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Indice

TITOLO I - PRINCIPI GENERALI

CAPO I - FINALITÀ E LIVELLI DI PIANIFICAZIONE

Art. 1 – Oggetto

Art. 2 – Contenuti e finalità

Art. 3 - Livelli di pianificazione

Art. 4 – Valutazione ambientale strategica (VAS) degli strumenti di pianificazione territoriale

CAPO II - FORME DI CONCERTAZIONE E PARTECIPAZIONE NELLA PIANIFICAZIONE

Art. 5 – Concertazione e partecipazione

Art. 6 - Accordi tra soggetti pubblici e privati

Art. 7 - Accordo di programma

CAPO III – COORDINAMENTO E INTEGRAZIONE DELLE INFORMAZIONI

Art. 8 - Osservatorio della pianificazione territoriale ed urbanistica

Art. 9 – Cartografia tecnica regionale

Art. 10 - Quadro conoscitivo e basi informative

Art. 11 – Parametri per la validazione del quadro conoscitivo

TITOLO II - STRUMENTI DI GOVERNO DEL TERRITORIO

CAPO I - PIANIFICAZIONE COMUNALE PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO

SEZIONE I - Piano regolatore comunale

Art. 12 – Il Piano Regolatore Comunale

Art. 13 – Contenuti del Piano di assetto del territorio (PAT)

Art. 14 – Procedimento di formazione, efficacia e varianti del piano di assetto del territorio

Art. 15 – Procedimento di formazione del piano di assetto del territorio mediante procedura concertata tra Comune e Provincia

Art. 16 – Contenuti, procedimento di formazione e varianti del Piano di assetto del territorio intercomunale (PATI)

Art. 17 – Contenuti del Piano degli interventi (PI)

Art. 18 – Procedimento di formazione, efficacia e varianti del Piano degli interventi

Art. 18 bis – Interventi in diretta attuazione degli strumenti urbanistici generali

SEZIONE II – Attuazione della pianificazione urbanistica

Art. 19 – Piani urbanistici attuativi (PUA)

Art. 20 – Procedimento di formazione, efficacia e varianti del piano urbanistico attuativo

Art. 21 – Comparto urbanistico

CAPO II – PIANIFICAZIONE PROVINCIALE PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO

Art. 22 – Contenuti del piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP)

Art. 23 – Procedimento di formazione, efficacia e varianti del piano territoriale di coordinamento provinciale

CAPO III – PIANIFICAZIONE REGIONALE PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO

Art. 24 – Contenuti del piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC)

Art. 25 – Procedimento di formazione, efficacia e varianti del Piano territoriale regionale di coordinamento

Art. 26 – Progetti strategici

Art. 27 – Valutazione tecnica regionale (VTR)

CAPO IV – NORME PARTICOLARI SUI PROCEDIMENTI

Art. 28 – Intese

Art. 29 – Misure di salvaguardia

Art. 30 - Annullamento dei provvedimenti comunali e poteri sostitutivi

TITOLO III – AREE PER SERVIZI E VINCOLI

Art. 31 – Dimensionamento e aree per servizi

Art. 32 – Dotazioni di aree per servizi nei Piani Urbanistici Attuativi

Art. 33 – Aree non pianificate

Art. 34 – Vincoli urbanistici preordinati all'esproprio

TITOLO IV – NORME SPECIFICHE

Art. 35 – Perequazione urbanistica

Art. 36 – Riqualificazione ambientale e credito edilizio

Art. 37 – Compensazione urbanistica

Art. 38 – Società di trasformazione urbana

Art. 39 – Cessione di aree per edilizia residenziale pubblica

Art. 40 – Centri storici e beni culturali

Art. 41 – Zone di tutela e fasce di rispetto

Art. 42 – Progetti di particolare rilievo

TITOLO V – TUTELA ED EDIFICABILITÀ DEL TERRITORIO AGRICOLO

Art. 43 – Tutela del territorio agricolo nel Piano Regolatore Comunale

Art. 44 – Edificabilità

Art. 45 – Vincoli

TITOLO VI - NORME FINALI

Art. 46 – Attività di indirizzo

Art. 47 – Contributi

Art. 48 – Disposizioni transitorie

Art. 49 – Abrogazioni

Art. 50 – Disposizioni sull'applicazione della legge

Art. 51 – Dichiarazione d'urgenza

Oggi nel nostro Paese tutti dicono di voler perseguire l’obiettivo dello “sviluppo sostenibile” e questo tema è entrato nelle agende politiche e nei vari incontri internazionali che hanno originato avanzati “protocolli d’intesa” (Kyoto). Tuttavia si assiste ancor oggi a pratiche che vanno nella direzione opposta per cui si continuano a dissipare fonti energetiche e beni naturali non rinnovabili e non disponibili in modo illimitato, tra cui il suolo. In particolare negli ultimi decenni, in nome dello sviluppo economico produttivo, abbiamo assistito ad una crescente cementificazione di suolo agricolo e di campagna conseguente a pesanti infrastrutturazioni per la mobilità, ad espansioni residenziali a bassa densità di piccoli e medi centri, alla realizzazione di poli per la logistica e di centri commerciali, alla costruzione di centrali termoelettriche e di discariche, ignorando il crescente impatto che tutto ciò ha sull’ambiente, sul paesaggio, sull’inquinamento e sulle attività agricole che sono state considerate come “residuali” rispetto alle altre attività umane. A favorire questa logica predatoria, in cui il terreno agricolo e la campagna sono ritenute una riserva per l’urbanizzazione, hanno concorso molteplici fattori tra cui l’affermarsi di modelli di pianificazione ispirati da politiche che subordinano l’interesse pubblico a quello privato.

Condivido quanto va dicendo da tempo Edoardo Salzano: ridurre significativamente il consumo di suolo non è un compito semplice, né una questione che possa essere affidata esclusivamente ai tecnici del territorio o dell’amministrazione poiché è una questione pienamente politica, nel senso che esige che l’arte del governo della società riprenda possesso di un tema che ai suoi sacerdoti (politici) spetta in primo luogo affrontare. Esso è un problema politico perché presuppone il governo di un “bene pubblico”, quale il territorio, in quanto esso è il luogo in cui la società si produce e si riproduce e che pertanto deve essere concepito come una pratica complessa in cui interagiscono molteplici fattori di natura sociale, economica, ambientalee culturale. Il territorio infatti è qualcosa di più complesso e sostanziale: è il contenitore non passivo di una comunità e dei suoi bisogni.Una complessità che però viene negata dal fatto che esso è stato ricondotto essenzialmente ad una merce da sfruttare per fini economici con la conseguenza che gli altri due aspetti fondanti che lo sostanziano vengono considerati come variabili secondarie. Per fare questo si è operato affinché gli strumenti, i luoghi e le pratiche della pianificazione del territorio venissero adattati e resi funzionali a tale scopo.

Scriveva Giorgio Ruffolo: “La pianificazione territoriale è lo strumento principale per sottrarre l’ambiente al saccheggio prodotto dal “libero gioco” delle forze di mercato. Alla logica quantitativa della accumulazione di cose, essa oppone la logica qualitativa della loro “disposizione”, che consiste nel dare alle cose una forma ordinata (in-formarle) e armoniosa. Non si tratta, soltanto, di porre limiti e vincoli. Ma di inventare nuovi modelli spazio-temporali, che producano spazio (là dove la civiltà quantitativa della congestione lo distrugge), che producano tempo (là dove la civiltà quantitativa della congestione lo dissipa) e che producano valore aggiunto estetico[1]

L’affermarsi negli ultimi decenni di politiche neoliberiste che affidano al mercato la gestione del territorio ha comportato la subordinazione della pianificazione al soddisfacimento degli interessi economici prevalenti, in particolare della rendita immobiliare ed urbana. Ciò è stato consentito da una legislazione nazionale e regionale che ha permesso di operare in deroga ai Piani Regolatori comunali e che ha indebolito progressivamente la pianificazione territoriale di vasta area a seguito della limitazione dei poteri delle province.

In un contesto politico come quello della Regione Lombardia, che ha assunto la deregolamentazione quale pratica per smantellare l’intervento pubblico nella gestione della società e favorire così gli interessi economici privati, che in nome di una stravagante interpretazione del principio di sussidiarietà devolve poteri e competenze verso l’anello più debole nella gerarchia amministrativa, si è così favorito l’affermarsi, anche in ambito della pianificazione territoriale, di una legislazione che depotenzia i luoghi della gestione della complessità (Province) per privilegiare invece quelli meno adatti (ossia i Comuni) a fornire risposte a problemi complessi che, per la loro natura sistemica, travalicano inevitabilmente i confini catastaliela dimensione locale.

In nome di una falsa contrapposizione ideologica tra “centralismo” e “federalismo” si è pertanto evitato di applicare correttamente il principio di sussidiarietà il quale richiede che l’attribuzione della responsabilità, delle competenze, dei poteri e delle risorse venga assegnato al livello più idoneo a rispondere ai problemi da affrontare. La scelta del livello giusto va infatti compiuta non in relazione a competenze astratte o nominalistiche, ma in relazione a due elementi precisi: la “scala” dell’azione (o dell’oggetto cui si riferisce) oppure i suoi “effetti”.

In questi anni i Comuni, da quelli piccoli a quelli maggiori, alleggeriti da vincoli di pianificazione sovraordinati e pressati dal taglio dei trasferimenti dello stato, per far fronte alla necessità di reperire altrove le risorse finanziarie per sostenere le gran parte spese correnti dei propri bilanci, hanno così utilizzato il territorio per fare cassa rispondendo alle sollecitazioni della rendita immobiliare ed urbana.

Nell’illusione di dare risposte ai bisogni locali, le Amministrazioni si sono così cacciate in circuito circolare “vizioso”, senza via di uscita: infatti se per incassare le risorse economiche necessarie a garantire i servizi alla comunità residente si favoriscono nuove espansioni che attraggono nuova popolazione e famiglie, si genererà inevitabilmente una domanda aggiuntiva di servizi e di infrastrutture a cui il Comune sarà chiamato a farvi fronte ricorrendo, stante il permanere di questa logica, a nuove urbanizzazioni fino a quando, giunti alla saturazione del proprio territorio, si troverà nell’impossibilità di dare le risposte agli impatti che derivano da politiche che hanno assunto a riferimento la crescita illimitata.

L’esperienza ha mostrato il fallimento di queste politiche e di questo modo di concepire il governo del territorio e la manifestazione più evidente di ciò è documentato dalle conseguenze connesse all’incessante sottrazione di suolo all’agricoltura ed alla campagna per l’urbanizzazione e per l’infrastrutturazione che vanno dal peggioramento della condizioni ambientali e climatiche al depauperamento del paesaggio.

Il Lodigiano non si è sottratto a questo contesto generale. Anzi, il fatto di essere strutturato su una pluralità di centri di piccole dimensioni ha accentuato questi processi.

A ciò si aggiunga il peso che hanno avuto, nel corso di circa quarant’anni, sulle reali capacità di porre sotto controllo Piani Regolatori comunali sovradimensionati, la ricerca dell’autonomia da parte del Lodigiano, le riforme introdotte dalla legislazione nazionale e regionale che hanno modificato l’ordinamento degli Enti locali, ridisegnato i poteri e le competenze dei vari livelli istituzionali e definito nuovi strumenti per l’urbanistica e per la pianificazione, i diversi modelli di piano adottati ed i diversi obiettivi posti in capo alla pianificazione di “vasta scala”.

Nonostante i lodevoli sforzi compiuti dalla Provincia di Lodi in questi anni, non ultimo quello profuso nel recente adeguamento alla L.R.12/2005 del Piano territoriale di coordinamento provinciale che, agendo tra le maglie della legge, ha cercato di arginare le dinamiche dissipative in atto ricorrendo a strumenti quali i protocolli perequativi, gli accordi di programma, la definizione di ambiti di concertazione e altri strumenti di copianificazione, tuttavia occorre non nascondere i limiti e le insufficienze che a mio avviso anche questo piano porta con sé ai fini di un organico governo del territorio. Limiti e insufficienze che traggono indubbiamente origine dalle competenze attribuite alla Provincia dalla Legge Regionale n. 12 del 2005 la quale relega il suo suolo alla tutela del paesaggio e dell’agricoltura strategica, alla infrastrutturazione viaria, alla tutela idrogeologica ed alla definizione di criteri minimi sui temi di carattere sovracomunale da prevedere nella redazione dei Piani di Governo del Territorio, aspetti importanti che pur tuttavia rimangono subordinati alle logica dominante di un sistema che privilegia la messa a valore economica del territorio.

Territorio e ambiente sono beni comuni, necessari, indispensabili e soprattutto finiti. Ed è propria la coscienza del loro limite che deve spingere verso un radicale cambiamento di rotta nella loro gestione ed organizzazione. Solo entro un processo di pianificazione del territorio e di ciò che interagisce con esso è possibile recuperare un equilibrio ecologico da tempo compromesso. Condizione indispensabile per poterli gestire e governare in modo virtuoso e consapevole è ridare centralità alla pianificazione pubblica. Un processo che deve essere necessariamente affidato al potere pubblico poiché solo in questo ambito è possibile ricercare le risposte ai problemi che minacciano il clima e la vita sul pianeta. Pubblico e partecipato perché si tratta di gestire in modo efficace, trasparente e condiviso risorse che appartengono alla collettività. Soltanto entro questo processo, che è anche un processo di apprendimento e crescita culturale, è possibile dare concretezza ad una diversa idea di società.

In questa ottica il PTCP della Provincia di Lodi è, a nostro avviso, da concepire come un laboratorio di sperimentazione da cui partire per conseguire obiettivi più avanzati in termini di contenimento del consumo di suolo, di tutela dell’ambiente e del territorio nel suo insieme, di sviluppo dei servizi pubblici al fine di pervenire ad un assetto strutturale del Lodigiano che, superando l’attuale frammentazione comunale e le visioni localistiche dei problemi ancora presenti, garantisca un futuro sostenibile degli Enti locali. Ciò significa far assumere alla pianificazione il ruolo di cerniera tra territorio e società per passare dalla competizione comunale territoriale alla solidarietà intercomunale.

Un passaggio che implica anzitutto da parte della politica e degli Amministratori uno sforzo per fare un salto culturale in cui il futuro venga concepito responsabilmente come componente ineludibile nelle scelte attuali e contingenti.

Di fronte alla necessità di dare servizi e rispondere ai bisogni della comunità superando pratiche insostenibili che usano il territorio per scopi meramente economici, è infatti necessario traguardare la dimensione locale e innescare politiche di integrazione e cooperazione tra territori che per vicinanza, conformità, problemi e bisogni interferiscono e interagiscono.

Ciò significa anzitutto pensare e predisporre piani intercomunali che interessino più realtà territoriali ed affrontare in questo modo le problematiche in una visione sistemica, come richiede del resto la natura e la scala delle problematiche stesse. Questa strategia politica diventa ancora più importante per i Comuni che hanno una piccola dimensione, ossia per quei Comuni per i quali è ormai divenuto insostenibile garantire servizi che hanno costi fissi elevati e che di conseguenza non possono essere sopportati dalle scarse entrate di bilancio. I Comuni verrebbero così chiamati a predisporre congiuntamente e contemporaneamente uno schema strutturale unitario (come già è previsto dalla Legge regionale dell’Emilia Romagna), a condividere scenari sostenibili di sviluppo urbano e territoriale, ad assumere le scelte strategiche del piano della Provincia (infrastrutture della mobilità, ambiti produttivi e insediamenti commerciali di rilievo sovracomunale, poli funzionali), declinandole e specificandole all'interno dei propri territori. Ciò consentirebbe di programmare con maggiore efficacia gli investimenti pubblici e privati, di rispondere più facilmente alle necessità funzionali di reti e servizi pubblici, di stipulare accordi perequativi per la distribuzione di oneri e vantaggi conseguenti ai nuovi insediamenti.

Agire in comune, pianificare insieme, mettere a sistema, in questo modo, è a nostro parere possibile raggiungere e godere di quelle economie di scale di cui godono i centri maggiori, evitando di legare necessariamente il bilancio comunale alle entrate derivanti da nuove urbanizzazioni..

Nell’ottica di mettere a sistema le realtà territoriali e superare la visione localistica dei processi, un’altra questione mi sembra di particolare importanza. Mi riferisco qui al ruolo e al potere delle istituzioni intermedie, degli organi preposti al coordinamento generale degli assetti territoriali alla scala vasta, ossia delle Province. In questo senso, al di la della bontà o meno degli strumenti urbanistici locali, diventa fondamentale la capacità dei Piani territoriali di coordinamento provinciali di fornire un quadro preciso di riferimento per le politiche di governo del territorio alla scala comunale attraverso strumenti e regole non negoziabili che indichino scenari e soluzioni alle problematiche e soprattutto definiscano un sistema di indicatori in grado di valutare gli impatti e le ricadute in termini di sostenibilità delle scelte urbanistiche operate alla scala comunale. Un esigenza questa che richiede un importante impegno non solo nell’individuare gli spazi che la legislazione vigente in materia consente di utilizzare ma anche una forte presa di coscienza dei limiti presenti negli strumenti a disposizione, della loro non neutralità e della necessità di attivare processi politici e sociali che permettano di intervenire in seno alla legislazione stessa.

Entro un sistema territoriale policentrico, come quello lodigiano, in cui sono presenti molteplici unità locali di varia dimensione, un ruolo centrale va assegnato agli “ambiti territoriali”, quali associazioni di più Entilocali che condividono un comune progetto e che sono chiamati con la Provincia a sviluppare azioni di copianificazione e programmazione del territorio. Essi si configurano come un livello della pianificazione a rete che consente di superare la polverizzazione comunale e le diseconomie e sprechi conseguenti, di ridurre la competizione atomistica e conseguire, grazie alla cooperazione e concertazione tra Comuni, sinergie di varia natura che vanno a vantaggio dei centri interessati ma anche dell’intero territorio.

L’ambito territoriale rappresenterebbe pertanto, per i Comuni associati, la dimensione adeguata per realizzare un maggior controllo sul proprio territorio e sulle spinte delle rendite fondiarie ed immobiliari, per dotarsi di una qualificata capacità progettuale comune sia rispetto al territorio di competenza che alle opere pubbliche da realizzare, di darsi maggiori capacità gestionali del patrimonio pubblico, di poter assicurare ai cittadini maggiori servizi e di migliore qualità, di sviluppare politiche solidali superando gli atteggiamenti competitivi dei singoli enti, di conseguire un maggior potere contrattuale nell’accesso al credito, di poter disporre di apparati tecnico-amministrativi capaci di farsi carico di procedure complesse per accedere ai fondi dell’Unione Europea.

La pianificazione territoriale per ambiti dovrebbe quindi rappresentare il laboratorio entro il quale sperimentare e consolidare forme di cooperazione intercomunale che stimolino l’attivazione di un processo che permetta di superare assetti di tipo volontaristico e contingente, quali sono i Consorzi di Comuni e traguardare così verso forme Istituzionali stabili (unione dei Comuni, fusione di Comuni), che la legislazione nazionale e regionale già incentivano, e che consentono di unificare i bilanci dei vari Enti locali, di ridurre i costi connessi ai servizi ed ai mezzi impiegati, di darsi maggiori poteri contrattuali per l’acquisto di beni e servizi, di ottimizzare le risorse, ecc. Entro il processo di pianificazione territoriale, l’ambito “istituzionalizzato” potrebbe a sua volta costituire punto di riferimento per la costituzione di un nuovo ambito allargato ad altri Comuni contermini.

Restituire potere alla pianificazione d’area vasta, promuovere processi di pianificazione intercomunale per superare logiche localistiche e superare i forti limiti e rischi connessi alla frantumazione del territorio attorno a centri di piccola dimensione, sono a mio avviso i due cardini di una politica territoriale virtuosa che consenta non solo di contenere il consumo di suolo ma anche di dare un futuro sostenibile agli Enti locali.

Andrea Rossi, dottore in Pianificazione territorale urbnistica e ambientale, è cnsigliere provincale del Prc e collabora all'organizzazione dele Rete lmbarda dei comitati territrio e ambiente

[1]G. Ruffolo, Il carro degli indios, in “Micromega”, n. 3/1986.

Quando Adriano Olivetti decide di realizzare un nuovo stabilimento di produzione a Pozzuoli, affida il progetto al grande architetto e intellettuale napoletano Luigi Cosenza a cui chiede che siano create ampie finestre verso il mare e verso il parco (che verrà progettato da Pietro Porcinai) così da rendere più gradevole e bello il luogo di lavoro. Era il 1955 e in quel periodo le fabbriche erano rigorosamente chiuse verso l’esterno. Piccoli fortilizi che giravano le spalle alla città. Olivetti afferma invece che la fabbrica deve dialogare con la natura e il paesaggio Questa attenzione al luogo in cui vivono per molte ore al giorno i lavoratori non è né l’unica né la più importante novità che introduce nel panorama culturale italiano.

L’ambiente in cui si forma Olivetti, il padre ebreo e la madre valdese, gli consente di costruire una visione del mondo complessa e originale. Afferma che la vita produttiva è soltanto uno degli aspetti della persona umana. Un altro, fondamentale, è quello relativo agli ideali spirituali e alla crescita culturale. I due aspetti devono, sono sue parole, riunificarsi nel progetto di società futura che ha in mente, e cioè nel modello comunitario che si organizza dal basso. Nel pensiero olivettiano, la città è la proiezione fuori delle mura dei luoghi di lavoro: la qualità degli spazi pubblici e dei servizi serve a favorire l’evoluzione della coscienza civile degli abitanti. Se dunque, come nel caso di Pozzuoli, Olivetti pone grande attenzione alla qualità dei luoghi del lavoro, ben maggiore energia dedica nella sua vita ad affermare l’esigenza di creare città vivibili in grado di facilitare “l’autoaffermazione della persona”.

Il suo impegno per diffondere la pianificazione del territorio e delle città non è pertanto un fatto tecnico: deriva dalla consapevolezza che soltanto con scelte complesse e condivise si possono creare luoghi armonici in cui vivere bene. La pianificazione è il metodo con cui gli interessi della comunità possono prevalere sul dominio dei pochi proprietari degli immobili: l’interesse e il profitto non sono i soli orizzonti da perseguire. E’ per questa profonda convinzione che Olivetti incarica i grandi nomi dell’architettura razionalista italiana (BBPR, Bottoni, Figini e Pollini) di redigere nel 1936 il Piano territoriale della Valle d’Aosta di cui il canavese faceva parte e negli anni che vanno dal 1947 al 1950 la redazione del piano regolatore di Ivrea.

Negli anni ‘50 assume la direzione di Urbanistica, l’autorevole periodico dell’Istituto nazionale di urbanistica e poi la presidenza stessa dell’istituto. Un impegno che tenta di legare le esperienze pratiche –coronate da insuccessi perché la prima verrà accantonata dal regime fascista e la seconda bocciata dal consiglio comunale di Ivrea- alla riflessione teorica e alla redazione di proposte di riforma urbanistica. In quegli anni l’Italia vive il suo periodo più fecondo di riforme in questo campo, dal decreto ministeriale sul diritto agli spazi pubblici, alla legge ponte che salvaguarderà i centri antichi fino alla legge Bucalossi che nel 1977 tenterà di rendere l’urbanistica una prassi normale in ogni città italiana. L’Inu vive la sua fase più feconda diretto da Giovanni Astengo e Edoardo Detti che aveva lavorato come assessore nella Firenze di Giorgio La Pira.

Il decreto sugli spazi pubblici risale al 1968, ed è indubbio che il lavoro dei tecnici del ministero dei Lavori pubblici allora guidato da Giacomo Mancini trasse ispirazione dalle esperienze di Ivrea, dove la politica dell’azienda favorì l’apertura di una estesa serie di servizi sociali che non ha uguali con nessuna altra città italiana di quel periodo. La scuola materna, il doposcuola, i centri culturali, la biblioteca i servizi sanitari integrativi. Tutti edifici, come noto, firmati da grandi architetti.

Nel pensiero olivettiano, poi, le città non devono distruggere lo spazio naturale che le circonda, ma vivere in equilibrio e rispetto della natura. E’ noto ad esempio che l’obiettivo di contenere la crescita urbana di Ivrea -che pure sarebbe potuta diventare una città di più ampie dimensioni demografiche in relazione alla dimensione del numero dei lavoratori impiegati nell’azienda- fu risolta con una intelligente politica dei trasporti. A questa scelta illuminata si deve la preservazione della bellezza del canavese. E per sottolineare l’importanza del suo pensiero nei decenni successivi alla sua morte, la lettura della città come organismo complesso verrà ripresa da Antonio Cederna che nei suoi scritti affermerà “che il compito della pianificazione è quellodella tutela dell’identità culturale e dell’equilibrio naturale dei luoghi”. Questo binomio fu posto da Gigi Scano alla base di una proposta di legge di riforma urbanistica promossa dagli urbanisti che collaborano al sito.eddyburg fondato da Edoardo Salzano, presidente dell’Inu negli anni ’80.

A distanza di cinquant’anni dalla morte di Olivetti sembra inevitabile dover prendere atto di un sostanziale fallimento del disegno urbanistico olivettiano. Lo dimostrano almeno tre elementi. Il primo è il generale trionfo della cultura della cancellazione delle regole urbanistiche in atto da almeno venti anni e concretizzatosi nella legge di cui è primo firmatario l’on. Lupi, (pdl) che cancella gli standard e –per molti versi- la stessa pianificazione urbanistica. Il secondo è quello della sostituzione della prassi complessa della pianificazione con una serie di progetti tra loro scoordinati ed approvati con deroghe mediante “l’accordo di programma”. Il terzo è infine relativo allo ruolo dell’Istituto nazionale di urbanistica che in anni recenti ha privilegiato eventi che vanno sotto il nome di Urbanpromo, mentre Olivetti stesso metteva in guardia dal privilegiare le mere ragioni del profitto. In questi anni di liberismo selvaggio è stata oggettivamente sconfitta la cultura della pianificazione.

Ma questo giudizio negativo è profondamente sbagliato per almeno tre ordini di considerazioni che partono proprio dalla città di Ivrea.

Uno dei pilastri del pensiero olivettiano è l’idea “dell’impresa responsabile” che privilegia una sistematica opera di formazione dei tecnici e dei lavoratori. Questa straordinaria scuola, è lunga la lista degli intellettuali che hanno lavorato a Ivrea- ha lasciato un vasto tessuto di conoscenze ed esperienze che permette ad Ivrea di continuare di guardare al futuro anche in questo momento di crisi. Mentre a livello nazionale si persegue una sistematica demolizione della scuola pubblica e dell’università e della ricerca, nella capitale del canavese continua a vivere una cultura straordinaria. Lettera 22 è come noto esposta al Modern art di New York: un piccolo punto della periferia del mondo è diventato centrale proprio grazie alla qualità del lavoro di una comunità.

Il secondo motivo di ottimismo riguarda la qualità dello spazio fisico di relazione della città di Ivrea in cui il grande patrimonio di interventi dei decenni olivettiani continua a produrre idee feconde di riuso, di nuova utilizzazione pubblica, come ad esempio il museo all’aperto. Si continua cioè a stratificare e perfezionare la struttura urbana formata in quegli anni lontani. Altre città, lasciate ad una disordinata crescita speculativa pagano oggi un prezzo altissimo per la oggettiva contrazione dei servizi pubblici. I luoghi pensati e pianificati affrontano meglio i momenti di crisi salvaguardando la qualità della vita. Un modello per l’Italia.

Il terzo è infine relativo alla dimensione urbana di Ivrea, una dimensione che ha permesso di mantenere identità e comunità. Stiamo vivendo una evidente crisi dei grandi aggregati urbani in termini di convivenza civile e in termini di gravi livelli di inquinamento ambientale. Il sogno olivettiano della piccola comunità favorisce invece quelle integrazioni di funzioni produttive, agricole e ambientali oggi indispensabili per gettare le basi per una nuova fase di sviluppo fondato sulla cultura dell’inclusione.

Sono certo in questo senso, e vorrei concludere con una visione augurale, che Ivrea sarà inserita nel patrimonio culturale tutelato dall’Unesco. Sarà un evento di portata straordinaria. A parte infatti alcune meravigliose città del rinascimento (Ferrara, Pienza, Mantova e Sabbioneta) l’orologio delle nostre città tutelate si ferma a Crespi D’Adda e cioè ai decenni a cavallo dell’ottocento. La declaratoria dei motivi della protezione parla esplicitamente di “company town”, di città nata per volontà di imprenditori illuminati.

Ivrea sarebbe invece il primo esempio di una città preesistente rimodellata e reinventata secondo paradigmi moderni del periodo industriale e attuati nel rispetto della sua storia e della sua natura. Una città che ha messo al centro la dignità del lavoro e delle persone e ha favorito la diffusione della cultura. Una città inclusiva dunque, un esempio straordinariamente attuale che potrà ancora portare grandi frutti nel futuro dell’Italia.

Un modello del tutto simile a quello di Ferrara che attualizzò il vecchio centro medievale in una ampia visione rinascimentale. E se in quel luogo era comunque il “principe” che plasmava la città secondo i suoi desideri, nel caso di Ivrea le trasformazioni hanno riguardato una popolazione intera, mettendo in moto un grande processo di evoluzione sociale e di inclusione.

Ulteriore conferma dell’importanza di uomini come Adriano Olivetti che hanno saputo svolgere fini in fondo il ruolo di classe dirigente di cui oggi si sente un assoluto bisogno.

Nota: per contrasto, il modello tristemente "vincente" all'italiana del rapporto fra imprenditoria, politica e territorio è molto ben incarnato nel caso di Renzo Zingone e della sua "new town" privata anni '60 (f.b.)

Premessa



I dreamed I saw the silver space-ship flyin’

In the yellow haze of the sun

(Neil Young, After the Gold Rush, 1970)

Nel 1967 si pubblica in Italia, con il suggestivo titolo Le guide del tramonto, la traduzione del racconto Childhood’s end, di Arthur C. Clarke. La storia narra di grandi astronavi d’argento, che scendono sulla terra per guidare l’umanità - come accenna il titolo originale - fuori dall’infanzia, verso una nuova era.

Contemporaneamente, e con scopi più o meno simili, un’altra «astronave» è atterrata, stavolta nella nostrana pianura bergamasca: un monumento di calcestruzzo battezzato Il Missile guida i primi automobilisti di massa italiani verso Zingonia, la città del futuro. E’ una porta aperta su un mondo nuovo, a portata di mano, per pionieri in pantofole che vogliono iniziare una nuova vita all’ombra del missile, tra abitazioni confortevoli, fabbriche avveniristiche, servizi quasi impensabili altrove. Il tutto senza affrontare viaggi pericolosi verso pianeti lontani, ma soltanto spostandosi in uno spazio quasi vuoto della pianura bergamasca. Su una carta dell’epoca, poco a est del fiume Adda e a sud del tracciato autostradale Milano-Venezia, il Missile se ne sta al centro di un territorio diviso tra cinque piccoli comuni rurali, ad aspettare i nuovi arrivi, gli abitanti della nuova città.

A dire il vero l’idea di «città nuova», anche e soprattutto in Italia, ha una lunga e consolidata tradizione, ma stavolta dietro al Missile c’è una inedita forma organizzativa, la crescente potenza della comunicazione pubblicitaria e degli uffici stampa. Last but not least, l’idea allo stesso tempo nuova e tradizionale di «città del futuro» trova un terreno particolarmente fertile nell’ambiente sociale degli anni Sessanta, generalmente sensibile all’innovazione, alla più o meno consapevole rottura con gli schemi tradizionali, alla più o meno superficiale fiducia nelle immagini del «progresso», e allo stesso tempo poverissimo degli «anticorpi» che solo i decenni successivi, di abitudine al bombardamento mediatico, renderanno possibile sviluppare.

Oltre gli elementi di innovazione organizzativa e pubblicitaria, la città nuova di Zingonia usa a man bassa la solida tradizione dell’utopia urbana di epoca industriale: simboli inequivocabili, messaggi semplificati, vari livelli di lettura possibili, da quello dell’uomo comune a quello dell’intellettuale e/o potenziale investitore. Il prototipo di questa forma comunicativa sono i Tre magneti di Ebenezer Howard, che con una serie di diagrammi facilmente leggibili sul finire del secolo scorso delineano una possibile «terza via» tra l’inferno paleotecnico della metropoli industriale e la salubre ma rimbecillente placidità della vita rustica. In anni e luoghi più vicini ai nostri, «irridendo al blasfema della teoria naturalista della origine e dell’autonomia dei comuni, il Regime non attende il formarsi spontaneo degli aggregati, per riconoscerli, ma fonda esso stesso città là dove redime la terra» (Ortolani, 1938, p. 644). Le città nuove dell’Agro Pontino, nel senso strettamente connesso alla costruzione dell’immaginario collettivo, «comunicano» molto più attraverso i filmati Luce sulla trebbiatura, con Mussolini a torso nudo, di quanto non facciano sulle pagine patinate di Architettura le torri littorie piantate al centro della pianura semivuota.

Ovviamente e notevolmente più vicine alla sensibilità contemporanea, le forme di comunicazione del New Deal americano dispiegano in pieno i potenti mezzi della civiltà automobilistica e televisiva: con le distanze accorciate dalle autostrade, la pubblicità dei nuovi insediamenti promossi o sostenuti dalle politiche riformiste sbarca su grandi cartelloni stradali, che indicano luoghi lontani ma a portata di mano, mischiando elementi umani, geografici, architettonici in forme inedite. Zingonia eredita tutto questo, ed insieme introduce, almeno nel nostro paese, un elemento nuovo, che nei decenni successivi diventerà, dai dépliants a colori alle televendite notturne di seconde case, una peculiare forma di ideologia antiurbana: l’invito a lasciarsi alle spalle la metropoli pericolosa e congestionata, per trovare - fatalmente «immerso nel verde» - un nuovo modello di vita fornito «chiavi in mano».

Con una particolarità: le città italiane non sono, e men che mai negli anni Sessanta, i luoghi terribili che alcune forme pubblicitarie, prese forzatamente a prestito da altri contesti culturali, presentano. In più, giudizi qualitativi a parte, l’italica «fuga dalla città», complici anche gli operatori del settore, si traduce il più delle volte in una blanda suburbanizzazione, o in una diffusione insediativa che recupera per molti versi, anche se secondo forme nuove, il recente passato contadino nazionale. Resta, il percorso evolutivo della critica sociale alla città così com’è, di cui le progettualità pubbliche e private si sono storicamente fatte portatrici, e di cui il caso di Zingonia rappresenta una tappa interessante, una questione per molti versi ancora aperta, un aspetto forse meno noto di quanto meriterebbe.

Questo percorso sociale, culturale, tecnologico, economico, non è ovviamente né semplice, né lineare. Le note che seguono intendono restituirne alcuni elementi e spunti di riflessione.

1. Immagini di città



I mass-media tendono a secondare il gusto esistente

senza promuovere rinnovamenti della sensibilità ...

Omologando quanto è stato ormai assimilato

svolgono funzioni di pura conservazione

(Umberto Eco, Apocalittici e integrati, 1964)

All’inizio degli anni Cinquanta del nostro secolo, urbanisti e organi di governo italiani si sbilanciano annunciando gli orizzonti futuri della pianificazione regionale. Tecnici, amministratori e politici in un futuro immediato non dovranno più consumarsi gli occhi sulle planimetrie di qualche quartiere, o centro cittadino, ma lavorare direttamente sulle pagine dell’Atlante usato a scuola dai loro figli, per decidere le linee di sviluppo futuro della Lombardia, della Campania, delle Marche ... Naturalmente e come in altri casi, questa è solo un’intenzione, che la realtà dei fatti si incaricherà presto di ricondurre alle sue dimensioni concrete (un volume e una mostra), ma il semplice fatto di sollevare un problema rappresenta per molti versi un enorme passo in avanti, un possibile strumento nuovo di lettura.

Una parte consistente dei giovani convenuti al congresso INU di Venezia del 1952, dedicato appunto alla pianificazione regionale, non poteva certo ricordare quando, verso la metà degli anni Venti, in Italia e nel resto del mondo «occidentale» si discuteva della nuova dimensione dell’impresa industriale, della velocità potenziale dei trasporti e delle comunicazioni, e della corrispondente necessità per gli organi di governo centrali e decentrati di misurarsi alla pari con questa situazione. Le risposte tecniche, culturali e politiche a quel tempo erano state varie ed eterogenee: simili nel loro essere condizionate dalle dimensioni transnazionali della tecnologia e dell’organizzazione di impresa; diverse a seconda dei sistemi sociali in cui si collocavano. Si andava dal volontarismo empirico del piano regionale di New York, alle forme di decentramento burocratico partecipativo dell’area parigina, sino alle forme più tecnocratiche e accentratrici della regione della Ruhr e del Governatorato di Roma (Testa, 1933). Oltre le modalità di declinazione del problema, comunque, i riferimenti progettuali e di politiche di intervento rinviavano più o meno consapevolmente alle forme di insediamento proposte verso la fine del secolo XIX come «terza via» fra grande città compatta e decentramento insediativo puro, ben riassunta dal vincente slogan della Città Giardino.

Carlo Doglio nel suo intervento al dibattito sulla pianificazione regionale osserva che «L’Italia, certo, è un paese eminentemente agricolo: ma ... si va ormai, e giustamente, verso un vero e proprio decentramento delle industrie: certo occorre contrastare una frammentazione antitecnica, risultato di tradizioni soltanto artigianali, ma sta di fatto che .... i cittadini, le donne, e gli uomini, non sono l’ultimo elemento al piano, ma il primo. Non devono essere oggetto, ma soggetto del piano» (Doglio, 1953, p. 453). Se non altro per la contemporaneità della riflessione, è certo che questi giudizi sul decentramento, sul rapporto città/campagna/industria/società si intrecciano con quelli che Doglio ha sviluppato sulla questione specifica della città nuova, nella su più nota forma di Città Giardino: messaggio ecumenico e ambiguo, aperto già all’origine (forse consapevolmente) a distorsioni e fraintendimenti.

E’ del 1953 la pubblicazione del noto saggio di Doglio (riproposto poi in altre versioni) L’equivoco della città giardino, dove in forma documentatamente provocatoria si eviscerano fatti e misfatti del successo di un’idea, e del suo esatto contrario, sotto lo stesso marchio.

Come ha sperimentato qualunque studente di discipline territoriali alle prime armi, la semplice enunciazione del termine città giardino evoca automaticamente le immagini positive che i due termini antitetici compongono, a partire dall’esperienza e dalle reazioni degli ascoltatori. Il successo della denominazione, non significa ovviamente successo dell’idea originaria, e nemmeno successo di una sua evoluzione determinata dall’apporto positivo di contributi culturali accumulati nel tempo. Doglio, sviluppando la sua prospettiva critica all’inizio degli anni Cinquanta, ne conclude che:

l’idea della città giardino è positiva, ma l’impostazione con cui Howard la presenta e sviluppa ne riduce le potenzialità effettive;

la riduzione e semplificazione operata da Howard è il veicolo ideale per operatori senza scrupoli, che intendono usare le suggestioni comunicative dell’utopia per fini assolutamente opposti o diversi;

le reazioni degli arguti «specialisti» alle implicite deviazioni del programma originario, mancano sia della potenzialità comunicativa del progetto, sia della sua elasticità antistatalista e antiburocratica.

Conclude il suo impianto comunicativo, Doglio, confermando le potenzialità di fondo dell’idea di città-giardino così come concepita e divulgata agli albori del secolo, purchè l’iniziativa di insieme sia mirata a realizzare «la pianificazione di unità organiche e autosufficienti» (Doglio, 1995, p. 117), dal punto di vista socioeconomico, amministrativo, territoriale e di integrazione, ben oltre la semplice immagine ideologica della città nuova di fondazione, o il quartiere suburbano a bassa densità, o una versione aggiornata della company town, mascherata dalla nuova dimensione territoriale dei processi insediativi. Del resto, Doglio nel suo saggio ricorda che l’apporto effettivo di Ebenezer Howard, per molti versi può essere ricondotto ad un ruolo di amplificatore mediatico e mediatore di interessi scientifici e sociali, come in parte suggerisce la biografia del personaggio.

La seconda metà dell’Ottocento inglese, come puntualmente ma forse meccanicamente ricordano molti altri autori, è costellata di contributi interdisciplinari sul tema della città nuova, ma Doglio non ha esitazioni nel recuperare con particolare evidenza il contributo del geografo anarchico russo Pëtr Kropotkin, che negli stessi anni in cui matura l’idea della città giardino pubblica alcuni pamphlets molto diffusi negli ambienti riformisti anglosassoni, tra cui vale la pena forse ricordare Fields and Factories, in cui l’idea di insediamento diffuso, integrazione agro-industria, autogoverno e partecipazione locale ai processi di modernizzazione assumono forma sicuramente «utopica» se commisurate ai rapporti sociali consolidati, certamente «realistiche» al limite della banalità se l’idea di decentramento produttivo e decisionale viene letta nei termini che ci sono abituali, almeno dagli anni Settanta di questo secolo.

In sintesi, il portato delle riflessioni di Kropotkin, e dell’attualizzazione che ne fa Doglio, è: che senso ha ipotizzare un indeterminato «decentramento», e sostenerlo con ingenti risorse pubbliche, se i termini del nuovo modello insediativo sono modellati sulle esigenze particolari e di breve periodo del capitale privato? E, anche oltre le ipotesi «rivoluzionarie» che un percorso di riflessione di questo tipo in qualche modo evoca, non è forse il caso di pensare ad una lettura meno supina dell’idea di città giardino, così come la pubblicistica più o meno specializzata ce l’ha tramandata da quasi un secolo?

A ben vedere, come ampiamente ha dimostrato l’esperienza italiana e internazionale in materia di «città giardino», gli schemi originari di Ebenezer Howard, indipendentemente dalle intenzioni del loro autore, hanno generato nella maggior parte dei casi idee di insediamento con un basso contenuto sociale, un inesistente contenuto politico, un piccolo contenuto di innovazione tecnica, veicolato e amplificato dal suggestivo slogan. Nelle città italiane del primo sviluppo industriale, in età fascista, la città giardino come vaga categoria dell’immaginario inizia a generare i suoi sottoprodotti in termini di lottizzazioni private, a villini, con qualche vera o presunta pretesa di dignità architettonica, e più raramente con declinazioni locali di progettazione urbanistica a livello di quartiere.

Ma, anche se nascoste tra le pieghe del tecnicismo e della semplificazione, le istanze riformiste profonde della città giardino riescono in qualche modo a fare paura a chi vede come fumo negli occhi la partecipazione sociale attiva ai processi decisionali. Non è un caso se, tra i primi atti del regime fascista nell’area milanese, c’è lo scioglimento della società cooperativa per la città giardino, con le sue pur limitate possibilità di costruire un sistema di autogoverno locale, anche in assenza dei requisiti minimi di sostentamento socioeconomico (insediamento produttivo ecc.).

Come alternativa all’ormai transustanziata e tradita immagine della città giardino, inizia negli anni di esordio dell’economia dei grandi spazi ad imporsi, anche dal punto di vista lessicale, l’idea di «città nuova», probabilmente per una sua vera o presunta maggiore elasticità interpretativa, che soddisfa via via le necessità dell’impresa, quelle del potere accentrato alla ricerca di immagini forti di legittimazione, e infine il dibattito multidisciplinare delle sempre più numerose competenze che sono - o aspirano ad essere - coinvolte nella progettazione dei nuovi simboli di progresso.

Il miracolo comunicativo che gli schemi di Ebenezer Howard avevano realizzato con l’idea di città giardino, si ripete in Italia con le città di fondazione tra gli anni Venti e Trenta, sia negli aspetti positivi, che in quelli negativi e contraddittori. Oltre la rilevanza tecnica e organizzativa della bonifica, della costruzione ex novo e con metodi sbrigativi di una vera e propria società locale, oltre anche i concreti elementi figurativi architettonici dei nuovi spazi, emerge soprattutto l’amplificazione del messaggio, la sua articolazione per competenze e livelli di conoscenza, in cui quella che comunemente viene denominata «retorica fascista» spesso non è altro che il linguaggio corrente radiofonico o da comizio di paese. «in una domenica allietata da un cielo limpido e da un sole veramente primaverile, la campana della torre di Littoria suonando a festa, annunziava che una regione già tristemente nota per il suo squallore e per la sua inospitalità stava per essere interamente risanata e restituita a nuova vita» (Bellandi, 1933, p. 677).

Così, L’Universo, austera rivista dell’Istituto Geografico Militare, apriva un articolo di carattere storico-tecnico sui rilievi topografici connessi alla bonifica. E a ben vedere nell’immaginario dell’epoca l’idea delle città nuove è soprattutto questo, molto oltre il pur ricco e polemico dibattito specialistico che contrappone architetti, economisti agrari, urbanisti e varie lobbies professionali. L’azione pubblica su larga scala, ulteriormente amplificata dalle forme di comunicazione e pubblicità, è stato notato, mirava soprattutto a rassicurare i cittadini, per dar loro modo di guardare al futuro, anche al futuro lontano, «with unbridled confidence and a sure sense of govermental longevity» (Ghirardo, 1989, p. 5). E ciò vale non solo per la più o meno «retorica» Italia fascista, ma per la democraticissima e riformista America di Roosevelt, dove le forme più complesse e avanzate di sviluppo socioeconomico arricchiscono la questione di almeno due elementi chiave: il ruolo dell’apparato produttivo industriale e gli interessi dei privati nelle forme di insediamento.

Uno degli elementi volutamente messi in ombra dalla «retorica fascista», con la sua centralità di intervento statalista, ruralista, è il ruolo (ancora potenzialmente, per l’Italia dell’epoca) cruciale dell’industria nel determinare, dalla scala locale a quella regionale e oltre, modi e forme dell’insediamento. Il dirigismo che almeno superficialmente caratterizza anche il dibattito ufficiale su questi temi non nasconde, almeno agli studiosi più attenti, le tendenze che in Europa e negli Stati Uniti si vanno affermando negli anni a ridosso della seconda guerra mondiale. La company town ottocentesca, con tutte le sue varianti utopistiche o paternalistiche, è un modello abbondantemente tramontato, e ora anche a grande scala i processi di insediamento e reinsediamento sono una complessa forma decisionale, in cui gli interessi dell’impresa devono trovare una sintesi con quelli collettivi, a loro volta articolati orizzontalmente per settori (residenza, servizi, ambiente ecc.), e verticalmente per scale di intervento (governo regionale, locale, associazioni ..). I processi decisionali dell’impresa, quando si tratta della sua collocazione territoriale e del ruolo nella costruzione dello spazio urbanizzato, evidenziano quello che Francesco Mauro nel 1944 definisce «Polimorfismo del soggetto» (Mauro, 1944), ovvero la diversificazione ed elasticità interna dell’impresa industriale, cui deve corrispondere un altrettanto adattabile sistema di governo e contrattazione. L’esatto opposto, pur con qualche sfumatura, di quanto la cultura urbanistica nazionale aveva sino a quel momento modellato e istituzionalizzato, dalla bonifica integrale, alle città di fondazione, e infine alle leggi sul decentramento industriale e urbanistica.

Con la fine della guerra e la caduta del fascismo, le forme complesse della conflittualità che la patina «corporativa» aveva attenuato, iniziano a riemergere. L’idea di città nuova è decisamente offuscata dall’ansia della ricostruzione, anche se molto si dibatte sui modi e le forme di questa ricostruzione: «le nuove prospettive di sviluppo sociale, stimolano una diversa creatività, un diverso rapporto tra urbanistica ed istanze emergenti, un diverso modo di recepire il senso morale, sociale, politico della disciplina» (Ernesti, 1990, p. 83). Un nuovo senso che però non impedisce il permanere di una cultura dirigista del piano, in cui le forme di decentramento o accentramento vengono giudicate soprattutto in base alla loro «organicità», e solo eventualmente e in seconda battuta analizzate nelle tendenze reali e nelle motivazioni.

E’ in questo ambiente che inizia a svilupparsi il dibattito sui modi dello sviluppo, sulla politica industriale e della casa, sui nuovi quartieri e le città satelliti.

2. Fabbrica e società

Si prosegue nella pianura coltivata

sparsa di villaggi dai campanili

sormontati da statue di santi

(l’area che diventerà Zingonia, nella descrizione del Touring Club, 1954)

Quello che abbiamo definito «dirigismo» della cultura urbanistica non è, esclusivamente e necessariamente, retaggio dello stato totalitario, né specificità italica. Lo stesso Francesco Mauro, che studiando la realtà americana di dispersione e concentrazione insediativa aveva presentato un panorama inedito di complessità, centri e forme decisionali, nel suo approccio alla realtà dello sviluppo italiano e della modernizzazione postbellica sembra lasciare qualche spazio in più a un ruolo forte dell’operatore pubblico nelle scelte di programmazione. Riguardo soprattutto alle aree del Mezzogiorno, si individuano come soggetti prioritari per incrementare i ratings di attrattività delle aree i grandi enti dello Stato (ferrovie, banche pubbliche), ma anche nelle aree del futuro Triangolo le proposte di decentramento e rilocalizzazione industriale e residenziale preludono comunque a una notevole (e probabilmente non corrispondente alla realtà) capacità di governo dei vari livelli dell’amministrazione (Mauro, 1948).

Anche nella tradizionalmente democratica Gran Bretagna, culla e patria del moderno planning, alcuni approcci della cultura urbanistica ai temi di rinnovo dell’assetto territoriale sono esplicitamente accusati di dirigismo, megalomania, e visto l’oggetto del contendere di strisciante incompetenza. La stessa idea di decentramento e decongestione, apparentemente consolidato obiettivo di qualunque piano, quando interessa in un breve lasso di tempo vasti territori, popolazioni, settori e destinazioni, perde molto del suo fascino se verificata nell’ambito di una corrente amministrazione, ovvero in un contesto molto diverso da quello emergenziale che all’inizio del secolo aveva generato la città giardino di Howard, la cultura regionalista di Patrick Geddes, la sistematizzazione e divulgazione disciplinare di Raymond Unwin. Ora, con l’avvio della ricostruzione nazionale pianificata, dei programmi di sviluppo territoriale e di costruzione delle new towns, gli urbanisti sono in una posizione di potere, forse troppo accentuata: «Winning a peace can be far more tricky than winning a war» (Sinclair, 1949, p. 233).

La dogmatica, forzata, falsa automatica opposizione dialettica tra accentramento e dispersione insediativa, rischia di vanificare i pur lodevoli sforzi dei planners, che forse investiti di troppo potere mettono in atto con una certa disinvoltura (e con poche forme di negoziazione e controllo sociale) schemi di sviluppo destinati a durare per secoli: «Can the Howard pre-motor-car greenery ... and the Abercrombie “humanised monster town” all fit together in the same world without stultifying one another?» (Sinclair, 1949, p. 235). Come osserva un articolo per il centenario di Ebenezer Howard, la cultura della pianificazione, faticosamente nata e sviluppata in un vigoroso bambino, rischia crescendo di trasformarsi in un orrendo ipertrofico mostro se non si sviluppano alcuni elementi di guida esterni: conflitto interdisciplinare, controllo sociale, partecipazione popolare alle decisioni (Macfayden, 1949).

A differenza di quanto avvenuto in Italia coi primi vagiti di città nuova o di quartiere satellite, la cultura britannica - oltre le inevitabili quanto trasparenti polemiche - sembra aver metabolizzato l‘idea del piano-processo, almeno alla scala decisionale che implica scelte strategiche, con rilevanti investimenti pubblici, e tali da innescare trasformazioni lente, elastiche, e nello stesso tempo contenere le aspettative dei molti soggetti sociali che, a vario titolo, auspicano una più rapida e compiuta tangibilità dei risultati. Osserva Frank Schaffer, Segretario della Commissione per le new towns, che i tempi di interazione, progetto, attuazione, sono certo molto lenti, che la ricerca dei siti basata su dati scientifici, la negoziazione con le autorità locali, la formazione di una development company, per non parlare degli aspetti concernenti la creazione di posti di lavoro, gli incentivi alla allocazione di imprese, gli impatti con gli equilibri precedenti, appaiono per quello che sono: un processo contraddittorio di conflitto sociale, economico, istituzionale.

Ma anche in questo caso«democracy cannot be hurried» (Schaffer,1972, p. 15), e chiunque si metta in testa di costruire una città (non un quartiere dormitorio, o una lottizzazione industriale) deve mettere nel conto un processo lungo e conflittuale, e prevedere anche radicali mutamenti nell’impostazione iniziale. La realizzazione in tutto o in parte delle opere infrastrutturali, degli edifici, dei servizi, in questo senso rappresenta solo un «physical framework» per la vita quotidiana, che dovrà essere riempito dal sistema di interazione sociale che solo il tempo e la capacità adattiva del modello iniziale possono garantire. La particolare delicatezza di ruolo della società locale, e degli strumenti finalizzati a promuoverne lo sviluppo, è ben riassunta da alcune lapidarie precisazioni: «The organization responsible for building a new town is the development corporation. ... The corporation is not a Crown body. ... Nor is the corporation the local authority» (Schaffer, 1972, p. 53). In altre parole, nessuno delega niente, salvo quanto non risponde alle proprie necessità immediate, e anche gli organismi pubblici non sono sufficienti a garantire una evoluzione lineare dei propri progetti, che in qualche modo vengono affidati al sistema complesso dell’interazione conflittuale tra capitale, lavoro, politica ai vari livelli.

Il successo critico italiano delle new towns britanniche, oltre i più evidenti aspetti strettamente architettonici, si allaccia al lungo dibattito sui temi del decentramento produttivo, e della improrogabilità di scelte esplicite di governo, non necessariamente legate ad una impostazione «di sinistra» delle linee di sviluppo. Si sottolinea come, anche dopo la crisi dell’esperienza di governo laburista, il programma generale delle città nuove, inizialmente criticata dalle destre come insostenibile per le finanze pubbliche, sia stato proseguito sia per evitare contraccolpi sociali, sia perché la cultura dei planners britannici era consolidata, istituzionalizzata, ormai lontana mille miglia da qualunque possibilità faziosa: « il fenomeno del sovraffollamento dei grandi centri urbani prendeva proporzioni sempre più grandi, il governo conservatore ha ritenuto di dover riprendere l’attuazione del vecchio programma urbanistico» (Gentileschi, 1965, p. 441).

Ma oltre le difficoltà sociali di adattamento, costruzione di identità, conflitti con le società tradizionali preesistenti, impatto ambientale dei nuovi insediamenti, si iniziano a riconoscere le linee evolutive del processo di integrazione e crescita, il ruolo degli enti di sviluppo pubblici, le iniziative che i gruppi di pressione locali iniziano a mettere in campo. Anche con tutti gli sforzi di pianificazione e animazione articolati tra vari livelli di governo e organizzazioni, il senso comune insegna che «inserirsi in un nuovo ambiente è sempre difficile» (Gentileschi, 1965, p. 456).

Quando l’iniziativa di Zingonia consolida la sua visibilità a livello nazionale (e potenzialmente, come le città pontine, internazionale), c’è chi, più attento agli elementi di percezione sociale che ad una considerazione strettamente disciplinare degli elementi a disposizione, la colloca in una possibile famiglia di «città nuove», che in momenti storici non meglio precisati sarebbero «sorte in altri Stati» (Della Valle, 1967, p. 215).

L’unico esempio citato, comunque, è quello più immediatamente tangibile delle new towns inglesi. Dopo una descrizione della natura prevalentemente pubblica e sociale del programma anglosassone, a cui sin dal titolo Zingonia è accostata, l’autore italiano improvvisamente vira: «qui ci si trova di fronte ad una realizzazione nella quale non ha alcuna parte, per ora almeno, l’iniziativa statale, ma la cui nascita è dovuta unicamente allo spirito creativo di un privato e di un organismo finanziario da lui animato» (Della Valle, 1967, p. 215-216). Comunque si voglia giudicare questo approccio «critico», va sottolineato che il progetto (soprattutto comunicativo, abilmente gestito dagli uffici stampa dell’immobiliare) di una «città nuova» italiana negli anni di consolidamento dello sviluppo economico ha raggiunto il suo scopo: far parlare di sé anche all’interno del dibattito scientifico istituzionalmente legittimato.

Le riviste culturalmente e tecnicamente più autorevoli sul tema della città e del territorio, per tutto il periodo della ricostruzione e della successiva, cosiddetta «ideologia del quartiere», tentano di presentare un panorama verosimile di quanto sta accadendo, in Italia e altrove, nel campo dell’architettura e dell’urbanistica. La verosimiglianza di questo panorama, però, come è ovvio, risente fortemente (e ancor più risentirà negli studi successivi su questo periodo) di alcuni condizionamenti culturali e professionali, legati all’area operativa e di ricerca dei gruppi che direttamente o indirettamente hanno accesso alla pubblicistica specializzata. Acquistano così straordinaria visibilità e automatica legittimazione molti progetti e realizzazioni che a ben vedere hanno in comune molto poco, sul versante del contesto, dei condizionamenti, degli obiettivi. Ad accomunarli secondo linee di lettura omogenee, il più delle volte solo l’area culturale di riferimento dei progettisti.

Come contrappunto a questa estrema visibilità e legittimazione, le trasformazioni del territorio italiano seguono vie diverse, ignote solo a chi fa esclusivo riferimento (e continuerà a farlo per decenni) alle pagine patinate delle riviste cult. Il caso di Zingonia, in modo del tutto autonomo, riesce per un breve periodo ad uscire dal relativo anonimato, che certo non merita.

L’attività della Z.I.F. (Zingone Iniziative Fondiarie), era iniziata con la progettazione e realizzazione, verso la fine degli anni Cinquanta, di un quartiere residenziale nell’immediata periferia milanese, a Trezzano sul Naviglio. Renzo Zingone, proprietario della Banca Generale di Credito e quindi osservatore privilegiato dell’emergere di alcune, particolari esigenze dei piccoli e medi operatori immobiliari, acquisisce un’area agricola di grandi dimensioni, a una distanza relativamente grande da Milano, con problemi relativamente grandi in termini di urbanizzazione, scala del possibile intervento, tempi di recupero degli investimenti.

Questo si traduce, immediatamente, in un basso prezzo dei terreni. In più, l’agricoltore disposto a vendere si ritiene «penalizzato» dall’essere i terreni di sua proprietà interessati da un progetto che renderà difficile la normale gestione dell’azienda: una strada a molte corsie e scorrimento veloce di collegamento tra Milano e Vigevano. Il rapporto con una amministrazione comunale debole, con un apparato tecnico commisurato alla sua natura di centro agricolo, faranno il resto: è l’esordio del progetto urbanistico «chiavi in mano», un enorme salto di qualità rispetto alla lottizzazione che a quel tempo «consisteva nel costruire una strada e nel vendere i terreni prospicienti, previo frazionamento» (Airaldi, 1980, p. 70). In più, l’offerta non riguarda solo spazi residenziali, ma anche insediamenti produttivi artigianali, che indirettamente contribuiscono ad aumentare la domanda insediativa nei terreni non ancora edificati. A modo suo, è un’idea di «quartiere organico» difficilmente contestabile. Così come, a modo suo, il quartiere Zingone è emblematico dell’approccio privatistico alla «ideologia del quartiere», l’iniziativa di Zingonia con un notevole salto di qualità tenta di meritarsi un ruolo di punta nel prefigurare la versione italiana della new town.

Ma là dove la logica del piano-processo anglosassone trovava logico procedere gradualmente, secondo lo slogan democracy cannot be hurried, evidentemente la corsa al futuro dello sviluppo italiano è troppo impetuosa per essere rallentata da questi dettagli.

La nuova città è pensata a cavallo tra i territori di cinque comuni rurali nella pianura tra l’Adda e Bergamo: Osio sotto; Boitiere; Ciserano; Verdellino; Verdello. Nonostante il tipo di insediamento e il contesto socioeconomico «depresso», il comprensorio si colloca lungo un asse di sviluppo privilegiato, da Milano verso Est, servito da autostrada, ferrovia, un probabile prolungamento delle «Linee celeri dell’Adda» (trasporti regionali su rotaia) e una relativamente fitta rete stradale interregionale e di servizio. In più, dal 1962 è approvato e considerato di pubblica utilità (legge 13.10.62, n. 1485) uno dei grandi progetti di navigazione interna padana: l’idrovia Ticino-Milano Nord-Mincio, con le articolazioni di collegamento con i laghi di Como, Iseo e con Verona. Basta guardare la mappa del tracciato previsto per notare come il comprensorio di Zingonia corrisponda quasi esattamente al «nodo» autostradale, ferroviario, e della prevista area portuale Bergamo-Dalmine: nel piano di lottizzazione, defilati a Nord-Ovest rispetto alle zone industriali e residenziali, sono visibili e vistosi i canali e i moli del porto. Anche altri grandi progetti urbanistici, negli anni precedenti, sono stati innestati sull’asse di sviluppo territoriale definito dalle linee di navigazione: dalle «Quattro città satelliti» attorno a Milano del 1938, al più noto Piano A.R. del 1946, firmato tra l’altro - per le questioni di localizzazione industriale - da Francesco Mauro.

Area «depressa» negli anni Sessanta significa almeno due cose: una società locale tendenzialmente debole (dal punto di vista p. es. del mercato del lavoro, ma anche da quello della capacità contrattuale delle istituzioni), e un sistema di agevolazioni ed esenzioni tributarie per l’insediamento produttivo. E’ soprattutto il secondo elemento, il maggior fattore di attrattività per un investimento di queste proporzioni, quello che consente il salto di qualità (o di quantità) rispetto al quartiere Zingone di Trezzano. Riassunto in cifre, il progetto (dati aprile 1965) prevede: 846.000 mq per la grande industria e 1.466.000 per la piccola e media; 780.000 mq destinati al terziario; 1.255.000 mq di residenza semintensiva e 1.467.000 mq a villette; 704.000 mq di verde pubblico e attrezzato (Zingonia, 1966).

Ancora più in sintesi, Zingonia è pensata su circa 800 ettari, per una popolazione di 50.000 abitanti, migliaia di unità locali industriali e terziarie con un numero imprecisato di addetti. In tutto i cinque comuni del comprensorio, al censimento del 1961, contavano una popolazione complessiva inferiore ai 17.000 abitanti, e la maggior parte degli attivi era costretta all’emigrazione. Bastano questi pochi dati, per comprendere lo squilibrio delle forze in campo: da un lato una società contadina tradizionale, localistica, attraversata inconsapevolmente da uno sviluppo che non l’ha ancora toccata; dall’altro l’impresa, con una notevole capacità di pianificare, investire, creare consenso, gestire le relazioni fra gli attori. I paesani e amministratori di Verdello, o di Osio sotto, continuano a sentirsi tali, mentre la Z.I.F. (in modo non dissimile dagli enti di bonifica) opera a livello comprensoriale.

Si badi bene: siamo di fronte a un vero e proprio «comprensorio di pianificazione», che però non ha nulla da spartire con le forme partecipate che negli stessi anni stanno sviluppando le scienze del territorio con il dibattito sui piani intercomunali. L’impresa stipula cinque separate convenzioni con i comuni (solo uno dotato di strumento urbanistico), che per lungo tempo non riusciranno a riunirsi in alcuna forma consorziale. Anche questa, a ben vedere, è l’ennesima riprova di quanto «travestito nelle fogge più varie, spesso mutilato fino alla parodia, il messaggio di Howard continua ad essere produttivo» (Zevi, 1963).

Naturalmente, salvo prova contraria, l’operato dell’impresa è perfettamente legittimo nel suo svolgere a proprio profitto un ruolo di agente di sviluppo, aumentando il valore dei terreni, favorendo la creazione di posti di lavoro ecc., ma quanta distanza, fra questo tutto sommato organico inserimento nel sistema multipolare della città-regione, e i coevi temi del dibattito specializzato: «Progettate per divenire ambienti di vita organicamente stabili le città nuove e le città satelliti rischiano di ridursi a livello di sobborghi ... per la mancata integrazione dell’urbanistica nella coerente previsione dello sviluppo economico» (Sirugo, 1966, p. 102). Un timore che nel caso di Zingonia vede una situazione totalmente ribaltata, già a partire dall’avvio dell’insediamento.

Verso la metà degli anni Sessanta, almeno dal punto di vista simbolico, Zingonia è una realtà tangibile: il Missile, simbolo e porta della città per chi percorre la strada provinciale Milano-Brescia «Francesca», immette al primo lotto residenziale di sei torri; le due arterie principali di Corso Europa e Corso America attraversano con un sistema a «Y» le aree a destinazione produttiva per inserirsi negli altri settori, residenziale e terziario-commerciale. Contemporaneamente un’impresa di prefabbricati (di proprietà della stessa Z.I.F.) produce in loco gli elementi componenti dei capannoni industriali che iniziano a insediarsi, confermando sin nei minimi dettagli che «La grande impresa è ... la prima ad essere sollecitata dalle proposte urbanistiche di un intervento unitario» (Fabbri, 1983, p. 278).

Ma a ben vedere, come pure è stato osservato, questo tipo di intervento capitalistico sul territorio non contiene particolari elementi di innovazione rispetto alle operazioni analoghe dell’Ottocento, pur nell’accresciuta dimensione territoriale e articolazione funzionale consentita dal progresso tecnologico e organizzativo, salvo (e questo è il fatto distintivo) che proprio questa integrazione consente profitti elevatissimi. E’ possibile «rintracciare esempi concreti di queste tipologie in episodi notissimi .... nel nostro paese ... si è raramente andati più in là della fase progettuale: il Centro direzionale di San Donato Milanese dell’ENI: la città satellite di Zingonia» (Romano, 1982, p. 220). Dunque esiste qualcosa di più, nel progetto per Zingonia, del «principio poco razionale della megalomania che sembra aver travolto l’abile speculatore» (Airaldi, 1980, p. 74). Ancora: «ci troviamo ... di fronte a un raro caso di intervento illuminato di un industriale progressista di larghe vedute? La situazione ci sembra in realtà molto diversa» (Un caso..., 1982, p. 14).

Questa «diversità» però, a parere di chi scrive, va cercata soprattutto in positivo, e non certo nella più o meno fulgida «illuminazione» dell’imprenditore, che in un modo o nell’altro ha dimostrato fare il proprio mestiere, sfruttando le precondizioni che il contesto gli metteva a disposizione e costruendosi autonomamente altri elementi di vantaggio. Oltre i possibili giudizi sul «fallimento» o meno nel medio periodo dell’impresa Zingonia (che sul versante dell’insediamento produttivo sembra invece costituire ancor oggi un consolidato riferimento) è da sottolineare quello che si è più volte accennato sopra: la quasi totale assenza di una seria dialettica fra interesse privato e pubblico, con un discutibile risultato: il punto di vista dell’impresa è obbligatoriamente ma impropriamente assurto ad un ruolo di «pensiero unico»ante litteram.

Fa un certo effetto estraniante, con il senno di poi, guardare nel cuore del dibattito sui comprensori, la riforma del sistema amministrativo, la città-regione e i piani intercomunali, e assistere all’atterraggio di questa «astronave» nel vuoto sociale e istituzionale di cinque piccoli comuni a mezz’ora di macchina da Milano, con le loro agevolazioni fiscali per le aree depresse, le loro giunte e uffici tecnici impreparati al confronto con l’impresa moderna e le sue capacità di «governo». Ancora a metà degli anni Ottanta, l’immobiliare che ancora promuove l’insediamento a Zingonia lamentava la difficoltà di interagire con amministrazioni non coordinate, in un a situazione che di fatto vedeva ormai una forte integrazione territoriale, ma nessun passo avanti sul versante di quella amministrativa. E’ almeno curioso, e indicativo, che sia proprio l’impresa a sentire l’esigenza di una controparte, di un interlocutore istituzionale alla pari (Zingonia a 20 anni..., 1986).

I vari articoli dei quotidiani che per un motivo o l’altro di cronaca negli anni recenti si occupano di Zingonia, colorano quasi sempre le descrizioni di ambiente con strade che si interrompono, verde curato fino a un certo punto e poi abbandonato, asfalto nuovo che diventa improvvisamente fondo sterrato o fangoso. E’, vistoso ed esplicito, l’effetto superficiale e forse meno importante di quanto abbiamo ripetuto sino alla noia, e che riassumiamo ancora una volta con le parole del Segretario alle new towns: «democracy cannot be hurried». Nel vuoto lasciato dall’intervento pubblico si inserisce l’impresa, svolgendo surrettiziamente e malamente un ruolo che non le è proprio, ovvero quello di animazione sociale e di «governo».

In questo senso l’esperienza di Zingonia si inserisce, con coerenza e a pieno titolo, nel multiforme filone delle «città nuove», e degli equivoci che il termine ha generato fino a oggi.

Riferimenti bibiografici

· Luigi Airaldi, «Il quartiere Zingone di Trezzano S/N e l’iniziativa di Zingonia», in AAVV, Urbanistica in Lombardia - Progetti di città, a cura di A. Cagnardi e G. Polo, INU, Milano 1980

· Corrado Bellandi, «Lavori topografici per la bonifica pontina», L’universo, settembre 1933

· Giuseppe Caronia, «Costruire città», Civiltà Fascista 1941-42

· Manuela Cartosio, «Lontani dal “polo” Zingonia, il missile che non è partito», Il Manifesto 2 aprile 1993

· Carlo Della Valle, «La nascita di una “città nuova” nella pianura padana nord-orientale», Bollettino della Società Geografica Italiana, aprile-giugno 1967

· Carlo Doglio, intervento al dibattito, in Istituto Nazionale di Urbanistica, La pianificazione regionale , Atti del IV Congresso Nazionale di Urbanistica - Palazzo Ducale - Ca’ Giustinian - Venezia, 18-21 ottobre 1952, pubblicati a cura del Centro Studi di Pianificazione Urbana e Rurale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, Roma 1953, p. 453

· Carlo Doglio, «L’equivoco della Città Giardino», in C. Doglio, Per prova ed errore, a cura di Chiara Mazzoleni, Le Mani, Genova 1995

· Giulio Ernesti, «Giovanni Astengo e lo sviluppo della cultura urbanistica italiana», Archivio di studi urbani e regionali, n. 38-39, 1990

· Marcello Fabbri, L’urbanistica in Italia dal dopoguerra a oggi - Storia ideologia immagini, De Donato, Bari 1983

· Maria Luisa Gentileschi, «Cwmbran: una “città nuova” nel Galles meridionale», Bollettino della Società geografica italiana, settembre-ottobre 1965

· Diane Ghirardo, Building new communities - New Deal America and Fascist Italy, Princeton University Press, New Jersey 1989

· Franco Giannatoni, «Zingonia città fantasma», il Giorno 29 aprile 1993

· Norman Macfayden, «Howard and his book», Town and country planning, winter 1948-49

· Francesco Mauro, Industrie e ubicazioni, Hoepli, Milano 1944

· Francesco Mauro, «Industrie e Ubicazioni - A proposito del Mezzogiorno», L’Ingegnere, settembre 1948

· «Nuovi traguardi per il cammino di Zingonia», L’Eco di Bergamo 19 settembre 1984

· Giovanni Ortolani, «Autonomia e autarchia nello Stato Fascista», Il rinnovamento amministrativo, n. 11, 1938

· Marco Romano, L’urbanistica in Italia nel periodo dello sviluppo, 1942-1980, Marsilio, Venezia 1982

· Frank Schaffer, The New Town story, Paladin, London 1972

· Robert Sinclair, «Dispersal and/or big cities?», Town and country planning, winter 1948-49

· Francesco Sirugo, «Città e regione nello sviluppo storico della società industriale», in AAVV, La città-regione in Italia - Premesse culturali e ipotesi programmatiche, a cura di Franco Archibugi, Quaderni del Centro di studi e piani economici, Boringhieri, Torino 1966

· Virgilio Testa, «Necessità dei piani regionali e loro disciplina giuridica», Urbanistica n. 3, 1933

· Un caso di pianificazione urbanistica a scala intercomunale condotta dal capitale privato: “Zingonia", tesi di laurea, Dino Brembilla, Massimo Brembilla, Gian Franco Calabria, Francesco Dondossola, Bernardino Zanchi ; rel. Gian Franco Minucci, Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, A.A. 1981/82

· Bruno Zevi, «Sobborghi utopici per ricchi tormentati», L’Espresso 10 marzo 1963; ora in Cronache di Architettura V dal concorso di Tel Aviv al piano regolatore di Roma, Laterza, Bari 1971

· Zingonia ... La nuova città, a cura della Zingone Iniziative Fondiarie S.p.A., Milano s.d. [1966]

· Zingonia Anno 2, a cura della Zingone Iniziative Fondiarie S.p.A., Milano s.d. [1968]

· Zingonia Oggi, a cura della Zingone Iniziative Fondiarie S.p.A., Milano s.d. [1971]

· Zingonia a 20 anni dalla fondazione, a cura della Riunione Immobiliare S.p.A., Milano 1986

· «Zingonia città futura», Il Giorno 21 dicembre 1986

· Zingonia : analisi del sorgere di una città. Realtà territoriali dopo dieci anni, tesi di laurea, Teoccai, P. Raimondi ; rel. Andrea Tosi, Politecnico di Milano, Facolta' di Architettura, A.A. 1977/78



Art. 1 - Finalità

1. La Regione del Veneto promuove misure per il sostegno del settore edilizio attraverso interventi finalizzati al miglioramento della qualità abitativa per preservare, mantenere, ricostituire e rivitalizzare il patrimonio edilizio esistente nonché per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e delle fonti di energia rinnovabili.

2. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche agli edifici soggetti a specifiche forme di tutela a condizione che gli interventi possano essere autorizzati ai sensi della normativa statale, regionale o dagli strumenti urbanistici e territoriali.

3. Nel caso di edifici che sorgono su aree demaniali o vincolate ad uso pubblico, gli interventi di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 sono subordinati allo specifico assenso dell’ente titolare della proprietà demaniale o tutore del vincolo.



Art. 2 - Interventi edilizi

1. Per le finalità di cui all'articolo 1, in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali, è consentito l'ampliamento degli edifici esistenti nei limiti del 20 per cento del volume se destinati ad uso residenziale e del 20 per cento della superficie coperta se adibiti ad uso diverso.

2. L’ampliamento di cui al comma 1 deve essere realizzato in aderenza rispetto al fabbricato esistente o utilizzando un corpo edilizio contiguo già esistente; ove ciò non risulti possibile oppure comprometta l’armonia estetica del fabbricato esistente può essere autorizzata la costruzione di un corpo edilizio separato, di carattere accessorio e pertinenziale.

3. Nei limiti dell’ampliamento di cui al comma 1 sono da computare l’eventuale recupero dei sottotetti esistenti al 31 marzo 2009 aventi le caratteristiche di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e b) della legge regionale 6 aprile 1999, n. 12 “Recupero dei sottotetti esistenti a fini abitativi” con esclusione dei sottotetti esistenti oggetto di contenzioso in qualsiasi stato e grado del procedimento.

4. In caso di edifici composti da più unità immobiliari l'ampliamento può essere realizzato anche separatamente per ciascuna di esse, compatibilmente con le leggi che disciplinano il condominio negli edifici, fermo restando il limite complessivo stabilito al comma 1. In ipotesi di case a schiera l’ampliamento è ammesso qualora venga realizzato in maniera uniforme con le stesse modalità su tutte le case appartenenti alla schiera.

5. La percentuale di cui al comma 1 è elevata di un ulteriore 10 per cento nel caso di utilizzo di tecnologie che prevedano l’uso di fonti di energia rinnovabile con una potenza non inferiore a 3 Kwh., ancorché già installati.



Art. 3 - Interventi per favorire il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente

1. La Regione promuove la sostituzione e il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente mediante la demolizione e ricostruzione degli edifici realizzati anteriormente al 1989 e legittimati da titoli abilitativi che necessitano di essere adeguati agli attuali standard qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza.

2. Per incentivare gli interventi di cui al comma 1 finalizzati al perseguimento degli attuali standard qualitativi architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali, sono consentiti interventi di integrale demolizione e ricostruzione che prevedano aumenti fino al 40 per cento del volume esistente per gli edifici residenziali e fino al 40 per cento della superficie coperta per quelli adibiti ad uso diverso, purché situati in zona territoriale propria e solo qualora per la ricostruzione vengano utilizzate tecniche costruttive di cui alla legge regionale 9 marzo 2007, n. 4 “Iniziative ed interventi regionali a favore dell’edilizia sostenibile”. A tali fini la Giunta regionale, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, integra le linee guida di cui all’articolo 2 della legge regionale n. 4/2007, prevedendo la graduazione della volumetria assentibile in ampliamento in funzione della qualità ambientale ed energetica dell’intervento.

3. La percentuale del 40 per cento può essere elevata al 50 per cento nel caso in cui l’intervento di cui al comma 2 comporti una ricomposizione planivolumetrica con forme architettoniche diverse da quelle esistenti comportanti la modifica dell’area di sedime nonché delle sagome degli edifici originari e sia oggetto di un piano attuativo ai sensi della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio” e successive modificazioni.

4. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche nel caso che gli edifici siano demoliti o in corso di demolizione sulla base di un regolare titolo abilitativo, purché, all’entrata in vigore della presente legge, non sia già avvenuta la ricostruzione.



Art. 4 - Interventi per favorire la riqualificazione degli insediamenti turistici e ricettivi

1. Fermo restando quanto consentito dagli articoli 1, 2 e 3 è possibile ampliare fino al 20 per cento le attrezzature all’aperto di cui all’allegato S/4 lettera b) e lettera d) numeri 1) e 2) della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 “Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo”, anche se ricadenti in area demaniale.

2. Nell’ipotesi in cui gli insediamenti turistici, ricettivi e ricreativi effettuino investimenti nell’ambito degli interventi di cui al comma 1, le concessioni demaniali marittime si intendono prorogate per la durata massima prevista dalle vigenti normative nazionali e regionali.



Art. 5 - Interventi per favorire l’installazione di impianti solari e fotovoltaici

1. Non concorrono a formare cubatura le pensiline e le tettoie realizzate su abitazioni esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, finalizzate all’installazione di impianti solari e fotovoltaici, così come definiti dalla normativa statale, di tipo integrato o parzialmente integrato, con potenza non superiore a 6 kWp.

2. Le pensiline e le tettoie di cui al comma 1 e gli impianti aderenti, non aderenti, integrati e non integrati con potenza di picco non superiore a 6KW sono realizzabili anche in zona agricola e sono sottoposte a denuncia di inizio attività (DIA) in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137” e successive modificazioni.

3. La Giunta regionale, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce le caratteristiche tipologiche e dimensionali delle pensiline e tettoie di cui al comma 1.



Art. 6 - Titolo abilitativo edilizio e procedimento

1. Le disposizioni della presente legge di carattere straordinario prevalgono sulle norme dei regolamenti degli enti locali e sulle norme tecniche dei piani e regolamenti urbanistici contrastanti con esse.

2. Gli interventi di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono sottoposti a denuncia di inizio attività (DIA) ai sensi degli articoli 22 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” e successive modifiche e integrazioni.

3. La DIA deve essere corredata dalla seguente documentazione:

a) attestazione del titolo di legittimazione;

b) asseverazione del professionista abilitato che sottoscrive la DIA, con la quale attesta la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici e regolamenti edilizi vigenti e a quelli eventualmente adottati, come integrati dalle norme di cui alla presente legge, nonché la sussistenza di tutte le condizioni cui la presente legge subordina la realizzazione dell’intervento;

c) elaborati progettuali richiesti dal regolamento edilizio e dallo strumento urbanistico vigente;

d) parere dell’autorità competente ai sensi dell’articolo 23, comma 4, del DPR n. 380/2001 e successive modificazioni, nel caso di intervento su immobile vincolato;

e) documenti previsti dalla parte seconda del DPR n. 380/2001 qualora ne ricorrano i presupposti;

f) autocertificazione sulla conformità del progetto alle norme di sicurezza e a quelle igienico-sanitarie.

4. L’esecuzione dei lavori è in ogni caso subordinata agli adempimenti previsti dall’articolo 90, comma 9, lettera c) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.



Art. 7 - Oneri e incentivi

1. Per gli interventi di cui agli articoli 2 e 3, il contributo di costruzione è ridotto del 60 per cento nell’ipotesi di edificio o unità immobiliari destinati a prima abitazione del proprietario o dell’avente titolo.

2. I comuni possono stabilire ulteriori incentivi di carattere economico in caso di utilizzo delle tecniche costruttive della bioedilizia o che prevedano il ricorso alle energie rinnovabili.



Art. 8 - Elenchi

1. I comuni, a fini conoscitivi, provvedono ad istituire ed aggiornare l'elenco degli ampliamenti autorizzati ai sensi degli articoli 2, 3 e 4.



Art. 9 - Ambito di applicazione

1. Gli interventi previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non trovano applicazione per gli edifici:

a) ricadenti all’interno dei centri storici ai sensi dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765”;

b) vincolati ai sensi della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137” e successive modificazioni;

c) oggetto di specifiche norme di tutela da parte degli strumenti urbanistici e territoriali che non consentono gli interventi edilizi previsti dai medesimi articoli 2, 3 e 4;

d) ricadenti nelle aree di inedificabilità assoluta di cui all’articolo 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie”, o di quelle dichiarate inedificabili per sentenza o provvedimento amministrativo;

e) anche parzialmente abusivi soggetti all'obbligo della demolizione;

f) aventi destinazione commerciale qualora siano volti ad eludere o derogare le disposizioni regionali in materia di programmazione, insediamento ed apertura di grandi strutture di vendita, centri commerciali e parchi commerciali;

g) ricadenti in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica e nelle quali non è consentita l’edificazione ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” e successive modificazioni.

2. Con gli interventi previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non può essere modificata la destinazione d’uso degli edifici, tranne nel caso di cui all’articolo 2, comma 2, in relazione all’ampliamento realizzato mediante l’utilizzo di un corpo edilizio contiguo già esistente. In ogni caso gli ampliamenti sono consentiti esclusivamente su aree che abbiano una destinazione compatibile con la destinazione d’uso dell’edificio da ampliare.

3. Gli interventi di cui agli articoli 2 e 3 che riguardano la prima casa di abitazione si applicano, fermo restando quanto previsto dai commi 1 e 2, sin dall’entrata in vigore della presente legge.

4. Gli interventi di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono subordinati all'esistenza delle opere di urbanizzazione primaria ovvero al loro adeguamento in ragione del maggiore carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie degli edifici esistenti, ad esclusione degli interventi realizzati sulla prima casa di abitazione.

5. Fermo restando quanto previsto dai commi 1, 2, 3 e 4, i comuni entro il termine del 30 ottobre 2009 deliberano, sulla base di specifiche valutazioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico ed ambientale, se o con quali ulteriori limiti e modalità applicare la normativa di cui agli articoli 2, 3 e 4. Decorso inutilmente tale termine la Giunta regionale, entro i successivi quindici giorni, nomina un commissario ad acta con il compito di convocare, entro e non oltre dieci giorni, il consiglio comunale ai fini dell’eventuale adozione del provvedimento.

6. L'istanza intesa ad ottenere il titolo abilitativo per gli ampliamenti di cui all’articolo 2 riguarda anche i fabbricati il cui progetto o richiesta del titolo abilitativo edilizio siano stati presentati al comune entro il 31 marzo 2009. Per gli edifici residenziali in zona agricola l’ampliamento del 20 per cento qualora sia realizzato sulla prima casa di abitazione, è calcolato sulla volumetria massima assentibile ai sensi della vigente normativa.

7. Le istanze relative agli interventi di cui agli articoli 2, 3 e 4 devono essere presentate entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge ed i relativi interventi, ad esclusione di quelli sulla prima casa di abitazione, non possono iniziare prima del decorso del termine di cui al comma 5 e comunque non prima del rilascio del titolo edilizio ove previsto.

8. Sono fatte salve le disposizioni in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente.

9. È comunque ammesso l’aumento della superficie utile di pavimento all’interno del volume autorizzato, nel rispetto dei parametri igienico-sanitari previsti dalla normativa vigente.



Art. 10 - Ristrutturazione edilizia

1. Nelle more dell’approvazione della nuova disciplina regionale sull’edilizia, ai fini delle procedure autorizzative relative alle ristrutturazioni edilizie ai sensi del DPR n. 380/2001:

a) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del DPR n. 380/2001, anche al fine di consentire l’utilizzo di nuove tecniche costruttive, possono essere realizzati con l’integrale demolizione delle strutture murarie preesistenti, purché la nuova costruzione sia realizzata con il medesimo volume o con un volume inferiore e all’interno della sagoma del fabbricato precedente;

b) gli interventi di ristrutturazione edilizia con ampliamento di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c), del DPR n. 380/2001, qualora realizzati mediante integrale demolizione e ricostruzione dell’edificio esistente, per la parte in cui mantengono volumi e sagoma esistenti sono considerati, ai fini delle prescrizioni in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del DPR n. 380/2001 e non nuova costruzione, mentre è considerata nuova costruzione la sola parte relativa all’ampliamento che rimane soggetta alle normative previste per tale fattispecie.



Art. 11 - Interventi a favore dei soggetti disabili

1. La realizzazione degli interventi di cui alla presente legge funzionali alla fruibilità di edifici adibiti ad abitazione di soggetti riconosciuti invalidi dalla competente commissione, ai sensi dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, dà diritto alla riduzione delle somme dovute a titolo di costo di costruzione in relazione all’intervento, in misura del 100 per cento, sulla base dei criteri definiti dalla Giunta regionale ai sensi dell’articolo 10, comma 2, della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 “Disposizioni generali in materia di eliminazione delle barriere architettoniche”.



Art. 12 - Modifiche all’articolo 10 della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 “Disposizioni generali in materia di eliminazione delle barriere architettoniche”

1. Al comma 1 dell’articolo 10 della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 dopo le parole “n. 104/1992” sono aggiunte le parole “o riconosciuti con una invalidità civile superiore al 75 per cento ai sensi della legge 15 ottobre 1990 n. 295 “Modifiche ed integrazioni all’articolo 3 del D.L. 30 maggio 1988, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 luglio 1988, n. 291, e successive modificazioni, in materia di revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti””.

2. Al comma 3 dell’articolo 10 della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16, le parole “120 metri cubi” sono sostituite dalle parole “150 metri cubi”.



Art. 13 - Dichiarazione d’urgenza

1. La presente legge è dichiarata urgente ai sensi dell'articolo 44 dello Statuto ed entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto.

Indice

TITOLO I - PRINCIPI

Art. 1 - Principi fondamentali

TITOLO II - PIANIFICAZIONE REGIONALE

Art. 2 - Natura e obiettivi del piano territoriale paesistico

Art. 3 - Impianto normativo del PTP

Art. 4 - Contenuto del PTP

Art. 5 - Varianti al PTP

Art. 6 - Riconsiderazione del PTP

Art. 7 - Misure di salvaguardia riguardanti le varianti al PTP e relative deroghe

Art. 8 - Deroghe alle determinazioni del PTP

Art. 9 - Attuazione del PTP e controllo dinamico della stessa

Art. 10 - Disciplina degli altri strumenti regionali aventi attinenza con la pianificazione urbanistica e/o paesaggistica

TITOLO III - PIANIFICAZIONE COMUNALE

Art. 11 - Piano regolatore generale comunale urbanistico e paesaggistico

Art. 12 - Contenuti ed elaborati del PRG

Art. 13 - Adeguamento dei PRG

Art. 14 - Modifiche e varianti al PRG

Art. 15 - Procedure per la formazione, l'adozione e l'approvazione delle varianti sostanziali al PRG

Art. 16 - Procedure per la formazione, l'adozione e l'approvazione delle varianti non sostanziali al PRG

Art. 17 - Procedure per la formazione e l'approvazione delle modifiche al PRG

Art. 18 - Pubblicazione di varianti previste da leggi di settore

Art. 19 - Riconsiderazione del PRG

Art. 20 - Misure di salvaguardia

Art. 21 - Mezzi di conoscenza e di informazione

Art. 22 - Zone territoriali

Art. 23 - Spazi da riservare per i servizi locali e limiti di densità edilizia, altezza e distanza

Art. 24 - Indici urbanistici

Art. 25 - Azione delle Comunità montane

TITOLO IV - ACCORDI - INTESE - OPERE PUBBLICHE COMUNALI, INTERCOMUNALI E DELLE COMUNITÀ MONTANE - STRUTTURE PER RADIOTELECOMUNICAZIONI - IMPIANTI DI ENERGIA EOLICA

Art. 26 - Accordi di programma

Art. 27 - Procedura di formazione degli accordi di programma

Art. 28 - Pubblicazione degli accordi di programma

Art. 29 - Intesa per le opere di interesse regionale

Art. 30 - Intesa per le opere pubbliche di interesse statale

Art. 31 - Opere pubbliche comunali, intercomunali e delle Comunità montane

Art. 32 - Strutture per le radiotelecomunicazioni

Art. 32 bis - Disposizioni relative agli impianti di energia eolica

TITOLO V - AMBITI INEDIFICABILI

CAPO I - AREE BOSCATE, ZONE UMIDE E LAGHI, TERRENI SEDI DI FRANE, A RISCHIO DI INONDAZIONI, DI VALANGHE O SLAVINE

Art. 33 - Aree boscate

Art. 34 - Zone umide e laghi

Art. 35 - Classificazione dei terreni sedi di frane o di fenomeni di trasporto in massa e relativa disciplina d'uso

Art. 36 - Disciplina d'uso dei terreni a rischio di inondazioni

Art. 37 - Classificazione dei terreni soggetti al rischio di valanghe o slavine e relativa disciplina d'uso

Art. 38 - Compiti dei Comuni

CAPO II - FASCE DI RISPETTO

Art. 39 - Disposizioni comuni

Art. 40 - Fasce di rispetto stradali

Art. 41 - Fasce di rispetto dei corsi d'acqua e delle vasche di carico

Art. 42 - Fasce di tutela, rispetto e protezione delle captazioni e delle opere di stoccaggio delle acque per consumo umano

Art. 43 - Ulteriori fasce di rispetto

TITOLO VI - PIANI, PROGRAMMI E PROGETTI ATTUATIVI

CAPO I - PROGETTI E PROGRAMMI ATTUATIVI DEL PTP

Art. 44 - Progetti e programmi integrati

Art. 45 - Progetti operativi integrati

Art. 46 - Programmi integrati

Art. 47 - Programmi di sviluppo turistico

CAPO II - PIANI E PROGRAMMI ATTUATIVI DEL PRG

Art. 48 - Piani urbanistici di dettaglio

Art. 49 - PUD di iniziativa privata

Art. 50 - PUD di iniziativa pubblica

Art. 51 - Programmi integrati, intese e concertazioni per la riqualificazione del territorio

Art. 52 - Disciplina applicabile nelle zone territoriali di tipo A

TITOLO VII - DISCIPLINA DELL'ATTIVITà EDILIZIA

CAPO I - REGOLAMENTO EDILIZIO E COMMISSIONE EDILIZIA

Art. 53 - Regolamento edilizio

Art. 54 - Regolamento edilizio tipo. Approvazione del regolamento edilizio

Art. 55 - Commissione edilizia

Art. 56 - Colore e arredo urbano

Art. 57 - Poteri del Sindaco per l'applicazione del regolamento edilizio e sanzioni

Art. 58 - Poteri del Sindaco di ordinare manutenzioni

CAPO II - LEGITTIMAZIONE DELL'ATTIVITà EDILIZIA

Art. 59 - Titoli abilitativi

Art. 60 - Concessione edilizia

Art. 61 - Denuncia di inizio dell'attività o di esecuzione di varianti in corso d'opera

Art. 62 - Opere dei Comuni

Art. 63 - Certificato urbanistico

CAPO III – ONEROSITà DELLE CONCESSIONI EDILIZIE

Art. 64 - Contributo per il rilascio della concessione

Art. 65 - Determinazione degli oneri di urbanizzazione

Art. 66 - Determinazione del costo di costruzione per i nuovi edifici e per gli interventi su edifici esistenti a destinazione residenziale

Art. 67 - Edilizia convenzionata

Art. 68 - Concessione gratuita

Art. 69 - Concessioni relative ad opere o impianti non destinati alla residenza

Art. 70 - Versamento del contributo afferente alla concessione

Art. 71 - Destinazione dei proventi delle concessioni

Art. 72 - Ritardato o omesso versamento del contributo afferente alla concessione

CAPO IV - DESTINAZIONE D'USO

Art. 73 - Destinazioni d'uso e relative categorie

Art. 74 - Mutamento della destinazione d'uso

TITOLO VIII - VIGILANZA E SANZIONI

Art. 75 - Vigilanza sulle trasformazioni urbanistiche o edilizie

Art. 76 - Provvedimenti urgenti in sede di vigilanza

Art. 77 - Provvedimenti conseguenti all'esecuzione di trasformazioni in assenza di concessione, in totale difformità da essa o con variazioni essenziali

Art. 78 - Definizione delle trasformazioni in totale difformità dalla concessione o con variazioni essenziali

Art. 79 - Provvedimenti conseguenti alla realizzazione di ristrutturazioni edilizie in assenza di concessione o in totale difformità dalla concessione

Art. 80 - Provvedimenti conseguenti a difformità parziali

Art. 81 - Provvedimenti conseguenti a trasformazioni abusive in immobili di proprietà della Regione, di Comuni o di Comunità montane

Art. 82 - Provvedimenti conseguenti alle violazioni in tema di denuncia di inizio dell'attività o di esecuzione di varianti in corso d'opera

Art. 83 - Annullamento della concessione

Art. 84 - Sanatoria

Art. 85 - Lottizzazione abusiva

Art. 86 - Soggetti responsabili

Art. 87 - Procedura per la riduzione in pristino e poteri sostitutivi

TITOLO IX - POTERI DI DEROGA E DI ANNULLAMENTO

Art. 88 - Poteri di deroga

Art. 89 - Annullamento di provvedimenti comunali

TITOLO X - NORME FINALI

Art. 90 - Disposizioni relative al piano regolatore della conca di Pila

Art. 90 bis - Ampliamento di esercizi di ristorazione e di strutture alberghiere nelle more dell'adeguamento dei PRG

Art. 90 ter - Volumi destinati a centro benessere in alcune tipologie di strutture ricettive

Art. 91 - Vincoli preordinati all'espropriazione e vincoli che comportano inedificabilità

Art. 92 - Opere costruite su aree soggette al divieto di attività edificatoria ai sensi di norme regionali non più vigenti

Art. 93 - Pubblicità stradale

Art. 94 - Servitù militari

Art. 95 - Norme di integrazione delle vigenti disposizioni statali in materia di altezza minima e di requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione

Art. 96 - Modificazioni

Art. 97- Applicazione di disposizioni statali in materia edilizia e urbanistica

Art. 98 - Abrogazioni

Art. 99 - Disposizioni transitorie

Art. 100 - Entrata in vigore

Indice

Art. 1 - Oggetto della legge

TITOLO I - PRINCIPI GENERALI DELLA PIANIFICAZIONE

CAPO I – DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 2 - Funzioni ed obiettivi della pianificazione

Art. 3 - Processo di pianificazione

Art. 4 - Quadro conoscitivo

Art. 5 - Valutazione di sostenibilità e monitoraggio dei piani

Art. 6 - Effetti della pianificazione

Art. 7 - Perequazione urbanistica

Art. 7 bis - Concorso alla realizzazione delle politiche di edilizia residenziale sociale

Art. 7 ter - Misure urbanistiche per incentivare la qualificazione del patrimonio edilizio esistente

Art. 8 - Partecipazione dei cittadini alla pianificazione

CAPO II – LIVELLI, STRUMENTI ED EFFICACIA DELLA PIANIFICAZIONE

Art. 9 - Livelli della pianificazione

Art. 10 - Strumenti della pianificazione generale e settoriale

Art. 11 - Efficacia delle previsioni dei piani

Art. 12 - Salvaguardia

CAPO III – FORME DI COOPERAZIONE E CONCERTAZIONE NELLA PIANIFICAZIONE

Art. 13 - Metodo della concertazione istituzionale

Art. 14 - Conferenze e accordi di pianificazione

Art. 15 - Accordi territoriali

Art. 16 - Atti di indirizzo e coordinamento

Art. 17 - Coordinamento e integrazione delle informazioni e utilizzo dei supporti informatici

Art. 18 - Accordi con i privati

CAPO IV – SEMPLIFICAZIONE DEL SISTEMA DELLA PIANIFICAZIONE

Art. 19 - Carta unica del territorio

Art. 20 - Pianificazione generale comprensiva della pianificazione settoriale

Art. 21 - PTCP con effetti di piani di altre amministrazioni

Art. 22 - Modificazione della pianificazione sovraordinata

Titolo II - STRUMENTI E CONTENUTI DELLA PIANIFICAZIONE

CAPO I – PIANIFICAZIONE TERRITORIALE REGIONALE

Art. 23 - Piano Territoriale Regionale (PTR)

Art. 24 (Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR))

Art. 25 - Procedimento di approvazione del PTR

CAPO II - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE PROVINCIALE

Art. 26 - Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP)

Art. 27 - Procedimento di approvazione del PTCP

Art. 27 bis - Procedimento per varianti specifiche al PTCP

CAPO III - PIANIFICAZIONE URBANISTICA COMUNALE

SEZIONE I - Strumenti della pianificazione urbanistica comunale

Art. 28 - Piano Strutturale Comunale (PSC)

Art. 29 - Regolamento Urbanistico ed Edilizio (RUE)

Art. 30 - Piano Operativo Comunale (POC)

Art. 31 - Piani Urbanistici Attuativi (PUA)

SEZIONE II - Procedimenti di approvazione

Art. 32 - Procedimento di approvazione del PSC

Art. 32 bis - Procedimento per varianti specifiche al PSC

Art. 33 - Procedimento di approvazione del RUE

Art. 34 - Procedimento di approvazione del POC

Art. 35 - Procedimento di approvazione dei PUA

Capo IV - CONTENUTI DELLA PIANIFICAZIONE

Art. 36 - Contenuti della pianificazione

TITOLO III - OPERE PUBBLICHE E ACCORDI DI PROGRAMMA

Art. 36 bis - Localizzazione delle opere pubbliche

Art. 36 ter - Procedimento unico per l'approvazione dei progetti di opere pubbliche e di interesse pubblico

Art. 36 quater - Definizioni

Art. 36-quinquies – Partecipazione

Art. 36 sexies - Approvazione del progetto preliminare

Art. 36 septies - Approvazione del progetto definitivo

Art. 36 octies - Procedimento unico semplificato

Art. 37 - Localizzazione delle opere di interesse statale

Art. 38 - Opere di interesse regionale o provinciale

Art. 39 - Opere di interesse comunale

Art. 40 - Accordi di programma in variante alla pianificazione territoriale e urbanistica

TITOLO III-BIS - TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO

Art. 40-bis - Principi generali per la tutela e valorizzazione del paesaggio

Art. 40-ter - Compiti della Regione e politica per il paesaggio

Art. 40-quater - Piano Territoriale Paesaggistico Regionale

Art. 40-sexies - Coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione

Art. 40-septies - Progetti regionali di tutela, recupero e valorizzazione del paesaggio

Art. 40-octies - Osservatorio regionale per la qualità del paesaggio

Art. 40-nonies - Compiti delle Province

Art. 40-decies - Compiti dei Comuni

Art. 40-undecies - Autorizzazione paesaggistica

Art. 40-duodecies - Commissione regionale per il paesaggio

Art. 40-terdecies - Procedimenti di competenza della Commissione regionale per il paesaggio

TITOLO IV - DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

CAPO I – NORME TRANSITORIE

Art. 41 - Attuazione degli strumenti urbanistici vigenti e loro modificazioni

Art. 42 - Conclusione dei procedimenti in itinere

Art. 43 - Adeguamento dei piani provinciali e comunali alla presente legge

Art. 44 - Norme relative alle concessioni edilizie e agli altri titoli abilitativi

CAPO II - NORME FINALI

Art. 45 (Conferimento di funzioni in materia di espropriazione per pubblica utilità)

Art. 46 - Conferimento di funzioni in materia di urbanistica e di opere abusive

Art. 47 - Modifiche all'art. 27 della L.R. 7 dicembre 1978, n. 47

Art. 48 - Interventi finanziari a favore di Province e Comuni

Art. 49 (Contributi per i progetti di tutela, recupero e valorizzazione)

Art. 50 - Norma finanziaria

Art. 51 - Monitoraggio e bilancio della pianificazione - Istituzione dell'Archivio regionale della pianificazione

Art. 52 - Abrogazioni

ALLEGATO - CONTENUTI DELLA PIANIFICAZIONE



Nota. Gli articoli con la rubrica tra parentesi sono stati abrogati.

Indice



TITOLO I - NORME GENERALI

Art. 1 - Finalità della legge

Art. 2 - Soggetti della pianificazione del territorio

Art. 3 - Strumenti e livelli di pianificazione

TITOLO II - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

Art. 4 - Processo di pianificazione del territorio

Art. 5 - Contenuti del Piano Territoriale

Art. 6 - Elaborati del Piano Territoriale

Art. 7 - Formazione e approvazione dei Piani Territoriali

Art. 8 - Efficacia dei Piani Territoriali

Art. 8 bis - Attuazione dei Piani territoriali

Art. 8 ter - Progetto Territoriale Operativo

Art. 8 quater - Elaborati del Progetto Territoriale Operativo

Art. 8 quinquies - Formazione e approvazione del Progetto Territoriale Operativo e del Piano Paesistico

Art. 8 sexies - Validità ed efficacia del Progetto Territoriale Operativo

Art. 9 - Provvedimenti cautelari e definitivi a tutela dell'ambiente e del paesaggio

Art. 9 bis - Dissesti e calamità naturali

Art. 9 ter - Concorso dei Comuni e delle Comunità Montane alla formazione dei Piani Territoriali di competenza provinciale e metropolitana

Art. 10 - Varianti ai Piani Territoriali

Art. 10 bis - Stato di attuazione del processo di pianificazione

TITOLO III - PIANIFICAZIONE A LIVELLO COMUNALE

Art. 11- Finalità del Piano Regolatore Generale comunale e intercomunale

Art. 12 - Contenuti del Piano Regolatore Generale

Art. 13 - Prescrizioni operative del Piano Regolatore Generale

Art. 14 - Elaborati del Piano Regolatore Generale

Art. 15 - Formazione e approvazione del Piano Regolatore Generale Comunale

Art. 16 - Piani Regolatori intercomunali di Comuni consorziati e di Comunità Montane

Art. 17 - Varianti e revisioni del Piano Regolatore Generale, comunale e intercomunale

Art. 18 - Efficacia del Piano Regolatore Generale comunale e intercomunale

Art. 19 - Obbligo dei Comuni di dotarsi di un Piano Regolatore Generale

TITOLO IV - NORME PER LA FORMAZIONE DEL PIANO REGOLATORE GENERALE COMUNALE O INTERCOMUNALE

Art. 20 - Capacità insediativa residenziale

Art. 21 - Standards urbanistici e servizi sociali ed attrezzature a livello comunale

Art. 22 - Standards urbanistici: servizi sociali ed attrezzature di interesse generale

Art. 23 - Densità territoriali e densità fondiarie minime e massime nelle zone residenziali

Art. 24 - Norme generali per i beni culturali ambientali

Art. 25 - Norme per le aree destinate ad attività agricole

Art. 26 - Norme generali per la localizzazione ed il riuso di aree ed impianti industriali artigianali commerciali e terziari

Art. 27 - Fasce e zone di rispetto

Art. 28 - Accessi a strade statali e provinciali

Art. 29 - Sponde dei laghi, dei fiumi, dei torrenti e dei canali

Art. 30 - Zone a vincolo idrogeologico e zone boscate

Art. 31 - Opere di interesse pubblico nelle zone soggette a vincolo

TITOLO IV bis - NUOVE PROCEDURE PER LA PIANIFICAZIONE COMUNALE

Art. 31 bis - Conferenza di pianificazione

Art. 31 ter - Procedure di formazione ed approvazione delle varianti strutturali al piano regolatore generale

TITOLO V - ATTUAZIONE DEL PIANO REGOLATORE GENERALE

Art. 32 - Strumenti urbanistici ed amministrativi per l'attuazione del Piano Regolatore Generale

Art. 33 - Programma di attuazione comunale o intercomunale

Art. 34 - Contenuto del programma di attuazione

Art. 35 - Elaborati del programma di attuazione

Art. 36 - Obbligo di formazione del programma pluriennale di attuazione P.P.A.

Art. 37 - Approvazione ed efficacia del programma di attuazione

Art. 37 bis - Deliberazione sul Programma operativo delle opere e degli interventi pubblici

Art. 38 - Contenuto del Piano particolareggiato

Art. 39 - Elaborati del Piano particolareggiato

Art. 40 - Formazione, approvazione ed efficacia del piano particolareggiato

Art. 41 - Piano per l'edilizia economica e popolare

Art. 41 bis - Piano di recupero del patrimonio edilizio esistente

Art. 42 - Piano delle aree per insediamenti produttivi

Art. 43 - Piano esecutivo convenzionato e piano di recupero di libera iniziativa

Art. 44 - Piano esecutivo convenzionato obbligatorio

Art. 45 - Contenuto delle convenzioni relative ai piani esecutivi

Art. 46 - Comparti di intervento e di ristrutturazione urbanistica ed edilizia. Esproprio ed utilizzazione degli immobili espropriati

Art. 47 - Piani tecnici esecutivi di opere pubbliche

TITOLO VI - CONTROLLO DELLE MODIFICAZIONI DELL'USO DEL SUOLO

Art. 48 - Disciplina delle attività comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia, mantenimento degli immobili, modifica delle destinazioni di uso e utilizzazione delle risorse naturali

Art. 48 bis (Certificato urbanistico I)

Art. 49 - Caratteristiche e validità della concessione

Art. 50 - Poteri sostitutivi in caso di mancato rilascio di concessione

Art. 51 - Opere di urbanizzazione primaria e secondaria

Art. 52 - Definizione degli oneri di urbanizzazione e delle aliquote dei costi di costruzione. Adempimenti comunali

Art. 53 – Convenzione-quadro regionale per la rilocalizzazione e la ristrutturazione di impianti produttivi di insediamenti commerciali e direzionali e per il riuso delle aree rese libere

Art. 54 - Concessioni per costruzioni temporanee e campeggi

Art. 55 - Attività estrattive, discariche, reinterri

Art. 56 (Interventi soggetti ad autorizzazione)

Art. 57 (Abitabilità ed usabilità delle costruzioni)

Art. 58 - Misure di salvaguardia

TITOLO VII - VIGILANZA E SANZIONI

Art. 59 - Vigilanza sulle costruzioni e sulle opere di modificazione del suolo e del sottosuolo

Art. 60 - Controllo partecipativo

Art. 61 - Sospensione di attività compiute con inosservanza di norme e prescrizioni

Art. 62 - Attuazione del divieto di opere

Art. 63 - Sanzioni amministrative per mancato o ritardato pagamento del contributo per la concessione

Art. 64 - Sanzioni amministrative per opere eseguite in totale difformità o assenza della concessione

Art. 65 (Sanzioni amministrative per opere in parziale difformità dalla concessione)

Art. 66 - Sanzioni amministrative conseguenti all'annullamento della concessione

Art. 67 - Poteri sostitutivi e relativi oneri

Art. 68 - Annullamento di concessione e di autorizzazione

Art. 69 - Altre sanzioni amministrative

Art. 70 - Procedimento per le sanzioni amministrative

TITOLO VIII - DELEGA DI ESERCIZIO DELLE FUNZIONI REGIONALI IN MATERIA DI ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ

Art. 71 - Delega delle funzioni espropriative

Art. 72 - Funzioni espropriative non delegate

Art. 73 - Poteri sostitutivi

TITOLO IX - ORGANI TECNICI E CONSULTIVI

Art. 74 - Individuazione e organizzazione delle funzioni

Art. 75 - Uffici comunali e intercomunali di programmazione, di pianificazione e di gestione urbanistica

Art. 76 - Commissione Tecnica Urbanistica C.T.U.

Art. 77 - Compiti della Commissione Tecnica Urbanistica

Art. 77 bis - Compiti della Commissione Tecnica Urbanistica e della Commissione Regionale per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali riunite in seduta congiunta

Art. 78 - Efficacia dei pareri della Commissione Tecnica Urbanistica

Art. 79 - Progettazione degli Strumenti Urbanistici

TITOLO X - DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

Art. 80 (Prima formazione dei Piani Socio-Economici e Territoriali)

Art. 80 bis (Interventi di interesse regionale nelle more di approvazione del primo Piano Territoriale)

Art. 81 - Perimetrazione degli abitati

Art. 82 (Previsioni insediative nella formazione e nell'adeguamento dei Piani Regolatori Generali fino all'approvazione del primo Piano Territoriale)

Art. 83 - Programmi pluriennali di attuazione nei Comuni non dotati di Piano Regolatore ai sensi del Titolo III. Limitazioni all'attività costruttiva per i Comuni privi di strumento urbanistico adeguato alle prescrizioni del Titolo III

Art. 84 - Limitazioni della capacità insediativa nel primo e nel secondo programma di attuazione

Art. 85 - Disciplina transitoria dell'attività costruttiva

Art. 86 - Adeguamento dei Piani particolareggiati vigenti

Art. 87 (Regolamenti edilizi e criteri regionali per l'edificazione)

Art. 88 - Impianti produttivi ubicati in zone improprie

Art. 89 (Norme transitorie per l'approvazione dei piani di sviluppo economico e sociale delle Comunità Montane fino all'approvazione dei Piani Territoriali)

Art. 90 - Approvazione degli strumenti urbanistici generali adottati prima dell'entrata in vigore della presente legge

Art. 91- Approvazione degli Statuti dei consorzi

Art. 91 bis - Commissione regionale per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali

Art. 91 ter - Proroga dei termini

Art. 91 quater - Tutela dello strato attivo del suolo coltivato

Art. 91 quinquies - Interventi ammessi in aree non comprese nei programmi pluriennali di attuazione in regime transitorio

Art. 91 sexies (Obbligo del rilascio del certificato urbanistico)

Art. 91 septies (Installazioni di impianti ed antenne per teleradiocomunicazioni)

Art. 91 octies - Eliminazione delle barriere architettoniche

Art. 92 - Disposizioni finali



Nota. Gli articoli con la rubrica tra parentesi sono stati abrogati.

In allegato il testo dello schema di decreto.

Sulla proposta licenziata dal consiglio dei ministri, in eddyburg il commento preoccupato di Giovanni Valentini.



Art. 1 - Obiettivi della legge

1. La presente legge è finalizzata:

a) al contrasto della crisi economica e alla tutela dei livelli occupazionali, attraverso il rilancio delle attività edilizie nel rispetto degli indirizzi di cui alla legge regionale 13 ottobre 2008, n. 13 (Piano territoriale regionale), e al miglioramento della qualità architettonica ed edilizia;

b) a favorire l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile ed al miglioramento strutturale del patrimonio edilizio esistente e del suo sviluppo funzionale nonché alla prevenzione del rischio sismico e idrogeologico;

c) a incrementare, in risposta anche ai bisogni abitativi delle famiglie in condizioni di particolare disagio economico e sociale, il patrimonio di edilizia residenziale pubblica e privata anche attraverso la riqualificazione di aree urbane degradate o esposte a particolari rischi ambientali e sociali assicurando le condizioni di salvaguardia del patrimonio storico, artistico, paesaggistico e culturale;

d) all’abbattimento delle barriere architettoniche.

2. A questi fini sono disciplinati interventi di incremento volumetrico e di superfici coperte entro i limiti di cui agli articoli successivi e interventi di riqualificazione delle aree urbane degradate di cui all’articolo 7, da attuare con procedure amministrative semplificate e sempre nel rispetto della salute, dell’igiene e della sicurezza dei luoghi di lavoro.



Art. 2 - Definizioni

1. Ai fini della presente legge si fa riferimento alle seguenti definizioni:

a) per aree urbane degradate si intendono quelle compromesse, abbandonate, a basso livello di naturalità, dismesse o improduttive in ambiti urbani ed in territori marginali e periferici in coerenza al Piano territoriale regionale (PTR) di cui alla legge regionale 13/2008;

b) per edifici residenziali si intendono gli edifici con destinazione d’uso residenziale prevalente nonché gli edifici rurali anche se destinati solo parzialmente ad uso abitativo;

c) la prevalenza dell’uso residenziale fuori dall’ambito delle zone agricole e produttive è determinata nella misura minima del settanta per cento dell’utilizzo dell’intero edificio;

d) per superficie lorda dell’unità immobiliare si intende la somma delle superfici delimitate dal perimetro esterno di ciascuna unità il cui volume, fuori terra, abbia un’ altezza media interna netta non inferiore a metri 2,40;

e) per volumetria esistente si intende la volumetria lorda già edificata ai sensi della normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge;

f) la volumetria lorda da assentire non comprende le cubature, da definirsi con linee guida nel termine perentorio di trenta giorni, necessarie a garantire il risparmio energetico e le innovazioni tecnologiche in edilizia;

g) per aree urbanizzate si intendono quelle dotate di opere di urbanizzazione primaria;

h) per distanze minime e altezze massime dei fabbricati si intendono quelle previste dagli strumenti urbanistici generali o, in assenza, quelle definite dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765).



Art. 3 - Casi di esclusione

1. Gli interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5 e 7 non possono essere realizzati su edifici che al momento delle presentazione della Denuncia di inizio di attività di edilizia (DIA) o della richiesta del permesso a costruire risultano:

a) realizzati in assenza o in difformità al titolo abitativo;

b) collocati all’interno di zone territoriali omogenee di cui alla lettera A) dell’articolo 2 del decreto ministeriale n. 1444/1968 o ad esse assimilabili così come individuate dagli strumenti urbanistici comunali;

c) definiti di valore storico, culturale ed architettonico dalla normativa vigente, ivi compreso il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), dagli atti di governo del territorio o dagli strumenti urbanistici comunali e con vincolo di inedificabilità assoluta;

d) collocati nelle aree di inedificabilità assoluta ai sensi delle vigenti leggi statali e regionali, ivi compreso il decreto legislativo n. 42/2004, e nelle aree sottoposte a vincoli imposti a difesa delle coste marine, lacuali, fluviali, a tutela ed interesse della difesa militare e della sicurezza interna;

e) collocati in territori di riserve naturali o di parchi nazionali o regionali, nelle zone A e B, oltre i limiti imposti dalla legislazione vigente per dette aree;

f) collocati all’interno di aree dichiarate a pericolosità idraulica elevata o molto elevata, o a pericolosità geomorfologica elevata o molto elevata, dai piani di bacino di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo), o dalle indagini geologiche allegate agli strumenti di pianificazione territoriale, agli atti di governo del territorio o agli strumenti urbanistici generali dei comuni;

g) collocati all’interno della zona rossa di cui alla legge regionale 10 dicembre 2003, n. 21 (Norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area Vesuviana).

2. Oltre che nei casi di cui al comma 1, le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 7 non si applicano nelle zone agricole o nelle Aree di sviluppo industriale (ASI) e nei Piani di insediamenti produttivi (PIP).



Art. 4 - Interventi straordinari di ampliamento

1. In deroga agli strumenti urbanistici vigenti è consentito l’ampliamento fino al venti per cento della volumetria esistente degli edifici residenziali uni-bifamiliari, e comunque degli edifici di volumetria non superiore ai mille metri cubi e degli edifici residenziali composti da non più di due piani fuori terra, oltre all’eventuale piano sottotetto.

2. L’ampliamento di cui al comma 1 è consentito:

a) su edifici a destinazione abitativa ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), la cui restante parte abbia utilizzo compatibile con quello abitativo;

b) per interventi che non modificano la destinazione d’uso degli edifici interessati, fatta eccezione per quelli di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b);

c) su edifici residenziali ubicati in aree urbanizzate, nel rispetto delle distanze minime e delle altezze massime dei fabbricati;

d) su edifici residenziali ubicati in aree esterne agli ambiti dichiarati in atti formali a pericolosità idraulica e da frana elevata o molto elevata;

e) su edifici ubicati in aree esterne a quelle definite ad alto rischio vulcanico;

f) per la realizzazione di opere interne non incidenti sulla sagoma e sui prospetti delle costruzioni e comunque non successivamente frazionabili.

3. Per gli edifici a prevalente destinazione residenziale è consentito, in alternativa all’ampliamento della volumetria esistente, la modifica di destinazione d’uso da volumetria esistente non residenziale a volumetria residenziale per una quantità massima del venti per cento.

4. Per la realizzazione dell’ampliamento sono obbligatori:

a) l’utilizzo di tecniche costruttive, anche con utilizzo di materiale eco-compatibile, che garantiscano prestazioni energetico-ambientali nel rispetto dei parametri stabiliti dagli atti di indirizzo regionali e dalla vigente normativa. L’utilizzo delle tecniche costruttive ed il rispetto degli indici di prestazione energetica fissati dalla Giunta regionale sono certificati dal direttore dei lavori con la comunicazione di ultimazione dei lavori. Gli interventi devono essere realizzati da una ditta con iscrizione anche alla Cassa edile comprovata da un regolare Documento unico di regolarità contributiva (DURC). In mancanza di detti requisiti non è certificata l’agibilità, ai sensi dell’articolo 25 (R) del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia -Testo A), dell’intervento realizzato;

b) la conformità alle norme sulle costruzioni in zona sismica;

c) il rispetto delle prescrizioni tecniche di cui agli articoli 8 e 9 del decreto ministeriale 14 giugno 1989, n. 236 (Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche), al fine del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche.

5. Per gli edifici residenziali e loro frazionamento, sui quali sia stato realizzato l’ampliamento ai sensi della presente legge, non può essere modificata la destinazione d’uso se non siano decorsi almeno cinque anni dalla comunicazione di ultimazione dei lavori.

6. L’ampliamento non può essere realizzato su edifici residenziali privi del relativo accatastamento ovvero per i quali al momento della richiesta dell’ampliamento non sia in corso la procedura di accatastamento. L’ampliamento non può essere realizzato, altresì, in aree individuate, dai comuni provvisti di strumenti urbanistici generali vigenti, con provvedimento di consiglio comunale motivato da esigenze di carattere urbanistico ed edilizio, nel termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge.

7. Nelle zone agricole sono consentiti i mutamenti di destinazione d’uso, non connessi a trasformazioni fisiche, di immobili o di loro parti, regolarmente assentiti, per uso residenziale del nucleo familiare del proprietario del fondo agricolo o per attività connesse allo sviluppo integrato dell’azienda agricola.



Art. 5 - Interventi straordinari di demolizione e ricostruzione

1. In deroga agli strumenti urbanistici vigenti è consentito l’aumento, entro il limite del trentacinque per cento, della volumetria esistente degli edifici residenziali per interventi di demolizione e ricostruzione, all’interno della stessa unità immobiliare catastale e delle pertinenze esterne asservite al fabbricato.

2. L’aumento di cui al comma 1 è consentito:

a) su edifici a destinazione abitativa ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), la cui restante parte abbia utilizzo compatibile con quello abitativo;

b) per interventi che non modificano la destinazione d’uso prevalente degli edifici interessati;

c) su edifici residenziali ubicati in aree urbanizzate, nel rispetto delle distanze minime e delle altezze massime dei fabbricati;

d) su edifici residenziali ubicati in aree esterne agli ambiti dichiarati in atti formali a pericolosità idraulica e da frana elevata o molto elevata;

e) su edifici ubicati in aree esterne a quelle definite ad alto rischio vulcanico.

3. Il numero delle unità immobiliari residenziali originariamente esistenti può variare, purché le eventuali unità immobiliari aggiuntive abbiano una superficie utile lorda non inferiore a sessanta metri quadrati.

4. È consentito, nella realizzazione dell’intervento di cui al comma 1, l’incremento dell’altezza preesistente fino al venti per cento oltre il limite previsto all’articolo 2, comma 1, lettera h).

5. Per la realizzazione dell’aumento è obbligatorio:

a) l’utilizzo di tecniche costruttive, anche con utilizzo di materiale eco-compatibile, che garantiscano prestazioni energetico- ambientali nel rispetto dei parametri stabiliti dagli atti di indirizzo regionali e dalla normativa vigente. L’utilizzo delle tecniche costruttive ed il rispetto degli indici di prestazione energetica fissati dalla Giunta regionale sono certificati dal direttore dei lavori con la comunicazione di ultimazione dei lavori. Gli interventi devono essere realizzati da una ditta con iscrizione anche alla Cassa edile comprovata da un regolare DURC. In mancanza di detti requisiti non è certificata l’agibilità, ai sensi dell’articolo 25 (R) del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, dell’intervento realizzato;

b) il rispetto delle prescrizioni tecniche di cui al decreto ministeriale n. 236/1989, attuativo della legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati);

c) la conformità alle norme sulle costruzioni in zona sismica.

6. Per gli edifici residenziali e loro frazionamento, sui quali sia stato realizzato l’aumento ai sensi della presente legge, non può essere modificata la destinazione d’uso se non siano decorsi almeno cinque anni dalla comunicazione di ultimazione dei lavori.

7. L’aumento non può essere realizzato su edifici residenziali privi di relativo accatastamento ovvero per i quali al momento della richiesta dell’ampliamento non sia in corso la procedura di accatastamento. L’aumento non può essere realizzato, altresì, in aree individuate, dai comuni provvisti di strumenti urbanistici generali vigenti, con provvedimento di consiglio comunale motivato da esigenze di carattere urbanistico ed edilizio, nel termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge.



Art. 6 - Prima casa

1. In deroga alla previsione di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), gli interventi di cui agli articoli 4 e 5 della presente legge possono essere realizzati sugli edifici contenenti unità abitative destinate a prima casa dei richiedenti, intendendosi per prima casa quella di residenza anagrafica, per i quali sia stata rilasciata la concessione in sanatoria o l’accertamento di conformità, ai sensi degli articoli 36 e 37 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, ovvero per i quali sia stata presentata, nei termini previsti dalla legislazione statale vigente in materia, istanza di condono dagli interessati, se aventi diritto, e siano state versate le somme prescritte.



Art. 7 - Riqualificazione aree urbane degradate

1. La risoluzione delle problematiche abitative e della riqualificazione del patrimonio edilizio e urbanistico esistente, in linea con le finalità e gli indirizzi della legge regionale n. 13/2008, può essere attuata attraverso la promozione dello sviluppo sostenibile della città e con strategie per la valorizzazione del tessuto urbano, la riduzione del disagio abitativo, il miglioramento delle economie locali e l’integrazione sociale.

2. Al riguardo possono essere individuati dalle amministrazioni comunali, anche su proposta dei proprietari singoli o riuniti in consorzio, con atto consiliare da adottare entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, ambiti la cui trasformazione urbanistica ed edilizia è subordinata alla cessione da parte dei proprietari, singoli o riuniti in consorzio, e in rapporto al valore della trasformazione, di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale, in aggiunta alla dotazione minima inderogabile di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968. Nella identificazione dei suddetti ambiti devono essere privilegiate le aree in cui si sono verificate occupazioni abusive.

3. In tali ambiti, al fine di favorire la sostituzione edilizia nelle aree urbane da riqualificare di cui al comma 2, anche in variante agli strumenti urbanistici vigenti, è consentito l’aumento, entro il limite del cinquanta per cento, della volumetria esistente per interventi di demolizione, ricostruzione e ristrutturazione urbanistica degli edifici residenziali pubblici vincolando la Regione all’inserimento, nella programmazione, di fondi per l’edilizia economica e popolare, indicando allo scopo opportuni stanziamenti nella legge di bilancio, previa individuazione del fabbisogno abitativo, delle categorie e delle fasce di reddito dei nuclei familiari in emergenza.

4. Se non siano disponibili aree destinate a edilizia residenziale sociale, le amministrazioni comunali, anche in variante agli strumenti urbanistici vigenti, possono individuare gli ambiti di cui al comma 2 contenenti solo aree da utilizzare per edilizia residenziale sociale, da destinare prevalentemente a giovani coppie e nuclei familiari con disagio abitativo.

5. Nelle aree urbanizzate e degradate, per immobili dismessi, con dimensione di lotto non superiore a quindicimila metri quadrati alla data di entrata in vigore della presente legge, in deroga agli strumenti urbanistici generali, sono consentiti interventi di sostituzione edilizia a parità di volumetria esistente, anche con cambiamento di destinazione d’uso, che prevedano la realizzazione di una quota non inferiore al trenta per cento per le destinazioni di edilizia sociale di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto ministeriale 22 aprile 2008 (Definizione di alloggio sociale ai fini dell’esenzione dell’obbligo di notifica degli aiuti di stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea). La volumetria derivante dalla sostituzione edilizia può avere le seguenti destinazioni: edilizia abitativa, uffici in misura non superiore al dieci per cento, esercizi di vicinato, botteghe artigiane. Se l’intervento di sostituzione edilizia riguarda immobili già adibiti ad attività manifatturiere industriali, artigianali e di grande distribuzione commerciale, le attività di produzione o di distribuzione già svolte nell’immobile assoggettato a sostituzione edilizia devono essere cessate e quindi non produrre reddito da almeno tre anni antecedenti alla data di entrata in vigore della presente legge.

6. Nelle aree urbanizzate, ad esclusione delle zone agricole e produttive, delle aree e degli interventi individuati all’articolo 3, per edifici non superiori a diecimila metri cubi destinati prevalentemente ad uffici, è consentito il mutamento di destinazione d’uso a fini abitativi con una previsione a edilizia convenzionata in misura non inferiore al venti per cento del volume dell’edificio, nel rispetto delle caratteristiche tecnico-prestazionali di cui al comma 4 dell’articolo 4 ovvero del comma 5 dell’articolo 5.

7. I comuni provvisti di strumenti urbanistici generali vigenti possono individuare, con provvedimento del consiglio comunale motivato da esigenze di carattere urbanistico ed edilizio, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le aree nelle quali non sono consentiti gli interventi di cui al comma 5.

8. Per le finalità di cui al presente articolo, la Giunta regionale approva linee guida con particolare riguardo all’uso dei materiali per l’edilizia sostenibile e può, in ragione degli obiettivi di riduzione del disagio abitativo raggiunti, determinare le modalità delle trasformazioni possibili anche promuovendo specifici avvisi pubblici entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.



Art. 8 - Misure di semplificazione in materia di governo del territorio

1. La legge regionale 22 dicembre 2004, n. 16 (Norme sul governo del territorio) e successive modificazioni, è così modificata:

a) al comma 2 dell’articolo 7 le parole “nei patti territoriali e nei contratti d'area.” sono sostituite con le seguenti “nei Sistemi territoriali di sviluppo, così come individuati dal PTR e dai PTCP.”;

b) il comma 2 dell’articolo 10 è sostituito dal seguente:

“2. Le sospensioni di cui al comma 1 non possono essere protratte per oltre dodici mesi decorrenti dalla data di adozione dei piani o per oltre quattro mesi dalla data di adozione delle varianti. Decorsi inutilmente tali termini si procede ai sensi dell’articolo 39 della presente legge.”;

c) al comma 9 dell’articolo 23 dopo le parole “il territorio comunale” sono aggiunte le seguenti “ove esistenti”;

d) al comma 6 dell’articolo 25 le parole “di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, articolo 14,” sono sostituite dalle seguenti “così come previsto dalla normativa nazionale vigente,”;

e) il comma 1 dell’articolo 30 è sostituito dal seguente:

“1. Gli elaborati da allegare agli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica, generale ed attuativa previsti dalla presente legge sono individuati con delibera di Giunta regionale.”;

f) i commi 2 e 3 dell’articolo 30 sono abrogati;

g) al comma 1 dell’articolo 38 sono aggiunte le seguenti parole “Tale scadenza si applica anche per le disposizioni del PUC che destinano determinate aree alla costruzione di infrastrutture di interesse pubblico.”;

h) al comma 4 dell’articolo 38 le parole “entro il termine di sei mesi” sono sostituite con le seguenti “entro il termine di tre mesi”;

i) al comma 1 dell’articolo 39 le parole “entro il termine perentorio di sessanta giorni” sono sostituite con le seguenti “entro il termine perentorio di quaranta giorni”;

l) al comma 3 dell’articolo 39 le parole “entro il termine perentorio di sessanta giorni” sono sostituite con le seguenti “entro il termine perentorio di quaranta giorni”;

m) all’articolo 39 è aggiunto il seguente comma:

“4. Gli interventi, di cui ai commi 1, 2 e 3 si concludono entro sessanta giorni con l’adozione del provvedimento finale.”;

n) al comma 1 dell’articolo 40 le parole “degli uffici regionali competenti nelle materie dell'edilizia e dell'urbanistica” sono sostituite con le seguenti “presenti presso l’AGC 16 Governo del Territorio”.

2. Per i sottotetti realizzati alla data di entrata in vigore della presente legge, e per diciotto mesi a decorrere dalla stessa data, sono applicabili gli effetti delle norme di cui alle leggi regionali 28 novembre 2000, n. 15 (Norme per il recupero abitativo dei sottotetti esistenti), e 28 novembre 2001, n. 19 (Procedure per il rilascio dei permessi di costruire e per l'esercizio di interventi sostitutivi - Individuazione degli interventi edilizi subordinati a denuncia di inizio attività - Approvazione di piani attuativi dello strumento urbanistico generale nei comuni obbligati alla formazione del programma pluriennale di attuazione - Norme in materia di parcheggi pertinenziali - Modifiche alla legge regionale 28 novembre 2000, n. 15 e alla legge regionale 24 marzo 1995, n. 8).

3. Per i fabbricati adibiti ad attività manifatturiere, industriali ed artigianali, ubicati all’interno delle aree destinate ai piani di insediamenti produttivi, in produzione alla data di entrata in vigore della presente legge, e per diciotto mesi a decorrere dalla stessa data, il rapporto di copertura di cui all’articolo 1 della legge regionale 27 aprile 1998, n. 7 (Modifica legge regionale 20 marzo 1982, n. 14, recante: “Indirizzi programmatici e direttive fondamentali relative all’esercizio delle funzioni delegate in materia di urbanistica ai sensi dell’articolo 1, secondo comma, della legge regionale 1 settembre 1981, n. 65) e all’articolo 11 della legge regionale n. 15/2005 è elevabile da 0.50

a 0.60.

4. I comuni che non hanno adeguato gli standard urbanistici di cui alla legge regionale 5 marzo 1990, n. 9 (Riserva di standard urbanistici per attrezzature religiose), possono provvedervi entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.



Art. 9 - Valutazione della sicurezza e fascicolo del fabbricato

1. L’efficacia del titolo abilitativo edilizio di cui all’articolo 9, comma 1, è subordinata alla valutazione della sicurezza dell’intero fabbricato del quale si intende incrementare la volumetria. La valutazione deve essere redatta nel rispetto delle norme tecniche delle costruzioni approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture 14 gennaio 2008 (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni) e deve essere presentata al Settore provinciale del Genio Civile competente per territorio,che ne dà comunicazione al comune.

2. Ogni fabbricato oggetto di incremento volumetrico o mutamento d’uso di cui alla presente legge deve dotarsi, ai fini dell’efficacia del relativo titolo abilitativo, di un fascicolo del fabbricato che comprende gli esiti della valutazione di cui al comma 1 e il certificato di collaudo, ove previsto. Nel fascicolo sono altresì raccolte e aggiornate le informazioni di tipo progettuale, strutturale, impiantistico, geologico riguardanti la sicurezza dell’intero fabbricato.

3. Con successivo regolamento sono stabiliti i contenuti del fascicolo del fabbricato nonché le modalità per la redazione, la custodia e l’aggiornamento del medesimo. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento, il fascicolo si compone della valutazione di cui al comma 1 e del certificato di collaudo, ove previsto.



Art. 10 - Modifiche alla legge regionale 7 gennaio 1983, n. 9

1. L’articolo 2 della legge regionale 7 gennaio 1983, n. 9 (Norme per l’esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa del territorio dal rischio sismico), è così modificato:

a) i commi 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti:

“2. La denuncia è effettuata presentando il preavviso scritto dei lavori che si intendono realizzare, corredato da progetto esecutivo asseverato, fermo restando l’obbligo di acquisire pareri, nulla osta, autorizzazioni, permessi, titoli abilitativi comunque denominati, previsti dalla vigente normativa per l’esecuzione dei lavori.

3. La denuncia dei lavori di cui al comma 1, in caso di lavori relativi ad organismi strutturali in conglomerato cementizio armato o a struttura metallica, comprende anche le dichiarazioni che la normativa statale vigente pone in capo al costruttore.”;

b) il comma 5 è sostituito dal seguente:

“5. La valutazione della sicurezza di una costruzione esistente, effettuata nei casi obbligatoriamente previsti dalle vigenti norme tecniche per le costruzioni, che non comporta l’esecuzione di lavori, deve essere presentata al Settore provinciale del Genio Civile competente per territorio. Nelle more dell’attestazione dell’avvenuta presentazione, la costruzione è inagibile ovvero inutilizzabile.”;

c) dopo il comma 7 sono aggiunti i seguenti:

“8. Per l’istruttoria e la conservazione dei progetti di lavori da denunciare ai sensi del comma 1 è prevista la corresponsione di un contributo nella misura indicata con deliberazione della Giunta regionale. Sono esentati dal contributo le denunce di lavori necessari per riparare danni derivanti da eventi calamitosi di cui alla legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile).

9. I contributi versati ai sensi del comma 8 alimentano un apposito fondo previsto nell’ambito dell’UPB 11.81.80 finalizzato a garantire, anche in outsourcing, lo svolgimento delle attività di cui alla presente legge.

10. La denuncia dei lavori è finalizzata ad ottenere l’autorizzazione sismica ovvero il deposito sismico, di cui all’articolo 4. Nel procedimento finalizzato al deposito sismico il competente Settore provinciale del Genio Civile svolge un’istruttoria riguardante la correttezza amministrativa della denuncia dei lavori; nel procedimento finalizzato alla autorizzazione sismica verifica, altresì, la correttezza delle impostazioni progettuali in relazione alle norme tecniche vigenti.

11. Il dirigente della struttura preposta al coordinamento dei Settori provinciali del Genio Civile emana direttive di attuazione dei procedimenti nelle more dell’emanazione del regolamento di attuazione della presente legge.”.

2. L’articolo 4 della legge regionale n. 9/1983, è sostituito dal seguente:

“Art. 4 – Autorizzazione sismica e deposito sismico.

1. I Settori Provinciali del Genio Civile curano i procedimenti autorizzativi e svolgono le attività di vigilanza, di cui alla presente legge, nel rispetto della normativa statale e regionale. Sono sempre sottoposti ad autorizzazione sismica, anche se ricadenti in zone a bassa sismicità:

a) gli edifici di interesse strategico e le opere infrastrutturali, di interesse statale e regionale, la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile;

b) gli edifici e le opere infrastrutturali, di interesse statale e regionale, che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un loro eventuale collasso;

c) i lavori che interessano abitati dichiarati da consolidare ai sensi della legge 9 luglio 1908, n. 445 (Provvedimenti a favore della Basilicata e della Calabria);

d) le sopraelevazioni di edifici, nel rispetto dell'articolo 90, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001; l’autorizzazione, in tal caso, ha valore ed efficacia anche ai fini della certificazione di cui all'articolo 90, comma 2, del citato decreto n. 380/2001;

e) i lavori che hanno avuto inizio in violazione dell’articolo 2.

2. In tutte le zone sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità, l’inizio dei lavori è subordinato al rilascio dell’autorizzazione sismica.

3. Nelle zone classificate a bassa sismicità, fatta eccezione per i casi di cui al comma 1, i lavori possono iniziare dopo che il competente Settore provinciale del Genio Civile, all’esito del procedimento di verifica, ha attestato l’avvenuto e corretto deposito sismico. Sono effettuati controlli sulla progettazione con metodi a campione, finalizzati a verificare la correttezza delle impostazioni progettuali in relazione alle norme tecniche vigenti.

4. Con successivo regolamento sono disciplinati i procedimenti di cui alla presente legge ed in particolare l’attività istruttoria, i termini di conclusione e le modalità di campionamento dei controlli di cui al comma 3.”.

3. All’articolo 5 della legge regionale n. 9/1983, i commi 3 e 4 sono sostituiti dai seguenti:

“3. Fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente, i comuni:

a) accertano che chiunque inizi lavori di cui all’articolo 2 sia in possesso della autorizzazione sismica, ovvero del deposito sismico;

b) accertano che il direttore dei lavori abbia adempiuto agli obblighi di cui all’articolo 3, comma 5;

c) effettuano il controllo sulla realizzazione dei lavori, ad eccezione di quanto previsto dal comma 4.

4. Il Settore provinciale del Genio Civile competente per territorio effettua il controllo sulla realizzazione dei lavori, nei casi di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b). Il regolamento di cui all’articolo 4, comma 4, disciplina i procedimenti di controllo, definendone anche le modalità a campione. I controlli così definiti costituiscono vigilanza per l’osservanza delle norme tecniche, come prevista dalla normativa vigente per la fase di realizzazione dei lavori”.

4. Le disposizioni di cui al comma 1, lettera c), del presente articolo si applicano dalla data di entrata in vigore della presente legge.



Art. 11 - Adeguamento urbanistico delle strutture di allevamento animale nell’Area sorrentino-agerolese

1. Le strutture di allevamento animale insistenti nel territorio dei comuni facenti parte dell’area di produzione del formaggio “Provolone del Monaco DOP”, indicati nel relativo disciplinare di produzione, realizzate antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge regionale 27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell’Area sorrentino-amalfitana), in deroga alla normativa stessa ed agli strumenti urbanistici vigenti nei predetti comuni, possono essere adeguate ai criteri previsti dalle direttive n. 91/629/CEE e n. 98/58/CE e successive modificazioni e integrazioni, nonché alle vigenti norme igienico-sanitarie, indipendentemente dalla Zona territoriale di cui alla precitata legge regionale n. 35/1987 su cui insistono, sempre che vi sia stata continuità nell’attività zootecnica, da comprovare con certificazione rilasciata dalle competenti autorità sanitarie locali, oltre che da dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dall’allevatore interessato.

2. Con apposito regolamento, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i vincoli cui soggiacciono le strutture di allevamento oggetto di interventi di adeguamento ai sensi del comma 1 nonché i criteri per la realizzazione di ricoveri per bovini allevati allo stato brado.

3. I comuni di cui al comma 1 sono tenuti ad adeguare i propri strumenti urbanistici in relazione ai contenuti del presente articolo.



Art. 12 - Norma finale e transitoria

1. Le istanze finalizzate ad ottenere i titoli abilitativi, denuncia inizio attività o permesso a costruire, richiesti dalla vigente normativa nazionale e regionale per la realizzazione degli interventi di cui agli articoli 4, 5, 7 e 8 devono essere presentate entro il termine perentorio di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2. Gli interventi di cui agli articoli 4, 5, 7 e 8 avviati entro il termine perentorio di cui al comma 1 si concludono entro il termine previsto dai rispettivi titoli abilitativi.

3. Gli interventi di ampliamento di cui agli articoli 4 e 5 non sono cumulabili con gli ampliamenti eventualmente consentiti da strumenti urbanistici comunali sugli stessi edifici.

4. Al fine di consentire il monitoraggio degli interventi realizzati, i soggetti pubblici e privati interessati alla realizzazione degli interventi previsti dalla presente legge devono comunicare alla regione Campania l’oggetto e la consistenza degli interventi stessi, secondo gli indirizzi stabiliti dalle linee guida. Le linee guida previste dalla presente legge sono emanate dalla Giunta regionale nel termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa.



Art. 13 - Dichiarazione d’urgenza

1. La presente legge è dichiarata urgente ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nel bollettino ufficiale della regione Campania.

Indice

TITOLO I - DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1 - Oggetto della legge

Art. 2 - Partecipazione

Art. 3 - Principi generali della Pianificazione Territoriale Urbanistica

Art. 4 - Sussidiarietà

Art. 5 - I sistemi della Pianificazione Territoriale Urbanistica

Art. 6 - Modalità di intervento e di uso

Art. 7 - Gli ambiti della Pianificazione Territoriale

Art. 8 - Sistema informativo territoriale e Osservatorio delle trasformazioni territoriali (S.I.T.O.)

Art. 8 bis - Politica del paesaggio e istituzione dell’'Osservatorio Regionale per il Paesaggio

Art. 9 - Nucleo di valutazione urbanistico-territoriale

Art. 10 - Valutazione di Sostenibilità, di Impatto Ambientale e strategica

TITOLO II - PARTECIPAZIONE E CONCERTAZIONE

Art. 11 - Partecipazione dei cittadini

Art. 12 - Concertazione istituzionale

Art. 13 - Conferenze di pianificazione

Art. 14 - Conferenze di servizi

Art. 15 - Accordo di programma

TITOLO III - OPERE DI INTERESSE GENERALE

Art. 16 - Opere di interesse statale

TITOLO IV - STRUMENTI E CONTENUTI DELLA PIANIFICAZIONE

Art. 17 - Quadro Territoriale Regionale (Q.T.R.)

Art. 17 bis - Valenza Paesaggistica del QTR e Piani Paesaggistici di Ambito

Art. 18 - Piano territoriale di coordinamento provinciale (P.T.C.P.)

Art. 19 - Strumenti di Pianificazione Comunale

Art. 20 - Piano strutturale comunale (P.S.C.)

Art. 20 bis - Piano Strutturale in forma Associata (P.S.A.)

Art. 21 - Regolamento Edilizio ed Urbanistico (R.E.U.)

Art. 22 - Norme particolari per il porto di Gioia Tauro

Art. 23 - Piano Operativo Temporale (P.O.T.)

Art. 24 - Piani Attuativi Unitari

TITOLO V - PROCEDURE DI FORMAZIONE ED APPROVAZIONE DEGLI STRUMENTI DI INDIRIZZO E DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

Art. 25 - Formazione ed approvazione del Quadro Territoriale Regionale (Q.T.R.)

Art. 25 bis - Formazione ed approvazione dei Piani Paesaggistici d'Ambito (PPd'A)

Art. 26 - Formazione ed approvazione del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P.)

Art. 27 - Formazione ed approvazione del Piano Strutturale Comunale (P.S.C.)

Art. 27 bis - Formazione ed approvazione del Piano Strutturale in forma Associata (P.S.A.)

Art. 28 - Intervento sostitutivo provinciale

Art. 29 - Formazione ed approvazione del Piano Operativo Temporale ( P.O.T.)

Art. 30 - Formazione ed approvazione dei Piani Attuativi Unitari ( P.A.U.)

Art. 31 - Comparti edificatori

Art. 32 - Strumenti di pianificazione negoziata

Art. 33 - Programma integrato d'intervento (P.I.N.T.)

Art. 34 - Programma di recupero urbano (P.R.U.)

TITOLO VI - TUTELA E RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO E URBANISTICO

Art. 35 - Programmi di riqualificazione urbana (RIURB)

Art. 36 - Programmi di recupero degli insediamenti abusivi (P.R.A.)

Art. 37 - Interventi di bonifica urbanistica-edilizia

Art. 38 - Fondo per il risanamento e recupero dei centri storici

Art. 39 - Finalità dei programmi d’area

Art. 40 - Programmi d'area

Art. 41 - Modalità di predisposizione del Programma d'Area

Art. 42 - Procedimento di approvazione del Programma d'Area

Art. 43 - Contenuti dell'accordo relativo al Programma d'Area

Art. 44 - Soggetti attuatori del Programma d'Area

Art. 45 - Autorità di programma

Art. 46 - Conferenza di programma del Programma d'Area

Art. 47 - Approvazione regionale dei programmi d'area

Art. 48 - Insediamenti urbani storici

Art. 49 - Miglioramenti tecnologici

TITOLO VII - PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO AGRO-FORESTALE

Art. 50 - Assetto agricolo forestale del territorio

Art. 51 - Interventi in zona agricola

Art. 52 - Criteri per l’edificazione in zona agricola

TITOLO VIII - DISPOSIZIONI ORIZZONTALI

Art. 53 - Standard urbanistici

Art. 53 bis - Edilizia sostenibile

Art. 54 - Perequazione urbanistica

Art. 55 - Società di trasformazione urbana

Art. 56 - Vincolo di inedificabilità

Art. 57 - Disciplina del mutamento delle destinazioni d’uso degli immobili

TITOLO IX - MISURE DI SALVAGUARDIA

Art. 58 - Misure di salvaguardia

Art. 59 - Misure di salvaguardia del P.T.C.P.

Art. 60 - Misure di salvaguardia del P.S.C.

TITOLO X - DELEGA DI FUNZIONI E COMPETENZE

Art. 61 - Conferimento di funzioni in materia di urbanistica e di opere abusive

Art. 62 - Adempimenti della Regione

Art. 63 - Adeguamenti ed aggiornamenti

Art. 64 - Adempimenti delle Province

Art. 65 - Approvazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici comunali in fase di prima applicazione della legge

TITOLO XI - DISPOSIZIONI FINALI

Art. 66 - Atti regionali di indirizzo, coordinamento e attuazione

Art. 67 - Poteri sostitutivi regionali e provinciali

Art. 68 - Supporti tecnici e finanziari per la formazione di strumenti urbanistici

Art. 69 - Qualificazione e valorizzazione professionale

Art. 70 - Società di certificazione urbanistica (S.C.U.)

Art. 71 - Sportello unico

Art. 72 - Sistema informativo provinciale

Art. 73 - Abrogazione di precedenti norme

Art. 74 - Pubblicazione

CAPO I – NORME IN MATERIA DI PIANO TERRITORIALE REGIONALE

Art. 1 (Finalità)

Art. 2 (Definizioni)

Art. 3 (Attribuzioni della Regione)

Art. 4 (Attribuzioni del Comune)

Art. 5 (Finalità strategiche del PTR)

Art. 6 (Contenuti ed elementi del PTR)

Art. 7 (Formazione del PTR)

Art. 8 (Adozione e approvazione del PTR)

CAPO II – NORME IN MATERIA DI LOCALIZZAZIONE DI INFRASTRUTTURE STRATEGICHE

Art. 9 - Finalità

Art. 10 - Sospensione temporanea dell’edificabilità

Art. 11 - Società di Trasformazione Urbana Regionale

CAPO III – NORME TRANSITORIE

Art. 12 - Norme transitorie



Nota. Gli articoli con la rubrica racchiusa da parentesi sono stati abrogati.

Indice

PARTE I - URBANISTICA

TITOLO I - DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1 - Finalità

Art. 2 - Definizioni

Art. 3 - Attribuzioni del Comune

Art. 4 - Attribuzioni della Provincia

Art. 5 - Attribuzioni della Regione

Art. 6 - Intese con lo Stato

TITOLO II - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

Capo I - Pianificazione territoriale regionale

Art. 7 - Funzioni e obiettivi della pianificazione

Art. 8 - Finalità strategiche del PTR

Art. 9 - Elementi del PTR

Art. 10 - Formazione del PTR

Art. 11 - Contenuti prescrittivi del PTR

Art. 12 - Efficacia

Capo II - Piani regionali di settore e piani territoriali infraregionali

Art. 13 - Piani di settore

Art. 14 - Piani territoriali infraregionali

Capo III - Strumenti e contenuti della pianificazione comunale

Art. 15 - Piano strutturale comunale

Art. 16 - Finalità strategiche del PSC

Art. 17 - Procedura di formazione del PSC

Art. 18 - Conferenza di pianificazione

Art. 19 - Intesa di pianificazione

Art. 20 - Salvaguardia

Art. 21 - Piano operativo comunale

Art. 22 - Procedura di formazione del POC

Art. 23 - Decadenza dei vincoli

Art. 24 - Accelerazione di procedure

Art. 25 - Piani attuativi comunali

Capo IV - Pianificazione sovracomunale

Art. 26 - Requisiti per la pianificazione sovracomunale

Art. 27 - Affidamento della predisposizione degli strumenti urbanistici

Art. 28 - Delega della funzione della pianificazione

Art. 29 - Ente di pianificazione intercomunale

Art. 30 - Contenuti della pianificazione sovracomunale

Capo V - Perequazione urbanistica e compensazione territoriale

Art. 31 - Perequazione urbanistica

Art. 32 - Compensazione urbanistica

Art. 33 - Compensazione territoriale

TITOLO III - INFORMATIZZAZIONE E MONITORAGGIO

Art. 34 - Informatizzazione degli strumenti urbanistici

Art. 35 - Supporti informativi e cartografici

Art. 36 - Rapporti annuali sullo stato del territorio

PARTE II - DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ EDILIZIA

TITOLO I - DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 37 (Recepimento della normativa statale)

Art. 38 (Regolamento edilizio)

Art. 39 (Misure per la promozione della bioedilizia, della bioarchitettura e del rendimento energetico nell’edilizia)

Art. 40 - Interventi relativi a impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili

Art. 41 (Monitoraggio dei certificati di regolarità contributiva in edilizia)

Art. 42 (Commissione edilizia)

Art. 43 (Sportello unico per l’edilizia)

Art. 44 (Categorie delle destinazioni d’uso)

Art. 45 (Certificato urbanistico e valutazione preventiva)

Art. 46 (Area di pertinenza urbanistica)

Art. 47 (Interventi finalizzati all’abbattimento delle barriere architettoniche)

Art. 48 (Interventi subordinati a denuncia di inizio attività)

Art. 49 (Strutture temporanee)

Art. 50 (Disposizioni applicative)

Art. 51 (Disposizioni applicative in materia di ristrutturazione edilizia)

Art. 52 (Rinvio)

Art. 53 - Procedimento autorizzativo in materia di telefonia mobile

PARTE III - PAESAGGIO

TITOLO I - DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 54 - Finalità

Art. 55 - Beni paesaggistici

Art. 56 - Commissioni provinciali

Art. 57 - Valenza paesaggistica del PTR

TITOLO II - CONTROLLO E GESTIONE DEI BENI SOGGETTI A TUTELA

Art. 58 – Modalità per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica

Art. 59 - Commissioni locali per il paesaggio

Art. 60 - Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in via transitoria

PARTE IV - POTESTÀ REGOLAMENTARE

Art. 61 - Potestà regolamentare

PARTE V - NORME FINALI E TRANSITORIE

Art. 62 - Osservatorio regionale della pianificazione territoriale e urbanistica, dell’edilizia e del paesaggio

Art. 63 - Norme finali e transitorie

Art. 63 bis - Norme transitorie per la formazione degli strumenti urbanistici generali comunali e loro varianti fino all'entrata in vigore del PTR

Art. 63 ter - Validità temporale e salvaguardia degli strumenti urbanistici generali comunali e loro varianti di cui all'articolo 63 bis

Art. 63 quater - Norme transitorie per gli strumenti urbanistici attuativi comunali e loro varianti fino all'entrata in vigore del PTR

Art. 64 - Abrogazioni

Art. 65 - Rinvio

Art. 66 - Entrata in vigore

Nota. Gli articoli con la rubrica racchiusa tra parentesi sono stati abrogati.



INDICE



Art. 1 - Procedure per l'avvio della riforma della pianificazione territoriale della Regione

Art. 2 - Norma transitoria nelle more dell'approvazione del Piano del governo del territorio

Art. 3 - Norme finanziarie

Art. 4 - Entrata in vigore



TESTO



Art. 1 - Procedure per l'avvio della riforma della pianificazione territoriale della Regione

1. La presente legge avvia la riforma per il governo del territorio finalizzata a stabilire le norme fondamentali per la disciplina delle procedure di formazione degli strumenti di pianificazione territoriale, il riordino e la manutenzione della materia urbanistica, in attuazione dello Statuto speciale, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali.

2. La Regione dispone il riassetto della materia dell'urbanistica e della pianificazione territoriale in attuazione del principio di sussidiarietà, adeguatezza e semplificazione, uso razionale del territorio e ai fini della trasparenza, snellimento, partecipazione, completezza dell'istruttoria, efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa.

3. La Regione svolge la funzione della pianificazione territoriale attraverso il Piano del governo del territorio che si compone del Documento territoriale strategico regionale e della Carta dei valori.

4. I Comuni partecipano attivamente alla formazione dei documenti di cui al comma 3.

5. Il Documento territoriale strategico regionale è lo strumento con il quale la Regione stabilisce le strategie della propria politica territoriale, individua i sistemi locali territoriali e ne definisce i caratteri, indirizza e coordina la pianificazione degli enti territoriali, nonché i piani di

settore.

6. La Carta dei valori è il documento nel quale sono contenuti i valori fondamentali della Regione, gli elementi del territorio che devono essere disciplinati, tutelati e sviluppati da parte dei soggetti territorialmente competenti in quanto costituiscono, per vocazione e potenzialità, patrimonio identitario della Regione il cui riconoscimento è presupposto fondamentale per il corretto governo e per la cura del territorio.

7. La Giunta regionale impartisce le linee guida per la formazione del Piano del governo del territorio e del Rapporto ambientale. Le linee guida, entro trenta giorni dalla loro deliberazione, sono sottoposte al parere del Consiglio delle autonomie locali e della competente Commissione consiliare che si devono esprimere entro novanta giorni, trascorsi i quali i pareri si intendono acquisiti.

8. Il servizio competente in materia di pianificazione territoriale regionale predispone il Piano di governo del territorio e il Rapporto ambientale mediante valutazione ambientale strategica (VAS) di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e successive modifiche, in successive fasi con presentazione e discussione in apposite Conferenze di pianificazione.

9. Alle Conferenze di pianificazione, convocate e presiedute dall’Assessore competente alla pianificazione territoriale, partecipano la Regione, le Province, i Comuni e gli altri Enti istituzionali competenti in materia territoriale, nonché i soggetti competenti in materia ambientale e paesaggistica che possono presentare contributi relativi agli interessi di propria spettanza finalizzati alla formazione del Piano del governo del territorio e del Rapporto ambientale.

10. Alle Conferenze di pianificazione possono altresì partecipare gli altri soggetti portatori di interessi afferenti il territorio, preventivamente individuati dalla Giunta regionale, al fine di apportare ulteriori elementi di conoscenza per la formazione del Piano del governo del territorio e del Rapporto ambientale. Della indizione delle Conferenze viene dato avviso nel Bollettino Ufficiale della Regione e nel sito internet della Regione. Qualsiasi interessato può partecipare al procedimento tramite apporti documentali. Il Servizio competente in materia di pianificazione territoriale regionale tiene conto, ai fini della redazione del Piano del governo del territorio e del Rapporto ambientale, dei risultati delle Conferenze di pianificazione.

11. Il Piano del governo del territorio è sottoposto agli adempimenti relativi alle consultazioni transfrontaliere di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 152/2006.

12. Il Piano del governo del territorio con il Rapporto ambientale è sottoposto al parere del Consiglio delle autonomie locali e della competente Commissione consiliare ed è adottato con decreto del Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale.

13. Il Piano del governo del territorio con il Rapporto ambientale, adottato dalla Giunta regionale, è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione e nel sito internet della Regione e depositato per la libera consultazione presso il Servizio competente in materia di pianificazione territoriale regionale.

14. Entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione chiunque può presentare osservazioni. Nel medesimo periodo i soggetti competenti in materia ambientale e paesaggistica rendono il parere circostanziato.

15. Il Servizio competente in materia di pianificazione territoriale regionale redige la relazione valutativa di piano entro novanta giorni dalla scadenza di cui al comma 14.

16. La relazione valutativa di piano è il documento di sintesi che contiene la cronistoria del procedimento di formazione del Piano del governo del territorio e di valutazione ambientale strategica (VAS), valuta gli apporti dei soggetti competenti in materia ambientale e paesaggistica e le osservazioni pervenute.

17. Il Piano del governo del territorio con il Rapporto ambientale è sottoposto al parere della competente Commissione consiliare, è approvato, previa deliberazione della Giunta regionale, con decreto del Presidente della Regione, è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione ed entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione. L'avviso dell'avvenuta approvazione è pubblicato contestualmente nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, in un quotidiano a diffusione regionale e nazionale e nel sito internet della Regione.

18. Ai fini della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) l'autorità procedente e l'autorità competente si identificano nella Giunta regionale che individua, su proposta della struttura regionale competente in materia di pianificazione territoriale, anche i soggetti competenti in materia ambientale e paesaggistica, nonché la Regione Veneto, l’Austria e la Slovenia.

19. La documentazione costituita da studi, analisi e documenti tecnici in possesso dell’Amministrazione regionale dal 1978, tra cui la documentazione tecnica contenuta nel Piano urbanistico regionale generale (PURG), nel Piano territoriale regionale generale (PTRG), nel Piano territoriale regionale strategico (PTRS) e nel Piano territoriale regionale (PTR) adottato, può essere utilizzata nella formazione del Piano del governo del territorio.

20. Sono abrogati gli articoli 1 e 2 della legge regionale 13 dicembre 2005, n. 30 (Norme in materia di piano territoriale regionale).

21. Al comma 1 dell’articolo 63 bis della legge regionale 23 febbraio 2007, n. 5 (Riforma dell’urbanistica e disciplina dell’attività edilizia e del paesaggio), le parole: “Fino all’entrata in vigore del PTR, e comunque non oltre due anni dall’entrata in vigore della L.R. 21 ottobre 2008, n. 12 (Integrazioni e modifiche alla legge regionale 5/2007 “Riforma dell’urbanistica e disciplina dell’attività edilizia e del paesaggio”),” sono soppresse.



Art. 2 - Norma transitoria nelle more dell'approvazione del Piano del governo del territorio

1. Nelle more dell'approvazione dello strumento di pianificazione regionale di cui all'articolo 1, il Piano urbanistico regionale generale vigente (PURG), approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale 15 settembre 1978, n. 0826/Pres. (Approvazione del progetto definitivo del Piano urbanistico regionale generale del Friuli-Venezia Giulia), può essere modificato, secondo i criteri e le procedure individuati dal presente articolo, nei seguenti casi:

a) adeguamento a norme statali e comunitarie;

b) coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione regionale;

c) introduzione di nuove misure dirette allo sviluppo turistico, economico o alla tutela e valorizzazione del territorio della Regione.

2. In deroga a quanto previsto dal comma 1, nei casi previsti dalle lettere b) e c) del comma 1 il Piano urbanistico regionale generale (PURG) può essere modificato entro il termine di due anni dall’entrata in vigore della presente legge.

3. Le modifiche di cui al comma 1 vengono predisposte dall’Amministrazione regionale sulla base di appositi indirizzi programmatici e settoriali che sono sottoposti al parere del Consiglio delle autonomie locali e della competente Commissione consiliare. I pareri vengono espressi nel termine di novanta giorni, trascorsi i quali gli stessi si intendono acquisiti.

4. Gli elaborati cartografici e normativi redatti per la variante di cui al comma 1 sono sottoposti al parere del Consiglio delle autonomie locali e della competente Commissione consiliare e adottati dalla Giunta regionale. Gli elaborati sono depositati presso la struttura regionale competente in materia di pianificazione territoriale e pubblicati sul sito internet della Regione. Nel termine di novanta giorni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione dell’avviso di deposito chiunque può formulare osservazioni.

5. Il Presidente della Regione approva gli elaborati, previa deliberazione della Giunta regionale, con le eventuali modifiche apportate in recepimento del parere del Consiglio delle autonomie locali, della Commissione consiliare e delle osservazioni accolte. Il decreto di approvazione è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione ed entra in vigore il giorno della sua pubblicazione.

6. La procedura disciplinata dal presente articolo è soggetta a valutazione ambientale strategica (VAS) di cui al decreto legislativo 152/2006 e successive modifiche. La Giunta regionale con deliberazione disciplina le fasi del processo di valutazione ambientale strategica da svolgersi all'interno della procedura di modifica del Piano urbanistico regionale generale (PURG).



Art. 3 - Norme finanziarie

1. Gli oneri derivanti dal disposto di cui agli articoli 1 e 2 fanno carico all’unità di bilancio 3.1.1.1056 e al capitolo 1733 dello stato di previsione del bilancio pluriennale per gli anni 2009-2011 e del bilancio per l’anno 2009.



Art. 4 - Entrata in vigore

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione.



CAPO I – DISPOSIZIONI GENERALI

Artt. 1 – 9

(omissis)



CAPO II – ATTIVITÀ EDILIZIA DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Artt. 10 – 12

(omissis)



CAPO III – REGIME EDIFICATORIO

Artt. 13 – 20

(omissis)



CAPO IV – PERMESSO DI COSTRUIRE, DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITÀ E AGIBILITÀ

Artt. 21 – 32

(omissis)



CAPO V - DISPOSIZIONI SPECIALI



Art. 33 - Area di pertinenza urbanistica

1. L’area di pertinenza urbanistica di una costruzione è l’area che viene vincolata per il rispetto dell’indice di fabbricabilità fondiaria.

2. Al fine di cui al comma 1 può essere vincolata un’area adiacente all’area interessata dalla costruzione, avente la medesima classificazione quale zona omogenea o comunque urbanisticamente compatibile, anche in proprietà di soggetto diverso dal proprietario dell’area interessata dalla costruzione. In quest’ultimo caso il vincolo è oggetto di atto d’obbligo da trascriversi nei registri immobiliari e al tavolare a cura del richiedente.

3. L’entrata in vigore di normativa urbanistica che consenta un indice di fabbricabilità fondiaria più elevato comporta la liberalizzazione dal vincolo a pertinenza urbanistica delle aree già vincolate eccedenti a quelle necessarie per il rispetto dell’indice suddetto.

4. Ai sensi del presente articolo può essere vincolata un’area non adiacente all’area di insistenza della costruzione, o comunque urbanisticamente compatibile e non soggetta a pianificazione attuativa. Ai sensi del presente comma può altresì essere vincolata un’area sita nel territorio di un Comune diverso da quello in cui è ubicato l’intervento, solo nei casi di interventi in zona agricola connessi con la conduzione dei fondi.

5. Il regolamento edilizio comunale disciplina le procedure di competenza comunale relative alle attività di cui al presente articolo.



Art. 34 - Certificato di destinazione urbanistica, attestazioni urbanistico-edilizie e valutazione preventiva

1. Per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti chiunque ha diritto di ottenere dal Comune, entro il termine di trenta giorni dalla richiesta, il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata. Esso conserva validità per un anno dalla data di rilascio se non siano intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici.

2. In caso di mancato rilascio del certificato di destinazione urbanistica nel termine previsto al comma 1, esso può essere sostituito da una dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividenti attestante l’avvenuta presentazione della domanda, nonché la destinazione urbanistica dei terreni secondo gli strumenti urbanistici vigenti o adottati, ovvero l’inesistenza di questi ovvero la prescrizione, da parte dello strumento urbanistico generale approvato, di strumenti attuativi.

3. Il regolamento edilizio comunale può prevedere la facoltà, in capo ai soggetti aventi titolo ai sensi dell’articolo 21, di richiedere una certificazione urbanistico-edilizia in cui siano indicate, per singola area o edificio di proprietà, tutte le prescrizioni urbanistiche ed edilizie, nonché i vincoli urbanistici, ambientali e paesaggistici, riguardanti l’area e gli edifici interessati.

4. Il regolamento edilizio comunale può prevedere la facoltà, in capo ai soggetti aventi titolo ai sensi dell’articolo 21, di richiedere una valutazione preventiva sull’ammissibilità dell’intervento o sulla residua potenzialità edificatoria per singola area di proprietà, anche con riferimento a eventuali vincoli di pertinenza urbanistica, corredata di idonea documentazione sottoscritta da un tecnico abilitato alla progettazione.

5. I certificati e le valutazioni di cui ai commi 3 e 4, ove previsti dal regolamento edilizio comunale, conservano validità per un anno dalla data del rilascio a meno che non intervengano modificazioni delle leggi, degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi vigenti. In tal caso, il Comune notifica agli interessati l’adozione di varianti agli strumenti urbanistici generali e attuativi.

6. Il rilascio dei certificati e delle valutazioni di cui al presente articolo è a titolo oneroso secondo quanto stabilito dal Comune.

7. Gli interessati all’ottenimento di agevolazioni contributive o fiscali possono chiedere al Comune la classificazione degli interventi edilizi assoggettati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività, secondo le categorie previste dalle leggi statali.



Art. 35 - Deroghe generali agli strumenti urbanistici comunali per interventi edilizi

1. In deroga agli indici urbanistici ed edilizi previsti dagli strumenti urbanistici comunali possono essere consentiti, previa deliberazione del Consiglio comunale, gli interventi di rilevanza urbanistica ed edilizia su edifici pubblici o di interesse pubblico da chiunque realizzati, nonché quelli per la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico nelle zone destinate a servizi e attrezzature collettive.

2. Ferme restando le previsioni più estensive degli strumenti urbanistici comunali, il patrimonio edilizio esistente, ivi compreso quello non conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti o adottati e del regolamento edilizio vigente, può comunque essere interessato da interventi di rilevanza edilizia definiti dall’articolo 4, comma 2, nel rispetto della legge.

3. Previo parere favorevole dell’Ente proprietario o gestore della strada, è ammesso l’ampliamento degli edifici o delle unità immobiliari esistenti destinati a residenza situati nella fascia di rispetto della viabilità, esclusivamente per necessità di adeguamento igienico-sanitario e funzionale, nel limite massimo complessivo di 200 metri cubi di volume utile, purché il progetto interessi la sopraelevazione o la parte retrostante o laterale degli edifici rispetto all’asse viario. Tale limite può essere raggiunto anche attraverso diversi interventi, purché la loro somma non superi il limite medesimo.

4. Gli interventi finalizzati all’abbattimento delle barriere architettoniche, ancorché necessitino di limitate modifiche volumetriche agli edifici così come definite dall’articolo 37, comma 2, possono essere realizzati in deroga alle norme urbanistiche ed edilizie, fermo restando il rispetto delle distanze minime previste dal codice civile.

5. Gli interventi disciplinati dal presente articolo non possono derogare in ogni caso alle leggi in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio e in materia ambientale, e devono rispettare le distanze minime previste dal codice civile e le altre leggi di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia, con particolare riferimento alle norme in materia di sicurezza statica, antisismica, antincendio, sicurezza stradale, sicurezza cantieri e impianti, nonché le norme in materia igienico-sanitaria, in materia di barriere architettoniche, di accatastamento e di intavolazione.



Art. 36 - Interventi in zona agricola

1. L’ampliamento e la ristrutturazione edilizia di edifici destinati a residenza agricola in zona agricola, ove ammessi dallo strumento urbanistico vigente e nel rispetto degli indici e dei parametri ivi indicati, possono comportare la realizzazione di un’unità immobiliare aggiuntiva con destinazione d’uso residenziale, anche in deroga al requisito della connessione funzionale con la conduzione del fondo e le esigenze dell’imprenditore agricolo professionale, purché:

a) l’unità immobiliare realizzata sia destinata a prima abitazione dei parenti di primo grado dell’imprenditore agricolo professionale o del coltivatore diretto proprietario dell’edificio ampliato o ristrutturato;

b) il soggetto avente titolo ai sensi dell’articolo 21 si obblighi, mediante convenzione con il Comune, a istituire un vincolo ventennale concernente il divieto di alienazione dell’immobile, nonché di concessione a terzi di diritti reali o personali di godimento su di esso, da trascrivere nei registri immobiliari o da annotare sul libro fondiario a cura del richiedente, entro sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori.

2. Per gli interventi realizzati ai sensi del comma 1 in deroga al requisito della connessione funzionale e comportanti il cambio di destinazione d’uso in residenziale, non si applica l’esonero contributivo previsto dall’articolo 30, comma 1, lettera a), salvo i casi di trasferimento a titolo di successione del diritto reale di godimento e a condizione che il successore adibisca l’immobile a prima abitazione.

3. Possono essere ammessi interventi di ristrutturazione edilizia e interventi di rilevanza edilizia degli edifici rustici annessi alle residenze agricole con modifica di destinazione d’uso degli stessi in residenza agricola, con il vincolo ventennale concernente il divieto di alienazione dell’immobile, nonché di concessione a terzi di diritti reali o personali di godimento su di esso, ai sensi del comma 1, lettera b).

4. Nelle zone agricole, come individuate dagli strumenti urbanistici generali comunali, è ammessa la realizzazione, anche in deroga agli indici e ai parametri previsti dagli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi:

a) di interventi finalizzati alla copertura di concimaie, di vasche per la raccolta di liquami, di depositi e aree destinate allo stoccaggio di foraggi, annessi alle strutture produttive aziendali, nonché impianti e strutture finalizzate alle produzioni energetiche da fonti rinnovabili con materie prime derivanti dalle produzioni aziendali, nei limiti del 10 per cento della superficie utile delle strutture esistenti;

b) di interventi di adeguamento delle strutture di stoccaggio degli effluenti di allevamento in applicazione della direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, (Direttiva del Consiglio relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), e dell’articolo 112 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e successive modifiche;

c) di adeguamento igienico-funzionale delle strutture agricole esistenti fino ad assicurare il rispetto dei parametri minimi previsti dalla normativa di settore che disciplina la specifica attività e conformemente al Piano di Sviluppo Rurale (PSR) della Regione; in tali casi l’eventuale ampliamento, se realizzato in deroga agli strumenti urbanistici, non può superare il 10 per cento della superficie utile delle strutture esistenti.

5. In caso di violazione delle disposizioni del presente articolo, trovano applicazione le sanzioni previste dal capo VI.



Art. 37 - Misure per la promozione del rendimento energetico nell’edilizia

1. Gli interventi finalizzati al perseguimento di obiettivi di risparmio energetico eseguiti nel rispetto del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2002, relativa al rendimento energetico nell’edilizia), e successive modifiche, e della legge regionale 23/2005, e successive modifiche, possono essere realizzati anche in deroga agli indici urbanistico-edilizi previsti dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi nei limiti individuati dal presente articolo. Tali interventi non si computano nel calcolo della volumetria utile e della superficie utile, anche ai fini della determinazione del contributo di costruzione di cui all’articolo 29.

2. Gli interventi di cui al comma 1 realizzati su edifici esistenti, qualora suscettibili di ottenere una riduzione minima del 10 per cento dei coefficienti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 192/2005, e successive modifiche, possono essere realizzati anche in deroga alle distanze minime e alle altezze massime previste dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi, fermo restando quanto stabilito nel comma 4, e possono comportare la realizzazione:

a) di maggiore spessore delle murature esterne entro i 35 centimetri, siano esse tamponature o muri portanti;

b) di maggiore spessore dei solai intermedi e di copertura entro i 35 centimetri.

3. Gli interventi di cui al comma 1, realizzati su nuovi edifici, consistono nella realizzazione di:

a) maggiore spessore delle murature esterne oltre i 30 centimetri, fino a un massimo di ulteriori 30 centimetri, siano esse tamponature o muri portanti;

b) maggiore spessore dei solai intermedi e di copertura oltre i 30 centimetri, fino a un massimo di ulteriori 30 centimetri;

c) serre solari, bussole e verande funzionalmente collegate all’edificio principale che abbiano dimensione comunque non superiore al 15 per cento della superficie utile delle unità abitative realizzate;

d) volumi e superfici necessari al miglioramento dei livelli di isolamento termico e acustico o di inerzia termica, o finalizzati alla captazione diretta dell’energia solare, o alla realizzazione di sistemi di ombreggiamento alle facciate nei mesi estivi.

4. Gli interventi di cui al presente articolo:

a) se eseguiti su edifici esistenti, devono salvaguardare gli elementi costitutivi e decorativi di pregio storico, artistico e architettonico, nonché gli allineamenti o le conformazioni diverse, orizzontali, verticali, che caratterizzano le cortine di edifici urbani e rurali di antica formazione, secondo quanto previsto dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi comunali;

b) non possono derogare in ogni caso alle distanze minime previste dal codice civile e alle disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, di tutela ambientale e alle altre leggi di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia, con particolare riferimento alle norme in materia di sicurezza statica, antisismica, antincendio, sicurezza stradale, sicurezza cantieri e impianti, nonché alle norme in materia igienico-sanitaria, in materia di barriere architettoniche, di accatastamento e di intavolazione.



Art. 38 - Disposizioni applicative in materia di ristrutturazione edilizia

1. Gli interventi di ristrutturazione edilizia, con demolizione totale o parziale, possono comportare modifiche della sagoma e di collocazione dell’area di sedime, oltre che nei casi di adeguamento alla normativa antisismica e igienico-sanitaria, anche nei seguenti casi:

a) di esigenze di arretramento del profilo di facciata nel rispetto delle eventuali prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali in materia di allineamento degli edifici e fasce di rispetto del nastro stradale;

b) di sostituzione di singoli edifici esistenti non coerenti con le caratteristiche storiche, architettoniche, paesaggistiche e ambientali individuate dagli strumenti urbanistici comunali.

2. Negli interventi di cui al comma 1 possono essere mantenute le distanze preesistenti anche se inferiori alla distanza minima prevista dagli strumenti urbanistici comunali nel rispetto del codice civile.

3. Gli interventi di ristrutturazione edilizia possono essere attuati contestualmente a interventi di ampliamento all’esterno della sagoma e sedime esistenti. In tali casi, le prescrizioni previste per le nuove costruzioni dagli strumenti urbanistici vigenti o adottati si applicano esclusivamente alle parti dell’immobile oggetto di effettivo incremento dimensionale relativamente al sedime, alla sagoma, al volume e all’altezza. Tali interventi non possono comunque derogare agli indici e ai parametri massimi previsti dagli strumenti urbanistici per l’area oggetto di intervento.

4. Rientra negli interventi di ristrutturazione edilizia anche la ricostruzione filologica di edifici demoliti purché degli stessi siano rimaste evidenti tracce della loro preesistenza, nel rispetto delle prescrizioni tipologico-architettoniche e storico-culturali.



Art. 39 - Interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente

1. Il recupero a fini abitativi del sottotetto di edifici destinati in tutto o in parte a residenza è ammesso, senza modifiche alla sagoma, in deroga ai limiti e ai parametri degli strumenti urbanistici vigenti e della legge regionale 23 agosto 1985, n. 44 (Altezze minime e principali requisiti igienico-sanitari dei locali adibiti ad abitazione, uffici pubblici e privati e alberghi), e successive modifiche, se contestuale a interventi di ristrutturazione edilizia, restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria dell’edificio o di parte dello stesso. Gli interventi di cui al presente comma non possono comportare aumento del numero delle unità immobiliari e devono comunque rispettare un’altezza minima di 1,30 metri e un’altezza media di 1,90 metri, fatte salve le più estensive previsioni per le zone montane. Il recupero previsto dal presente comma è ammissibile anche per i vani destinati a cantine e taverne e altri locali interrati e semi-interrati purché di altezza non inferiore a 2,20 metri.

2. Al di fuori delle zone omogenee A e B0, o singoli edifici a esse equiparati, come individuate dagli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati, gli interventi di recupero del sottotetto di edifici esistenti sono ammessi in deroga agli indici e ai parametri urbanistici ed edilizi anche se prevedono innalzamento della quota di colmo, variazione della pendenza di falda e apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi, fino ad assicurare il rispetto dei parametri aeroilluminanti e delle altezze minime previsti dalla legge regionale 44/1985, e successive modifiche. Tali interventi possono comportare l’aumento del numero delle unità immobiliari esistenti nel rispetto degli standard urbanistici.

3. Gli interventi di cui ai commi 1 e 2 possono essere eseguiti esclusivamente su edifici esistenti e interessare locali sottotetto esistenti realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.

4. Gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all’articolo 4, comma 2, lettera c), possono comportare la modifica del numero delle unità immobiliari esistenti su parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.



Art. 40 - Variazioni essenziali

1. Costituiscono variazioni essenziali al progetto approvato le modifiche che comportino, anche singolarmente:

a) mutamento della destinazione d’uso in altra non consentita per la zona dagli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati o che comporti modifiche degli standard;

b) aumento superiore al 15 per cento del volume utile o delle superfici utili del fabbricato in relazione al progetto approvato;

c) aumento superiore al 15 per cento della superficie coperta, dell’altezza, ovvero totale diversa localizzazione, tale che nessun punto del sedime del fabbricato sia compreso in quello assentito;

d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito, da intervento soggetto a denuncia di inizio attività a intervento soggetto a permesso di costruire;

e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, purché la violazione non riguardi esclusivamente gli adempimenti procedurali.

2. Non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sull’entità delle superfici accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative, nonché le opere realizzabili ai sensi dell’articolo 16.



CAPO VI – VIGILANZA E SANZIONI

Art. 41 – 56

(omissis)



CAPO VII - DISPOSIZIONI STRAORDINARIE PER LA RIQUALIFICAZIONE DEL PATRIMONIO EDILIZIO ESISTENTE



Art. 57 - Norme comuni

1. Gli articoli 58 e 59 individuano misure straordinarie finalizzate al rilancio dell’attività economica mediante la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente alla data di entrata in vigore del presente capo, attuata attraverso interventi edilizi realizzabili anche in deroga alle distanze, alle altezze, alle superfici e ai volumi previsti dagli strumenti urbanistici comunali.

2. Gli interventi di cui agli articoli 58 e 59 assicurano il miglioramento della qualità energetica o igienico-funzionale degli edifici o delle unità immobiliari oggetto di intervento, secondo le leggi di settore e non possono in alcun caso trovare applicazione:

a) in deroga alle leggi in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio e in materia ambientale, alle distanze minime previste dal codice civile ovvero in deroga alle altre leggi di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia, con particolare riferimento alle norme in materia di sicurezza statica, antisismica, antincendio, sicurezza stradale, sicurezza cantieri e impianti, nonché alle norme in materia igienico-sanitaria, in materia di barriere architettoniche, di accatastamento e di intavolazione;

b) in deroga alle prescrizioni tipologico-architettoniche o di abaco contenute negli strumenti urbanistici vigenti alla data di entrata in vigore del presente capo;

c) per edifici o unità immobiliari oggetto di interventi edilizi abusivi i cui procedimenti sanzionatori non siano stati conclusi entro il 30 settembre 2009;

d) per aree o edifici soggetti a vincolo espropriativo o a vincolo di inedificabilità assoluta;

e) se i lavori non sono iniziati entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge.



Art. 58 - Interventi di ristrutturazione e ampliamento

1. Gli interventi di ristrutturazione edilizia di edifici o unità immobiliari esistenti o di parte di essi, a destinazione in tutto o in parte residenziale, alberghiera o ricettivo-complementare e direzionale possono comportare l’ampliamento, attraverso la sopraelevazione o la costruzione di manufatti edilizi interrati o fuori terra, nel limite massimo del 35 per cento del volume utile esistente.

2. Gli interventi di cui al comma 1 possono essere eseguiti su immobili situati all’esterno delle zone omogenee A e B0, o singoli edifici ad esse equiparati, come individuate dagli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati, alle seguenti condizioni:

a) la sopraelevazione, se eseguita in deroga all’altezza massima prevista per la zona omogenea dagli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati, non può superare i due piani o comunque 6 metri;

b) gli standard urbanistici derivanti dall’ampliamento, se non reperibili nell’area di pertinenza dell’intervento, sono individuabili in altra area avente la stessa destinazione di zona o, comunque, in zona urbanisticamente compatibile, purché la distanza non superi il raggio di 1.000 metri;

c) l’ampliamento può comportare l’aumento del numero delle unità immobiliari esistenti relativamente alla parte effettivamente ampliata, salva più estensiva previsione degli strumenti urbanistici comunali.

3. In deroga alle distanze, superfici e volumi previsti dagli strumenti urbanistici comunali è ammesso l’ampliamento di edifici o unità immobiliari esistenti alle seguenti condizioni:

a) la quota massima di ampliamento ammissibile non può superare i 200 metri cubi di volume utile;

b) la sopraelevazione, se eseguita in deroga all’altezza massima prevista per la zona omogenea dagli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati, non può superare i due piani o comunque 6 metri;

c) nelle zone omogenee A e B0, o singoli edifici ad esse equiparati, devono essere rispettate le specifiche disposizioni tipologico-architettoniche e di allineamento degli edifici previste dagli strumenti urbanistici comunali; la sopraelevazione, se non espressamente vietata dagli strumenti urbanistici comunali, non può superare l’altezza massima delle costruzioni prevista per la zona omogenea dagli strumenti urbanistici comunali;

d) l’ampliamento non può comportare aumento del numero delle unità immobiliari esistenti, salva diversa previsione degli strumenti urbanistici comunali.



Art. 59 - Interventi di ampliamento di edifici produttivi

1. Nelle zone omogenee D, come individuate dagli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati, è ammesso:

a) l’ampliamento di edifici o unità immobiliari esistenti nel limite massimo del 35 per cento della superficie utile esistente e comunque fino al massimo di 1.000 metri quadrati, nel rispetto delle altezze massime previste dagli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati;

b) l’ampliamento della superficie utile anche attraverso la realizzazione di solai interpiano.

2. Gli interventi previsti dal comma 1, lettere a) e b), sono cumulabili tra loro; gli standard urbanistici derivanti dall’ampliamento, se non reperibili, devono essere monetizzati ai sensi dell’articolo 29.



Art. 60 - Misure di promozione per la sostituzione di edifici ed esecuzione degli interventi in ambiti sottoposti a pianificazione attuativa

1. Nei casi di interventi di ristrutturazione con demolizione totale o parziale, attuati con sostituzione di singoli edifici esistenti alla data di entrata in vigore del presente capo non coerenti con le caratteristiche storiche o architettoniche o paesaggistiche e ambientali individuate dagli strumenti urbanistici comunali ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lettera b), e che comportino una diminuzione del volume o superficie utili o delle unità immobiliari esistenti, il Comune e il soggetto interveniente possono concordare il trasferimento dei diritti edificatori in altre aree del territorio comunale attraverso una convenzione che stabilisca:

a) i crediti edificatori derivanti dalla sostituzione aumentati del 50 per cento;

b) la localizzazione delle aree sulle quali trasferire i diritti edificatori;

c) il tempo massimo di utilizzazione dei crediti edificatori.

2. Nelle aree assoggettate a pianificazione attuativa dagli strumenti urbanistici comunali è ammesso il rilascio del titolo abilitativo anche in assenza di approvazione del piano attuativo o di sue varianti ovvero in tutti i casi di decadenza dello strumento, alle seguenti condizioni:

a) l’area risulti urbanizzata in misura non inferiore al 70 per cento della superficie complessiva;

b) il nuovo intervento risulti coerente con le previsioni dello strumento urbanistico generale vigente o adottato;

c) non sussistano ulteriori esigenze di opere di urbanizzazione indotte dall’intervento richiesto.

3. Negli ambiti sottoposti a pianificazione attuativa comunale i Comuni possono disporre la non concorrenza degli alloggi destinati a edilizia residenziale pubblica sovvenzionata o convenzionata, di cui alla legge regionale 6/2003, per la determinazione del numero di posti auto da destinare a parcheggi pubblici di relazione, ferme restando le disposizioni di cui alla legge 122/1989.

4. Negli ambiti sottoposti a pianificazione attuativa comunale con destinazione diversa dalla residenza, la modifica del perimetro dell’ambito previsto nello strumento urbanistico generale comunale costituisce variante non sostanziale a condizione che la destinazione d’uso rimanga invariata e vengano rispettati gli standard urbanistici.



CAPO VIII – NORME TRANSITORIE E FINALI

Artt. 61 - 67

(omissis)

Art. 68 - Entrata in vigore

1. La presente legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione, ad eccezione del capo VII che entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione della legge sul Bollettino Ufficiale della Regione.



Art. 1 - Finalità

1. In attuazione dell’Intesa tra Stato, Regioni ed Enti locali, conclusa in data 1 aprile 2009, per individuare misure di contrasto della crisi economica mediante il riavvio dell’attività edilizia, la presente legge disciplina interventi atti a promuovere la riqualificazione funzionale, architettonica e statica degli edifici, anche attraverso l’ampliamento dei volumi esistenti, nel contesto di un più generale rinnovo del patrimonio edilizio esistente in condizioni di obsolescenza e degrado, attraverso l’applicazione di nuove tecnologie per la sicurezza antisismica, l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale degli edifici.

2. La presente legge ha carattere straordinario e le relative disposizioni hanno validità per ventiquattro mesi dalla data della sua entrata in vigore.



Art. 2 - Definizioni

1. Ai fini dell’applicazione della presente legge valgono le seguenti definizioni:

a) Edificio rurale di valore testimoniale: un edificio rurale realizzato entro il XIX secolo, che abbia avuto o continui ad avere un rapporto diretto o comunque funzionale con fondi agricoli circostanti e che presenti una riconoscibilità del suo stato originario in quanto non sia stato irreversibilmente alterato nell’impianto tipologico, nelle caratteristiche architettonico-costruttive e nei materiali tradizionali impiegati;

b) Edificio diruto: un edificio di cui parti, anche significative e strutturali, siano andate distrutte nel tempo senza che ciò inibisca la possibilità di documentare l’originario inviluppo volumetrico complessivo e la originaria configurazione tipologica, a fini della sua ricostruzione;

c) Edificio incongruo: un edificio la cui presenza comporti rischi per la pubblica o privata incolumità o effetti di dequalificazione del contesto nel quale è inserito per uno o più dei seguenti elementi, riconosciuti dal Comune in sede di approvazione del relativo progetto di intervento ai sensi degli articoli 6 e 7:

1) esposizione al rischio idraulico o idrogeologico;

2) localizzazione;

3) funzione;

4) tipologia;

5) dimensione;

6) stato di degrado;

d) Edifici destinati ad uso socio-assistenziale e socio-educativo: gli edifici, o loro porzioni, in cui operano le strutture a destinazione sociale e socio-sanitaria individuate nell’articolo 44 della legge regionale 24 maggio 2006, n. 12 (Promozione del sistema integrato di servizi sociali e socio-sanitari) e successive modifiche ed integrazioni nonché le strutture ricettive di cui all’articolo 49, comma 4, della legge regionale 9 aprile 2009, n. 6 (Promozione delle politiche per i minori e i giovani) e successive modifiche ed integrazioni;

e) Centro storico: comprende i nuclei insediati ricompresi in zona classificata di tipo A in base al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), quelli comunque denominati come “centro storico” dai vigenti strumenti urbanistici comunali nonché i nuclei classificati “Nuclei isolati in regime normativo di conservazione” (NI-CE) e “Nuclei isolati in regime normativo di mantenimento” (NI-MA) dal vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico (PTCP);

f) Volumetria esistente: l’ingombro geometrico della costruzione in soprassuolo esistente alla data del 30 giugno 2009, sulla base della dichiarazione di ultimazione dei lavori ai sensi della normativa vigente ovvero che risultino comunque ultimati ai sensi della normativa previgente, misurato in metri cubi.



Art. 3 - Ampliamento di edifici esistenti

1. Sulle volumetrie esistenti, come definite all’articolo 2, a totale o prevalente destinazione residenziale, mono o plurifamiliari e non eccedenti i 1.000 metri cubi, sono ammessi interventi di ampliamento preordinati a migliorare la funzionalità, la qualità architettonica, statica e/o energetica dell’edificio interessato, nei limiti di seguito indicati:

a) per edifici di volumetria esistente non superiore a 200 metri cubi, è consentito un incremento di 60 metri cubi;

b) per edifici di volumetria esistente compresa fra 200 metri cubi e 500 metri cubi per la parte eccedente la soglia di 200 metri cubi, entro il limite del 20 per cento;

c) per edifici di volumetria esistente compresa fra 500 metri cubi e 1.000 metri cubi per la parte eccedente la soglia di 500 metri cubi, entro il limite del 10 per cento.

2. Gli ampliamenti di cui al comma 1 costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia e sono realizzabili anche in deroga alla disciplina dei piani urbanistici, fermo restando il rispetto delle distanze da pareti finestrate degli edifici ove si tratti di ampliamenti in senso orizzontale, delle indicazioni tipologiche, formali e costruttive di livello puntuale degli strumenti urbanistici o degli atti di pianificazione territoriale vigenti e dei requisiti minimi di rendimento energetico degli edifici di cui alla legge regionale 29 maggio 2007, n. 22 (Norme in materia di energia) e successive modifiche ed integrazioni ed al decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2009, n. 59 (Regolamento di attuazione dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia) e successive modifiche ed integrazioni.

3. Gli ampliamenti di edifici rurali di valore testimoniale a destinazione residenziale sono disciplinati dalle disposizioni di cui all’articolo 4.

4. L’ampliamento, nei termini di cui al comma 1, è ammesso anche per edifici destinati ad uso socio-assistenziale e socio-educativo.

5. Ove gli interventi di ampliamento prevedano il frazionamento dell’unità immobiliare interessata, le unità immobiliari non possono comunque avere una superficie inferiore a 60 metri quadrati.



Art. 4 - Incentivazioni e premialità per l’applicazione dell’articolo 3

1. Le percentuali di ampliamento di cui all’articolo 3 possono essere incrementate:

a) di un’ulteriore 10 per cento qualora l’intero organismo edilizio esistente, comprensivo della porzione oggetto di ampliamento, venga, oltre gli obblighi di legge, strutturalmente adeguato alle norme antisismiche in vigore a decorrere dal 30 giugno 2009 nonché dotato di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ovvero rispetti i requisiti di rendimento energetico degli edifici indicati nell’articolo 3;

b) di un ulteriore 5 per cento per gli ampliamenti degli edifici rurali di valore testimoniale a destinazione residenziale, ivi compresi quelli parzialmente diruti, come premialità in relazione all’obbligo, da assumersi da parte del proprietario o dell’avente titolo, di realizzare i relativi interventi di ampliamento nel rispetto della tipologia, dei materiali locali tradizionali, quali le lastre di ardesia aventi composizione chimica con presenza di carbonato di calcio maggiore del 20 per cento e delle tecniche costruttive caratterizzanti l’edificio esistente, come da attestazione del progettista da prodursi a corredo della Denuncia inizio attività (DIA);

c) di un ulteriore 5 per cento qualora per la copertura di interi edifici residenziali diversi da quelli rurali di valore testimoniale si utilizzino, ove non in contrasto con le caratteristiche dei tetti circostanti, lastre di ardesia aventi le caratteristiche di cui alla lettera b).



Art. 5 - Esclusioni e specificazioni dell’applicazione degli articoli 3 e 4

1. Gli ampliamenti previsti dagli articoli 3 e 4 non si applicano nei confronti degli edifici od unità immobiliari:

a) abusivi, in quanto realizzati in assenza di titolo edilizio od in difformità da esso;

b) condonati con tipologia di abuso 1 “Opere realizzate in assenza o difformità della licenza edilizia o concessione e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” di cui alla tabella allegata alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico–edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e successive modifiche ed integrazioni ed alla successiva legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici) e successive modifiche ed integrazioni;

c) ricadenti in aree soggette a regime di inedificabilità assoluta in forza di normative o di atti di pianificazione territoriale ivi comprese le aree inondabili e a rischio di frana così individuate dai Piani di bacino;

d) ricadenti in aree demaniali marittime concesse per finalità turistico-ricreative;

e) ricadenti nei centri storici, salva la facoltà dei Comuni di individuare porzioni dei medesimi o specifici casi di applicabilità della legge con deliberazione soggetta ad esclusiva approvazione del Consiglio comunale;

f) vincolati come beni culturali ai sensi della Parte Seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni Culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e successive modifiche ed integrazioni o comunque individuati come edifici di pregio dagli strumenti urbanistici generali vigenti;

g) ricadenti nel territorio del Parco nazionale delle Cinque Terre, del Parco regionale di Portofino, del Parco naturale regionale di Portovenere e del Parco naturale regionale di Montemarcello Magra.

2. Nei Comuni costieri le disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 non si applicano nei confronti degli edifici ricadenti, in base al vigente PTCP, assetto insediativo, nei seguenti ambiti e regimi normativi:

a) strutture urbane qualificate (SU);

b) conservazione (CE);

c) aree non insediate (ANI) assoggettate al regime di mantenimento (MA), limitatamente alla fascia di profondità di 300 metri calcolati in linea d’aria dalla battigia anche per i terreni elevati sul mare.

3. Per gli edifici ricadenti nei territori dei Parchi diversi da quelli di cui al comma 1, lettera g), si applica la disciplina di ampliamento stabilita nei relativi Piani, salva la facoltà di ogni ente parco di assumere specifica deliberazione per rendere applicabili le disposizioni degli articoli 3 e 4, ferme restando le esclusioni di cui ai commi 1 e 2.

4. I Comuni, entro il termine perentorio di quaranticinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, possono individuare parti del proprio territorio nelle quali le disposizioni di cui all’articolo 3 non trovano applicazione per ragioni di ordine urbanistico, edilizio, paesaggistico ambientale, culturale.



Art. 6 - Demolizione e ricostruzione di edifici a destinazione residenziale

1. A fini di diminuzione dell’esposizione al rischio idraulico o idrogeologico, di miglioramento della qualità architettonica e della efficienza energetica del patrimonio edilizio, gli edifici residenziali esistenti alla data del 30 giugno 2009, riconosciuti incongrui, possono essere demoliti e ricostruiti con incremento fino al 35 per cento del volume esistente per realizzare edifici di migliore qualità architettonica e conformi alle norme antisismiche in vigore dal 30 giugno 2009 nonché alla normativa in materia di rendimento energetico degli edifici di cui alla l.r. 22/2007 e successive modifiche ed integrazioni ed al d.p.r. 59/2009.

2. La ricostruzione deve avvenire in sito, anche su diverso sedime, e può essere assentita in deroga alle previsioni urbanistico-edilizie dello strumento urbanistico comunale, fatto salvo il rispetto delle distanze dai fabbricati ivi previste e della dotazione dei parcheggi pertinenziali in misura pari ad 1 metro quadrato ogni 10 metri cubi di incremento, da non computarsi nell’incremento volumetrico, di cui al comma 1, se interrati.

3. Qualora la ricostruzione in sito non sia possibile per cause oggettive o non sia ritenuta opportuna per migliorare la qualità paesistica ed urbanistica del sito, il Comune, su proposta dei soggetti che intendano realizzare gli interventi previsti dalla presente disposizione, può approvare, mediante la procedura di Conferenza di servizi atta a comportare modifica allo strumento urbanistico comunale – da qualificarsi di esclusivo interesse locale ai sensi dell’articolo 2 della legge regionale 24 marzo 1983, n. 9 (Composizione, competenze e funzionamento del Comitato tecnico urbanistico) e successive modifiche ed integrazioni – il progetto di ricostruzione su altre aree idonee, purché compatibile con le indicazioni del vigente PTCP e dei Piani di bacino. Il progetto deve altresì comprendere la sistemazione delle aree liberate dalla demolizione o, quanto meno, l’approvazione della disciplina urbanistica delle stesse.



Art. 7 - Riqualificazione urbanistica ed ambientale di edifici a destinazione diversa da quella residenziale

1. Al fine di conseguire la riqualificazione urbanistica ed ambientale i Comuni possono approvare interventi di demolizione e di ricostruzione di cui all’articolo 6 aventi ad oggetto edifici incongrui a destinazione diversa da quella residenziale mediante la procedura di Conferenza di servizi atta a comportare modifica allo strumento urbanistico comunale – da qualificarsi di esclusivo interesse locale ai sensi dell’articolo 2 della l.r. 9/1983 – nel contesto della quale sono determinate le funzioni insediabili e le condizioni per il rilascio dei relativi titoli abilitativi edilizi purché compatibili con le indicazioni del vigente PTCP e dei Piani di bacino.



Art. 8 - Titoli edilizi

1. Gli ampliamenti di cui agli articoli 3 e 4 sono assoggettati a DIA obbligatoria di cui alla legge regionale 6 giugno 2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia) e successive modifiche ed integrazioni e non sono cumulabili con gli ampliamenti consentiti dagli strumenti urbanistici comunali. La DIA per la realizzazione degli interventi di ampliamento sopra indicati può essere presentata decorso il termine di cui all’articolo 5, comma 4.

2. Le demolizioni e ricostruzioni di cui agli articoli 6 e 7, nonché gli interventi di ampliamento di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b), relativi a edifici rurali di valore testimoniale parzialmente diruti, sono assentiti mediante rilascio di permesso di costruire.

3. Resta ferma l’osservanza delle disposizioni stabilite nella vigente legislazione in materia paesistico-ambientale nonché nelle diverse normative di settore che prescrivano l’obbligo di munirsi di autorizzazioni, nulla osta e di altri atti preventivi al rilascio di titoli abilitativi edilizi e in particolare delle disposizioni in materia igienico-sanitaria, di stabilità e di sicurezza degli edifici.

4. La presentazione della DIA, o la richiesta di permesso di costruire, deve avvenire entro il termine perentorio di cui all’articolo 1, comma 2.



Art. 9 - Modifiche alla legge regionale 6 giugno 2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia) e successive modifiche ed integrazioni

1. L’articolo 67 della l.r. 16/2008 e successive modifiche ed integrazioni è sostituito dal seguente:

“Articolo 67 - Superficie agibile e superficie accessoria

1. Si definisce superficie agibile (SA) la superficie di solaio, misurata al filo interno dei muri perimetrali, comprensiva dei muri divisori fra unità immobiliari o interni ad esse.

2. Non sono da ricomprendere nella SA:

a) le coperture piane, le scale, gli atri, i pianerottoli, le rampe, i sottorampa ed i passaggi di uso comune negli edifici a destinazione residenziale o ad essa assimilabile, ad uffici e ad attività turistico – ricettive;

b) i locali tecnici per impianti tecnologici quali ascensori, montacarichi, impianti termici, di climatizzazione, elettrici, idrici, e simili, nonché le intercapedini non eccedenti le dimensioni prescritte dalle pertinenti normative;

c) i locali privi dei requisiti richiesti per l’agibilità, quali cantine e ripostigli, purché ricompresi entro il sedime della costruzione e non comportanti la realizzazione di più di un piano in sottosuolo o nel piano terra limitatamente agli edifici aventi destinazione residenziale e tipologia diversa da quella condominiale;

d) i sottotetti a falda inclinata privi dei requisiti richiesti per l’agibilità aventi altezza all’intradosso del colmo non superiore a metri 2,10;

e) le autorimesse private interrate e seminterrate con un solo lato fuori terra di cui all’articolo 19, quelle interrate o al piano terreno, di cui all’articolo 9, comma 1, della l. 122/1989 e successive modifiche ed integrazioni, nonché le autorimesse interrate, fuori terra o su coperture piane negli edifici a destinazione commerciale nelle quantità prescritte dalla vigente normativa in materia;

f) i porticati e gli spazi ad uso pubblico.

3. Costituiscono superficie accessoria (S Acc.) da non ricomprendere nella SA sempreché contenuta entro il limite massimo del 30 per cento della SA per edifici aventi SA non superiore a 160 metri quadrati ed entro il limite massimo del 20 per cento per la parte di SA eccedente la soglia di 160 metri quadrati e da misurarsi con le stesse modalità di cui al comma 1:

a) i porticati, le tettoie, i poggioli, i terrazzi e le logge, se ad uso privato;

b) i sottotetti a falda inclinata aventi altezza all’intradosso del colmo superiore a metri 2,10, ma privi dei requisiti richiesti per l’agibilità;

c) i locali privi dei requisiti richiesti per l’agibilità non riconducibili nella fattispecie di cui al comma 2, lettera c);

d) le autorimesse private fuori terra negli edifici a destinazione residenziale o ad essa assimilabile, ad uffici e ad attività turistico-ricettive realizzate ai sensi dell’articolo 19.

4. Con riferimento agli strumenti urbanistici comunali vigenti, al fine di agevolare l'attuazione delle norme sul risparmio energetico e per migliorare la qualità degli edifici, non sono considerati nel computo per la determinazione dell’indice edificatorio:

a) le strutture perimetrali portanti e non, che comportino spessori complessivi, sia per gli elementi strutturali che sovrastrutturali, superiori a 30 centimetri, per la sola parte eccedente i centimetri 30 e fino ad un massimo di ulteriori centimetri 25 per gli elementi verticali nonché i solai con struttura superiore a 30 centimetri per la sola parte eccedente i 30 centimetri fino ad un massimo di 25 centimetri per gli elementi di copertura e di 15 centimetri per quelli orizzontali intermedi, in quanto il maggiore spessore contribuisce al miglioramento dei livelli di coibentazione termica, acustica e di inerzia termica;

b) l’incremento di spessore fino a 15 centimetri dei muri divisori fra unità immobiliari finalizzato all’isolamento acustico.

5. Negli interventi di ristrutturazione urbanistica aventi ad oggetto ambiti urbani da attuarsi mediante Progetto urbanistico operativo (PUO), Strumento urbanistico attuativo (SUA) o progetti ad essi equivalenti, il limite di cui al comma 3 relativo alla superficie accessoria può essere elevato fino al 30 per cento per motivate esigenze di qualità architettonica e di efficienza energetica degli edifici.”.

2. Al comma 1, dell’articolo 88, della l.r. 16/2008 e successive modifiche ed integrazioni le parole: “diciotto mesi” sono sostituite dalle seguenti: “ventiquattro mesi”.

La Sardegna difende la supertassa

di Giovanni Maria Bellu

CAGLIARI - Nella regione sarda informatizzata di Renato Soru, gli umori popolari arrivano via e mail. Ce n’è anche uno di Giulia Maria Crespi che incita: "Andiamo avanti così, anche per le coste". Ce n’è un altro, entusiastico, di una giovane fan: "Lei è un mito". La Casa delle libertà, che subito dopo l’approvazione della "tassa sul lusso" aveva paventato "danni per il turismo", non ha insistito nella polemica. Forse perché gli stessi operatori del settore non la pensano così. Il più importante di tutti, Tom Barrack, il padrone della Costa Smeralda, già da tempo si è detto d’accordo sulla tassa con la sola condizione che il ricavato sia investito per la valorizzazione del territorio. Ed è quanto la nuova legge prevede.

Il favore con cui il provvedimento è stato accolto in Sardegna non deriva solo dal fatto che gli isolani sono esclusi dalla tassazione. Ci sono ragioni più antiche e profonde che connettono la "tassa sul lusso" con altre iniziative della giunta Soru: la chiusura della base americana della Maddalena, il divieto di edificare nella fascia costiera a due chilometri dal mare, l’ingresso della lingua sarda negli atti amministrativi della Regione, l’avvio della realizzazione della biblioteca digitale della cultura sarda, dove sono state già inserite 50.000 pagine di documenti. Il "nuovo sardismo" dell’ex patron di Tiscali continua a tirare: nelle elezioni politiche il centrosinistra ha aggiunto 75.000 voti a quelli conquistati alle regionali di due anni fa.

E’ da verificare quanto la "tassa sul lusso" porterà nelle esangui casse della Regione sarda. Stime non ufficiali parlano di circa 150 milioni di euro l’anno, somma rilevante a fronte di un bilancio complessivo di 4,5 miliardi di euro ma insufficiente a coprire i mancati introiti (circa 400 milioni l’anno) causati, secondo l’amministrazione isolana, dal mancato versamento da parte dello Stato di quote dell’Irpef e dell’Iva riscosse in Sardegna. I conti economici, insomma, non sono ancora del tutto definiti. Quelli morali, a quanto pare, cominciano a quadrare.

Tutti in Sardegna conoscono l’aneddoto sulla nascita della Costa Smeralda. Era il 1961 quando gli emissari dell’Aga Khan, che avevano appena cominciato a fare incetta dei terreni costieri, offrirono un miliardo a un anziano capraro. "Altro che un miliardo - rispose l’uomo - voglio almeno 800 milioni!" Da molti anni questa storia ha smesso di suscitare ilarità. E’ diventata la sintesi di una regione totalmente incapace di valorizzare le proprie risorse, di aver cura dei propri tesori. C’è anche questo dietro i consensi che il "nuovo sardismo" continua a raccogliere.

Secondo l’assessore al Turismo, Luisanna De Pau (che è a sua volta un imprenditore turistico) la tassazione delle residenze al mare non solo non farà diminuire il numero dei visitatori della Sardegna, ma agevolerà gli imprenditori del settore. Si calcola che a fronte di 160.000 posti letto censiti e regolarmente classificati ce ne siano altri 4/500.000, in nero, nelle seconde case. La stessa stima porta almeno a raddoppiare il numero reale dei turisti che ogni anno visitano la Sardegna: le presenze non sarebbero dieci milioni, che è il dato ufficiale, ma almeno venti milioni. E’, secondo Soru, la principale industria sommersa dell’isola. "Di tutto questo - dice l’assessore al turismo - non ci resta nulla in termini di posti di lavoro e, quando i proprietari non sono sardi, nemmeno di introito fiscale". Sempre secondo le prime stime, appartengono a "continentali" il 30/40 delle seconde case.

Gli amministratori regionali ritengono che non esistano problemi di legittimità per la "tassa sul lusso". "Dal punto di vista formale - spiega Fulvio Dettori, il segretario generale - abbiamo raggiunto la conclusione, confermata per esempio da un costituzionalista come Valerio Onida, che questo provvedimento rientra nei poteri dell’amministrazione". Ma c’è un argomento sostanziale, che riguarda l’equità del provvedimento. "I nostri interventi a tutela dell’ambiente - dice l’assessore alla Programmazione Francesco Pigliaru - e in particolare il blocco dell’edificazione nella fascia costiere, hanno determinato un incremento di valore dell’intero patrimonio abitativo. Il contributo che chiediamo non è affatto esoso". Concetto riassunto da Soru con una battuta: "Non si capisce perché nelle spiagge chi pianta un ombrellone debba pagare dieci euro e invece chi si sistema in uno dei nostri golfi con una barca di cinquanta metri non debba pagare niente. Quanto chiediamo corrisponde a quanto, molto spesso, viene speso in una serata in un locale alla moda".

Soru: "Chi ha di più paga di più

non sono Ghino di Tacco"

di Alberto Statera

Aveva promesso qualche mese fa di far sequestrare a Tremonti la scrivania di Quintino Sella e l’intero palazzo umbertino di via XX Settembre, sede del ministero del Tesoro, per l’inadempienza dello Stato nel versamento delle quote Iva e di imposte spettanti alla Sardegna. Ora Renato Soru, il Robin Hood di Sanluri, il vendicatore del Supramonte o, tout court, di «su populu sardu», dopo aver «cacciato» gli americani dalla Maddalena, ha fatto di peggio. Ha istituito una sorta di tassa sul lusso di terra, di mare e di cielo - ville, yacht e jet - dei non sardi, beccandosi dal centrodestra almeno l’epiteto di «comunista», avanguardista del partito delle tasse che con Prodi spennerà il paese. Figuratevi se qualche miliardario di Porto Rotondo che si vedrà tassare la villa da 5 o da 50 milioni di euro, magari il proprietario dei 2500 metri quadrati coperti di villa «La Certosa» tra un numero sconfinato di ettari, non ricorrerà in tutte le sedi contro l’ignobile balzello marxista.

Forse, governatore Soru, gli incazzati hanno qualche ragione: ponga il caso di un sardo che si compra una casa a Varazze per passare le vacanze. Che direbbe lei se gli mettessero una tassa?

«Guardi che non abbiamo nessuna intenzione di dividere l’Italia a fette o di far pagare diritti di signoraggio. Non sono un Ghino di Tacco sardo. Ma il turismo e le seconde case sono la principale attività della nostra regione, sono ciò che per l’Italia del nord, per il Veneto, sono i capannoni delle piccole industrie».

Le seconde case come il distretto degli occhiali nel Bellunese o quello delle scarpe nel Vicentino? Il distretto sardo delle seconde case e degli gli yacht a Porto Cervo?

«Esattamente, la Sardegna come il distretto delle piastrelle. Ma il reddito delle nostre piastrelle, 250 mila seconde case e migliaia di yacht, non viene qui, va fuori».

Non ci ha risposto sul sardo ipertassato a Varazze.

«La Sardegna è una regione a statuto speciale, con compiti speciali, con responsabilità e competenze in molte aree, con costi diversi dalle altre regioni. Oltre alla partecipazione all’Iva prodotta in Regione, che non ci viene corrisposta dallo Stato per molte centinaia di milioni di euro, abbiamo la possibilità dell’imposizione fiscale per far fronte ai nostri immensi compiti. Secondo lei verso chi dovremmo usare questa potestà? Verso i lavoratori dipendenti che non arrivano alla fine del mese? Verso i disoccupati?».

Supponiamo verso i ricchi, presidente.

«Verso chi fa uso privato e non produttivo di valori ambientali tutelati, di risorse scarse».

Insomma, lei vuole vendere ai ricchi d’Italia e del mondo una sorta di «pacchetto amenità»?

«Non mi sembra di dire un’eresia sostenendo che si partecipa sulla base delle proprie capacità contributive: chi ha di più contribuisce di più, chi ha meno di meno. L’utilizzo delle scarse risorse ambientali deve andare a beneficio della collettività sarda. Bisogna contribuire allo sviluppo delle zone interne, redistribuire il reddito per creare opportunità uguali per tutti, sulle coste e all’interno».

Presidente Soru, redistribuzione è una parolaccia per chi ci ha governato fino a ieri e forse per parte cospicua degli italiani.

«E invece sa io che le dico? Che contrariamente a quel che ho sentito dire da un importante personaggio politico, lei sa chi, penso che i figli dei ricchi e quelli dei poveri debbano avere le stesse opportunità».

Va bene, ma lei non ci sta forse dando un assaggio di autonomismo un po’ troppo spinto? Non farà dei «continentali» dei nemici?

«Per carità, nemici solo per una piccola tassa sui valori immobiliari che si sono incrementati di centinaia di volte e che si valorizzeranno ancora per la politica di tutela ambientale? I continentali sono gli amici più vicini. Chiedano la residenza in Sardegna, li accoglieremo a braccia aperte».

Non andranno in Costa del Sol?

«Una piccola tassa non sposta le preferenze dei turisti e dei proprietari di seconde case diventate uno straordinario investimento».

Fatto sta che, passato Berlusconi che voleva abolire l’Ici, e lei governatore, e non Prodi, che con la super Ici fa l’avanguardista del centrosinistra come partito delle tasse.

«Guardi che il centrosinistra non è il partito del tasse, è il partito delle pari opportunità».

Quindi non pignorerà a Prodi e al suo ministro dell’Economia la scrivania di Quintino Sella?

«Ci sono giuste ragioni da tutte e due le parti, Prodi lo sa, il problema della ripartizione dell’Iva sarà risolto. E Quintino Sella può riposare tranquillo».

Il 20 ottobre scorso, La Giunta Regionale della Puglia ha adottato lo “schema” di Piano territoriale paesaggistico regionale, di cui sono consultabili la relazione, le tavole e le norme nelle pagine del sito web del piano

L’adozione del nuovo piano paesaggistico è un evento molto importante per diverse ragioni. Innanzitutto perché "il contesto culturale in cui questo piano interviene è un contesto in cui la pianificazione non è la forma ordinaria di governo del territorio. Gli sforzi compiuti dall’attuale amministrazione regionale per mobilitare la società pugliese sono essenziali a compiere la trasformazione culturale necessaria a riconoscere l’utilità del pianificare le scelte relative alle trasformazioni del territorio, bene collettivo per eccellenza" (1).

Il nuovo piano può essere considerato l’esito conclusivo di un percorso, coerente e faticoso, compiuto durante il primo mandato dell’amministrazione di centro-sinistra (in particolare da parte dell’assessore Angela Barbanente) per far sì che la pianificazione torni ad essere lo strumento fondamentale per il governo del territorio, assicurando in questo modo che l’azione ammnistrativa sia fondata sul rispetto delle regole e la trasparenza delle scelte.

Quanto al mirabile mosaico di paesaggi pugliesi, straordinariamente ricco e diversificato, il piano si fonda sull’assunto che esso costituisce

"il principale bene patrimoniale (ambientale, territoriale, urbano, socio culturale) e la principale testimonianza identitaria per realizzare un futuro socioeconomico durevole e sostenibile della regione" (2). La conservazione del paesaggio assume perciò un significato specifico in relazione al modo in cui si interviene sul presente e, soprattutto, in cui si guarda al futuro. Non si tratta, semplicemente, di sottrarre alla trasformazione (rectius, alla devastazione) alcune porzioni isolate di territorio, ma di proporre un assetto complessivo del territorio nel quale assumono un ruolo portante le azioni di conservazione dei beni tuttora integri, di recupero delle parti degradate, di ampliamento delle possibilità di fruizione - compreso il godimento della bellezza - da parte dei cittadini pugliesi e dei visitatori. Si tratta quindi di immaginare un modo differente di abitare, produrre, consumare e muoversi che non si ponga in aperto conflitto con il territorio e che, viceversa, sia capace di riprodurre ed esaltare le qualità e i caratteri specifici che caratterizzano le identità dei luoghi (3). E, conseguentemente, si tratta di selezionare e indirizzare la spesa pubblica e l’azione amministrativa, per incentivare tutte e solo quelle attività che sono coerenti con questa visione del futuro, descritta nel piano, discussa con i cittadini, e deliberata nell’assemblea regionale.

(1) Relazione generale, p. 5.

(2) Relazione generale, p. 14.

(3) Su questo punto si rinvia agli scritti e alle ricerche condotte da Alberto Magnaghi, il coordinatore scientifico del piano paesaggistico. Su eddyburg, cfr. in particolare Il territorio come bene comune.

CAPO I – DISPOSIZIONI STRAORDINARIE PER LA RIQUALIFICAZIONE DEL PATRIMONIO EDILIZIO ESISTENTE



Art. 1 - Finalità

1. La Regione autonoma della Sardegna promuove il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio favorendo interventi diretti alla riqualificazione ed al miglioramento della qualità architettonica e abitativa, della sicurezza strutturale, della compatibilità paesaggistica e dell'efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente nel territorio regionale, anche attraverso la semplificazione delle procedure.



Art. 2 - Interventi di adeguamento e ampliamento del patrimonio edilizio esistente

1. È consentito, anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali, l'adeguamento e l'incremento volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli relativi ad attività produttive, nella misura massima, per ciascuna unità immobiliare, del 20 per cento della volumetria esistente, nel rispetto delle previsioni di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia) e successive modifiche ed integrazioni. Per volumetria esistente si intende quella realizzata alla data del 31 marzo 2009.

2. Tali adeguamenti e incrementi si inseriscono in modo organico e coerente con i caratteri formali e architettonici del fabbricato esistente e costituiscono strumento per la riqualificazione dello stesso in funzione della tipologia edilizia interessata, nel rispetto delle seguenti prescrizioni:

a) nel caso di tipologie edilizie uni-bifamiliari gli adeguamenti e incrementi possono avvenire mediante la realizzazione di nuovi corpi di fabbrica in ampliamento nei diversi piani, mediante sopraelevazione o mediante realizzazione al solo piano terra di corpi di fabbrica separati dal fabbricato principale, da utilizzare come sue

pertinenze;

b) nel caso di tipologie edilizie pluripiano gli incrementi sono consentiti:

1) nel caso di copertura prevalentemente piana dell'edificio mediante sopraelevazione di un solo piano in arretramento di almeno metri 1,5 rispetto ai fili delle facciate prospicienti spazi pubblici ovvero mediante la chiusura dei piani pilotis, nel rispetto della sagoma dell'edificio e delle dimensioni minime dei parcheggi, come previste dalle norme legislative vigenti;

2) nei sottotetti a condizione che venga rispettata la sagoma massima delle murature perimetrali dell'edificio e che l'altezza media interna non superi i tre metri;

3) nei singoli piani a condizione che l'intervento si armonizzi con il disegno architettonico complessivo dell'edificio e che non vengano modificati i fili più esterni delle facciate prospicienti spazi pubblici.

Gli incrementi previsti nei punti 1), 2) e 3), possono essere realizzati anche dai singoli proprietari purché venga dimostrato, mediante un progetto complessivo, il coerente inserimento dell'ampliamento nel contesto architettonico dell'edificio e rispettate le distanze tra pareti prospicienti come previste dagli strumenti urbanistici comunali vigenti. Gli incrementi volumetrici così realizzati costituiscono pertinenza inscindibile dell'unità immobiliare principale e non possono essere alienati separatamente ad essa;

c) nel caso di tipologie edilizie a schiera in lotto urbanistico unitario, gli adeguamenti e incrementi possono essere realizzati per tutte le unità e sono ammessi purché venga dimostrato, mediante un progetto esteso all'intero fabbricato, il coerente inserimento dell'ampliamento nel contesto architettonico del complesso edilizio.

3. L'adeguamento e l'incremento volumetrico possono arrivare fino ad un massimo del 30 per cento, nel caso in cui siano previsti interventi di riqualificazione dell'intera unità immobiliare oggetto dell'intervento, tali da determinare una riduzione almeno del 15 per cento del fabbisogno di energia primaria oppure si dimostri che l'unità immobiliare rientra nei parametri di cui al decreto legislativo n. 192 del 2005, e successive modifiche ed integrazioni. Nelle ipotesi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 si consegue anche il miglioramento della qualità architettonica dell'intero edificio, della sicurezza strutturale e dell'accessibilità degli immobili. La presenza di tali requisiti è dichiarata nella documentazione allegata alla denuncia di inizio attività e successivamente attestata dal direttore dei lavori che, in allegato alla comunicazione di fine lavori, produce tutte le certificazioni di conformità e di regolare esecuzione delle opere con idonea documentazione tecnica e fotografica, nonché la certificazione energetica ai sensi del decreto ministeriale 26 giugno 2009 (Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici).

4. Per gli edifici ad uso residenziale e per i servizi connessi alla residenza situati in zona F turistica nella fascia compresa tra i 300, o i 150 metri nelle isole minori, e i 2.000 metri dalla linea di battigia, l'adeguamento e l'incremento volumetrico di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotti del 30 per cento.

5. Per gli edifici ad uso residenziale e per i servizi connessi alla residenza situati in zona F turistica nei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, sono ammissibili esclusivamente e limitatamente agli edifici di cui al comma 2, lettera a), gli incrementi sino al 10 per cento del volume esistente, senza sopraelevazione, a condizione che siano finalizzati al miglioramento della qualità architettonica dell'intero organismo edilizio e dei valori paesaggistici del contesto in cui è inserito; la proposta di intervento deve ottenere la positiva valutazione della Commissione regionale per la qualità architettonica e paesaggistica di cui all'articolo 7.

6. Gli adeguamenti e incrementi di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 possono superare i limiti di altezza e di distanza tra pareti prospicienti e i rapporti di copertura previsti dagli strumenti urbanistici vigenti e dal decreto assessoriale 20 dicembre 1983, n. 2266/U (Disciplina dei limiti e dei rapporti relativi alla formazione di nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei comuni della Sardegna), fermo restando quanto previsto dal decreto ministeriale 5 luglio 1975 (Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione). Sono, comunque, fatti salvi i diritti dei terzi. Gli adeguamenti e incrementi rispettano i distacchi minimi previsti dal Codice civile e non possono essere realizzati utilizzando superfici destinate a soddisfare la quota minima di parcheggi prevista dalle leggi vigenti.

7. Le previsioni di cui al presente articolo non si applicano agli edifici compresi nella zona urbanistica omogenea A, come individuata negli strumenti urbanistici comunali, ad eccezione di quelli aventi meno di cinquant'anni in contrasto con i caratteri architettonici e tipologici del contesto ed a condizione che l'intervento comporti un miglioramento della qualità architettonica estesa all'intero edificio e sia armonizzato con il contesto storico e paesaggistico in cui si inserisce. Tale contrasto è espressamente dichiarato con delibera del consiglio comunale del comune competente approvata perentoriamente entro il termine di novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge.

8. Gli incrementi di cui ai commi 1, 2 e 3 sono aumentati del 30 per cento qualora si tratti di prima abitazione del proprietario, localizzata nelle zone urbanistiche B o C e purché la superficie dell'immobile non superi quella indicata dalla legge 5 agosto 1978, n. 457 (Norme per l'edilizia residenziale), articolo 16, terzo comma.



Art. 3 - Interventi di ampliamento per le costruzioni in zona agricola

1. Nelle zone omogenee E, così come individuate dagli strumenti urbanistici vigenti, gli incrementi volumetrici sono disciplinati dalle seguenti disposizioni, anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali.

2. Per gli immobili destinati ad usi agro-silvo-pastorali e per quelli ad uso residenziale, compresi nella fascia costiera tra i 300 ed i 2.000 metri dalla linea di battigia, ridotti a 150 e 1.000 metri nelle isole minori, è consentito l'incremento della volumetria esistente alla data del 31 marzo 2009, nella misura del 10 per cento per funzioni agro-silvo-pastorali e nella misura del 10 per cento per uso residenziale. Oltre la fascia dei 2.000 metri, ovvero 1.000 metri nelle isole minori, l'incremento volumetrico consentito è del 20 per cento.

3. All'interno della fascia costiera dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, per i fabbricati di proprietà dell'imprenditore agricolo destinati ad usi agro-silvo-pastorali è consentito il solo incremento del 10 per cento della volumetria esistente alla data del 31 marzo 2009, a condizione che le nuove volumetrie siano finalizzate agli stessi usi ed al miglioramento della qualità architettonica e del contesto paesaggistico; la proposta di intervento deve ottenere la positiva valutazione della Commissione regionale di cui all'articolo 7.

4. Sono comunque ammesse varianti per i fabbricati legittimamente realizzati lasciando invariati i parametri urbanistici senza variazioni di volumi e superfici coperte.

5. In attesa della revisione o dell'adeguamento del Piano paesaggistico regionale, nelle zone omogenee E si applica la disciplina di cui all'articolo 3, commi 1, 2 e 3 del decreto del Presidente della Giunta regionale 3 agosto 1994, n. 228 (Direttive per le zone agricole).



Art. 4 - Interventi di ampliamento degli immobili a finalità turistico-ricettiva

1. Per gli immobili destinati allo svolgimento di attività turistico-ricettiva situati in aree extraurbane nella fascia costiera dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, è consentito, anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici vigenti e dalle vigenti disposizioni normative regionali, l'incremento del 10 per cento della volumetria esistente alla data del 31 marzo 2009, qualora gli interventi siano tali da determinare il contenimento del consumo energetico con una riduzione maggiore del 10 per cento del fabbisogno di energia primaria dell'intero edificio, oppure si dimostri che l'immobile rispetti i parametri di cui al decreto legislativo n. 192 del 2005, e successive modifiche ed integrazioni e si consegua il miglioramento della qualità architettonica. La presenza di tali requisiti e delle relative tecnologie impiantistiche e costruttive è dichiarata nella documentazione allegata alla richiesta di concessione edilizia. Successivamente il direttore dei lavori produce, in allegato alla comunicazione di fine lavori, tutte le certificazioni di conformità e di regolare esecuzione delle opere, con idonea documentazione tecnica e fotografica, nonché la certificazione energetica ai sensi del decreto ministeriale 26 giugno 2009. La proposta di intervento deve ottenere la positiva valutazione della Commissione regionale di cui all'articolo 7.

2. Per gli immobili di cui al comma 1, situati oltre la fascia costiera di cui al comma 1, è consentito un incremento volumetrico del 20 per cento che può arrivare al 30 per cento nel caso in cui siano previsti interventi di riqualificazione estesi all'intero edificio tali da determinare il contenimento del consumo energetico con una riduzione maggiore del 25 per cento del fabbisogno di energia primaria, oppure si dimostri che l'immobile rispetti i parametri di cui al decreto legislativo n. 192 del 2005, e successive modifiche ed integrazioni e si consegua il miglioramento della qualità architettonica, della sicurezza strutturale e della accessibilità degli immobili. La presenza di tali requisiti e delle relative tecnologie impiantistiche e costruttive è dichiarata nella documentazione allegata alla denuncia di inizio attività. Successivamente il direttore dei lavori produce, in allegato alla comunicazione di fine lavori, tutte le certificazioni di conformità e di regolare esecuzione delle opere, con idonea documentazione tecnica e fotografica, nonché la certificazione energetica ai sensi del decreto ministeriale 26 giugno 2009.

3. Per gli incrementi di cui al comma 1 deve essere rispettata la condizione che l'incremento volumetrico sia prioritariamente destinato a servizi turistici dell'attività aziendale senza aumento del numero di posti letto e che venga sempre realizzato in arretramento rispetto all'edificio preesistente e non verso il mare; per gli incrementi volumetrici di cui al comma 2 deve essere rispettata la condizione che essi siano destinati per almeno il 50 per cento a servizi turistici dell'attività aziendale. Negli immobili a prevalente destinazione turistico-ricettiva con un numero di camere non superiore a 7, per le volumetrie legittimamente esistenti alla data del 31 marzo 2009 aventi destinazione residenziale o commerciale è sempre consentito il cambio di destinazione d'uso che consenta l'incremento delle superfici dedicate all'attività turistico-ricettiva in misura non superiore al 30 per cento.



Art. 5 - Interventi di demolizione e ricostruzione

1. La Regione promuove il rinnovamento del patrimonio edilizio ad uso residenziale e di quello destinato a servizi connessi alla residenza, turistico-ricettivo e produttivo esistente mediante interventi di sostituzione edilizia delle costruzioni ultimate entro il 31 dicembre 1989, che necessitino di essere adeguate in relazione ai requisiti qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici, di sicurezza strutturale ed a quelli necessari a garantire l'accessibilità dell'edificio alle persone disabili.

2. Per gli interventi di cui al comma 1, anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici e dalle vigenti disposizioni normative regionali, è consentito un incremento volumetrico del 30 per cento in caso di integrale demolizione e ricostruzione degli edifici ad uso residenziale e di quelli destinati a servizi connessi alla residenza, di quelli destinati ad attività turistico-ricettive o produttive, a condizione che nella ricostruzione venga migliorata la qualità architettonica e tecnologica complessiva e l'efficienza energetica dell'edificio nel rispetto del decreto legislativo n. 192 del 2005, e successive modifiche ed integrazioni. L'incremento volumetrico può arrivare fino ad un massimo del 35 per cento nel caso in cui siano previsti interventi tali da determinare il contenimento del consumo energetico con una riduzione pari almeno al 10 per cento rispetto agli indici previsti dal decreto legislativo n. 192 del 2005, e successive modifiche ed integrazioni.

3. Nel caso di immobili insistenti nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, ed in aree di particolare valore paesaggistico o in prossimità di emergenze ambientali, architettoniche, archeologiche o storico-artistiche, al fine di conseguire la riqualificazione del contesto é consentita, previa approvazione da parte del consiglio comunale e stipula di apposita convenzione, l'integrale demolizione degli stessi ed il trasferimento della volumetria preesistente in altra area situata oltre la fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 nelle isole minori con destinazione urbanistica compatibile, a condizione che il lotto originario sia ceduto gratuitamente al comune per destinarlo a finalità pubbliche. In tale ipotesi è concesso un incremento volumetrico del 40 per cento in caso di riduzione di almeno il 15 per cento dell'indice di prestazione energetica di cui al decreto legislativo n. 192 del 2005, e successive modifiche ed integrazioni, e un incremento volumetrico del 45 per cento nell'ipotesi di riduzione dell'indice di prestazione energetica di almeno il 20 per cento. La deliberazione del consiglio comunale può prevedere una deroga esclusivamente all'indice di edificabilità e all'altezza, che non può comunque essere maggiore di un piano rispetto agli edifici circostanti ed a condizione che la soluzione progettuale si armonizzi con il contesto paesaggistico in cui è inserito l'intervento.

4. I requisiti di cui ai commi 1, 2, 3 e 5 sono dichiarati nel progetto allegato alla richiesta di concessione edilizia e successivamente attestati dal direttore dei lavori che produce, in allegato alla comunicazione di fine lavori, le certificazioni di conformità e di regolare esecuzione delle opere con idonea documentazione tecnica e fotografica, nonché la certificazione energetica ai sensi del decreto ministeriale 26 giugno 2009.

5. Le previsioni di cui al presente articolo non si applicano agli edifici ubicati nelle zone extraurbane ricadenti nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, ad eccezione della demolizione dei volumi incongrui e del loro trasferimento, con il relativo incremento volumetrico, oltre la fascia suddetta in aree extraurbane con destinazione urbanistica compatibile.

6. Le previsioni di cui al presente articolo non si applicano agli edifici compresi nella zona urbanistica omogenea A, come individuata negli strumenti urbanistici comunali, ad eccezione di quelli aventi meno di cinquant'anni in contrasto con i caratteri architettonici e tipologici del contesto e fermo restando che gli stessi devono risultare ultimati alla data del 31 dicembre 1989.



Art. 6 - Interventi sul patrimonio edilizio pubblico

1. Al fine di agevolare la riqualificazione del patrimonio edilizio di proprietà pubblica, è consentito, anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici e dalle vigenti disposizioni normative regionali, l'incremento del 20 per cento della volumetria esistente degli edifici destinati ad attività istituzionali o comunque pubbliche.

2. Tale incremento può arrivare fino ad un massimo del 30 per cento nel caso in cui siano previsti interventi di recupero e ristrutturazione di edifici non in uso, finalizzati al ripristino delle destinazioni di cui al comma 1, attualmente non consentite per effettive carenze funzionali e strutturali, ed al miglioramento della qualità architettonica dell'intero edificio, della sicurezza strutturale e della accessibilità degli immobili.

3. Le previsioni di cui al presente articolo non si applicano agli edifici ubicati nelle zone extraurbane e ricadenti nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, ad eccezione della demolizione dei volumi incongrui e del loro trasferimento con il relativo incremento volumetrico oltre la fascia suddetta.



Art. 7 - Commissione regionale per il paesaggio e la qualità architettonica

1. È istituita la Commissione regionale per il paesaggio e la qualità architettonica al fine di fornire un supporto tecnico-scientifico all'Amministrazione regionale in merito alla valutazione degli interventi da realizzare in zone di particolare valore paesaggistico ed ambientale, con particolare riguardo al fatto che gli stessi non rechino pregiudizio ai valori oggetto di protezione. La Commissione esprime i pareri di cui agli articoli 2, 3 e 4 e negli altri casi previsti dalla presente legge. Svolge inoltre funzione consultiva della Giunta regionale.

2. La Commissione si avvale, per il suo funzionamento, degli uffici dell'Assessorato competente in materia di governo del territorio, ed è composta da tre esperti in materia di tutela paesaggistica ed ambientale con comprovata pluriennale esperienza nella valorizzazione dei contesti ambientali, storico-culturali ed insediativi e nella progettazione di opere di elevata qualità architettonica.

3. I componenti della Commissione sono nominati dalla Giunta regionale, rimangono in carica per l'intera durata della legislatura e cessano dalle loro funzioni novanta giorni dopo l'insediamento dell'organo esecutivo di nuova elezione. Con successiva legge regionale è disciplinata la corresponsione, ai componenti, di eventuali compensi.

4. Entro quarantacinque giorni dall'entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale nomina i componenti della Commissione.



Art. 8 - Condizioni di ammissibilità degli interventi

1. Gli interventi previsti negli articoli 2, 3, 4, 5 e 6 non sono ammessi:

a) su edifici privi di titolo abilitativo, ove prescritto;

b) sui beni immobili di interesse artistico, storico, archeologico o etno-antropologico vincolati ai sensi della parte II del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e successive modifiche ed integrazioni, ad esclusione dei casi previsti negli articoli precedenti.

2. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 non si applicano agli edifici collocati in aree dichiarate, ai sensi del Piano stralcio per l'assetto idrogeologico di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo), e successive modifiche ed integrazioni, di pericolosità idraulica elevata o molto elevata (Hi3 - Hi4), ovvero in aree di pericolosità da frana elevata o molto elevata

(Hg3 - Hg4).

3. Gli incrementi di volumetria previsti dagli articoli 2, 3, 4, 5 e 6 possono cumularsi con gli aumenti consentiti da altre disposizioni di legge, dagli strumenti urbanistici comunali e dalle norme di pianificazione regionale. Non sono cumulabili fra loro gli incrementi previsti nel presente capo I. È sempre ammessa la chiusura di vuoti esistenti nei piani intermedi.

4. Alla data del 31 marzo 2009, le unità immobiliari interessate dagli interventi di cui alla presente legge devono risultare regolarmente accatastate presso le competenti agenzie del territorio ovvero i lavori devono essere stati ultimati alla medesima data e le istanze di accatastamento avviate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il rispetto della presente disposizione è attestato mediante autocertificazione rilasciata dal direttore dei lavori. Nei casi in cui gli interventi di adeguamento ed incremento previsti dall'articolo 2 riguardino fabbricati la cui costruzione sia stata intrapresa entro il 31 marzo 2009 in forza di regolare concessione edilizia e i lavori siano stati sospesi a seguito di sequestro giudiziario poi annullato o revocato, la volumetria esistente, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, si intende quella realizzata entro la data di entrata in vigore della presente legge e le relative istanze di accatastamento devono essere avviate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

5. Il mutamento della destinazione d'uso per le unità immobiliari sulle quali siano stati realizzati gli interventi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 6 è ammesso a condizione che sia compatibile con le destinazioni urbanistiche previste dalla strumentazione urbanistica comunale.



Art. 9 - Oneri

1. Per gli incrementi di cui agli articoli 2, 3 e 4, gli oneri di concessione, ove dovuti, sono ridotti del 40 per cento se relativi alla prima abitazione del proprietario o dell'avente titolo, ovvero aumentati del 60 per cento negli altri casi. Per gli ampliamenti di cui all'articolo 2, comma 5 e all'articolo 4, comma 1, gli oneri di concessione sono aumentati del 200 per cento.

2. Per gli interventi di demolizione e ricostruzione di cui all'articolo 5, gli oneri di concessione sono dovuti nella misura del 140 per cento per l'incremento volumetrico e nella misura del 60 per cento per la parte ricostruita e sono in ogni caso ridotti del 40 per cento se relativi alla prima abitazione del proprietario o dell'avente titolo.

3. Decorso il termine per la comunicazione di fine lavori di cui all'articolo 10, comma 4, il costo di costruzione complessivo dovuto per l'intervento è aumentato del 50 per cento.

4. Entro il termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono prevedere una riduzione ovvero una maggiorazione degli oneri di concessione previsti nel presente articolo. In difetto della deliberazione trovano integrale applicazione le disposizioni contenute nei commi 1, 2 e 3.



Art. 10 - Norme sulla semplificazione delle procedure amministrative in materia edilizia

1. Nel rispetto delle normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 42 del 2004, e successive modifiche ed integrazioni, sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo:

a) interventi di manutenzione ordinaria;

b) interventi di manutenzione straordinaria, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio, non comportino aumento delle unità immobiliari e non implichino incremento degli standard urbanistici;

c) interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio;

d) opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico o siano eseguite in aree esterne al centro edificato;

e) movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola-zootecnica e le pratiche agro-silvo-pastorali compresi gli interventi su impianti idraulici agrari;

f) opere oggettivamente precarie dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee tali da poter essere immediatamente rimosse alla cessazione della necessità e, comunque, entro un termine di utilizzazione non superiore a novanta giorni;

g) serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola;

h) opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità stabilito dallo strumento urbanistico comunale;

i) interventi e impianti funzionali all'incremento dell'efficienza energetica, di cui al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE), articolo 11, comma 3;

j) elementi di arredo di aree di pertinenza degli edifici esistenti.

2. Prima dell'inizio degli interventi di cui al comma 1, l'interessato, anche per via telematica, informa l'amministrazione comunale dell'avvio dei lavori, comunicando gli estremi delle autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore.

3. Gli interventi di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono assoggettati alla procedura di denuncia di inizio attività (DIA), ad eccezione di quelli ricadenti nella zona omogenea A, nelle zone omogenee E ed F localizzate nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori e di quelli previsti all'articolo 5, per i quali deve essere ottenuta la concessione edilizia.

4. La denuncia di inizio attività o la relativa comunicazione di inizio lavori è inoltrata improrogabilmente entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e la comunicazione di fine lavori entro trentasei mesi dalla medesima data.

5. Per gli interventi previsti nel presente capo devono altresì essere rispettate le modalità di cui alla legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), articolo 1, e successive modifiche, ed alle relative norme di attuazione previste dal regolamento di cui al decreto interministeriale 18 febbraio 1998, n. 41, e successive modifiche, ovvero per le ipotesi di riqualificazione energetica, le modalità di cui alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), articolo 1, commi 344-349, e successive modifiche, ed alle relative norme di attuazione previste dal decreto interministeriale 19 febbraio 2007, e successive modifiche ed integrazioni. Gli estremi di pagamento devono essere, altresì, allegati alla comunicazione di fine lavori.

6. Per gli interventi di cui al presente capo, ad eccezione di quelli ricadenti nella fascia extraurbana dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, di quelli ricadenti in centro storico e di quelli disciplinati dall'articolo 5, l'autorizzazione paesaggistica, qualora necessaria, è rilasciata dall'organo comunale ai sensi della legge regionale 12 agosto 1998, n. 28 (Norme per l'esercizio delle competenze in materia di tutela paesistica trasferite alla Regione autonoma della Sardegna con l'art. 6 del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, e delegate con l'art. 57 del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 348).

7. Ai fini del monitoraggio degli interventi di cui alla presente legge e delle conseguenti trasformazioni urbanistiche ed edilizie del territorio, i comuni trasmettono all'Assessorato regionale competente in materia di governo del territorio i relativi dati tecnici e amministrativi, secondo direttive emanate dalla Giunta regionale.

8. All'articolo 31 della legge regionale 22 aprile 2002, n. 7 (legge finanziaria 2002), dopo il comma 5 è aggiunto il seguente:

"5 bis. Ai fini della verifica di cui al comma 5, i comuni trasmettono gli atti di pianificazione e i relativi dati di analisi anche su supporto informatico, secondo direttive emanate dalla Giunta regionale.".





CAPO II – NORME IN MATERIA DI PIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA



Art. 11 - Aggiornamento e revisione del Piano paesaggistico regionale

1. Con periodicità biennale la Giunta regionale procede all'aggiornamento e alla revisione dei contenuti descrittivi e dispositivi del Piano paesaggistico regionale con specifica deliberazione da pubblicarsi sul BURAS e della quale è data pubblicità sul sito istituzionale della Regione e mediante deposito presso gli uffici regionali. Nei trenta giorni successivi alla pubblicazione sul BURAS di tale deliberazione, chiunque ne abbia interesse può presentare osservazioni in merito alle modifiche proposte. Nel medesimo termine la Commissione consiliare competente in materia di urbanistica esprime il proprio parere e lo trasmette alla Giunta regionale. Trascorso tale termine la Giunta, esaminate le osservazioni, delibera in via definitiva l'aggiornamento o la revisione. Tale deliberazione è pubblicata sul BURAS e le conseguenti modifiche costituiscono parte integrante del Piano paesaggistico regionale.



Art. 12 - Programmi, piani e progetti di valenza strategica per lo sviluppo del territorio

1. La Regione, le province ed i comuni, anche con il concorso di altri soggetti pubblici e privati, individuano ed attivano programmi, piani e progetti aventi carattere strategico per promuovere lo sviluppo del territorio regionale in un'ottica di sostenibilità ambientale e paesaggistica.

2. I programmi, i piani ed i progetti devono essere tali da incidere significativamente sul sistema economico-sociale, sull'organizzazione del territorio e sulla valorizzazione paesaggistico-ambientale. In particolare possono comprendere operazioni di riassetto e riqualificazione degli insediamenti, anche costieri, e la realizzazione di parchi ecologico-ambientali anche di carattere botanico e forestale di elevata valenza scientifica e culturale. Essi in ogni caso perseguono obiettivi di elevata qualità paesaggistica, ecologico-ambientale e urbanistico-architettonica.

3. La proposta di cui al comma 1 è sottoposta all'Assessorato competente in materia di governo del territorio per la preliminare valutazione della compatibilità complessiva sotto il profilo paesaggistico. In caso di esito positivo si procede mediante conferenza di servizi ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme sul procedimento amministrativo), e successive modificazioni ed integrazioni.

4. Qualora la realizzazione degli interventi programmati necessiti di variante agli strumenti urbanistici si procede secondo le vigenti disposizioni legislative. In tal caso i termini per le pubblicazioni e le osservazioni sono ridotti della metà.



Art. 13 - Disciplina degli interventi ammissibili nella fase di adeguamento degli strumenti urbanistici al Piano paesaggistico regionale

1. I piani paesaggistici, le loro varianti e gli atti di aggiornamento e revisione di cui all'articolo 11, introducono norme temporanee di salvaguardia e possono indicare le opere eseguibili sino all'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali, nel rispetto dei seguenti principi e direttive:

a) sono realizzabili:

1) interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico, di restauro e di risanamento conservativo;

2) volumi tecnici di modesta entità strettamente necessari e funzionali alla gestione tecnico operativa delle strutture esistenti e tali da non incidere negativamente sullo stato dei luoghi e sulla qualità paesaggistica del contesto;

3) interventi di riqualificazione degli insediamenti esistenti sotto il profilo urbanistico, architettonico-edilizio e paesaggistico-ambientale, senza aumento di volume, ad eccezione di quello strettamente necessario per servizi;

4) interventi pubblici o di interesse pubblico finanziati dall'Unione europea, dallo Stato, dalla Regione, dalle province, dai comuni o dagli enti strumentali statali o regionali;

5) gli interventi previsti dal capo I della presente legge;

b) gli interventi previsti nei vigenti strumenti urbanistici sono realizzabili alle seguenti condizioni:

1) che ricadano nelle aree delimitate dagli strumenti urbanistici come zone territoriali omogenee A e B;

2) che ricadano nelle aree delimitate dagli strumenti urbanistici come zone territoriali omogenee C, G e D, limitatamente alla funzione commerciale, qualora le aree siano intercluse, ovvero contigue ed integrate in termini di infrastrutture, con l'ambito urbano;

c) nei comuni dotati di piano urbanistico comunale ai sensi della legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l'uso e la tutela del territorio regionale), sono, altresì, realizzabili gli interventi localizzati nelle altre zone territoriali omogenee C, D, G, ed F, previsti dagli strumenti attuativi approvati e, se di iniziativa privata, convenzionati.

Può, inoltre, essere concluso il procedimento di approvazione dei piani attuativi legittimamente adottati prima dell'approvazione del Piano paesaggistico

regionale;

d) nei comuni non dotati di piano urbanistico comunale di cui alla legge regionale n. 45 del 1989, nelle zone territoriali omogenee C, D, G, ed F, all'interno della fascia dei 2.000 metri dalla linea di battigia, possono essere realizzati gli interventi previsti dagli strumenti attuativi già approvati e convenzionati, a condizione che le relative opere di urbanizzazione siano state legittimamente avviate prima dell'approvazione del Piano paesaggistico

regionale.

Oltre tale fascia sono realizzabili gli interventi previsti nei piani attuativi regolarmente approvati e, se di iniziativa privata, convenzionati;

e) ai fini della riqualificazione delle strutture destinate all'esercizio di attività turistico-ricettive, anche qualora localizzate nei 300 metri dalla linea di battigia, ridotti a 150 metri nelle isole minori, possono essere autorizzati, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, interventi di ristrutturazione e rinnovamento. Eventuali incrementi volumetrici, per i quali non opera l'articolo 6 della legge regionale 25 novembre 2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale), non possono comunque superare il 25 per cento dei volumi legittimamente esistenti, a condizione che realizzino concreti obiettivi di qualità paesaggistico-architettonica e di efficienza tecnico-funzionale e si sviluppino non verso il mare. Gli incrementi volumetrici previsti nella presente lettera non si applicano alle strutture turistico-ricettive che abbiano già usufruito degli incrementi previsti dalla legge regionale n. 45 del 1989, articolo 10 bis, come introdotto dalla legge regionale 7 maggio 1993, n. 23 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45, recante «Norme per l'uso e la tutela del territorio regionale»);

f) nelle more dell'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali ai piani paesaggistici regionali, all'interno delle aree ricomprese nella fascia di larghezza pari a 100 metri, ove prevista, a partire dal perimetro più esterno dei beni paesaggistici ed identitari, come definiti dalla legge regionale 4 agosto 2008, n. 13 (Norme urgenti in materia di beni paesaggistici e delimitazione dei centri storici e dei perimetri cautelari dei beni paesaggistici e identitari), articolo 1, possono essere realizzati gli interventi di trasformazione del territorio e degli edifici esistenti, compresa la realizzazione di nuovi corpi di fabbrica, esclusivamente a condizione che abbiano ottenuto l'autorizzazione paesaggistica, rilasciata ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, articolo 146 e seguenti, e successive modifiche ed integrazioni. I contenuti e le prescrizioni dell'autorizzazione costituiscono commisurazione e valutazione della compatibilità dell'intervento proposto con l'interesse paesaggistico tutelato;

g) nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia è vietata la realizzazione di linee elettriche diverse da quelle strettamente necessarie e funzionali agli insediamenti urbanistico- edilizi, ad eccezione di quelle già programmate alla data del 31 dicembre 2008. È, inoltre, ammessa la realizzazione di linee elettriche che, sulla base di un atto di indirizzo approvato dalla Giunta regionale entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, ottengano la preventiva valutazione positiva da parte della Giunta regionale, previo parere della commissione consiliare competente;

h) il mare territoriale, per la sua stretta interrelazione con le aree tutelate ai sensi degli articoli 142 e 143 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modifiche ed integrazioni, è considerato di primario interesse paesaggistico ed è fatto oggetto di tutela;

i) la Regione considera meritevoli di tutela, e ne fa oggetto di integrale conservazione, le praterie di posedonia, secondo anche quanto previsto dalla direttiva comunitaria 92/43/CEE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, e ne costituiscono "habitat prioritario". È, pertanto, vietato qualunque intervento che possa comprometterne l'integrità ovvero lo stato di equilibrio ottimale dell'habitat naturale, ad eccezione di quelli già programmati alla data di entrata in vigore della presente legge e di quelli che ottengano il preventivo assenso da parte della Giunta regionale.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 sono provvisoriamente efficaci e trovano immediata applicazione sin dalla data di entrata in vigore della presente legge. Gli interventi previsti nel comma 1, lettera c), secondo capoverso, lettera d), primo capoverso e lettera e), sono realizzati previa verifica della coerenza delle volumetrie programmate con il contesto paesaggistico ed ambientale di riferimento, effettuata di concerto tra Amministrazione regionale e amministrazione comunale. In sede di verifica può essere stabilito il ridimensionamento e l'adeguamento degli interventi programmati al fine di renderli coerenti con le finalità del Piano paesaggistico regionale.



Art. 14 - Modifiche alla legge regionale 4 agosto 2008, n. 13

1. L'articolo 2 della legge regionale n. 13 del 2008 è sostituito dal seguente:

"Art. 2 (Disciplina per le aree all'interno dei centri di antica e prima formazione)

1. Nelle more dell'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali al Piano paesaggistico regionale, alle sue varianti ed agli atti di aggiornamento e revisione, i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, verificano la coerenza delle disposizioni dei vigenti piani particolareggiati dei centri storici ricadenti nelle aree di antica e prima formazione con le disposizioni del Piano paesaggistico regionale, sue varianti ed atti di aggiornamento e revisione, e possono procedere alla loro attuazione per le parti coerenti. Con deliberazione consiliare, i comuni, per le restanti aree del centro di antica e prima formazione esterne al piano particolareggiato del centro storico, verificano la coerenza delle relative previsioni urbanistiche con le disposizioni del Piano paesaggistico regionale e procedono alla loro attuazione. Tale deliberazione è approvata come previsto dalla legge regionale n. 28 del 1998, articolo 9, comma 5.

2. Il comune, ottenuta l'approvazione, pubblica sul BURAS le deliberazioni di cui al comma 1. Dal giorno successivo alla pubblicazione, all'interno dell'area del centro di antica e prima formazione, possono essere realizzati gli interventi coerenti, previsti nella disciplina urbanistica previgente, a condizione che abbiano ottenuto l'autorizzazione paesaggistica, rilasciata ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, articolo 146.".





CAPO III – DISPOSIZIONI IM MATERIA DI SOTTOTETTI E NORME FINALI



Art. 15 - Utilizzo del patrimonio edilizio e recupero dei sottotetti

1. La Regione Sardegna promuove il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti nelle zone urbanistiche A, B, C ed E con l'obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e di favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici.

2. Negli edifici destinati in tutto o in parte a residenza è consentito il recupero volumetrico a solo scopo residenziale del piano sottotetto esistente alla data di entrata in vigore della presente legge.

3. Si definiscono sottotetti i volumi compresi tra la chiusura orizzontale superiore, anche non calpestabile, dell'ultimo livello abitabile e l'intradosso delle falde della copertura a tetto, localizzati all'interno della sagoma dell'edificio regolarmente approvata con titolo abilitativo, ove prescritto.

4. Il recupero abitativo dei sottotetti è consentito, previo titolo abilitativo, attraverso interventi edilizi, purché siano rispettate tutte le prescrizioni igienico-sanitarie riguardanti le condizioni di abitabilità previste dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 5.

5. Il recupero abitativo dei sottotetti è consentito purché sia assicurata per ogni singola unità immobiliare l'altezza media ponderale di metri 2,40 per gli spazi ad uso abitativo, ulteriormente ridotta a metri 2,20 per spazi accessori dei servizi. Per i comuni posti a quote superiori a 600 metri di altitudine sul livello del mare è consentita rispettivamente la riduzione a metri 2,20 per spazi ad uso abitazione e a metri 2,00 per accessori e servizi. Gli eventuali spazi di altezza inferiore ai minimi devono essere chiusi mediante opere murarie o arredi fissi e può esserne consentito l'uso come spazio di servizio destinato a guardaroba e ripostiglio. In corrispondenza delle fonti di luce la chiusura di tali spazi non è prescrittiva. Il calcolo dell'altezza media ponderale viene effettuato dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la superficie relativa.

6. Gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti possono comportare l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l'osservanza dei requisiti di aeroilluminazione, nonché, nelle sole zone B, sono ammesse modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, unicamente al fine di assicurare i parametri di cui al comma 5.

7. Le disposizioni del presente articolo non si applicano negli ambiti territoriali per i quali i comuni, con motivata deliberazione del consiglio comunale, ne dispongano l'esclusione nel termine perentorio di novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge.

8. Alle disposizioni di cui al presente articolo non si applicano i termini di cui all'articolo 10, comma 4.



Art. 16 - Abrogazione

1. Il comma 3 dell'articolo 4 della legge regionale n. 8 del 2004, è abrogato.



Art. 17 - Entrata in vigore

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna.

Più volte eddyburg ha affrontato la questione dei “diritti edificatori”, dimostrandone non solo l’inesistenza ma anche la loro pericolosità, considerato che la loro legittimazione può costituire una seria ipoteca sul territorio a discapito della collettività.

Una delle circostanze in cui tale legittimazione può concretizzarsi è la stesura di un nuovo piano urbanistico che preveda una variazione delle destinazioni d’uso fissate dal piano precedente. Cosa succede se un terreno passa da edificabile ad agricolo? È legittima una scelta del genere, considerate le aspettative, non solo meramente economiche, che i proprietari possono avere maturato rispetto a quella destinazione?

Proviamo a rispondere da due punti di vista: quello della tecnica urbanistica (e del buon senso) e quello della giurisprudenza.

Per quanto riguarda il primo, vale la pena ricordare che un piano urbanistico serve a stabilire regole certe per l’uso del territorio in un arco di tempo ragionevolmente ampio (in genere almeno 10 anni). Per stabilire queste regole, oltre ad avere le idee chiare su quello che dovrebbe essere il futuro di una città, è necessario ipotizzare per quante persone, residenti e non, dovrà essere dimensionato l’assetto della città stessa: detto in altri termini, è necessario prevedere i fabbisogni di una città, soprattutto quelli abitativi, nell’arco di tempo considerato.

Molti dei piani degli anni Settanta furono nettamente sovradimensionati rispetto alle esigenze reali della comunità: l’ottimismo, spesso unito ad una non colpevole incapacità di percepire fenomeni di dispersione insediativa ancora in nuce, portò molti comuni a costruire piani dimensionati per due o tre volte la popolazione effettivamente insediata. Anche lì dove vi è stata una prudente definizione del fabbisogno, il forte decremento della popolazione degli ultimi anni ha messo in discussione le generali previsioni di crescita, con la conseguenza che spesso è toccato alle politiche urbane rimediare alle inadeguatezze dei piani urbanistici.

Le destinazioni d’uso, quindi, non sono che l’esito di un processo più complesso: si definiscono i fabbisogni, in particolare quelli abitativi, si dimensiona il piano, si definisce, infine, il regime dei suoli.

In questa prospettiva, appare evidente che, in un contesto generale di decremento della popolazione e di modifica delle dinamiche insediative, la riduzione delle aree edificabili si può rivelare soluzione necessaria prima che opportuna, in quanto esito finale di scelte fatte sulla base dei fabbisogni previsti.

Non solo: andando aldilà della logica consequenzialità del processo di formazione di un piano, dietro la riduzione delle aree edificabili vi può essere anche il merito politico delle scelte fatte da un’amministrazione.

Chi si può opporre, infatti, alle ragioni di un’amministrazione che decida di contenere la nuova edificazione entro limiti precisi senza consumare ulteriore territorio? E ancora: è davvero così contrario al buon senso che un’amministrazione, in relazione ad un calo della popolazione insediata, ritenga opportuno preservare una porzione di territorio a cui si riconosce un valore proprio perché rimasta inedificata? E infine ecco il nodo cruciale: le aspettative di pochi privati bastano per mettere in discussione scelte, anche drastiche, finalizzate a garantire l’interesse pubblico?

Insomma, dal punto di vista della tecnica urbanistica, la soluzione del problema posto all’inizio appare abbastanza logica; purtroppo, però, il buon senso e la logica non sempre bastano a rendere le scelte solide e inattaccabili. Andiamo a vedere, quindi, se tali scelte possono trovare un qualche aiuto nel mare magnum del diritto e della giurisprudenza.

Il primo punto di partenza non può che essere la legge urbanistica nazionale, la 1150/1942, che nulla dice a proposito di eventuali garanzie ai proprietari per cambi “sfavorevoli” di destinazioni d’uso. Stessa cosa vale per le leggi regionali: nessuna di esse ha ritenuto di dover regolamentare in maniera particolare il passaggio di un suolo da edificabile ad agricolo nel caso di varianti generali agli strumenti urbanistici o di redazione di nuovi piani.

Rispetto al legislatore, invece, il parere dei giudici risulta essere più articolato. Le sentenze in materia sono tante ma tutte dello stesso segno: nella predisposizione di un nuovo strumento urbanistico, un’amministrazione comunale ha piena facoltà di cambiare le destinazioni d’uso rispetto allo strumento vigente, anche se ciò comporta una modifica “peggiorativa” per i proprietari.

Tra le tante sentenze che supportano questa tesi, se ne segnala una in particolare, quella del Consiglio di Stato n. 2827 del 2003 che stabilisce che la reformatio in peius della precedente destinazione di zona non comporta nemmeno l’obbligo di motivazione. Se ne riportano di seguito alcuni passaggi significativi:

“E’ in tale ottica che trova fondamento il consolidato principio giurisprudenziale, secondo cui le scelte urbanistiche dall’Amministrazione comunale costituiscono apprezzamenti di merito, connotati di un’amplissima discrezionalità, sottratte al sindacato di legittimità, proprio del giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi ovvero da arbitrarietà, irrazionalità o manifesta irragionevolezza, in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare (tra le più recenti, C.d.S., sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3817; 22 maggio 2000, n. 2934).

III. 2. Le delineate caratteristiche delle scelte urbanistiche escludono, d’altronde, la necessità di una specifica motivazione che tenga conto, anche solo eventualmente, delle aspirazioni dei cittadini, essendo al riguardo sufficiente il semplice riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di piano (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 14 dicembre 2002, n. 6297; 6 febbraio 2002, n. 664; 17 gennaio 2002, n. 250; 19 gennaio 2000, n. 245; 8 febbraio 1999, n. 121; 9 luglio 1998 n. 1073).

L’obbligo di una puntuale motivazione è stato ritenuto sussistente, ai fini del legittimo uso del jus variandi quando, le nuove scelte incidono su aspettative qualificate del privato, quale quelle derivanti: dalla stipulazione di una convenzione di lottizzazione; da una sentenza dichiarativa dell’obbligo di disporre la convenzione urbanistica; da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia; dalla decadenza di un vincolo preordinato all’espropriazione(C.d.S., A.P. 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3817; 27 maggio 2002, n. 2899; 20 novembre 2000, n. 6177; 12 marzo 1996, n. 301); è stato, invece, considerato affidamento generico quello relativo alla non reformatio in peius di precedenti previsioni urbanistiche che non consentono una più proficua utilizzazione dell’area, con la conseguenza che in tali casi non sussiste la necessità di una motivazione specifica delle nuove destinazioni urbanistiche rispetto a quelle che può agevolmente evincersi dai criteri di ordine tecnico – urbanistico seguiti per la redazione dello strumento stesso (C.d.S., sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3146; 20 ottobre 2000, n. 5635; A.P. 22 dicembre 1999, n. 24).

III. 3. Per completezza deve aggiungersi che, in concreto, l’unico limite che incontra l’ente locale nell’esercizio della delicata funzione di pianificazione urbanistica, salvo quello intrinseco – già delineato – della non arbitrarietà, non irragionevolezza e non irrazionalità, è costituito dalle “direttive” contenute nei piani territoriali di coordinamento e in quelli ad essi assimilati, quale – con riferimento al caso che ci occupa – il Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), di cui alla legge 30 aprile 1990, n. 40.

La posizione dei giudici appare dunque pienamente coerente con quanto detto prima circa le regole tecniche di redazione di un piano e il merito politico delle scelte fondamentali: addirittura, essa rimarca che, nel caso di reformatio in peius delle destinazioni d’uso, a meno che questa non derivi da scelte inficiate da palese irragionevolezza, non vi è nemmeno l’obbligo di specifica motivazione visto che è sufficiente chiarire quali siano state le scelte generali assunte a fondamento del piano stesso.

La risposta al problema, dunque, è la stessa, sia che la si guardi dal punto di vista della tecnica urbanistica che da quello del diritto e della giurisprudenza.

Rimane, purtroppo, un terzo punto di vista, molto più "discrezionale": quello del merito delle scelte di un’amministrazione.

Un autorevole urbanista qual è Francesco Indovina disse che il piano urbanistico è “l’espressione di una volontà politica tecnicamente assistita”: anche in questo caso, dunque, il problema è capire qual è la volontà politica che guida le scelte di un’amministrazione.

È infatti con una scelta tutta politica che si può concretizzare quella pericolosità dei “diritti edificatori” di cui si parlava all’inizio: il rischio è che un nuovo strumento, in barba a qualunque analisi del fabbisogno, nasca con una “dotazione” di metri cubi frutto di previsioni di piani precedenti mai attuate, “dotazione” che viene riproposta con la classica motivazione di non mortificare le aspirazioni di tanti proprietari che contavano sulla possibilità di poter costruire.

Il rischio è ancora più alto se si pensa che ormai quasi tutte le leggi urbanistiche regionali disciplinano la perequazione e con essa la possibilità di riconoscere, a certe condizioni, dei bonus di cubatura: senza voler demonizzare eccessivamente un tale strumento, non si può non preoccuparsi di fronte alla possibilità che questi “bonus” diventino delle mine vaganti capaci di mettere in discussione la certezza della disciplina che costituisce una delle ragioni dell’esistenza stessa di un piano urbanistico.

Ma, e leggendo la cronaca quotidiana dovrebbe essere ormai chiaro, per scongiurare rischi di questo tipo, purtroppo, né la tecnica, né il buon senso nè la giurisprudenza possono bastare.

Si vedano in proposito il parere pro veritate del prof. Vincenzo Cerulli Irelli, la relazione “ Forse che il diritto impone di compensare i vincoli sul territorio?”, di E. Salzano e l’articolo di eddyburg su Carta “ É una balla che il PRG attribuisca diritti edificatori".

Polverizzato. Più letale di una benna il Tar ha demolito il castello di accuse tirato su dal comune di Azrazchena al Piano paesaggistico regionale. Sarò anche una vittoria postuma per la giunta guidata da Renato Soru, ma i giudici pezzo dopo pezzo smontano tutte le osservazioni fatte dal comune culla della Costa Smeralda. La sentenza, che fa scuola, ribadisce la bontò della filosofia del Ppr e mette ordine in un area in cui ogni granello vale oro. Solo se ricoperto da cemento armato. Il muro di eccezioni, che l’amministrazione ha presentato per abbattere il Ppr, viene abbattuto dai giudici. Si spezza il principio portato avanti nel ricorso del Comune. Più cemento-più denaro- più sviluppo. Il Ppr non trasforma il territorio della Costa Smeralda in una riserva integrale, ma dà regole certe. Questo è il principio che sembra ribadire il Tar con questa sentenza. Filosofia applicabile in tutti i centri dell’isola. Tra gli argomenti al centro del ricorso l’istituto delle intese. La procedura per cui il Comune presenta una serie di progetti alla Regione e chiede che vengano approvati. Secondo Arzachena è uno strumento arbitrario che spoglia l’amministrazione del suo potere di decidere. Ma il Tar rovescia il punto di vista. Le intese sono una gentile concessione della Regione alle amministrazioni che non sono state capaci di adeguare il piano urbanistico alle regole del Ppr. La Regione non voleva che tutto si fermasse nei centri costieri in attesa del varo dei nuovi Puc. Per questo ha proposto di portare almeno i progetti più importanti a Cagliari. Per discuterli insieme e trovare una intesa. «I comuni non sono obbligati a chiedere l’attivazione dell’intesa — riporta la sentenza —. Si possono limitare ad adeguare con la dovuta sollecitudine il Puc al piano paesaggistico». Ma già dalle prime righe il Tar comincia l’opera di demolizione. I giudici puntano l’indice contro il comune di Arzachena che nel suo ricorso non avrebbe fatto distinzione tra fascia, e ambito costiero. Per i profani due sinonimi. Per il Ppr due cose diversissime. La fascia è l’area vicina al mare, l’ambito è il territorio nel suo complesso. La fascia costiera è tutelata con maggiore rigidità. Arzachena, che si trova a 5 chilometri dal mare, sosteneva di essere considerata dal Ppr come fascia costiera. Ma il piano paesaggistico la individua come ambito costiero. Un’area che vive di e sul mare. Finezze non solo da giuristi, ma che hanno un peso che si misura in metri cubi di cemento. In ogni caso il Tar affonda questo punto forte del ricorso. «La Gallura costiera nord orientale è stata esaminata nelle sue componenti, non si può tracciare una linea netta di demarcazione che distingua la parte paesaggistica costiera da quella insediativa interna. Tutta l’area è un unicum di cui fanno parte sia i territori sul mare, sia quelli e interni». Un altro paletto il Tar lo fissa anche per la strada Olbia- Santa Teresa. Da sempre Arzachena chiede la quattro corsie. La giunta Soru ne ha programmato una a due corsie. Anche su questo punto i giudici mettono punti fermi. Il Comune si lamentava. «Perché la Regione — riporta il ricorso presentato da Arzachena — con la ricomprensione in ambito costiero delle aree interessate alla viabilità a quattro corsie Olbia-Arzachena ha con palese sviamento vietato la realizzazione dell’opera ». Ma anche questo punto viene spazzato via dal tribunale che ribadisce la assoluta discrezionalità della Regione nel dare regole e pianificare lo sviluppo del territorio come meglio crede. In altre parole a decidere deve essere Cagliari.

1. Si deve preliminarmente sgombrare il campo da un equivoco: l’espressione “piano casa” indica due politiche diverse. La prima è un programma nazionale (o meglio, una serie di programmi) per l’offerta di abitazioni a favore di una serie di categorie deboli, attraverso “la costruzione di nuove abitazioni e la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente” (art. 11, d.l. n. 112/08, conv. l. 133/08 e d.p.c.m. 16 luglio 2009). Una vicenda molto istruttiva, che esula però dalla nostra narrazione.

La seconda – quella di cui ci occupiamo – è una strategia di deregolazione, che si è sovrapposta (in termini logici e cronologici) al programma di edilizia residenziale di cui al d.l. n. 112/08 cit.. Una breve illustrazione della sua genesi ne evidenzia l’incompatibilità con il vigente assetto costituzionale.

Del “ piano casa” si è discusso nella Conferenza unificata del 25 marzo 2009 a proposito dell’ampliamento di abitazioni monofamiliari e bifamiliari. Il Governo aveva predisposto una bozza di decreto legge. Ma presidenti di Regione e sindaci – premesso che il tema dell’ampliamento delle abitazioni è molto importante e avvertito dall’opinione pubblica – hanno manifestato perplessità e preoccupazione per l’emanazione di un decreto legge in questa materia, che è di legislazione concorrente, e hanno chiesto un approfondimento congiunto dell’argomento. Si è così deciso di istituire un tavolo tecnico-politico.

Il 31 marzo (o il 1 aprile: la data non è chiara) si è giunti a un’intesa in sede di Conferenza unificata; intesa ai sensi dell’art. 8, l. n. 131 del 2003, per “ favorire l’armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni”. Si è trattato quindi di un accordo politico.

In base all’intesa, le Regioni si sono impegnate ad approvare nel termine di 90 giorni leggi che: a) consentano interventi fino al 20% della volumetria di edifici residenziali uni-bi familiari o comunque di volumetria non superiore ai 1000 metri cubi per un massimo di 200 metri cubi, al fine di migliorare anche la qualità architettonica e/o energetica; b) consentano, allo stesso fine, interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35%; c) semplifichino e accelerino l'attuazione di detti interventi.

Le leggi regionali possono però individuare ambiti in cui detti interventi sono esclusi o limitati; gli interventi inoltre, salva diversa decisione, possono avere validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi. In caso di inerzia o ritardo il Governo e il presidente della giunta regionale interessata “determinano le modalità procedurali idonee ad attuare compiutamente l'accordo, anche ai sensi dell'art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003”.

Il Governo, dal suo canto, si è impegnato a emanare, entro 10 giorni, un decreto legge “ i cui contenuti saranno concordati con le Regioni e il sistema delle autonomie” per “ semplificare alcune procedure di competenza esclusiva dello Stato” e per “ rendere più rapida ed efficace l'azione amministrativa di disciplina dell'attività edilizia”. Il decreto legge non è stato emanato, anche perché non si è trovato un accordo sul suo contenuto con le Regioni e con il sistema delle autonomie.

Non di meno ad oggi dodici Regioni hanno legiferato sul punto, in maniera, appunto, disomogenea.

2. L’incostituzionalità di questa politica, risiede nella mancata individuazione con legge dello Stato di principi fondamentali in questo ambito.

Gli interventi in esame – che coinvolgono l’edilizia e l’urbanistica – rientrano nella materia “ governo del territorio” (es. Corte cost. n. 303/03, § 11.1); materia che spetta, in base all’art. 117, 3 c., alla legislazione regionale, salva la determinazione dei principi fondamentali del settore riservata alla legislazione statale. E’ altresì pacifico che la pianificazione urbanistica costituisce un principio fondamentale della materia.

Ebbene, con l’intesa del 31 marzo, il principio della pianificazione è stato (temporaneamente?) sostituito con il suo opposto, con quello cioè della generalizzata depianificazione: viene consentito un aumento di volumetria a prescindere dal riferimento al piano urbanistico, prendendo a parametro la sola volumetria (legittimamente) esistente in un dato momento.

La cosa è inaccettabile da diversi punti di vista. Per rimanere agli aspetti costituzionali, si deve osservare che il principio della depianificazione, in quanto nuovo principio della materia, avrebbe dovuto essere introdotto da una norma statale di rango legislativo.

Però con furbizia (e incoscienza), si è ritenuto di poter aggirare l’ostacolo rappresentato dalla legge dello Stato, in sua vece stipulando un’intesa in sede di Conferenza unificata: l’intesa tra il Governo, i presidenti delle Regioni e alcuni (2) rappresentanti dei Comuni e delle Province ha sostituito una legge del Parlamento, eludendo nel contempo il controllo del Presidente della Repubblica. Insomma, un accordo politico tra il Governo e gli esecutivi regionali, con l’avallo di rappresentanze di giunte comunali e provinciali, ha tenuto luogo di una legge.

Le possibili spiegazioni di questo modo di procedere sono due. Sciatteria, superficialità e insensibilità istituzionale. Oppure la contrapposizione concettuale tra legalità costituzionale (finta e chiusa) e “legittimitàdi una volontà realmente esistente” (dimostrata dall’ampio consenso al “piano casa” nel sistema del governo locale e tra gli elettori) e fondata sull’emergenza economica; ma questo modo di ragionare (e di governare) richiama alla mente tetri scenari e ideologie degli anni ’30. Probabilmente entrambi i motivi hanno animato i diversi protagonisti della vicenda.

E’ vero che il Governo avrebbe voluto emanare un decreto legge (forse per accaparrarsi i meriti dell’operazione) e che questa idea ha incontrato la ferma opposizione della Conferenza unificata. Ma in base all’intesa del 31 marzo, il decreto avrebbe dovuto contenere non un principio fondamentale della materia (quello della depianificazione provvisoria), ma strumenti di semplificazione di procedimenti di competenza esclusiva dello Stato. Il ricorso al decreto legge, inoltre, sarebbe stato illegittimo per carenza evidente dei requisiti del “caso straordinario di necessità e d'urgenza” (cfr. Corte cost. 171/07); e certamente non avrebbe surrogato questa carenza la retorica dell’emergenza economica in generale, e quella del settore edilizio, in particolare. Infine, in base all’intesa, al di fuori di ogni previsione costituzionale, il contenuto del decreto legge avrebbe dovuto essere concordato con le Regioni e il sistema delle autonomie.

3. La legge dello Stato contenente i principi fondamentali ha la funzione – oltre che di garanzia derivante dalla procedura parlamentare – di individuare elementi di uniformità che si impongano alla normativa regionale (cfr. es. Corte cost., 196/04, §20, per la quale tra i principi fondamentali della materia governo del territorio rientra “la determinazione delle volumetrie massime condonabili”). In questo ambito, la differenziazione è ammessa, entro i limiti rappresentati, appunto, dai principi fondamentali a tutela di valori unitari.

Nel nostro caso, invece, si sta realizzando una Babele urbanistica. Ma al di là delle differenze di carattere sostanziale tra le norme regionali (es. circa i limiti volumetrici), va segnalato un ulteriore profilo di incostituzionalità. Vi accenno rapidamente.

La pianificazione urbanistica è principio della materia del governo del territorio, ma, per opinione unanime, è anche funzione fondamentale dei Comuni, che, in quanto tale, è oggetto di legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, 2 c., lett. p). Anche qui le funzioni fondamentali svolgono un ruolo uniformante nella configurazione dei Comuni sul territorio nazionale. Questa circostanza è ricca di conseguenze sulle quali non ci si può soffermare.

Un dato è certo: l’effettività della funzione pianificatoria è stata sospesa da questa manovra. L’intesa del 31 marzo costituisce dunque una palese violazione dell’autonomia comunale, ossia del rapporto tra la collettività e il suo territorio. Detto per inciso: alla Conferenza unificata del 31 marzo era presente solo il sindaco di Roma (e il rappresentante dell’ANCI), mentre erano assenti gli altri tredici sindaci che ne fanno parte (cfr. il verbale della Conferenza unificata n. 7/2009).

In ogni caso, in mancanza dei principi fondamentali, il ruolo delle amministrazioni comunali in relazione all’attuazione del “piano casa” è rimesso alla scelta delle singole Regioni che, senza alcun limite, possono calibrarne (o eliminarne) i compiti. Ciò – nell’attuale contesto – è però inammissibile.

4. Quanto detto dimostra che il sistema delle Conferenze (Stato-Regioni e Conferenza unificata) concretizza forme consociative ancora più opache e allarmanti di quelle che l’Italia ha conosciuto negli anni passati. Questa vicenda rappresenta un esempio concreto del mutamento in atto della forma di governo, nel senso della emarginazione del Parlamento a favore del sistema delle Conferenze; ciò produce una rilevante alterazione delle dinamiche democratiche stabilite dalla Costituzione.

Da più parti si sottolinea la necessità che il patrimonio edilizio italiano sia rinnovato e reso compatibile con il sistema ecologico; si sollecitano azioni pubbliche in tal senso. Ma è prioritario che tali politiche siano conformi alla Costituzione: il principio di legalità deve coprire sia la fase normativa sia quella amministrativa; deve cioè pervadere le norme di legge, gli atti di pianificazione, i provvedimenti abilitativi, le attività di vigilanza e di repressione. E' invece tristemente noto che nella gestione del territorio il principio di legalità stenta ad affermarsi, specie (ma non solo) nel Centro-Sud. E' quindi indispensabile il rilancio della cultura della legalità territoriale. Infatti, solo questa cultura potrà portare un vero e duraturo sviluppo economico.

E’ poi necessario che le politiche territoriali siano concepite e gestite con serietà e rigore, in modo da essere affidabili per i cittadini e per gli operatori. Nel nostro caso tutto ciò non è avvenuto, per responsabilità che si possono equamente distribuire tra il Governo e il sistema delle Conferenze (e dei soggetti che di esse fanno parte, anche se assenti).

In ogni caso, l’operazione “piano casaè un gigante con i piedi di argilla. Non è affatto improbabile che un singolo (perché animato da spirito civico o, più prosaicamente, perché leso nei suoi diritti) o un’associazione avvii un giudizio avverso una dichiarazione di inizio attività relativa a un ampliamento di volumetria: innanzi al giudice potrà far valere l’inconsistenza dell’impianto giuridico sotteso al “piano casa”, anche attraverso il rinvio alla Corte costituzionale della legge regionale pertinente.

Il sistema istituzionale – con intensità e toni diversi – ha eccitato l’opinione pubblica (e alcuni settori economici) sul tema degli ampliamenti delle volumetrie, ingenerando aspettative di varia natura. Se l’iniziativa avrà successo (se si apriranno molti cantieri), l’eventuale (e a mio parere, non improbabile) crollo dell’edificio non potrà che produrre confusione, insicurezze e contenziosi.

Si dimostrerà in tal modo che il “ piano casa” è, in realtà, un’impostura. Il tutto – come spesso accade – a spese del territorio.

L’autore è professore straordinario di diritto amministrativo nell’Università degli Studi di Salerno. Lo scritto riproduce – con lievi modificazioni – l’intervento al convegno “Fermare il Piano Casa, subito la vera grande opera: manutenzione del territorio, rottamazione edilizia e rilancio di un’edilizia sostenibile” organizzato a Milano il 10 ottobre 2009 dai parlamentari radicali e da Radicali italiani.

Era un uomo duro ma scriveva versi così: «Mai un autunno come questo amaro / già conoscemmo / di sparse foglie / che il vento raduna e trascolora». Sì, era scontroso ma riuscì a diventare il sindaco più amato nella storia di Roma. Quel 27 settembre del 1979 nessuno ci avrebbe scommesso. Luigi Petroselli salì sullo scranno di sindaco e parlò così: «Signor presidente, il sentimento che ora prevale è di umiltà». Disse proprio: umiltà. Con questo spirito l'uomo venuto da Viterbo, figlio di un tipografo (come racconta Angela Giovagnoli in un bel libro), affrontò la sfida più difficile. Sapeva di avere gli occhi puntati addosso. Ma accettò. «Come un combattente », ci ha ricordato spesso Amato Mattia, il suo uomo-ombra morto anche lui troppo presto. Petroselli, che era un funzionario di partito, riuscì a stupire tutti e stabilì una corrente di orgoglio e di simpatia con la città. «Accadde perché aveva concretezza e forza politica - ricorda Walter Veltroni che allora era un giovane consigliere comunale - Il suo rapporto con la città era profondo. Si capiva che ci credeva». Aggiunge Renato Nicolini, inventore dell'Estate Romana: «Non ti guardava mai in faccia, vestiva come un vecchio pugile.Eperò aveva un fortissimo spirito di servizio. E si vedeva ».

Quando Petroselli siede sotto la statua di Giulio Cesare ha 47 anni. Prende il posto di Giulio Carlo Argan, primo “capo” della prima giunta di sinistra. L’ultimo sindaco dc, Clelio Darida, era stato travolto dal voto del 20 giugno 1976. Il Pci diventa primo partito, Petroselli fa il pieno di preferenze: 130 mila, più di Andreotti. Dietro questa vittoria c'era l'idea che Roma si salva se fa saltare il muro che la divide in due: la città dei ricchi e quella degli esclusi, il centro e le borgate. Argan e Petroselli ci credono. Petroselli con più coraggio. «Ha avuto due idee forti in quegli anni - dice Veltroni - Da una parte il risanamento delle borgate e la demolizione dei borghetti e dall'altra ha attribuito un grande valore all'Estate romana in tempi di terrorismo». Erano anni bui, quelli. Dopo il delitto Moro l'Italia fu devastata dagli attacchi terroristici.ARomaforse più che altrove: un elenco lungo di morti e feriti nelle strade. La città aveva paura e Petroselli riuscì a rompere l'assedio. Ricorda Nicolini: «Ha creduto nell'Estate Romana che con lui prende il volo. Era convinto che l'effervescenza culturale serviva alla città». Nasce allora il grande Progetto Fori, la domenica si passeggia in via dei Fori Imperiali chiusa al traffico, poi arriva la nuova linea del metrò che porta nel centro i cittadini della periferia. Roma comincia a legarsi anche se nei «salotti buoni» qualcuno storce il naso. Le borgate saranno l’altro fronte della battaglia di Petroselli. Un pezzo di città allora viveva nell’abusivismo, cittadini di serie B abbandonati. Quasi ombre. Fu un'opera immensa ma per la prima volta gli esclusi videro che la giustizia esisteva. Arrivarono acqua, luce, asili nido e scuole. Si cancellarono a colpi di scavatrice le baracche in legno e lamiera nei borghetti. Ancora oggi in quelle zonediRomaquelli che hanno i capelli grigi ricordano le visite del sindaco, “Joe banana”comelo chiamavano affettuosamente.

Non si risparmiava Petroselli, non si fermava davanti a nulla. All' inizio dell'81 i tranvieri cominciarono uno sciopero a oltranza che piegò la città. Lui era preoccupato. E allora, contro il parere di tutti, decise di presentarsi all'assemblea dei lavoratori al deposito di Porta Maggiore. Il clima era teso, la folla fece largo per farlo passare, qualcuno gettò una monetina che finì sul palco tra i piedi del sindaco. Lui la raccolse, guardò i lavoratori e disse: «Questo non lo permetto, sulla mia Onestà non si scherza». Si fece silenzio, lui cominciò a parlare. Alla fine li convinse, lo sciopero fu sospeso. Uscì dal capannone e al cronista de "l'Unità" che gli si avvicinò spiegò con uno sguardo sereno: «Questo vuol dire fare davvero il sindaco...».

Petroselli è morto sul lavoro. Solo due anni dopo infatti si accasciò dopo aver parlato al Comitato Centrale del Pci. Per Roma fu un colpo durissimo. Ai suoi funerali partecipò tutta la città. Oggi quell’uomo tozzo e scontroso sembra figlio di un’altra era. Quella in cui la politica non era glaciale. Ma era grande passione, rapporto con i cittadini, fatica quotidiana. Basta guardarsi attorno per misurare la distanza. Petroselli era come Berlinguer: due uomini che sono stati grandi leader con umiltà, senza restare prigionieri del leaderismo. E a noi che lo abbiamo conosciuto sembra ancora di vederlo quel piccolo grande uomo, con la sigaretta tra le dita, quando passava in Cronaca all’Unità, in via dei Taurini. Veniva a tarda sera a prendere la prima copia del giornale. E finiva la sua giornata sempre così: «Ragazzi, niente di nuovo?».

Postilla

“Petrus, l’amarissimo che fa benissimo”: così, parafrasando la pubblicità di un liquore, lo definiva Giggetto, il sarcastico custode della Federazione del PCI quando Petroselli ne diventò il segretario. La sua intelligente umanità era dissimulata sotto la sua dura scorza di etrusco. Esplose quando divenne sindaco. Come i veri grandi, riuscì a saldare gli interessi dei deboli, dei poveri, degli emarginati (del popolo che Pasolini ha vissuto e descritto) con quelli della grande cultura europea e di uno sviluppo liberato dalla rendita immobiliare. L’Estate romana, il sublime piano urbanistica del Progetto Fori, e l’alleanza con i “costruttori onesti” per l’edilizia sociale su aree pubbliche, furono i tasselli principali della sua idea di città. Peccato che sia subentrata l'ideologia delle recinzioni, del “pianificar facendo”, della prevalenza degli immobiliaristi e dei loro interessi. Ma l’insegnamento rimane, ed è il lievito di un possibile futuro.

Ai sensi dell'articolo 127, comma 2, della legge urbanistica provinciale, legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 , modificato dall’art. 51 comma 3 della legge provinciale 9 aprile 2009, n. 1, è ammesso secondo le presenti direttive l'ampliamento di edifici esistenti purché l’intero edificio sia riqualificato energeticamente secondo lo standard casa-clima C oppure soddisfi già questo standard (*):

1. L’ampliamento è consentito per edifici esistenti che alla data del 12 gennaio 2005 avevano una cubatura fuori terra legalmente esistente o concessionata di almeno 300 mc, destinata in misura superiore al 50% a scopo abitativo. Per il calcolo di tale percentuale la cubatura di cui all’articolo 108 della legge urbanistica provinciale non è considerata cubatura destinata a scopo abitativo.

2. L’ampliamento non è ammesso nelle zone di bosco e di verde alpino.

3. Il Consiglio comunale può determinare entro 30 giorni dall’entrata in vigore delle presenti direttive ulteriori ambiti nei quali non è ammesso l’ampliamento ed elevare la percentuale destinata a scopo abitativo di cui al punto 1 fino al 75%. Nei Comuni con più di 15.000 abitanti le predette determinazioni possono essere assunte dalla Giunta comunale.

4. L’ampliamento non è ammesso in caso di demolizione e ricostruzione. In caso di demolizione parziale l’ampliamento è ammesso se non viene demolita più del 50% della cubatura esistente fuori terra di cui al punto 1.

5. L’ampliamento deve essere destinato interamente per le destinazioni d'uso abitazione o abitazione convenzionata di cui all’articolo 75, comma 2, della legge urbanistica provinciale. L'abitazione ampliata o realizzata tramite l'ampliamento non può superare la superficie di 160 mq di cui all’articolo 42 della legge sull’edilizia abitativa agevolata, legge provinciale 17 dicembre 1998, n. 13 e s.m.

6. Qualora venga ampliata un’abitazione già convenzionata oppure agevolata secondo la legge sull’edilizia abitativa agevolata si applicano all'abitazione ampliata gli stessi obblighi vigenti per l'abitazione esistente in relazione al convenzionamento di cui all’articolo 79 della legge urbanistica provinciale e alla salvaguardia della funzione sociale ai sensi dell’articolo 62 della legge sull’edilizia abitativa agevolata, compresa la durata di questi vincoli. Qualora venga realizzata un’abitazione a sé stante, l’ampliamento è soggetto all’obbligo del convenzionamento ai sensi dell’articolo 79 della legge urbanistica provinciale.

7. L’ampliamento può essere approvato, con particolare riguardo alla tutela del contesto urbanistico, storico, architettonico e ambientale, osservando le seguenti prescrizioni:

a) È possibile derogare ai limiti di cubatura e di altezza degli edifici osservando tutte le altre disposizioni stabilite dalla legge urbanistica provinciale, dai regolamenti e dagli strumenti di pianificazione urbanistica.

b) L’edificio esistente può essere ampliato al massimo di 200 mc di cubatura fuori terra.

c) L’altezza ammissibile dell’edificio esistente può essere superata fino ad 1 m.

d) L’ampliamento di edifici soggetti alla tutela dei beni culturali o del paesaggio può essere approvato solo previo conforme parere della competente autorità.

e) per edifici siti in ambiti soggetti a tutela insiemi o nelle zone A sono da osservare le particolari caratteristiche che hanno originato tale tutela e destinazione.

8. L’ampliamento ha luogo indipendentemente e senza incidere su altri diritti edificatori vigenti ed è cumulabile con altri diritti edificatori, che possono essere realizzati anche contemporaneamente. Non sono cumulabili con l'ampliamento i diritti edificatori di cui agli articoli 108 e 128/ter della legge urbanistica provinciale.

9. L’ampliamento è soggetto al rilascio della concessione edilizia. Alla domanda di concessione deve essere allegato il calcolo di un tecnico autorizzato sul conseguimento per l’intero edificio almeno dello standard Casa Clima C di cui al decreto del Presidente della Giunta provinciale 29 settembre 2004, n. 34. Alla domanda di rilascio della licenza d'uso deve essere allegato il certificato emesso dall'Agenzia Casa Clima attestante per l’intero edificio il conseguimento almeno di questo standard di efficienza energetica.

10. Nella concessione edilizia deve essere espressamente menzionata la presente deliberazione e le concessioni edilizie di ampliamento devono essere registrate dal comune in un apposito elenco.

11. Norme transitorie

a) Le domande di ampliamento presentate prima dell'entrata in vigore della presente deliberazione si considerano presentate il giorno dell'entrata in vigore della presente deliberazione.

b) I lavori di ampliamento devono essere iniziati entro il 31 dicembre 2010.

(*) V. qui l’ivi richiamata disposizione ex LP 13/1997 (Legge urbanistica provinciale) e s.m.i., art. 127 (Interventi sugli edifici), comma 2, nella riformulazione di cui alla LP 1/2009 “Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2009 e per il triennio 2009-2011 (Legge finanziaria 2009)”, art. 51 (Modifiche della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13, recante “Legge urbanistica provinciale”), comma 3:

“2. Per favorire iniziative volte al rilancio dell’economia e per introdurre incisive misure di semplificazione procedurale nell’attività edilizia, la Giunta provinciale di concerto con il Consiglio dei comuni emana criteri per consentire interventi di ampliamento di edifici, già legalmente esistenti alla data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale data e destinati prevalentemente ad uso residenziale, purché l’intero edificio sia riqualificato energeticamente secondo lo standard casa-clima C. Con particolare riguardo al rispetto del contesto urbanistico, storico, architettonico e ambientale, le direttive concernono criteri tecnici e procedimentali nonché le caratteristiche qualitative e quantitative che rispettivamente gli edifici esistenti devono già presentare per poter essere oggetto degli interventi. Per gli ampliamenti saranno definiti valori massimi di deroga rispetto ai limiti di cubatura, di distanze e di altezza degli edifici stabiliti nella legge urbanistica provinciale, nei regolamenti e negli strumenti di pianificazione urbanistica, nonché i casi di esenzione dagli obblighi di convenzionamento. Di concerto con il Consiglio dei comuni la Giunta provinciale può prevedere che gli ampliamenti siano esenti dal contributo sul costo di costruzione e che i relativi oneri di urbanizzazione siano dovuti in misura dimezzata. Gli spazi per parcheggi devono essere assicurati ai sensi dell’articolo 123, salva una speciale disciplina negli strumenti di pianificazione del comune. Restano comunque salve le esigenze di tutela dei beni culturali, del paesaggio e dell’ambiente. La validità del presente comma e delle relative direttive è limitata agli anni 2009 e 2010.” .

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