbe meritato. Speriamo che questo riconoscimento arrivi postumo » . Cacciari dichiara che con la scomparsa di Scano « Venezia perde uno dei protagonisti fondamentali della lunga battaglia per la sua difesa e per il suo sviluppo. L'Amministrazione comunale organizzerà al più presto un convegno sulla figura di questo grande urbanista, insieme a tutti coloro che hanno con lui lavorato negli ultimi decenni » . Un convegno ma non solo.

Edoardo Salzano va oltre: « Propongo che venga creata una fondazione a suo nome. Gigi aveva una gigantesca documentazione urbanistica di Venezia che non può andare persa, dagli atti dei vari Consigli a piante e ritagli di giornale. Potrebbe trovare posto allo Iuav » . Tra i numerosi ricordi della sua attività per la salvaguardia anche quello di Gianfranco Bettin: « Dopo i decenni delle manomissioni e dello sconvolgimento della laguna aveva agito ed elaborato in favore di una Venezia restituita a se stessa. Non sempre la politica e le istituzioni hanno saputo valorizzarne le qualità. Speriamo sia possibile, almeno ora e in futuro, capirne pienamente la lezione e utilizzarla fecondamente » .

Ma. Co.

Lutto in città per la improvvisa scomparsa di Gigi Scano, uno dei più grandi urbanisti veneziani, già consigliere comunale per i repubblicani di Bruno Visentini.

Luigi Scano è morto a casa sua, in Rio Terà, colto da un infarto, il secondo dopo quello che aveva sofferto, e superato, quattro anni fa. Viveva da solo ed è stato ritrovato dai Vigili del Fuoco - ieri sera intorno alle ore 20 -, ormai privo di vita, riverso sul lavandino col rubinetto aperto, nel bagno di casa sua.

Ad avvertire i Vigili del Fuoco sono stati i vicini di Luigi Scano, allarmati dall’acqua che vedevano uscire senza sosta da sotto la porta della sua abitazione.

Luigi Scano aveva sessant’anni e nonostante il suo lavoro di urbanista lo portasse spesso in giro per l’Italia e all’estero, tornava sempre nella sua Venezia.

L’amore per la città e la sua professione, lo hanno portato ad essere uno dei protagonisti della vita politica e dei grandi piani di trasformazione urbanistica di Venezia e della Terraferma.

E’ stato uno degli artefici del Piano regolatore generale del centro storico e ha dato un importante apporto alla stesura delle Legge Speciale per Venezia.

Alla fine degli anni Settanta, ha lavorato anche alla pianificazione territoriale per «comprensori», anticipazione di quello che sarebbe poi diventata la città metropolitana.

E’ stato consigliere comunale (per il Partito repubblicano di Visentini) durante la giunta rossoverde di Casellati e convinto promotore del Comitato del No al primo referendum per la separazione di Mestre e Venezia.

Dopo la morte di Bruno Visentini ha continuato a militare nel Pri, ma ne è poi uscito quando, Giorgio La Malfa, ha deciso di schierarsi con il centrodestra di Berlusoni.

Ultimamente si era avvicinato ai Democratici di sinistra veneziani.

La sua lunga esperienza di urbanista in una città complessa e fragile come Venezia, lo ha portato a schierarsi decisamente contro le grandi opere: a cominciare dal Mose fino alla Sublagunare.

L’estate scorsa, durante una mobilitazione contro il Mose, Luigi Scano aveva pubblicamente ricordato che il decreto legge 62 del gennaio 1994 (tuttora vigente) prevede la costituzione di una società pubblica partecipata da Stato, Regione ed enti locali con lo scopo di studiare, progettare e controllare le opere di salvaguardia in laguna, sottraendole così al monopolio progettazione-esecuzione del Consorzio Venezia Nuova. «Sono passati dodici anni dalla firma di questo decreto - diceva - ma il Consorzio agisce ancora indisturbato, progetta e realizza, con continue forzature interpretative».

TITOLO I - FINALITÀ

Art. 1 – Finalità

TITOLO II - STRUMENTI URBANISTICI

CAPO I - STRUMENTI URBANISTICI GENERALI

Art. 2 - Criteri di formazione dei piani regolatori generali

Art. 3 - Pubblicazione, osservazioni e opposizioni

Art. 4 - Approvazione del piano regolatore generale

Art. 5 - Approvazione del programma di fabbricazione

Art. 6 - Termine per l’adozione dei piani regolatori generali e dei programmi di fabbricazione

Art. 7 - Commissione comunale edilizia

Art. 8 - Varianti ai piani comprensoriali. Scioglimento delle assemblee consortili

CAPO II - STRUMENTI URBANISTICI DI ATTUAZIONE

Art. 9 - Contenuto dei piani particolareggiati e dei piani di lottizzazione

Art. 10 - Definizione di isolato

Art. 11 - Formazione dei comparti

Art. 12 - Approvazione dei piani particolareggiati

Art. 13 - Piani particolareggiati di risanamento. Obblighi dei comuni

Art. 14 - Piani di lottizzazione – Convenzione

Art. 15 - Piani di lottizzazione per complessi insediativi chiusi ad uso collettivo

Art. 16 - Obblighi dei comuni di dotarsi di piani di edilizia economica e popolare

Art. 17 - Riserva di aree

Art. 18 - Obblighi dei comuni in ordine ai piani per insediamenti produttivi

CAPO III - NORME COMUNI AGLI STRUMENTI URBANISTICI

Art. 19 - Efficacia degli strumenti urbanistici. Salvaguardia

Art. 20 - Definizione degli interventi

Art. 21 - Attuazione degli strumenti urbanistici nelle zone A e B

Art. 22 - Interventi produttivi nel verde agricolo

Art. 23 – Agroturismo

Art. 24 - Spese per la formazione degli strumenti urbanistici. Disciplinare–tipo

Art. 25 - Contributi per la rielaborazione degli strumenti urbanistici

Art. 26 - Controllo sulle deliberazioni comunali

Art. 27 - Interventi sostitutivi

TITOLO III - PROGRAMMI PLURIENNALI

Art. 28 - Programmi pluriennali di attuazione. Comuni obbligati - Durata

Art. 29 - Contenuto del programma pluriennale di attuazione

Art. 30 - Dimensionamento - Elaborati del programma

Art. 31 - Formazione ed approvazione

Art. 32 - Attuazione dei programmi pluriennali

Art. 33 - Opere ammesse al di fuori delle aree incluse nei programmi pluriennali

Art. 34 - Anticipazione di spesa per l’attuazione dei programmi pluriennali

Art. 35 - Procedure per la concessione delle anticipazioni

TITOLO IV - NORME REGOLATRICI DELL’ATTIVITÀ EDILIZIA

CAPO I - CONCESSIONI EDILIZIE

Art. 36 – Concessione

Art. 37 - Controllo partecipativo

Art. 38 - Intervento sostitutivo per mancato rilascio di concessione

Art. 39 – Cave

Art. 40 - Convenzione tipo o atto d’obbligo unilaterale

Art. 41 - Oneri di urbanizzazione

Art. 42 - Esenzioni dagli oneri

Art. 43 - Riduzione degli oneri

Art. 44 - Ratizzazione del contributo per opere di urbanizzazione

Art. 45 - Contributo per opere di urbanizzazione per insediamenti turistici, industriali ed artigianali

CAPO II - VIGILANZA E SANZIONI

Art. 46 – Vigilanza

Art. 47 - Sospensione dei lavori

Art. 48 Sigilli

Art. 49 - Sanzioni principali

Art. 50 - Sanzioni amministrative per mancato o ritardato pagamento del contributo per la concessione

Art. 51 - Altre sanzioni

Art. 52 - Poteri sostitutivi della Regione

Art. 53 - Annullamento di provvedimenti comunali

Art. 54 - Obbligo del sindaco

TITOLO V - CENTRI STORICI E TUTELA DELL’AMBIENTE

Art. 55 - Centri storici

Art. 56

Art. 57 - Disposizioni di tutela particolare

TITOLO VI - CONSIGLIO REGIONALE DELL’URBANISTICA

Art. 58 - Istituzione del consiglio regionale dell’urbanistica

Art. 59 - Composizione del consiglio regionale dell’urbanistica

TITOLO VII

Artt. 60 – 67

TITOLO VIII - NORME VARIE, FINALI, TRANSITORIE E FINANZIARIE

Art. 68 - Destinazione dei proventi

Art. 69 - Norme per la pianificazione regionale

Art. 70 - Comitato tecnico–scientifico

Art. 71 - Consulenti dell’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente

Art. 72 - Utilizzazione di dipendenti statali

Art. 73 - Piani comprensoriali. Interpretazione autentica della legge regionale 3 febbraio 1968, n. 1

Art. 74 - Frazione Marina di Melilli

Art. 75 - Norma transitoria

Art. 76 - Disposizioni transitorie

Art. 77 - Copertura finanziaria

Art. 78

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